Titolo
Regione veneto - Agricoltura - Impianti di acquacoltura - Materiali di risulta provenienti dalle escavazioni necessarie alla realizzazione degli impianti - Divieto di esportazione - Lamentata incidenza sui rapporti tra privati, in contrasto con i limiti alla potestà legislativa regionale - Non fondatezza della questione.
Testo
Il divieto di esportazione - che, all'evidenza, non è riferibile alla circolazione dei beni tra Stati - con riguardo ai materiali di risulta provenienti dalle escavazioni necessarie per la realizzazione di impianti di acquacoltura, posto dalla legge della Regione Veneto n. 19 del 1998, non incide sui rapporti tra privati oltrepassando i limiti desumibili dall'art. 117 della Costituzione, dal momento che la disciplina regionale dell'attività agricola relativa alla costruzione degli impianti di acquacoltura, incidente anche sull'assetto del territorio, rientra indubbiamente nella competenza delle Regioni, le quali, quindi, ben possono regolamentare l'utilizzazione dei terreni interessati da quegli impianti.
- Sul divieto, per le regioni, di legiferare in materia di diritto privato, sentenze n. 164/2000, n. 379/1994, n. 391/1989.
Atti oggetto del giudizio
legge della Regione Veneto
28/04/1998
n. 19
art. 23
co. 4
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 117
Costituzione
art. 42
Titolo
Regione veneto - Agricoltura - Impianti di acquacoltura - Materiali di risulta provenienti dalle escavazioni necessarie alla realizzazione degli impianti - Divieto di esportazione - Asserita compressione della iniziativa economica privata e irragionecolezza della previsione - Non fondatezza della questione.
Testo
Il divieto di esportazione dei materiali di risulta, secondo quanto dispone l'art. 23, comma 4, della legge della Regione Veneto 28 aprile 1998, n. 19, lungi dal sopprimere la libertà di iniziativa economica in relazione all'attività di acquacoltura, si limita a regolarne l'esercizio, ponendo condizioni che, finalizzate come sono alla tutela dell'ambiente, non appaiono irragionevoli.
- Sul limite dell'utilità sociale all'iniziativa economica privata previsto dall'art. 41 Cost., funzionale anche alla tutela dell'ambiente, v. sentenza, richiamata, n. 196/1998.
Atti oggetto del giudizio
legge della Regione Veneto
28/04/1998
n. 19
art. 23
co. 4
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 41
N. 190
SENTENZA 6 - 14 giugno 2001.
Pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» n. 24 del 20 giugno 2001
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA,Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI,Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 4,
della legge della Regione Veneto 28 aprile 1998, n. 19 (Norme per la
tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la
disciplina dell'esercizio della pesca nelle acque marittime ed
interne della Regione Veneto), promosso con ordinanza emessa il
1° luglio 1999 dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto,
iscritta al n. 701 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, 1a serie speciale,
dell'anno 1999.
Visto l'atto di costituzione della parte ricorrente nonché
l'atto di intervento della Regione Veneto resistente nel giudizio
principale;
Udito nell'udienza pubblica del 6 marzo 2001 il giudice relatore
Carlo Mezzanotte;
Uditi gli avvocati Luigi Manzi per la parte ricorrente e Mario
Loria per la Regione Veneto resistente nel giudizio principale.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, chiamato a
pronunciarsi sui ricorsi riuniti, proposti avverso i provvedimenti
con i quali il comune di Castelnovo Bariano aveva, dapprima, negato
il rilascio della concessione edilizia per la costruzione di un
impianto di acquacoltura e, successivamente, comunicato all'istante
che "ai sensi della legge regionale n. 19 del 28 aprile 1998,
art. 23, comma 4, l'impianto di acquacoltura può essere realizzato
purché non vi sia l'asportazione del terreno proveniente dagli
scavi", solleva questione di legittimità costituzionale, in
riferimento agli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione, del
menzionato art. 23, comma 4, della legge della Regione Veneto
28 aprile 1998, n. 19 (Norme per la tutela delle risorse
idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina
dell'esercizio della pesca nelle acque marittime ed interne della
Regione Veneto), nella parte in cui dispone che, in attesa di una
disciplina specifica in materia di acquacoltura, nella realizzazione
di nuovi impianti non è consentita l'esportazione dei materiali di
risulta provenienti dalle relative escavazioni.
Il remittente rileva che la disposizione applicabile nel giudizio
principale contiene un refuso e che la parola "esportazione" deve
invece essere letta "asportazione"; e ciò sulla base del criterio
ermeneutico costituito dalla intenzione del legislatore, che, nel
caso di specie, non sarebbe tanto quella di vietare "l'esportazione"
del materiale di risulta degli scavi, quanto piuttosto quella di
impedire che i materiali stessi formino oggetto di commercio al di
fuori dei limiti propri dell'attività di cava.
Ciò premesso, il giudice a quo ritiene che la disposizione
censurata sia in contrasto con l'art. 41 della Costituzione, in
quanto dalla sua applicazione potrebbe derivare la impossibilità di
realizzare un impianto di acquacoltura tutte le volte in cui il
materiale scavato per la costruzione delle vasche non possa essere in
alcun modo collocato nell'ambito del medesimo appezzamento di terreno
ovvero lo possa essere solo con grave detrimento e danno per le
restanti attività agricole che sullo stesso vengano esercitate. Una
siffatta limitazione della iniziativa economica privata, osserva il
remittente, non risponderebbe ad alcuno dei limiti previsti
dall'art. 41 della Costituzione, e in particolare a quello della
utilità sociale, posto che il divieto di asportazione sarebbe
finalizzato solo a contrastare intenti fraudolenti ravvisati a
priori, senza richiedere che essi siano desumibili da elementi
concreti.
La medesima disposizione, ponendo significativi vincoli
all'attività privata, contrasterebbe, poi, ad avviso del remittente,
con l'art. 3 della Costituzione per la mancanza di proporzione del
divieto rispetto all'obiettivo avuto di mira, e con l'art. 117 della
Costituzione, che non consentirebbe alla legislazione regionale di
intervenire nell'ambito privatistico.
Il remittente conclude affermando di ritenere che la natura
transitoria della disposizione censurata non privi di rilevanza la
questione, la cui soluzione è indispensabile per la decisione del
giudizio principale.
2. - Si è costituita la parte privata del giudizio principale,
la quale, condividendo le argomentazioni della ordinanza di
rimessione, ha chiesto che la questione venga accolta nei termini
prospettati dal giudice a quo.
3. - È intervenuta la Regione Veneto e ha chiesto che la
questione sia dichiarata non fondata.
La difesa della Regione contesta innanzitutto l'interpretazione
correttiva fatta propria dal remittente, giacché il termine
"esportazione" dovrebbe essere interpretato non nel suo significato
commercial-civilistico di vendita di un prodotto fuori del territorio
dello Stato, ma nel suo significato etimologico di "portare fuori"
dal terreno di pertinenza, cioè dall'area su cui insiste l'azienda,
i materiali provenienti dall'escavazione. Si tratterebbe, ad avviso
della difesa della Regione, di una interpretazione conforme
all'art. 117 della Costituzione, giacché entrambe le materie nelle
quali potrebbe farsi rientrare la disposizione censurata (pesca e/o
agricoltura) appartengono alla competenza concorrente delle Regioni.
La difesa della Regione si diffonde poi sulla normativa regionale
in tema di acquacoltura, rilevando che quest'ultima, nonostante sia
spesso disciplinata come materia attinente alla pesca, possiede
invece forti correlazioni con l'attività agricola: essa comporta
infatti, nella maggior parte dei casi, rilevanti movimenti di terra
ed escavazioni che, se lasciati alla libera iniziativa dei privati,
potrebbero recare grave nocumento all'ambiente, una volta che
l'impianto non fosse realizzato ovvero venisse dismesso o
abbandonato. Per questa ragione, prosegue la difesa regionale, le
opere e gli scavi relativi a tali impianti sono soggetti a
concessione edilizia, la quale può essere rilasciata unicamente per
i terreni agricoli e nei limiti di un rapporto di copertura pari al
50 per cento del fondo di proprietà o del quale si ha la
disponibilità, al fine di consentire un coerente inserimento
dell'impianto nel contesto produttivo primario del territorio ed un
facile e tempestivo recupero ambientale.
La Regione Veneto, quindi, dopo aver ricordato che una precedente
legge regionale aveva disposto la sospensione del rilascio delle
concessioni per nuovi impianti di acquacoltura, ad eccezione di
quelli realizzati fuori terra, al fine di evitare che, simulando la
realizzazione di vasche di allevamento, si ponesse in essere
un'attività di cava al di fuori di ogni autorizzazione e dopo aver
riconosciuto che la normativa in materia di cave si è rivelata di
facile elusione, ritiene che l'attuale disciplina della costruzione e
dell'esercizio di impianti di acquacoltura contemperi la libertà di
iniziativa economica privata con le primarie esigenze di tutela
ambientale e con quella di evitare coltivazioni abusive di cave. La
disposizione censurata non contrasterebbe allora con l'art. 41 della
Costituzione, dal momento che è proprio l'art. 41 a prevedere che la
libertà di iniziativa economica possa essere limitata per ragioni di
utilità sociale e a consentire l'apposizione di limiti allo
sfruttamento del suolo onde evitare arbitrî.
Non sussisterebbe neppure la violazione dell'art. 3 della
Costituzione. La difesa regionale rileva che, al contrario di quanto
sostenuto dal remittente, la disposizione censurata, lungi
dall'impedire l'esercizio dell'acquacoltura, in realtà lo
garantirebbe, nel senso che consentirebbe di mantenere intatta la
natura agricola del fondo su cui insiste l'impianto, ed impedirebbe,
ad un tempo, l'utilizzazione dei materiali per scopi industriali o
edilizi, risultando in tal modo proporzionata all'obiettivo avuto di
mira.
4. - In una memoria depositata in prossimità dell'udienza, la
parte privata del giudizio a quo insiste per la dichiarazione di
illegittimità costituzionale dell'art. 23, comma 4, della legge
della Regione Veneto n. 19 del 1998.
Dopo aver sottolineato la arbitrarietà della interpretazione
finalistica prospettata dalla difesa regionale, la parte privata
rileva che, tenuto conto del fatto che, in base alla legge regionale
n. 24 del 1985, la realizzazione di impianti di acquacoltura è
ammessa nei limiti di un rapporto di copertura del 50 per cento del
fondo, la disposizione censurata comporterebbe, non una limitazione
dell'iniziativa economica privata, ma un vero e proprio divieto
assoluto di esercizio dell'attività imprenditoriale di acquacoltura.
L'imposizione del divieto di esportazione dei materiali di risulta e
il conseguente obbligo di accumulare i materiali stessi su terreni
inevitabilmente ricompresi in zone sottoposte a vincolo
paesaggistico, posto che gli impianti di acquacoltura non possono non
essere ubicati in prossimità di corsi d'acqua, altro significato non
avrebbe che quello di rendere impossibile il rilascio
dell'autorizzazione da parte dell'amministrazione preposta alla
gestione di quel vincolo.
La parte privata rileva poi che il divieto dell'esercizio
dell'attività imprenditoriale in questione sarebbe definitivo,
nonostante la formulazione dell'incipit della disposizione censurata:
"In attesa della disciplina specifica". Invero, osserva la difesa, la
legge n. 19 del 1998 - che fa seguito a precedenti norme le quali,
fino all'approvazione della nuova legge regionale di disciplina della
pesca, avevano disposto la sospensione del rilascio delle concessioni
edilizie per la costruzione di impianti di acquacoltura - detta la
disciplina della pesca e dell'acquacoltura e costituisce quindi
proprio quella legge individuata come il termine ad quem della
sospensione del rilascio delle concessioni. In questo quadro, la
disposizione transitoria oggetto del presente giudizio non avrebbe
altro significato che quello di protrarre il divieto di rilascio di
concessioni per la realizzazione di impianti di acquacoltura.
Né, ad avviso della parte privata, potrebbe attribuirsi rilievo
alle argomentazioni finalistiche prospettate dalla difesa della
Regione Veneto: l'esigenza di evitare che attraverso la richiesta di
costruzione di un impianto di acquacoltura si possa porre in essere
un'attività di cava con pregiudizio dell'integrità ambientale
andrebbe infatti fronteggiata, da un lato, con la piena attuazione
della normativa regionale in materia di cave e, dall'altro, con lo
strumento delle convenzioni urbanistiche, con le quali ben potrebbero
essere stabilite sanzioni convenzionali e garanzie finanziarie per
l'adempimento degli obblighi derivanti dalla concessione per la
realizzazione di impianti di acquacoltura.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto dubita, in
riferimento agli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione, della
legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 4, della legge della
Regione Veneto 28 aprile 1998, n. 19 (Norme per la tutela delle
risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina
dell'esercizio della pesca nelle acque marittime ed interne della
Regione Veneto), nella parte in cui dispone che, in attesa di una
disciplina specifica in materia di acquacoltura, nella realizzazione
di nuovi impianti non è consentita l'esportazione dei materiali di
risulta provenienti dalle relative escavazioni.
Sul presupposto interpretativo che l'espressione "esportazione"
debba essere letta come "asportazione" e che scopo della norma sia
quello di evitare che attraverso gli scavi necessari per la
realizzazione di impianti di acquacoltura si ponga in essere
un'attività di cava non consentita, il remittente ritiene che il
predetto art. 23, comma 4, comporti in primo luogo una ingiustificata
quanto irragionevole compressione, se non addirittura la
soppressione, della libertà di iniziativa economica privata in
relazione all'attività di acquacoltura. La medesima disposizione,
poi, violerebbe sia il canone della ragionevolezza, desumibile
dall'art. 3 della Costituzione, il sacrificio imposto al privato non
risultando proporzionato al fine pubblico perseguito, sia l'art. 117
della Costituzione, che non consentirebbe l'esercizio della potestà
legislativa regionale in materia di diritto privato.
2. - La questione è infondata.
La disputa lessicale intorno al contenuto della norma, sulla
quale si diffonde l'ordinanza di rimessione, va risolta nel senso
che, con l'espressione "esportazione", il legislatore regionale non
ha inteso riferirsi tanto alla circolazione dei beni tra Stati,
quanto alla specifica destinazione dei materiali di risulta
provenienti dalle escavazioni necessarie per la realizzazione di
impianti di acquacoltura: quei materiali - è questo l'evidente
significato del divieto - non possono essere portati fuori del
terreno sul quale insiste l'impianto.
Con tale prescrizione il legislatore veneto, come emerge anche
dai lavori preparatori, si è prefisso una duplice finalità: da un
lato impedire che il privato, giovandosi della concessione per la
realizzazione di impianti di acquacoltura, ponga in essere
un'attività di cava, in assenza di qualsiasi autorizzazione
regionale, e faccia oggetto di commercio i materiali di risulta
provenienti dai lavori di scavo per la costruzione delle vasche degli
impianti; dall'altro, imponendo che quei materiali siano mantenuti
nell'area, garantire l'immediato ripristino dei luoghi e
dell'ambiente, nel caso in cui l'attività di acquacoltura non abbia
luogo o venga per qualsiasi ragione a cessare.
3. - Così precisati il contenuto e la funzione del divieto, le
censure proposte dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto
non possono trovare accoglimento sotto alcuno dei profili dedotti.
Innanzitutto, non può essere condiviso il rilievo che la norma
in questione incida sui rapporti tra privati, oltrepassando i limiti
desumibili dall'art. 117 della Costituzione. Questa Corte ha più
volte chiarito che, se alle Regioni è precluso legiferare in materia
di diritto privato, tale preclusione concerne i rapporti
intersoggettivi e non riguarda il potere di conformare il contenuto
del diritto di proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale:
la riserva di legge stabilita dall'art. 42 della Costituzione è
infatti rispettata anche quando siano le Regioni a legiferare nelle
materie di loro competenza (sentenze n. 164 del 2000, n. 379 del
1994, n. 391 del 1989).
Nel caso di specie, poiché l'acquacoltura costituisce
un'attività imprenditoriale agricola (art. 2, comma 2, della legge
5 febbraio 1992, n. 102 "Norme concernenti l'attività di
acquacoltura"), incidente anche sull'assetto del territorio, non può
dubitarsi che la disciplina relativa alla costruzione dei relativi
impianti rientri nella competenza delle Regioni, le quali, quindi,
ben possono regolamentare l'utilizzazione dei terreni interessati da
quegli impianti.
4. - Il tema del contenuto della libertà di iniziativa economica
e quello della ragionevolezza degli interventi legislativi intesi a
comprimerla, anche se nell'ordinanza di rimessione mettono capo a due
distinte censure rivolte contro l'art. 23, comma 4, della legge
regionale veneta, danno luogo ad una questione unitaria che deve
essere risolta da questa Corte alla luce dei parametri congiunti
degli articoli 3 e 41 della Costituzione.
È acquisito alla giurisprudenza costituzionale che al limite
della utilità sociale, a cui soggiace l'iniziativa economica privata
in forza dell'art. 41 della Costituzione, non possono dirsi estranei
gli interventi legislativi che risultino non irragionevolmente
(art. 3 Cost.) intesi alla tutela dell'ambiente (cfr., da ultimo,
sentenza n. 196 del 1998).
Ebbene, la disposizione censurata, contrariamente a quanto
ritenuto dal remittente, lungi dal sopprimere la libertà di
iniziativa economica in relazione all'attività di acquacoltura, si
limita a regolarne l'esercizio, ponendo condizioni che, finalizzate
come sono alla tutela dell'ambiente, non appaiono irragionevoli.
Attesa la qualità del fine legislativo, non può infatti dirsi che
il divieto di esportazione dei materiali provenienti dalla
escavazione delle vasche sia incongruo. Il legislatore regionale
avrebbe certo potuto avvalersi di altri mezzi, quali, secondo la
difesa della parte privata, il ricorso ad apposite convenzioni o la
piena attuazione della normativa in materia di cave, ma esula dai
poteri di questa Corte contrastare con una propria diversa
valutazione la scelta discrezionale del legislatore circa il mezzo
più adatto per conseguire un fine, dovendosi arrestare questo tipo
di scrutinio alla verifica che il mezzo prescelto non sia palesemente
sproporzionato. Sotto questo profilo, nessun rimprovero può essere
mosso alla disposizione censurata.
Il divieto di esportazione dei materiali di risulta, del resto,
si coordina con la previsione dell'art. 6, decimo comma, della legge
della Regione Veneto 5 marzo 1985, n. 24 (Tutela ed edificabilità
delle zone agricole), che consente la realizzazione di impianti di
acquacoltura nel limite di un rapporto di copertura del 50 per cento
del fondo di proprietà o del quale si ha la disponibilità, e con
quella dell'art. 14, quinto comma, della legge regionale 7 settembre
1982, n. 44 (Norme per la disciplina dell'attività di cava), che fa
divieto di usare il terreno di coltivo o vegetale ricavato durante i
lavori di escavazione per finalità diverse da quelle di risanamento
paesaggistico.
Si è quindi in presenza di una disciplina che, complessivamente
considerata, non solo non preclude, in linea di principio,
l'esercizio dell'attività di acquacoltura (come dimostra, nel caso
di specie, il fatto che, dopo un iniziale diniego, la concessione è
stata rilasciata, sia pure subordinatamente all'adozione delle misure
idonee ad assicurare il rispetto del divieto di esportazione dei
materiali di risulta), ma, a salvaguardia delle esigenze di
ripristino ambientale, rimette al soggetto interessato la scelta,
tipicamente imprenditoriale, circa l'estensione dell'impianto in
relazione alle altre possibili utilizzazioni del fondo.
Né a conclusioni differenti è possibile pervenire sulla base
delle osservazioni svolte dalla difesa della parte privata, secondo
la quale gli impianti di acquacoltura dovrebbero essere
necessariamente ubicati in prossimità dei corsi d'acqua, e quindi in
zone sottoposte a vincolo paesaggistico: si tratta, infatti, di
evenienza che non vale di per sé a connotare in termini di
irragionevolezza la disposizione censurata. Il vincolo paesaggistico
e l'esigenza di immediato ripristino in caso di dismissione
dell'attività costituiscono non un posterius rispetto alla scelta se
esercitare quella determinata attività economica, ma un prius del
quale l'imprenditore agricolo ha l'onere di tenere conto.
Non può essere infine attribuito carattere di decisività al
rilievo secondo cui la disposizione censurata, nonostante la sua
formulazione ("in attesa di una disciplina specifica in materia di
acquacoltura"), non avrebbe carattere transitorio, ma sarebbe
destinata ad operare per un tempo indeterminato. Seppure la
dichiarata transitorietà della legge fosse mera parvenza e la
disciplina in questione fosse in realtà destinata ad operare per un
tempo indefinito, nessuno dei parametri evocati dal remittente
risulterebbe leso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 23, comma 4, della legge della Regione Veneto 28 aprile
1998, n. 19 (Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della
fauna ittica e per la disciplina dell'esercizio della pesca nelle
acque marittime ed interne della Regione Veneto), sollevata, in
riferimento agli articoli 3, 41 e 117 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale del Veneto con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2001.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 14 giugno 2001.
Il direttore della cancelleria: Di Paola