Reg. ord. n. 177 del 2024 pubbl. su G.U. del 02/10/2024 n. 40
Ordinanza del Tribunale di Napoli del 06/06/2024
Tra: G.S.
Oggetto:
Procedimento penale - Misure cautelari - Allontanamento dalla casa familiare – Applicazione delle modalità di controllo previste dall'art. 275-bis cod. proc. pen. (cosiddetto braccialetto elettronico) qualora si proceda per determinati delitti (nella specie, delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi di cui all’art. 572 cod. pen.) - Previsione che, qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi - Mancata previsione che il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi “salvo che non le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto” – Denunciata obbligatorietà di un regime cautelare più gravoso – Irragionevolezza – Automatismo applicativo di un aggravamento tale da rendere inoperanti i criteri di proporzionalità e di adeguatezza, in contrasto con il principio di inviolabilità della libertà personale e con il principio della finalità rieducativa della pena, a fronte dell’attribuzione alla coercizione cautelare di tratti funzionali tipici della pena – Diversa e ingiustificata incidenza sull’indagato della “non fattibilità tecnica” del cosiddetto braccialetto elettronico, regolato dall’art. 275-bis cod. proc. pen. in riferimento agli arresti domiciliari.
Norme impugnate:
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 282
Co. 6
legge
del 24/11/2023
Num. 168
Art. 12
Co. 1
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 13
Co. 1
Costituzione
Art. 27
Co. 2
Udienza Pubblica del 4 novembre 2025 rel. LUCIANI
Testo dell'ordinanza
N. 177 ORDINANZA (Atto di promovimento) 06 giugno 2024
Ordinanza del 6 giugno 2024 del Tribunale di Napoli nel procedimento
penale a carico di G. S..
Procedimento penale - Misure cautelari - Allontanamento dalla casa
familiare - Applicazione delle modalita' di controllo elettronico
previste dall'art. 275-bis cod. proc. pen. qualora si proceda per
determinati delitti - Previsione che, qualora l'organo delegato per
l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica delle predette
modalita' di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche
congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi - Mancata
previsione che il giudice impone l'applicazione, anche congiunta,
di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi "salvo che non le
ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle
esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto".
- Codice di procedura penale, art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo,
come modificato dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 24
novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza
sulle donne e della violenza domestica).
(GU n. 40 del 02-10-2024)
TRIBUNALE DI NAPOLI
X Sezione - Collegio B
Riesame dei provvedimenti restrittivi
della liberta' personale e dei sequestri
Il Tribunale, nelle persone dei magistrati:
dott.ssa Alessandra Cantone - Presidente;
dott. Alfonso Scermino - giudice est.;
dott.ssa Raffaella de Majo - giudice,
riunito in Camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza
ex art. 23, legge n. 53/1987 nel giudizio di appello introdotto dal
pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Benevento,
in data 27 marzo 2024 avverso l'ordinanza emessa dal giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Benevento, in data 19
marzo 2024, con la quale veniva applicata nei confronti di S. G. la
misura cautelare del divieto di avvicinamento alla p.o. senza
applicazione dei dispositivi ex art. 275-bis del codice di procedura
penale;
esaminati gli atti trasmessi dall'autorita' giudiziaria
procedente;
sentita la difesa, in assenza del P.M., all'udienza camerale del
3 maggio 2024;
sciogliendo la riserva di cui al separato verbale;
Osserva
Par. 1) I fatti e l'oggetto del giudizio.
In data 8 marzo 2024 il pubblico ministero presso il Tribunale di
Benevento avanzava al GIP, in relazione a delitto ex art. 572, commi
1 e 2 del codice penale, richiesta di applicazione congiunta delle
misure cautelari di cui agli articoli 282-bis e 282-ter del codice di
procedura penale, con le modalita' di controllo di cui all'art.
275-bis del codice di procedura penale, nei confronti dell'indagato
S. G.
In particolare, osservava l'accusa pubblica, l'applicazione «del
solo allontanamento dalla casa familiare avrebbe consentito come
prescrizione solo quella del divieto di avvicinamento ai luoghi
abitualmente frequentati dalla p. o. ma non alla persona offesa
stessa», ragione per cui era «necessario il cumulo delle due misure».
Il giudice per le indagini preliminari, con ordinanza del 19
marzo 2024, riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza del
delitto di maltrattamenti in danno di moglie e figli ascritto al
prevenuto.
Applicava, tuttavia, la sola misura ex art. 282-ter del codice di
procedura penale del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente
frequentati dalle pp.oo. - M. N., S. P. ed il minore S. M. P. -,
osservando come la stessa fosse sufficiente ai fini preventivi ex
art. 274 lettera c) del codice di procedura penale in quanto «tale
presidio poteva da solo risultare idoneo ad evitare i contatti tra lo
Stefanelli ed il resto del nucleo familiare», «non apparendo
necessario disporre in aggiunta ulteriori misure cautelari come
richiesto dal P.M. procedente».
Inoltre il giudice per le indagini preliminari non disponeva
l'applicazione di alcun dispositivo ex art. 275-bis del codice di
procedura penale, come di contro richiesto dal pubblico ministero.
In data 20 marzo 2024 il pubblico ministero presentava al
Tribunale del riesame atto di appello ex art. 310 del codice di
procedura penale avverso la richiamata ordinanza.
Il pubblico ministero censurava la decisione del primo giudice
sotto piu' profili.
In prima battuta, il pubblico ministero - pg 2 dell'atto di
appello - lamentava come non fosse giustificata la mancata
applicazione della misura dell'allontanamento dalla casa familiare ex
art. 282-bis del codice di procedura penale in relazione ad una
vicenda di maltrattamenti posta in essere da un indagato che
conviveva con le pp.oo., tanto piu' che il giudice per le indagini
preliminari, nell'enucleare le esigenze cautelari, asseriva come
«l'aggressivita' e la pervicacia manifestata dall'indagato e' tale da
far ritenere pressoche' certo che egli, in assenza di interventi
cautelari, continuera' nella sua attivita' criminosa».
Il motivo di impugnazione era da ritenersi fondato.
Con riguardo alla scelta della misura da applicare il giudice per
le indagini preliminari non enunciava alcuna motivazione per la quale
non riteneva di accedere alla richiesta del pubblico ministero
relativamente all'applicazione della misura dell'allontanamento dalla
casa familiare.
Ebbene, fermo il vuoto motivazionale, il Tribunale del riesame
non poteva che condividere la prospettazione accusatoria secondo la
quale, nella specie, la misura andava concessa.
Ed invero, in vicende di maltrattamenti intrafamiliari, le
esigenze preventive da salvaguardare vanno soddisfatte mediante un
intervento che impedisca con ragionevole efficacia ogni contatto tra
l'indagato e le pp.oo.: il che, quando sussiste - come nel caso, cfr.
denuncia p. o. - una condizione di convivenza, non puo' che passare
per l'ordine di allontanamento dalla abitazione di famiglia, luogo in
cui l'indagato sistematicamente realizza gli abusi e i maltrattamenti
oggetto della vicenda cautelare.
A tal fine, pertanto, appare «tipicamente idoneo» lo strumento
dell'ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice di procedura
penale.
Laddove il presupposto della misura cautelare ex art. 282-bis e'
non solo la condizione di «attuale» coabitazione, quanto anche
l'esistenza di una situazione - nella specie ricorrente - per cui
all'interno di una relazione di contiguita' si manifestano condotte
in grado di minacciare l'incolumita' delle persone offese
(Fattispecie in tema di maltrattamenti in famiglia, Cassazione
penale, Sez. VI, 15 aprile 2010, n. 17788; in senso conforme alla
massima, v. Sez. VI, 4 febbraio 2008, n. 25607, [...], in C.E.D.
Cassazione, n. 240773).
Il divieto di avvicinamento, a ben vedere, puo' essere applicato
al posto dell'allontanamento dalla casa familiare - misure queste in
tendenziale «rapporto di alternativita'» - solo quando ricorra «il
presupposto negativo dell'assenza di una situazione di convivenza che
renda necessario prima di tutto allontanare l'autore del reato dalla
casa familiare» (Cassazione Pen. Sez. 5, sentenza n. 12503 del 2020).
Quando la convivenza esista, di contro, sara' la misura
dell'allontanamento (con le prescrizioni di cui si dira') a
soddisfare le esigenze cautelari da presidiare.
In seconda battuta, il pubblico ministero contestava (pg. 2 e 3
dell'atto di appello) la circostanza che il (Giudice per le indagini
preliminari non aveva stabilito il divieto di avvicinamento anche
direttamente a favore delle pp.oo., avendo il primo giudice inibito
ogni avvicinamento solo rispetto «ai luoghi abitualmente frequentati
dalle medesime pp.oo.» e non - si ribadiva - alle persone fisiche
delle pp.oo.
La censura era fondata, seppur con le precisazioni che seguono.
Il divieto di avvicinamento (direttamente) alla persona offesa
rientra tra le prescrizioni accessorie suscettibili di essere
inserite nell'ordine di allontanamento della casa familiare ex art.
1282-bis, comma 2, del codice di procedura penale affinche' sia
consentito al giudice di conformare lo strumento alle specifiche
esigenze da salvaguardare attraverso l'indicazione delle relative
modalita' e limitazioni.
In particolare, e' stato gia' osservato che sarebbe irrazionale
prevedere a tutela della persona offesa, nell'ambito dell'art.
282-bis del codice di procedura penale, una prescrizione accessoria
di divieto di avvicinamento ai luoghi da lei frequentati ed impedire,
invece, al giudice di disporre un divieto di avvicinamento
direttamente alla sua persona.
Infatti, una volta delineata con legge n. 154/2001, introduttivo
dell'art. 282-bis del codice di procedura penale, la misura
dell'allontanamento dalla casa familiare, la successiva introduzione
dell'art. 282-ter del codice di procedura penale (avvenuta con
decreto-legge n. 11/2009, convertito con legge n. 38/2009 legge sullo
stalking), che ha previsto direttamente il divieto di avvicinamento
alla persona offesa in prima battuta, e' stata determinata
dall'esigenza di prevedere un presidio cautelare analogo anche «alle
relazioni non fondate sulla convivenza» o comunque «sulla
condivisione della casa familiare» (Cassazione Pen. Sez. 6, sentenza
n. 24351 del 28 aprile 2023).
Per cui, se nulla impedisce al giudice della cautela di disporre
il divieto di avvicinamento alla p.o. mediante una apposita
prescrizione accessoria rispetto alla (unica) misura
dell'allontanamento alla casa familiare applicata, era inutile
invocare (e richiedere) l'ulteriore misura del divieto di
avvicinamento, come di contro fatto dal P.M.
Ritiene in ogni caso il Tribunale che, seppur nessuna misura
cumulativa andasse nella specie richiesta (ne' emessa), dovevasi in
ogni caso accogliere l'appello del pubblico ministero per il fatto
che il giudice per le indagini preliminari, senza motivazioni, non
aveva comunque adottato - come pur richiesto - la prescrizione
accessoria del divieto di avvicinamento direttamente alle pp.oo.,
oltre che ai luoghi dalle stesse frequentati.
Laddove - a fronte di gravi indizi di maltrattamenti
intrafamiliari - era certamente opportuno impedire, sempre e
comunque, rischiosi avvicinamenti dell'indagato alle pp.oo. vittime
delle sue vessazioni, a prescindere dai luoghi in cui questi
avvicinamenti potevano avvenire.
Con ulteriore motivo di impugnazione, il pubblico ministero
lamentava che il giudice per le indagini preliminari non aveva fatto
applicazione dei sistemi di controllo ex art. 275-bis del codice di
procedura penale, restando completamente silente sulla relativa
richiesta pur avanzata.
Preliminarmente, andava riconosciuta la piena ammissibilita' del
motivo di gravame, relativamente alla applicazione dei sistemi ex
art. 275-bis del codice penale, in quanto la giurisprudenza riconosce
la ricorribilita' in appello anche dei provvedimenti (o relative
statuizioni) che riguardino o incidano sulle modalita' di esecuzione
della misura cautelare adottata (C., Sez. III, 17 febbraio 2011, n.
13119, in Mass. Uff., 249946; C., Sez. VI, 24 settembre 2010, in
Mass. Uff., 248593; C., Sez. II, 5 giugno 2008, n. 34877, in Mass.
Uff., 241815; C., Sez. II, 16 gennaio 2008, n. 5589, in Mass. Uff.,
238865 con riferimento all'isolamento diurno in carcere; in generale
C., S.U., 3 dicembre 1996, [...], in CP, 1997, 1325).
Sul tema, e' stato affermato a piu' riprese che sono impugnabili
mediante appello ex art. 310 del codice di procedura penale le
decisioni del giudice per le indagini preliminari che incidono sulla
misura per periodi permanenti o prolungati e che, proprio per il loro
carattere permanente, si riverberano in misura apprezzabile sul
regime cautelare, qualificandosi, pertanto, come ordinanze cautelari:
laddove la decisione di applicare o meno il «braccialetto
elettronico» incide significativamente sul regime dei divieti ex
articoli 282-bis del codice di procedura penale, connotandone in
termini piu' pregnanti l'efficacia dissuasiva, per cui il relativo
rigetto - rispetto alla richiesta del PM - non puo' non essere
sindacato dal Tribunale del riesame ex art. 310 del codice di
procedura penale (sui principi, Sez. 5, sentenza n. 26601 del 21
febbraio 2018).
Cio' posto, la doglianza era nuovamente fondata.
A seguito della legge n. 168/2023, l'art. 282-ter del codice di
procedura penale prevede, al comma 1, che «con il provvedimento che
dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato
di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati
dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza,
comunque non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi o dalla
persona offesa, disponendo l'applicazione delle particolari modalita'
di controllo previste dall'art. 275-bis».
Il nuovo disposto letterale della norma evoca un automatismo
nell'applicazione delle modalita' di controllo ex art. 275-bis cit.,
quando si faccia ricorso alla misura cautelare ex art. 282-ter del
codice di procedura penale.
Tanto soprattutto ove si confronti il nuovo testo della norma
processuale con quello precedente, introdotto con il decreto-legge n.
93/2019, convertito in legge n. 69/2019, secondo cui «con il
provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice
prescrive all'imputato di non avvicinarsi ai luoghi determinati
abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una
determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, anche
disponendo l'applicazione delle particolari modalita' di controllo
previste dall'art. 275-bis».
La recente soppressione nel 2023 della parola «anche» -
inizialmente inserita nella norma dalla disciplina sul cd. codice
rosso - appare confermare il fatto che non residui piu' in capo al
giudice della cautela alcuna discrezionalita' con riguardo alla
sorveglianza elettronica, dovendosi sempre disporre - in caso di
applicazione della misura ex art. 282-ter del codice di procedura
penale - il cd. «braccialetto elettronico», onde meglio controllare,
mediante le segnalazioni a distanza del dispositivo, il rispetto
delle prescrizioni di non avvicinamento.
Il dato, peraltro, sembra corrispondere alla intentio legis della
novella, per quanto evincibile dai lavori preparatori del disegno di
legge che ha poi condotto alla emanazione della legge n. 168/2023.
Si legge nel dossier n. 123/2 di accompagnamento del disegno di
legge che «i numeri 3 e 4 della lettera c) prevedono inoltre, sempre
in relazione all'allontanamento dalla casa familiare di cui all'art.
282-bis, comma 6, che tale misura coercitiva sia sempre accompagnata
dalla imposizione, attualmente facoltativa, delle modalita' di
controllo previste dall'art. 275-bis del codice di procedura penale.
[...] La lettera d) apporta modifiche analoghe a quelle sopra
richiamata alla disciplina del divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla persona offesa di cui all'art. 282-ter del codice
di procedura penale» (pg 60 e 61).
Dal fascicolo iter DDL S. 923 (che al Senato ha condotto
all'approvazione del testo definitivo) si desume ancora:
che l'eliminazione della parola «anche» - con obbligatorieta'
del braccialetto - aveva luogo sin dal disegno di legge trasmesso
dalla Camera al Senato (art. 12 del disegno di legge);
che nel corso dei lavori della Commissione permanente
(Politiche dell'Unione europea), seduta n. 106 (pom.) del 21 novembre
2023, si sottolineava come «l'art. 12» del progetto di legge
contemplasse «il rafforzamento delle misure cautelari e dell'uso del
braccialetto elettronico», nel senso di ampliarne chiaramente
l'applicazione;
che il disegno di legge era «diretto a rafforzare la protezione
delle vittime di violenza attraverso misure di prevenzione nonche' il
potenziamento delle misure cautelari» (seduta dell'assemblea n. 128
del 22 novembre 2023);
che «la misura coercitiva ex art. 282-bis del codice di
procedura penale va sempre accompagnata (laddove nell'assetto vigente
e' facoltativa) dall'imposizione del braccialetto elettronico»
(dossier n. 98 del progetto di legge), tanto che «le norme in esame
appaiono suscettibili di determinare, come confermato dalla stessa
relazione tecnica, un maggior ricorso all'impiego dei braccialetti
elettronici rispetto a quanto previsto nell'ambito della vigente
disciplina».
Insomma, la ratio sottesa alla proposta di legge in esame e'
chiaramente quella di rendere piu' stringente ed efficiente l'attuale
disciplina in materia di contrasto della violenza di genere, a fronte
degli interventi legislativi che si sono di recente susseguiti per
dare piena attuazione ai principi ispiratori della Convenzione di
Istanbul per la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza
domestica.
Per l'effetto, il legislatore ha inteso certamente rafforzare
l'efficacia dissuasiva del divieto ex art. 282-ter del codice di
procedura penale (ovvero ex art. 282-bis del codice di procedura
penale, anche nelle sue prescrizioni accessorie), integrando il
contenuto dell'intervento cautelare mediante un presidio elettronico
obbligatorio, la cui stabile operativita' mira a disincentivare ogni
violazione e, in tal modo, meglio tutelare le ragioni delle pp.oo.
Corrispondentemente, e' stato modificato anche l'art. 282-bis,
comma 6 del codice di procedura penale.
Prima della legge n. 168/2023, tale norma prevedeva che «qualora
si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572,
582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque
aggravate, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-septies.1,
600-septies.2, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies,
609-octies e 612, secondo comma, 612-bis, del codice penale, commesso
in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura puo'
essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti
dall'art. 280, anche con le modalita' di controllo previste all'art.
275-bis2».
Dopo l'ultima novella, si prevede che «qualora si proceda per uno
dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 575, nell'ipotesi
di delitto tentato, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili
d'ufficio o comunque aggravate, 583-quinquies, 600, 600-bis, 600-ter,
600-quater, 600-septies.1, 600-septies.2, 601, 602, 609-bis, 609-ter,
609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612, secondo comma, 612-bis,
del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del
convivente, la misura puo' essere disposta anche al di fuori dei
limiti di pena previsti dall'art. 280, con le modalita' di controllo
previste dall'art. 275-bis e con la prescrizione di mantenere una
determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri,
dalla casa familiare e da altri luoghi determinati abitualmente
frequentati dalla persona offesa, salvo che la frequentazione sia
necessaria per motivi di lavoro. In tale caso, il giudice prescrive
le relative modalita' e puo' imporre limitazioni».
Nuovamente, sparisce l'epiteto «anche», prima inserito a seguito
delle modifiche apportate dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 con
riguardo alle «modalita' di controllo previste dall'art. 275-bis del
codice di procedura penale», a conferma - secondo un disegno
armonicamente coerente - di una volonta' di generale automatismo
nell'applicazione dello strumento elettronico nei casi di divieto di
avvicinamento disposto anche quale prescrizione accessoria
nell'ambito della misura ex art. 282-bis del codice di procedura
penale), in relazione ai reati specificamente indicati.
Il nuovo «obbligo del braccialetto» non appare foriero di dubbi
di legittimita' costituzionale, come di contro ventilato dalla difesa
dello S[...].
Il legislatore, infatti, ha semplicemente inteso modificare il
contenuto delle misure cautelari ex articoli 282-bis e 282-ter del
codice di procedura penale, integrando il relativo regime con un
costante sistema di sorveglianza elettronica che ne rafforza
l'efficacia preventiva.
Nel fare questo, non si e' inciso in alcun modo su di un qualche
precetto costituzionale, in quanto si e' lasciato sempre al prudente
apprezzamento del giudice della cautela se, sulla scorta delle
esigenze cautelari ritenute secondo i parametri degli articoli 274 e
275 del codice di procedura penale, si debba fare ricorso o meno
all'intervento cautelare (dal che, il richiamo della difesa alle
«presunzioni cautelari» ex art. 275 del codice di procedura penale e'
apertamente inconferente).
E se il giudice da' corso alla misura, l'applicazione
generalizzata del «braccialetto» non viola alcun principio di
uguaglianza, posto che, secondo una valutazione ragionevole del
legislatore, il «nuovo» divieto di avvicinamento (prescrizione
accessoria ex articoli 282-bis del codice di procedura penale ovvero
misura cautelare ex art. 282-ter del codice di procedura penale) per
tutti gli indagati contemplera' il predetto monitoraggio
precauzionale, in attuazione di una - non sindacabile ne' illogica -
scelta di politica criminale, volta a rafforzare la tutela delle
vittime di taluni reati socialmente sensibili.
Ad esiti diversi non puo' pervenirsi, poi, per il solo fatto che,
ai sensi dell'art. 275-bis del codice di procedura penale (parimenti
novellato dalla legge n. 168 cit.), quando il giudice dispone «la
misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia
cautelare in carcere», «prescrive procedure di controllo mediante
mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, salvo che le ritenga non
necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze
cautelari da soddisfare nel caso concreto»: secondo questa norma,
infatti, il legislatore non impone un «obbligo di braccialetto»,
prevedendone l'applicazione sempre che non intervenga una diversa
valutazione del giudice, che potrebbe ritenere non indispensabile la
sorveglianza elettronica sulla scorta della specificita') del caso
concreto.
La differente disciplina non puo' considerarsi intrinsecamente
irragionevole.
Tanto sulla scorta del rilievo che diverse sono (pure) le misure
cautelari rispetto alle quali essa opera.
Gli arresti domiciliari sono una misura custodiale: per cui in
tali casi il «braccialetto elettronico» mira ad evitare
allontanamenti non autorizzati (evasioni) e, indirettamente,
reiterazioni del reato.
L'ordine di allontanamento e/o il divieto di avvicinamento sono,
di contro, misure non custodiali e, stavolta, il braccialetto e'
finalizzato a prevenire, piu' che generici spostamenti non
autorizzati, direttamente i contatti con la p.o. prodromici alle
condotte criminose censurate.
Ne deriva che, se l'ambito operativo della sorveglianza e', solo
in quest'ultimo caso, tutto orientato a scongiurare in via immediata
(e non riflessa) nuove condotte criminose (corrispondenti ad
ulteriori lesioni dei diritti della p.o.), una diversa modulazione
del regime dei dispositivi ex art. 275-bis del codice di procedura
penale - con piu' accentuato utilizzo del medesimo in caso di misure
non custodiali - non appare affatto irrazionale.
D'altronde, appare utile rimarcare ancora, le misure non
custodiali presuppongono un affidamento alla capacita' di
autocontrollo dell'indagato nettamente superiore rispetto a quello
che si ripone negli indagati sottoposti alle misure custodiali, posto
che, nel primo caso, il reo resta comunque in liberta'.
Ed anche tale aspetto appare giustificare la scelta legislativa
di dare seguito, per garantire l'efficacia dell'intervento, ad un
controllo elettronico piu' stringente nelle misure ex art. 282-bis e
ter del codice di procedura penale, laddove un tale maggiore
monitoraggio, evitando misure piu' gravose, risponde, in prospettiva
costituzionale, ad un virtuoso bilanciamento tra le esigenze di
difesa sociale («braccialetto») ed i diritti di liberta'
dell'indagato (misura non custodiate), senza ulteriore ed inutile
compressione («minor sacrificio necessario») della sfera giuridica
dell'indagato.
In definitiva, il Tribunale e' chiamato ad emettere, in questo
giudizio di appello, la misura ex art. 282-bis del codice di
procedura penale, con le prescrizioni accessorie del divieto di
avvicinamento alle pp.oo. nonche'
dell'applicazione dei sistemi di controllo ex art. 275-bis del
codice di procedura penale.
Par. 2) La norma oggetto dell'incidente di costituzionalita' e primi
profili di rilevanza in questo giudizio.
Il Tribunale deve a questo punto confrontarsi con gli ultimi due
periodi dell'art. 282-bis, comma 6, pen. (come novellato dall'art.
12, comma 1, lettera c), della legge 24 novembre 2023, n. 168),
secondo cui:
«Con lo stesso provvedimento che dispone l'allontanamento, il
giudice prevede l'applicazione, anche congiunta, di una misura piu'
grave qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione delle
modalita' di controllo anzidette».
«Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non
fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il
giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure
cautelari anche piu' gravi».
Il primo periodo riguarda l'ipotesi in cui l'indagato,
destinatario di un provvedimento ex art. 282-bis del codice di
procedura penale assistito dal «braccialetto elettronico» ex art.
275-bis del codice di procedura penale, rifiuti di farselo applicare.
Per la relativa evenienza, la legge prevede che il giudice
disponga, sin dal provvedimento genetico, un aggravamento del regime
cautelare («misura piu' grave», «anche congiunta»).
«Negare il consenso» al controllo elettronico da parte
dell'indagato giustifica, nella prospettazione legislativa, una
valutazione di maggiore pericolosita', capace di fondare di per se'
un (obbligatorio) intervento piu' cogente.
Il meccanismo non era sconosciuto al sistema.
Gia' l'art. 275-bis del codice di procedura penale, prima della
novella ex legge n. 168 cit., prevedeva all'ultimo periodo del comma
1, relativamente agli arresti domiciliari assistiti dal
«braccialetto», che «con lo stesso provvedimento il giudice prevede
l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere
qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e
strumenti anzidetti».
In sostanza, il rifiuto di collaborare al presidio elettronico e'
posto dalla legge alla base di una presunzione assoluta di
(sopravvenuta) inadeguatezza della misura originariamente disposta,
imponendo l'applicazione:
o del carcere ex art. 275-bis del codice di procedura penale,
quando si parte dai domiciliari;
o di una misura piu' grave, anche congiuntamente operante
rispetto a quella originaria, ex art. 282-bis del codice di procedura
penale, comma 6 di nuovo conio, quando si parte da un ordine di
allontanamento e/o da un divieto di avvicinamento.
Il secondo periodo riguarda un'altra ipotesi.
Ed e' proprio questa a destare un ragionevole dubbio di
costituzionalita' nel Collegio.
La norma prevede che, nel caso in cui «l'organo delegato per
l'esecuzione» accerti «la non fattibilita' tecnica» delle modalita'
di controllo a distanza, il giudice interviene (come nel caso
precedente) nel senso di «imporre l'applicazione, anche congiunta, di
ulteriori misure cautelari anche piu' gravi».
La questione di costituzionalita' di tale ultima disposizione e'
rilevante in questo giudizio perche' il Tribunale, accogliendo
l'appello del pubblico ministero ed integrando la misura emessa dal
giudice per le indagini preliminari con i dispositivi elettronici ex
art. 275-bis del codice di procedura penale invocati dall'appellante,
deve fare necessariamente applicazione anche del disposto di cui
all'art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo del codice di procedura
penale.
Il legislatore, infatti, prevede che «con lo stesso
provvedimento» - con cui si applicano i sistemi di controllo ex art.
275-bis del codice di procedura penale - si imponga l'(automatico)
aggravamento del regime per le due ipotesi: «diniego del consenso» al
braccialetto e «non fattibilita' tecnica» del braccialetto.
Vero e' che la locuzione «con lo stesso provvedimento» e'
inserita dal legislatore solo in apertura del penultimo periodo del
comma 6 cit., quello relativo al diniego del consenso («Con lo stesso
provvedimento che dispone l'allontanamento, il giudice prevede
l'applicazione, anche congiunta, di una misura piu' grave qualora
l'imputato neghi il consenso all'adozione delle modalita' di
controllo anzidette»).
Mentre il periodo successivo, senza ripetere la locuzione «con lo
stesso provvedimento», recita direttamente «Qualora l'organo delegato
per l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica delle predette
modalita' di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche
congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi».
Nondimeno, ritiene questo Collegio che la volonta' del
legislatore, per quanto implicitamente espressa, e' chiara nel senso
di richiedere al giudice della cautela - sin dal momento genetico
della misura - la previsione dell'aggravamento in entrambe le
ipotesi.
La locuzione «con lo stesso provvedimento», sebbene non ripetuta
in apertura dell'ultimo periodo, e' desumibile, oltre che dalla
stretta ed immediata consecutio delle proposizioni, dalla identita'
di ratio della disciplina, essendosi voluto prevedere come, tutte le
volte che la sorveglianza elettronica non abbia seguito, sia previsto
dal giudice, sin dall'origine, un regime cautelare «rafforzato» a
tutela della p.o.
D'altronde, ad opinare in senso diverso, dovrebbe affermarsi che
solo nel caso di «non fattibilita' tecnica» (e non nel caso di
«diniego del consenso») il pubblico ministero dovrebbe avanzare una
nuova istanza al giudice della cautela per «la misura, anche
congiunta e piu' grave» ed il giudice emettere a sua volta un
distinto e successivo provvedimento.
In questo caso, pero', la procedura apparirebbe non solo piu'
farraginosa, ma soprattutto non in linea con la ratio generale
dell'intervento legislativo, ratio improntata alla sollecitudine ed
alla efficacia della iniziativa cautelare, secondo uno schema di
previsione immediata e preventiva di aggravamento che gia' opera da
tempo nell'art. 275-bis del codice di procedura penale (rifiuto del
braccialetto da parte del detenuto ai domiciliari e carcere) e che,
infatti, e' stato pedissequamente riproposto con la novella del 2023.
Insomma, la differenziazione del regime dell'«aggravamento»,
relativamente alla ipotesi di «non fattibilita' tecnica», con
necessita' solo in quest'ultimo caso di un «ulteriore provvedimento»,
sembra distonica in una prospettiva di interpretazione logica e
sistematica della norma.
Per cui, appare corretto assumere che «con lo stesso
provvedimento» che applica i braccialetti il giudice debba prevedere
non solo «una misura piu' grave, anche congiunta, qualora l'imputato
neghi il consenso» ai sistemi ex art. 275-bis del codice di procedura
penale, ma anche «l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori
misure cautelari anche piu' gravi», «qualora l'organo delegato per
l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica» della sorveglianza
elettronica.
Peraltro, l'utilizzo dell'indicativo, riferito al giudice che
«impone» le «ulteriori misure», evoca un automatismo (come si dira')
dell'aggiuntivo intervento cautelare che sembra nuovamente militare
per una sua previsione (immediata e preventiva) sin dal momento
genetico, essendo sostanzialmente inutile una «seconda» richiesta del
pubblico ministero per l'emissione di un (nuovo) provvedimento da
parte del giudice, quando - di fronte alla «non fattibilita'» -
nessuna particolare valutazione in ordine all'«an» dell'aggravamento
e' rimessa all'autorita' giudiziaria (a parte il «quomodo» del
medesimo, in ogni caso obbligato, cfr. infra).
Tale interpretazione rende pertanto immediatamente rilevante la
questione di costituzionalita' che si andra' ad esporre con riguardo
all'art. 282-bis del codice di procedura penale, comma 6, ultimo
periodo.
Cio' in quanto - si ribadisce - di tale norma il Collegio deve
fare immediata applicazione «con lo stesso provvedimento» di
applicazione della misura e delle contestuali prescrizioni accessorie
relative ai sistemi ex art. 275-bis del codice di procedura penale.
Par. 3) Non manifesta infondatezza.
Par 3.1) Aggravamento del regime.
La norma oggetto di scrutinio recita:
«Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non
fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il
giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure
cautelari anche piu' gravi».
Secondo la disposizione, per il caso di accertata «non
fattibilita' tecnica», il regime cautelare deve ricevere una
immediata modifica dal giudice.
Il legislatore, a riguardo, utilizza due volte la particella
«anche».
Si impone al giudice l'applicazione «anche congiunta» di
«ulteriori misure».
Si impone al Giudice l'applicazione di «ulteriori misure» «anche
piu' gravi».
In tutte le ipotesi, a dispetto del tenore letterale della norma,
l'effetto che deriva a carico dell'indagato e' sempre quello di un
aggravamento del regime cui e' sottoposto.
Qualora infatti il giudice opti per l'applicazione «congiunta» di
«ulteriori misure» (l'espressione «anche congiunta» postula
chiaramente una scelta), il secondo «anche» («anche piu' gravi»)
consentira' all'organo decidente di applicare, in aggiunta, sia una
misura piu' grave (divieto di dimora o arresti domiciliari) sia una
misura meno grave (obbligo di presentazione alla PG).
In entrambi i casi, il trattamento che ne derivera' sara'
peggiorativo per l'indagato, in quanto lo stesso si trovera' soggetto
alla vigenza non solo della misura originaria (ordine di
allontanamento, con le prescrizioni accessorie di legge), ma anche
della misura «aggiuntiva» (per quanto meno grave) disposta in
relazione alla «non fattibilita' tecnica», derivandone una maggiore
compressione complessiva della sua sfera giuridica.
Il cumulo delle misure, in sostanza, e' di per se' «in malam
partem».
Qualora il giudice opti, invece, per l'applicazione «non
congiunta» della «ulteriore misura», la misura (stavolta)
«sostitutiva» non potra' che essere piu' grave di quella originaria,
laddove la (seconda) locuzione «anche» (riferita alle «ulteriori
misure anche piu' gravi») solo apparentemente conferisce al giudice
un reale potere di scelta.
Ed infatti, una volta che il giudice decida di sostituire (e non
cumulare) l'ordine di allontanamento con altra («ulteriore») misura,
quest'ultima dovra' essere necessariamente piu' grave della prima.
Cio' sulla scorta dell'incontestabile rilievo per cui sarebbe un
controsenso logico-giuridico attenuare un regime ex art. 282-bis del
codice di procedura penale una volta che lo stesso non possa essere
elettronicamente sorvegliato.
In sostanza, se si decide di applicare un ordine di
allontanamento, e' impossibile «tornare indietro» se, in sede di
esecuzione, si scopre che lo stesso non puo' essere presidiato con i
sistemi ex art. 275-bis del codice di procedura penale.
Tanto piu' che, se fosse stata adeguata una misura meno gravosa
dell'ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice di procedura
penale, quest'ultimo non avrebbe dovuto essere emesso ab origine.
In definitiva, a dispetto della equivoca lettera della norma,
l'unica sostituzione possibile della misura ex art. 282-bis, comma 6,
ultimo periodo del codice di procedura penale e' nel senso di una
misura piu' grave.
E quando il legislatore evoca un potere di scelta sulla gravita'
delle ulteriori misure da applicare («anche piu' gravi») in realta'
non puo' che riferirsi alla sola ipotesi di applicazione cumulativa.
Su tali basi, anche la applicazione «non cumulativa» (quindi
sostitutiva) delle «ulteriori misure» ha un effetto negativo sulla
sfera giuridica dell'indagato, comportandone un aggravamento del
trattamento cautelare.
Par. 3.2) Obbligo per il giudice.
La norma prevede che, in caso di non fattibilita' tecnica, il
giudice «impone» l'applicazione del regime cautelare piu' gravoso.
L'utilizzo dell'indicativo non sembra lasciare diversi margini
interpretativi.
Il giudice e' obbligato dalla legge a disporre il suddetto
aggravamento.
Piu' volte, nel codice di rito, il legislatore, con specifico
riguardo alla materia cautelare, ha posto un vincolo di tal fatta
impiegando identica modalita' espressiva.
L'indicativo e' utilizzato nell'art. 275-bis del codice di
procedura penale, quando si statuisce che il giudice prevede
«l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere
qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e
strumenti anzidetti»: ed e' pacifico che, in questo caso, il diniego
del consenso sia «causa automatica di applicazione della custodia
cautelare in carcere» (Sez. U., sentenza n. 20769 del 2016).
L'indicativo e' utilizzato nell'art. 276, comma 1-ter del codice
di procedura penale quando si prevede che «il giudice dispone la
revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in
carcere, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti
domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria
abitazione o da altro luogo di privata dimora», salvo che il fatto
sia di lieve entita': ed e' stato affermato da tempo che la
trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di
allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ove
ritenuta non di lieve entita', determina la revoca obbligatoria di
tale misura ex art. 276, comma 1-ter, del codice di procedura penale,
seguita dalla sostituzione con la custodia in carcere, non dovendo il
giudice previamente valutare le esigenze cautelari ovvero l'idoneita'
degli arresti domiciliari con modalita' elettroniche di controllo (da
ultimo, Cassazione Pen. Sez. 6, Sentenza n. 8630 del 24 gennaio
2024).
L'indicativo e' utilizzato, ancora, nell'art. 321 comma 2-bis del
codice di procedura penale dedicato ai delitti previsti dal Capo I
del Titolo II del libro secondo del codice penale, quando si prevede
che «il giudice dispone il sequestro dei beni di cui e' consentita la
confisca»: e nuovamente la Suprema Corte ha ritenuto che l'utilizzo
di tale formula verbale abbia un significato di «presunzione di
esistenza di esigenze cautelari», in quanto la norma consente al
giudice il sequestro sulla scorta della mera confiscabilita' della
res, senza alcuna valutazione del periculum in mora, valutazione di
contro richiesta ai sensi dell'art. 321, comma 2, del codice di
procedura penale (Sez. UU [...], n. 36959/2021).
L'indicativo e' da ultimo impiegato nella norma cardine delle
presunzioni in materia cautelare, contenuta nell'art. 275, comma 3,
del codice di procedura penale.
In definitiva, secondo la disposizione in esame, al giudice non
e' dato apprezzare diversamente in punto di esigenze cautelari e/o
adeguatezza.
Se vi e' la «non fattibilita' tecnica» del braccialetto, la
misura cumulativa (piu' o meno grave) o sostitutiva (piu' grave) va
disposta sempre.
Par. 3.3) La presunzione assoluta.
Il disposto normativo esprime, in tal modo, una presunzione
«assoluta».
Per l'ipotesi di non «fattibilita' tecnica», il legislatore
«presume» che l'ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice
penale, pur assistito da un divieto di avvicinamento, non sia (mai)
idoneo a salvaguardare le esigenze cautelari ex art. 274, lettera c),
del codice di procedura penale ritenute dal giudice.
E sulla scorta di questo generalizzato «giudizio di
inadeguatezza», correlato al mero dato della non fattibilita' della
sorveglianza elettronica, obbliga il Giudice a disporre un
aggravamento del regime nei termini sopra enunciati, senza lasciare
allo stesso alcun margine di diverso apprezzamento.
E' di intuitiva evidenza la correlazione tracciabile tra tale
nuova «presunzione» e la disposizione cardine delle presunzioni in
tema di cautela personale contenuta nell'art. 275, comma 3, del
codice di procedura penale.
Gia' le SS.UU. n. 20769 del 2016 hanno ricordato «il ruolo
decisivo» assunto dal giudice delle leggi nel confinare in ambiti
ragionevoli le «presunzioni assolute di adeguatezza» (in quel caso,
della sola custodia in carcere) in materia cautelare, a partire dalla
sentenza n. 265 del 2010.
Le plurime sentenze della Consulta hanno rimarcato a piu' riprese
(sentenza n. 48 del 2015) come «i principi costituzionali di
riferimento implicano che la disciplina della materia debba essere
ispirata al principio del "minore sacrificio necessario": la
compressione della liberta' personale va contenuta, cioe', entro i
limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del
caso concreto».
Cio' impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il
sistema cautelare secondo il modello della «pluralita' graduata»,
predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da
differenti gradi di incidenza sulla liberta' personale; dall'altra, a
prefigurare, in corrispondenza, criteri per scelte
«individualizzanti» del trattamento cautelare, coerenti e adeguate
alle esigenze configurabili nei singoli casi concreti.
Le valutazioni espresse dal giudice delle leggi in questo
percorso «demolitorio» hanno evidenziato come «i limiti di
legittimita' delle misure cautelari risultino espressi, a fronte del
principio di inviolabilita' della liberta' personale (art. 13, primo
comma, della Costituzione) - oltre che dalle riserve di legge e di
giurisdizione (art. 13, secondo e quarto comma, della Costituzione) -
anche e soprattutto dalla presunzione di non colpevolezza (art. 27,
secondo comma, della Costituzione), a fronte della quale le
restrizioni della liberta' personale dell'indagato o dell'imputato
nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni nitidamente
differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo
l'accertamento definitivo della responsabilita'.
Per cui, a partire dal 2010, la Corte costituzionale ha colpito
con varie dichiarazioni di illegittimita' costituzionale le
presunzioni assolute di adeguatezza (del carcere) in materia
cautelare.
Ribadendo un principio formulato sin dalla sentenza n. 139 del
2010, si e' affermato in tali occasioni che «le presunzioni assolute,
specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano
il principio di eguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, e cioe'
se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella
formula dell'id quod plerumque accidit; evenienza che si riscontra
segnatamente allorche' sia agevole formulare ipotesi di accadimenti
reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione
stessa. Nei casi in esame, a determinare il vulnus al principio di
eguaglianza - e conseguentemente alle ragioni di tutela del diritto
alla liberta' personale e della presunzione di innocenza - era il
carattere assoluto della presunzione di adeguatezza, che implicava
una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del
"minimo sacrificio necessario" della liberta' personale
dell'interessato».
Nel caso in esame, ritiene il Collegio che la presunzione
assoluta di adeguatezza di un regime cautelare piu' severo, rispetto
alla sola misura ex art. 282-bis del codice di procedura penale, per
l'ipotesi di «non fattibilita' tecnica» della sorveglianza
elettronica, sia «arbitraria ed irrazionale» perche':
non risponde ad un dato di esperienza generalizzante la
necessita', sempre e comunque, di un ulteriore presidio cautelare a
carico di un indiziato di reato ex art. 572 del codice penale, per il
solo fatto che non puo' essere attivato il «braccialetto elettronico»
nell'ambito della misura ex art. 282-bis del codice di procedura
penale, tanto piu' quando - come nel caso - non vi sono elementi di
pericolosita' di particolare allarme sociale;
e' agevole formulare «ipotesi di accadimenti reali contrari
alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa», sol che
si consideri come sia frequente che indagati per reati di violenza
domestica, una volta allontanati dall'abitazione, con aggiuntivo
divieto di avvicinamento, si astengono dal reiterare le condotte
censurate a prescindere dalla sorveglianza elettronica, senza che sia
affatto indefettibile intervenire ulteriormente in malam partem per
assicurare gli effetti preventivi perseguiti ex art. 274, lettera c),
del codice di procedura penale.
In definitiva, difetta nella specie una regola di esperienza
sufficientemente condivisa circa la generale insufficienza della
misura ex art. 282-bis, del codice di procedura penale a soddisfare
le esigenze cautelari ex art. 274, lettera c), del codice di
procedura penale in assenza di monitoraggio elettronico.
Tanto piu' che nel caso sottoposto a questo Collegio S. G. ha
posto in essere una sola aggressione fisica in danno della coniuge
(in data [...], cfr. denuncia), sta pienamente rispettando la misura
senza violare il divieto di avvicinamento gia' disposto, ha
addirittura presentato in data [...] ricorso per separazione
giudiziale nei confronti di M. N. e sta dimostrando di accettare -
anche civilisticamente - il nuovo assetto familiare conseguente alla
rottura del rapporto di coppia.
Il che, se denota come nel caso di specie la mancanza di una
sorveglianza elettronica potenzialmente non fattibile non giustifica
affatto un regime cautelare (ancora) piu' severo ai danni di un
indagato non particolarmente pericoloso, a maggior ragione conclama
come, in generale, possano verificarsi facilmente situazioni
interpersonali - di non particolare fibrillazione - nell'ambito delle
quali la «presunzione assoluta di adeguatezza dell'aggravamento»
(misura aggiuntiva o sostitutiva piu' grave), per il solo fatto che
non possa applicarsi un braccialetto, non riposa affatto su dati di
esperienza solidi e congruenti.
La norma censurata sembra allora costituire un irragionevole
esercizio della discrezionalita' del legislatore, violando gli
articoli 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione.
Se viene sottratto al giudice il potere di adeguare la misura al
caso concreto, rileva una violazione del principio di uguaglianza,
realizzandosi un «appiattimento» tra situazioni oggettivamente e
soggettivamente diverse, con una uguale risposta cautelare.
Inoltre, dalla lettura combinata degli articoli 13 e 27 della
Costituzione emerge l'esigenza di circoscrivere allo strettamente
necessario le misure limitative della liberta' personale, laddove la
norma censurata stabilisce un automatismo applicativo di aggravamento
tale da rendere inoperanti i criteri di proporzionalita' e di
adeguatezza, in contrasto:
con l'art. 13, primo comma, della Costituzione, quale
referente fondamentale del regime ordinario delle misure privative
della liberta' personale;
con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione, per
l'attribuzione alla coercizione cautelare di tratti funzionali tipici
della pena.
Come e' stato gia' precisato in tema di presunzioni cautelari,
cio' che vulnera i parametri costituzionali richiamati non e' la
presunzione in se', ma il suo carattere assoluto, che implica una
indiscriminata e totale negazione di rilevanza al principio del
«minore sacrificio necessario».
La presunzione deve essere relativa.
La previsione di una presunzione solo relativa di adeguatezza
dell'aggravamento - atta a realizzare una semplificazione del
procedimento probatorio, pur suggerita da eventuali aspetti
ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile
da elementi di segno contrario - non eccede i limiti di
compatibilita' costituzionale, rimanendo per tale verso non
censurabile l'apprezzamento legislativo circa la ordinaria
configurabilita' di esigenze cautelari nel grado piu' intenso e/o di
adeguatezza di un regime piu' severo (sentenze n. 110 del 2012, n.
331, n. 231 e n. 164 del 2011, e n. 265 del 2010).
Il Collegio pertanto ritiene non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 282-bis, comma 6,
ultimo periodo del codice di procedura penale (come novellato
dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 24 novembre 2023, n.
168), secondo cui «Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti
la non fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il
giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure
cautelari anche piu' gravi», nella parte in cui non recita
ulteriormente «salvo che non le ritenga non necessarie in relazione
alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel
caso concreto».
Con un inserimento di tale valvola di sicurezza, si consente al
giudice di dar seguito ad un regime cautelare sufficientemente
individualizzante e si resta all'interno di un ambito compatibile con
i precetti costituzionali evocati.
Su tale linea si sono gia' espresse le SS.UU. della Suprema Corte
di cassazione (Sez. U., sentenza n. 20769 del 2016) quando ci si e'
dovuti pronunciare su quali fossero i corretti parametri di
valutazione cui ispirarsi nel momento in cui, dopo che si era
disposta la misura degli arresti domiciliari con i sistemi di
controllo ex art. 275-bis, del codice di procedura penale, si
verificava l'ipotesi di «indisponibilita'» del braccialetto
elettronico.
Le SS.UU. ripercorrevano tutta la giurisprudenza costituzionale
in tema di «presunzioni» di adeguatezza.
E sulla scorta di quei dicta rifiutavano ogni automatismo a
favore del carcere, concludendo:
«Nella ipotesi di constatazione della carenza del
dispositivo, il giudice ha l'onere di giustificare l'individuazione
della specifica misura applicabile, alla luce della circostanza di
fatto della indisponibilita' del dispositivo. Tale interpretazione e'
l'unica compatibile con i principi costituzionali di cui agli
articoli 3 e 13 della Costituzione».
Le SS.UU, pertanto, ribadivano che i principi costituzionali in
tema di liberta' personale impediscono di far discendere un effetto
di aggravamento del regime cautelare da un elemento tendenzialmente
estraneo rispetto al giudizio di adeguatezza (indisponibilita' del
braccialetto).
Si consideri peraltro che «i problemi tecnici e logistici che
rendono impossibile l'installazione del "braccialetto elettronico"
(la fattibilita' tecnica) e' "situazione assimilabile a quella di
indisponibilita' del suddetto strumento di controllo», per cui il
tema oggi in esame e' di fatto sovrapponibile a quello valutato dalle
SS.UU. (cfr. in motivazione Cassazione Pen. Sez. 2, sentenza n. 13735
del 2023).
Se allora «i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 13
della Costituzione» impongono che il giudice, una volta che manchino
i braccialetti per i detenuti ai domiciliari, non deve
«automaticamente» propendere per il carcere, ma «individuare la
specifica misura applicabile» sulla scorta di una valutazione del
caso concreto (ben potendo lasciare il soggetto agli arresti
domiciliari semplici), analogamente oggi quegli stessi «principi
costituzionali» impongono al legislatore di non sottrarre
completamente al giudice, con la censurata presunzione assoluta a
favore dell'aggravamento senza possibilita' di prova contraria, la
possibilita' di individuare il regime cautelare piu' adeguato al caso
concreto, nel caso di «non fattibilita' tecnica» della sorveglianza
elettronica nelle misure ex art. 282-bis e ter del codice di
procedura penale.
Ad alimentare da ultimo i dubbi di legittimita' costituzionali
rimessi alla Consulta e' lo stesso confronto tra il regime della «non
fattibilita' tecnica» normato nella disposizione di cui all'art.
282-bis, comma 6, cit. ed il regime del braccialetto elettronico
regolato, in riferimento agli arresti domiciliari, all'art. 275-bis
del codice di procedura penale.
Infatti, in questa ultima disposizione, pur innovata dalla legge
n. 168/2023, il legislatore si guarda bene dal prevedere effetti di
aggravamento automatico per il caso di «non fattibilita' tecnica».
Nel caso in cui il giudice, nell'applicare i domiciliari, ritenga
di dar seguito alla sorveglianza elettronica ma riscontri («previo
accertamento») la «non fattibilita' tecnica» della stessa, la norma
tace.
Ne deriva che, in ipotesi di tal fatta, il giudice non potra' che
(continuare ad) effettuare libere valutazioni di adeguatezza e optare
per i domiciliari semplici o il carcere sulla scorta delle specifiche
peculiarita' della fattispecie rimessa al suo giudizio, secondo i
principi - costituzionalmente orientati - tracciati dalle SS.UU. cit.
Sara' il caso concreto ad orientare l'apprezzamento giudiziale.
Non una presunzione (di aggravamento) priva di riscontro
empirico.
In definitiva, la diversa ed ingiustificata modulazione dei
riflessi sull'indagato della «non fattibilita' tecnica» ex art.
275-bis del codice di procedura penale, operata dalle norme messe a
confronto, rafforza i profili di fragilita' del disposto normativo ex
art. 282-bis, comma 6, cit., spingendo nel senso prospettato dal
Collegio remittente onde armonizzare il sistema.
Par. 4) Impossibilita' di interpretazione conforme.
La giurisprudenza della Corte costituzionale e' notoriamente
costante nell'affermare che, nel caso di contrasti giurisprudenziali,
ovvero in mancanza di pronunce della Cassazione, finanche ove
sussista un orientamento prevalente ma si registrino anche decisioni
difformi (ordinanza n. 252 del 2005), prima di sollevare l'incidente
di costituzionalita' sia necessario verificare la praticabilita' di
interpretazioni alternative della disposizione che siano rispettose
del dettato costituzionale.
Le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche'
sia possibile darne, e qualche giudice ritenga di farlo,
interpretazioni incostituzionali, ma perche' e' impossibile darne
interpretazioni costituzionalmente compatibili (sentenze n. 356 del
1996, n. 308 del 2008, n. 113 del 2015; ordinanze n. 85 e n. 464 del
2007, n. 15 del 2011).
Di fronte a una pluralita' di interpretazioni possibili di una
disposizione, i giudici sono tenuti a ricercare e preferire quella
costituzionalmente adeguata, rifiutando quelle costituzionalmente
incompatibili, sicche' la rimessione alla Corte diventa necessaria
solo quando essi abbiano vanamente sperimentato la possibilita'
dell'interpretazione adeguatrice (sentenze n. 322 e n. 432 del 2007;
ordinanze n. 226 del 2008 e n. 146, n. 310 e n. 338 del 2009, n. 110,
n. 192 e n. 322 del 2010, n. 15 e n. 101 del 2011).
Tanto acclarato, si e' tuttavia parimenti ritenuto che il punto
fino al quale il giudice e' tenuto ad esplorare la possibilita' di
una lettura costituzionalmente orientata e' da individuarsi nel
l'univoco tenore della norma, elemento capace di segnare il confine
in presenza del quale il tentativo di interpretazione deve cedere il
passo al sindacato di legittimita' costituzionale (sentenze n. 26 del
2010; ma anche sentenze n. 270 e n. 315 del 2010).
Orbene, ritiene il Collegio che la norma, per il suo tenore
letterale, non si presti ad interpretazione diverse da quella per cui
si dubita della legittimita' costituzionale.
La norma, come ampiamente sopra argomentato, con l'utilizzo
dell'indicativo («impone» ulteriori misure) e con le opzioni previste
(cumulo delle ulteriori misure o sostituzione con misura piu' grave)
obbliga il giudice, per il caso di «non fattibilita' tecnica» del
braccialetto, a dare seguito ad un aggravamento del regime cautelare
in danno dell'indagato, sulla scorta di una presunzione assoluta di
adeguatezza che viola i precetti costituzionali evocati.
Ogni interpretazione che lasci spazio ad una diversa valutazione
discrezionale del giudice appare in contrasto con la lettera della
norma, dal che appare inevitabile chiedere l'intervento della
Consulta.
Par. 5) Profili ulteriori di rilevanza.
Il Collegio ritiene rilevante l'intervento della Corte
costituzionale (cfr. effettiva incidenza sulla decisione del giudizio
a quo dell'intervento richiesto, ordinanze n. 403 del 2002, n. 70 e
n. 111 del 2009, n. 264 del 2015), anche perche' non intende
applicare nei confronti dell'indagato «ulteriori misure cautelari»
(ne' cumulativamente ne' in sostituzione) per l'ipotesi in cui non vi
sia la fattibilita' tecnica del braccialetto (mentre la norma obbliga
in questo senso, mediante la «presunzione assoluta» censurata).
S. G., infatti, pur avendo compiuto minacce ed atti di violenza
nei confronti dei familiari, e' soggetto certamente contenibile
mediante un ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice di
procedura penale, integrato con le prescrizioni accessorie richieste
dal pubblico ministero, senza che sia necessario un regime piu'
severo per il solo fatto che la sorveglianza elettronica da disporre
sia, nel caso, «tecnicamente non fattibile».
Infatti, come gia' ricordato, S. G. ha posto in essere una sola
aggressione fisica in danno della coniuge (in data [...], cfr.
denuncia), sta pienamente rispettando la misura senza violare il
divieto di avvicinamento gia' disposto, nonostante ad oggi nessuna
sorveglianza elettronica sia stata attivata, ed ha addirittura
presentato in data [...] ricorso per separazione giudiziale nei
confronti di M. N.
Solo la Corte costituzionale, con la pronuncia che si sollecita,
puo' evitare che l'aggravamento sia disposto in ogni caso.
La questione e' «attualmente» rilevante, sebbene il Collegio
nulla sappia in ordine alla «non fattibilita' tecnica» della
sorveglianza elettronica.
Secondo la disposizione in esame, infatti, il giudice procedente
non puo' verificare preventivamente la fattibilita' tecnica del
sistema di controllo, ma e' tenuto semplicemente ad applicarlo
nonche' a disporre contestualmente l'aggravamento per il caso in cui,
in sede di esecuzione, sorgano problemi di attivazione.
Se tant'e', sin dal momento genetico della misura l'ordine di
dubbia legittimita' costituzionale viene emesso.
Ed e' solo la sua materiale attuazione ad essere condizionata.
Nondimeno, ritiene questo ufficio remittente che l'aspetto
«eventuale e successivo» della «non fattibilita' tecnica» del
braccialetto non incida sulla attualita' della rilevanza della
questione sollevata, in quanto il contenuto del provvedimento
giurisdizionale da emettersi deve in ogni caso fare applicazione del
precetto di cui si chiede il vaglio della Consulta («Ai fini della
rilevanza, e' sufficiente che il remittente debba fare applicazione
in ogni caso nel giudizio a quo della norma denunciata», Corte
costituzionale n. 216/1993).
D'altronde, nella fase esecutiva il giudice della cautela non
avrebbe piu' alcun modo di sollevare la questione, avendo perso la
disponibilita' degli atti ed avendo in ogni caso gia' emesso l'ordine
(di aggravamento) potenzialmente illegittimo (sulla tardivita' in
questo caso della questione, per avvenuta pregressa applicazione
della norma, ordinanza n. 176/2011 della Corte costituzionale).
In ogni caso, non sarebbe di ostacolo alla ammissibilita' della
questione l'essere stata la stessa sollevata nel corso di un
procedimento cautelare allorquando il giudice a quo non abbia
provveduto in via definitiva sulla istanza cautelare, e non abbia,
percio', consumato la sua potestas iudicandi (sentenze n. 172 del
2012, n. 162 e n. 200 del 2014, n. 96 del 2015, n. 84 del 2016).
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11
marzo 1953, n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta
infondatezza, solleva di ufficio la questione di legittimita'
costituzionale, in relazione agli articoli 3, 13 e 27 della
Costituzione nei termini esplicati in parte motiva, dell'art.
282-bis, comma 6, ultimo periodo del codice di procedura penale (come
novellato dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 24 novembre
2023, n. 168), secondo cui «Qualora l'organo delegato per
l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica delle predette
modalita' di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche
congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi», nella
parte in cui non recita ulteriormente «salvo che non le ritenga non
necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze
cautelari da soddisfare nel caso concreto».
Sospende il procedimento in corso sino all'esito del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale ed ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che, a cura della cancelleria, sia notificata la presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e che della stessa
sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento
nonche' alle parti.
Napoli, 6 giugno 2024
Il Presidente: Cantone
Il Giudice estensore: Scermino
Oggetto:
Procedimento penale - Misure cautelari - Allontanamento dalla casa familiare – Applicazione delle modalità di controllo previste dall'art. 275-bis cod. proc. pen. (cosiddetto braccialetto elettronico) qualora si proceda per determinati delitti (nella specie, delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi di cui all’art. 572 cod. pen.) - Previsione che, qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi - Mancata previsione che il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi “salvo che non le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto” – Denunciata obbligatorietà di un regime cautelare più gravoso – Irragionevolezza – Automatismo applicativo di un aggravamento tale da rendere inoperanti i criteri di proporzionalità e di adeguatezza, in contrasto con il principio di inviolabilità della libertà personale e con il principio della finalità rieducativa della pena, a fronte dell’attribuzione alla coercizione cautelare di tratti funzionali tipici della pena – Diversa e ingiustificata incidenza sull’indagato della “non fattibilità tecnica” del cosiddetto braccialetto elettronico, regolato dall’art. 275-bis cod. proc. pen. in riferimento agli arresti domiciliari.
Norme impugnate:
codice di procedura penale del Num. Art. 282 Co. 6
legge del 24/11/2023 Num. 168 Art. 12 Co. 1
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 13 Co. 1
Costituzione Art. 27 Co. 2
Udienza Pubblica del 4 novembre 2025 rel. LUCIANI
Testo dell'ordinanza
N. 177 ORDINANZA (Atto di promovimento) 06 giugno 2024 Ordinanza del 6 giugno 2024 del Tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di G. S.. Procedimento penale - Misure cautelari - Allontanamento dalla casa familiare - Applicazione delle modalita' di controllo elettronico previste dall'art. 275-bis cod. proc. pen. qualora si proceda per determinati delitti - Previsione che, qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi - Mancata previsione che il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi "salvo che non le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto". - Codice di procedura penale, art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo, come modificato dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 24 novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica). (GU n. 40 del 02-10-2024) TRIBUNALE DI NAPOLI X Sezione - Collegio B Riesame dei provvedimenti restrittivi della liberta' personale e dei sequestri Il Tribunale, nelle persone dei magistrati: dott.ssa Alessandra Cantone - Presidente; dott. Alfonso Scermino - giudice est.; dott.ssa Raffaella de Majo - giudice, riunito in Camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza ex art. 23, legge n. 53/1987 nel giudizio di appello introdotto dal pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Benevento, in data 27 marzo 2024 avverso l'ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Benevento, in data 19 marzo 2024, con la quale veniva applicata nei confronti di S. G. la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla p.o. senza applicazione dei dispositivi ex art. 275-bis del codice di procedura penale; esaminati gli atti trasmessi dall'autorita' giudiziaria procedente; sentita la difesa, in assenza del P.M., all'udienza camerale del 3 maggio 2024; sciogliendo la riserva di cui al separato verbale; Osserva Par. 1) I fatti e l'oggetto del giudizio. In data 8 marzo 2024 il pubblico ministero presso il Tribunale di Benevento avanzava al GIP, in relazione a delitto ex art. 572, commi 1 e 2 del codice penale, richiesta di applicazione congiunta delle misure cautelari di cui agli articoli 282-bis e 282-ter del codice di procedura penale, con le modalita' di controllo di cui all'art. 275-bis del codice di procedura penale, nei confronti dell'indagato S. G. In particolare, osservava l'accusa pubblica, l'applicazione «del solo allontanamento dalla casa familiare avrebbe consentito come prescrizione solo quella del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla p. o. ma non alla persona offesa stessa», ragione per cui era «necessario il cumulo delle due misure». Il giudice per le indagini preliminari, con ordinanza del 19 marzo 2024, riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza del delitto di maltrattamenti in danno di moglie e figli ascritto al prevenuto. Applicava, tuttavia, la sola misura ex art. 282-ter del codice di procedura penale del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalle pp.oo. - M. N., S. P. ed il minore S. M. P. -, osservando come la stessa fosse sufficiente ai fini preventivi ex art. 274 lettera c) del codice di procedura penale in quanto «tale presidio poteva da solo risultare idoneo ad evitare i contatti tra lo Stefanelli ed il resto del nucleo familiare», «non apparendo necessario disporre in aggiunta ulteriori misure cautelari come richiesto dal P.M. procedente». Inoltre il giudice per le indagini preliminari non disponeva l'applicazione di alcun dispositivo ex art. 275-bis del codice di procedura penale, come di contro richiesto dal pubblico ministero. In data 20 marzo 2024 il pubblico ministero presentava al Tribunale del riesame atto di appello ex art. 310 del codice di procedura penale avverso la richiamata ordinanza. Il pubblico ministero censurava la decisione del primo giudice sotto piu' profili. In prima battuta, il pubblico ministero - pg 2 dell'atto di appello - lamentava come non fosse giustificata la mancata applicazione della misura dell'allontanamento dalla casa familiare ex art. 282-bis del codice di procedura penale in relazione ad una vicenda di maltrattamenti posta in essere da un indagato che conviveva con le pp.oo., tanto piu' che il giudice per le indagini preliminari, nell'enucleare le esigenze cautelari, asseriva come «l'aggressivita' e la pervicacia manifestata dall'indagato e' tale da far ritenere pressoche' certo che egli, in assenza di interventi cautelari, continuera' nella sua attivita' criminosa». Il motivo di impugnazione era da ritenersi fondato. Con riguardo alla scelta della misura da applicare il giudice per le indagini preliminari non enunciava alcuna motivazione per la quale non riteneva di accedere alla richiesta del pubblico ministero relativamente all'applicazione della misura dell'allontanamento dalla casa familiare. Ebbene, fermo il vuoto motivazionale, il Tribunale del riesame non poteva che condividere la prospettazione accusatoria secondo la quale, nella specie, la misura andava concessa. Ed invero, in vicende di maltrattamenti intrafamiliari, le esigenze preventive da salvaguardare vanno soddisfatte mediante un intervento che impedisca con ragionevole efficacia ogni contatto tra l'indagato e le pp.oo.: il che, quando sussiste - come nel caso, cfr. denuncia p. o. - una condizione di convivenza, non puo' che passare per l'ordine di allontanamento dalla abitazione di famiglia, luogo in cui l'indagato sistematicamente realizza gli abusi e i maltrattamenti oggetto della vicenda cautelare. A tal fine, pertanto, appare «tipicamente idoneo» lo strumento dell'ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice di procedura penale. Laddove il presupposto della misura cautelare ex art. 282-bis e' non solo la condizione di «attuale» coabitazione, quanto anche l'esistenza di una situazione - nella specie ricorrente - per cui all'interno di una relazione di contiguita' si manifestano condotte in grado di minacciare l'incolumita' delle persone offese (Fattispecie in tema di maltrattamenti in famiglia, Cassazione penale, Sez. VI, 15 aprile 2010, n. 17788; in senso conforme alla massima, v. Sez. VI, 4 febbraio 2008, n. 25607, [...], in C.E.D. Cassazione, n. 240773). Il divieto di avvicinamento, a ben vedere, puo' essere applicato al posto dell'allontanamento dalla casa familiare - misure queste in tendenziale «rapporto di alternativita'» - solo quando ricorra «il presupposto negativo dell'assenza di una situazione di convivenza che renda necessario prima di tutto allontanare l'autore del reato dalla casa familiare» (Cassazione Pen. Sez. 5, sentenza n. 12503 del 2020). Quando la convivenza esista, di contro, sara' la misura dell'allontanamento (con le prescrizioni di cui si dira') a soddisfare le esigenze cautelari da presidiare. In seconda battuta, il pubblico ministero contestava (pg. 2 e 3 dell'atto di appello) la circostanza che il (Giudice per le indagini preliminari non aveva stabilito il divieto di avvicinamento anche direttamente a favore delle pp.oo., avendo il primo giudice inibito ogni avvicinamento solo rispetto «ai luoghi abitualmente frequentati dalle medesime pp.oo.» e non - si ribadiva - alle persone fisiche delle pp.oo. La censura era fondata, seppur con le precisazioni che seguono. Il divieto di avvicinamento (direttamente) alla persona offesa rientra tra le prescrizioni accessorie suscettibili di essere inserite nell'ordine di allontanamento della casa familiare ex art. 1282-bis, comma 2, del codice di procedura penale affinche' sia consentito al giudice di conformare lo strumento alle specifiche esigenze da salvaguardare attraverso l'indicazione delle relative modalita' e limitazioni. In particolare, e' stato gia' osservato che sarebbe irrazionale prevedere a tutela della persona offesa, nell'ambito dell'art. 282-bis del codice di procedura penale, una prescrizione accessoria di divieto di avvicinamento ai luoghi da lei frequentati ed impedire, invece, al giudice di disporre un divieto di avvicinamento direttamente alla sua persona. Infatti, una volta delineata con legge n. 154/2001, introduttivo dell'art. 282-bis del codice di procedura penale, la misura dell'allontanamento dalla casa familiare, la successiva introduzione dell'art. 282-ter del codice di procedura penale (avvenuta con decreto-legge n. 11/2009, convertito con legge n. 38/2009 legge sullo stalking), che ha previsto direttamente il divieto di avvicinamento alla persona offesa in prima battuta, e' stata determinata dall'esigenza di prevedere un presidio cautelare analogo anche «alle relazioni non fondate sulla convivenza» o comunque «sulla condivisione della casa familiare» (Cassazione Pen. Sez. 6, sentenza n. 24351 del 28 aprile 2023). Per cui, se nulla impedisce al giudice della cautela di disporre il divieto di avvicinamento alla p.o. mediante una apposita prescrizione accessoria rispetto alla (unica) misura dell'allontanamento alla casa familiare applicata, era inutile invocare (e richiedere) l'ulteriore misura del divieto di avvicinamento, come di contro fatto dal P.M. Ritiene in ogni caso il Tribunale che, seppur nessuna misura cumulativa andasse nella specie richiesta (ne' emessa), dovevasi in ogni caso accogliere l'appello del pubblico ministero per il fatto che il giudice per le indagini preliminari, senza motivazioni, non aveva comunque adottato - come pur richiesto - la prescrizione accessoria del divieto di avvicinamento direttamente alle pp.oo., oltre che ai luoghi dalle stesse frequentati. Laddove - a fronte di gravi indizi di maltrattamenti intrafamiliari - era certamente opportuno impedire, sempre e comunque, rischiosi avvicinamenti dell'indagato alle pp.oo. vittime delle sue vessazioni, a prescindere dai luoghi in cui questi avvicinamenti potevano avvenire. Con ulteriore motivo di impugnazione, il pubblico ministero lamentava che il giudice per le indagini preliminari non aveva fatto applicazione dei sistemi di controllo ex art. 275-bis del codice di procedura penale, restando completamente silente sulla relativa richiesta pur avanzata. Preliminarmente, andava riconosciuta la piena ammissibilita' del motivo di gravame, relativamente alla applicazione dei sistemi ex art. 275-bis del codice penale, in quanto la giurisprudenza riconosce la ricorribilita' in appello anche dei provvedimenti (o relative statuizioni) che riguardino o incidano sulle modalita' di esecuzione della misura cautelare adottata (C., Sez. III, 17 febbraio 2011, n. 13119, in Mass. Uff., 249946; C., Sez. VI, 24 settembre 2010, in Mass. Uff., 248593; C., Sez. II, 5 giugno 2008, n. 34877, in Mass. Uff., 241815; C., Sez. II, 16 gennaio 2008, n. 5589, in Mass. Uff., 238865 con riferimento all'isolamento diurno in carcere; in generale C., S.U., 3 dicembre 1996, [...], in CP, 1997, 1325). Sul tema, e' stato affermato a piu' riprese che sono impugnabili mediante appello ex art. 310 del codice di procedura penale le decisioni del giudice per le indagini preliminari che incidono sulla misura per periodi permanenti o prolungati e che, proprio per il loro carattere permanente, si riverberano in misura apprezzabile sul regime cautelare, qualificandosi, pertanto, come ordinanze cautelari: laddove la decisione di applicare o meno il «braccialetto elettronico» incide significativamente sul regime dei divieti ex articoli 282-bis del codice di procedura penale, connotandone in termini piu' pregnanti l'efficacia dissuasiva, per cui il relativo rigetto - rispetto alla richiesta del PM - non puo' non essere sindacato dal Tribunale del riesame ex art. 310 del codice di procedura penale (sui principi, Sez. 5, sentenza n. 26601 del 21 febbraio 2018). Cio' posto, la doglianza era nuovamente fondata. A seguito della legge n. 168/2023, l'art. 282-ter del codice di procedura penale prevede, al comma 1, che «con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi o dalla persona offesa, disponendo l'applicazione delle particolari modalita' di controllo previste dall'art. 275-bis». Il nuovo disposto letterale della norma evoca un automatismo nell'applicazione delle modalita' di controllo ex art. 275-bis cit., quando si faccia ricorso alla misura cautelare ex art. 282-ter del codice di procedura penale. Tanto soprattutto ove si confronti il nuovo testo della norma processuale con quello precedente, introdotto con il decreto-legge n. 93/2019, convertito in legge n. 69/2019, secondo cui «con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi ai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, anche disponendo l'applicazione delle particolari modalita' di controllo previste dall'art. 275-bis». La recente soppressione nel 2023 della parola «anche» - inizialmente inserita nella norma dalla disciplina sul cd. codice rosso - appare confermare il fatto che non residui piu' in capo al giudice della cautela alcuna discrezionalita' con riguardo alla sorveglianza elettronica, dovendosi sempre disporre - in caso di applicazione della misura ex art. 282-ter del codice di procedura penale - il cd. «braccialetto elettronico», onde meglio controllare, mediante le segnalazioni a distanza del dispositivo, il rispetto delle prescrizioni di non avvicinamento. Il dato, peraltro, sembra corrispondere alla intentio legis della novella, per quanto evincibile dai lavori preparatori del disegno di legge che ha poi condotto alla emanazione della legge n. 168/2023. Si legge nel dossier n. 123/2 di accompagnamento del disegno di legge che «i numeri 3 e 4 della lettera c) prevedono inoltre, sempre in relazione all'allontanamento dalla casa familiare di cui all'art. 282-bis, comma 6, che tale misura coercitiva sia sempre accompagnata dalla imposizione, attualmente facoltativa, delle modalita' di controllo previste dall'art. 275-bis del codice di procedura penale. [...] La lettera d) apporta modifiche analoghe a quelle sopra richiamata alla disciplina del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all'art. 282-ter del codice di procedura penale» (pg 60 e 61). Dal fascicolo iter DDL S. 923 (che al Senato ha condotto all'approvazione del testo definitivo) si desume ancora: che l'eliminazione della parola «anche» - con obbligatorieta' del braccialetto - aveva luogo sin dal disegno di legge trasmesso dalla Camera al Senato (art. 12 del disegno di legge); che nel corso dei lavori della Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea), seduta n. 106 (pom.) del 21 novembre 2023, si sottolineava come «l'art. 12» del progetto di legge contemplasse «il rafforzamento delle misure cautelari e dell'uso del braccialetto elettronico», nel senso di ampliarne chiaramente l'applicazione; che il disegno di legge era «diretto a rafforzare la protezione delle vittime di violenza attraverso misure di prevenzione nonche' il potenziamento delle misure cautelari» (seduta dell'assemblea n. 128 del 22 novembre 2023); che «la misura coercitiva ex art. 282-bis del codice di procedura penale va sempre accompagnata (laddove nell'assetto vigente e' facoltativa) dall'imposizione del braccialetto elettronico» (dossier n. 98 del progetto di legge), tanto che «le norme in esame appaiono suscettibili di determinare, come confermato dalla stessa relazione tecnica, un maggior ricorso all'impiego dei braccialetti elettronici rispetto a quanto previsto nell'ambito della vigente disciplina». Insomma, la ratio sottesa alla proposta di legge in esame e' chiaramente quella di rendere piu' stringente ed efficiente l'attuale disciplina in materia di contrasto della violenza di genere, a fronte degli interventi legislativi che si sono di recente susseguiti per dare piena attuazione ai principi ispiratori della Convenzione di Istanbul per la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica. Per l'effetto, il legislatore ha inteso certamente rafforzare l'efficacia dissuasiva del divieto ex art. 282-ter del codice di procedura penale (ovvero ex art. 282-bis del codice di procedura penale, anche nelle sue prescrizioni accessorie), integrando il contenuto dell'intervento cautelare mediante un presidio elettronico obbligatorio, la cui stabile operativita' mira a disincentivare ogni violazione e, in tal modo, meglio tutelare le ragioni delle pp.oo. Corrispondentemente, e' stato modificato anche l'art. 282-bis, comma 6 del codice di procedura penale. Prima della legge n. 168/2023, tale norma prevedeva che «qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-septies.1, 600-septies.2, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612, secondo comma, 612-bis, del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura puo' essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 280, anche con le modalita' di controllo previste all'art. 275-bis2». Dopo l'ultima novella, si prevede che «qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 575, nell'ipotesi di delitto tentato, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, 583-quinquies, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-septies.1, 600-septies.2, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612, secondo comma, 612-bis, del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura puo' essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 280, con le modalita' di controllo previste dall'art. 275-bis e con la prescrizione di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, dalla casa familiare e da altri luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale caso, il giudice prescrive le relative modalita' e puo' imporre limitazioni». Nuovamente, sparisce l'epiteto «anche», prima inserito a seguito delle modifiche apportate dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 con riguardo alle «modalita' di controllo previste dall'art. 275-bis del codice di procedura penale», a conferma - secondo un disegno armonicamente coerente - di una volonta' di generale automatismo nell'applicazione dello strumento elettronico nei casi di divieto di avvicinamento disposto anche quale prescrizione accessoria nell'ambito della misura ex art. 282-bis del codice di procedura penale), in relazione ai reati specificamente indicati. Il nuovo «obbligo del braccialetto» non appare foriero di dubbi di legittimita' costituzionale, come di contro ventilato dalla difesa dello S[...]. Il legislatore, infatti, ha semplicemente inteso modificare il contenuto delle misure cautelari ex articoli 282-bis e 282-ter del codice di procedura penale, integrando il relativo regime con un costante sistema di sorveglianza elettronica che ne rafforza l'efficacia preventiva. Nel fare questo, non si e' inciso in alcun modo su di un qualche precetto costituzionale, in quanto si e' lasciato sempre al prudente apprezzamento del giudice della cautela se, sulla scorta delle esigenze cautelari ritenute secondo i parametri degli articoli 274 e 275 del codice di procedura penale, si debba fare ricorso o meno all'intervento cautelare (dal che, il richiamo della difesa alle «presunzioni cautelari» ex art. 275 del codice di procedura penale e' apertamente inconferente). E se il giudice da' corso alla misura, l'applicazione generalizzata del «braccialetto» non viola alcun principio di uguaglianza, posto che, secondo una valutazione ragionevole del legislatore, il «nuovo» divieto di avvicinamento (prescrizione accessoria ex articoli 282-bis del codice di procedura penale ovvero misura cautelare ex art. 282-ter del codice di procedura penale) per tutti gli indagati contemplera' il predetto monitoraggio precauzionale, in attuazione di una - non sindacabile ne' illogica - scelta di politica criminale, volta a rafforzare la tutela delle vittime di taluni reati socialmente sensibili. Ad esiti diversi non puo' pervenirsi, poi, per il solo fatto che, ai sensi dell'art. 275-bis del codice di procedura penale (parimenti novellato dalla legge n. 168 cit.), quando il giudice dispone «la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere», «prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, salvo che le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto»: secondo questa norma, infatti, il legislatore non impone un «obbligo di braccialetto», prevedendone l'applicazione sempre che non intervenga una diversa valutazione del giudice, che potrebbe ritenere non indispensabile la sorveglianza elettronica sulla scorta della specificita') del caso concreto. La differente disciplina non puo' considerarsi intrinsecamente irragionevole. Tanto sulla scorta del rilievo che diverse sono (pure) le misure cautelari rispetto alle quali essa opera. Gli arresti domiciliari sono una misura custodiale: per cui in tali casi il «braccialetto elettronico» mira ad evitare allontanamenti non autorizzati (evasioni) e, indirettamente, reiterazioni del reato. L'ordine di allontanamento e/o il divieto di avvicinamento sono, di contro, misure non custodiali e, stavolta, il braccialetto e' finalizzato a prevenire, piu' che generici spostamenti non autorizzati, direttamente i contatti con la p.o. prodromici alle condotte criminose censurate. Ne deriva che, se l'ambito operativo della sorveglianza e', solo in quest'ultimo caso, tutto orientato a scongiurare in via immediata (e non riflessa) nuove condotte criminose (corrispondenti ad ulteriori lesioni dei diritti della p.o.), una diversa modulazione del regime dei dispositivi ex art. 275-bis del codice di procedura penale - con piu' accentuato utilizzo del medesimo in caso di misure non custodiali - non appare affatto irrazionale. D'altronde, appare utile rimarcare ancora, le misure non custodiali presuppongono un affidamento alla capacita' di autocontrollo dell'indagato nettamente superiore rispetto a quello che si ripone negli indagati sottoposti alle misure custodiali, posto che, nel primo caso, il reo resta comunque in liberta'. Ed anche tale aspetto appare giustificare la scelta legislativa di dare seguito, per garantire l'efficacia dell'intervento, ad un controllo elettronico piu' stringente nelle misure ex art. 282-bis e ter del codice di procedura penale, laddove un tale maggiore monitoraggio, evitando misure piu' gravose, risponde, in prospettiva costituzionale, ad un virtuoso bilanciamento tra le esigenze di difesa sociale («braccialetto») ed i diritti di liberta' dell'indagato (misura non custodiate), senza ulteriore ed inutile compressione («minor sacrificio necessario») della sfera giuridica dell'indagato. In definitiva, il Tribunale e' chiamato ad emettere, in questo giudizio di appello, la misura ex art. 282-bis del codice di procedura penale, con le prescrizioni accessorie del divieto di avvicinamento alle pp.oo. nonche' dell'applicazione dei sistemi di controllo ex art. 275-bis del codice di procedura penale. Par. 2) La norma oggetto dell'incidente di costituzionalita' e primi profili di rilevanza in questo giudizio. Il Tribunale deve a questo punto confrontarsi con gli ultimi due periodi dell'art. 282-bis, comma 6, pen. (come novellato dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 24 novembre 2023, n. 168), secondo cui: «Con lo stesso provvedimento che dispone l'allontanamento, il giudice prevede l'applicazione, anche congiunta, di una misura piu' grave qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione delle modalita' di controllo anzidette». «Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi». Il primo periodo riguarda l'ipotesi in cui l'indagato, destinatario di un provvedimento ex art. 282-bis del codice di procedura penale assistito dal «braccialetto elettronico» ex art. 275-bis del codice di procedura penale, rifiuti di farselo applicare. Per la relativa evenienza, la legge prevede che il giudice disponga, sin dal provvedimento genetico, un aggravamento del regime cautelare («misura piu' grave», «anche congiunta»). «Negare il consenso» al controllo elettronico da parte dell'indagato giustifica, nella prospettazione legislativa, una valutazione di maggiore pericolosita', capace di fondare di per se' un (obbligatorio) intervento piu' cogente. Il meccanismo non era sconosciuto al sistema. Gia' l'art. 275-bis del codice di procedura penale, prima della novella ex legge n. 168 cit., prevedeva all'ultimo periodo del comma 1, relativamente agli arresti domiciliari assistiti dal «braccialetto», che «con lo stesso provvedimento il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti». In sostanza, il rifiuto di collaborare al presidio elettronico e' posto dalla legge alla base di una presunzione assoluta di (sopravvenuta) inadeguatezza della misura originariamente disposta, imponendo l'applicazione: o del carcere ex art. 275-bis del codice di procedura penale, quando si parte dai domiciliari; o di una misura piu' grave, anche congiuntamente operante rispetto a quella originaria, ex art. 282-bis del codice di procedura penale, comma 6 di nuovo conio, quando si parte da un ordine di allontanamento e/o da un divieto di avvicinamento. Il secondo periodo riguarda un'altra ipotesi. Ed e' proprio questa a destare un ragionevole dubbio di costituzionalita' nel Collegio. La norma prevede che, nel caso in cui «l'organo delegato per l'esecuzione» accerti «la non fattibilita' tecnica» delle modalita' di controllo a distanza, il giudice interviene (come nel caso precedente) nel senso di «imporre l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi». La questione di costituzionalita' di tale ultima disposizione e' rilevante in questo giudizio perche' il Tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero ed integrando la misura emessa dal giudice per le indagini preliminari con i dispositivi elettronici ex art. 275-bis del codice di procedura penale invocati dall'appellante, deve fare necessariamente applicazione anche del disposto di cui all'art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo del codice di procedura penale. Il legislatore, infatti, prevede che «con lo stesso provvedimento» - con cui si applicano i sistemi di controllo ex art. 275-bis del codice di procedura penale - si imponga l'(automatico) aggravamento del regime per le due ipotesi: «diniego del consenso» al braccialetto e «non fattibilita' tecnica» del braccialetto. Vero e' che la locuzione «con lo stesso provvedimento» e' inserita dal legislatore solo in apertura del penultimo periodo del comma 6 cit., quello relativo al diniego del consenso («Con lo stesso provvedimento che dispone l'allontanamento, il giudice prevede l'applicazione, anche congiunta, di una misura piu' grave qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione delle modalita' di controllo anzidette»). Mentre il periodo successivo, senza ripetere la locuzione «con lo stesso provvedimento», recita direttamente «Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi». Nondimeno, ritiene questo Collegio che la volonta' del legislatore, per quanto implicitamente espressa, e' chiara nel senso di richiedere al giudice della cautela - sin dal momento genetico della misura - la previsione dell'aggravamento in entrambe le ipotesi. La locuzione «con lo stesso provvedimento», sebbene non ripetuta in apertura dell'ultimo periodo, e' desumibile, oltre che dalla stretta ed immediata consecutio delle proposizioni, dalla identita' di ratio della disciplina, essendosi voluto prevedere come, tutte le volte che la sorveglianza elettronica non abbia seguito, sia previsto dal giudice, sin dall'origine, un regime cautelare «rafforzato» a tutela della p.o. D'altronde, ad opinare in senso diverso, dovrebbe affermarsi che solo nel caso di «non fattibilita' tecnica» (e non nel caso di «diniego del consenso») il pubblico ministero dovrebbe avanzare una nuova istanza al giudice della cautela per «la misura, anche congiunta e piu' grave» ed il giudice emettere a sua volta un distinto e successivo provvedimento. In questo caso, pero', la procedura apparirebbe non solo piu' farraginosa, ma soprattutto non in linea con la ratio generale dell'intervento legislativo, ratio improntata alla sollecitudine ed alla efficacia della iniziativa cautelare, secondo uno schema di previsione immediata e preventiva di aggravamento che gia' opera da tempo nell'art. 275-bis del codice di procedura penale (rifiuto del braccialetto da parte del detenuto ai domiciliari e carcere) e che, infatti, e' stato pedissequamente riproposto con la novella del 2023. Insomma, la differenziazione del regime dell'«aggravamento», relativamente alla ipotesi di «non fattibilita' tecnica», con necessita' solo in quest'ultimo caso di un «ulteriore provvedimento», sembra distonica in una prospettiva di interpretazione logica e sistematica della norma. Per cui, appare corretto assumere che «con lo stesso provvedimento» che applica i braccialetti il giudice debba prevedere non solo «una misura piu' grave, anche congiunta, qualora l'imputato neghi il consenso» ai sistemi ex art. 275-bis del codice di procedura penale, ma anche «l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi», «qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica» della sorveglianza elettronica. Peraltro, l'utilizzo dell'indicativo, riferito al giudice che «impone» le «ulteriori misure», evoca un automatismo (come si dira') dell'aggiuntivo intervento cautelare che sembra nuovamente militare per una sua previsione (immediata e preventiva) sin dal momento genetico, essendo sostanzialmente inutile una «seconda» richiesta del pubblico ministero per l'emissione di un (nuovo) provvedimento da parte del giudice, quando - di fronte alla «non fattibilita'» - nessuna particolare valutazione in ordine all'«an» dell'aggravamento e' rimessa all'autorita' giudiziaria (a parte il «quomodo» del medesimo, in ogni caso obbligato, cfr. infra). Tale interpretazione rende pertanto immediatamente rilevante la questione di costituzionalita' che si andra' ad esporre con riguardo all'art. 282-bis del codice di procedura penale, comma 6, ultimo periodo. Cio' in quanto - si ribadisce - di tale norma il Collegio deve fare immediata applicazione «con lo stesso provvedimento» di applicazione della misura e delle contestuali prescrizioni accessorie relative ai sistemi ex art. 275-bis del codice di procedura penale. Par. 3) Non manifesta infondatezza. Par 3.1) Aggravamento del regime. La norma oggetto di scrutinio recita: «Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi». Secondo la disposizione, per il caso di accertata «non fattibilita' tecnica», il regime cautelare deve ricevere una immediata modifica dal giudice. Il legislatore, a riguardo, utilizza due volte la particella «anche». Si impone al giudice l'applicazione «anche congiunta» di «ulteriori misure». Si impone al Giudice l'applicazione di «ulteriori misure» «anche piu' gravi». In tutte le ipotesi, a dispetto del tenore letterale della norma, l'effetto che deriva a carico dell'indagato e' sempre quello di un aggravamento del regime cui e' sottoposto. Qualora infatti il giudice opti per l'applicazione «congiunta» di «ulteriori misure» (l'espressione «anche congiunta» postula chiaramente una scelta), il secondo «anche» («anche piu' gravi») consentira' all'organo decidente di applicare, in aggiunta, sia una misura piu' grave (divieto di dimora o arresti domiciliari) sia una misura meno grave (obbligo di presentazione alla PG). In entrambi i casi, il trattamento che ne derivera' sara' peggiorativo per l'indagato, in quanto lo stesso si trovera' soggetto alla vigenza non solo della misura originaria (ordine di allontanamento, con le prescrizioni accessorie di legge), ma anche della misura «aggiuntiva» (per quanto meno grave) disposta in relazione alla «non fattibilita' tecnica», derivandone una maggiore compressione complessiva della sua sfera giuridica. Il cumulo delle misure, in sostanza, e' di per se' «in malam partem». Qualora il giudice opti, invece, per l'applicazione «non congiunta» della «ulteriore misura», la misura (stavolta) «sostitutiva» non potra' che essere piu' grave di quella originaria, laddove la (seconda) locuzione «anche» (riferita alle «ulteriori misure anche piu' gravi») solo apparentemente conferisce al giudice un reale potere di scelta. Ed infatti, una volta che il giudice decida di sostituire (e non cumulare) l'ordine di allontanamento con altra («ulteriore») misura, quest'ultima dovra' essere necessariamente piu' grave della prima. Cio' sulla scorta dell'incontestabile rilievo per cui sarebbe un controsenso logico-giuridico attenuare un regime ex art. 282-bis del codice di procedura penale una volta che lo stesso non possa essere elettronicamente sorvegliato. In sostanza, se si decide di applicare un ordine di allontanamento, e' impossibile «tornare indietro» se, in sede di esecuzione, si scopre che lo stesso non puo' essere presidiato con i sistemi ex art. 275-bis del codice di procedura penale. Tanto piu' che, se fosse stata adeguata una misura meno gravosa dell'ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice di procedura penale, quest'ultimo non avrebbe dovuto essere emesso ab origine. In definitiva, a dispetto della equivoca lettera della norma, l'unica sostituzione possibile della misura ex art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo del codice di procedura penale e' nel senso di una misura piu' grave. E quando il legislatore evoca un potere di scelta sulla gravita' delle ulteriori misure da applicare («anche piu' gravi») in realta' non puo' che riferirsi alla sola ipotesi di applicazione cumulativa. Su tali basi, anche la applicazione «non cumulativa» (quindi sostitutiva) delle «ulteriori misure» ha un effetto negativo sulla sfera giuridica dell'indagato, comportandone un aggravamento del trattamento cautelare. Par. 3.2) Obbligo per il giudice. La norma prevede che, in caso di non fattibilita' tecnica, il giudice «impone» l'applicazione del regime cautelare piu' gravoso. L'utilizzo dell'indicativo non sembra lasciare diversi margini interpretativi. Il giudice e' obbligato dalla legge a disporre il suddetto aggravamento. Piu' volte, nel codice di rito, il legislatore, con specifico riguardo alla materia cautelare, ha posto un vincolo di tal fatta impiegando identica modalita' espressiva. L'indicativo e' utilizzato nell'art. 275-bis del codice di procedura penale, quando si statuisce che il giudice prevede «l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti»: ed e' pacifico che, in questo caso, il diniego del consenso sia «causa automatica di applicazione della custodia cautelare in carcere» (Sez. U., sentenza n. 20769 del 2016). L'indicativo e' utilizzato nell'art. 276, comma 1-ter del codice di procedura penale quando si prevede che «il giudice dispone la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora», salvo che il fatto sia di lieve entita': ed e' stato affermato da tempo che la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ove ritenuta non di lieve entita', determina la revoca obbligatoria di tale misura ex art. 276, comma 1-ter, del codice di procedura penale, seguita dalla sostituzione con la custodia in carcere, non dovendo il giudice previamente valutare le esigenze cautelari ovvero l'idoneita' degli arresti domiciliari con modalita' elettroniche di controllo (da ultimo, Cassazione Pen. Sez. 6, Sentenza n. 8630 del 24 gennaio 2024). L'indicativo e' utilizzato, ancora, nell'art. 321 comma 2-bis del codice di procedura penale dedicato ai delitti previsti dal Capo I del Titolo II del libro secondo del codice penale, quando si prevede che «il giudice dispone il sequestro dei beni di cui e' consentita la confisca»: e nuovamente la Suprema Corte ha ritenuto che l'utilizzo di tale formula verbale abbia un significato di «presunzione di esistenza di esigenze cautelari», in quanto la norma consente al giudice il sequestro sulla scorta della mera confiscabilita' della res, senza alcuna valutazione del periculum in mora, valutazione di contro richiesta ai sensi dell'art. 321, comma 2, del codice di procedura penale (Sez. UU [...], n. 36959/2021). L'indicativo e' da ultimo impiegato nella norma cardine delle presunzioni in materia cautelare, contenuta nell'art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. In definitiva, secondo la disposizione in esame, al giudice non e' dato apprezzare diversamente in punto di esigenze cautelari e/o adeguatezza. Se vi e' la «non fattibilita' tecnica» del braccialetto, la misura cumulativa (piu' o meno grave) o sostitutiva (piu' grave) va disposta sempre. Par. 3.3) La presunzione assoluta. Il disposto normativo esprime, in tal modo, una presunzione «assoluta». Per l'ipotesi di non «fattibilita' tecnica», il legislatore «presume» che l'ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice penale, pur assistito da un divieto di avvicinamento, non sia (mai) idoneo a salvaguardare le esigenze cautelari ex art. 274, lettera c), del codice di procedura penale ritenute dal giudice. E sulla scorta di questo generalizzato «giudizio di inadeguatezza», correlato al mero dato della non fattibilita' della sorveglianza elettronica, obbliga il Giudice a disporre un aggravamento del regime nei termini sopra enunciati, senza lasciare allo stesso alcun margine di diverso apprezzamento. E' di intuitiva evidenza la correlazione tracciabile tra tale nuova «presunzione» e la disposizione cardine delle presunzioni in tema di cautela personale contenuta nell'art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Gia' le SS.UU. n. 20769 del 2016 hanno ricordato «il ruolo decisivo» assunto dal giudice delle leggi nel confinare in ambiti ragionevoli le «presunzioni assolute di adeguatezza» (in quel caso, della sola custodia in carcere) in materia cautelare, a partire dalla sentenza n. 265 del 2010. Le plurime sentenze della Consulta hanno rimarcato a piu' riprese (sentenza n. 48 del 2015) come «i principi costituzionali di riferimento implicano che la disciplina della materia debba essere ispirata al principio del "minore sacrificio necessario": la compressione della liberta' personale va contenuta, cioe', entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto». Cio' impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della «pluralita' graduata», predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla liberta' personale; dall'altra, a prefigurare, in corrispondenza, criteri per scelte «individualizzanti» del trattamento cautelare, coerenti e adeguate alle esigenze configurabili nei singoli casi concreti. Le valutazioni espresse dal giudice delle leggi in questo percorso «demolitorio» hanno evidenziato come «i limiti di legittimita' delle misure cautelari risultino espressi, a fronte del principio di inviolabilita' della liberta' personale (art. 13, primo comma, della Costituzione) - oltre che dalle riserve di legge e di giurisdizione (art. 13, secondo e quarto comma, della Costituzione) - anche e soprattutto dalla presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, della Costituzione), a fronte della quale le restrizioni della liberta' personale dell'indagato o dell'imputato nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni nitidamente differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo l'accertamento definitivo della responsabilita'. Per cui, a partire dal 2010, la Corte costituzionale ha colpito con varie dichiarazioni di illegittimita' costituzionale le presunzioni assolute di adeguatezza (del carcere) in materia cautelare. Ribadendo un principio formulato sin dalla sentenza n. 139 del 2010, si e' affermato in tali occasioni che «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, e cioe' se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit; evenienza che si riscontra segnatamente allorche' sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa. Nei casi in esame, a determinare il vulnus al principio di eguaglianza - e conseguentemente alle ragioni di tutela del diritto alla liberta' personale e della presunzione di innocenza - era il carattere assoluto della presunzione di adeguatezza, che implicava una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del "minimo sacrificio necessario" della liberta' personale dell'interessato». Nel caso in esame, ritiene il Collegio che la presunzione assoluta di adeguatezza di un regime cautelare piu' severo, rispetto alla sola misura ex art. 282-bis del codice di procedura penale, per l'ipotesi di «non fattibilita' tecnica» della sorveglianza elettronica, sia «arbitraria ed irrazionale» perche': non risponde ad un dato di esperienza generalizzante la necessita', sempre e comunque, di un ulteriore presidio cautelare a carico di un indiziato di reato ex art. 572 del codice penale, per il solo fatto che non puo' essere attivato il «braccialetto elettronico» nell'ambito della misura ex art. 282-bis del codice di procedura penale, tanto piu' quando - come nel caso - non vi sono elementi di pericolosita' di particolare allarme sociale; e' agevole formulare «ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa», sol che si consideri come sia frequente che indagati per reati di violenza domestica, una volta allontanati dall'abitazione, con aggiuntivo divieto di avvicinamento, si astengono dal reiterare le condotte censurate a prescindere dalla sorveglianza elettronica, senza che sia affatto indefettibile intervenire ulteriormente in malam partem per assicurare gli effetti preventivi perseguiti ex art. 274, lettera c), del codice di procedura penale. In definitiva, difetta nella specie una regola di esperienza sufficientemente condivisa circa la generale insufficienza della misura ex art. 282-bis, del codice di procedura penale a soddisfare le esigenze cautelari ex art. 274, lettera c), del codice di procedura penale in assenza di monitoraggio elettronico. Tanto piu' che nel caso sottoposto a questo Collegio S. G. ha posto in essere una sola aggressione fisica in danno della coniuge (in data [...], cfr. denuncia), sta pienamente rispettando la misura senza violare il divieto di avvicinamento gia' disposto, ha addirittura presentato in data [...] ricorso per separazione giudiziale nei confronti di M. N. e sta dimostrando di accettare - anche civilisticamente - il nuovo assetto familiare conseguente alla rottura del rapporto di coppia. Il che, se denota come nel caso di specie la mancanza di una sorveglianza elettronica potenzialmente non fattibile non giustifica affatto un regime cautelare (ancora) piu' severo ai danni di un indagato non particolarmente pericoloso, a maggior ragione conclama come, in generale, possano verificarsi facilmente situazioni interpersonali - di non particolare fibrillazione - nell'ambito delle quali la «presunzione assoluta di adeguatezza dell'aggravamento» (misura aggiuntiva o sostitutiva piu' grave), per il solo fatto che non possa applicarsi un braccialetto, non riposa affatto su dati di esperienza solidi e congruenti. La norma censurata sembra allora costituire un irragionevole esercizio della discrezionalita' del legislatore, violando gli articoli 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione. Se viene sottratto al giudice il potere di adeguare la misura al caso concreto, rileva una violazione del principio di uguaglianza, realizzandosi un «appiattimento» tra situazioni oggettivamente e soggettivamente diverse, con una uguale risposta cautelare. Inoltre, dalla lettura combinata degli articoli 13 e 27 della Costituzione emerge l'esigenza di circoscrivere allo strettamente necessario le misure limitative della liberta' personale, laddove la norma censurata stabilisce un automatismo applicativo di aggravamento tale da rendere inoperanti i criteri di proporzionalita' e di adeguatezza, in contrasto: con l'art. 13, primo comma, della Costituzione, quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure privative della liberta' personale; con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione, per l'attribuzione alla coercizione cautelare di tratti funzionali tipici della pena. Come e' stato gia' precisato in tema di presunzioni cautelari, cio' che vulnera i parametri costituzionali richiamati non e' la presunzione in se', ma il suo carattere assoluto, che implica una indiscriminata e totale negazione di rilevanza al principio del «minore sacrificio necessario». La presunzione deve essere relativa. La previsione di una presunzione solo relativa di adeguatezza dell'aggravamento - atta a realizzare una semplificazione del procedimento probatorio, pur suggerita da eventuali aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile da elementi di segno contrario - non eccede i limiti di compatibilita' costituzionale, rimanendo per tale verso non censurabile l'apprezzamento legislativo circa la ordinaria configurabilita' di esigenze cautelari nel grado piu' intenso e/o di adeguatezza di un regime piu' severo (sentenze n. 110 del 2012, n. 331, n. 231 e n. 164 del 2011, e n. 265 del 2010). Il Collegio pertanto ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo del codice di procedura penale (come novellato dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 24 novembre 2023, n. 168), secondo cui «Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi», nella parte in cui non recita ulteriormente «salvo che non le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto». Con un inserimento di tale valvola di sicurezza, si consente al giudice di dar seguito ad un regime cautelare sufficientemente individualizzante e si resta all'interno di un ambito compatibile con i precetti costituzionali evocati. Su tale linea si sono gia' espresse le SS.UU. della Suprema Corte di cassazione (Sez. U., sentenza n. 20769 del 2016) quando ci si e' dovuti pronunciare su quali fossero i corretti parametri di valutazione cui ispirarsi nel momento in cui, dopo che si era disposta la misura degli arresti domiciliari con i sistemi di controllo ex art. 275-bis, del codice di procedura penale, si verificava l'ipotesi di «indisponibilita'» del braccialetto elettronico. Le SS.UU. ripercorrevano tutta la giurisprudenza costituzionale in tema di «presunzioni» di adeguatezza. E sulla scorta di quei dicta rifiutavano ogni automatismo a favore del carcere, concludendo: «Nella ipotesi di constatazione della carenza del dispositivo, il giudice ha l'onere di giustificare l'individuazione della specifica misura applicabile, alla luce della circostanza di fatto della indisponibilita' del dispositivo. Tale interpretazione e' l'unica compatibile con i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 13 della Costituzione». Le SS.UU, pertanto, ribadivano che i principi costituzionali in tema di liberta' personale impediscono di far discendere un effetto di aggravamento del regime cautelare da un elemento tendenzialmente estraneo rispetto al giudizio di adeguatezza (indisponibilita' del braccialetto). Si consideri peraltro che «i problemi tecnici e logistici che rendono impossibile l'installazione del "braccialetto elettronico" (la fattibilita' tecnica) e' "situazione assimilabile a quella di indisponibilita' del suddetto strumento di controllo», per cui il tema oggi in esame e' di fatto sovrapponibile a quello valutato dalle SS.UU. (cfr. in motivazione Cassazione Pen. Sez. 2, sentenza n. 13735 del 2023). Se allora «i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 13 della Costituzione» impongono che il giudice, una volta che manchino i braccialetti per i detenuti ai domiciliari, non deve «automaticamente» propendere per il carcere, ma «individuare la specifica misura applicabile» sulla scorta di una valutazione del caso concreto (ben potendo lasciare il soggetto agli arresti domiciliari semplici), analogamente oggi quegli stessi «principi costituzionali» impongono al legislatore di non sottrarre completamente al giudice, con la censurata presunzione assoluta a favore dell'aggravamento senza possibilita' di prova contraria, la possibilita' di individuare il regime cautelare piu' adeguato al caso concreto, nel caso di «non fattibilita' tecnica» della sorveglianza elettronica nelle misure ex art. 282-bis e ter del codice di procedura penale. Ad alimentare da ultimo i dubbi di legittimita' costituzionali rimessi alla Consulta e' lo stesso confronto tra il regime della «non fattibilita' tecnica» normato nella disposizione di cui all'art. 282-bis, comma 6, cit. ed il regime del braccialetto elettronico regolato, in riferimento agli arresti domiciliari, all'art. 275-bis del codice di procedura penale. Infatti, in questa ultima disposizione, pur innovata dalla legge n. 168/2023, il legislatore si guarda bene dal prevedere effetti di aggravamento automatico per il caso di «non fattibilita' tecnica». Nel caso in cui il giudice, nell'applicare i domiciliari, ritenga di dar seguito alla sorveglianza elettronica ma riscontri («previo accertamento») la «non fattibilita' tecnica» della stessa, la norma tace. Ne deriva che, in ipotesi di tal fatta, il giudice non potra' che (continuare ad) effettuare libere valutazioni di adeguatezza e optare per i domiciliari semplici o il carcere sulla scorta delle specifiche peculiarita' della fattispecie rimessa al suo giudizio, secondo i principi - costituzionalmente orientati - tracciati dalle SS.UU. cit. Sara' il caso concreto ad orientare l'apprezzamento giudiziale. Non una presunzione (di aggravamento) priva di riscontro empirico. In definitiva, la diversa ed ingiustificata modulazione dei riflessi sull'indagato della «non fattibilita' tecnica» ex art. 275-bis del codice di procedura penale, operata dalle norme messe a confronto, rafforza i profili di fragilita' del disposto normativo ex art. 282-bis, comma 6, cit., spingendo nel senso prospettato dal Collegio remittente onde armonizzare il sistema. Par. 4) Impossibilita' di interpretazione conforme. La giurisprudenza della Corte costituzionale e' notoriamente costante nell'affermare che, nel caso di contrasti giurisprudenziali, ovvero in mancanza di pronunce della Cassazione, finanche ove sussista un orientamento prevalente ma si registrino anche decisioni difformi (ordinanza n. 252 del 2005), prima di sollevare l'incidente di costituzionalita' sia necessario verificare la praticabilita' di interpretazioni alternative della disposizione che siano rispettose del dettato costituzionale. Le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' sia possibile darne, e qualche giudice ritenga di farlo, interpretazioni incostituzionali, ma perche' e' impossibile darne interpretazioni costituzionalmente compatibili (sentenze n. 356 del 1996, n. 308 del 2008, n. 113 del 2015; ordinanze n. 85 e n. 464 del 2007, n. 15 del 2011). Di fronte a una pluralita' di interpretazioni possibili di una disposizione, i giudici sono tenuti a ricercare e preferire quella costituzionalmente adeguata, rifiutando quelle costituzionalmente incompatibili, sicche' la rimessione alla Corte diventa necessaria solo quando essi abbiano vanamente sperimentato la possibilita' dell'interpretazione adeguatrice (sentenze n. 322 e n. 432 del 2007; ordinanze n. 226 del 2008 e n. 146, n. 310 e n. 338 del 2009, n. 110, n. 192 e n. 322 del 2010, n. 15 e n. 101 del 2011). Tanto acclarato, si e' tuttavia parimenti ritenuto che il punto fino al quale il giudice e' tenuto ad esplorare la possibilita' di una lettura costituzionalmente orientata e' da individuarsi nel l'univoco tenore della norma, elemento capace di segnare il confine in presenza del quale il tentativo di interpretazione deve cedere il passo al sindacato di legittimita' costituzionale (sentenze n. 26 del 2010; ma anche sentenze n. 270 e n. 315 del 2010). Orbene, ritiene il Collegio che la norma, per il suo tenore letterale, non si presti ad interpretazione diverse da quella per cui si dubita della legittimita' costituzionale. La norma, come ampiamente sopra argomentato, con l'utilizzo dell'indicativo («impone» ulteriori misure) e con le opzioni previste (cumulo delle ulteriori misure o sostituzione con misura piu' grave) obbliga il giudice, per il caso di «non fattibilita' tecnica» del braccialetto, a dare seguito ad un aggravamento del regime cautelare in danno dell'indagato, sulla scorta di una presunzione assoluta di adeguatezza che viola i precetti costituzionali evocati. Ogni interpretazione che lasci spazio ad una diversa valutazione discrezionale del giudice appare in contrasto con la lettera della norma, dal che appare inevitabile chiedere l'intervento della Consulta. Par. 5) Profili ulteriori di rilevanza. Il Collegio ritiene rilevante l'intervento della Corte costituzionale (cfr. effettiva incidenza sulla decisione del giudizio a quo dell'intervento richiesto, ordinanze n. 403 del 2002, n. 70 e n. 111 del 2009, n. 264 del 2015), anche perche' non intende applicare nei confronti dell'indagato «ulteriori misure cautelari» (ne' cumulativamente ne' in sostituzione) per l'ipotesi in cui non vi sia la fattibilita' tecnica del braccialetto (mentre la norma obbliga in questo senso, mediante la «presunzione assoluta» censurata). S. G., infatti, pur avendo compiuto minacce ed atti di violenza nei confronti dei familiari, e' soggetto certamente contenibile mediante un ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice di procedura penale, integrato con le prescrizioni accessorie richieste dal pubblico ministero, senza che sia necessario un regime piu' severo per il solo fatto che la sorveglianza elettronica da disporre sia, nel caso, «tecnicamente non fattibile». Infatti, come gia' ricordato, S. G. ha posto in essere una sola aggressione fisica in danno della coniuge (in data [...], cfr. denuncia), sta pienamente rispettando la misura senza violare il divieto di avvicinamento gia' disposto, nonostante ad oggi nessuna sorveglianza elettronica sia stata attivata, ed ha addirittura presentato in data [...] ricorso per separazione giudiziale nei confronti di M. N. Solo la Corte costituzionale, con la pronuncia che si sollecita, puo' evitare che l'aggravamento sia disposto in ogni caso. La questione e' «attualmente» rilevante, sebbene il Collegio nulla sappia in ordine alla «non fattibilita' tecnica» della sorveglianza elettronica. Secondo la disposizione in esame, infatti, il giudice procedente non puo' verificare preventivamente la fattibilita' tecnica del sistema di controllo, ma e' tenuto semplicemente ad applicarlo nonche' a disporre contestualmente l'aggravamento per il caso in cui, in sede di esecuzione, sorgano problemi di attivazione. Se tant'e', sin dal momento genetico della misura l'ordine di dubbia legittimita' costituzionale viene emesso. Ed e' solo la sua materiale attuazione ad essere condizionata. Nondimeno, ritiene questo ufficio remittente che l'aspetto «eventuale e successivo» della «non fattibilita' tecnica» del braccialetto non incida sulla attualita' della rilevanza della questione sollevata, in quanto il contenuto del provvedimento giurisdizionale da emettersi deve in ogni caso fare applicazione del precetto di cui si chiede il vaglio della Consulta («Ai fini della rilevanza, e' sufficiente che il remittente debba fare applicazione in ogni caso nel giudizio a quo della norma denunciata», Corte costituzionale n. 216/1993). D'altronde, nella fase esecutiva il giudice della cautela non avrebbe piu' alcun modo di sollevare la questione, avendo perso la disponibilita' degli atti ed avendo in ogni caso gia' emesso l'ordine (di aggravamento) potenzialmente illegittimo (sulla tardivita' in questo caso della questione, per avvenuta pregressa applicazione della norma, ordinanza n. 176/2011 della Corte costituzionale). In ogni caso, non sarebbe di ostacolo alla ammissibilita' della questione l'essere stata la stessa sollevata nel corso di un procedimento cautelare allorquando il giudice a quo non abbia provveduto in via definitiva sulla istanza cautelare, e non abbia, percio', consumato la sua potestas iudicandi (sentenze n. 172 del 2012, n. 162 e n. 200 del 2014, n. 96 del 2015, n. 84 del 2016). P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva di ufficio la questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli articoli 3, 13 e 27 della Costituzione nei termini esplicati in parte motiva, dell'art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo del codice di procedura penale (come novellato dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 24 novembre 2023, n. 168), secondo cui «Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi», nella parte in cui non recita ulteriormente «salvo che non le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto». Sospende il procedimento in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che, a cura della cancelleria, sia notificata la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e che della stessa sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento nonche' alle parti. Napoli, 6 giugno 2024 Il Presidente: Cantone Il Giudice estensore: Scermino