SENTENZA N. 197
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 49, 57, comma 6, 71, commi 1 e 3, 83, comma 2, e 138 della legge della Regione Siciliana 31 gennaio 2024, n. 3 (Disposizioni varie e finanziarie), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 3 aprile 2024, depositato in cancelleria il 4 aprile 2024, iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;
udita nell’udienza pubblica del 24 settembre 2024 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;
uditi l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Enrico Pistone Nascone per la Regione Siciliana;
deliberato nella camera di consiglio del 24 settembre 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 3 aprile 2024, depositato il successivo 4 aprile e iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2024, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 81, 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni della legge della Regione Siciliana 31 gennaio 2024, n. 3 (Disposizioni varie e finanziarie), distintamente indicate nel prosieguo.
2.– Viene, anzitutto, impugnato l’art. 49 della legge regionale richiamata, del quale si lamenta il contrasto con gli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e all’art. 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», quali norme interposte.
Il predetto art. 49, rubricato «Adeguamento delle rette sanitarie per i soggetti fragili», stabilisce, al comma 1, che per «fronteggiare i maggiori costi derivanti dall’esercizio delle funzioni rese dalle strutture riabilitative per disabili psico-fisico sensoriali, dalle comunità terapeutiche assistite, dalle residenze sanitarie assistenziali e dai centri diurni per soggetti autistici, è riconosciuto l’adeguamento tariffario delle prestazioni rese dalle medesime nella misura del 7 per cento, a valere sui fondi del servizio sanitario regionale previo rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative». Analogamente, il comma 2 dell’art. 49 prevede un adeguamento tariffario, nella misura massima del 2 per cento per i centri dialisi.
2.1.– Il ricorrente sottolinea che la Regione Siciliana è sottoposta al piano di rientro dal disavanzo sanitario, in base al quale essa non può erogare livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa statale, con il conseguente rilievo che, secondo il disposto dell’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano medesimo.
2.2.– L’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992, si rileva nel ricorso, «prevede la remunerazione delle funzioni assistenziali e delle attività svolte dalle strutture accreditate con il S.S.R. in base al costo standard di produzione del programma di assistenza, ovvero in base a tariffe predefinite per prestazione (cfr. comma 1 e comma 4)» secondo criteri generali ed entro limiti massimi di appropriati volumi di attività, nel rispetto dei principi di efficienza ed economicità delle risorse, fissati con provvedimento statale “concertato” con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (commi 3 e 5).
Ciò posto, viene denunciata la mancata definizione dei criteri di calcolo utilizzati dal legislatore regionale per la quantificazione degli adeguamenti tariffari destinati a valere sui fondi del Servizio sanitario regionale (SSR) e delle relative fonti-dati, con la conseguente mancanza di «elementi informativi sufficienti» per valutare la correttezza dei medesimi adeguamenti, in coerenza con il programma operativo regionale e la relativa cornice economico-finanziaria.
2.3.– Il ricorrente rammenta, quindi, che seppure le regioni sono legittimate a riconoscere variazioni tariffarie sulle prestazioni a carico del SSR, deve restare ferma la garanzia dell’equilibrio economico-finanziario dello stesso SSR, e deve essere assicurato il rispetto della normativa specifica in materia tariffaria, cui devono vieppiù sottostare le regioni che si trovino in piano di rientro.
Viene citata la sentenza n. 176 del 2023 di questa Corte, in cui si è affermato che l’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992 rientra «tra i principi fondamentali nella materia della tutela della salute», nonché, insieme al precedente art. 8-quinquies, in quella del coordinamento della finanza pubblica, richiamando il contributo cui sono tenute le regioni nel «raggiungimento di un ragionevole punto di equilibrio tra l’esigenza di assicurare (almeno) i livelli essenziali di assistenza sanitaria e quella di garantire una più efficiente ed efficace spesa pubblica, anch’essa funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico del settore».
I richiamati principi, osserva il ricorrente, vincolano anche le regioni a statuto speciale. Pertanto, le disposizioni in esame si porrebbero in contrasto sia con l’art. 81 Cost., omettendo di individuare criteri di determinazione e copertura degli adeguamenti tariffari, sia con l’art. 117, terzo comma, Cost.
3.– Viene, poi, denunciato l’art. 57, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile, in cui rientra la disciplina delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni, in relazione, quali norme interposte, all’art. 1, comma 596, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), e all’art. 11, comma 7, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica).
3.1.– L’art. 57 della legge regionale impugnata, rubricato «Disposizioni varie», prevede al comma 6 che «[n]elle more dell’adozione del decreto di cui al comma 6 dell’articolo 11 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 e successive modificazioni, agli enti di cui al comma 2 del citato articolo 11 si applicano le disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 agosto 2022, n. 143».
3.1.1.– Il ricorrente deduce la scarsa chiarezza del dato normativo regionale nella parte in cui il richiamo agli “enti” contenuto nel comma 2 dell’art. 11 citato – il quale prevede che «[l]’organo amministrativo delle società a controllo pubblico è costituito, di norma, da un amministratore unico» – non permetterebbe di individuare il perimetro applicativo della norma in questione.
Con essa – si sostiene nel ricorso – si intenderebbe invece estendere, in via transitoria, agli organi amministrativi delle società pubbliche sottoposte a vigilanza e/o controllo della Regione, l’ambito di applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 agosto 2022, n. 143 (Regolamento in attuazione dell’articolo 1, comma 596, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 in materia di compensi, gettoni di presenza e ogni altro emolumento spettante ai componenti gli organi di amministrazione e di controllo, ordinari e straordinari, degli enti pubblici), il cui art. 2, comma 2, lettera b), esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione le società di cui al d.lgs. n. 175 del 2016.
3.1.2.– La disposizione in esame si porrebbe, quindi, in contrasto con la normativa primaria, indicata quale parametro interposto, di cui all’art. 1, comma 596, della legge n. 160 del 2019, richiamato nel preambolo dal d.P.C.m. n. 143 del 2022, che sottrae le società partecipate dall’ambito di applicazione della disciplina regolamentare.
3.1.3.– La medesima disposizione contrasterebbe, inoltre, con l’art. 11 del d.lgs. n. 175 del 2016, rubricato «Organi amministrativi e di controllo delle società a controllo pubblico», che, al comma 7, fissa la disciplina transitoria destinata a valere nelle more dell’adozione del decreto di cui al comma 6 dell’art. 11 citato.
Siffatta regolamentazione prevede che fino all’emanazione del nuovo d.P.C.m. «restano in vigore le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 24 dicembre 2013, n. 166».
3.1.4.– Con la disposizione impugnata il legislatore regionale avrebbe, pertanto, esteso agli organi delle società controllate dalla Regione la disciplina dettata per gli enti pubblici individuando, in via autonoma, una diversa regolamentazione transitoria in una materia, qual è quella delle società partecipate, riconducibile all’ordinamento civile, che rientra nella competenza legislativa esclusiva statale.
4.– Il ricorrente deduce, quindi, il contrasto dell’art. 71, commi 1 e 3, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024 con gli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., in relazione, quest’ultimo, all’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009 e all’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992, quali norme interposte.
4.1.– L’art. 71, rubricato «Norme in materia di strutture specialistiche accreditate al SSR», al comma 1 prevede che: «[a]l comma 15 dell’articolo 5 della legge regionale 12 maggio 2020, n. 9 le parole “nel triennio 2020-2022” sono sostituite dalle parole “nel settennio 2020-2026”. A tal fine le strutture specialistiche accreditate provvederanno alla restituzione dell’anticipazione, senza ulteriori oneri per il fondo sanitario, in favore del SSR esclusivamente mediante prestazioni extra-budget non liquidabili, in riferimento ad ogni singola annualità del detto settennio, con copertura, stante la natura transattiva della presente norma, nel fondo rischi per contenzioso di ciascuna Azienda, ove le somme non siano già state erogate».
4.1.1.– La disposizione impugnata modifica il comma 15 dell’art. 5 della legge della Regione Siciliana 12 maggio 2020, n. 9 (Legge di stabilità regionale 2020-2022), rubricato «Norma di autorizzazione all’uso dei fondi extraregionali e all’attivazione di strumenti finanziari», provvedendo ad estendere la disciplina ivi dettata per il triennio 2020-2022 al successivo quadriennio 2023-2026.
Rileva il ricorrente che il combinato disposto delle due norme (art. 5, comma 15, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2020 e art. 71, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024) consente di applicare il meccanismo del conguaglio – dovuto dalle imprese accreditate con il SSR ed inteso come restituzione dell’anticipazione riconosciuta in base al primo periodo dell’art. 5, comma 15, citato – a prestazioni sanitarie rese extrabudget oltre l’iniziale triennio 2020-2022, e, come tali, ex se non remunerabili dal SSR.
Detta previsione comporterebbe una vera e propria “dilazione”, quanto alla restituzione dell’anticipazione eventualmente dovuta dalle strutture sanitarie accreditate, che, attuata “in natura” nel corso dell’indicato settennio, realizzerebbe «una surrettizia remunerazione “pubblica” di prestazioni extra budget».
4.1.2.– Ricorda, ancora, la difesa dello Stato che la Regione Siciliana è tuttora sottoposta al piano di rientro dal disavanzo sanitario, e richiama i contenuti, già ricordati, dell’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009.
4.1.3.– Osserva il ricorrente che «se la precedente versione della norma regionale (entrata in vigore nel 2020) trovava giustificazione nel periodo pandemico allora appena iniziato, anche in linea con analoghe misure nazionali all’epoca approvate (si ha riguardo all’articolo 4 commi 5-bis e 5-ter, del D.L. n. 34/2020 (convertito con Legge n. 77/2020, e successive modifiche ed integrazioni)», mancherebbe ogni giustificazione della misura regionale adottata con la disposizione impugnata, espressiva di «una inappropriata utilizzazione di risorse sanitarie della Regione a copertura di prestazioni sanitarie delle strutture accreditate altrimenti non riconoscibili a carico del S.S.R.».
La disposizione in questione, nel porsi in contrasto con gli obiettivi del piano di rientro, avrebbe generato «un incremento di costi non quantificato e non compatibile con l’equilibrio economico sanitario della Regione, contrastando con l’articolo 81 Cost.».
4.1.4.– Il ricorrente denuncia, inoltre, come la «surrettizia» estensione di una remunerabilità extrabudget rechi vulnus anche all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992.
A mente dell’art. 8-sexies citato, le strutture accreditate presso il SSR sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito che, indicato negli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992 ed integrativo del cosiddetto tetto di spesa o budget, viene determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte all’interno e per conto della rete di servizi di riferimento, sulla base di tariffe predefinite per prestazione, la cui osservanza, secondo giurisprudenza costante, tale da costituire diritto vivente (è citata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, 18 aprile 2023, n. 3876), «rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato».
Il ricorrente richiama quindi la costante giurisprudenza di questa Corte – sono menzionate le sentenze n. 155 del 2023 e n. 130 del 2020 – secondo la quale le disposizioni in materia di piano di rientro dal disavanzo sanitario, che è diretto al contenimento della spesa pubblica, si configurano come principi di coordinamento della finanza pubblica.
4.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, poi, il comma 3 dell’art. 71 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, a norma del quale, «[a]l fine di sostenere il mantenimento degli standard strutturali e funzionali previsti dalla vigente normativa e garantire la compiuta erogazione dei relativi LEA, le Aziende sanitarie provinciali provvedono a riconoscere annualmente alle strutture di residenza sanitaria assistenziale (RSA) accreditate la parte fissa di spese connesse al personale dipendente e convenzionato contrattualizzato per struttura, in proporzione ai posti letto accreditati, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito del budget assegnato in sede di contrattualizzazione».
La disposizione di cui si tratta si porrebbe in contrasto con gli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992 che, ricorda il ricorrente, non consente la remunerazione dei singoli fattori produttivi e dei relativi costi delle strutture accreditate, ma prescrive la loro remunerazione secondo l’ammontare predefinito, o tetto di spesa, indicato negli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies.
Nel ricorso si deduce che il diritto alla salute è costituzionalmente condizionato dall’attuazione che ne dà il legislatore ordinario, nel bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente protetti e con i limiti derivanti dalle risorse finanziarie di cui dispone al momento, e si richiama la sentenza di questa Corte n. 76 del 2023 per i principi ivi affermati sulla tutela della salute e il coordinamento della finanza pubblica, in riferimento agli artt. 8-sexies e 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992.
5.– È, ancora, impugnato l’art. 83, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, per violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost. sul vincolo di copertura finanziaria delle leggi di spesa.
L’art. 83, rubricato «Disposizioni in materia di commissari straordinari e commissari liquidatori degli ambiti territoriali ottimali», al comma 2 stabilisce che: «[a]i sensi di quanto disposto dal comma 1, la Regione, per il tramite del Dipartimento regionale dell’acqua e dei rifiuti, assicura che i dipendenti regionali non subiscano diminuzioni patrimoniali personali, eventualmente intervenendo con iniziative a tutela degli stessi anche per le spese legali derivanti da procedimenti correlati alle funzioni svolte nella qualità di commissario straordinario e per qualunque altro onere eventualmente sostenuto o documentato. Agli oneri di cui al presente comma si provvede a valere sulle disponibilità della Missione 9, Programma 4, capitolo 242533».
Rileva il ricorrente che la disposizione impugnata prevede l’assunzione in capo alla Regione di oneri non quantificati per le spese legali sostenute dai dipendenti che svolgano funzioni di commissari straordinari e commissari liquidatori degli ambiti territoriali ottimali (ATO), la cui mancata quantificazione non consente di verificare la congruità della copertura finanziaria, mediante le risorse disponibili in bilancio.
6.– Il ricorrente denuncia, infine, l’art. 138 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024 per violazione degli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 11 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35 (Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2019, n. 60.
L’art. 138, rubricato «Personale degli enti del servizio sanitario regionale», al comma 1, prevede che «[a]l fine di garantire il funzionamento delle case della comunità e degli ospedali di comunità, in linea con gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), i limiti di spesa destinati al personale degli enti del servizio sanitario regionale sono arricchiti annualmente con un aumento del 15 per cento».
Ricorda il ricorrente che l’art. 1, comma 244, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026), adottata per il potenziamento dell’assistenza territoriale, ha incrementato a livello nazionale la spesa massima, già autorizzata ai sensi dell’art. 1, comma 274, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), nella misura di 250 milioni di euro per l’anno 2025 e di 350 milioni di euro annui a decorrere dal 2026, a valere sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale (SSN), demandando ad apposito decreto interministeriale il riparto di risorse tra regioni e province autonome, tenendo conto anche degli obiettivi del PNRR.
Il successivo comma 2 dell’art. 138 impugnato ha previsto un ampliamento delle piante organiche per le finalità indicate al precedente comma, in conformità alla direttiva attuativa (prot. servizio 1/n. 24514), dell’Assessorato regionale della salute - dipartimento per la pianificazione strategica, tenuto conto delle stabilizzazioni previste da diverse disposizioni nazionali.
Il ricorso richiama in nota «l’articolo 1, comma 268, lett. b), della Legge n. 234/2021, l’articolo 4, comma 9-septiesdecies, del D.L. n. 198/2022 (convertito con Legge n. 14 del 24 febbraio 2023), e l’articolo 13, comma 1-bis, del D.L. n. 34/2023 (convertito con Legge n. 56 del 26 maggio 2023)».
6.1.– Il ricorrente sottolinea, quanto all’ampliamento delle piante organiche e alle spese regionali per il personale, che tutte le regioni sono sottoposte a specifici parametri di spesa, ai sensi dell’art. 11, comma 1, del d.l. n. 35 del 2019, come convertito, che stabilisce un incremento annuo limitato al 10 per cento dell’incremento del Fondo sanitario regionale (FSR) rispetto all’esercizio precedente, ulteriormente incentivabile del 5 per cento quando, nella singola regione, «emergano […] oggettivi ulteriori fabbisogni di personale rispetto alle facoltà assunzionali consentite dal presente articolo, valutati congiuntamente dal Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza [LEA]».
La norma regionale prevede invece un “arricchimento” annuale dei limiti di spesa destinati al personale del 15 per cento annuo, senza condizioni.
Si deduce, quindi, nel ricorso che la disposizione impugnata, intervenendo in via autonoma sulla normativa nazionale dettata in merito al contenimento del costo del personale di cui all’art. 11 del d.l. n. 35 del 2019, come convertito, si porrebbe «in frontale contrasto con l’articolo 81 e 117, terzo comma, Cost.» in quanto «in manifesta difformità rispetto ai criteri ed alle condizionalità definite dalla stessa norma nazionale, e prescindendo altresì dalla verifica congiunta tra Stato e Regione prescritta dalla suddetta norma».
7.– Con atto depositato il 13 maggio 2024 si è costituita in giudizio la Regione Siciliana, concludendo per il rigetto del ricorso.
7.1.– In via preliminare la difesa della Regione ha segnalato l’intervenuto deposito presso l’Assemblea regionale siciliana (ARS) del disegno di legge recante «Modifiche ed interpretazioni di norme», approvato dalla Giunta regionale con delibera n. 158 del 18 aprile 2024, il cui art. 2, al comma 11, prevede che «[s]ono abrogati gli artt. 49, 57, comma 6, 71, commi 1 e 3, 83, comma 2, e 138», e ha prospettato l’idoneità della disposizione abrogativa, una volta emanata, a determinare la cessazione della materia del contendere relativamente alla impugnativa proposta in senso satisfattivo delle pretese avanzate dal ricorrente, sul presupposto della mancata applicazione delle disposizioni medio tempore. È richiamata, sul punto, la costante giurisprudenza di questa Corte (sono citate, in via esemplificativa, la sentenza n. 238 del 2018 e, tra le molte, le sentenze n. 185, n. 171 e n. 44 del 2018).
7.2.– Con riguardo al merito delle questioni promosse, la Regione deduce, in relazione alla impugnazione dell’art. 49, commi 1 e 3, che l’adeguamento tariffario per le quattro tipologie di strutture di assistenza territoriali denunciate in ricorso (strutture riabilitative per disabili psico-fisico sensoriali; comunità terapeutiche assistite; residenze sanitarie assistenziali; centri diurni per soggetti autistici) sarebbe stato previsto, prima ancora dell’approvazione della norma, all’interno del piano di rientro in coerenza con quest’ultimo e nel rispetto della relativa cornice economico-finanziaria. Sarebbe, pertanto, esclusa la violazione, ad opera dell’intervento normativo in questione, degli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost.
Precisa sul punto la resistente che le variazioni tariffarie che la Regione è legittimata ad apportare non intaccano l’equilibrio economico del SSR in quanto inserite nel piano 2023-2025 per un importo di 24 milioni di euro, calcolato nel modo seguente:
a) quanto all’assistenza riabilitativa da privato, per il costo esposto nel Programma operativo di consolidamento e sviluppo (POCS), si è fatto riferimento ad aggregati di spesa regionali fissati per l’anno 2023 dal decreto assessoriale 29 dicembre 2020, n. 1373 e successive modifiche, pari, complessivamente, a 200,6 euro/mln incrementati del 7 per cento in relazione a quanto previsto dall’art. 49, comma 1;
b) quanto all’assistenza psichiatrica residenziale e semiresidenziale, il costo è stato stimato sulla base del preconsuntivo 2023, in coerenza con gli aggregati di spesa regionali definiti per l’anno 2023 con il decreto assessoriale (d.a.) 17 marzo 2023, n. 223, incrementati del 7 per cento delle tariffe di cui all’art. 49, comma 1;
c) quanto alle RSA e Centri diurni per l’autismo, il costo è stato stimato sempre sulla base del preconsuntivo 2023, in coerenza con gli aggregati di spesa regionali definiti per il 2023 con il d.a. n. 223 del 2023, incrementati del 7 per cento delle tariffe di cui all’art. 49, comma 1, della legge regionale impugnata.
La Regione deduce che gli aggregati di spesa regionali, cosiddetti tetti di spesa, tengono conto delle precedenti tariffe i cui importi «se modificati, lo sono esclusivamente in relazione al fabbisogno».
Non sorgerebbe, pertanto, alcuna questione in ordine alla copertura della spesa. Quanto ai criteri utilizzati, la resistente rappresenta che «la remunerazione delle prestazioni, determinata in base alle funzioni assistenziali svolte, effettuata sulla base del costo standard di produzione del programma di assistenza, è stata determinata, nel rispetto dell’art. 8 sexies del D.lgs. n. 502/1992, con vari decreti assessoriali per le varie tipologie di forma assistenziale».
La difesa regionale espone inoltre che le rette non sono state più incrementate, ma hanno subito un taglio del 5 per cento nel 2007 in applicazione del piano di rientro, e che la loro composizione, in quanto determinata in gran parte dal costo del personale per il 74 per cento e dai costi di gestione nella misura del 26 per cento – fattori che nel tempo hanno portato ad un incremento dei costi che le strutture devono sostenere per rendere i servizi richiesti – comporta la necessità dell’adeguamento delle tariffe, anche per i rinnovi contrattuali intervenuti dal 2007 al 2024.
La Regione segnala che, con successivo decreto assessoriale, saranno disciplinate le modalità attuative «tenendo conto, ove occorra, delle proposte dei tavoli ministeriali di verifica degli adempimenti».
7.2.1.– In riferimento all’art. 57, comma 6, della legge regionale impugnata, la Regione esclude che detta disposizione risulti invasiva della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile, avuto riguardo alle norme interposte indicate (art. 1, comma 596, della legge n. 160 del 2009; art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016).
Il legislatore regionale, a fronte della mancata approvazione del decreto ministeriale previsto dal comma 6 dell’art. 11 del d.lgs. n. 175 del 2016, non ancora avvenuta a distanza di quasi otto anni, si sarebbe visto «costretto ad individuare un mero parametro di riferimento – per la liquidazione dei compensi, dei gettoni di presenza e di ogni altro emolumento spettante agli organi amministrativi delle società pubbliche sottoposte a vigilanza e/o controllo della Regione – in un provvedimento comunque statale quale il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 agosto 2022, n. 143».
La Regione deduce di essersi determinata a tanto perché non sembravano ricorrere i presupposti per l’applicazione alle società partecipate regionali del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 24 dicembre 2013, n. 166 (Regolamento relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’ex articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) – cui fa espresso richiamo il comma 7 dell’art. 11 del d.lgs. n. 175 del 2016 – che, al comma 1 dell’art. 1, stabilisce che «[l]e disposizioni del presente decreto si applicano alle società non quotate, direttamente controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze».
7.2.2.– Quanto all’art. 71, comma 1, la Regione espone che scopo della norma, nel prevedere il conguaglio dovuto dalle imprese accreditate con il SSN attraverso prestazioni sanitarie extrabudget è quello di ridurre la mole del contenzioso tra aziende sanitarie, soccombenti nella maggior parte dei casi, e imprese accreditate durante la contemporanea vigenza della normativa statale (art. 4, comma 5-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77) e di quella regionale (art. 5, comma 15, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2020), consentendo alle strutture erogatrici di continuare a rendere, senza soluzione di continuità nel settennio indicato, prestazioni sanitarie, così sopperendo alle necessità dell’utenza.
L’indennità di funzione, anche ove già erogata, non avrebbe determinato alcun aggravio di spesa dal momento che il maggior costo sostenuto nel 2020 sarebbe stato assorbito nel settennio per venire incontro ai bisogni degli utenti relativi ad una più ampia assistenza sanitaria, e coperto con il fondo contenzioso di ciascuna azienda. Non sussisterebbe, dunque, alcuna violazione degli artt. 81 e 117, primo comma, Cost. né lesione dell’ammontare globale delle prestazioni erogate o budget, trattandosi «di compensare, nel settennio, il valore globale che risulterebbe compatibile con quello indicato negli accordi».
L’art. 71 citato, in conclusione, per la difesa della Regione Siciliana risponderebbe ad una precisa scelta del legislatore regionale, quella di contenere i costi del contenzioso derivato dalle strutture private per il recupero delle somme dovute ai sensi dell’art. 5, comma 15, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2020.
7.2.3.– Quanto all’art. 83, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, espone la resistente, si tratterebbe di un intervento finanziario, attuato in materia di patrocinio legale ed oneri connessi, destinato a raccordarsi con la norma regionale vigente, di cui costituirebbe mera specificazione e alla quale provvederebbe a fornire copertura finanziaria.
Nel quadro normativo di riferimento, costituito dall’art. 39 della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 1980, n. 145 (Norme sull’organizzazione amministrativa e sul riassetto dello stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione regionale), e dall’art. 24 (rubricato «Patrocinio legale») della legge della Regione Siciliana 23 dicembre 2000, n. 30 (Norme sull’ordinamento degli enti locali), interpretativa della precedente e dettata su soggetti e termini applicativi del beneficio, quella impugnata varrebbe, allo stato, ad integrare la copertura di due processi civili per una spesa presunta di euro 268.000,00, e non violerebbe l’art. 81 Cost.
7.2.4.– Con specifico riguardo all’impugnazione degli artt. 71, comma 3, e 138 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, la Regione resistente non ha svolto difese.
8.– Con memoria depositata il 3 settembre 2024, la predetta Regione si è riportata alle precedenti difese ed ha insistito per la parziale cessazione della materia del contendere in riferimento al quarto motivo di ricorso, segnalando che con l’art. 32, comma 2, lettera b), della legge della Regione Siciliana 12 agosto 2024, n. 25 (Interventi finanziari urgenti), la disposizione impugnata, l’art. 83, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, è stata integrata in coerenza con le censure articolate dal ricorrente, stabilendo la sostituzione del comma 2, citato, con il seguente: «([p]er far fronte agli oneri di cui al presente comma è autorizzata, per l’esercizio finanziario 2024, la spesa di 262.640,00 euro, cui si provvede mediante incremento di pari importo a valere sulla disponibilità della Missione 9, Programma 4, Capitolo 242533».
Il legislatore regionale si sarebbe in tal modo premurato di indicare l’onere economico connesso alla nuova spesa, così da consentire la verifica di congruità della copertura, in adesione alla previsione di cui all’art. 81, terzo comma, Cost.
9.– Alla pubblica udienza del 24 settembre 2024, l’Avvocatura generale dello Stato e la difesa della Regione hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.
La difesa regionale, ai fini della parziale cessazione della materia del contendere, ha depositato nota dell’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità relativa alla mancata concreta applicazione dell’art. 83, comma 2, lettera b) (recte: art. 83, comma 2), della legge regionale impugnata nelle more dell’adozione della legge reg. Siciliana n. 25 del 2024.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto alcune disposizioni della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, distintamente indicate nel prosieguo.
Le censure del ricorrente si incentrano sulla ritenuta violazione del riparto costituzionale delle competenze tra Stato e regioni, in riferimento, in particolare, all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost., evocato sotto vari profili con riguardo alle diverse disposizioni regionali oggetto di impugnazione, nonché sul denunciato vulnus all’art. 81 Cost., in materia di copertura delle leggi di spesa.
2.– La prima questione ha ad oggetto l’art. 49 della richiamata legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, che, al fine di «fronteggiare i maggiori costi derivanti dall’esercizio delle funzioni rese», stabilisce un adeguamento delle tariffe per le prestazioni poste in essere dalle strutture adibite alla riabilitazione di alcune categorie di soggetti fragili (comma 1) e per quelle rese dai centri dialisi (comma 2). Gli aumenti sono previsti, rispettivamente, nella misura del 7 e del 2 per cento, in entrambi i casi «a valere sui fondi del servizio sanitario regionale». Le modalità attuative vengono demandate ad un decreto interassessoriale dell’assessore regionale per la salute e dell’assessore regionale per l’economia (comma 3).
Il ricorrente deduce la violazione degli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., «in materia di copertura di leggi di spesa e coordinamento della finanza pubblica». Le censure muovono dalla considerazione del piano operativo e della relativa cornice economico-finanziaria che assistono l’attuale situazione di rientro della Regione Siciliana dai disavanzi della spesa sanitaria. Si rileva nel ricorso che detta Regione, in quanto tuttora sottoposta al piano di rientro, «non può erogare livelli ulteriori di assistenza rispetto a quelli previsti dalla normativa statale», a norma dell’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009. Si richiama, altresì, l’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992, che prevede la remunerazione delle prestazioni, rese dalle strutture private accreditate, secondo il sistema delle tariffe massime, predefinite con provvedimento statale (adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome) e calcolate sulla base dei costi standard di produzione.
Nel quadro così richiamato, il ricorrente si duole della determinazione delle percentuali di aumento delle tariffe, di cui all’impugnata disposizione regionale, denunciando la mancanza di elementi informativi (con riguardo ai criteri di calcolo utilizzati per la quantificazione degli adeguamenti e alle relative “fonti-dati”) sufficienti a valutarne la correttezza sulla base dell’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992. Si richiamano, in particolare, le modalità di calcolo delle tariffe indicate dai commi 3 e 5 di quest’ultima disposizione, riconoscendo la possibilità che, in base a dette norme, le regioni stabiliscano «variazioni tariffarie» purché nel rispetto della «surrichiamata normativa specifica in materia tariffaria» e ferma restando «la garanzia dell’equilibrio economico finanziario dello stesso S.S.R.», vieppiù per le regioni, come quella Siciliana, che devono sottostare al piano di rientro.
2.1.– La questione è fondata.
2.1.1.– In via generale, deve ribadirsi che, come questa Corte ha ripetutamente sottolineato con riferimento alla spesa sanitaria, le regioni «sono chiamate a contribuire al raggiungimento di un ragionevole punto di equilibrio tra l’esigenza di assicurare (almeno) i livelli essenziali di assistenza e quella di garantire una più efficiente ed efficace spesa pubblica, anch’essa funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico del settore» (sentenza n. 76 del 2023, punto 6.1.4. del Considerato in diritto).
Al riguardo, assumono rilevanza i vincoli che discendono, per la regione che li abbia sottoscritti, dai piani di rientro dal deficit di bilancio in materia sanitaria (ex plurimis, sentenza n. 20 del 2023). Essi sono funzionali al mantenimento della spesa pubblica entro confini certi e predeterminati e, al tempo stesso, consentono comunque l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in favore degli utenti del servizio sanitario. La disciplina dei piani di rientro va, in definitiva, ricondotta, secondo la giurisprudenza di questa Corte, a «un duplice ambito di potestà legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.: tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 278 del 2014)» (sentenza n. 20 del 2023). Le previsioni dell’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009, che riguardano la disciplina dei piani di rientro, sono espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, per effetto del quale «la regione è quindi obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena realizzazione dei piani di rientro (sentenze n. 14 del 2017, n. 266 del 2016 e n. 278 del 2014)» (ancora, sentenza n. 20 del 2023).
2.1.2.– Venendo più specificamente alle odierne censure, è noto che la Regione Siciliana è attualmente sottoposta ai vincoli del piano di rientro dal disavanzo sanitario: di conseguenza, come più volte affermato da questa Corte, «nel suo bilancio non possono essere previste spese sanitarie ulteriori rispetto a quelle inerenti ai livelli essenziali» (da ultimo, sentenza n. 1 del 2024). Gli unici esborsi consentiti alla Regione sono quelli obbligatori derivanti dal soddisfacimento dei LEA, entro la cornice economico-finanziaria delineata appositamente dal piano di rientro (sentenza n. 172 del 2018). Non sono certamente tali quelli che derivano dall’adozione, da parte della regione, di tariffe sanitarie superiori a quelle di riferimento, come definite a livello nazionale secondo le procedure previste dall’art. 8-sexies, commi 3, 4 e 5, del d.lgs. n. 502 del 1992, ciò che è proprio quanto deriva dalle disposizioni regionali contestate.
2.1.3.– In proposito, la difesa regionale, senza smentire che le variazioni in aumento siano andate oltre i limiti derivanti dai valori nazionali di riferimento, ha dedotto che l’incremento delle tariffe troverebbe copertura nel piano di rientro, così dovendosi considerare superato il divieto di aggravamento delle spese di cui alla norma interposta evocata dal ricorrente (l’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009).
Si tratta, tuttavia, di un dato di fatto meramente allegato dalla Regione e rimasto privo di dimostrazione. La difesa erariale, anzi, lo ha specificamente contestato in pubblica udienza, sostenendo che nessuna previsione del piano di rientro ha contemplato la possibilità, per la Regione Siciliana, di aumentare le tariffe per le prestazioni assistenziali indicate dall’art. 49 della legge regionale in esame.
Deve quindi concludersi che la Regione è venuta meno al divieto di introdurre nuove spese incidenti sulle voci del proprio bilancio relative alla spesa sanitaria, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione alle norme interposte richiamate nel ricorso, con assorbimento delle altre censure.
3.– Il ricorrente ha poi impugnato l’art. 57, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in relazione agli artt. 1, comma 596, della legge n. 160 del 2019 e 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016, questi ultimi evocati quali «norme interposte».
La disposizione denunciata stabilisce che, nelle more dell’adozione del decreto ministeriale di cui al comma 6 dell’art. 11 del d.lgs. n. 175 del 2016, chiamato a fissare i compensi massimi degli amministratori e dei dipendenti delle società controllate, si applicano le disposizioni di cui al d.P.C.m. n. 143 del 2022.
Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta che in tal modo, oltre a non essere chiarito l’ambito soggettivo di applicazione della norma, si otterrebbe l’effetto di estendere l’applicabilità del menzionato regolamento governativo agli organi amministrativi delle società pubbliche sottoposte a vigilanza e/o controllo della Regione, in contrasto con la norma interposta evocata, l’art. 1, comma 596, della legge n. 160 del 2019, che espressamente esclude dette società dall’ambito di applicazione della disciplina regolamentare.
Anche il relativo regime transitorio sarebbe in contrasto con quello dettato dal legislatore statale con l’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016, che – nel fissare la disciplina da applicare per la determinazione dei compensi degli amministratori e dei dipendenti delle società partecipate, nelle more dell’adozione del decreto di cui al precedente comma 6 – richiama l’art. 4, comma 4, secondo periodo, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, e il d.m. n. 166 del 2013.
La difesa regionale pone l’accento sulla mancata adozione, da parte dello Stato, del decreto ministeriale previsto dall’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016 e afferma che, di conseguenza, il legislatore siciliano si sarebbe trovato «costretto» ad individuare, quale «mero parametro di riferimento» per la liquidazione dei compensi in questione, le previsioni del d.P.C.m. n. 143 del 2022 il quale costituisce «un provvedimento comunque statale».
Tale iniziativa risponderebbe a canoni di legittimità anche perché, secondo la Regione, non sussisterebbero i presupposti per l’applicabilità, alle società da essa partecipate, del d.m. n. 166 del 2013 (pur richiamato dall’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016), in ragione di quanto prevede l’art. 1, comma 1, della stessa fonte ministeriale.
3.1.– La questione è fondata.
3.1.1.– Preliminarmente, occorre chiarire che la disposizione impugnata, nel menzionare gli «enti di cui al comma 2 del citato articolo 11» del d.lgs. n. 175 del 2016, non può che riferirsi alle società sottoposte a controllo pubblico, atteso che l’art. 11, comma 2, in essa richiamato (il quale stabilisce che «L’organo amministrativo delle società a controllo pubblico è costituito, di norma, da un amministratore unico») riguarda proprio dette società.
3.1.2.– Entrando nel merito delle censure, va ribadito che, con riferimento alla disciplina delle società a partecipazione pubblica, come questa Corte ha chiarito, gli aspetti inerenti ai «compensi di amministratori, dirigenti e dipendenti, [al]la puntuale regolamentazione del conferimento e della pubblicità degli incarichi di consulenza, di collaborazione e degli incarichi professionali, [e al]le previsioni sul pagamento dei relativi compensi, attengono alla materia dell’“ordinamento civile”, di competenza esclusiva del legislatore statale» (sentenza n. 191 del 2017).
In tale quadro, sono da ricondurre alla predetta competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenza n. 153 del 2022) anche le previsioni, destinate ad applicarsi a regime, di cui all’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, le quali demandano al Ministro dell’economia e delle finanze l’adozione di un decreto contenente «indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce» per la classificazione delle società a controllo pubblico.
Pur nell’oggettivo intreccio con profili che coinvolgono la materia del coordinamento della finanza pubblica, questa Corte, nella prospettiva di un sindacato da condurre caso per caso in ragione dell’oggetto della disposizione sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale, ha infatti ritenuto prevalente la materia dell’ordinamento civile tutte le volte in cui la disciplina oggetto di esame, come accade per quella afferente ai predetti compensi, sia volta a regolare «aspetti eminentemente privatistici, connessi al rapporto negoziale che si instaura tra le società a controllo pubblico e un’ampia platea di soggetti», dovendosi far fronte all’esigenza di apprestare una disciplina uniforme a livello nazionale (sentenza n. 191 del 2017).
3.1.3.– Tanto premesso, nello scrutinio della disposizione siciliana impugnata, che richiama le previsioni del d.P.C.m. n. 143 del 2022 quanto alla fissazione dei compensi per gli amministratori e i dipendenti delle società partecipate, occorre riferirsi alla previsione statale, evocata nel ricorso, sulla base della quale esso è stato emanato. Si tratta dell’art. 1, comma 596, della legge n. 160 del 2019, che ai fini della determinazione dei compensi e dei gettoni di presenza per i componenti degli organi di amministrazione e di controllo «degli enti e organismi di cui al comma 590, escluse le società», rimanda, per l’appunto, a un «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». La disposizione si riferisce a tutte le pubbliche amministrazioni che concorrono a determinare la cosiddetta finanza pubblica allargata (individuabili attraverso il richiamo al comma 590, che a sua volta rinvia agli enti e agli organismi «di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ivi comprese le autorità indipendenti, con esclusione degli enti del Servizio sanitario nazionale»), con la significativa eccezione delle «società». Di conseguenza, in forza di detta espressa esclusione, agli organismi costituiti in forma societaria, per i quali l’elargizione dei compensi grava sulla finanza pubblica, non possono applicarsi le previsioni del d.P.C.m. n. 143 del 2022, che è stato emanato proprio in attuazione di quanto stabilito dall’art. 1, comma 596, della legge n. 160 del 2019. Del resto, e coerentemente, quel d.P.C.m. esclude dal proprio ambito di applicazione, tra gli altri, proprio «le società di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175» (art. 2, comma 2, lettera b).
3.1.4.– Né assume rilievo, sotto diverso (ma collegato) profilo, il fatto che il comma 602 dello stesso art. 1 della legge n. 160 del 2019 abbia escluso, per le regioni, l’applicabilità – tra le altre – della disposizione di cui al comma 596 (che è inserito in «un corpo normativo unitario e omogeneo diretto alle sole amministrazioni non territoriali»: sentenza n. 70 del 2021). Infatti, una volta che il legislatore regionale ha nondimeno ritenuto di prendere a parametro la disciplina dettata dal d.P.C.m. n. 143 del 2022, avrebbe dovuto pur sempre rispettare l’ambito di applicazione che la legge dello Stato riserva a tale fonte secondaria, e, quindi, non avrebbe potuto estenderla alle «società».
È fuor di dubbio che il predetto comma 596, nella parte in cui esclude espressamente l’applicazione per le società del d.P.C.m. chiamato a regolare i predetti compensi, attiene prevalentemente alla materia dell’ordinamento civile, delineando un limite, valido sia a regime, sia nel periodo transitorio, concernente la disciplina di tale specifico aspetto riferito al rapporto negoziale tra le medesime società e i soggetti che le amministrano. In altri temini, viene qui in rilievo non già la regola transitoria posta dall’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016 (come, peraltro, ritenuto dallo stesso ricorrente nella seconda parte del motivo di impugnazione in esame), bensì la diversa previsione di legge che, nel regolare un aspetto privatistico del rapporto di lavoro, esclude che alle società a partecipazione pubblica possa essere applicato il d.P.C.m. n. 143 del 2022, valido per gli altri soggetti pubblici. Corretta è, pertanto, l’impostazione del ricorso nella parte in cui censura la violazione, ad opera della disposizione in esame, della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’ordinamento civile.
3.1.5.– Né potrebbe qui farsi valere la clausola di salvaguardia di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 175 del 2016 (e nemmeno quella, analoga, di cui all’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, come convertito) la quale, come questa Corte ha di recente puntualizzato, pure può condurre – all’esito di un giudizio di compatibilità con gli statuti e le relative norme di attuazione, da condurre caso per caso – a concludere nel senso della non applicabilità, «nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano», delle disposizioni contenute nel testo unico stesso (sentenza n. 153 del 2022). Infatti, come precisato, il vincolo che, nel caso di specie, la Regione Siciliana ha infranto discende non dalle previsioni del testo unico sulle società partecipate, che sono assistite da quella clausola di salvaguardia, ma dall’art. 1, comma 596, della legge n. 160 del 2019, che esclude l’applicabilità del d.P.C.m. n. 143 del 2022 ai fini della determinazione dei compensi de quibus.
Questa Corte ha costantemente affermato che, con riguardo alla disciplina dei rapporti di lavoro pubblico e alla loro contrattualizzazione, le regole fissate dalla legge statale in materia «costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale» (da ultimo, ex plurimis, sentenze n. 84 del 2023 e n. 154 del 2019).
Ne consegue che l’art. 57, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024 ha violato il riparto delle competenze legislative, per aver esteso alle società pubbliche una disciplina regolamentare (quella dettata dal d.P.C.m. n. 143 del 2022) che la legge dello Stato, unica competente in materia, ha invece espressamente escluso. Va pertanto dichiarata la sua illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
4.– È poi impugnato l’art. 71, commi 1 e 3, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024 per violazione degli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992 e all’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009.
4.1.– Il comma 1 dell’art. 71 interviene a prorogare una disciplina che, inizialmente, era stata dettata per il solo periodo interessato dall’emergenza da COVID-19, stabilendo che la restituzione dell’acconto sul budget per l’anno 2020 – riconosciuto in favore di alcune strutture sanitarie specialistiche accreditate a titolo di «indennità di funzione» e oggetto di conguaglio mediante prestazioni rese extrabudget, secondo quanto era stato previsto dall’art. 5, comma 15, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2020 – possa estendersi per il settennio 2020-2026, oltre dunque il triennio 2020-2022 (indicato dalla precedente disposizione).
Il ricorrente lamenta che l’estensione temporale di tale disciplina, ormai sganciata dal contesto emergenziale della pandemia (durante il quale erano state adottate analoghe misure nazionali: è qui citato l’art. 4, commi 5-bis e 5-ter, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito), determinerebbe «una surrettizia remunerazione “pubblica” di prestazioni extrabudget», non consentita dall’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992. Ne deriverebbe un’inappropriata utilizzazione di risorse, altrimenti non riconoscibili, a carico del SSN, in contrasto anche con il piano di rientro dal disavanzo sanitario.
Si sottolinea nel ricorso il carattere vincolante del predetto piano per la Regione Siciliana, che non può erogare livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa statale. Le disposizioni del piano di rientro dal disavanzo sanitario, contenenti i vincoli che esprimono i principi di coordinamento della finanza pubblica e di contenimento della spesa statale, sarebbero volte a preservare l’equilibrio economico sanitario regionale, non potendosi ritenere ammissibile, pena altrimenti la violazione dell’art. 81 Cost., un incremento dei costi non quantificato come quello generato dalla norma censurata.
4.2.– Il comma 3 dell’art. 71 della legge regionale impugnata stabilisce quanto segue: «[a]l fine di sostenere il mantenimento degli standard strutturali e funzionali previsti dalla vigente normativa e garantire la compiuta erogazione dei relativi LEA, le Aziende sanitarie provinciali provvedono a riconoscere annualmente alle strutture RSA accreditate la parte fissa di spese connesse al personale dipendente e convenzionato contrattualizzato per struttura, in proporzione ai posti letto accreditati, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito del budget assegnato in sede di contrattualizzazione».
Il ricorrente denuncia il contrasto di questa disposizione con gli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992. La norma interposta evocata non consentirebbe la remunerazione di singoli fattori produttivi, e dei relativi costi, delle strutture accreditate con il SSR (nel caso di specie, come recita la norma, si tratta della «parte fissa di spese connesse al personale dipendente e convenzionato contrattualizzato per struttura, in proporzione ai posti letto accreditati»), ma stabilirebbe la remunerazione delle prestazioni erogate secondo l’ammontare globale predefinito, o budget, indicato negli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies della medesima fonte nazionale.
In ordine alle questioni promosse in riferimento all’art. 71 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, la Regione resistente ha svolto difese unicamente con riguardo a quella avente ad oggetto il comma 1.
In proposito, la Regione ha osservato che l’estensione temporale del meccanismo di conguaglio con prestazioni extrabudget, di cui all’art. 5, comma 15, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2020, varrebbe a contenere i costi del contenzioso instaurato dalle strutture accreditate nei confronti delle aziende sanitarie per il pagamento dell’indennità di funzione, quale prevista dalla norma regionale del 2020. Ciò, peraltro, non comporterebbe alcun incremento di spesa, in quanto i relativi costi sarebbero coperti con il «fondo contenzioso» di ciascuna azienda, e sarebbe anzi funzionale al soddisfacimento di una più ampia assistenza sanitaria per gli utenti.
4.3.– Con riguardo alla questione concernente il comma 1 dell’art. 71 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, occorre preliminarmente osservare che tale disposizione estende temporalmente l’applicazione del meccanismo di conguaglio stabilito, in precedenza, dall’art. 5, comma 15, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2020. In base a tale meccanismo, che interveniva in materia di prestazioni rese dalle strutture accreditate con il SSR, si consentiva a queste ultime di restituire l’anticipazione loro riconosciuta per l’anno 2020 (a titolo di «indennità di funzione» per il periodo della pandemia) mediante gli importi maturati come extrabudget, non liquidabile, nelle annualità successive.
Rispetto all’originaria durata triennale, tale meccanismo è stato esteso, dalla disposizione impugnata, al settennio 2020-2026. Viene, infatti, stabilito che la restituzione in favore del SSR di quanto ricevuto dalle strutture accreditate a titolo di anticipazione avvenga «esclusivamente mediante prestazioni extra-budget non liquidabili, in riferimento ad ogni singola annualità del detto settennio, con copertura, stante la natura transattiva della presente norma, nel fondo rischi per contenzioso di ciascuna Azienda, ove le somme non siano già state erogate».
Il previgente art. 5, comma 15, della citata legge regionale n. 9 del 2020 – al fine di garantire alle strutture accreditate un regolare flusso di cassa, destinato a finanziare le attività assistenziali con onere a carico del SSR e ad assolvere agli oneri di gestione funzionali alla continuità del servizio – prevedeva, a sua volta, che le strutture private accreditate, «per le mensilità oggetto della emergenza Covid-19», venissero «remunerate a partire dalla mensilità di marzo 2020, a titolo di “indennità di funzione”» secondo un importo «pari ad un dodicesimo del budget assegnato per il 2019» che, considerato «in acconto» su quello «assegnato o assegnando per il 2020», poteva essere oggetto di conguaglio con gli importi maturati «come extra-budget non liquidabile nel triennio 2020-2022».
Si trattava però di una norma che, entrata in vigore nel 2020 e, quindi, nel periodo dell’emergenza pandemica appena iniziata, si manteneva sulla scia di analoghe misure nazionali (art. 4, commi 5-bis e 5-ter, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito), che attribuivano alle regioni ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano il potere di riconoscere alle strutture accreditate, destinatarie di apposito budget per l’anno 2020 e che avessero sospeso le attività ordinarie, «un contributo una tantum legato all’emergenza in corso […] a ristoro dei soli costi fissi comunque sostenuti».
4.3.1.– Tanto premesso, la questione avente ad oggetto il comma 1 dell’art. 71 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024 è fondata.
4.3.2.– L’estensione, operata dalla disposizione impugnata, del termine di restituzione dell’anticipazione maturata nel 2020 oltre i limiti temporali della legislazione d’emergenza non rinviene più giustificazione nella necessità di arginare gli effetti del fenomeno pandemico rispetto alla gestione del SSR e comporta anzi, come denuncia il ricorrente, un inappropriato utilizzo di risorse sanitarie regionali «a copertura di prestazioni sanitarie delle strutture accreditate altrimenti non riconoscibili a carico del S.S.R.» perché destinato ad operare al di fuori del sistema del budget.
Secondo quanto stabilito dall’art. 8-sexies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 «[l]e strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell’ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento», dove “l’ammontare predefinito”, o budget, esaurisce la misura della prestazione erogabile.
Come ricordato da questa Corte, in tema di prestazioni extrabudget, l’osservanza del tetto di spesa sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile nei confronti dei soggetti operanti nel sistema, che costituisce la misura delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, nell’obiettivo di razionalizzazione della spesa pubblica e di raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario (sentenza n. 76 del 2023, punto 6.1.2. del Considerato in diritto; nello stesso senso, ex plurimis, anche Corte di cassazione, sezione terza civile, ordinanza 5 aprile 2024, n. 9100, che richiama, tra le altre, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 13 settembre 2021, n. 6264; e, più recentemente, in termini, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 18 aprile 2023, n. 3876).
Al contempo, il censurato meccanismo della legge siciliana, nel combinarsi della previgente disciplina regionale e di quella successiva impugnata, realizza una impropria “dilatazione” dei tempi di restituzione dell’anticipazione maturata dalle strutture accreditate nel 2020, secondo una logica, già censurata da questa Corte in altra recente occasione, improntata all’ampliamento della capacità di spesa della Regione Siciliana «la quale, anziché recuperare il disavanzo precedente, può così effettuare nuove spese prive di idonea copertura, provocando un peggioramento del già precario equilibrio finanziario, con conseguenze sui contribuenti presenti e futuri ai fini del ripristino del turbato equilibrio» (sentenza n. 120 del 2024, punto 6 del Considerato in diritto).
Va quindi condivisa l’ulteriore censura del ricorrente incentrata sulla vincolatività dei piani di rientro dal disavanzo sanitario, la quale, come sopra già rimarcato, costituisce «espressione del principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e del correlato principio di coordinamento della finanza pubblica, poiché esso è adottato per la prosecuzione del piano di rientro (sentenza n. 130 del 2020)» (sentenza n. 155 del 2023, punto 7 del Considerato in diritto; più recentemente, tra le altre, sentenza n. 1 del 2024).
Non spostano i termini della questione le difese della Regione resistente, che fanno leva sugli obiettivi – in tesi perseguiti dalla disposizione impugnata – di ampliamento delle prestazioni sanitarie e di composizione transattiva dei contenziosi insorti con le strutture accreditate. L’illegittimità costituzionale che affligge la disposizione denunciata attiene, infatti, non al risultato finale che essa persegue, ma ai mezzi impiegati, che si traducono, come detto, nel riconoscimento di prestazioni rese al di fuori del sistema del budget di spesa.
4.3.3.– Per quanto precede, le questioni di legittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 71 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024 sono fondate per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., restando assorbito l’ulteriore profilo di censura, attinente alla copertura di bilancio.
4.4.– La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento al comma 3 dell’art. 71 non è fondata.
Come dianzi precisato, la disposizione impugnata prevede che le aziende sanitarie provinciali riconoscano annualmente, in favore delle strutture RSA accreditate, la parte fissa delle spese per il personale dipendente «senza ulteriori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito del budget assegnato in sede di contrattualizzazione».
L’espressa previsione dell’osservanza del sistema del budget di spesa, quanto al costo del fattore produttivo ivi contemplato («nell’ambito del budget assegnato in sede di contrattualizzazione»), insieme alla garanzia dell’invarianza finanziaria («senza ulteriori oneri per la finanza pubblica»), sottraggono fondatezza al formulato rilievo di violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. e, al contempo, al denunciato vulnus all’art. 81 Cost., in quanto si esclude la possibilità di spese ulteriori rispetto a quelle già programmate.
5.– È poi impugnato l’art. 83, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024 che, per le spese legali «derivanti da procedimenti correlati alle funzioni […] di commissari straordinari e commissari liquidatori degli ATO» (come si legge nel ricorso), non prevede la quantificazione degli oneri assunti dalla Regione in favore dei propri dipendenti, non consentendo così di verificare la congruità della copertura finanziaria mediante le risorse disponibili indicate nella voce menzionata di bilancio.
Il ricorrente lamenta la violazione del vincolo di copertura finanziaria delle leggi di spesa, ai sensi dell’art. 81, terzo comma, Cost.
A propria difesa, la Regione resistente osserva che la previsione impugnata costituirebbe una mera specificazione di altra norma regionale ancora vigente. Viene richiamata la legge reg. Siciliana n. 145 del 1980 che, all’art. 39, riconosce ai dipendenti regionali l’assistenza legale mediante rimborso delle spese sostenute e, inoltre, la successiva legge regionale n. 30 del 2000 che, in via interpretativa, ha fissato l’ambito di applicabilità della precedente previsione.
5.1.– Successivamente all’instaurazione del presente giudizio, è stata approvata la legge reg. Siciliana n. 25 del 2024. Lo ius superveniens ha integrato la disposizione denunciata, in coerenza con le censure articolate nel ricorso, con la seguente previsione: «[p]er far fronte agli oneri di cui al presente comma è autorizzata, per l’esercizio finanziario 2024, la spesa di 262.640,00 euro, cui si provvede mediante incremento di pari importo a valere sulla disponibilità della Missione 9, Programma 4, Capitolo 242533» (art. 32, comma 2, lettera b).
Sussistono le condizioni che consentono di ritenere, per costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 109 del 2024, n. 223 e n. 80 del 2023, n. 222 e n. 92 del 2022), la piena soddisfazione delle ragioni fatte valere nel ricorso. Nonostante la disposizione censurata sia rimasta in vigore per oltre sei mesi, deve escludersi che essa abbia prodotto gli effetti lesivi paventati in ricorso, alla luce della dichiarazione dell’organo regionale competente per materia, non contestata da controparte.
Con la nota dell’11 settembre 2024, depositata alla pubblica udienza del 24 settembre 2024, infatti, l’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità ha attestato che «la norma originaria (l.r. n. 3/2024, art. 83, comma 2 lett. b) non ha avuto concreta applicazione, non essendo stati liquidati rimborsi spese ai soggetti e per le causali ivi indicate».
5.2.– Va, dunque, dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine all’impugnazione dell’art. 83, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024.
6.– Oggetto di censura, infine, è l’art. 138 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, per violazione degli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 11 del d.l. n. 35 del 2019, come convertito.
La disposizione denunciata stabilisce, al comma 1, che, «[a]l fine di garantire il funzionamento delle case della comunità e degli ospedali di comunità, in linea con gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), i limiti di spesa destinati al personale degli enti del servizio sanitario regionale sono arricchiti annualmente con un aumento del 15 per cento».
Il Presidente del Consiglio dei ministri richiama, preliminarmente, il potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale per gli anni 2025 e 2026, previsto dall’art. 1, comma 244, della legge n. 213 del 2023, che ha autorizzato un incremento della spesa per il personale. In tale contesto, la norma siciliana avrebbe stabilito un “arricchimento” delle categorie normate al di fuori dei limiti percentuali e delle condizionalità previste dalla legge statale, con contestuale ampliamento delle piante organiche del personale, in via autonoma rispetto a quanto stabilisce la normativa dello Stato di cui all’art. 11, comma 1, del d.l. n. 35 del 2019, come convertito. Osserva il ricorrente, in particolare, che quest’ultima disposizione, concernente il contenimento degli aumenti del costo del personale, ne prevede un incremento annuo ulteriormente rivedibile al rialzo a determinate condizioni, non contemplate dalla disposizione della Regione Siciliana. In definitiva, il legislatore regionale, discostandosi dalle previsioni della norma statale interposta, avrebbe esorbitato dalle proprie competenze, per non aver rispettato i principi di programmazione e contenimento della spesa pubblica quanto ai costi del personale.
6.1.– La questione non è fondata.
In linea con l’obiettivo del potenziamento dell’assistenza territoriale – la cui spesa, come fa notare il ricorrente, è stata incrementata, a livello nazionale, dall’art. 1, comma 244, della legge n. 213 del 2023, rispetto agli importi già autorizzati dall’art. 1, comma 274, della legge n. 234 del 2021 – l’impugnato art. 138, al comma 1, prevede un aumento del 15 per cento dei limiti di spesa destinati al personale degli enti del Servizio sanitario regionale.
Al successivo comma 2, la disposizione censurata aggiunge che, «[p]er le finalità di cui al comma 1, le piante organiche sono ampliate in conformità alla direttiva attuativa, prot. Servizio 1/n. 24514, dell’Assessorato regionale della salute - dipartimento per la pianificazione strategica e tenuto conto delle seguenti disposizioni: articolo 1, comma 268, lettera b), della legge 30 dicembre 2021, n. 234 e successive modificazioni; articolo 4, comma 9-septiesdecies, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2023, n. 14; articolo 13, comma 1-bis, del decreto-legge 30 marzo 2023, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2023, n. 56».
Una complessiva lettura dei due commi, che arricchiscono la disposizione impugnata attraverso un sistema di richiami alla legge nazionale, consente di escludere che sia prevista una deroga ai criteri di programmazione statale sul contenimento della spesa riferita all’aumento del costo del personale degli enti del Servizio sanitario regionale.
Tra le norme richiamate, infatti, vi è il comma 9-septiesdecies dell’art. 4 (rubricato «Proroga di termini in materia di salute») del d.l. n. 198 del 2022, come convertito. Quest’ultima disposizione, dopo aver previsto che «[l]e disposizioni di cui all’articolo 1, comma 268, lettera b), della legge 30 dicembre 2021, n. 234, si applicano, previo espletamento di apposita procedura selettiva e in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale, al personale dirigenziale e non dirigenziale sanitario, socio-sanitario, amministrativo, tecnico e professionale reclutato dagli enti del Servizio sanitario nazionale, anche con contratti di lavoro flessibile, anche qualora non più in servizio», richiama, espressamente, proprio il rispetto dei «limiti di spesa di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2019, n. 60».
La norma interposta di cui si denuncia la violazione, in ragione dell’indicato meccanismo di richiamo – che vale a tenere ferme anche le modalità di certificazione del parametro di spesa, derivante dai lavori del Tavolo di verifica degli adempimenti di cui all’art. 12 dell’Intesa 23 marzo 2005 (Intesa ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in attuazione dell’articolo 1, comma 173, della legge 30 dicembre 2004, n. 311), sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano – non subisce, dunque, alcuna deroga da parte della disposizione siciliana impugnata.
6.2.– Non è, pertanto, fondata la censura di illegittimità costituzionale riferita alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
7.– La piena relatio alla normativa statale, quanto ai livelli di spesa massima che non sono valicati, determina, poi, la non fondatezza altresì della censura inerente alla violazione dell’art. 81 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 49 della legge della Regione Siciliana 31 gennaio 2024, n. 3 (Disposizioni varie e finanziarie);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 71, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, promossa, in riferimento agli artt. 81 e 117, terzo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 138 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 81 e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 11 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35 (Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2019, n. 60, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2024
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA