Reg. ord. n. 177 del 2024 pubbl. su G.U. del 02/10/2024 n. 40

Ordinanza del Tribunale di Napoli  del 06/06/2024

Tra: G.S.

Oggetto:

Procedimento penale - Misure cautelari - Allontanamento dalla casa familiare – Applicazione delle modalità di controllo previste dall'art. 275-bis cod. proc. pen. (cosiddetto braccialetto elettronico) qualora si proceda per determinati delitti (nella specie, delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi di cui all’art. 572 cod. pen.) - Previsione che, qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi - Mancata previsione che il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi “salvo che non le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto” – Denunciata obbligatorietà di un regime cautelare più gravoso – Irragionevolezza – Automatismo applicativo di un aggravamento tale da rendere inoperanti i criteri di proporzionalità e di adeguatezza, in contrasto con il principio di inviolabilità della libertà personale e con il principio della finalità rieducativa della pena, a fronte dell’attribuzione alla coercizione cautelare di tratti funzionali tipici della pena – Diversa e ingiustificata incidenza sull’indagato della “non fattibilità tecnica” del cosiddetto braccialetto elettronico, regolato dall’art. 275-bis cod. proc. pen. in riferimento agli arresti domiciliari.

Norme impugnate:

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 282  Co. 6

legge  del 24/11/2023  Num. 168  Art. 12  Co. 1



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 13   Co.

Costituzione  Art. 27   Co.



Udienza Pubblica del 4 novembre 2025 rel. LUCIANI


Testo dell'ordinanza

                        N. 177 ORDINANZA (Atto di promovimento) 06 giugno 2024

Ordinanza del 6 giugno 2024 del Tribunale di Napoli nel  procedimento
penale a carico di G. S.. 
 
Procedimento penale - Misure cautelari -  Allontanamento  dalla  casa
  familiare - Applicazione delle modalita' di  controllo  elettronico
  previste dall'art. 275-bis cod. proc. pen. qualora si  proceda  per
  determinati delitti - Previsione che, qualora l'organo delegato per
  l'esecuzione accerti la non  fattibilita'  tecnica  delle  predette
  modalita' di controllo, il  giudice  impone  l'applicazione,  anche
  congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi - Mancata
  previsione che il giudice impone l'applicazione,  anche  congiunta,
  di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi "salvo  che  non  le
  ritenga non necessarie in relazione alla natura e  al  grado  delle
  esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto". 
- Codice di procedura penale, art. 282-bis, comma 6, ultimo  periodo,
  come modificato dall'art. 12, comma 1, lettera c), della  legge  24
  novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza
  sulle donne e della violenza domestica). 


(GU n. 40 del 02-10-2024)

 
                         TRIBUNALE DI NAPOLI 
                       X Sezione - Collegio B 
                Riesame dei provvedimenti restrittivi 
              della liberta' personale e dei sequestri 
 
    Il Tribunale, nelle persone dei magistrati: 
        dott.ssa Alessandra Cantone - Presidente; 
        dott. Alfonso Scermino - giudice est.; 
        dott.ssa Raffaella de Majo - giudice, 
    riunito in Camera di consiglio, ha emesso la  seguente  ordinanza
ex art. 23, legge n. 53/1987 nel giudizio di appello  introdotto  dal
pubblico ministero presso la Procura della Repubblica  di  Benevento,
in data 27 marzo 2024 avverso l'ordinanza emessa dal giudice  per  le
indagini preliminari presso il Tribunale di  Benevento,  in  data  19
marzo 2024, con la quale veniva applicata nei confronti di S.  G.  la
misura  cautelare  del  divieto  di  avvicinamento  alla  p.o.  senza
applicazione dei dispositivi ex art. 275-bis del codice di  procedura
penale; 
    esaminati   gli   atti   trasmessi   dall'autorita'   giudiziaria
procedente; 
    sentita la difesa, in assenza del P.M., all'udienza camerale  del
3 maggio 2024; 
    sciogliendo la riserva di cui al separato verbale; 
 
                               Osserva 
 
Par. 1) I fatti e l'oggetto del giudizio. 
    In data 8 marzo 2024 il pubblico ministero presso il Tribunale di
Benevento avanzava al GIP, in relazione a delitto ex art. 572,  commi
1 e 2 del codice penale, richiesta di  applicazione  congiunta  delle
misure cautelari di cui agli articoli 282-bis e 282-ter del codice di
procedura penale, con le  modalita'  di  controllo  di  cui  all'art.
275-bis del codice di procedura penale, nei  confronti  dell'indagato
S. G. 
    In particolare, osservava l'accusa pubblica, l'applicazione  «del
solo allontanamento dalla  casa  familiare  avrebbe  consentito  come
prescrizione solo quella  del  divieto  di  avvicinamento  ai  luoghi
abitualmente frequentati dalla p.  o.  ma  non  alla  persona  offesa
stessa», ragione per cui era «necessario il cumulo delle due misure». 
    Il giudice per le indagini  preliminari,  con  ordinanza  del  19
marzo 2024, riteneva sussistenti i gravi indizi di  colpevolezza  del
delitto di maltrattamenti in danno di  moglie  e  figli  ascritto  al
prevenuto. 
    Applicava, tuttavia, la sola misura ex art. 282-ter del codice di
procedura penale del divieto di avvicinamento ai luoghi  abitualmente
frequentati dalle pp.oo. - M. N., S. P. ed il  minore  S.  M.  P.  -,
osservando come la stessa fosse sufficiente  ai  fini  preventivi  ex
art. 274 lettera c) del codice di procedura penale  in  quanto  «tale
presidio poteva da solo risultare idoneo ad evitare i contatti tra lo
Stefanelli  ed  il  resto  del  nucleo  familiare»,  «non   apparendo
necessario disporre  in  aggiunta  ulteriori  misure  cautelari  come
richiesto dal P.M. procedente». 
    Inoltre il giudice per  le  indagini  preliminari  non  disponeva
l'applicazione di alcun dispositivo ex art.  275-bis  del  codice  di
procedura penale, come di contro richiesto dal pubblico ministero. 
    In data  20  marzo  2024  il  pubblico  ministero  presentava  al
Tribunale del riesame atto di appello  ex  art.  310  del  codice  di
procedura penale avverso la richiamata ordinanza. 
    Il pubblico ministero censurava la decisione  del  primo  giudice
sotto piu' profili. 
    In prima battuta, il pubblico  ministero  -  pg  2  dell'atto  di
appello  -  lamentava  come  non  fosse   giustificata   la   mancata
applicazione della misura dell'allontanamento dalla casa familiare ex
art. 282-bis del codice di  procedura  penale  in  relazione  ad  una
vicenda  di  maltrattamenti  posta  in  essere  da  un  indagato  che
conviveva con le pp.oo., tanto piu' che il giudice  per  le  indagini
preliminari, nell'enucleare  le  esigenze  cautelari,  asseriva  come
«l'aggressivita' e la pervicacia manifestata dall'indagato e' tale da
far ritenere pressoche' certo che  egli,  in  assenza  di  interventi
cautelari, continuera' nella sua attivita' criminosa». 
    Il motivo di impugnazione era da ritenersi fondato. 
    Con riguardo alla scelta della misura da applicare il giudice per
le indagini preliminari non enunciava alcuna motivazione per la quale
non riteneva  di  accedere  alla  richiesta  del  pubblico  ministero
relativamente all'applicazione della misura dell'allontanamento dalla
casa familiare. 
    Ebbene, fermo il vuoto motivazionale, il  Tribunale  del  riesame
non poteva che condividere la prospettazione accusatoria  secondo  la
quale, nella specie, la misura andava concessa. 
    Ed  invero,  in  vicende  di  maltrattamenti  intrafamiliari,  le
esigenze preventive da salvaguardare vanno  soddisfatte  mediante  un
intervento che impedisca con ragionevole efficacia ogni contatto  tra
l'indagato e le pp.oo.: il che, quando sussiste - come nel caso, cfr.
denuncia p. o. - una condizione di convivenza, non puo'  che  passare
per l'ordine di allontanamento dalla abitazione di famiglia, luogo in
cui l'indagato sistematicamente realizza gli abusi e i maltrattamenti
oggetto della vicenda cautelare. 
    A tal fine, pertanto, appare «tipicamente  idoneo»  lo  strumento
dell'ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice di procedura
penale. 
    Laddove il presupposto della misura cautelare ex art. 282-bis  e'
non solo  la  condizione  di  «attuale»  coabitazione,  quanto  anche
l'esistenza di una situazione - nella specie  ricorrente  -  per  cui
all'interno di una relazione di contiguita' si  manifestano  condotte
in  grado  di   minacciare   l'incolumita'   delle   persone   offese
(Fattispecie  in  tema  di  maltrattamenti  in  famiglia,  Cassazione
penale, Sez. VI, 15 aprile 2010, n. 17788;  in  senso  conforme  alla
massima, v. Sez. VI, 4 febbraio 2008,  n.  25607,  [...],  in  C.E.D.
Cassazione, n. 240773). 
    Il divieto di avvicinamento, a ben vedere, puo' essere  applicato
al posto dell'allontanamento dalla casa familiare - misure queste  in
tendenziale «rapporto di alternativita'» - solo  quando  ricorra  «il
presupposto negativo dell'assenza di una situazione di convivenza che
renda necessario prima di tutto allontanare l'autore del reato  dalla
casa familiare» (Cassazione Pen. Sez. 5, sentenza n. 12503 del 2020). 
    Quando  la  convivenza  esista,  di  contro,  sara'   la   misura
dell'allontanamento  (con  le  prescrizioni  di  cui  si   dira')   a
soddisfare le esigenze cautelari da presidiare. 
    In seconda battuta, il pubblico ministero contestava (pg. 2  e  3
dell'atto di appello) la circostanza che il (Giudice per le  indagini
preliminari non aveva stabilito il  divieto  di  avvicinamento  anche
direttamente a favore delle pp.oo., avendo il primo  giudice  inibito
ogni avvicinamento solo rispetto «ai luoghi abitualmente  frequentati
dalle medesime pp.oo.» e non - si ribadiva  -  alle  persone  fisiche
delle pp.oo. 
    La censura era fondata, seppur con le precisazioni che seguono. 
    Il divieto di avvicinamento (direttamente)  alla  persona  offesa
rientra  tra  le  prescrizioni  accessorie  suscettibili  di   essere
inserite nell'ordine di allontanamento della casa familiare  ex  art.
1282-bis, comma 2, del  codice  di  procedura  penale  affinche'  sia
consentito al giudice di  conformare  lo  strumento  alle  specifiche
esigenze da salvaguardare  attraverso  l'indicazione  delle  relative
modalita' e limitazioni. 
    In particolare, e' stato gia' osservato che  sarebbe  irrazionale
prevedere  a  tutela  della  persona  offesa,  nell'ambito  dell'art.
282-bis del codice di procedura penale, una  prescrizione  accessoria
di divieto di avvicinamento ai luoghi da lei frequentati ed impedire,
invece,  al  giudice  di  disporre  un   divieto   di   avvicinamento
direttamente alla sua persona. 
    Infatti, una volta delineata con legge n. 154/2001,  introduttivo
dell'art.  282-bis  del  codice  di  procedura  penale,   la   misura
dell'allontanamento dalla casa familiare, la successiva  introduzione
dell'art. 282-ter  del  codice  di  procedura  penale  (avvenuta  con
decreto-legge n. 11/2009, convertito con legge n. 38/2009 legge sullo
stalking), che ha previsto direttamente il divieto  di  avvicinamento
alla  persona  offesa  in  prima  battuta,   e'   stata   determinata
dall'esigenza di prevedere un presidio cautelare analogo anche  «alle
relazioni  non  fondate   sulla   convivenza»   o   comunque   «sulla
condivisione della casa familiare» (Cassazione Pen. Sez. 6,  sentenza
n. 24351 del 28 aprile 2023). 
    Per cui, se nulla impedisce al giudice della cautela di  disporre
il  divieto  di  avvicinamento  alla  p.o.  mediante   una   apposita
prescrizione    accessoria    rispetto    alla     (unica)     misura
dell'allontanamento  alla  casa  familiare  applicata,  era   inutile
invocare  (e  richiedere)   l'ulteriore   misura   del   divieto   di
avvicinamento, come di contro fatto dal P.M. 
    Ritiene in ogni caso il  Tribunale  che,  seppur  nessuna  misura
cumulativa andasse nella specie richiesta (ne' emessa),  dovevasi  in
ogni caso accogliere l'appello del pubblico ministero  per  il  fatto
che il giudice per le indagini preliminari,  senza  motivazioni,  non
aveva comunque adottato  -  come  pur  richiesto  -  la  prescrizione
accessoria del divieto di  avvicinamento  direttamente  alle  pp.oo.,
oltre che ai luoghi dalle stesse frequentati. 
    Laddove  -  a  fronte   di   gravi   indizi   di   maltrattamenti
intrafamiliari  -  era  certamente  opportuno  impedire,   sempre   e
comunque, rischiosi avvicinamenti dell'indagato alle  pp.oo.  vittime
delle  sue  vessazioni,  a  prescindere  dai  luoghi  in  cui  questi
avvicinamenti potevano avvenire. 
    Con ulteriore  motivo  di  impugnazione,  il  pubblico  ministero
lamentava che il giudice per le indagini preliminari non aveva  fatto
applicazione dei sistemi di controllo ex art. 275-bis del  codice  di
procedura  penale,  restando  completamente  silente  sulla  relativa
richiesta pur avanzata. 
    Preliminarmente, andava riconosciuta la piena ammissibilita'  del
motivo di gravame, relativamente alla  applicazione  dei  sistemi  ex
art. 275-bis del codice penale, in quanto la giurisprudenza riconosce
la ricorribilita' in appello  anche  dei  provvedimenti  (o  relative
statuizioni) che riguardino o incidano sulle modalita' di  esecuzione
della misura cautelare adottata (C., Sez. III, 17 febbraio  2011,  n.
13119, in Mass. Uff., 249946; C., Sez.  VI,  24  settembre  2010,  in
Mass. Uff., 248593; C., Sez. II, 5 giugno 2008, n.  34877,  in  Mass.
Uff., 241815; C., Sez. II, 16 gennaio 2008, n. 5589, in  Mass.  Uff.,
238865 con riferimento all'isolamento diurno in carcere; in  generale
C., S.U., 3 dicembre 1996, [...], in CP, 1997, 1325). 
    Sul tema, e' stato affermato a piu' riprese che sono  impugnabili
mediante appello ex art.  310  del  codice  di  procedura  penale  le
decisioni del giudice per le indagini preliminari che incidono  sulla
misura per periodi permanenti o prolungati e che, proprio per il loro
carattere permanente,  si  riverberano  in  misura  apprezzabile  sul
regime cautelare, qualificandosi, pertanto, come ordinanze cautelari:
laddove  la  decisione  di  applicare   o   meno   il   «braccialetto
elettronico» incide significativamente  sul  regime  dei  divieti  ex
articoli 282-bis del codice  di  procedura  penale,  connotandone  in
termini piu' pregnanti l'efficacia dissuasiva, per  cui  il  relativo
rigetto - rispetto alla richiesta  del  PM  -  non  puo'  non  essere
sindacato dal Tribunale  del  riesame  ex  art.  310  del  codice  di
procedura penale (sui principi, Sez. 5,  sentenza  n.  26601  del  21
febbraio 2018). 
    Cio' posto, la doglianza era nuovamente fondata. 
    A seguito della legge n. 168/2023, l'art. 282-ter del  codice  di
procedura penale prevede, al comma 1, che «con il  provvedimento  che
dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato
di non avvicinarsi  a  luoghi  determinati  abitualmente  frequentati
dalla persona offesa ovvero di mantenere  una  determinata  distanza,
comunque non inferiore a cinquecento metri, da tali  luoghi  o  dalla
persona offesa, disponendo l'applicazione delle particolari modalita'
di controllo previste dall'art. 275-bis». 
    Il nuovo disposto letterale  della  norma  evoca  un  automatismo
nell'applicazione delle modalita' di controllo ex art. 275-bis  cit.,
quando si faccia ricorso alla misura cautelare ex  art.  282-ter  del
codice di procedura penale. 
    Tanto soprattutto ove si confronti il  nuovo  testo  della  norma
processuale con quello precedente, introdotto con il decreto-legge n.
93/2019,  convertito  in  legge  n.  69/2019,  secondo  cui  «con  il
provvedimento che dispone il  divieto  di  avvicinamento  il  giudice
prescrive all'imputato  di  non  avvicinarsi  ai  luoghi  determinati
abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una
determinata distanza da tali luoghi o  dalla  persona  offesa,  anche
disponendo l'applicazione delle particolari  modalita'  di  controllo
previste dall'art. 275-bis». 
    La  recente  soppressione  nel  2023  della  parola   «anche»   -
inizialmente inserita nella norma dalla  disciplina  sul  cd.  codice
rosso - appare confermare il fatto che non residui piu'  in  capo  al
giudice della  cautela  alcuna  discrezionalita'  con  riguardo  alla
sorveglianza elettronica, dovendosi sempre  disporre  -  in  caso  di
applicazione della misura ex art. 282-ter  del  codice  di  procedura
penale - il cd. «braccialetto elettronico», onde meglio  controllare,
mediante le segnalazioni a  distanza  del  dispositivo,  il  rispetto
delle prescrizioni di non avvicinamento. 
    Il dato, peraltro, sembra corrispondere alla intentio legis della
novella, per quanto evincibile dai lavori preparatori del disegno  di
legge che ha poi condotto alla emanazione della legge n. 168/2023. 
    Si legge nel dossier n. 123/2 di accompagnamento  del disegno  di
legge che «i numeri 3 e 4 della lettera c) prevedono inoltre,  sempre
in relazione all'allontanamento dalla casa familiare di cui  all'art.
282-bis, comma 6, che tale misura coercitiva sia sempre  accompagnata
dalla  imposizione,  attualmente  facoltativa,  delle  modalita'   di
controllo previste dall'art. 275-bis del codice di procedura  penale.
[...] La  lettera  d)  apporta  modifiche  analoghe  a  quelle  sopra
richiamata alla disciplina del divieto  di  avvicinamento  ai  luoghi
frequentati dalla persona offesa di cui all'art. 282-ter  del  codice
di procedura penale» (pg 60 e 61). 
    Dal fascicolo  iter  DDL  S.  923  (che  al  Senato  ha  condotto
all'approvazione del testo definitivo) si desume ancora: 
      che l'eliminazione della parola «anche» -  con  obbligatorieta'
del braccialetto - aveva luogo sin dal  disegno  di  legge  trasmesso
dalla Camera al Senato (art. 12 del disegno di legge); 
      che  nel  corso  dei  lavori   della   Commissione   permanente
(Politiche dell'Unione europea), seduta n. 106 (pom.) del 21 novembre
2023,  si  sottolineava  come  «l'art.  12»  del  progetto  di  legge
contemplasse «il rafforzamento delle misure cautelari e dell'uso  del
braccialetto  elettronico»,  nel  senso  di   ampliarne   chiaramente
l'applicazione; 
      che il disegno di legge era «diretto a rafforzare la protezione
delle vittime di violenza attraverso misure di prevenzione nonche' il
potenziamento delle misure cautelari» (seduta dell'assemblea  n.  128
del 22 novembre 2023); 
      che «la  misura  coercitiva  ex  art.  282-bis  del  codice  di
procedura penale va sempre accompagnata (laddove nell'assetto vigente
e'  facoltativa)  dall'imposizione  del   braccialetto   elettronico»
(dossier n. 98 del progetto di legge), tanto che «le norme  in  esame
appaiono suscettibili di determinare, come  confermato  dalla  stessa
relazione tecnica, un maggior ricorso  all'impiego  dei  braccialetti
elettronici rispetto a  quanto  previsto  nell'ambito  della  vigente
disciplina». 
    Insomma, la ratio sottesa alla proposta  di  legge  in  esame  e'
chiaramente quella di rendere piu' stringente ed efficiente l'attuale
disciplina in materia di contrasto della violenza di genere, a fronte
degli interventi legislativi che si sono di  recente  susseguiti  per
dare piena attuazione ai principi  ispiratori  della  Convenzione  di
Istanbul per la lotta alla violenza contro le donne e  alla  violenza
domestica. 
    Per l'effetto, il legislatore  ha  inteso  certamente  rafforzare
l'efficacia dissuasiva del divieto ex  art.  282-ter  del  codice  di
procedura penale (ovvero ex art.  282-bis  del  codice  di  procedura
penale, anche  nelle  sue  prescrizioni  accessorie),  integrando  il
contenuto dell'intervento cautelare mediante un presidio  elettronico
obbligatorio, la cui stabile operativita' mira a disincentivare  ogni
violazione e, in tal modo, meglio tutelare le ragioni delle pp.oo. 
    Corrispondentemente, e' stato modificato  anche  l'art.  282-bis,
comma 6 del codice di procedura penale. 
    Prima della legge n. 168/2023, tale norma prevedeva che  «qualora
si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572,
582, limitatamente alle  ipotesi  procedibili  d'ufficio  o  comunque
aggravate,  600,   600-bis,   600-ter,   600-quater,   600-septies.1,
600-septies.2, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies,
609-octies e 612, secondo comma, 612-bis, del codice penale, commesso
in danno dei prossimi congiunti o  del  convivente,  la  misura  puo'
essere disposta anche  al  di  fuori  dei  limiti  di  pena  previsti
dall'art. 280, anche con le modalita' di controllo previste  all'art.
275-bis2». 
    Dopo l'ultima novella, si prevede che «qualora si proceda per uno
dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 575,  nell'ipotesi
di delitto  tentato,  582,  limitatamente  alle  ipotesi  procedibili
d'ufficio o comunque aggravate, 583-quinquies, 600, 600-bis, 600-ter,
600-quater, 600-septies.1, 600-septies.2, 601, 602, 609-bis, 609-ter,
609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612, secondo comma,  612-bis,
del codice penale, commesso in danno dei  prossimi  congiunti  o  del
convivente, la misura puo' essere disposta  anche  al  di  fuori  dei
limiti di pena previsti dall'art. 280, con le modalita' di  controllo
previste dall'art. 275-bis e con la  prescrizione  di  mantenere  una
determinata distanza, comunque non  inferiore  a  cinquecento  metri,
dalla casa familiare  e  da  altri  luoghi  determinati  abitualmente
frequentati dalla persona offesa, salvo  che  la  frequentazione  sia
necessaria per motivi di lavoro. In tale caso, il  giudice  prescrive
le relative modalita' e puo' imporre limitazioni». 
    Nuovamente, sparisce l'epiteto «anche», prima inserito a  seguito
delle modifiche apportate dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 con
riguardo alle «modalita' di controllo previste dall'art. 275-bis  del
codice  di  procedura  penale»,  a  conferma  -  secondo  un  disegno
armonicamente coerente - di  una  volonta'  di  generale  automatismo
nell'applicazione dello strumento elettronico nei casi di divieto  di
avvicinamento   disposto   anche   quale   prescrizione    accessoria
nell'ambito della misura ex art.  282-bis  del  codice  di  procedura
penale), in relazione ai reati specificamente indicati. 
    Il nuovo «obbligo del braccialetto» non appare foriero  di  dubbi
di legittimita' costituzionale, come di contro ventilato dalla difesa
dello S[...]. 
    Il legislatore, infatti, ha semplicemente  inteso  modificare  il
contenuto delle misure cautelari ex articoli 282-bis  e  282-ter  del
codice di procedura penale, integrando  il  relativo  regime  con  un
costante  sistema  di  sorveglianza  elettronica  che   ne   rafforza
l'efficacia preventiva. 
    Nel fare questo, non si e' inciso in alcun modo su di un  qualche
precetto costituzionale, in quanto si e' lasciato sempre al  prudente
apprezzamento del  giudice  della  cautela  se,  sulla  scorta  delle
esigenze cautelari ritenute secondo i parametri degli articoli 274  e
275 del codice di procedura penale, si  debba  fare  ricorso  o  meno
all'intervento cautelare (dal che,  il  richiamo  della  difesa  alle
«presunzioni cautelari» ex art. 275 del codice di procedura penale e'
apertamente inconferente). 
    E  se  il  giudice  da'   corso   alla   misura,   l'applicazione
generalizzata  del  «braccialetto»  non  viola  alcun  principio   di
uguaglianza, posto  che,  secondo  una  valutazione  ragionevole  del
legislatore,  il  «nuovo»  divieto  di  avvicinamento   (prescrizione
accessoria ex articoli 282-bis del codice di procedura penale  ovvero
misura cautelare ex art. 282-ter del codice di procedura penale)  per
tutti   gli   indagati   contemplera'   il   predetto    monitoraggio
precauzionale, in attuazione di una - non sindacabile ne' illogica  -
scelta di politica criminale, volta  a  rafforzare  la  tutela  delle
vittime di taluni reati socialmente sensibili. 
    Ad esiti diversi non puo' pervenirsi, poi, per il solo fatto che,
ai sensi dell'art. 275-bis del codice di procedura penale  (parimenti
novellato dalla legge n. 168 cit.), quando  il  giudice  dispone  «la
misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia
cautelare in carcere», «prescrive  procedure  di  controllo  mediante
mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, salvo che le ritenga non
necessarie in  relazione  alla  natura  e  al  grado  delle  esigenze
cautelari da soddisfare nel caso  concreto»:  secondo  questa  norma,
infatti, il legislatore non  impone  un  «obbligo  di  braccialetto»,
prevedendone l'applicazione sempre che  non  intervenga  una  diversa
valutazione del giudice, che potrebbe ritenere non indispensabile  la
sorveglianza elettronica sulla scorta della  specificita')  del  caso
concreto. 
    La differente disciplina non  puo'  considerarsi  intrinsecamente
irragionevole. 
    Tanto sulla scorta del rilievo che diverse sono (pure) le  misure
cautelari rispetto alle quali essa opera. 
    Gli arresti domiciliari sono una misura custodiale:  per  cui  in
tali   casi   il   «braccialetto   elettronico»   mira   ad   evitare
allontanamenti  non   autorizzati   (evasioni)   e,   indirettamente,
reiterazioni del reato. 
    L'ordine di allontanamento e/o il divieto di avvicinamento  sono,
di contro, misure non custodiali  e,  stavolta,  il  braccialetto  e'
finalizzato  a  prevenire,  piu'   che   generici   spostamenti   non
autorizzati, direttamente i contatti  con  la  p.o.  prodromici  alle
condotte criminose censurate. 
    Ne deriva che, se l'ambito operativo della sorveglianza e',  solo
in quest'ultimo caso, tutto orientato a scongiurare in via  immediata
(e  non  riflessa)  nuove  condotte  criminose   (corrispondenti   ad
ulteriori lesioni dei diritti della p.o.),  una  diversa  modulazione
del regime dei dispositivi ex art. 275-bis del  codice  di  procedura
penale - con piu' accentuato utilizzo del medesimo in caso di  misure
non custodiali - non appare affatto irrazionale. 
    D'altronde,  appare  utile  rimarcare  ancora,  le   misure   non
custodiali   presuppongono   un   affidamento   alla   capacita'   di
autocontrollo dell'indagato nettamente superiore  rispetto  a  quello
che si ripone negli indagati sottoposti alle misure custodiali, posto
che, nel primo caso, il reo resta comunque in liberta'. 
    Ed anche tale aspetto appare giustificare la  scelta  legislativa
di dare seguito, per garantire  l'efficacia  dell'intervento,  ad  un
controllo elettronico piu' stringente nelle misure ex art. 282-bis  e
ter  del  codice  di  procedura  penale,  laddove  un  tale  maggiore
monitoraggio, evitando misure piu' gravose, risponde, in  prospettiva
costituzionale, ad un  virtuoso  bilanciamento  tra  le  esigenze  di
difesa  sociale   («braccialetto»)   ed   i   diritti   di   liberta'
dell'indagato (misura non custodiate),  senza  ulteriore  ed  inutile
compressione («minor sacrificio necessario»)  della  sfera  giuridica
dell'indagato. 
    In definitiva, il Tribunale e' chiamato ad  emettere,  in  questo
giudizio di  appello,  la  misura  ex  art.  282-bis  del  codice  di
procedura penale, con  le  prescrizioni  accessorie  del  divieto  di
avvicinamento alle pp.oo. nonche' 
    dell'applicazione dei sistemi di controllo ex  art.  275-bis  del
codice di procedura penale. 
Par. 2) La norma oggetto dell'incidente di costituzionalita' e  primi
profili di rilevanza in questo giudizio. 
    Il Tribunale deve a questo punto confrontarsi con gli ultimi  due
periodi dell'art. 282-bis, comma 6, pen.  (come  novellato  dall'art.
12, comma 1, lettera c), della  legge  24  novembre  2023,  n.  168),
secondo cui: 
        «Con lo stesso provvedimento che dispone l'allontanamento, il
giudice prevede l'applicazione, anche congiunta, di una  misura  piu'
grave  qualora  l'imputato  neghi  il  consenso  all'adozione   delle
modalita' di controllo anzidette». 
        «Qualora l'organo delegato per l'esecuzione  accerti  la  non
fattibilita'  tecnica  delle  predette  modalita'  di  controllo,  il
giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di  ulteriori  misure
cautelari anche piu' gravi». 
    Il  primo  periodo  riguarda   l'ipotesi   in   cui   l'indagato,
destinatario di un  provvedimento  ex  art.  282-bis  del  codice  di
procedura penale assistito dal  «braccialetto  elettronico»  ex  art.
275-bis del codice di procedura penale, rifiuti di farselo applicare. 
    Per la relativa  evenienza,  la  legge  prevede  che  il  giudice
disponga, sin dal provvedimento genetico, un aggravamento del  regime
cautelare («misura piu' grave», «anche congiunta»). 
    «Negare  il  consenso»  al   controllo   elettronico   da   parte
dell'indagato  giustifica,  nella  prospettazione  legislativa,   una
valutazione di maggiore pericolosita', capace di fondare di  per  se'
un (obbligatorio) intervento piu' cogente. 
    Il meccanismo non era sconosciuto al sistema. 
    Gia' l'art. 275-bis del codice di procedura penale,  prima  della
novella ex legge n. 168 cit., prevedeva all'ultimo periodo del  comma
1,   relativamente   agli   arresti   domiciliari    assistiti    dal
«braccialetto», che «con lo stesso provvedimento il  giudice  prevede
l'applicazione della  misura  della  custodia  cautelare  in  carcere
qualora  l'imputato  neghi  il  consenso  all'adozione  dei  mezzi  e
strumenti anzidetti». 
    In sostanza, il rifiuto di collaborare al presidio elettronico e'
posto  dalla  legge  alla  base  di  una  presunzione   assoluta   di
(sopravvenuta) inadeguatezza della misura  originariamente  disposta,
imponendo l'applicazione: 
        o del carcere ex art. 275-bis del codice di procedura penale,
quando si parte dai domiciliari; 
        o di una misura piu'  grave,  anche  congiuntamente  operante
rispetto a quella originaria, ex art. 282-bis del codice di procedura
penale, comma 6 di nuovo conio, quando  si  parte  da  un  ordine  di
allontanamento e/o da un divieto di avvicinamento. 
    Il secondo periodo riguarda un'altra ipotesi. 
    Ed  e'  proprio  questa  a  destare  un  ragionevole  dubbio   di
costituzionalita' nel Collegio. 
    La norma prevede che, nel caso  in  cui  «l'organo  delegato  per
l'esecuzione» accerti «la non fattibilita' tecnica»  delle  modalita'
di controllo  a  distanza,  il  giudice  interviene  (come  nel  caso
precedente) nel senso di «imporre l'applicazione, anche congiunta, di
ulteriori misure cautelari anche piu' gravi». 
    La questione di costituzionalita' di tale ultima disposizione  e'
rilevante  in  questo  giudizio  perche'  il  Tribunale,  accogliendo
l'appello del pubblico ministero ed integrando la misura  emessa  dal
giudice per le indagini preliminari con i dispositivi elettronici  ex
art. 275-bis del codice di procedura penale invocati dall'appellante,
deve fare necessariamente applicazione  anche  del  disposto  di  cui
all'art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo  del  codice  di  procedura
penale. 
    Il   legislatore,   infatti,   prevede   che   «con   lo   stesso
provvedimento» - con cui si applicano i sistemi di controllo ex  art.
275-bis del codice di procedura penale -  si  imponga  l'(automatico)
aggravamento del regime per le due ipotesi: «diniego del consenso» al
braccialetto e «non fattibilita' tecnica» del braccialetto. 
    Vero e'  che  la  locuzione  «con  lo  stesso  provvedimento»  e'
inserita dal legislatore solo in apertura del penultimo  periodo  del
comma 6 cit., quello relativo al diniego del consenso («Con lo stesso
provvedimento  che  dispone  l'allontanamento,  il  giudice   prevede
l'applicazione, anche congiunta, di una  misura  piu'  grave  qualora
l'imputato  neghi  il  consenso  all'adozione  delle   modalita'   di
controllo anzidette»). 
    Mentre il periodo successivo, senza ripetere la locuzione «con lo
stesso provvedimento», recita direttamente «Qualora l'organo delegato
per l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica  delle  predette
modalita' di  controllo,  il  giudice  impone  l'applicazione,  anche
congiunta, di ulteriori misure cautelari anche piu' gravi». 
    Nondimeno,  ritiene  questo  Collegio   che   la   volonta'   del
legislatore, per quanto implicitamente espressa, e' chiara nel  senso
di richiedere al giudice della cautela -  sin  dal  momento  genetico
della  misura  -  la  previsione  dell'aggravamento  in  entrambe  le
ipotesi. 
    La locuzione «con lo stesso provvedimento», sebbene non  ripetuta
in apertura dell'ultimo  periodo,  e'  desumibile,  oltre  che  dalla
stretta ed immediata consecutio delle proposizioni,  dalla  identita'
di ratio della disciplina, essendosi voluto prevedere come, tutte  le
volte che la sorveglianza elettronica non abbia seguito, sia previsto
dal giudice, sin dall'origine, un  regime  cautelare  «rafforzato»  a
tutela della p.o. 
    D'altronde, ad opinare in senso diverso, dovrebbe affermarsi  che
solo nel caso di «non  fattibilita'  tecnica»  (e  non  nel  caso  di
«diniego del consenso») il pubblico ministero dovrebbe  avanzare  una
nuova  istanza  al  giudice  della  cautela  per  «la  misura,  anche
congiunta e piu' grave»  ed  il  giudice  emettere  a  sua  volta  un
distinto e successivo provvedimento. 
    In questo caso, pero', la procedura  apparirebbe  non  solo  piu'
farraginosa, ma soprattutto  non  in  linea  con  la  ratio  generale
dell'intervento legislativo, ratio improntata alla  sollecitudine  ed
alla efficacia della iniziativa  cautelare,  secondo  uno  schema  di
previsione immediata e preventiva di aggravamento che gia'  opera  da
tempo nell'art. 275-bis del codice di procedura penale  (rifiuto  del
braccialetto da parte del detenuto ai domiciliari e carcere)  e  che,
infatti, e' stato pedissequamente riproposto con la novella del 2023. 
    Insomma,  la  differenziazione  del  regime  dell'«aggravamento»,
relativamente  alla  ipotesi  di  «non  fattibilita'  tecnica»,   con
necessita' solo in quest'ultimo caso di un «ulteriore provvedimento»,
sembra distonica in  una  prospettiva  di  interpretazione  logica  e
sistematica della norma. 
    Per  cui,  appare  corretto   assumere   che   «con   lo   stesso
provvedimento» che applica i braccialetti il giudice debba  prevedere
non solo «una misura piu' grave, anche congiunta, qualora  l'imputato
neghi il consenso» ai sistemi ex art. 275-bis del codice di procedura
penale, ma  anche  «l'applicazione,  anche  congiunta,  di  ulteriori
misure cautelari anche piu' gravi», «qualora  l'organo  delegato  per
l'esecuzione accerti la non fattibilita' tecnica» della  sorveglianza
elettronica. 
    Peraltro, l'utilizzo dell'indicativo,  riferito  al  giudice  che
«impone» le «ulteriori misure», evoca un automatismo (come si  dira')
dell'aggiuntivo intervento cautelare che sembra  nuovamente  militare
per una sua previsione  (immediata  e  preventiva)  sin  dal  momento
genetico, essendo sostanzialmente inutile una «seconda» richiesta del
pubblico ministero per l'emissione di  un  (nuovo)  provvedimento  da
parte del giudice, quando -  di  fronte  alla  «non  fattibilita'»  -
nessuna particolare valutazione in ordine all'«an»  dell'aggravamento
e' rimessa  all'autorita'  giudiziaria  (a  parte  il  «quomodo»  del
medesimo, in ogni caso obbligato, cfr. infra). 
    Tale interpretazione rende pertanto immediatamente  rilevante  la
questione di costituzionalita' che si andra' ad esporre con  riguardo
all'art. 282-bis del codice di  procedura  penale,  comma  6,  ultimo
periodo. 
    Cio' in quanto - si ribadisce - di tale norma  il  Collegio  deve
fare  immediata  applicazione  «con  lo  stesso   provvedimento»   di
applicazione della misura e delle contestuali prescrizioni accessorie
relative ai sistemi ex art. 275-bis del codice di procedura penale. 
Par. 3) Non manifesta infondatezza. 
    Par 3.1) Aggravamento del regime. 
    La norma oggetto di scrutinio recita: 
        «Qualora l'organo delegato per l'esecuzione  accerti  la  non
fattibilita'  tecnica  delle  predette  modalita'  di  controllo,  il
giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di  ulteriori  misure
cautelari anche piu' gravi». 
    Secondo  la  disposizione,  per  il  caso   di   accertata   «non
fattibilita'  tecnica»,  il  regime  cautelare  deve   ricevere   una
immediata modifica dal giudice. 
    Il legislatore, a riguardo,  utilizza  due  volte  la  particella
«anche». 
    Si  impone  al  giudice  l'applicazione  «anche   congiunta»   di
«ulteriori misure». 
    Si impone al Giudice l'applicazione di «ulteriori misure»  «anche
piu' gravi». 
    In tutte le ipotesi, a dispetto del tenore letterale della norma,
l'effetto che deriva a carico dell'indagato e' sempre  quello  di  un
aggravamento del regime cui e' sottoposto. 
    Qualora infatti il giudice opti per l'applicazione «congiunta» di
«ulteriori   misure»   (l'espressione   «anche   congiunta»   postula
chiaramente una scelta), il  secondo  «anche»  («anche  piu'  gravi»)
consentira' all'organo decidente di applicare, in aggiunta,  sia  una
misura piu' grave (divieto di dimora o arresti domiciliari)  sia  una
misura meno grave (obbligo di presentazione alla PG). 
    In entrambi  i  casi,  il  trattamento  che  ne  derivera'  sara'
peggiorativo per l'indagato, in quanto lo stesso si trovera' soggetto
alla  vigenza  non  solo   della   misura   originaria   (ordine   di
allontanamento, con le prescrizioni accessorie di  legge),  ma  anche
della  misura  «aggiuntiva»  (per  quanto  meno  grave)  disposta  in
relazione alla «non fattibilita' tecnica», derivandone  una  maggiore
compressione complessiva della sua sfera giuridica. 
    Il cumulo delle misure, in sostanza, e'  di  per  se'  «in  malam
partem». 
    Qualora  il  giudice  opti,  invece,  per   l'applicazione   «non
congiunta»   della   «ulteriore   misura»,   la   misura   (stavolta)
«sostitutiva» non potra' che essere piu' grave di quella  originaria,
laddove la (seconda)  locuzione  «anche»  (riferita  alle  «ulteriori
misure anche piu' gravi») solo apparentemente conferisce  al  giudice
un reale potere di scelta. 
    Ed infatti, una volta che il giudice decida di sostituire (e  non
cumulare) l'ordine di allontanamento con altra («ulteriore»)  misura,
quest'ultima dovra' essere necessariamente piu' grave della prima. 
    Cio' sulla scorta dell'incontestabile rilievo per cui sarebbe  un
controsenso logico-giuridico attenuare un regime ex art. 282-bis  del
codice di procedura penale una volta che lo stesso non  possa  essere
elettronicamente sorvegliato. 
    In  sostanza,  se  si  decide   di   applicare   un   ordine   di
allontanamento, e' impossibile «tornare  indietro»  se,  in  sede  di
esecuzione, si scopre che lo stesso non puo' essere presidiato con  i
sistemi ex art. 275-bis del codice di procedura penale. 
    Tanto piu' che, se fosse stata adeguata una misura  meno  gravosa
dell'ordine di allontanamento ex art. 282-bis del codice di procedura
penale, quest'ultimo non avrebbe dovuto essere emesso ab origine. 
    In definitiva, a dispetto della  equivoca  lettera  della  norma,
l'unica sostituzione possibile della misura ex art. 282-bis, comma 6,
ultimo periodo del codice di procedura penale e'  nel  senso  di  una
misura piu' grave. 
    E quando il legislatore evoca un potere di scelta sulla  gravita'
delle ulteriori misure da applicare («anche piu' gravi»)  in  realta'
non puo' che riferirsi alla sola ipotesi di applicazione cumulativa. 
    Su tali basi, anche  la  applicazione  «non  cumulativa»  (quindi
sostitutiva) delle «ulteriori misure» ha un  effetto  negativo  sulla
sfera giuridica  dell'indagato,  comportandone  un  aggravamento  del
trattamento cautelare. 
    Par. 3.2) Obbligo per il giudice. 
    La norma prevede che, in caso di  non  fattibilita'  tecnica,  il
giudice «impone» l'applicazione del regime cautelare piu' gravoso. 
    L'utilizzo dell'indicativo non sembra  lasciare  diversi  margini
interpretativi. 
    Il giudice e'  obbligato  dalla  legge  a  disporre  il  suddetto
aggravamento. 
    Piu' volte, nel codice di rito,  il  legislatore,  con  specifico
riguardo alla materia cautelare, ha posto un  vincolo  di  tal  fatta
impiegando identica modalita' espressiva. 
    L'indicativo  e'  utilizzato  nell'art.  275-bis  del  codice  di
procedura  penale,  quando  si  statuisce  che  il  giudice   prevede
«l'applicazione della misura  della  custodia  cautelare  in  carcere
qualora  l'imputato  neghi  il  consenso  all'adozione  dei  mezzi  e
strumenti anzidetti»: ed e' pacifico che, in questo caso, il  diniego
del consenso sia «causa automatica  di  applicazione  della  custodia
cautelare in carcere» (Sez. U., sentenza n. 20769 del 2016). 
    L'indicativo e' utilizzato nell'art. 276, comma 1-ter del  codice
di procedura penale quando si prevede  che  «il  giudice  dispone  la
revoca della misura e la sostituzione con la  custodia  cautelare  in
carcere, in caso di trasgressione  alle  prescrizioni  degli  arresti
domiciliari concernenti il  divieto  di  allontanarsi  dalla  propria
abitazione o da altro luogo di privata dimora», salvo  che  il  fatto
sia di  lieve  entita':  ed  e'  stato  affermato  da  tempo  che  la
trasgressione   alle   prescrizioni   concernenti   il   divieto   di
allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti  domiciliari,  ove
ritenuta non di lieve entita', determina la  revoca  obbligatoria  di
tale misura ex art. 276, comma 1-ter, del codice di procedura penale,
seguita dalla sostituzione con la custodia in carcere, non dovendo il
giudice previamente valutare le esigenze cautelari ovvero l'idoneita'
degli arresti domiciliari con modalita' elettroniche di controllo (da
ultimo, Cassazione Pen. Sez. 6,  Sentenza  n.  8630  del  24  gennaio
2024). 
    L'indicativo e' utilizzato, ancora, nell'art. 321 comma 2-bis del
codice di procedura penale dedicato ai delitti previsti  dal  Capo  I
del Titolo II del libro secondo del codice penale, quando si  prevede
che «il giudice dispone il sequestro dei beni di cui e' consentita la
confisca»: e nuovamente la Suprema Corte ha ritenuto  che  l'utilizzo
di tale formula verbale  abbia  un  significato  di  «presunzione  di
esistenza di esigenze cautelari», in  quanto  la  norma  consente  al
giudice il sequestro sulla scorta della  mera  confiscabilita'  della
res, senza alcuna valutazione del periculum in mora,  valutazione  di
contro richiesta ai sensi dell'art.  321,  comma  2,  del  codice  di
procedura penale (Sez. UU [...], n. 36959/2021). 
    L'indicativo e' da ultimo impiegato  nella  norma  cardine  delle
presunzioni in materia cautelare, contenuta nell'art. 275,  comma  3,
del codice di procedura penale. 
    In definitiva, secondo la disposizione in esame, al  giudice  non
e' dato apprezzare diversamente in punto di  esigenze  cautelari  e/o
adeguatezza. 
    Se vi e' la  «non  fattibilita'  tecnica»  del  braccialetto,  la
misura cumulativa (piu' o meno grave) o sostitutiva (piu'  grave)  va
disposta sempre. 
    Par. 3.3) La presunzione assoluta. 
    Il disposto normativo  esprime,  in  tal  modo,  una  presunzione
«assoluta». 
    Per l'ipotesi  di  non  «fattibilita'  tecnica»,  il  legislatore
«presume» che l'ordine di allontanamento ex art. 282-bis  del  codice
penale, pur assistito da un divieto di avvicinamento, non  sia  (mai)
idoneo a salvaguardare le esigenze cautelari ex art. 274, lettera c),
del codice di procedura penale ritenute dal giudice. 
    E   sulla   scorta   di   questo   generalizzato   «giudizio   di
inadeguatezza», correlato al mero dato della non  fattibilita'  della
sorveglianza  elettronica,  obbliga  il   Giudice   a   disporre   un
aggravamento del regime nei termini sopra enunciati,  senza  lasciare
allo stesso alcun margine di diverso apprezzamento. 
    E' di intuitiva evidenza la  correlazione  tracciabile  tra  tale
nuova «presunzione» e la disposizione cardine  delle  presunzioni  in
tema di cautela personale  contenuta  nell'art.  275,  comma  3,  del
codice di procedura penale. 
    Gia' le SS.UU. n.  20769  del  2016  hanno  ricordato  «il  ruolo
decisivo» assunto dal giudice delle leggi  nel  confinare  in  ambiti
ragionevoli le «presunzioni assolute di adeguatezza» (in  quel  caso,
della sola custodia in carcere) in materia cautelare, a partire dalla
sentenza n. 265 del 2010. 
    Le plurime sentenze della Consulta hanno rimarcato a piu' riprese
(sentenza  n.  48  del  2015)  come  «i  principi  costituzionali  di
riferimento implicano che la disciplina della  materia  debba  essere
ispirata  al  principio  del  "minore  sacrificio   necessario":   la
compressione della liberta' personale va contenuta,  cioe',  entro  i
limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze  cautelari  del
caso concreto». 
    Cio' impegna il legislatore,  da  una  parte,  a  strutturare  il
sistema cautelare secondo il  modello  della  «pluralita'  graduata»,
predisponendo  una  gamma  di  misure   alternative,   connotate   da
differenti gradi di incidenza sulla liberta' personale; dall'altra, a
prefigurare,    in     corrispondenza,     criteri     per     scelte
«individualizzanti» del trattamento cautelare,  coerenti  e  adeguate
alle esigenze configurabili nei singoli casi concreti. 
    Le  valutazioni  espresse  dal  giudice  delle  leggi  in  questo
percorso  «demolitorio»  hanno  evidenziato   come   «i   limiti   di
legittimita' delle misure cautelari risultino espressi, a fronte  del
principio di inviolabilita' della liberta' personale (art. 13,  primo
comma, della Costituzione) - oltre che dalle riserve di  legge  e  di
giurisdizione (art. 13, secondo e quarto comma, della Costituzione) -
anche e soprattutto dalla presunzione di non colpevolezza  (art.  27,
secondo  comma,  della  Costituzione),  a  fronte  della   quale   le
restrizioni della liberta' personale  dell'indagato  o  dell'imputato
nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni  nitidamente
differenziate  da   quelle   della   pena,   irrogabile   solo   dopo
l'accertamento definitivo della responsabilita'. 
    Per cui, a partire dal 2010, la Corte costituzionale  ha  colpito
con  varie  dichiarazioni   di   illegittimita'   costituzionale   le
presunzioni  assolute  di  adeguatezza  (del  carcere)   in   materia
cautelare. 
    Ribadendo un principio formulato sin dalla sentenza  n.  139  del
2010, si e' affermato in tali occasioni che «le presunzioni assolute,
specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano
il principio di eguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, e cioe'
se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella
formula dell'id quod plerumque accidit; evenienza  che  si  riscontra
segnatamente allorche' sia agevole formulare ipotesi  di  accadimenti
reali contrari alla generalizzazione posta a base  della  presunzione
stessa. Nei casi in esame, a determinare il vulnus  al  principio  di
eguaglianza - e conseguentemente alle ragioni di tutela  del  diritto
alla liberta' personale e della presunzione di  innocenza  -  era  il
carattere assoluto della presunzione di  adeguatezza,  che  implicava
una indiscriminata e totale negazione di  rilievo  al  principio  del
"minimo   sacrificio    necessario"    della    liberta'    personale
dell'interessato». 
    Nel caso  in  esame,  ritiene  il  Collegio  che  la  presunzione
assoluta di adeguatezza di un regime cautelare piu' severo,  rispetto
alla sola misura ex art. 282-bis del codice di procedura penale,  per
l'ipotesi  di   «non   fattibilita'   tecnica»   della   sorveglianza
elettronica, sia «arbitraria ed irrazionale» perche': 
        non risponde ad  un  dato  di  esperienza  generalizzante  la
necessita', sempre e comunque, di un ulteriore presidio  cautelare  a
carico di un indiziato di reato ex art. 572 del codice penale, per il
solo fatto che non puo' essere attivato il «braccialetto elettronico»
nell'ambito della misura ex art.  282-bis  del  codice  di  procedura
penale, tanto piu' quando - come nel caso - non vi sono  elementi  di
pericolosita' di particolare allarme sociale; 
        e' agevole formulare «ipotesi di accadimenti  reali  contrari
alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa», sol che
si consideri come sia frequente che indagati per  reati  di  violenza
domestica, una  volta  allontanati  dall'abitazione,  con  aggiuntivo
divieto di avvicinamento, si  astengono  dal  reiterare  le  condotte
censurate a prescindere dalla sorveglianza elettronica, senza che sia
affatto indefettibile intervenire ulteriormente in malam  partem  per
assicurare gli effetti preventivi perseguiti ex art. 274, lettera c),
del codice di procedura penale. 
    In definitiva, difetta nella  specie  una  regola  di  esperienza
sufficientemente condivisa  circa  la  generale  insufficienza  della
misura ex art. 282-bis, del codice di procedura penale  a  soddisfare
le esigenze  cautelari  ex  art.  274,  lettera  c),  del  codice  di
procedura penale in assenza di monitoraggio elettronico. 
    Tanto piu' che nel caso sottoposto a questo  Collegio  S.  G.  ha
posto in essere una sola aggressione fisica in  danno  della  coniuge
(in data [...], cfr. denuncia), sta pienamente rispettando la  misura
senza  violare  il  divieto  di  avvicinamento  gia'   disposto,   ha
addirittura  presentato  in  data  [...]  ricorso   per   separazione
giudiziale nei confronti di M. N. e sta dimostrando  di  accettare  -
anche civilisticamente - il nuovo assetto familiare conseguente  alla
rottura del rapporto di coppia. 
    Il che, se denota come nel caso di  specie  la  mancanza  di  una
sorveglianza elettronica potenzialmente non fattibile non  giustifica
affatto un regime cautelare (ancora)  piu'  severo  ai  danni  di  un
indagato non particolarmente pericoloso, a maggior  ragione  conclama
come,  in  generale,  possano   verificarsi   facilmente   situazioni
interpersonali - di non particolare fibrillazione - nell'ambito delle
quali la  «presunzione  assoluta  di  adeguatezza  dell'aggravamento»
(misura aggiuntiva o sostitutiva piu' grave), per il solo  fatto  che
non possa applicarsi un braccialetto, non riposa affatto su  dati  di
esperienza solidi e congruenti. 
    La norma censurata  sembra  allora  costituire  un  irragionevole
esercizio  della  discrezionalita'  del  legislatore,  violando   gli
articoli 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione. 
    Se viene sottratto al giudice il potere di adeguare la misura  al
caso concreto, rileva una violazione del  principio  di  uguaglianza,
realizzandosi un  «appiattimento»  tra  situazioni  oggettivamente  e
soggettivamente diverse, con una uguale risposta cautelare. 
    Inoltre, dalla lettura combinata degli articoli  13  e  27  della
Costituzione emerge l'esigenza  di  circoscrivere  allo  strettamente
necessario le misure limitative della liberta' personale, laddove  la
norma censurata stabilisce un automatismo applicativo di aggravamento
tale da  rendere  inoperanti  i  criteri  di  proporzionalita'  e  di
adeguatezza, in contrasto: 
        con  l'art.  13,  primo  comma,  della  Costituzione,   quale
referente fondamentale del regime ordinario  delle  misure  privative
della liberta' personale; 
        con  l'art.  27,  secondo  comma,  della  Costituzione,   per
l'attribuzione alla coercizione cautelare di tratti funzionali tipici
della pena. 
    Come e' stato gia' precisato in tema  di  presunzioni  cautelari,
cio' che vulnera i parametri  costituzionali  richiamati  non  e'  la
presunzione in se', ma il suo carattere  assoluto,  che  implica  una
indiscriminata e totale  negazione  di  rilevanza  al  principio  del
«minore sacrificio necessario». 
    La presunzione deve essere relativa. 
    La previsione di una presunzione  solo  relativa  di  adeguatezza
dell'aggravamento  -  atta  a  realizzare  una  semplificazione   del
procedimento  probatorio,  pur   suggerita   da   eventuali   aspetti
ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile
da  elementi  di  segno  contrario  -  non   eccede   i   limiti   di
compatibilita'  costituzionale,  rimanendo   per   tale   verso   non
censurabile   l'apprezzamento   legislativo   circa   la    ordinaria
configurabilita' di esigenze cautelari nel grado piu' intenso e/o  di
adeguatezza di un regime piu' severo (sentenze n. 110  del  2012,  n.
331, n. 231 e n. 164 del 2011, e n. 265 del 2010). 
    Il Collegio pertanto  ritiene  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 282-bis, comma  6,
ultimo  periodo  del  codice  di  procedura  penale  (come  novellato
dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 24 novembre  2023,  n.
168), secondo cui «Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti
la non fattibilita' tecnica delle predette modalita' di controllo, il
giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di  ulteriori  misure
cautelari  anche  piu'  gravi»,  nella  parte  in  cui   non   recita
ulteriormente «salvo che non le ritenga non necessarie  in  relazione
alla natura e al grado delle esigenze  cautelari  da  soddisfare  nel
caso concreto». 
    Con un inserimento di tale valvola di sicurezza, si  consente  al
giudice di  dar  seguito  ad  un  regime  cautelare  sufficientemente
individualizzante e si resta all'interno di un ambito compatibile con
i precetti costituzionali evocati. 
    Su tale linea si sono gia' espresse le SS.UU. della Suprema Corte
di cassazione (Sez. U., sentenza n. 20769 del 2016) quando ci  si  e'
dovuti  pronunciare  su  quali  fossero  i  corretti   parametri   di
valutazione cui ispirarsi  nel  momento  in  cui,  dopo  che  si  era
disposta la  misura  degli  arresti  domiciliari  con  i  sistemi  di
controllo ex  art.  275-bis,  del  codice  di  procedura  penale,  si
verificava   l'ipotesi   di   «indisponibilita'»   del   braccialetto
elettronico. 
    Le SS.UU. ripercorrevano tutta la  giurisprudenza  costituzionale
in tema di «presunzioni» di adeguatezza. 
    E sulla scorta di  quei  dicta  rifiutavano  ogni  automatismo  a
favore del carcere, concludendo: 
        «Nella   ipotesi   di   constatazione   della   carenza   del
dispositivo, il giudice ha l'onere di  giustificare  l'individuazione
della specifica misura applicabile, alla luce  della  circostanza  di
fatto della indisponibilita' del dispositivo. Tale interpretazione e'
l'unica  compatibile  con  i  principi  costituzionali  di  cui  agli
articoli 3 e 13 della Costituzione». 
    Le SS.UU, pertanto, ribadivano che i principi  costituzionali  in
tema di liberta' personale impediscono di far discendere  un  effetto
di aggravamento del regime cautelare da un  elemento  tendenzialmente
estraneo rispetto al giudizio di  adeguatezza  (indisponibilita'  del
braccialetto). 
    Si consideri peraltro che «i problemi  tecnici  e  logistici  che
rendono impossibile l'installazione  del  "braccialetto  elettronico"
(la fattibilita' tecnica) e' "situazione  assimilabile  a  quella  di
indisponibilita' del suddetto strumento di  controllo»,  per  cui  il
tema oggi in esame e' di fatto sovrapponibile a quello valutato dalle
SS.UU. (cfr. in motivazione Cassazione Pen. Sez. 2, sentenza n. 13735
del 2023). 
    Se allora «i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e  13
della Costituzione» impongono che il giudice, una volta che  manchino
i  braccialetti   per   i   detenuti   ai   domiciliari,   non   deve
«automaticamente» propendere  per  il  carcere,  ma  «individuare  la
specifica misura applicabile» sulla scorta  di  una  valutazione  del
caso  concreto  (ben  potendo  lasciare  il  soggetto  agli   arresti
domiciliari semplici),  analogamente  oggi  quegli  stessi  «principi
costituzionali»   impongono   al   legislatore   di   non   sottrarre
completamente al giudice, con la  censurata  presunzione  assoluta  a
favore dell'aggravamento senza possibilita' di  prova  contraria,  la
possibilita' di individuare il regime cautelare piu' adeguato al caso
concreto, nel caso di «non fattibilita' tecnica»  della  sorveglianza
elettronica nelle  misure  ex  art.  282-bis  e  ter  del  codice  di
procedura penale. 
    Ad alimentare da ultimo i dubbi  di  legittimita'  costituzionali
rimessi alla Consulta e' lo stesso confronto tra il regime della «non
fattibilita' tecnica» normato  nella  disposizione  di  cui  all'art.
282-bis, comma 6, cit. ed  il  regime  del  braccialetto  elettronico
regolato, in riferimento agli arresti domiciliari,  all'art.  275-bis
del codice di procedura penale. 
    Infatti, in questa ultima disposizione, pur innovata dalla  legge
n. 168/2023, il legislatore si guarda bene dal prevedere  effetti  di
aggravamento automatico per il caso di «non fattibilita' tecnica». 
    Nel caso in cui il giudice, nell'applicare i domiciliari, ritenga
di dar seguito alla sorveglianza elettronica  ma  riscontri  («previo
accertamento») la «non fattibilita' tecnica» della stessa,  la  norma
tace. 
    Ne deriva che, in ipotesi di tal fatta, il giudice non potra' che
(continuare ad) effettuare libere valutazioni di adeguatezza e optare
per i domiciliari semplici o il carcere sulla scorta delle specifiche
peculiarita' della fattispecie rimessa al  suo  giudizio,  secondo  i
principi - costituzionalmente orientati - tracciati dalle SS.UU. cit. 
    Sara' il caso concreto ad orientare l'apprezzamento giudiziale. 
    Non  una  presunzione  (di  aggravamento)  priva   di   riscontro
empirico. 
    In definitiva,  la  diversa  ed  ingiustificata  modulazione  dei
riflessi sull'indagato  della  «non  fattibilita'  tecnica»  ex  art.
275-bis del codice di procedura penale, operata dalle norme  messe  a
confronto, rafforza i profili di fragilita' del disposto normativo ex
art. 282-bis, comma 6, cit.,  spingendo  nel  senso  prospettato  dal
Collegio remittente onde armonizzare il sistema. 
Par. 4) Impossibilita' di interpretazione conforme. 
    La giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  e'  notoriamente
costante nell'affermare che, nel caso di contrasti giurisprudenziali,
ovvero  in  mancanza  di  pronunce  della  Cassazione,  finanche  ove
sussista un orientamento prevalente ma si registrino anche  decisioni
difformi (ordinanza n. 252 del 2005), prima di sollevare  l'incidente
di costituzionalita' sia necessario verificare la  praticabilita'  di
interpretazioni alternative della disposizione che  siano  rispettose
del dettato costituzionale. 
    Le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche'
sia  possibile  darne,  e   qualche   giudice   ritenga   di   farlo,
interpretazioni incostituzionali, ma  perche'  e'  impossibile  darne
interpretazioni costituzionalmente compatibili (sentenze n.  356  del
1996, n. 308 del 2008, n. 113 del 2015; ordinanze n. 85 e n. 464  del
2007, n. 15 del 2011). 
    Di fronte a una pluralita' di interpretazioni  possibili  di  una
disposizione, i giudici sono tenuti a ricercare  e  preferire  quella
costituzionalmente  adeguata,  rifiutando  quelle  costituzionalmente
incompatibili, sicche' la rimessione alla  Corte  diventa  necessaria
solo quando  essi  abbiano  vanamente  sperimentato  la  possibilita'
dell'interpretazione adeguatrice (sentenze n. 322 e n. 432 del  2007;
ordinanze n. 226 del 2008 e n. 146, n. 310 e n. 338 del 2009, n. 110,
n. 192 e n. 322 del 2010, n. 15 e n. 101 del 2011). 
    Tanto acclarato, si e' tuttavia parimenti ritenuto che  il  punto
fino al quale il giudice e' tenuto ad esplorare  la  possibilita'  di
una lettura  costituzionalmente  orientata  e'  da  individuarsi  nel
l'univoco tenore della norma, elemento capace di segnare  il  confine
in presenza del quale il tentativo di interpretazione deve cedere  il
passo al sindacato di legittimita' costituzionale (sentenze n. 26 del
2010; ma anche sentenze n. 270 e n. 315 del 2010). 
    Orbene, ritiene il Collegio che  la  norma,  per  il  suo  tenore
letterale, non si presti ad interpretazione diverse da quella per cui
si dubita della legittimita' costituzionale. 
    La norma,  come  ampiamente  sopra  argomentato,  con  l'utilizzo
dell'indicativo («impone» ulteriori misure) e con le opzioni previste
(cumulo delle ulteriori misure o sostituzione con misura piu'  grave)
obbliga il giudice, per il caso di  «non  fattibilita'  tecnica»  del
braccialetto, a dare seguito ad un aggravamento del regime  cautelare
in danno dell'indagato, sulla scorta di una presunzione  assoluta  di
adeguatezza che viola i precetti costituzionali evocati. 
    Ogni interpretazione che lasci spazio ad una diversa  valutazione
discrezionale del giudice appare in contrasto con  la  lettera  della
norma,  dal  che  appare  inevitabile  chiedere  l'intervento   della
Consulta. 
Par. 5) Profili ulteriori di rilevanza. 
    Il  Collegio   ritiene   rilevante   l'intervento   della   Corte
costituzionale (cfr. effettiva incidenza sulla decisione del giudizio
a quo dell'intervento richiesto, ordinanze n. 403 del 2002, n.  70  e
n. 111 del  2009,  n.  264  del  2015),  anche  perche'  non  intende
applicare nei confronti dell'indagato  «ulteriori  misure  cautelari»
(ne' cumulativamente ne' in sostituzione) per l'ipotesi in cui non vi
sia la fattibilita' tecnica del braccialetto (mentre la norma obbliga
in questo senso, mediante la «presunzione assoluta» censurata). 
    S. G., infatti, pur avendo compiuto minacce ed atti  di  violenza
nei confronti  dei  familiari,  e'  soggetto  certamente  contenibile
mediante un ordine di allontanamento ex art. 282-bis  del  codice  di
procedura penale, integrato con le prescrizioni accessorie  richieste
dal pubblico ministero, senza  che  sia  necessario  un  regime  piu'
severo per il solo fatto che la sorveglianza elettronica da  disporre
sia, nel caso, «tecnicamente non fattibile». 
    Infatti, come gia' ricordato, S. G. ha posto in essere  una  sola
aggressione fisica in  danno  della  coniuge  (in  data  [...],  cfr.
denuncia), sta pienamente rispettando  la  misura  senza  violare  il
divieto di avvicinamento gia' disposto, nonostante  ad  oggi  nessuna
sorveglianza  elettronica  sia  stata  attivata,  ed  ha  addirittura
presentato in data  [...]  ricorso  per  separazione  giudiziale  nei
confronti di M. N. 
    Solo la Corte costituzionale, con la pronuncia che si  sollecita,
puo' evitare che l'aggravamento sia disposto in ogni caso. 
    La questione e'  «attualmente»  rilevante,  sebbene  il  Collegio
nulla  sappia  in  ordine  alla  «non  fattibilita'  tecnica»   della
sorveglianza elettronica. 
    Secondo la disposizione in esame, infatti, il giudice  procedente
non puo'  verificare  preventivamente  la  fattibilita'  tecnica  del
sistema di  controllo,  ma  e'  tenuto  semplicemente  ad  applicarlo
nonche' a disporre contestualmente l'aggravamento per il caso in cui,
in sede di esecuzione, sorgano problemi di attivazione. 
    Se tant'e', sin dal momento genetico  della  misura  l'ordine  di
dubbia legittimita' costituzionale viene emesso. 
    Ed e' solo la sua materiale attuazione ad essere condizionata. 
    Nondimeno,  ritiene  questo  ufficio  remittente  che   l'aspetto
«eventuale  e  successivo»  della  «non  fattibilita'  tecnica»   del
braccialetto  non  incida  sulla  attualita'  della  rilevanza  della
questione  sollevata,  in  quanto  il  contenuto  del   provvedimento
giurisdizionale da emettersi deve in ogni caso fare applicazione  del
precetto di cui si chiede il vaglio della Consulta  («Ai  fini  della
rilevanza, e' sufficiente che il remittente debba  fare  applicazione
in ogni caso nel  giudizio  a  quo  della  norma  denunciata»,  Corte
costituzionale n. 216/1993). 
    D'altronde, nella fase esecutiva il  giudice  della  cautela  non
avrebbe piu' alcun modo di sollevare la questione,  avendo  perso  la
disponibilita' degli atti ed avendo in ogni caso gia' emesso l'ordine
(di aggravamento) potenzialmente  illegittimo  (sulla  tardivita'  in
questo caso della  questione,  per  avvenuta  pregressa  applicazione
della norma, ordinanza n. 176/2011 della Corte costituzionale). 
    In ogni caso, non sarebbe di ostacolo alla  ammissibilita'  della
questione  l'essere  stata  la  stessa  sollevata  nel  corso  di  un
procedimento  cautelare  allorquando  il  giudice  a  quo  non  abbia
provveduto in via definitiva sulla istanza cautelare,  e  non  abbia,
percio', consumato la sua potestas iudicandi  (sentenze  n.  172  del
2012, n. 162 e n. 200 del 2014, n. 96 del 2015, n. 84 del 2016). 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e  23  della  legge  11
marzo  1953,  n.  87,  ritenuta  la  rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza,  solleva  di  ufficio  la  questione  di   legittimita'
costituzionale,  in  relazione  agli  articoli  3,  13  e  27   della
Costituzione  nei  termini  esplicati  in  parte  motiva,   dell'art.
282-bis, comma 6, ultimo periodo del codice di procedura penale (come
novellato dall'art. 12, comma 1, lettera c), della legge 24  novembre
2023,  n.  168),  secondo  cui   «Qualora   l'organo   delegato   per
l'esecuzione accerti  la  non  fattibilita'  tecnica  delle  predette
modalita' di  controllo,  il  giudice  impone  l'applicazione,  anche
congiunta, di ulteriori misure cautelari  anche  piu'  gravi»,  nella
parte in cui non recita ulteriormente «salvo che non le  ritenga  non
necessarie in  relazione  alla  natura  e  al  grado  delle  esigenze
cautelari da soddisfare nel caso concreto». 
    Sospende il procedimento in corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di  legittimita'  costituzionale  ed  ordina  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che, a cura della cancelleria, sia notificata la presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e che della stessa
sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del  Parlamento
nonche' alle parti. 
        Napoli, 6 giugno 2024 
 
                       Il Presidente: Cantone 
 
                                       Il Giudice estensore: Scermino