Reg. ord. n. 133 del 2024 pubbl. su G.U. del 10/07/2024 n. 28
Ordinanza del Tribunale di Firenze del 24/05/2024
Tra: A. M.
Oggetto:
Reati e pene – Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Previsione che l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per i delitti previsti dall’ art. 336 cod. pen. (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e dall’art. 337 cod. pen. (Resistenza a un pubblico ufficiale), se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni – Irragionevolezza a fronte dell’applicabilità della causa di non punibilità in questione con riguardo ai reati di cui all’art. 338, primo comma, cod. pen. (Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti) e all’art. 143 cod. pen. militare di pace (Resistenza alla forza armata) e agli stessi delitti ex artt. 336 e 337 cod. pen. nell’ipotesi in cui il reato sia commesso nei confronti di un dirigente scolastico o di un membro del personale della scuola nonché nell’ipotesi in cui il reato sia commesso in danno di esercenti professioni sanitarie e sociosanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni.
- Codice penale, art. 131-bis, terzo comma.
- Costituzione, art. 3.
In subordine: Reati e pene – Circostanze aggravanti ex art. 339 cod. pen. - Previsione che le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, anche ove si tratti di manifestazioni di natura politica – Lesione della libertà di riunione e della libertà di manifestazione del pensiero – Disparità di trattamento in considerazione del fatto che circostanze analoghe non sono state previste con riguardo ad altri reati, quali i reati contro la persona e taluni reati dei pubblici ufficiali.
- Codice penale, art. 339.
- Costituzione, artt. 3, 17 e 21.
Norme impugnate:
codice penale
del
Num.
Art. 131
Co. 3
codice penale
del
Num.
Art. 339
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 17
Co.
Costituzione
Art. 21
Co.
Camera di Consiglio del 20 ottobre 2025 rel. PETITTI
Testo dell'ordinanza
N. 133 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 maggio 2024
Ordinanza del 24 maggio 2024 del Tribunale di Firenze nel
procedimento penale a carico di A. M..
Reati e pene - Esclusione della punibilita' per particolare tenuita'
del fatto - Previsione che l'offesa non puo' essere ritenuta di
particolare tenuita' quando si procede per i delitti previsti dagli
artt. 336 e 337 cod. pen., se il fatto e' commesso nei confronti di
un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o
agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie
funzioni.
- Codice penale, art. 131-bis, terzo comma.
In subordine: Reati e pene - Circostanze aggravanti ex art. 339 cod.
pen. - Previsione che le pene stabilite nei tre articoli precedenti
sono aumentate se la violenza o la minaccia e' commessa nel corso
di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, anche ove
si tratti di manifestazioni di natura politica.
- Codice penale, art. 339.
(GU n. 28 del 10-07-2024)
TRIBUNALE DI FIRENZE
Prima sezione penale
Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di M A nata a il res. in via ;
libera assente;
difesa dall'avv. di fiducia Giampaolo D'Eugenio del foro di
Napoli (nomina depositata il 20 luglio 2020);
imputata: per il reato previsto e punito dall'art. 337, 339
del codice penale in quanto, durante la manifestazione politica « »,
per opporsi a un atto del suo ufficio e\o servizio, segnatamente
l'azione di presidio per impedire l'accesso a causa del
raggiungimento della capienza massima, tentava a piu' riprese di
entrare e usava violenza nei confronti dell'Ag. in servizio presso la
Questura di , colpendolo piu' volte al torace, poi raggiungendolo con
uno schiaffo al volto. Commesso in , (imputazione cosi' corretta
all'udienza del 12 dicembre 2022);
Sentite le parti;
Premesso che:
con decreto del Gup del 14 settembre 2021 A M era rinviata a
giudizio davanti al Tribunale di Firenze per rispondere del reato di
resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 del codice penale,
aggravato ex art. 339 del codice penale (perche' commesso durante una
manifestazione), in ipotesi commesso il (data poi corretta in « »);
il processo si e' svolto nell'arco di piu' udienze, nel corso
delle quali sono stati sentiti la persona offesa (agente della
Polizia di Stato) e i testi (ispettore della Polizia di Stato), e ;
all'udienza del 22 gennaio 2024 il Pm e la parte civile
rassegnavano le rispettive conclusioni. Il Pm chiedeva la condanna
dell'imputato alla pena finale di mesi sei di reclusione; la parte
civile ha chiesto la condanna dell'imputata al risarcimento del danno
nella misura di 1.500 euro;
dopo un mero rinvio all'udienza del 22 aprile 2024 in
relazione alle condizioni di salute dell'imputata, all'udienza
odierna la difesa dell'imputata chiedeva l'assoluzione dell'imputata
ex art. 530, comma 1 del codice di procedura penale, l'applicazione
delle scriminanti ex art. 393-bis del codice penale e 59, comma 4 del
codice penale, in subordine il riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche in misura prevalente sull'aggravante e la
concessione dei doppi benefici di legge;
Rilevato che:
l'istruttoria svolta ha consentito di accertare i fatti
ascritti all'imputata e il richiesto elemento soggettivo;
quanto alla pronuncia nei confronti dell'imputata per il
reato contestatogli, pare pero' necessario il pronunciamento della
Corte costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale - per
violazione dell'articolo 3 della Costituzione - dell'art. 131-bis,
comma 3 del codice penale nella parte in cui prevede che l'offesa non
puo' essere ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per i
delitti previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale, se il
fatto e' commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica
sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria
nell'esercizio delle proprie funzioni; nonche', in subordine, in
ordine alla legittimita' costituzionale - per violazione degli
articoli 3, 17 e 21 della Costituzione - dell'art. 339 del codice
penale nella parte in cui prevede che le pene stabilite nei tre
articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia e'
commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al
pubblico, anche ove si tratti di manifestazioni di natura politica;
Cio' premesso,
Osserva
1. Il procedimento a quo. La rilevanza delle questioni
1.1 L'imputata e' accusata di avere - in data , durante la
manifestazione politica c.d. «della » - opposto resistenza ad un
pubblico ufficiale. l'Ag. della Polizia di Stato (Questura di
Firenze).
1.2 Dalle testimonianze della persona offesa e dell'ispettore e'
emerso che il citato giorno era in corso la manifestazione politica
c.d. «della »; gli agenti della Polizia di Stato - tra cui i due
testimoni - erano schierati all'esterno della sede in cui si svolgeva
l'evento per controllare gli accessi; ad un certo punto i dirigenti
davano istruzioni perche' non fossero piu' consentiti accessi alla
struttura, posto che era stata gia' raggiunta la capienza massima di
persone.
Gli operanti quindi - che erano in abiti civili, ma portavano
comunque legata al collo la propria placca distintiva, oltre ad un
pass con scritto «forze dell'ordine» - precludevano nuovi accessi,
sia avvalendosi di transenne, sia schierandosi fisicamente a braccia
aperte in modo da creare un cordone. Rimanevano cosi' fuori dalla
struttura circa 200-300 persone.
Tra queste vi era l'attuale imputata, che si rivolgeva
insistentemente all'agente chiedendo di poter entrare. Al diniego
della Polizia, che spiegava come non fosse possibile, la donna
toccava con un dito il torace del pubblico ufficiale; quest'ultimo le
intimava di smettere, ma lei continuava a toccarlo nello stesso modo,
chiedendo di poter entrare; l'agente allora le bloccava il polso; la
donna lo colpiva con uno schiaffo al volto, sempre pretendendo di
entrare.
Interveniva quindi l'ispettore che procedeva all'identificazione
dell'imputata.
Dopo l'identificazione, la donna tornava in coda nella speranza
di poter accedere alla struttura.
In base alla deposizione del teste , la M riusciva infine ad
accedere all'evento (entrambi si incontravano in seguito
all'interno).
1.3 La citata ricostruzione dei fatti non puo' essere messa in
dubbio in ragione delle deposizioni dei testi a difesa e .
Il primo si e' limitato a riportare il racconto fattogli
dall'imputata, circa il fatto che la stessa sarebbe stata spinta
addosso ad un poliziotto.
ha dichiarato di avere visto - nell'ambito della ressa presente
all'esterno della struttura - che la M , per effetto delle spinte
della folla, sul punto di cadere si era aggrappata ad una persona;
poi il teste la perdeva di vista.
Tali deposizioni - a fronte di dichiarazioni precise e puntuali
dei due testi di Polizia Giudiziaria - non valgono a confutare la
citata ricostruzione. In particolare, non e' possibile che la scena
riferita dai testi (nel caso del , de relato) sia la stessa scena
descritta dai pubblici ufficiali; il reiterato toccamento del torace
con un dito e lo schiaffo al volto, accompagnati dalla insistente
richiesta a voce di poter entrare, non sono infatti suscettibili di
essere confusi con il gesto di una persona che si aggrappi per non
cadere.
1.4 Sussiste quindi il fatto contestato. Risulta pero' piu'
corretto qualificarlo ai sensi dell'art. 336, comma 1 del codice
penale, avendo l'imputata commesso atti di violenza (lo schiaffo, non
potendo considerarsi violenza il semplice toccamento - pur molesto e
reiterato - del torace con un singolo dito) per costringere il
pubblico ufficiale a fare un atto contrario ai propri doveri (lasciar
entrare l'imputata nella struttura ove si svolgeva l'evento) o ad
omettere un atto dell'ufficio (impedire il passaggio di ulteriori
persone).
Non pare viceversa potersi ravvisare l'opposizione ad un atto
dell'ufficio.
La Corte di cassazione in tema di differenze tra le due figure
criminose di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale ha piu'
volte affermato che «quando la violenza o la minaccia dell'agente nei
confronti del pubblico ufficiale e' posta in essere durante il
compimento dell'atto d'ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai
sensi dell'art. 337 del codice penale, mentre si versa nell'ipotesi
di cui all'art. 336 del codice penale se la violenza o la minaccia e'
portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo a omettere un
atto del suo ufficio anteriormente all'inizio dell'esecuzione»
(cosi', tra le altre Cass. Sez. 6 - , n. 51961 del 02/10/2018 Rv.
274509 - 01). La distinzione risulta peraltro piu' sottile e delicata
allorche' l'atto dell'ufficio sia - come nel caso in esame -
un'attivita' di presidio, volta a mantenere inalterata la situazione.
In casi simili, pare si debba privilegiare il profilo del tentativo
dell'agente di modificare la situazione esistente in contrasto con la
citata attivita' di presidio.
1.5 Non possono trovare applicazione le invocate esimenti della
reazione ad atto arbitrario del pubblico ufficiale e della legittima
difesa, neppure in termini putativi.
E' infatti evidente come la condotta dell'agente - che, per
impedire che l'imputata continuasse a premere col dito sul suo
torace, mentre egli era impegnato nell'attivita' di presidio, le
bloccava il polso - fosse del tutto legittima e nient'affatto
arbitraria. La circostanza inoltre che la donna, nel colpire il
pubblico ufficiale, continuasse a pretendere di entrare, comprova
ulteriormente che lo schiaffo non costituisse la reazione ad un atto
arbitrario o un modo di difendersi dell'imputata, bensi' un atto di
violenza volto a costringere l'agente a consentirle l'accesso.
1.6 Sussiste la contestata circostanza aggravante di cui all'art.
339 del codice penale: la condotta violenta era infatti posta in
essere nel corso di una manifestazione in luogo aperto al pubblico.
Piu' precisamente, la manifestazione di natura politica era in
corso all'interno dell'ex stazione , polo congressuale cui chiunque a
determinate condizioni poteva accedere; trattavasi quindi di luogo
aperto al pubblico. La Corte di cassazione a Sezioni unite con la
sentenza 46595/2019 ha ribadito e chiarito che ai fini
dell'ordinamento penale «e' in luogo pubblico la riunione che si
tenga in un luogo in cui ogni persona puo' liberamente transitare e
trattenersi senza che occorra in via normale il permesso della
autorita' (ad es., piazza, strada); e' in luogo aperto al pubblico la
riunione che si tenga in luogo chiuso (ad es., cinema, teatro), ove
l'accesso, anche se subordinato ad apposito biglietto di ingresso, e'
consentito ad un numero indeterminato di persone; e', invece,
privata, la riunione che si tenga in luogo chiuso con la limitazione
dell'accesso a persone gia' nominativamente determinate» (punto 20
della motivazione).
La condotta violenta dell'imputata si e' invece svolta
all'esterno della struttura, nel piazzale circostante, e quindi in
luogo pubblico, ove peraltro vi era una moltitudine di persone (circa
200-300 secondo i testi di P.G.) che volevano partecipare all'evento
in senso stretto.
Si deve peraltro rilevare che la citata condotta violenta era
strettamente connessa sul piano finalistico alla manifestazione
politica in corso, posto che l'imputata la poneva in essere proprio
per partecipare alla manifestazione.
Con riguardo all'analoga locuzione «in occasione di
manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al
pubblico», in relazione al reato di danneggiamento la Corte di
cassazione ha ritenuto che «il nesso di derivazione tra la condotta
di danneggiamento e la manifestazione [...] puo' esprimersi sia
attraverso la rilevazione di una contiguita' logistica del luogo dove
si consuma il danneggiamento rispetto a quello dove si svolge la
manifestazione, sia attraverso la rilevazione di altre connessioni,
sicche' si ritengono comprese nell'area del penalmente rilevante
anche le condotte di danneggiamento che non si sarebbero verificate
se la manifestazione non ci fosse stata» (Cass. Sez. 2 - , Sentenza
n. 29588 del 04/04/2019 Rv. 277494 - 02).
Si deve dunque ritenere sussistente la contestata circostanza
aggravante.
1.7 Potrebbe trovare applicazione la causa di non punibilita' di
cui all'art. 131-bis del codice penale.
L'offesa sarebbe infatti di speciale tenuita'.
In proposito, si consideri che l'imputata, nata nel e quindi
all'epoca dei fatti, per come descritta sia dagli operanti sia dai
testi a difesa, e' donna di corporatura minuta (alta circa metri,
peso di circa kg). In base alla documentazione sanitaria prodotta,
inoltre, la stessa - in ragione di una patologia oncologica - era
stata sottoposta nel e nel giugno a piu' interventi chirurgici, cui
seguivano nella seconda meta' del terapia citostatica e radioterapia;
la terapia farmacologica proseguiva fino al . Era inoltre interessata
da ulteriori problematiche sanitarie (osteopenia vertebrale,
osteoporosi femorale dx, ipercolesterolemia, celiachia).
Alla luce del citato quadro generale, si deve ritenere che la
prestanza fisica della prevenuta all'epoca dei fatti fosse piuttosto
limitata e che quindi parimenti limitata fosse l'energia dispiegata
nel colpire l'operante. In effetti, quest'ultimo a seguito dello
schiaffo ricevuto non riportava alcun tipo di lesioni.
Inoltre la persona offesa agiva da sola, e non in concorso con
altre persone.
Sotto il profilo soggettivo, infine, ella agiva non per turbare
il regolare svolgimento della manifestazione in corso, bensi' al fine
di partecipare alla stessa.
Il comportamento dell'imputata non e' abituale. La stessa risulta
infatti del tutto incensurata.
I limiti edittali del reato ex art. 336, comma 1 del codice
penale (ma anche del reato ex art. 337 del codice penale, qualora si
optasse per tale diversa qualificazione) sono compatibili con
l'applicazione della causa di non punibilita' in questione, sia che
si abbia riguardo alla disciplina in vigore al momento del fatto
(massimo edittale non superiore a cinque anni, non dovendosi
considerare la circostanza aggravante ad effetto comune ex art. 339
del codice penale), sia che si abbia riguardo alla disciplina
attuale, come modificata dal decreto legislativo n. 150/2022 (minimo
edittale non superiore a due anni).
L'applicazione della causa di non punibilita' trova pero'
ostacolo nell'esclusione espressa prevista dall'art. 131-bis del
codice penale per le fattispecie di cui agli articoli 336, 337 e
341-bis del codice penale, quando il fatto e' commesso nei confronti
di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o
agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni,
nonche' per il delitto previsto dall'articolo 343 del codice penale.
Piu' precisamente, all'epoca dei fatti la preclusione era
prevista per i delitti di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis del
codice penale, quando il reato era commesso nei confronti di un
pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni; a seguito
delle modifiche apportate dal decreto-legge n. 130/2020 la
preclusione opera allorche' i citati delitti siano commessi nei
confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un
ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle
proprie funzioni. Pur a seguito di tale ultimo intervento normativa,
che ha limitato maggiormente l'ipotesi ostativa, nella fattispecie in
esame la causa di non punibilita' non puo' trovare applicazione: la
persona offesa era infatti un agente di pubblica sicurezza, nonche'
agente di polizia giudiziaria, nell'esercizio delle proprie funzioni.
1.8 Se viceversa fosse accolta la questione di legittimita'
costituzionale qui sollevata in via principale, sarebbe applicabile
l'indicata causa di non punibilita'.
1.9 Qualora fosse accolta la questione sollevata in via
subordinata, si dovrebbe escludere la citata circostanza aggravante
ex art. 339 del codice penale.
2. Non manifesta infondatezza della questione sollevata in via
principale
2.1 Questo giudice sospetta dell'illegittimita' costituzionale
dell'art. 131-bis 1, comma 3 del codice penale (nell'attuale versione
del citato articolo, a seguito della riorganizzazione operata dal
decreto legislativo n. 150/2022), per violazione dell'art. 3 della
Costituzione, nella parte in cui prevede che l'offesa non puo' essere
ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per i delitti
previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale, se il fatto e'
commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza
o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio
delle proprie funzioni.
2.2 Si ritiene opportuno premettere che la questione viene qui
sollevata in relazione alla ipotesi ostativa prevista dalla citata
norma sia con riguardo al delitto di cui all'art. 336 del codice
penale, sia con riguardo all'art. 337 del codice penale.
Si tratta infatti di due fattispecie di reato contigue, aventi
una struttura e un'oggettivita' giuridica molto simili, tra le quali
e' spesso difficile tracciare la linea discretiva. Si ritiene
pertanto che la qui auspicata pronuncia di illegittimita' debba
riguardare la citata previsione ostativa in relazione ad entrambe le
figure di reato, non essendovi motivo di distinguere tra le stesse.
2.3 La norma qui censurata pare violare l'art. 3 della
Costituzione sotto plurimi profili.
La Corte costituzionale e' gia' intervenuta piu' volte con
riguardo alla citata norma dell'art. 131-bis del codice penale.
In particolare, nella sentenza n. 30 del 2021 la Corte ha
affermato che «Per giurisprudenza costante, le cause di non
punibilita' costituiscono altrettante deroghe a norme penali
generali, sicche' la loro estensione comporta strutturalmente un
giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e
confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono da un lato la
norma generale e dall'altro la norma derogatoria, giudizio che
appartiene primariamente al legislatore (sentenze n. 156 del 2020, n.
140 del 2009 e n. 8 del 1996).
Da tale premessa discende che le scelte del legislatore relative
all'ampiezza applicativa della causa di non punibilita' di cui
all'art. 131-bis del codice penale sono sindacabili soltanto per
irragionevolezza manifesta (sentenze n. 156 del 2020 e n. 207 del
2017)».
La Corte ha poi ritenuto che «L'esclusione del titolo di reato di
cui all'art. 337 del codice penale dalla sfera applicativa
dell'esimente di tenuita' corrisponde(sse) quindi - secondo un
apprezzamento discrezionale non manifestamente irragionevole - alla
peculiare complessita' del bene giuridico protetto dalla norma
incriminatrice, peraltro rimarcata anche dalle Sezioni unite della
Corte di cassazione, laddove hanno osservato che il normale
funzionamento della pubblica amministrazione tutelato dall'art. 337
del codice penale va inteso "in senso ampio", poiche' include anche
"la sicurezza e la liberta' di determinazione" delle persone fisiche
che esercitano le pubbliche funzioni (sentenza 22 febbraio-24
settembre 2018, n. 40981)».
Sulla base di tali premesse la Corte ha concluso che «in presenza
di un fatto-reato intrinsecamente offensivo di un bene giuridico di
tale complessita', l'opzione legislativa di escludere la valutazione
giudiziale di particolare tenuita' dell'offesa» non fosse
manifestamente irragionevole.
La Corte ha infine ritenuto che i tertia comparationis all'epoca
indicati dai giudici remittenti non fossero idonei, in quanto
sprovvisti dell'omogeneita' necessaria a impostare il giudizio
comparativo.
2.4 Si intende qui sottoporre nuovamente alla Corte la questione
indicando diversi tertia - si spera sufficientemente omogenei - che
possano evidenziare la manifesta irragionevolezza della norma in
questione.
2.5 In primo luogo, l'esclusione dell'applicabilita' della causa
di non punibilita' con riguardo ai delitti ex art. 336 e 337 del
codice penale pare irragionevole nella misura in cui detta causa di
non punibilita' puo' viceversa trovare applicazione con riguardo al
reato di cui all'art. 338, comma 1 del codice penale.
2.5.1 Il delitto di violenza o minaccia ad un corpo politico,
amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti pare
costituire un termine di paragone omogeneo posto che e' disciplinato
nello stesso capo II del titolo secondo dedicato ai delitti dei
privati contro la pubblica amministrazione, subito dopo il reato di
violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e il reato di resistenza
a un pubblico ufficiale.
E' inoltre un reato con base violenta esattamente come i reati di
cui agli articoli 336 e 337 del codice penale.
La struttura del reato e' inoltre analoga, contemplando una
condotta di violenza o minaccia nei confronti di un corpo politico,
amministrativo o giudiziario o di singoli componenti o di una
rappresentanza dello stesso (o di una qualsiasi pubblica autorita'
costituita in collegio o dei suoi singoli componenti) al fine di
impedirne o turbarne comunque l'attivita', con una formulazione che
anche dal punto di vista lessicale risulta molto simile a quella
degli articoli 336 e 337 del codice penale.
Altresi' l'oggettivita' giuridica dei citati reati risulta la
medesima, essendo tutti i delitti in questione volti a tutelare un
bene giuridico complesso costituito dal regolare funzionamento della
pubblica amministrazione, «inteso in senso ampio, in quanto in esso
si ricomprende anche la sicurezza e la liberta' di determinazione e
di azione degli organi pubblici, mediante la protezione delle persone
fisiche che singolarmente o in collegio ne esercitano le funzioni o
ne adempiono i servizi, cosi' come previsto dagli articoli 336, 337 e
338 del codice penale» (Cass. Sez. Un. Sentenza n. 40981 del 2018).
E' poi sintomatico il fatto che l'art. 339 del codice penale
preveda le medesime circostanze aggravanti speciali (talune ad
effetto comune, altre ad effetto speciale) con riguardo ai tre reati
di cui agli articoli 336, 337 e 338 del codice penale.
2.5.2 A seguito delle modifiche normative apportate dal decreto
legislativo n. 150/2022, la causa di non punibilita' di cui all'art.
131-bis del codice penale puo' ora trovare applicazione per il reato
di cui all'art. 338 del codice penale: ai fini dell'applicabilita'
del citato istituto e' infatti ora richiesto che il minimo edittale
non sia superiore a due anni di pena detentiva, laddove in precedenza
rilevava il massimo edittale (che non doveva eccedere i cinque anni);
il delitto ex art. 338 del codice penale (sempreche' non ricorra la
circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 339, comma
2 del codice penale) soddisfa quindi il requisito ora previsto.
Il delitto di cui all'art. 338 del codice penale non figura
inoltre tra le ipotesi per le quali e' esclusa l'applicabilita' della
causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale.
Ne' pare possibile ritenere che la preclusione prevista con riguardo
ai reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale operi anche
con riguardo al delitto di cui all'art. 338 del codice penale sulla
base delle strette analogie sussistenti tra detti reati: si
tratterebbe infatti di un'applicazione analogica in malam partem, non
consentita in sede penale.
2.5.3 Si deve concludere quindi che allo stato la causa di non
punibilita' della particolare tenuita' del fatto possa applicarsi con
riguardo al reato ex art. 338 del codice penale, mentre e' preclusa
in relazione ai reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice
penale, allorche' gli stessi siano commessi nei confronti di un
ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente
di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni.
Alla luce delle analogie sopra evidenziate con riguardo ai reati
in questione, tale situazione normativa pare del tutto irragionevole,
tanto piu' ove si consideri che il delitto ex art. 338 del codice
penale si connota rispetto agli altri due delitti per una maggiore
gravita', come testimoniato dalla pena decisamente piu' severa per lo
stesso prevista (reclusione da uno a sette anni anziche' reclusione
da sei mesi a cinque anni, o addirittura reclusione fino a tre anni
nel caso dell'art. 336, comma 3 del codice penale) e dal fatto che
per il medesimo non e' praticabile neppure la messa alla prova (a
differenza che per i reati ex art. 336 e 337 del codice penale, per
il reato ex art. 338 del codice penale l'esercizio dell'azione penale
non puo' avvenire mediante decreto di citazione diretta a giudizio e
quindi non opera la previsione dell'art. 168-bis, comma 1 del codice
penale in relazione all'art. 550, comma 2 del codice di procedura
penale).
2.5.4 Ne' pare possibile sostenere che tale previsione sia
ragionevole in considerazione del fatto che l'applicazione della
causa di non punibilita' in esame e' preclusa con riguardo ai reati
ex articoli 336 e 337 del codice penale solo allorche' gli stessi
siano commessi nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica
sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria
nell'esercizio delle proprie funzioni.
Quanto all'esercizio attuale delle funzioni, si tratta di un dato
che puo' ricorrere anche nell'ambito della fattispecie di cui
all'art. 338 del codice penale.
Quanto alle qualifiche soggettive di ufficiale o agente di
pubblica sicurezza o di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, si
tratta di elementi che nell'economia delle fattispecie di cui agli
articoli 336 e 337 del codice penale hanno una valenza marginale, non
assumendo nell'ambito dei citati articoli una rilevanza autonoma
espressa, neppure in termini di elemento circostanziale della
fattispecie.
Inoltre, in talune ipotesi il corpo o la pubblica autorita'
collegiale destinataria della violenza o minaccia ai sensi dell'art.
338 del codice penale potrebbe avere tra i propri componenti un
ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente
di polizia giudiziaria, come ad es. il prefetto, il questore o il
sindaco.
Del resto, ulteriore conferma del fatto che la disparita' di
trattamento tra i reati ex articoli 336, 337 e 338 non trovi la
propria giustificazione nelle citate qualifiche soggettive (di
ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di ufficiale o agente di
polizia giudiziaria) si ricava indirettamente dal fatto che la causa
di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale non puo' trovare
applicazione neppure rispetto alla figura criminosa dell'oltraggio a
magistrato in udienza di cui all'art. 343 del codice penale. In tale
reato le qualifiche soggettive di ufficiale o agente di pubblica
sicurezza o di ufficiale o agente di polizia giudiziaria non
rilevano, posto che soggetto passivo del reato e' il magistrato (in
udienza). Ebbene, la causa di non punibilita' puo' trovare
applicazione rispetto alla violenza o minaccia ad un corpo
giudiziario (ad es. il Tribunale collegiale, anche dopo la lettura
della sentenza: cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 16487 del 04/02/2020
Rv. 278890 - 01), ma del tutto irragionevolmente non puo' applicarsi
all'oltraggio al magistrato in udienza, fattispecie posta a tutela di
bene giuridico analogo ma chiaramente di minor gravita'.
2.6 Un secondo tertium comparationis che si intende offrire alla
valutazione della Corte e' costituito dal delitto di resistenza alla
forza armata di cui all'art. 143 del codice penale militare di pace,
ai sensi del cui primo comma «Il militare, che usa violenza o
minaccia per opporsi alla forza armata militare, mentre questa
adempie i suoi doveri, e' punito con la reclusione militare da sei
mesi a cinque anni.»
2.6.1 La struttura del reato in questione e' del tutto analoga a
quella del reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 del
codice penale («Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un
pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre
compie un atto di ufficio o di servizio»).
Il discrimine e' costituito dalla qualita' soggettiva
dell'agente: «chiunque» nel delitto ex art. 337 del codice penale,
«il militare» nel reato ex art. 143 del codice penale militare di
pace. Inoltre, soggetto passivo della condotta di cui a quest'ultimo
reato e' necessariamente un appartenente alla «forza armata
militare»; a tale riguardo, occorre pero' rilevare che nel concetto
di «forza armata militare», rientrano anche i militari impegnati su
richiesta dell'autorita' di pubblica sicurezza in servizi di ordine
pubblico o i normali carabinieri impegnati nei servizi propri
dell'Arma; potrebbe dunque trattarsi di soggetti che rivestono la
qualifica non solo di pubblico ufficiale, ma altresi' di ufficiale o
agente di pubblica sicurezza o di ufficiale o agente di polizia
giudiziaria.
Analogo e' anche il bene giuridico tutelato, ovvero l'interesse a
garantire il regolare svolgimento dei compiti affidati alla forza
armata a fronte di ingerenze violente o minacciose poste in essere da
soggetti appartenenti anch'essi alle forze armate.
2.6.2 Per il reato di resistenza alla forza armata di cui
all'art. 143 del codice penale militare di pace risulta applicabile
la causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale.
La Corte di cassazione ha affermato espressamente che «l'istituto
della non punibilita' per particolare tenuita', introdotto all'art.
131-bis del codice penale dall'art. 1 del decreto legislativo 16
marzo 2015, n. 28, e' applicabile ai reati militari» (Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 30694 del 05/06/2017 Rv. 270845 - 01, richiamata anche da
Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17503 del 2023). Nello stesso senso,
implicitamente, si sono espresse anche altre sentenze della Corte di
cassazione, che presuppongono necessariamente l'applicabilita' di
detto istituto ai reati militari (si vedano ad es. Cass. Sez. 1, n.
459 del 02/12/2020 Rv. 280226 - 01 e Cass. Sez. 1, n. 38664 del 2023.
Ne' pare potersi sostenere che la preclusione prevista per il
reato di cui all'art. 337 del codice penale si estenda anche al
delitto di cui all'art. 143 del codice penale militare di pace
(allorche' soggetto passivo sia un ufficiale o agente di pubblica
sicurezza o un ufficiale o agente di polizia giudiziaria), in ragione
delle analogie sussistenti tra i due reati: a fronte di un'esclusione
espressa per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341-bis, si
tratterebbe infatti di un'indebita applicazione analogica di una
norma eccezionale e in malam partem.
2.6.3 La causa di non punibilita' della particolare tenuita' del
fatto puo' dunque applicarsi al reato ex art. 143 del codice penale
militare di pace (pur quando lo stesso sia commesso nei confronti di
un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o
agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni),
mentre non puo' operare in relazione ai reati di cui agli articoli
336 e 337 del codice penale (allorche' gli stessi siano commessi nei
confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un
ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle
proprie funzioni).
Considerate le analogie tra reato comune e reato militare, tale
diverso trattamento pare irragionevole, tanto piu' ove si consideri
che il reato militare e' semmai connotato da maggior gravita' in
quanto commesso da un militare (e quindi da soggetto da cui ci si
attende maggior disciplina, che ha normalmente la disponibilita' -
anche se non immediata - di un'arma, che appartiene ad un corpo di
cui puo' compromettere il prestigio, ecc.).
2.6.4 La Corte costituzionale in numerose pronunce ha dichiarato
costituzionalmente illegittime norme dalle quali discendeva per il
militare un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto a quello
riservato al comune cittadino (la sentenza 244 del 2022 ha ripercorso
tale copiosa giurisprudenza); in altre occasioni la Corte ha invece
ritenuto non irragionevole la differenza di trattamento sanzionatorio
tra reati comuni e militari giustificata da particolari esigenze.
Se «in linea di principio, una differenza di trattamento
sanzionatorio tra reati militari e corrispondenti reati comuni viola
l'art. 3 della Costituzione allorche' essa non appaia sorretta da
alcuna ragionevole giustificazione, stante la sostanziale identita'
della condotta punita, dell'elemento soggettivo e del bene giuridico
tutelato» (sentenza 244 del 2022), si deve allora ritenere che tale
principio comporti - in difetto di una valida giustificazione - anche
l'illegittimita' di previsioni dalle quali discenda per il comune
cittadino un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto a quello
riservato al militare, non potendo lo status di militare essere fonte
di privilegi al riguardo.
Del resto, nella sentenza n. 215 del 2017 la Corte costituzionale
ha escluso l'illegittimita' costituzionale del differente trattamento
sanzionatorio delle condotte di ingiuria poste in essere
rispettivamente dal militare (penalmente rilevanti ai sensi dell'art.
226 del codice penale militare di pace) e dal cittadino comune (che
ormai, a seguito dell'abrogazione dell'art. 594 del codice penale,
incorre nella sola sanzione pecuniaria civile), ponendo l'accento
sulla «peculiare posizione del cittadino che entra (attualmente per
propria scelta) nell'ordinamento militare, caratterizzato da
specifiche regole ed esigenze» e ritenendo non irragionevole imporre
al militare «una piu' rigorosa osservanza di regole di comportamento,
anche relative al comune senso civico».
Come si e' gia' evidenziato, il diverso e peggiore trattamento
riservato al comune cittadino (e quindi ad un soggetto che
normalmente non e' armato, che non appartiene ad un corpo di cui puo'
compromettere il prestigio e da cui e' ragionevole attendersi un
minor grado di disciplina rispetto al militare) con riguardo alla non
applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale in relazione ai
reati ex art. 336 e 337 del codice penale (commessi nei confronti di
un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o
agente di polizia giudiziaria) non pare supportato da una
giustificazione ragionevole.
2.7 Un ulteriore tertium comparationis e' costituito dagli stessi
delitti ex art. 336 e 337 del codice penale nell'ipotesi in cui il
reato sia commesso nei confronti di un dirigente scolastico o di un
membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o
ausiliario della scuola, nonche' nell'ipotesi in cui il reato sia
commesso in danno di esercenti professioni sanitarie e
socio-sanitarie nonche' di chiunque svolga attivita' ausiliarie di
cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di
dette professioni.
2.7.1 La prima ipotesi, a seguito delle modifiche apportate
dall'art. 5 della legge n. 25/2024, costituisce l'oggetto di una
nuova circostanza aggravante speciale disciplinata dall'art. 336,
comma 2 del codice penale (con riguardo al solo reato ex art. 336 del
codice penale), sempreche' il fatto sia commesso dal genitore
esercente la responsabilita' genitoriale o dal tutore dell'alunno.
Si tratta di una circostanza a effetto speciale («La pena e'
aumentata fino alla meta'»), come tale espressiva di un disvalore
penale notevolmente superiore, tale da giustificare il particolare
incremento della risposta punitiva e tutta una serie di effetti
consequenziali (rilevando le circostanze ad effetto speciale sulla
individuazione della pena ai fini di plurimi istituti di diritto
sostanziale e processuale: competenza, misure cautelari,
prescrizione, ecc.).
2.7.2 Qualora il soggetto attivo della condotta non rientri nella
previsione della nuova norma di cui all'art. 336, comma 2 del codice
penale (non sia cioe' genitore esercente la responsabilita'
genitoriale ne' tutore dell'alunno) oppure venga in esame il delitto
di resistenza a pubblico ufficiale, puo' comunque trovare
applicazione l'ulteriore nuova circostanza aggravante di cui all'art.
61 n. 11-novies del codice penale, prevista con riguardo ai «delitti
commessi con violenza o minaccia, in danno di un dirigente scolastico
o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo
tecnico o ausiliario della scuola, a causa o nell'esercizio delle
loro funzioni».
Tra i delitti commessi con violenza o minaccia rientra infatti
anche il delitto ex art. 336 del codice penale (come il delitto ex
art. 337 del codice penale). Ne' la citata qualifica soggettiva
specifica del soggetto passivo del reato e' elemento costitutivo del
delitto ex art. 336 del codice penale o del delitto ex art. 337 del
codice penale, per cui non si applica la clausola di riserva di cui
all'art. 61 del codice penale («quando non ne sono elementi
costitutivi o circostanze aggravanti speciali»).
2.7.3 Ebbene, rispetto al reato di violenza o minaccia a pubblico
ufficiale aggravato ai sensi del novellato art. 336, comma 2 del
codice penale e rispetto ai delitti di cui agli articoli 336 e 337
del codice penale aggravati ai sensi dell'art. 61 n. 11-novies del
codice penale e' applicabile la causa di non punibilita' ex art.
131-bis del codice penale, per quanto gli stessi siano espressione di
un disvalore ritenuto dallo stesso legislatore superiore rispetto a
quello della fattispecie base, tanto da rendere necessaria la
previsione di apposite circostanze aggravanti (e addirittura di una
circostanza speciale e ad effetto speciale, quale quella prevista
dall'art. 336, comma 2 del codice penale): la pena detentiva prevista
non e' infatti superiore nel minimo edittale a due anni; tali
fattispecie aggravate non rientrano del resto in alcuna delle ipotesi
escluse dall'ambito di applicabilita' della causa di non punibilita'.
2.7.4 Quest'ultima non puo' viceversa operare con riguardo alla
ipotesi in cui lo stesso reato sia commesso nei confronti di un
ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente
di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni, per
quanto si tratti di ipotesi molto simile, ma meno grave (il
legislatore non l'ha ritenuta meritevole di una circostanza
aggravante, neppure ad effetto comune).
2.7.5 Parimenti, nell'ipotesi in cui il reato ex art. 336 del
codice penale o 337 del codice penale sia commesso in danno di
esercenti professioni sanitarie e socio-sanitarie (nonche' di
chiunque svolga attivita' ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o
soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni), ricorre
la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 11-octies del codice
penale (introdotta dalla legge n. 113/2020).
Detta aggravante e' infatti applicabile con riguardo ai delitti
commessi con violenza o minaccia, tra i quali rientra anche il
delitto ex art. 336 del codice penale, come il delitto ex art. 337
del codice penale. Ne' la citata qualifica soggettiva specifica del
soggetto passivo del reato e' elemento costitutivo dei delitti ex
art. 336 e 337 del codice penale, per cui non si applica la clausola
di riserva di cui all'art. 61 del codice penale («quando non ne sono
elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali»).
Viceversa, con riguardo ai delitti ex art. 336 e 337 del codice
penale commessi in danno di un ufficiale o agente di pubblica
sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria non
ricorre alcuna circostanza aggravante, ne' comune ne' speciale, ne'
ad effetto comune ne' ad effetto speciale. In particolare, non puo'
trovare applicazione la circostanza di cui all'art. 61 n. 10 del
codice penale posto che il fatto che il reato sia commesso contro un
pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio,
nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio,
e' gia' elemento costitutivo dei citati reati.
2.7.6 Rispetto al reato di violenza o minaccia a pubblico
ufficiale (o di resistenza a pubblico ufficiale) aggravato ai sensi
del art. 61 n. 11-octies del codice penale e' applicabile la causa di
non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale: la pena detentiva
prevista non e' superiore nel minimo edittale a due anni; tale
fattispecie aggravata non rientra in alcuna delle ipotesi escluse
dall'ambito di applicabilita' della causa di non punibilita'.
La causa di non punibilita' in esame non puo' viceversa operare
con riguardo alla ipotesi in cui lo stesso reato sia commesso nei
confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un
ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle
proprie funzioni, per quanto si tratti di ipotesi molto simile, ma
meno grave (il legislatore non l'ha ritenuta meritevole di una
circostanza aggravante, neppure ad effetto comune).
2.7.7 Il quadro complessivo che risulta dall'insieme delle citate
disposizioni normative, frutto di interventi legislativi non
coordinati, risulta del tutto irragionevole.
3. Non manifesta infondatezza della questione sollevata in via
subordinata
3.1 In subordine, laddove si dovesse ritenere non fondata la
questione di legittimita' costituzionale sollevata in via principale,
si ritiene di sottoporre la questione circa la legittimita' dell'art.
339, comma 1 del codice penale nella parte in cui prevede che le pene
stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o
la minaccia e' commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico
o aperto al pubblico, anche ove si tratti di manifestazioni di natura
politica.
3.2 La circostanza aggravante qui censurata e' stata introdotta
nell'ordinamento con le modifiche apportate all'art. 339 del codice
penale dall'art. 7 del decreto-legge n. 53/2019 («Disposizioni
urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica»).
Il citato decreto-legge muoveva dalla dichiarata «straordinaria
necessita' ed urgenza di rafforzare le norme a garanzia del regolare
e pacifico svolgimento di manifestazioni in luogo pubblico e aperto
al pubblico».
Con lo stesso art. 7 del decreto-legge n. 53/20l9 tra l'altro era
prevista un'analoga circostanza aggravante per il reato di
interruzione di pubblico servizio ex art. 340 del codice penale e per
il reato di devastazione e saccheggio ex art. 419 del codice penale;
era inoltre rimodulato l'art. 635 del codice penale si' da prevedere
una fattispecie piu' severamente punita per l'ipotesi in cui il
danneggiamento fosse posto in essere «in occasione di manifestazioni
che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico».
Ulteriori inasprimenti sanzionatori in relazione a reati posti in
essere nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al
pubblico erano disposti dall'art. 6 del decreto-legge n. 53/2019. In
particolare, con la modifica dell'art. 5 della legge n. 152/1975, era
prevista una nuova aggravante (con la comminatoria di una pena
detentiva anziche' della sola pena pecuniaria) per chi faccia uso di
caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere
difficoltoso il riconoscimento della persona, in occasione di
manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al
pubblico; era inoltre previsto un nuovo reato in relazione all'uso
illegittimo - nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto
al pubblico - di razzi, petardi e simili (art. 5-bis della legge n.
152/1975).
3.3 In altre disposizioni dell'ordinamento, incriminatrici o
circostanziali, il termine «manifestazioni» e' accompagnato da
un'aggettivazione - spesso «sportive» - che ne delimita la portata:
e' il caso ad esempio dell'art. 61 n. 11-septies del codice penale,
dell'art. 583-quater del codice penale, dell'art. 635, comma 2, n. 4
del codice penale.
Nel caso in esame, viceversa, il termine «manifestazioni» non e'
ulteriormente specificato, per cui e' idoneo a ricomprendere
manifestazioni di vario genere: musicali, artistiche e, per quel che
piu' rileva, politiche.
3.5 Con la sentenza n. 119 del 1970 la Corte costituzionale ha
dichiarato illegittima - per violazione dell'art. 3 e dell'art. 40
della Costituzione - la norma dell'art. 635, comma 2, n. 2 del codice
penale, nella parte in cui prevedeva come circostanza aggravante, e
come causa di procedibilita' d'ufficio, del reato di danneggiamento
il fatto che tale reato fosse commesso da lavoratori in occasione di
uno sciopero o da datori di lavoro in occasione di serrata.
Nella motivazione della sentenza la Corte censurava in
particolare il fatto che la citata norma fosse in sostanza stata
dettata dal legislatore del 1930 per «colpire, sia pure in occasione
del danneggiamento, proprio lo sciopero in quanto tale»; inoltre la
citata norma era ritenuta discriminatoria a discapito dei lavoratori,
posto che in base alla stessa i lavoratori erano puniti piu'
severamente rispetto ad un eventuale terzo che nella stessa
situazione si rendesse autore di un danneggiamento.
3.6 Ad avviso di chi scrive, con la norma qui censurata - e con
le altre analoghe introdotte dal decreto-legge n. 53/2019 - si e'
determinata una situazione simile.
In sostanza, un reato - la violenza a pubblico ufficiale, la
resistenza a pubblico ufficiale, l'interruzione di pubblico servizio,
il danneggiamento - e' punito piu' severamente per il fatto di essere
stato posto in essere nel corso di una manifestazione in luogo
pubblico o aperto al pubblico. Tale aumento di pena, correlato al
compimento del reato nel corso della manifestazione, si traduce in
una punizione della stessa manifestazione - in violazione degli
articoli 17 e 21 della Costituzione, ai sensi dei quali la liberta'
di riunione e la liberta' di manifestazione del pensiero
costituiscono diritti fondamentali - nella misura in cui la
realizzazione del reato nel corso della manifestazione non comporta
di per se' una maggior offesa al bene giuridico tutelato.
L'interruzione del pubblico servizio e il danneggiamento - per
tali reati la violazione appare piu' evidente - non determinano una
maggior offesa al bene tutelato per il solo fatto di essere
realizzati in occasione di una manifestazione in luogo pubblico o
aperto al pubblico (addirittura per il danneggiamento la circostanza
che la condotta sia tenuta in occasione di dette manifestazioni
potrebbe rendere rilevante penalmente fatti che diversamente
potrebbero non esserlo, ove non avvenissero con le modalita' di cui
all'art. 635, comma 1 del codice penale e non avessero ad oggetto i
beni di cui all'art. 635, comma 2 del codice penale). Ma lo stesso
vale altresi' per i reati ex art. 336 e 337 del codice penale: il
normale funzionamento della pubblica amministrazione non pare leso
maggiormente per il fatto che le condotte incriminate ai citati
articoli siano tenute nel corso di manifestazioni pubbliche.
ln sostanza, il legislatore e' intervenuto sulla base di un
preconcetto, per il quale la riunione e la manifestazione del
pensiero in pubblico - anziche' essere diritti fondamentali e momenti
in cui si realizza la personalita' dell'individuo e si partecipa alla
vita collettiva del Paese - sono guardati con sospetto, quali fonti
di rischio per alcuni beni giuridici.
3.7 Anche il profilo discriminatorio, gia' censurato dalla Corte
nella sentenza n. 119 del 1970, pare riproporsi - sia pur in diversa
forma - nella disposizione qui censurata e nelle altre analoghe
introdotte col decreto-legge n. 53/2019.
Formalmente i reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice
penale - cosi' come i reati di danneggiamento e di interruzione di
pubblico servizio - possono essere commessi da «chiunque» (laddove,
nella norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 119 del 1970, soggetto attivo poteva essere solo il
lavoratore). Tuttavia, la discriminazione pare essere stata attuata
nell'individuazione dei reati in relazione ai quali sono state
formulate le nuove disposizioni che hanno inasprito il trattamento
sanzionatorio.
Le circostanze aggravanti non sono state previste in via
generale, con riguardo a tutti i reati, ma nella forma di circostanze
speciali relative a specifici reati, per i quali il legislatore,
avuto riguardo all'esperienza storica, e' intervenuto prendendo in
considerazione - quale soggetto attivo dei reati sopra indicati - il
partecipante alla manifestazione.
Emblematico in tal senso pare anche il fatto che circostanze
analoghe non siano state previste con riguardo ad altri reati, di cui
- avuto sempre riguardo all'esperienza storica - i manifestanti sono
stati talora vittime in occasione delle manifestazioni pubbliche e
non autori: si pensi ai reati contro la persona o a taluni reati dei
pubblici ufficiali.
La norma censurata pare violare quindi anche l'art. 3 della
Costituzione.
4. Possibilita' di un'interpretazione conforme
Tanto con riguardo alla richiesta in via principale, quanto con
riguardo alla questione subordinata, non risultano percorribili
interpretazioni conformi delle norme ora censurate, chiaro e univoco
essendo il dato letterale.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 ss. della legge n.
87/1953, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente
infondata,
Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale - per
violazione dell'articolo 3 della Costituzione - dell'art. 131-bis,
comma 3 del codice penale nella parte in cui prevede che l'offesa non
puo' essere ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per i
delitti previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale, se il
fatto e' commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica
sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria
nell'esercizio delle proprie funzioni;
nonche', in subordine,
Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale - per
violazione degli articoli 3, 17 e 21 della Costituzione - dell'art.
339 del codice penale nella parte in cui prevede che le pene
stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o
la minaccia e' commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico
o aperto al pubblico, anche ove si tratti di manifestazioni di natura
politica.
Sospende il giudizio in corso, ed i relativi termini di
prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale.
Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della
presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della
documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso.
Manda alla cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la
comunicazione ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo
processuale alla Corte costituzionale.
Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23, comma 4 della legge
n. 87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e
che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o
devono considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5 del codice di
procedura penale.
Firenze, 24 maggio 2024
Il Giudice: Attina'
Oggetto:
Reati e pene – Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Previsione che l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per i delitti previsti dall’ art. 336 cod. pen. (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e dall’art. 337 cod. pen. (Resistenza a un pubblico ufficiale), se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni – Irragionevolezza a fronte dell’applicabilità della causa di non punibilità in questione con riguardo ai reati di cui all’art. 338, primo comma, cod. pen. (Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti) e all’art. 143 cod. pen. militare di pace (Resistenza alla forza armata) e agli stessi delitti ex artt. 336 e 337 cod. pen. nell’ipotesi in cui il reato sia commesso nei confronti di un dirigente scolastico o di un membro del personale della scuola nonché nell’ipotesi in cui il reato sia commesso in danno di esercenti professioni sanitarie e sociosanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni.
- Codice penale, art. 131-bis, terzo comma.
- Costituzione, art. 3.
In subordine: Reati e pene – Circostanze aggravanti ex art. 339 cod. pen. - Previsione che le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, anche ove si tratti di manifestazioni di natura politica – Lesione della libertà di riunione e della libertà di manifestazione del pensiero – Disparità di trattamento in considerazione del fatto che circostanze analoghe non sono state previste con riguardo ad altri reati, quali i reati contro la persona e taluni reati dei pubblici ufficiali.
- Codice penale, art. 339.
- Costituzione, artt. 3, 17 e 21.
Norme impugnate:
codice penale del Num. Art. 131 Co. 3
codice penale del Num. Art. 339
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 17 Co.
Costituzione Art. 21 Co.
Camera di Consiglio del 20 ottobre 2025 rel. PETITTI
Testo dell'ordinanza
N. 133 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 maggio 2024 Ordinanza del 24 maggio 2024 del Tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di A. M.. Reati e pene - Esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto - Previsione che l'offesa non puo' essere ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per i delitti previsti dagli artt. 336 e 337 cod. pen., se il fatto e' commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni. - Codice penale, art. 131-bis, terzo comma. In subordine: Reati e pene - Circostanze aggravanti ex art. 339 cod. pen. - Previsione che le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia e' commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, anche ove si tratti di manifestazioni di natura politica. - Codice penale, art. 339. (GU n. 28 del 10-07-2024) TRIBUNALE DI FIRENZE Prima sezione penale Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di M A nata a il res. in via ; libera assente; difesa dall'avv. di fiducia Giampaolo D'Eugenio del foro di Napoli (nomina depositata il 20 luglio 2020); imputata: per il reato previsto e punito dall'art. 337, 339 del codice penale in quanto, durante la manifestazione politica « », per opporsi a un atto del suo ufficio e\o servizio, segnatamente l'azione di presidio per impedire l'accesso a causa del raggiungimento della capienza massima, tentava a piu' riprese di entrare e usava violenza nei confronti dell'Ag. in servizio presso la Questura di , colpendolo piu' volte al torace, poi raggiungendolo con uno schiaffo al volto. Commesso in , (imputazione cosi' corretta all'udienza del 12 dicembre 2022); Sentite le parti; Premesso che: con decreto del Gup del 14 settembre 2021 A M era rinviata a giudizio davanti al Tribunale di Firenze per rispondere del reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 del codice penale, aggravato ex art. 339 del codice penale (perche' commesso durante una manifestazione), in ipotesi commesso il (data poi corretta in « »); il processo si e' svolto nell'arco di piu' udienze, nel corso delle quali sono stati sentiti la persona offesa (agente della Polizia di Stato) e i testi (ispettore della Polizia di Stato), e ; all'udienza del 22 gennaio 2024 il Pm e la parte civile rassegnavano le rispettive conclusioni. Il Pm chiedeva la condanna dell'imputato alla pena finale di mesi sei di reclusione; la parte civile ha chiesto la condanna dell'imputata al risarcimento del danno nella misura di 1.500 euro; dopo un mero rinvio all'udienza del 22 aprile 2024 in relazione alle condizioni di salute dell'imputata, all'udienza odierna la difesa dell'imputata chiedeva l'assoluzione dell'imputata ex art. 530, comma 1 del codice di procedura penale, l'applicazione delle scriminanti ex art. 393-bis del codice penale e 59, comma 4 del codice penale, in subordine il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sull'aggravante e la concessione dei doppi benefici di legge; Rilevato che: l'istruttoria svolta ha consentito di accertare i fatti ascritti all'imputata e il richiesto elemento soggettivo; quanto alla pronuncia nei confronti dell'imputata per il reato contestatogli, pare pero' necessario il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale - per violazione dell'articolo 3 della Costituzione - dell'art. 131-bis, comma 3 del codice penale nella parte in cui prevede che l'offesa non puo' essere ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per i delitti previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale, se il fatto e' commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni; nonche', in subordine, in ordine alla legittimita' costituzionale - per violazione degli articoli 3, 17 e 21 della Costituzione - dell'art. 339 del codice penale nella parte in cui prevede che le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia e' commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, anche ove si tratti di manifestazioni di natura politica; Cio' premesso, Osserva 1. Il procedimento a quo. La rilevanza delle questioni 1.1 L'imputata e' accusata di avere - in data , durante la manifestazione politica c.d. «della » - opposto resistenza ad un pubblico ufficiale. l'Ag. della Polizia di Stato (Questura di Firenze). 1.2 Dalle testimonianze della persona offesa e dell'ispettore e' emerso che il citato giorno era in corso la manifestazione politica c.d. «della »; gli agenti della Polizia di Stato - tra cui i due testimoni - erano schierati all'esterno della sede in cui si svolgeva l'evento per controllare gli accessi; ad un certo punto i dirigenti davano istruzioni perche' non fossero piu' consentiti accessi alla struttura, posto che era stata gia' raggiunta la capienza massima di persone. Gli operanti quindi - che erano in abiti civili, ma portavano comunque legata al collo la propria placca distintiva, oltre ad un pass con scritto «forze dell'ordine» - precludevano nuovi accessi, sia avvalendosi di transenne, sia schierandosi fisicamente a braccia aperte in modo da creare un cordone. Rimanevano cosi' fuori dalla struttura circa 200-300 persone. Tra queste vi era l'attuale imputata, che si rivolgeva insistentemente all'agente chiedendo di poter entrare. Al diniego della Polizia, che spiegava come non fosse possibile, la donna toccava con un dito il torace del pubblico ufficiale; quest'ultimo le intimava di smettere, ma lei continuava a toccarlo nello stesso modo, chiedendo di poter entrare; l'agente allora le bloccava il polso; la donna lo colpiva con uno schiaffo al volto, sempre pretendendo di entrare. Interveniva quindi l'ispettore che procedeva all'identificazione dell'imputata. Dopo l'identificazione, la donna tornava in coda nella speranza di poter accedere alla struttura. In base alla deposizione del teste , la M riusciva infine ad accedere all'evento (entrambi si incontravano in seguito all'interno). 1.3 La citata ricostruzione dei fatti non puo' essere messa in dubbio in ragione delle deposizioni dei testi a difesa e . Il primo si e' limitato a riportare il racconto fattogli dall'imputata, circa il fatto che la stessa sarebbe stata spinta addosso ad un poliziotto. ha dichiarato di avere visto - nell'ambito della ressa presente all'esterno della struttura - che la M , per effetto delle spinte della folla, sul punto di cadere si era aggrappata ad una persona; poi il teste la perdeva di vista. Tali deposizioni - a fronte di dichiarazioni precise e puntuali dei due testi di Polizia Giudiziaria - non valgono a confutare la citata ricostruzione. In particolare, non e' possibile che la scena riferita dai testi (nel caso del , de relato) sia la stessa scena descritta dai pubblici ufficiali; il reiterato toccamento del torace con un dito e lo schiaffo al volto, accompagnati dalla insistente richiesta a voce di poter entrare, non sono infatti suscettibili di essere confusi con il gesto di una persona che si aggrappi per non cadere. 1.4 Sussiste quindi il fatto contestato. Risulta pero' piu' corretto qualificarlo ai sensi dell'art. 336, comma 1 del codice penale, avendo l'imputata commesso atti di violenza (lo schiaffo, non potendo considerarsi violenza il semplice toccamento - pur molesto e reiterato - del torace con un singolo dito) per costringere il pubblico ufficiale a fare un atto contrario ai propri doveri (lasciar entrare l'imputata nella struttura ove si svolgeva l'evento) o ad omettere un atto dell'ufficio (impedire il passaggio di ulteriori persone). Non pare viceversa potersi ravvisare l'opposizione ad un atto dell'ufficio. La Corte di cassazione in tema di differenze tra le due figure criminose di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale ha piu' volte affermato che «quando la violenza o la minaccia dell'agente nei confronti del pubblico ufficiale e' posta in essere durante il compimento dell'atto d'ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai sensi dell'art. 337 del codice penale, mentre si versa nell'ipotesi di cui all'art. 336 del codice penale se la violenza o la minaccia e' portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo a omettere un atto del suo ufficio anteriormente all'inizio dell'esecuzione» (cosi', tra le altre Cass. Sez. 6 - , n. 51961 del 02/10/2018 Rv. 274509 - 01). La distinzione risulta peraltro piu' sottile e delicata allorche' l'atto dell'ufficio sia - come nel caso in esame - un'attivita' di presidio, volta a mantenere inalterata la situazione. In casi simili, pare si debba privilegiare il profilo del tentativo dell'agente di modificare la situazione esistente in contrasto con la citata attivita' di presidio. 1.5 Non possono trovare applicazione le invocate esimenti della reazione ad atto arbitrario del pubblico ufficiale e della legittima difesa, neppure in termini putativi. E' infatti evidente come la condotta dell'agente - che, per impedire che l'imputata continuasse a premere col dito sul suo torace, mentre egli era impegnato nell'attivita' di presidio, le bloccava il polso - fosse del tutto legittima e nient'affatto arbitraria. La circostanza inoltre che la donna, nel colpire il pubblico ufficiale, continuasse a pretendere di entrare, comprova ulteriormente che lo schiaffo non costituisse la reazione ad un atto arbitrario o un modo di difendersi dell'imputata, bensi' un atto di violenza volto a costringere l'agente a consentirle l'accesso. 1.6 Sussiste la contestata circostanza aggravante di cui all'art. 339 del codice penale: la condotta violenta era infatti posta in essere nel corso di una manifestazione in luogo aperto al pubblico. Piu' precisamente, la manifestazione di natura politica era in corso all'interno dell'ex stazione , polo congressuale cui chiunque a determinate condizioni poteva accedere; trattavasi quindi di luogo aperto al pubblico. La Corte di cassazione a Sezioni unite con la sentenza 46595/2019 ha ribadito e chiarito che ai fini dell'ordinamento penale «e' in luogo pubblico la riunione che si tenga in un luogo in cui ogni persona puo' liberamente transitare e trattenersi senza che occorra in via normale il permesso della autorita' (ad es., piazza, strada); e' in luogo aperto al pubblico la riunione che si tenga in luogo chiuso (ad es., cinema, teatro), ove l'accesso, anche se subordinato ad apposito biglietto di ingresso, e' consentito ad un numero indeterminato di persone; e', invece, privata, la riunione che si tenga in luogo chiuso con la limitazione dell'accesso a persone gia' nominativamente determinate» (punto 20 della motivazione). La condotta violenta dell'imputata si e' invece svolta all'esterno della struttura, nel piazzale circostante, e quindi in luogo pubblico, ove peraltro vi era una moltitudine di persone (circa 200-300 secondo i testi di P.G.) che volevano partecipare all'evento in senso stretto. Si deve peraltro rilevare che la citata condotta violenta era strettamente connessa sul piano finalistico alla manifestazione politica in corso, posto che l'imputata la poneva in essere proprio per partecipare alla manifestazione. Con riguardo all'analoga locuzione «in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico», in relazione al reato di danneggiamento la Corte di cassazione ha ritenuto che «il nesso di derivazione tra la condotta di danneggiamento e la manifestazione [...] puo' esprimersi sia attraverso la rilevazione di una contiguita' logistica del luogo dove si consuma il danneggiamento rispetto a quello dove si svolge la manifestazione, sia attraverso la rilevazione di altre connessioni, sicche' si ritengono comprese nell'area del penalmente rilevante anche le condotte di danneggiamento che non si sarebbero verificate se la manifestazione non ci fosse stata» (Cass. Sez. 2 - , Sentenza n. 29588 del 04/04/2019 Rv. 277494 - 02). Si deve dunque ritenere sussistente la contestata circostanza aggravante. 1.7 Potrebbe trovare applicazione la causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale. L'offesa sarebbe infatti di speciale tenuita'. In proposito, si consideri che l'imputata, nata nel e quindi all'epoca dei fatti, per come descritta sia dagli operanti sia dai testi a difesa, e' donna di corporatura minuta (alta circa metri, peso di circa kg). In base alla documentazione sanitaria prodotta, inoltre, la stessa - in ragione di una patologia oncologica - era stata sottoposta nel e nel giugno a piu' interventi chirurgici, cui seguivano nella seconda meta' del terapia citostatica e radioterapia; la terapia farmacologica proseguiva fino al . Era inoltre interessata da ulteriori problematiche sanitarie (osteopenia vertebrale, osteoporosi femorale dx, ipercolesterolemia, celiachia). Alla luce del citato quadro generale, si deve ritenere che la prestanza fisica della prevenuta all'epoca dei fatti fosse piuttosto limitata e che quindi parimenti limitata fosse l'energia dispiegata nel colpire l'operante. In effetti, quest'ultimo a seguito dello schiaffo ricevuto non riportava alcun tipo di lesioni. Inoltre la persona offesa agiva da sola, e non in concorso con altre persone. Sotto il profilo soggettivo, infine, ella agiva non per turbare il regolare svolgimento della manifestazione in corso, bensi' al fine di partecipare alla stessa. Il comportamento dell'imputata non e' abituale. La stessa risulta infatti del tutto incensurata. I limiti edittali del reato ex art. 336, comma 1 del codice penale (ma anche del reato ex art. 337 del codice penale, qualora si optasse per tale diversa qualificazione) sono compatibili con l'applicazione della causa di non punibilita' in questione, sia che si abbia riguardo alla disciplina in vigore al momento del fatto (massimo edittale non superiore a cinque anni, non dovendosi considerare la circostanza aggravante ad effetto comune ex art. 339 del codice penale), sia che si abbia riguardo alla disciplina attuale, come modificata dal decreto legislativo n. 150/2022 (minimo edittale non superiore a due anni). L'applicazione della causa di non punibilita' trova pero' ostacolo nell'esclusione espressa prevista dall'art. 131-bis del codice penale per le fattispecie di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis del codice penale, quando il fatto e' commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni, nonche' per il delitto previsto dall'articolo 343 del codice penale. Piu' precisamente, all'epoca dei fatti la preclusione era prevista per i delitti di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis del codice penale, quando il reato era commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni; a seguito delle modifiche apportate dal decreto-legge n. 130/2020 la preclusione opera allorche' i citati delitti siano commessi nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni. Pur a seguito di tale ultimo intervento normativa, che ha limitato maggiormente l'ipotesi ostativa, nella fattispecie in esame la causa di non punibilita' non puo' trovare applicazione: la persona offesa era infatti un agente di pubblica sicurezza, nonche' agente di polizia giudiziaria, nell'esercizio delle proprie funzioni. 1.8 Se viceversa fosse accolta la questione di legittimita' costituzionale qui sollevata in via principale, sarebbe applicabile l'indicata causa di non punibilita'. 1.9 Qualora fosse accolta la questione sollevata in via subordinata, si dovrebbe escludere la citata circostanza aggravante ex art. 339 del codice penale. 2. Non manifesta infondatezza della questione sollevata in via principale 2.1 Questo giudice sospetta dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 131-bis 1, comma 3 del codice penale (nell'attuale versione del citato articolo, a seguito della riorganizzazione operata dal decreto legislativo n. 150/2022), per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede che l'offesa non puo' essere ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per i delitti previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale, se il fatto e' commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni. 2.2 Si ritiene opportuno premettere che la questione viene qui sollevata in relazione alla ipotesi ostativa prevista dalla citata norma sia con riguardo al delitto di cui all'art. 336 del codice penale, sia con riguardo all'art. 337 del codice penale. Si tratta infatti di due fattispecie di reato contigue, aventi una struttura e un'oggettivita' giuridica molto simili, tra le quali e' spesso difficile tracciare la linea discretiva. Si ritiene pertanto che la qui auspicata pronuncia di illegittimita' debba riguardare la citata previsione ostativa in relazione ad entrambe le figure di reato, non essendovi motivo di distinguere tra le stesse. 2.3 La norma qui censurata pare violare l'art. 3 della Costituzione sotto plurimi profili. La Corte costituzionale e' gia' intervenuta piu' volte con riguardo alla citata norma dell'art. 131-bis del codice penale. In particolare, nella sentenza n. 30 del 2021 la Corte ha affermato che «Per giurisprudenza costante, le cause di non punibilita' costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, sicche' la loro estensione comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono da un lato la norma generale e dall'altro la norma derogatoria, giudizio che appartiene primariamente al legislatore (sentenze n. 156 del 2020, n. 140 del 2009 e n. 8 del 1996). Da tale premessa discende che le scelte del legislatore relative all'ampiezza applicativa della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale sono sindacabili soltanto per irragionevolezza manifesta (sentenze n. 156 del 2020 e n. 207 del 2017)». La Corte ha poi ritenuto che «L'esclusione del titolo di reato di cui all'art. 337 del codice penale dalla sfera applicativa dell'esimente di tenuita' corrisponde(sse) quindi - secondo un apprezzamento discrezionale non manifestamente irragionevole - alla peculiare complessita' del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, peraltro rimarcata anche dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, laddove hanno osservato che il normale funzionamento della pubblica amministrazione tutelato dall'art. 337 del codice penale va inteso "in senso ampio", poiche' include anche "la sicurezza e la liberta' di determinazione" delle persone fisiche che esercitano le pubbliche funzioni (sentenza 22 febbraio-24 settembre 2018, n. 40981)». Sulla base di tali premesse la Corte ha concluso che «in presenza di un fatto-reato intrinsecamente offensivo di un bene giuridico di tale complessita', l'opzione legislativa di escludere la valutazione giudiziale di particolare tenuita' dell'offesa» non fosse manifestamente irragionevole. La Corte ha infine ritenuto che i tertia comparationis all'epoca indicati dai giudici remittenti non fossero idonei, in quanto sprovvisti dell'omogeneita' necessaria a impostare il giudizio comparativo. 2.4 Si intende qui sottoporre nuovamente alla Corte la questione indicando diversi tertia - si spera sufficientemente omogenei - che possano evidenziare la manifesta irragionevolezza della norma in questione. 2.5 In primo luogo, l'esclusione dell'applicabilita' della causa di non punibilita' con riguardo ai delitti ex art. 336 e 337 del codice penale pare irragionevole nella misura in cui detta causa di non punibilita' puo' viceversa trovare applicazione con riguardo al reato di cui all'art. 338, comma 1 del codice penale. 2.5.1 Il delitto di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti pare costituire un termine di paragone omogeneo posto che e' disciplinato nello stesso capo II del titolo secondo dedicato ai delitti dei privati contro la pubblica amministrazione, subito dopo il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e il reato di resistenza a un pubblico ufficiale. E' inoltre un reato con base violenta esattamente come i reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale. La struttura del reato e' inoltre analoga, contemplando una condotta di violenza o minaccia nei confronti di un corpo politico, amministrativo o giudiziario o di singoli componenti o di una rappresentanza dello stesso (o di una qualsiasi pubblica autorita' costituita in collegio o dei suoi singoli componenti) al fine di impedirne o turbarne comunque l'attivita', con una formulazione che anche dal punto di vista lessicale risulta molto simile a quella degli articoli 336 e 337 del codice penale. Altresi' l'oggettivita' giuridica dei citati reati risulta la medesima, essendo tutti i delitti in questione volti a tutelare un bene giuridico complesso costituito dal regolare funzionamento della pubblica amministrazione, «inteso in senso ampio, in quanto in esso si ricomprende anche la sicurezza e la liberta' di determinazione e di azione degli organi pubblici, mediante la protezione delle persone fisiche che singolarmente o in collegio ne esercitano le funzioni o ne adempiono i servizi, cosi' come previsto dagli articoli 336, 337 e 338 del codice penale» (Cass. Sez. Un. Sentenza n. 40981 del 2018). E' poi sintomatico il fatto che l'art. 339 del codice penale preveda le medesime circostanze aggravanti speciali (talune ad effetto comune, altre ad effetto speciale) con riguardo ai tre reati di cui agli articoli 336, 337 e 338 del codice penale. 2.5.2 A seguito delle modifiche normative apportate dal decreto legislativo n. 150/2022, la causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale puo' ora trovare applicazione per il reato di cui all'art. 338 del codice penale: ai fini dell'applicabilita' del citato istituto e' infatti ora richiesto che il minimo edittale non sia superiore a due anni di pena detentiva, laddove in precedenza rilevava il massimo edittale (che non doveva eccedere i cinque anni); il delitto ex art. 338 del codice penale (sempreche' non ricorra la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 339, comma 2 del codice penale) soddisfa quindi il requisito ora previsto. Il delitto di cui all'art. 338 del codice penale non figura inoltre tra le ipotesi per le quali e' esclusa l'applicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale. Ne' pare possibile ritenere che la preclusione prevista con riguardo ai reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale operi anche con riguardo al delitto di cui all'art. 338 del codice penale sulla base delle strette analogie sussistenti tra detti reati: si tratterebbe infatti di un'applicazione analogica in malam partem, non consentita in sede penale. 2.5.3 Si deve concludere quindi che allo stato la causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto possa applicarsi con riguardo al reato ex art. 338 del codice penale, mentre e' preclusa in relazione ai reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale, allorche' gli stessi siano commessi nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni. Alla luce delle analogie sopra evidenziate con riguardo ai reati in questione, tale situazione normativa pare del tutto irragionevole, tanto piu' ove si consideri che il delitto ex art. 338 del codice penale si connota rispetto agli altri due delitti per una maggiore gravita', come testimoniato dalla pena decisamente piu' severa per lo stesso prevista (reclusione da uno a sette anni anziche' reclusione da sei mesi a cinque anni, o addirittura reclusione fino a tre anni nel caso dell'art. 336, comma 3 del codice penale) e dal fatto che per il medesimo non e' praticabile neppure la messa alla prova (a differenza che per i reati ex art. 336 e 337 del codice penale, per il reato ex art. 338 del codice penale l'esercizio dell'azione penale non puo' avvenire mediante decreto di citazione diretta a giudizio e quindi non opera la previsione dell'art. 168-bis, comma 1 del codice penale in relazione all'art. 550, comma 2 del codice di procedura penale). 2.5.4 Ne' pare possibile sostenere che tale previsione sia ragionevole in considerazione del fatto che l'applicazione della causa di non punibilita' in esame e' preclusa con riguardo ai reati ex articoli 336 e 337 del codice penale solo allorche' gli stessi siano commessi nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni. Quanto all'esercizio attuale delle funzioni, si tratta di un dato che puo' ricorrere anche nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 338 del codice penale. Quanto alle qualifiche soggettive di ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, si tratta di elementi che nell'economia delle fattispecie di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale hanno una valenza marginale, non assumendo nell'ambito dei citati articoli una rilevanza autonoma espressa, neppure in termini di elemento circostanziale della fattispecie. Inoltre, in talune ipotesi il corpo o la pubblica autorita' collegiale destinataria della violenza o minaccia ai sensi dell'art. 338 del codice penale potrebbe avere tra i propri componenti un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, come ad es. il prefetto, il questore o il sindaco. Del resto, ulteriore conferma del fatto che la disparita' di trattamento tra i reati ex articoli 336, 337 e 338 non trovi la propria giustificazione nelle citate qualifiche soggettive (di ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di ufficiale o agente di polizia giudiziaria) si ricava indirettamente dal fatto che la causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale non puo' trovare applicazione neppure rispetto alla figura criminosa dell'oltraggio a magistrato in udienza di cui all'art. 343 del codice penale. In tale reato le qualifiche soggettive di ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di ufficiale o agente di polizia giudiziaria non rilevano, posto che soggetto passivo del reato e' il magistrato (in udienza). Ebbene, la causa di non punibilita' puo' trovare applicazione rispetto alla violenza o minaccia ad un corpo giudiziario (ad es. il Tribunale collegiale, anche dopo la lettura della sentenza: cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 16487 del 04/02/2020 Rv. 278890 - 01), ma del tutto irragionevolmente non puo' applicarsi all'oltraggio al magistrato in udienza, fattispecie posta a tutela di bene giuridico analogo ma chiaramente di minor gravita'. 2.6 Un secondo tertium comparationis che si intende offrire alla valutazione della Corte e' costituito dal delitto di resistenza alla forza armata di cui all'art. 143 del codice penale militare di pace, ai sensi del cui primo comma «Il militare, che usa violenza o minaccia per opporsi alla forza armata militare, mentre questa adempie i suoi doveri, e' punito con la reclusione militare da sei mesi a cinque anni.» 2.6.1 La struttura del reato in questione e' del tutto analoga a quella del reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 del codice penale («Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio»). Il discrimine e' costituito dalla qualita' soggettiva dell'agente: «chiunque» nel delitto ex art. 337 del codice penale, «il militare» nel reato ex art. 143 del codice penale militare di pace. Inoltre, soggetto passivo della condotta di cui a quest'ultimo reato e' necessariamente un appartenente alla «forza armata militare»; a tale riguardo, occorre pero' rilevare che nel concetto di «forza armata militare», rientrano anche i militari impegnati su richiesta dell'autorita' di pubblica sicurezza in servizi di ordine pubblico o i normali carabinieri impegnati nei servizi propri dell'Arma; potrebbe dunque trattarsi di soggetti che rivestono la qualifica non solo di pubblico ufficiale, ma altresi' di ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. Analogo e' anche il bene giuridico tutelato, ovvero l'interesse a garantire il regolare svolgimento dei compiti affidati alla forza armata a fronte di ingerenze violente o minacciose poste in essere da soggetti appartenenti anch'essi alle forze armate. 2.6.2 Per il reato di resistenza alla forza armata di cui all'art. 143 del codice penale militare di pace risulta applicabile la causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale. La Corte di cassazione ha affermato espressamente che «l'istituto della non punibilita' per particolare tenuita', introdotto all'art. 131-bis del codice penale dall'art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, e' applicabile ai reati militari» (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 30694 del 05/06/2017 Rv. 270845 - 01, richiamata anche da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17503 del 2023). Nello stesso senso, implicitamente, si sono espresse anche altre sentenze della Corte di cassazione, che presuppongono necessariamente l'applicabilita' di detto istituto ai reati militari (si vedano ad es. Cass. Sez. 1, n. 459 del 02/12/2020 Rv. 280226 - 01 e Cass. Sez. 1, n. 38664 del 2023. Ne' pare potersi sostenere che la preclusione prevista per il reato di cui all'art. 337 del codice penale si estenda anche al delitto di cui all'art. 143 del codice penale militare di pace (allorche' soggetto passivo sia un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o un ufficiale o agente di polizia giudiziaria), in ragione delle analogie sussistenti tra i due reati: a fronte di un'esclusione espressa per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341-bis, si tratterebbe infatti di un'indebita applicazione analogica di una norma eccezionale e in malam partem. 2.6.3 La causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto puo' dunque applicarsi al reato ex art. 143 del codice penale militare di pace (pur quando lo stesso sia commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni), mentre non puo' operare in relazione ai reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale (allorche' gli stessi siano commessi nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni). Considerate le analogie tra reato comune e reato militare, tale diverso trattamento pare irragionevole, tanto piu' ove si consideri che il reato militare e' semmai connotato da maggior gravita' in quanto commesso da un militare (e quindi da soggetto da cui ci si attende maggior disciplina, che ha normalmente la disponibilita' - anche se non immediata - di un'arma, che appartiene ad un corpo di cui puo' compromettere il prestigio, ecc.). 2.6.4 La Corte costituzionale in numerose pronunce ha dichiarato costituzionalmente illegittime norme dalle quali discendeva per il militare un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto a quello riservato al comune cittadino (la sentenza 244 del 2022 ha ripercorso tale copiosa giurisprudenza); in altre occasioni la Corte ha invece ritenuto non irragionevole la differenza di trattamento sanzionatorio tra reati comuni e militari giustificata da particolari esigenze. Se «in linea di principio, una differenza di trattamento sanzionatorio tra reati militari e corrispondenti reati comuni viola l'art. 3 della Costituzione allorche' essa non appaia sorretta da alcuna ragionevole giustificazione, stante la sostanziale identita' della condotta punita, dell'elemento soggettivo e del bene giuridico tutelato» (sentenza 244 del 2022), si deve allora ritenere che tale principio comporti - in difetto di una valida giustificazione - anche l'illegittimita' di previsioni dalle quali discenda per il comune cittadino un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto a quello riservato al militare, non potendo lo status di militare essere fonte di privilegi al riguardo. Del resto, nella sentenza n. 215 del 2017 la Corte costituzionale ha escluso l'illegittimita' costituzionale del differente trattamento sanzionatorio delle condotte di ingiuria poste in essere rispettivamente dal militare (penalmente rilevanti ai sensi dell'art. 226 del codice penale militare di pace) e dal cittadino comune (che ormai, a seguito dell'abrogazione dell'art. 594 del codice penale, incorre nella sola sanzione pecuniaria civile), ponendo l'accento sulla «peculiare posizione del cittadino che entra (attualmente per propria scelta) nell'ordinamento militare, caratterizzato da specifiche regole ed esigenze» e ritenendo non irragionevole imporre al militare «una piu' rigorosa osservanza di regole di comportamento, anche relative al comune senso civico». Come si e' gia' evidenziato, il diverso e peggiore trattamento riservato al comune cittadino (e quindi ad un soggetto che normalmente non e' armato, che non appartiene ad un corpo di cui puo' compromettere il prestigio e da cui e' ragionevole attendersi un minor grado di disciplina rispetto al militare) con riguardo alla non applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale in relazione ai reati ex art. 336 e 337 del codice penale (commessi nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria) non pare supportato da una giustificazione ragionevole. 2.7 Un ulteriore tertium comparationis e' costituito dagli stessi delitti ex art. 336 e 337 del codice penale nell'ipotesi in cui il reato sia commesso nei confronti di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola, nonche' nell'ipotesi in cui il reato sia commesso in danno di esercenti professioni sanitarie e socio-sanitarie nonche' di chiunque svolga attivita' ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni. 2.7.1 La prima ipotesi, a seguito delle modifiche apportate dall'art. 5 della legge n. 25/2024, costituisce l'oggetto di una nuova circostanza aggravante speciale disciplinata dall'art. 336, comma 2 del codice penale (con riguardo al solo reato ex art. 336 del codice penale), sempreche' il fatto sia commesso dal genitore esercente la responsabilita' genitoriale o dal tutore dell'alunno. Si tratta di una circostanza a effetto speciale («La pena e' aumentata fino alla meta'»), come tale espressiva di un disvalore penale notevolmente superiore, tale da giustificare il particolare incremento della risposta punitiva e tutta una serie di effetti consequenziali (rilevando le circostanze ad effetto speciale sulla individuazione della pena ai fini di plurimi istituti di diritto sostanziale e processuale: competenza, misure cautelari, prescrizione, ecc.). 2.7.2 Qualora il soggetto attivo della condotta non rientri nella previsione della nuova norma di cui all'art. 336, comma 2 del codice penale (non sia cioe' genitore esercente la responsabilita' genitoriale ne' tutore dell'alunno) oppure venga in esame il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, puo' comunque trovare applicazione l'ulteriore nuova circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 11-novies del codice penale, prevista con riguardo ai «delitti commessi con violenza o minaccia, in danno di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo tecnico o ausiliario della scuola, a causa o nell'esercizio delle loro funzioni». Tra i delitti commessi con violenza o minaccia rientra infatti anche il delitto ex art. 336 del codice penale (come il delitto ex art. 337 del codice penale). Ne' la citata qualifica soggettiva specifica del soggetto passivo del reato e' elemento costitutivo del delitto ex art. 336 del codice penale o del delitto ex art. 337 del codice penale, per cui non si applica la clausola di riserva di cui all'art. 61 del codice penale («quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali»). 2.7.3 Ebbene, rispetto al reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale aggravato ai sensi del novellato art. 336, comma 2 del codice penale e rispetto ai delitti di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale aggravati ai sensi dell'art. 61 n. 11-novies del codice penale e' applicabile la causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale, per quanto gli stessi siano espressione di un disvalore ritenuto dallo stesso legislatore superiore rispetto a quello della fattispecie base, tanto da rendere necessaria la previsione di apposite circostanze aggravanti (e addirittura di una circostanza speciale e ad effetto speciale, quale quella prevista dall'art. 336, comma 2 del codice penale): la pena detentiva prevista non e' infatti superiore nel minimo edittale a due anni; tali fattispecie aggravate non rientrano del resto in alcuna delle ipotesi escluse dall'ambito di applicabilita' della causa di non punibilita'. 2.7.4 Quest'ultima non puo' viceversa operare con riguardo alla ipotesi in cui lo stesso reato sia commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni, per quanto si tratti di ipotesi molto simile, ma meno grave (il legislatore non l'ha ritenuta meritevole di una circostanza aggravante, neppure ad effetto comune). 2.7.5 Parimenti, nell'ipotesi in cui il reato ex art. 336 del codice penale o 337 del codice penale sia commesso in danno di esercenti professioni sanitarie e socio-sanitarie (nonche' di chiunque svolga attivita' ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni), ricorre la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 11-octies del codice penale (introdotta dalla legge n. 113/2020). Detta aggravante e' infatti applicabile con riguardo ai delitti commessi con violenza o minaccia, tra i quali rientra anche il delitto ex art. 336 del codice penale, come il delitto ex art. 337 del codice penale. Ne' la citata qualifica soggettiva specifica del soggetto passivo del reato e' elemento costitutivo dei delitti ex art. 336 e 337 del codice penale, per cui non si applica la clausola di riserva di cui all'art. 61 del codice penale («quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali»). Viceversa, con riguardo ai delitti ex art. 336 e 337 del codice penale commessi in danno di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria non ricorre alcuna circostanza aggravante, ne' comune ne' speciale, ne' ad effetto comune ne' ad effetto speciale. In particolare, non puo' trovare applicazione la circostanza di cui all'art. 61 n. 10 del codice penale posto che il fatto che il reato sia commesso contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio, e' gia' elemento costitutivo dei citati reati. 2.7.6 Rispetto al reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale (o di resistenza a pubblico ufficiale) aggravato ai sensi del art. 61 n. 11-octies del codice penale e' applicabile la causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale: la pena detentiva prevista non e' superiore nel minimo edittale a due anni; tale fattispecie aggravata non rientra in alcuna delle ipotesi escluse dall'ambito di applicabilita' della causa di non punibilita'. La causa di non punibilita' in esame non puo' viceversa operare con riguardo alla ipotesi in cui lo stesso reato sia commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni, per quanto si tratti di ipotesi molto simile, ma meno grave (il legislatore non l'ha ritenuta meritevole di una circostanza aggravante, neppure ad effetto comune). 2.7.7 Il quadro complessivo che risulta dall'insieme delle citate disposizioni normative, frutto di interventi legislativi non coordinati, risulta del tutto irragionevole. 3. Non manifesta infondatezza della questione sollevata in via subordinata 3.1 In subordine, laddove si dovesse ritenere non fondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata in via principale, si ritiene di sottoporre la questione circa la legittimita' dell'art. 339, comma 1 del codice penale nella parte in cui prevede che le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia e' commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, anche ove si tratti di manifestazioni di natura politica. 3.2 La circostanza aggravante qui censurata e' stata introdotta nell'ordinamento con le modifiche apportate all'art. 339 del codice penale dall'art. 7 del decreto-legge n. 53/2019 («Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica»). Il citato decreto-legge muoveva dalla dichiarata «straordinaria necessita' ed urgenza di rafforzare le norme a garanzia del regolare e pacifico svolgimento di manifestazioni in luogo pubblico e aperto al pubblico». Con lo stesso art. 7 del decreto-legge n. 53/20l9 tra l'altro era prevista un'analoga circostanza aggravante per il reato di interruzione di pubblico servizio ex art. 340 del codice penale e per il reato di devastazione e saccheggio ex art. 419 del codice penale; era inoltre rimodulato l'art. 635 del codice penale si' da prevedere una fattispecie piu' severamente punita per l'ipotesi in cui il danneggiamento fosse posto in essere «in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico». Ulteriori inasprimenti sanzionatori in relazione a reati posti in essere nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico erano disposti dall'art. 6 del decreto-legge n. 53/2019. In particolare, con la modifica dell'art. 5 della legge n. 152/1975, era prevista una nuova aggravante (con la comminatoria di una pena detentiva anziche' della sola pena pecuniaria) per chi faccia uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico; era inoltre previsto un nuovo reato in relazione all'uso illegittimo - nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico - di razzi, petardi e simili (art. 5-bis della legge n. 152/1975). 3.3 In altre disposizioni dell'ordinamento, incriminatrici o circostanziali, il termine «manifestazioni» e' accompagnato da un'aggettivazione - spesso «sportive» - che ne delimita la portata: e' il caso ad esempio dell'art. 61 n. 11-septies del codice penale, dell'art. 583-quater del codice penale, dell'art. 635, comma 2, n. 4 del codice penale. Nel caso in esame, viceversa, il termine «manifestazioni» non e' ulteriormente specificato, per cui e' idoneo a ricomprendere manifestazioni di vario genere: musicali, artistiche e, per quel che piu' rileva, politiche. 3.5 Con la sentenza n. 119 del 1970 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima - per violazione dell'art. 3 e dell'art. 40 della Costituzione - la norma dell'art. 635, comma 2, n. 2 del codice penale, nella parte in cui prevedeva come circostanza aggravante, e come causa di procedibilita' d'ufficio, del reato di danneggiamento il fatto che tale reato fosse commesso da lavoratori in occasione di uno sciopero o da datori di lavoro in occasione di serrata. Nella motivazione della sentenza la Corte censurava in particolare il fatto che la citata norma fosse in sostanza stata dettata dal legislatore del 1930 per «colpire, sia pure in occasione del danneggiamento, proprio lo sciopero in quanto tale»; inoltre la citata norma era ritenuta discriminatoria a discapito dei lavoratori, posto che in base alla stessa i lavoratori erano puniti piu' severamente rispetto ad un eventuale terzo che nella stessa situazione si rendesse autore di un danneggiamento. 3.6 Ad avviso di chi scrive, con la norma qui censurata - e con le altre analoghe introdotte dal decreto-legge n. 53/2019 - si e' determinata una situazione simile. In sostanza, un reato - la violenza a pubblico ufficiale, la resistenza a pubblico ufficiale, l'interruzione di pubblico servizio, il danneggiamento - e' punito piu' severamente per il fatto di essere stato posto in essere nel corso di una manifestazione in luogo pubblico o aperto al pubblico. Tale aumento di pena, correlato al compimento del reato nel corso della manifestazione, si traduce in una punizione della stessa manifestazione - in violazione degli articoli 17 e 21 della Costituzione, ai sensi dei quali la liberta' di riunione e la liberta' di manifestazione del pensiero costituiscono diritti fondamentali - nella misura in cui la realizzazione del reato nel corso della manifestazione non comporta di per se' una maggior offesa al bene giuridico tutelato. L'interruzione del pubblico servizio e il danneggiamento - per tali reati la violazione appare piu' evidente - non determinano una maggior offesa al bene tutelato per il solo fatto di essere realizzati in occasione di una manifestazione in luogo pubblico o aperto al pubblico (addirittura per il danneggiamento la circostanza che la condotta sia tenuta in occasione di dette manifestazioni potrebbe rendere rilevante penalmente fatti che diversamente potrebbero non esserlo, ove non avvenissero con le modalita' di cui all'art. 635, comma 1 del codice penale e non avessero ad oggetto i beni di cui all'art. 635, comma 2 del codice penale). Ma lo stesso vale altresi' per i reati ex art. 336 e 337 del codice penale: il normale funzionamento della pubblica amministrazione non pare leso maggiormente per il fatto che le condotte incriminate ai citati articoli siano tenute nel corso di manifestazioni pubbliche. ln sostanza, il legislatore e' intervenuto sulla base di un preconcetto, per il quale la riunione e la manifestazione del pensiero in pubblico - anziche' essere diritti fondamentali e momenti in cui si realizza la personalita' dell'individuo e si partecipa alla vita collettiva del Paese - sono guardati con sospetto, quali fonti di rischio per alcuni beni giuridici. 3.7 Anche il profilo discriminatorio, gia' censurato dalla Corte nella sentenza n. 119 del 1970, pare riproporsi - sia pur in diversa forma - nella disposizione qui censurata e nelle altre analoghe introdotte col decreto-legge n. 53/2019. Formalmente i reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale - cosi' come i reati di danneggiamento e di interruzione di pubblico servizio - possono essere commessi da «chiunque» (laddove, nella norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 119 del 1970, soggetto attivo poteva essere solo il lavoratore). Tuttavia, la discriminazione pare essere stata attuata nell'individuazione dei reati in relazione ai quali sono state formulate le nuove disposizioni che hanno inasprito il trattamento sanzionatorio. Le circostanze aggravanti non sono state previste in via generale, con riguardo a tutti i reati, ma nella forma di circostanze speciali relative a specifici reati, per i quali il legislatore, avuto riguardo all'esperienza storica, e' intervenuto prendendo in considerazione - quale soggetto attivo dei reati sopra indicati - il partecipante alla manifestazione. Emblematico in tal senso pare anche il fatto che circostanze analoghe non siano state previste con riguardo ad altri reati, di cui - avuto sempre riguardo all'esperienza storica - i manifestanti sono stati talora vittime in occasione delle manifestazioni pubbliche e non autori: si pensi ai reati contro la persona o a taluni reati dei pubblici ufficiali. La norma censurata pare violare quindi anche l'art. 3 della Costituzione. 4. Possibilita' di un'interpretazione conforme Tanto con riguardo alla richiesta in via principale, quanto con riguardo alla questione subordinata, non risultano percorribili interpretazioni conformi delle norme ora censurate, chiaro e univoco essendo il dato letterale. P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 ss. della legge n. 87/1953, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata, Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale - per violazione dell'articolo 3 della Costituzione - dell'art. 131-bis, comma 3 del codice penale nella parte in cui prevede che l'offesa non puo' essere ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per i delitti previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale, se il fatto e' commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni; nonche', in subordine, Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale - per violazione degli articoli 3, 17 e 21 della Costituzione - dell'art. 339 del codice penale nella parte in cui prevede che le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia e' commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, anche ove si tratti di manifestazioni di natura politica. Sospende il giudizio in corso, ed i relativi termini di prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte costituzionale. Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23, comma 4 della legge n. 87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5 del codice di procedura penale. Firenze, 24 maggio 2024 Il Giudice: Attina'