Reg. ord. n. 221 del 2024 pubbl. su G.U. del 04/12/2024 n. 49
Ordinanza del Giudice di Pace di Lecce del 25/10/2024
Tra: R. C.
Oggetto:
Reati e pene – Cause di non punibilità – Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Inapplicabilità ai reati di competenza del giudice di pace – Violazione dei principi di ragionevolezza, di proporzionalità della pena e di sussidiarietà dell’illecito penale – Incidenza sui principi a tutela dell'esercizio della funzione giurisdizionale – Difetto di ragionevolezza della dosimetria della pena prevista, a fronte dell'operatività del regime di cui all'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 – Lesione dei diritti inviolabili.
Norme impugnate:
codice penale
del
Num.
Art. 131
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 2
Co.
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 24
Co.
Costituzione
Art. 25
Co.
Costituzione
Art. 27
Co.
Costituzione
Art. 102
Co.
Costituzione
Art. 111
Co.
Camera di Consiglio del 1 dicembre 2025 rel. D'ALBERTI
Testo dell'ordinanza
N. 221 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 ottobre 2024
Ordinanza del 25 ottobre 2024 del Giudice di pace di Lecce nel
procedimento penale a carico di R. C..
Reati e pene - Cause di non punibilita' - Esclusione della
punibilita' per particolare tenuita' del fatto - Inapplicabilita'
ai reati di competenza del giudice di pace.
- Codice penale, art. 131-bis.
(GU n. 49 del 04-12-2024)
IL GIUDICE DI PACE (GOP) DI LECCE
Decidendo sul fascicolo penale intestato all'imputato C. R. nato
a ... (...) il ..., ivi residente via ... n. ... rappresentato e
difeso dall'avv. F. Maggio di fiducia, per i reati di cui agli
articoli 81, 612 e 582 del codice penale; parte civile ... presente·
in udienza, rappresentato e difeso dall'avv. A. Paladini, dichiarava
che non intendeva conciliare e si opponeva ad una eventuale
assoluzione ex art. 34 decreto legislativo 2000; il giudicante
sentito il pubblico ministero, la parte civile ed il difensore
dell'imputato, si ritirava in Camera di consiglio.
Sussistenza dei presupposti di cui agli articoli 134 e ss. della
Costituzione e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953.
I° presupposto della Rilevanza delle questioni sollevate
Assodato che gli elementi di prova acquisiti consentono di
ritenere astrattamente provata la responsabilita' dell'imputato in
relazione ai reati di cui agli artt. 158 e 612 del codice penale a
lui contestati, sussiste la rilevanza della questione costituzionale
sollevata;
L'avv. Paladini, difensore della parte civile ..., ed anche
quest'ultimo presente all'udienza di discussione si sono opposti ad
una eventuale applicazione dell'art. 34 decreto legislativo n.
274/2000 decreto legislativo n. 274 del 2000.
L'imputato C. R., se la norma non fosse sospetta di
incostituzionalita', dovrebbe essere dichiarato responsabile dei capi
di imputazione e punito ai sensi degli articoli 81, 582 e 612 del
codice penale, al contrario se avesse violato l'art. 612 del codice
penale, secondo comma o se avesse commesso anche un altro reato
grave, per esempio anche il furto dell'orologio della parte civile
(di competenza del tribunale) sarebbe potuto essere assolto ex art.
131-bis del codice penale per particolare tenuita' del fatto.
L'imputato, nella fattispecie peculiare potrebbe percepire la
sanzione come vessatoria, pertanto una eventuale pronuncia della
Corte potra' influire su presente giudizio, c.d. pregiudizialita'
costituzionale (Corte costituzionale n. 129/2017).
A tutt'oggi, la possibilita' di essere assolti per particolare
tenuita' del fatto (ex art. 131-bis del codice penale) e'
inversamente proporzionale alla gravita' del reato commesso.
La questione di legittimita' Costituzionale risulterebbe, al
giudice de quo, pertanto pregiudiziale e rilevante ai fini della
decisione.
II° presupposto la non manifesta infondatezza delle questioni
sollevate
Da un orientamento giurisprudenziale (ex plurimis Cassazione 9
giugno 2017), sia pure minoritario e da parte della dottrina si
ravvisa una possibile pacifica convivenza tra l'art. 131-bis del
codice penale e l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000
decreto-legge n. 274 del 2000.
Sussisterebbe, infatti, la non manifesta infondatezza di talune
delle questioni sollevate dell'art. 131-bis del codice penale in
riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25, 27, 97, 111 117 della
Costituzione.
Sebbene entrambi gli istituti facciano riferimento, nella rubrica
dell'articolo che li contempla, alla «particolare tenuita' del
fatto», hanno struttura e ambito di applicazione non coincidenti.
L'art. 131-bis del codice penale, prevede, infatti, una causa di
esclusione della «punibilita'» allorche' - per le modalita' della
condotta e per l'esiguita' del danno o del pericolo - «l'offesa»
all'interesse protetto sia particolarmente tenue; l'art. 34 cit.
contempla una causa di esclusione della «procedibilita'» quando «il
fatto» - valutato nella sua componente oggettiva (esiguita' del danno
o del pericolo) e soggettiva (occasionalita' della condotta e grado
della colpevolezza) - sia di particolare tenuita'. Quanto alle
condizioni dell'applicazione, la causa di esclusione della
punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale richiede che
sia «sentita» la persona offesa (artt. 411 e 469 del codice di
procedura penale), mentre l'applicabilita' del decreto legislativo n.
274 del 2000, art. 34, e' subordinato - nella fase delle indagini
preliminari - alla condizione che «non risulti un interesse della
persona offesa alla prosecuzione del procedimento» e, nella fase del
giudizio, alla mancata opposizione sia dell'imputato che della
persona offesa. Appare evidente, allora, che l'operativita' del
decreto legislativo n. 274 del 2000, art. 34, e' subordinata a
condizioni piu' stringenti di quelle richieste dall'art. 131-bis del
codice penale, in quanto la prima norma esige che «il fatto» (e non
solo l'offesa) sia di particolare tenuita' e perche' l'esistenza -
oggettivamente valutata - di un interesse della persona offesa
preclude l'immediata definizione del procedimento (una volta
esercitata l'azione penale, l'applicabilita' dell'art. 34 cit., e'
addirittura subordinata al mancato esercizio del diritto potestativo
di opposizione, sia dell'imputato che della persona offesa. Inoltre,
al giudice e' rimessa, in ogni caso, una valutazione del pregiudizio
che l'ulteriore corso del procedimento puo' recare alle esigenze di
lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta
ad indagini o dell'imputato). Non si tratta di differenze di poco
conto, perche' «il fatto» previsto dall'art. 34 cit. puo' - sebbene
rechi una minima offesa all'interesse protetto - non essere di
particolare tenuita' per mancanza di occasionalita' (elemento da cui
prescinde, invece, l'art. 131-bis del codice penale, salve le ipotesi
di cui ai commi 2 e 3), mentre il diverso ruolo giocato - per l'art.
34 - dall'interesse della persona offesa (o dal diritto potestativo
di questa e dell'imputato, dopo l'esercizio dell'azione penale)
colloca i due istituti su piani diversi di praticabilita',
subordinando l'operativita' di quest'ultimo ad una valutazione piu'
ampia di quella richiesta dall'art. 131-bis del codice penale, che
e', invece, ancorato (essenzialmente, anche se non solo) al grado
dell'offesa. I problemi posti dalla coesistenza - nell'ordinamento
penale - dei due istituti sopra esaminati non possono essere risolti,
ad avviso di questo collegio, facendo applicazione del principio di
specialita', valevole in materia penale (criterio adottato, invece,
dalla sentenza n. 38876 del 20 agosto 2015, della sezione feriale di
questa Corte), giacche' le norme sopra richiamate non presuppongono
la medesima situazione di fatto, ma situazioni solo parzialmente
convergenti. Cosi', puo' darsi che un fatto non rientrante nella
previsione dell'art. 34 (perche', per esempio, mancante di
occasionalita'; perche' osta alla sua immediata definizione un
interesse della persona offesa; perche', dopo l'esercizio dell'azione
penale, vi e' opposizione dell'imputato o della persona offesa)
rientri, invece, nella previsione dell'art. 131-bis (per esempio,
perche' si tratta di imputato che deve rispondere di una percossa
quasi simbolica); viceversa, possono esservi casi definibili ex art.
34, anche se «l'offesa» superi il livello di offensivita' presupposto
dall'art. 131-bis del codice penale (per esempio, perche' ostano alla
procedibilita' le particolari condizioni di salute dell'imputato). A
tali considerazioni va aggiunto che nessuna indicazione normativa
conforta la tesi negativa. Infatti, il decreto legislativo n. 274 del
2000, art. 2 - secondo cui nel procedimento davanti al giudice di
pace, per tutto cio' che non e' previsto dal decreto stesso, si
osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di
procedura penale e nei titoli I e II del decreto legislativo 28
luglio 1989, n. 271, richiamato dalla giurisprudenza avversa, si
riferisce, all'evidenza, alle norme di procedura, ma non anche agli
istituti sostanziali, qual'e', secondo la giurisprudenza di questa
Corte, quello contemplato dall'art. 131-bis del codice penale (Sez.
U, Sentenza n. 13681 del 25 febbraio 2016; Cassazione, sez. 5, n.
5800 del 2 luglio 2015, Rv 267989; Sez. 3, n. 31932 del 2 luglio
2015; sez. 6, n. 39337 del 23 giugno 2015). Ne' indicazioni in senso
contrario vengono dal parere espresso dalla Commissione giustizia
sullo schema di decreto legislativo il 3 febbraio 2015, ove si
invitava il Governo a valutare «l'opportunita' di coordinare la
disciplina della particolare tenuita' del fatto prevista dal decreto
legislativo 28 ottobre 2000, n. 274, art. 34, in riferimento ai reati
del giudice di pace, con la disciplina prevista dal provvedimento in
esame» e dal fatto che la sollecitazione suddetta non fu accolta.
Infatti, come gia' rilevato nella sentenza n. 40699 del 9 aprile 2016
di questa Corte, tale determinazione fu adottata per il solo fatto
che il coordinamento tra le discipline del decreto legislativo n. 274
del 2000, art. 34, e art. 131-bis del codice penale, fu ritenuto
estraneo alle indicazioni della legge delega; da qui la necessita'
che la possibile interferenza tra diverse disposizioni deve essere
risolta dall'interprete. In definitiva, sono proprio le differenze
fra i due istituti (e la disciplina sostanzialmente di maggior favore
prevista dall'art. 131-bis del codice penale), che inducono a
ritenere che quest'ultima sia applicabile - nel rispetto dei soli
limiti espressamente indicati dalla norma - a tutti i reati, ivi
compresi quelli di competenza del giudice di pace, anche perche'
sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che
una norma di diritto sostanziale - nata per evitare alla persona
offesa il pregiudizio derivante dalla condanna per fatti di minima
offensivita', che la coscienza comune percepisce come di minimo
disvalore, e per ridurre i costi connessi al procedimento penale -
sia inapplicabile proprio ai reati che, per essere di competenza del
giudice di pace, sono ritenuti dal legislatore di minore gravita'.
Sussisterebbe, inoltre, la violazione dei principi di
ragionevolezza, proporzionalita' e sussidiarieta' della legge penale
di cui agli art. 3, 25, 27 della Costituzione;
Circostanze mutate dall'ordinanza n. 224/21:
1) Il giudice di pace (GOP) e' divenuto stabile;
2) Maggiori competenze del GOP
A) Violazione degli articoli 3 e 25
La regola del favor rei
Principio interpretativo teso ad individuare il trattamento
giuridico, in concreto, piu' favorevole al reo.
L'istituto del favor rei, disciplinato dall'art. 3, decreto
legislativo n. 472/1997, quale declinazione del principio di
legalita', si applica in presenza di qualsiasi modifica in melius
della disciplina sanzionatoria, salvo espressa indicazione contraria
del legislatore. Va peraltro ricordato che la deroga al favor e'
ammessa soltanto in presenza di giustificazioni ragionevoli e in
assenza di lesione del principio di eguaglianza, ex art. 3 della
Costituzione. L'ambito di operativita' dell'istituto non e' tuttavia
precisamente definito nella giurisprudenza di Cassazione, che in
alcuni casi ne ha tenuto conto anche in presenza di innovazioni della
normativa sostanziale del tributo. E' chiaro che il favor e' cosa
totalmente diversa dall'entrata in vigore di una norma. Quest'ultima
indica la data a partire dalla quale una norma di legge e'
applicabile. Il primo invece esprime il principio secondo cui
ogniqualvolta varia il trattamento sanzionatorio, in senso favorevole
al contribuente, a prescindere dalla data di entrata in vigore della
novella, essa si applica anche ai comportamenti tenuti in passato.
La regola del favor rei ha due declinazioni:
1) abrogazione dell'illecito e si potrebbe ravvisare
l'intervenuta abrogazione tacita dell'art. 34 decreto legislativo n.
274/2000 ad opera dell'art. 131-bis del codice penale,
2) variazione nel tempo della sanzione edittale. Nel primo
caso, il favor determina il venir meno dell'obbligazione
sanzionatoria, anche in presenza di provvedimenti definitivi, nella
parte non ancora pagata. Nel secondo caso, invece, si applica sempre
la misura piu' favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione
non sia divenuto definitivo. Il favor e' applicato d'ufficio dal
giudice, anche in assenza di espressa richiesta di parte (Cassazione
n. 12392/2021). La sfera naturale di efficacia della norma in esame
e', per l'appunto, la modifica della disciplina sanzionatoria.
A livello comunitario il principio di legalita' e' sancito
dall'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea, con previsione piu' ampia della norma in commento atteso che
il menzionato art. 49 contiene anche il principio di proporzionalita'
tra reato e pena, cio' cui nel nostro ordinamento e' giunta
l'elaborazione della Corte costituzionale.
Come piu' volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, il
principio di retroattivita' favorevole trova il proprio fondamento e
giustificazione nel principio di uguaglianza dei cittadini di cui
all'art. 3 della Costituzione, che, salvo il limite del giudicato di
condanna, fa in modo che un cittadino condannato per un determinato
reato venga trattato allo stesso modo di un cittadino giudicato in
maniera piu' favorevole solo perche' abbia commesso il fatto in un
momento successivo, in cui vige una norma piu' favorevole.
Non attualita' delle ordinanze della Corte n. 28 del 2007 e n.
415 e 228 del 2005
Giudice di pace: disposizioni sulla competenza penale
Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma
dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468
Testo aggiornato al decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89
Art. 4.
Competenza per materia
1. Il giudice di pace e' competente:
a) per i delitti consumati o tentati previsti dagli articoli
581, 582, limitatamente alle fattispecie di cui al secondo comma
perseguibili a querela di parte, 590, limitatamente alle fattispecie
perseguibili a querela di parte e ad esclusione delle fattispecie
connesse alla colpa professionale e dei fatti commessi con violazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative
all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia
professionale quando, nei casi anzidetti, derivi una malattia di
durata superiore a venti giorni, nonche' ad esclusione delle
fattispecie di cui all'art. 590, terzo comma, quando si tratta di
fatto commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi
dell'art. 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto
l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, 594, 595, primo e
secondo comma, 612, primo comma, 626, 627, 631, salvo che ricorra
l'ipotesi di cui all'art. 639-bis, 632, salvo che ricorra l'ipotesi
di cui all' art. 639-bis, 633, primo comma, salvo che ricorra
l'ipotesi di cui all' art. 639-bis, 635, primo comma, 636, salvo che
ricorra l'ipotesi di cui all'art. 639-bis, 637, 638, primo comma, 639
e 647 del codice penale; (1)
b) per le contravvenzioni previste dagli articoli 689, 690,
691, 726, primo comma, e 731 del codice penale.
2. Il giudice di pace e' altresi' competente per i delitti,
consumati o tentati, e per le contravvenzioni previsti dalle seguenti
disposizioni:
a) articoli 25 e 62, terzo comma, del regio decreto 18 giugno
1931, n. 773, recante «Testo unico in materia di sicurezza»;
b) articoli 1095 [cosi' rettificato con avviso su Gazzetta
Ufficiale n. 119 del 24 maggio 2001], 1096 e 1119 del regio decreto
30 marzo 1942, n. 327, recante «Approvazione del testo definitivo del
codice della navigazione»;
c) art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 4
agosto 1957, n. 918, recante «Approvazione del testo organico delle
norme sulla disciplina dei rifugi alpini»;
d) articoli 102 e 106 del decreto del Presidente della
Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, recante «Testo unico delle leggi
per l'elezione della Camera dei deputati»;
e) art. 92 del decreto del Presidente della Repubblica 16
maggio 1960, n. 570, recante «Testo unico delle leggi per la
composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni
comunali»;
f) art. 15, secondo comma, della legge 28 novembre 1965, n.
1329, recante «Provvedimenti per l'acquisto di nuove macchine
utensili»;
g) art. 3 della legge 8 novembre 1991, n. 362, recante «Norme
di riordino del settore farmaceutico»;
h) art. 51 della legge 25 maggio 1970, n. 352, recante «Norme
sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa
legislativa del popolo»;
i) articoli 3, terzo e quarto comma, 46, quarto comma e 65,
terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio
1980, n. 753, recante «Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e
regolarita' dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di
trasporto»;
l) articoli 18 e 20 della legge 2 agosto 1982, n. 528,
recante «Ordinamento del gioco del lotto e misure per il personale
del lotto»;
m) art. 17, comma 3, della legge 4 maggio 1990, n. 107,
recante «Disciplina per le attivita' trasfusionali relative al sangue
umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati»;
n) art. 15, comma 3, del decreto legislativo 27 settembre
1991, n. 311, recante «Attuazione delle direttive n. 87/404/CEE e n.
90/488/CEE in materia di recipienti semplici a pressione, a norma
dell'art. 56 della legge 29 dicembre 1990, n. 428»;
o) art. 11, comma 1, del decreto legislativo 27 settembre
1991, n. 313, recante «Attuazione della direttiva n. 88/378/CEE
relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
concernenti la sicurezza dei giocattoli, a norma dell'art. 54 della
legge 29 dicembre 1990, n. 428»;
[p) art. 7, comma 9, del decreto legislativo 25 gennaio 1992,
n. 74, recante «Attuazione della direttiva n. 84/450/CEE in materia
di pubblicita' ingannevole»,] (2)
q) articoli 186, commi 2 e 6, 187, commi 4 e 5 del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante «Nuovo codice della
strada»; (3)
r) art. 10, comma 1, del decreto legislativo 14 dicembre
1992, n. 507, recante «Attuazione della direttiva n. 90/385/CEE
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative ai dispositivi medici impiantabili attivi»;
s) art. 23, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio
1997, n. 46, recante «Attuazione della direttiva n. 90/385/CEE
concernente i dispositivi medici».
s-bis) art. 10-bis del testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286. (4)
s-ter) art. 13, comma 5.2, e art. 14, commi 1-bis, 5-ter e
5-quater, del testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. (5)
A) Violazione degli art. 27 della Costituzione
E' consolidato nella giurisprudenza di legittimita' e
costituzionale il principio di proporzionalita' della sanzione
penale, infatti la pena deve essere rieducativa, a norma dell'art.
27, comma 2 della Costituzione, non deve essere percepita come
ingiusta o sproporzionata. Valori certamente prevalenti, nel
bilanciamento costituzionale, rispetto al carattere di specialita'
dell'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo n.
274/2000, frutto di una mera scelta di opportunita' e di politica
criminale che non puo' rivestire un rilievo Costituzionale.
Indubbia e' la diversita' dei due istituti la natura sostanziale
del nuovo istituto - gia' valorizzata in passato dal supremo consesso
per estendere l'applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale ai
procedimenti pendenti al momento di entrata in vigore del
decreto-legge n. 28 del 2015 ai sensi degli articoli 7 Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali e 2 del codice penale, che si riferisce alle sole norme
processuali.
La natura giuridica del congegno ex art. 131-bis del codice
penale e' una causa di non punibilita', mentre quello delineato
dall'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 e' una causa di non
procedibilita'; Istituto sostanziale il primo, processuale il
secondo, che non sono sovrapponibili. L'art. 34 decreto legislativo
n. 274/2000 esige che il fatto e non solo l'offesa sia di particolare
tenuita', art. 131-bis del codice penale non fa riferimento al grado
della colpevolezza, anche se alludendo alla modalita' della condotta
da valutare ai sensi dell'art. 133, comma 1 del codice penale, in
qualche modo recupera il profilo dell'intensita' del dolo e del grado
della colpa. La norma codicistica svincola completamente la causa di
non punibilita' da valutazioni di tipo specialpreventivo concernenti
gli effetti pregiudizievoli che possono derivare all'imputato dalla
prosecuzione del processo.
Il requisito, piu' stringente della occasionalita' del fatto
contenuto nell'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 e sostituito
nell'art. 131-bis del codice penale da quello piu' elastico, della
non abitualita' del comportamento.
La sola la norma codicistica delinea, poi, un ulteriore
condizione negativa, sbarrando il ricorso all'istituto nel caso in
cui si tratti di reati che abbiano condotte plurime abituali e
reiterate.
Effetti giuridici diversi dei due istituti
Visibili sono gli effetti giuridici, infatti, la pronuncia di
improcedibilita' non e' iscrivibile nel casellario giudiziario, non
e' idonea a formare alcun giudicato sull'illiceita' penale della
condotta e non e' impugnabile dall'imputato, a differenza della
sentenza che dichiara la non punibilita', che presuppone
l'accertamento di responsabilita'.
Entrambi gli istituti perseguono un intento deflativo e a dare
piena attuazione ai principi costituzionali di extrema ratio e di
proporzionalita' della pena.
Finalita' eminentemente «conciliativa» della giurisdizione di
pace?
La causa di improcedibilita' prevista dall'art. 34 decreto
legislativo n. 274/2000 decreto legislativo trova invece fondamento
giustificativo nella finalita' eminentemente «conciliativa» della
giurisdizione di pace, cosi' interpretata dalla Corte di cassazione a
sezioni unite e anche avallata dalla Consulta, ma in realta' l'art.
34 decreto legislativo n. 274/2000 cosi' come previsto e poco
utilizzato e comunque la funzione conciliativa del giudice di pace
porta a differenti conclusioni e cioe' A) ad una remissione della
querela in caso di assenso da parte della parte offesa; o B) in caso
di reiterata assenza della parte civile o della parte offesa nel
processo, alla remissione tacita della querela, non certamente ad una
applicazione della art. 34 decreto legislativo n. 274/2000.
Detta finalita' «conciliativa» collide inoltre con la ventennale
esperienza del giudice di pace che si e' occupato, sino a poco tempo
fa del reato previsto dall'art. 590 del codice penale con lesioni
gravissime (ex multis sentenza G.d.P Lecce n. 106/11 con una condanna
ad una provvisionale di euro 300.000,000 decisione confermata in
appello ed in Cassazione), di reati di immigrazione, che comportano
limitazione della liberta' personale con ordinanze di rimessione alla
Corte europea ecc..
Inoltre la maggior parte dei procedimenti davanti al giudice di
pace vedono come parti contrapposte ex coniugi, con vari procedimenti
penali ed una causa civile di separazione o divorzio pendenti, la cui
conciliazione sarebbe impossibile anche per il grande Salomone.
La persona offesa, costretta a subire una conclusione sgradita
del procedimento, perche' la sua manifestazione di interesse alla
prosecuzione, o nella fase processuale la sua opposizione, impedisce
al giudice di pace di applicare l'istituto previsto art. 34 decreto
legislativo n. 274/2000, ma non paralizzerebbe l'operativita'
dell'art. 131-bis del codice penale, che non resterebbe priva di
tutela. Infatti nell'eventuale concorrente veste di persona
danneggiata, sarebbe comunque legittimata ad esercitare l'azione
civile a carattere restitutorio o risarcitorio, ai sensi dell'art.
651-bis del codice di procedura penale.
Inoltre l'inclusione dei reati di competenza del giudice di pace
nell'orbita applicativa dell'art. 131-bis del codice penale
offuscherebbe solo il volto conciliativo del rito disciplinato dal
decreto legislativo suddetto, quello deflativo ne risulterebbe
persino esaltato, dilatandosi l'area dei fatti scarsamente offensivi
che non giustificano un approfondimento processuale.
Infine la strategia conciliativa (ammesso e non concesso) del
meccanismo ex art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 e' frutto di
una scelta di opportunita' e di politica criminale che non riveste
alcun rilievo costituzionale, a differenza dei principi di extrema
ratio e proporzione della pena che stanno alla base dell'Istituto del
nuovo conio. C'e' quindi da chiedersi se la tutela di un obiettivo
privo di carattere costituzionale, perseguito dal legislatore del
2000 che sarebbe affievolita dalla convivenza operativa della causa
di non punibilita' codicistica e della condizione di improcedibilita'
speciale, possa giustificare nella prospettiva dell'art. 3 della
Costituzione, l'emarginazione dal procedimento dinanzi al giudice di
pace del congegno previsto dall'art. 131-bis del codice penale, la
cui ratio, ha invece un solido fondamento costituzionale.
E comunque il valore conciliativo usato dalle sezioni unite puo'
essere eventualmente messo in discussione ai sensi dell'art. 618,
comma 1-bis del codice di procedura penale
Al contrario una pacifica convivenza dei due istituti nel micro
sistema del giudice di pace fondandosi sulla cosiddetta clausola di
salvaguardia della disciplina speciale, posto dall'art. 16, secondo
periodo del codice penale nel caso di specie sembra venire in rilievo
la sola prima parte della norma punto enunciato dell'art. 16 del
codice penale in due autonomi segmenti: Il primo prende in esame la
situazione di un certo caso, e' disciplinato unicamente dal codice
penale e non anche dalla legge speciale, stabilendo il solenne
principio di unita' dogmatica dell'intero diritto penale; si
applicano le disposizioni del codice penale alle materie regolate
dalle altre leggi penali speciali. Il secondo segmento contempla la
situazione in cui la legislazione speciale disciplina esplicitamente
il medesimo caso regolato anche dal codice penale, posto che la legge
speciale stabilisce altrimenti, trova applicazione la disciplina in
essa contenuta. Il secondo enunciato dell'art. 16 del codice penale
regola, dunque, il fenomeno del concorso di norme. A ben vedere si
tratta di un concorso apparente poiche' imposta l'applicazione della
sola norma speciale. L'art. 16 del codice penale nell'ultima parte,
condivide con il precedente art. 15 del codice penale la funzione.
Serve in pratica ad evitare il concorso di norme e ad imporre
l'applicazione di una sola norma, la speciale, quando vi sono due
norme poste tra loro in rapporto di genere a specie e che, dunque,
regolano per forza lo stesso caso. In definitiva perche' si applichi
la seconda parte dell'art. 16 del codice penale le due norme
codicistica extra codicistica devono essere in rapporto di
specialita' tra loro. Se non si configura siffatta relazione di
genere e specie tra la norma codicistica e quella della legislazione
complementare non opera la seconda parte dell'art. 16 del codice
penale bensi' la prima. Quindi si applica la norma codicistica non
essendo quel caso effettivamente preso in considerazione anche dalla
norma extracodicistica.
Quando invece ciascuna norma presenta oltre a un nucleo di
elementi comuni, requisiti eterogenei sul piano della struttura della
fattispecie, esclusivamente e propri ed estranei all'altra, non e'
configurabile una relazione di genere a specie, bensi' di
interferenza.
Un esempio di interferenza e' rintracciabile, nel rapporto tra
l'art. 131-bis del codice penale e l'art. 34 decreto legislativo n.
274/2000 decreto legislativo le cui discipline, hanno un nucleo in
comune, cioe' l'esiguita' dell'offesa al bene oggetto di tutela
penalistica ed elementi reciprocamente eterogenei.
Il rapporto fra loro quindi sfugge all'incidenza applicativa del
secondo segmento dell' art. 16 del codice penale quindi non vi sono
barriere normative che possono impedire alla causa di non punibilita'
codicistica di straripare gli argini del rito ordinario e raggiungere
il microsistema del giudice di pace, ovviamente quando manchino le
condizioni per applicare l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000,
per legittimare il giudice di pace a dichiarare la tenuita' per fatto
ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale, naturalmente in
presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla
norma.
B) Violazione del principio di sussidiarieta' dell'illecito
penale
Il ricorso alla sanzione penale nel nostro ordinamento deve
ammettersi esclusivamente come extrema ratio, quando cioe' la tutela
del bene giuridico non possa essere raggiunta adeguatamente
attraverso altri strumenti dell'ordinamento giuridico.
L'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 ha, quindi, un ambito
di applicazione ben piu' ristretto rispetto alla norma sostanziale
inserita all'interno del codice penale, che dunque si atteggia a
norma di maggior favore per l'imputato.
Si ravvisa l'impossibilita' di configurare un rapporto di
specialita' tra gli articoli 34 decreto legislativo n. 274/2000 e
131-bis del codice penale. Gli istituti in questione sono infatti,
come visto, diversi per natura, presupposti, requisiti e conseguenze,
cosi' come parzialmente diversa ne e' la stessa ratio di fondo, al
punto che nemmeno accogliendo la nozione di specialita' reciproca
potrebbe essere risolto quello che, in realta', neppure si profila
come un concorso apparente di norme.
Le differenze strutturali e sostanziali tra i due istituti,
diversi anche per natura giuridica (causa di improcedibilita' il
primo, di esclusione della punibilita' il secondo), rappresentano
cio' che li rende destinati a coesistere nell'ambito del procedimento
dinanzi al giudice di pace.
Nulla quaestio, quindi, circa la necessita' di regolare il
rapporto tra le due norme in esame non gia' ai sensi dell'art. 15 del
codice penale, quanto piuttosto alla luce del principio generale di
cui all'art. 16 del codice penale, stante il quale le disposizioni
del codice penale devono trovare applicazione anche alle materie
regolate da leggi speciali, laddove non sia da queste «stabilito
altrimenti». Senonche', a differenza di quanto ritenuto dalle Sezioni
unite, nel caso di specie ci sembra che venga in rilievo la sola
prima parte dell'art. l6 del codice penale, e dunque il principio di
generale e estendibilita' della disciplina del codice penale alle
materie regolate dalle leggi speciali, e non l'eccezione allo stesso.
All'interno del decreto legislativo n. 274/2000 manca, infatti, una
deroga espressa all'operativita' dell'art. 131-bis del codice penale
nel procedimento speciale per i reati di competenza del giudice di
pace. Ne', d'altra parte, si puo' rinvenire nel medesimo decreto la
presenza di un istituto a tal punto analogo alla causa di non
punibilita' in esame da giustificare implicitamente la sua
disapplicazione, neppure guardando - come suggerisce la sentenza in
commento - agli istituti in questione «nel ruolo e nella funzione che
svolgono all'interno del sistema di riferimento».
Art. 529 del codice di procedura penale,
Infine il normale ordine da seguire per affrontare le questioni
penali e' proprio: la procedibilita', prima, eventuali cause di non
punibilita' attinenti all'aspetto sostanziale, poi (come per altro
confermato dall'art. 529 del codice di procedura penale, che impone
il proscioglimento immediato laddove il giudice riscontri che
l'azione penale non poteva essere iniziata o non possa proseguire).
C) Violazione del principio 102 della Costituzione
La funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari
istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario.
Non posso essere istituiti giudici straordinari o giudici
speciali. Possono soltanto essere istituiti presso gli organi
giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie
anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla
magistratura.
La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta
del popolo all'amministrazione della giustizia.
L'art. 6 del codice di procedura penale suona. «Il tribunale e'
competente per i reati che non appartengono alla competenza della
Corte di assise o del giudice di pace.»
Il rito penale davanti al giudice di pace, non lo rende speciale
(o diverso) per l'obiettivo di «conciliazione delle parti»,
d'altronde non lo e' neppure il giudice del lavoro ex art. 409 ess.
codice di procedura civile da sempre, ne' il giudice del tribunale
con l'introduzione dell'art. 185-bis del codice di procedura civile
di nuova generazione.
L'art. 7 del codice di procedura civile Libro Primo titolo I
degli organi giudiziari
Sezione II della competenza per materia e valore
Il giudice di pace e' competente per le cause...
Rivisitando la sentenza delle S.U. penali del 22 giugno 2017 n.
53683, nella parte in cui ritiene il giudice di pace un soggetto
volontario ed onorario, alla luce dell'attuale stabilita' del giudice
di pace (che come il sottoscritto ha superato l'esame previsto per
legge);
Nonche' della sentenza della Corte europea (seconda sezione) del
16 luglio 2020 si potrebbe valutare una possibile e necessaria
convivenza nel procedimento dinanzi al giudice di pace dei due
diversi modelli di «irrilevanza per particolare tenuita' del fatto»
sbloccando finalmente le barriere artificiali che annullano le
istanze di rilievo Costituzionale quali quelle di economia
processuale, di extrema ratio e di proporzionalita' e ragionevolezza
della pena.
La sentenza della Corte europea del 16 luglio 2020, infatti,
nella causa C658/18, avente ad oggetto la domanda di pronuncia
pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 267 Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea, dal giudice di pace di Bologna
(Italia), con ordinanza del 16 ottobre 2018, pervenuta in cancelleria
il 22 ottobre 2018, nel procedimento UX contro Governo della
Repubblica italiana, conclude:
...Per questi motivi, la Corte (Seconda sezione) dichiara:
1) L'art. 267 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
deve essere interpretato nel senso che il Giudice di pace (Italia)
rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri»,
ai sensi di tale articolo.
2) L'art. 7, paragrafo 1 della direttiva 2003/88/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente
taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'art.
31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace
che, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed
effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per
le quali percepisce indennita' aventi carattere remunerativo, puo'
rientrare nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tali
disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio
verificare.
La clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della
direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa
all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato,
deve essere interpretata nel senso che la nozione di «lavoratore a
tempo determinato», contenuta in tale disposizione, puo' includere un
giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale,
nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed
effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per
le quali percepisce indennita' aventi carattere remunerativo,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della
direttiva n. 1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad
una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di
pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di trenta giorni,
come quello previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in cui
tale giudice di pace rientri nella nozione di «lavoratore a tempo
indeterminato», ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo
quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di
un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento
sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura
delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la
responsabilita', circostanza che spetta al giudice del rinvio
verificare.
D) Violazione del principio dell'art. 111 della Costituzione
Si evidenzia il difetto di ragionevolezza della dosimetria della
pena prevista dal vigente art. 131-bis del codice penale, e l'art. 34
decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo 2000, che
emergerebbe nel raffronto con il trattamento sanzionatorio previsto
per il fatto di lieve entita' l'assoluzione il primo, e con la
condanna il secondo; nonostante la linea di demarcazione
«naturalistica» tra le fattispecie «speciale» art. 615, primo comma e
«ordinaria» art. 615, secondo comma, sia talvolta non netta, il
«confine sanzionatorio» dell'una e dell'altra incriminazione e'
invece troppo e, quindi, irragionevole. Pertanto, il trattamento
sanzionatorio sensibilmente diverso tra le fattispecie che si pongono
sul confine tra l'ipotesi lieve e l'ipotesi ordinaria determina un
rapporto non ragionevole con il disvalore della condotta.
E) Violazione dell'art. 3 della Costituzione
Tale norma appare, anzitutto, in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta
legislativa.
Il giudice a quo ritiene che, nella fattispecie peculiare, la
pronuncia delle Sezioni unite penali n. 53683 del 22 giugno 2017, con
la quale la suprema corte ha voluto escludere radicalmente
l'applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale ai reati di
competenza del giudice di pace, costituisca ostacolo insormontabile
ad un'interpretazione costituzionalmente orientata del medesimo, tale
da giustificarne la rimessione alla Corte; ritenendo la questione non
manifestamente infondata e rilevante per la decisione del presente
giudizio; solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 131-bis del codice penale, nella misura in cui esso non e'
applicabile ai reati rientranti nella competenza del giudice di pace,
per violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Palese ed irragionevole disparita' di trattamento sotto il
profilo sanzionatorio.
La irragionevolezza della nuova fattispecie penale emerge anche
sotto il profilo sanzionatorio,
Tale regolamentazione, infatti, introduce una palese ed
irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti ugualmente
destinatari della predetta sanzione.
Citando P. Danelli: «Il giudice di pace, riscontrata la
sussistenza di tutte le condizioni di procedibilita', deve applicare
la sanzione soltanto quando abbia accertato il dovere di punire, la
cui esistenza e' esclusa in mancanza del bisogno di pena e, dunque
laddove possa essere applicato l'art. 131-bis del codice penale,
ritenere che, per salvaguardare presunte finalita' conciliative, si
debba punire nonostante la mancanza del bisogno di pena, significa
attribuire agli illeciti di competenza del magistrato di pace, uno
statuto eccezionale e di infrangere cosi' l'unitarieta' della teoria
del reato. La coerenza del sistema depone quindi in favore della
applicabilita' dell'art. 13l-bis del codice penale anche ai reati di
competenza del giudice di pace.
Irragionevole disparita' di trattamento sotto il profilo
sanzionatorio dell'art. 34 decreto legislativo rispetto all'art.
131-bis del codice penale
Palese violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto la
disposizione censurata delineerebbe un trattamento sanzionatorio
irragionevole tenuto conto che, nonostante la linea di demarcazione
«naturalistica» fra la fattispecie «ordinaria», di cui alla
disposizione denunciata, e quella di «lieve entita'», di cui all'art.
131-bis del codice penale, non sia sempre netta, il «confine
sanzionatorio» dell'una e dell'altra incriminazione e' invece
eccessivamente e, quindi, irragionevolmente, distante.
Detta irragionevolezza contrasterebbe con gli articoli 3 e 27
della Costituzione, poiche' la previsione di una pena
ingiustificatamente aspra e sproporzionata rispetto alla gravita' del
fatto ne pregiudicherebbe la funzione rieducativa.
L'art. 3 della Costituzione appare violato sotto un altro
specifico profilo, concernente la irragionevole disparita' di
trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all'art. 34
decreto legislativo n. 274/2000.
F) Violazione dell'art. 25 e 111 della costituzione
Con la sentenza n. 233 del 2018, la Corte, dopo aver ribadito che
le valutazioni discrezionali di dosimetria della pena spettano
anzitutto al legislatore, ha precisato che non sussistono ostacoli al
suo intervento quando le scelte sanzionatorie adottate dal
legislatore si siano rivelate manifestamente arbitrarie o
irragionevoli e il sistema legislativo consenta l'individuazione di
soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da «ricondurre
a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un determinato bene
giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all'eliminazione
di ingiustificabili incongruenze». Similmente, la sentenza n. 222 del
2018 di poco precedente aveva gia' ritenuto che al fine di consentire
l'intervento correttivo di questa Corte non e' necessario che esista,
nel sistema, un'unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado
di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella prevista
per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere
assunta come tertium comparazioni, essendo sufficiente che il
«sistema nel suo complesso offra alla Corte "precisi punti di
riferimento" e soluzioni "gia' esistenti"», ancorche' non
«costituzionalmente obbligate», «che possano sostituirsi alla
previsione sanzionatoria dichiarata illegittima».
In definitiva, fermo restando che non spetta alla Corte
determinare autonomamente la misura della pena, l'ammissibilita'
delle questioni di legittimita' costituzionale che riguardano
l'entita' della punizione risulta condizionata non tanto dalla
presenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto
dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte
all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica
perseguita dal legislatore. Nel rispetto delle scelte di politica
sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre,
infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche immuni dal
sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui e'
maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva
dei diritti fondamentali, incisi dalle scelte sanzionatorie del
legislatore.
G) Violazione dell'art. 2 della costituzione
Il contrasto del trattamento sanzionatorio attualmente previsto
dall'art. 131-bis del codice penale, e l'art. 34 decreto legislativo
n. 274/2000 decreto legislativo 2000 «con il principio di
proporzionalita' e il principio di colpevolezza e di necessaria
finalizzazione rieducativa della pena, appare oggettivamente
contrastare e vilare il disposto degli articoli 3 e 27 della
Costituzione».
La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto con l'art. 2
della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo.
Invero, la giurisprudenza costituzionale, ribadita anche
recentemente, ammette in particolari situazioni interventi con
possibili effetti in malam partem in materia penale, restando semmai
da verificare l'ampiezza e i limiti dell'ammissibilita' di tali
interventi nei singoli casi. Certamente il principio della riserva di
legge di cui all'art. 25 della Costituzione rimette al legislatore
«la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni da
applicare», ma non esclude che la Corte possa assumere decisioni il
cui effetto in malam partem non discende dall'introduzione di nuove
norme o dalla manipolazione di norme esistenti, ma dalla semplice
rimozione di disposizioni costituzionalmente illegittime. In tal
caso, l'effetto in malam partem e' ammissibile in quanto esso e' una
mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di una
norma costituzionalmente illegittima, la cui caducazione determina
l'automatica espansione di altra norma dettata dallo stesso
legislatore.
In definitiva, fermo restando che non spetta alla Corte
determinare autonomamente la misura della pena, l'ammissibilita'
delle questioni di legittimita' costituzionale che riguardano
l'entita' della punizione risulta condizionata non tanto dalla
presenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto
dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte
all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica
perseguita dal legislatore. Nel rispetto delle scelte di politica
sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre,
infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche immuni dal
sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui e'
maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva
dei diritti fondamentali.
L'impossibilita' di applicare l'art. 34 decreto legislativo n.
274/2000 decreto legislativo, nella fattispecie peculiare, per
l'opposizione della parte civile, porterebbe a condannare
l'imputato... al posto di una applicazione dell'art. 131-bis del
codice penale per il principio processuale della ragione piu'
liquida, desumibile dagli articoli 24, e 111 della Costituzione
italiana (Cassazione n. 30745 del 2019) con conclusioni paradossali,
per cui ancora oggi:
La possibilita' di essere assolti per particolare tenuita'
del fatto e' inversamente proporzionale alla gravita' del reato
commesso.
(1) Lettera cosi' da ultimo modificata dal decreto-legge 23 maggio
2008, n. 92.
(2) Lettera abrogata dalla legge 6 aprile 2005, n. 49.
(3) Lettera cosi' modificata dalla legge 9 aprile 2003, n. 72.
(4) Lettera aggiunta dalla legge 15 luglio 2009, n. 94.
(5) Lettera aggiunta dal decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89
P.Q.M.
Il GOP giudice di pace di Lecce dott. Cosimo Rochira,
Visti gli articoli 134 e ss. della Costituzione e 23 della legge
n. 87 dell'11 marzo 1953;
Ritenuta la rilevanza ai fini del giudizio e la non manifesta
infondatezza solleva la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 131-bis del codice penale nella parte in cui non lo rende
applicabile anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace, per
contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 25, 27, 102, 111 della
Costituzione della Repubblica italiana;
Sospende il presente processo e ordina la trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale;
Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza
al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato
della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.
Cosi' deciso in Lecce il 16 ottobre 2024
Il GOP: Rochira
Oggetto:
Reati e pene – Cause di non punibilità – Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Inapplicabilità ai reati di competenza del giudice di pace – Violazione dei principi di ragionevolezza, di proporzionalità della pena e di sussidiarietà dell’illecito penale – Incidenza sui principi a tutela dell'esercizio della funzione giurisdizionale – Difetto di ragionevolezza della dosimetria della pena prevista, a fronte dell'operatività del regime di cui all'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 – Lesione dei diritti inviolabili.
Norme impugnate:
codice penale del Num. Art. 131
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 2 Co.
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 24 Co.
Costituzione Art. 25 Co.
Costituzione Art. 27 Co.
Costituzione Art. 102 Co.
Costituzione Art. 111 Co.
Camera di Consiglio del 1 dicembre 2025 rel. D'ALBERTI
Testo dell'ordinanza
N. 221 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 ottobre 2024 Ordinanza del 25 ottobre 2024 del Giudice di pace di Lecce nel procedimento penale a carico di R. C.. Reati e pene - Cause di non punibilita' - Esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto - Inapplicabilita' ai reati di competenza del giudice di pace. - Codice penale, art. 131-bis. (GU n. 49 del 04-12-2024) IL GIUDICE DI PACE (GOP) DI LECCE Decidendo sul fascicolo penale intestato all'imputato C. R. nato a ... (...) il ..., ivi residente via ... n. ... rappresentato e difeso dall'avv. F. Maggio di fiducia, per i reati di cui agli articoli 81, 612 e 582 del codice penale; parte civile ... presente· in udienza, rappresentato e difeso dall'avv. A. Paladini, dichiarava che non intendeva conciliare e si opponeva ad una eventuale assoluzione ex art. 34 decreto legislativo 2000; il giudicante sentito il pubblico ministero, la parte civile ed il difensore dell'imputato, si ritirava in Camera di consiglio. Sussistenza dei presupposti di cui agli articoli 134 e ss. della Costituzione e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953. I° presupposto della Rilevanza delle questioni sollevate Assodato che gli elementi di prova acquisiti consentono di ritenere astrattamente provata la responsabilita' dell'imputato in relazione ai reati di cui agli artt. 158 e 612 del codice penale a lui contestati, sussiste la rilevanza della questione costituzionale sollevata; L'avv. Paladini, difensore della parte civile ..., ed anche quest'ultimo presente all'udienza di discussione si sono opposti ad una eventuale applicazione dell'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo n. 274 del 2000. L'imputato C. R., se la norma non fosse sospetta di incostituzionalita', dovrebbe essere dichiarato responsabile dei capi di imputazione e punito ai sensi degli articoli 81, 582 e 612 del codice penale, al contrario se avesse violato l'art. 612 del codice penale, secondo comma o se avesse commesso anche un altro reato grave, per esempio anche il furto dell'orologio della parte civile (di competenza del tribunale) sarebbe potuto essere assolto ex art. 131-bis del codice penale per particolare tenuita' del fatto. L'imputato, nella fattispecie peculiare potrebbe percepire la sanzione come vessatoria, pertanto una eventuale pronuncia della Corte potra' influire su presente giudizio, c.d. pregiudizialita' costituzionale (Corte costituzionale n. 129/2017). A tutt'oggi, la possibilita' di essere assolti per particolare tenuita' del fatto (ex art. 131-bis del codice penale) e' inversamente proporzionale alla gravita' del reato commesso. La questione di legittimita' Costituzionale risulterebbe, al giudice de quo, pertanto pregiudiziale e rilevante ai fini della decisione. II° presupposto la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate Da un orientamento giurisprudenziale (ex plurimis Cassazione 9 giugno 2017), sia pure minoritario e da parte della dottrina si ravvisa una possibile pacifica convivenza tra l'art. 131-bis del codice penale e l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 decreto-legge n. 274 del 2000. Sussisterebbe, infatti, la non manifesta infondatezza di talune delle questioni sollevate dell'art. 131-bis del codice penale in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25, 27, 97, 111 117 della Costituzione. Sebbene entrambi gli istituti facciano riferimento, nella rubrica dell'articolo che li contempla, alla «particolare tenuita' del fatto», hanno struttura e ambito di applicazione non coincidenti. L'art. 131-bis del codice penale, prevede, infatti, una causa di esclusione della «punibilita'» allorche' - per le modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o del pericolo - «l'offesa» all'interesse protetto sia particolarmente tenue; l'art. 34 cit. contempla una causa di esclusione della «procedibilita'» quando «il fatto» - valutato nella sua componente oggettiva (esiguita' del danno o del pericolo) e soggettiva (occasionalita' della condotta e grado della colpevolezza) - sia di particolare tenuita'. Quanto alle condizioni dell'applicazione, la causa di esclusione della punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale richiede che sia «sentita» la persona offesa (artt. 411 e 469 del codice di procedura penale), mentre l'applicabilita' del decreto legislativo n. 274 del 2000, art. 34, e' subordinato - nella fase delle indagini preliminari - alla condizione che «non risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento» e, nella fase del giudizio, alla mancata opposizione sia dell'imputato che della persona offesa. Appare evidente, allora, che l'operativita' del decreto legislativo n. 274 del 2000, art. 34, e' subordinata a condizioni piu' stringenti di quelle richieste dall'art. 131-bis del codice penale, in quanto la prima norma esige che «il fatto» (e non solo l'offesa) sia di particolare tenuita' e perche' l'esistenza - oggettivamente valutata - di un interesse della persona offesa preclude l'immediata definizione del procedimento (una volta esercitata l'azione penale, l'applicabilita' dell'art. 34 cit., e' addirittura subordinata al mancato esercizio del diritto potestativo di opposizione, sia dell'imputato che della persona offesa. Inoltre, al giudice e' rimessa, in ogni caso, una valutazione del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento puo' recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato). Non si tratta di differenze di poco conto, perche' «il fatto» previsto dall'art. 34 cit. puo' - sebbene rechi una minima offesa all'interesse protetto - non essere di particolare tenuita' per mancanza di occasionalita' (elemento da cui prescinde, invece, l'art. 131-bis del codice penale, salve le ipotesi di cui ai commi 2 e 3), mentre il diverso ruolo giocato - per l'art. 34 - dall'interesse della persona offesa (o dal diritto potestativo di questa e dell'imputato, dopo l'esercizio dell'azione penale) colloca i due istituti su piani diversi di praticabilita', subordinando l'operativita' di quest'ultimo ad una valutazione piu' ampia di quella richiesta dall'art. 131-bis del codice penale, che e', invece, ancorato (essenzialmente, anche se non solo) al grado dell'offesa. I problemi posti dalla coesistenza - nell'ordinamento penale - dei due istituti sopra esaminati non possono essere risolti, ad avviso di questo collegio, facendo applicazione del principio di specialita', valevole in materia penale (criterio adottato, invece, dalla sentenza n. 38876 del 20 agosto 2015, della sezione feriale di questa Corte), giacche' le norme sopra richiamate non presuppongono la medesima situazione di fatto, ma situazioni solo parzialmente convergenti. Cosi', puo' darsi che un fatto non rientrante nella previsione dell'art. 34 (perche', per esempio, mancante di occasionalita'; perche' osta alla sua immediata definizione un interesse della persona offesa; perche', dopo l'esercizio dell'azione penale, vi e' opposizione dell'imputato o della persona offesa) rientri, invece, nella previsione dell'art. 131-bis (per esempio, perche' si tratta di imputato che deve rispondere di una percossa quasi simbolica); viceversa, possono esservi casi definibili ex art. 34, anche se «l'offesa» superi il livello di offensivita' presupposto dall'art. 131-bis del codice penale (per esempio, perche' ostano alla procedibilita' le particolari condizioni di salute dell'imputato). A tali considerazioni va aggiunto che nessuna indicazione normativa conforta la tesi negativa. Infatti, il decreto legislativo n. 274 del 2000, art. 2 - secondo cui nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto cio' che non e' previsto dal decreto stesso, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di procedura penale e nei titoli I e II del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, richiamato dalla giurisprudenza avversa, si riferisce, all'evidenza, alle norme di procedura, ma non anche agli istituti sostanziali, qual'e', secondo la giurisprudenza di questa Corte, quello contemplato dall'art. 131-bis del codice penale (Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25 febbraio 2016; Cassazione, sez. 5, n. 5800 del 2 luglio 2015, Rv 267989; Sez. 3, n. 31932 del 2 luglio 2015; sez. 6, n. 39337 del 23 giugno 2015). Ne' indicazioni in senso contrario vengono dal parere espresso dalla Commissione giustizia sullo schema di decreto legislativo il 3 febbraio 2015, ove si invitava il Governo a valutare «l'opportunita' di coordinare la disciplina della particolare tenuita' del fatto prevista dal decreto legislativo 28 ottobre 2000, n. 274, art. 34, in riferimento ai reati del giudice di pace, con la disciplina prevista dal provvedimento in esame» e dal fatto che la sollecitazione suddetta non fu accolta. Infatti, come gia' rilevato nella sentenza n. 40699 del 9 aprile 2016 di questa Corte, tale determinazione fu adottata per il solo fatto che il coordinamento tra le discipline del decreto legislativo n. 274 del 2000, art. 34, e art. 131-bis del codice penale, fu ritenuto estraneo alle indicazioni della legge delega; da qui la necessita' che la possibile interferenza tra diverse disposizioni deve essere risolta dall'interprete. In definitiva, sono proprio le differenze fra i due istituti (e la disciplina sostanzialmente di maggior favore prevista dall'art. 131-bis del codice penale), che inducono a ritenere che quest'ultima sia applicabile - nel rispetto dei soli limiti espressamente indicati dalla norma - a tutti i reati, ivi compresi quelli di competenza del giudice di pace, anche perche' sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che una norma di diritto sostanziale - nata per evitare alla persona offesa il pregiudizio derivante dalla condanna per fatti di minima offensivita', che la coscienza comune percepisce come di minimo disvalore, e per ridurre i costi connessi al procedimento penale - sia inapplicabile proprio ai reati che, per essere di competenza del giudice di pace, sono ritenuti dal legislatore di minore gravita'. Sussisterebbe, inoltre, la violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalita' e sussidiarieta' della legge penale di cui agli art. 3, 25, 27 della Costituzione; Circostanze mutate dall'ordinanza n. 224/21: 1) Il giudice di pace (GOP) e' divenuto stabile; 2) Maggiori competenze del GOP A) Violazione degli articoli 3 e 25 La regola del favor rei Principio interpretativo teso ad individuare il trattamento giuridico, in concreto, piu' favorevole al reo. L'istituto del favor rei, disciplinato dall'art. 3, decreto legislativo n. 472/1997, quale declinazione del principio di legalita', si applica in presenza di qualsiasi modifica in melius della disciplina sanzionatoria, salvo espressa indicazione contraria del legislatore. Va peraltro ricordato che la deroga al favor e' ammessa soltanto in presenza di giustificazioni ragionevoli e in assenza di lesione del principio di eguaglianza, ex art. 3 della Costituzione. L'ambito di operativita' dell'istituto non e' tuttavia precisamente definito nella giurisprudenza di Cassazione, che in alcuni casi ne ha tenuto conto anche in presenza di innovazioni della normativa sostanziale del tributo. E' chiaro che il favor e' cosa totalmente diversa dall'entrata in vigore di una norma. Quest'ultima indica la data a partire dalla quale una norma di legge e' applicabile. Il primo invece esprime il principio secondo cui ogniqualvolta varia il trattamento sanzionatorio, in senso favorevole al contribuente, a prescindere dalla data di entrata in vigore della novella, essa si applica anche ai comportamenti tenuti in passato. La regola del favor rei ha due declinazioni: 1) abrogazione dell'illecito e si potrebbe ravvisare l'intervenuta abrogazione tacita dell'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 ad opera dell'art. 131-bis del codice penale, 2) variazione nel tempo della sanzione edittale. Nel primo caso, il favor determina il venir meno dell'obbligazione sanzionatoria, anche in presenza di provvedimenti definitivi, nella parte non ancora pagata. Nel secondo caso, invece, si applica sempre la misura piu' favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione non sia divenuto definitivo. Il favor e' applicato d'ufficio dal giudice, anche in assenza di espressa richiesta di parte (Cassazione n. 12392/2021). La sfera naturale di efficacia della norma in esame e', per l'appunto, la modifica della disciplina sanzionatoria. A livello comunitario il principio di legalita' e' sancito dall'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, con previsione piu' ampia della norma in commento atteso che il menzionato art. 49 contiene anche il principio di proporzionalita' tra reato e pena, cio' cui nel nostro ordinamento e' giunta l'elaborazione della Corte costituzionale. Come piu' volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, il principio di retroattivita' favorevole trova il proprio fondamento e giustificazione nel principio di uguaglianza dei cittadini di cui all'art. 3 della Costituzione, che, salvo il limite del giudicato di condanna, fa in modo che un cittadino condannato per un determinato reato venga trattato allo stesso modo di un cittadino giudicato in maniera piu' favorevole solo perche' abbia commesso il fatto in un momento successivo, in cui vige una norma piu' favorevole. Non attualita' delle ordinanze della Corte n. 28 del 2007 e n. 415 e 228 del 2005 Giudice di pace: disposizioni sulla competenza penale Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468 Testo aggiornato al decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 Art. 4. Competenza per materia 1. Il giudice di pace e' competente: a) per i delitti consumati o tentati previsti dagli articoli 581, 582, limitatamente alle fattispecie di cui al secondo comma perseguibili a querela di parte, 590, limitatamente alle fattispecie perseguibili a querela di parte e ad esclusione delle fattispecie connesse alla colpa professionale e dei fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale quando, nei casi anzidetti, derivi una malattia di durata superiore a venti giorni, nonche' ad esclusione delle fattispecie di cui all'art. 590, terzo comma, quando si tratta di fatto commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'art. 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, 594, 595, primo e secondo comma, 612, primo comma, 626, 627, 631, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'art. 639-bis, 632, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all' art. 639-bis, 633, primo comma, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all' art. 639-bis, 635, primo comma, 636, salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'art. 639-bis, 637, 638, primo comma, 639 e 647 del codice penale; (1) b) per le contravvenzioni previste dagli articoli 689, 690, 691, 726, primo comma, e 731 del codice penale. 2. Il giudice di pace e' altresi' competente per i delitti, consumati o tentati, e per le contravvenzioni previsti dalle seguenti disposizioni: a) articoli 25 e 62, terzo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Testo unico in materia di sicurezza»; b) articoli 1095 [cosi' rettificato con avviso su Gazzetta Ufficiale n. 119 del 24 maggio 2001], 1096 e 1119 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, recante «Approvazione del testo definitivo del codice della navigazione»; c) art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1957, n. 918, recante «Approvazione del testo organico delle norme sulla disciplina dei rifugi alpini»; d) articoli 102 e 106 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, recante «Testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati»; e) art. 92 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, recante «Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali»; f) art. 15, secondo comma, della legge 28 novembre 1965, n. 1329, recante «Provvedimenti per l'acquisto di nuove macchine utensili»; g) art. 3 della legge 8 novembre 1991, n. 362, recante «Norme di riordino del settore farmaceutico»; h) art. 51 della legge 25 maggio 1970, n. 352, recante «Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo»; i) articoli 3, terzo e quarto comma, 46, quarto comma e 65, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, recante «Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarita' dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto»; l) articoli 18 e 20 della legge 2 agosto 1982, n. 528, recante «Ordinamento del gioco del lotto e misure per il personale del lotto»; m) art. 17, comma 3, della legge 4 maggio 1990, n. 107, recante «Disciplina per le attivita' trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati»; n) art. 15, comma 3, del decreto legislativo 27 settembre 1991, n. 311, recante «Attuazione delle direttive n. 87/404/CEE e n. 90/488/CEE in materia di recipienti semplici a pressione, a norma dell'art. 56 della legge 29 dicembre 1990, n. 428»; o) art. 11, comma 1, del decreto legislativo 27 settembre 1991, n. 313, recante «Attuazione della direttiva n. 88/378/CEE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti la sicurezza dei giocattoli, a norma dell'art. 54 della legge 29 dicembre 1990, n. 428»; [p) art. 7, comma 9, del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, recante «Attuazione della direttiva n. 84/450/CEE in materia di pubblicita' ingannevole»,] (2) q) articoli 186, commi 2 e 6, 187, commi 4 e 5 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante «Nuovo codice della strada»; (3) r) art. 10, comma 1, del decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 507, recante «Attuazione della direttiva n. 90/385/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi»; s) art. 23, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46, recante «Attuazione della direttiva n. 90/385/CEE concernente i dispositivi medici». s-bis) art. 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. (4) s-ter) art. 13, comma 5.2, e art. 14, commi 1-bis, 5-ter e 5-quater, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. (5) A) Violazione degli art. 27 della Costituzione E' consolidato nella giurisprudenza di legittimita' e costituzionale il principio di proporzionalita' della sanzione penale, infatti la pena deve essere rieducativa, a norma dell'art. 27, comma 2 della Costituzione, non deve essere percepita come ingiusta o sproporzionata. Valori certamente prevalenti, nel bilanciamento costituzionale, rispetto al carattere di specialita' dell'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo n. 274/2000, frutto di una mera scelta di opportunita' e di politica criminale che non puo' rivestire un rilievo Costituzionale. Indubbia e' la diversita' dei due istituti la natura sostanziale del nuovo istituto - gia' valorizzata in passato dal supremo consesso per estendere l'applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale ai procedimenti pendenti al momento di entrata in vigore del decreto-legge n. 28 del 2015 ai sensi degli articoli 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 2 del codice penale, che si riferisce alle sole norme processuali. La natura giuridica del congegno ex art. 131-bis del codice penale e' una causa di non punibilita', mentre quello delineato dall'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 e' una causa di non procedibilita'; Istituto sostanziale il primo, processuale il secondo, che non sono sovrapponibili. L'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 esige che il fatto e non solo l'offesa sia di particolare tenuita', art. 131-bis del codice penale non fa riferimento al grado della colpevolezza, anche se alludendo alla modalita' della condotta da valutare ai sensi dell'art. 133, comma 1 del codice penale, in qualche modo recupera il profilo dell'intensita' del dolo e del grado della colpa. La norma codicistica svincola completamente la causa di non punibilita' da valutazioni di tipo specialpreventivo concernenti gli effetti pregiudizievoli che possono derivare all'imputato dalla prosecuzione del processo. Il requisito, piu' stringente della occasionalita' del fatto contenuto nell'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 e sostituito nell'art. 131-bis del codice penale da quello piu' elastico, della non abitualita' del comportamento. La sola la norma codicistica delinea, poi, un ulteriore condizione negativa, sbarrando il ricorso all'istituto nel caso in cui si tratti di reati che abbiano condotte plurime abituali e reiterate. Effetti giuridici diversi dei due istituti Visibili sono gli effetti giuridici, infatti, la pronuncia di improcedibilita' non e' iscrivibile nel casellario giudiziario, non e' idonea a formare alcun giudicato sull'illiceita' penale della condotta e non e' impugnabile dall'imputato, a differenza della sentenza che dichiara la non punibilita', che presuppone l'accertamento di responsabilita'. Entrambi gli istituti perseguono un intento deflativo e a dare piena attuazione ai principi costituzionali di extrema ratio e di proporzionalita' della pena. Finalita' eminentemente «conciliativa» della giurisdizione di pace? La causa di improcedibilita' prevista dall'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo trova invece fondamento giustificativo nella finalita' eminentemente «conciliativa» della giurisdizione di pace, cosi' interpretata dalla Corte di cassazione a sezioni unite e anche avallata dalla Consulta, ma in realta' l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 cosi' come previsto e poco utilizzato e comunque la funzione conciliativa del giudice di pace porta a differenti conclusioni e cioe' A) ad una remissione della querela in caso di assenso da parte della parte offesa; o B) in caso di reiterata assenza della parte civile o della parte offesa nel processo, alla remissione tacita della querela, non certamente ad una applicazione della art. 34 decreto legislativo n. 274/2000. Detta finalita' «conciliativa» collide inoltre con la ventennale esperienza del giudice di pace che si e' occupato, sino a poco tempo fa del reato previsto dall'art. 590 del codice penale con lesioni gravissime (ex multis sentenza G.d.P Lecce n. 106/11 con una condanna ad una provvisionale di euro 300.000,000 decisione confermata in appello ed in Cassazione), di reati di immigrazione, che comportano limitazione della liberta' personale con ordinanze di rimessione alla Corte europea ecc.. Inoltre la maggior parte dei procedimenti davanti al giudice di pace vedono come parti contrapposte ex coniugi, con vari procedimenti penali ed una causa civile di separazione o divorzio pendenti, la cui conciliazione sarebbe impossibile anche per il grande Salomone. La persona offesa, costretta a subire una conclusione sgradita del procedimento, perche' la sua manifestazione di interesse alla prosecuzione, o nella fase processuale la sua opposizione, impedisce al giudice di pace di applicare l'istituto previsto art. 34 decreto legislativo n. 274/2000, ma non paralizzerebbe l'operativita' dell'art. 131-bis del codice penale, che non resterebbe priva di tutela. Infatti nell'eventuale concorrente veste di persona danneggiata, sarebbe comunque legittimata ad esercitare l'azione civile a carattere restitutorio o risarcitorio, ai sensi dell'art. 651-bis del codice di procedura penale. Inoltre l'inclusione dei reati di competenza del giudice di pace nell'orbita applicativa dell'art. 131-bis del codice penale offuscherebbe solo il volto conciliativo del rito disciplinato dal decreto legislativo suddetto, quello deflativo ne risulterebbe persino esaltato, dilatandosi l'area dei fatti scarsamente offensivi che non giustificano un approfondimento processuale. Infine la strategia conciliativa (ammesso e non concesso) del meccanismo ex art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 e' frutto di una scelta di opportunita' e di politica criminale che non riveste alcun rilievo costituzionale, a differenza dei principi di extrema ratio e proporzione della pena che stanno alla base dell'Istituto del nuovo conio. C'e' quindi da chiedersi se la tutela di un obiettivo privo di carattere costituzionale, perseguito dal legislatore del 2000 che sarebbe affievolita dalla convivenza operativa della causa di non punibilita' codicistica e della condizione di improcedibilita' speciale, possa giustificare nella prospettiva dell'art. 3 della Costituzione, l'emarginazione dal procedimento dinanzi al giudice di pace del congegno previsto dall'art. 131-bis del codice penale, la cui ratio, ha invece un solido fondamento costituzionale. E comunque il valore conciliativo usato dalle sezioni unite puo' essere eventualmente messo in discussione ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis del codice di procedura penale Al contrario una pacifica convivenza dei due istituti nel micro sistema del giudice di pace fondandosi sulla cosiddetta clausola di salvaguardia della disciplina speciale, posto dall'art. 16, secondo periodo del codice penale nel caso di specie sembra venire in rilievo la sola prima parte della norma punto enunciato dell'art. 16 del codice penale in due autonomi segmenti: Il primo prende in esame la situazione di un certo caso, e' disciplinato unicamente dal codice penale e non anche dalla legge speciale, stabilendo il solenne principio di unita' dogmatica dell'intero diritto penale; si applicano le disposizioni del codice penale alle materie regolate dalle altre leggi penali speciali. Il secondo segmento contempla la situazione in cui la legislazione speciale disciplina esplicitamente il medesimo caso regolato anche dal codice penale, posto che la legge speciale stabilisce altrimenti, trova applicazione la disciplina in essa contenuta. Il secondo enunciato dell'art. 16 del codice penale regola, dunque, il fenomeno del concorso di norme. A ben vedere si tratta di un concorso apparente poiche' imposta l'applicazione della sola norma speciale. L'art. 16 del codice penale nell'ultima parte, condivide con il precedente art. 15 del codice penale la funzione. Serve in pratica ad evitare il concorso di norme e ad imporre l'applicazione di una sola norma, la speciale, quando vi sono due norme poste tra loro in rapporto di genere a specie e che, dunque, regolano per forza lo stesso caso. In definitiva perche' si applichi la seconda parte dell'art. 16 del codice penale le due norme codicistica extra codicistica devono essere in rapporto di specialita' tra loro. Se non si configura siffatta relazione di genere e specie tra la norma codicistica e quella della legislazione complementare non opera la seconda parte dell'art. 16 del codice penale bensi' la prima. Quindi si applica la norma codicistica non essendo quel caso effettivamente preso in considerazione anche dalla norma extracodicistica. Quando invece ciascuna norma presenta oltre a un nucleo di elementi comuni, requisiti eterogenei sul piano della struttura della fattispecie, esclusivamente e propri ed estranei all'altra, non e' configurabile una relazione di genere a specie, bensi' di interferenza. Un esempio di interferenza e' rintracciabile, nel rapporto tra l'art. 131-bis del codice penale e l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo le cui discipline, hanno un nucleo in comune, cioe' l'esiguita' dell'offesa al bene oggetto di tutela penalistica ed elementi reciprocamente eterogenei. Il rapporto fra loro quindi sfugge all'incidenza applicativa del secondo segmento dell' art. 16 del codice penale quindi non vi sono barriere normative che possono impedire alla causa di non punibilita' codicistica di straripare gli argini del rito ordinario e raggiungere il microsistema del giudice di pace, ovviamente quando manchino le condizioni per applicare l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000, per legittimare il giudice di pace a dichiarare la tenuita' per fatto ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale, naturalmente in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla norma. B) Violazione del principio di sussidiarieta' dell'illecito penale Il ricorso alla sanzione penale nel nostro ordinamento deve ammettersi esclusivamente come extrema ratio, quando cioe' la tutela del bene giuridico non possa essere raggiunta adeguatamente attraverso altri strumenti dell'ordinamento giuridico. L'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 ha, quindi, un ambito di applicazione ben piu' ristretto rispetto alla norma sostanziale inserita all'interno del codice penale, che dunque si atteggia a norma di maggior favore per l'imputato. Si ravvisa l'impossibilita' di configurare un rapporto di specialita' tra gli articoli 34 decreto legislativo n. 274/2000 e 131-bis del codice penale. Gli istituti in questione sono infatti, come visto, diversi per natura, presupposti, requisiti e conseguenze, cosi' come parzialmente diversa ne e' la stessa ratio di fondo, al punto che nemmeno accogliendo la nozione di specialita' reciproca potrebbe essere risolto quello che, in realta', neppure si profila come un concorso apparente di norme. Le differenze strutturali e sostanziali tra i due istituti, diversi anche per natura giuridica (causa di improcedibilita' il primo, di esclusione della punibilita' il secondo), rappresentano cio' che li rende destinati a coesistere nell'ambito del procedimento dinanzi al giudice di pace. Nulla quaestio, quindi, circa la necessita' di regolare il rapporto tra le due norme in esame non gia' ai sensi dell'art. 15 del codice penale, quanto piuttosto alla luce del principio generale di cui all'art. 16 del codice penale, stante il quale le disposizioni del codice penale devono trovare applicazione anche alle materie regolate da leggi speciali, laddove non sia da queste «stabilito altrimenti». Senonche', a differenza di quanto ritenuto dalle Sezioni unite, nel caso di specie ci sembra che venga in rilievo la sola prima parte dell'art. l6 del codice penale, e dunque il principio di generale e estendibilita' della disciplina del codice penale alle materie regolate dalle leggi speciali, e non l'eccezione allo stesso. All'interno del decreto legislativo n. 274/2000 manca, infatti, una deroga espressa all'operativita' dell'art. 131-bis del codice penale nel procedimento speciale per i reati di competenza del giudice di pace. Ne', d'altra parte, si puo' rinvenire nel medesimo decreto la presenza di un istituto a tal punto analogo alla causa di non punibilita' in esame da giustificare implicitamente la sua disapplicazione, neppure guardando - come suggerisce la sentenza in commento - agli istituti in questione «nel ruolo e nella funzione che svolgono all'interno del sistema di riferimento». Art. 529 del codice di procedura penale, Infine il normale ordine da seguire per affrontare le questioni penali e' proprio: la procedibilita', prima, eventuali cause di non punibilita' attinenti all'aspetto sostanziale, poi (come per altro confermato dall'art. 529 del codice di procedura penale, che impone il proscioglimento immediato laddove il giudice riscontri che l'azione penale non poteva essere iniziata o non possa proseguire). C) Violazione del principio 102 della Costituzione La funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Non posso essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto essere istituiti presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia. L'art. 6 del codice di procedura penale suona. «Il tribunale e' competente per i reati che non appartengono alla competenza della Corte di assise o del giudice di pace.» Il rito penale davanti al giudice di pace, non lo rende speciale (o diverso) per l'obiettivo di «conciliazione delle parti», d'altronde non lo e' neppure il giudice del lavoro ex art. 409 ess. codice di procedura civile da sempre, ne' il giudice del tribunale con l'introduzione dell'art. 185-bis del codice di procedura civile di nuova generazione. L'art. 7 del codice di procedura civile Libro Primo titolo I degli organi giudiziari Sezione II della competenza per materia e valore Il giudice di pace e' competente per le cause... Rivisitando la sentenza delle S.U. penali del 22 giugno 2017 n. 53683, nella parte in cui ritiene il giudice di pace un soggetto volontario ed onorario, alla luce dell'attuale stabilita' del giudice di pace (che come il sottoscritto ha superato l'esame previsto per legge); Nonche' della sentenza della Corte europea (seconda sezione) del 16 luglio 2020 si potrebbe valutare una possibile e necessaria convivenza nel procedimento dinanzi al giudice di pace dei due diversi modelli di «irrilevanza per particolare tenuita' del fatto» sbloccando finalmente le barriere artificiali che annullano le istanze di rilievo Costituzionale quali quelle di economia processuale, di extrema ratio e di proporzionalita' e ragionevolezza della pena. La sentenza della Corte europea del 16 luglio 2020, infatti, nella causa C658/18, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 267 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dal giudice di pace di Bologna (Italia), con ordinanza del 16 ottobre 2018, pervenuta in cancelleria il 22 ottobre 2018, nel procedimento UX contro Governo della Repubblica italiana, conclude: ...Per questi motivi, la Corte (Seconda sezione) dichiara: 1) L'art. 267 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che il Giudice di pace (Italia) rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri», ai sensi di tale articolo. 2) L'art. 7, paragrafo 1 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace che, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per le quali percepisce indennita' aventi carattere remunerativo, puo' rientrare nella nozione di «lavoratore», ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che la nozione di «lavoratore a tempo determinato», contenuta in tale disposizione, puo' includere un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per le quali percepisce indennita' aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva n. 1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di trenta giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di «lavoratore a tempo indeterminato», ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilita', circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. D) Violazione del principio dell'art. 111 della Costituzione Si evidenzia il difetto di ragionevolezza della dosimetria della pena prevista dal vigente art. 131-bis del codice penale, e l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo 2000, che emergerebbe nel raffronto con il trattamento sanzionatorio previsto per il fatto di lieve entita' l'assoluzione il primo, e con la condanna il secondo; nonostante la linea di demarcazione «naturalistica» tra le fattispecie «speciale» art. 615, primo comma e «ordinaria» art. 615, secondo comma, sia talvolta non netta, il «confine sanzionatorio» dell'una e dell'altra incriminazione e' invece troppo e, quindi, irragionevole. Pertanto, il trattamento sanzionatorio sensibilmente diverso tra le fattispecie che si pongono sul confine tra l'ipotesi lieve e l'ipotesi ordinaria determina un rapporto non ragionevole con il disvalore della condotta. E) Violazione dell'art. 3 della Costituzione Tale norma appare, anzitutto, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta legislativa. Il giudice a quo ritiene che, nella fattispecie peculiare, la pronuncia delle Sezioni unite penali n. 53683 del 22 giugno 2017, con la quale la suprema corte ha voluto escludere radicalmente l'applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale ai reati di competenza del giudice di pace, costituisca ostacolo insormontabile ad un'interpretazione costituzionalmente orientata del medesimo, tale da giustificarne la rimessione alla Corte; ritenendo la questione non manifestamente infondata e rilevante per la decisione del presente giudizio; solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice penale, nella misura in cui esso non e' applicabile ai reati rientranti nella competenza del giudice di pace, per violazione dell'art. 3 della Costituzione. Palese ed irragionevole disparita' di trattamento sotto il profilo sanzionatorio. La irragionevolezza della nuova fattispecie penale emerge anche sotto il profilo sanzionatorio, Tale regolamentazione, infatti, introduce una palese ed irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti ugualmente destinatari della predetta sanzione. Citando P. Danelli: «Il giudice di pace, riscontrata la sussistenza di tutte le condizioni di procedibilita', deve applicare la sanzione soltanto quando abbia accertato il dovere di punire, la cui esistenza e' esclusa in mancanza del bisogno di pena e, dunque laddove possa essere applicato l'art. 131-bis del codice penale, ritenere che, per salvaguardare presunte finalita' conciliative, si debba punire nonostante la mancanza del bisogno di pena, significa attribuire agli illeciti di competenza del magistrato di pace, uno statuto eccezionale e di infrangere cosi' l'unitarieta' della teoria del reato. La coerenza del sistema depone quindi in favore della applicabilita' dell'art. 13l-bis del codice penale anche ai reati di competenza del giudice di pace. Irragionevole disparita' di trattamento sotto il profilo sanzionatorio dell'art. 34 decreto legislativo rispetto all'art. 131-bis del codice penale Palese violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto la disposizione censurata delineerebbe un trattamento sanzionatorio irragionevole tenuto conto che, nonostante la linea di demarcazione «naturalistica» fra la fattispecie «ordinaria», di cui alla disposizione denunciata, e quella di «lieve entita'», di cui all'art. 131-bis del codice penale, non sia sempre netta, il «confine sanzionatorio» dell'una e dell'altra incriminazione e' invece eccessivamente e, quindi, irragionevolmente, distante. Detta irragionevolezza contrasterebbe con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, poiche' la previsione di una pena ingiustificatamente aspra e sproporzionata rispetto alla gravita' del fatto ne pregiudicherebbe la funzione rieducativa. L'art. 3 della Costituzione appare violato sotto un altro specifico profilo, concernente la irragionevole disparita' di trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000. F) Violazione dell'art. 25 e 111 della costituzione Con la sentenza n. 233 del 2018, la Corte, dopo aver ribadito che le valutazioni discrezionali di dosimetria della pena spettano anzitutto al legislatore, ha precisato che non sussistono ostacoli al suo intervento quando le scelte sanzionatorie adottate dal legislatore si siano rivelate manifestamente arbitrarie o irragionevoli e il sistema legislativo consenta l'individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da «ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all'eliminazione di ingiustificabili incongruenze». Similmente, la sentenza n. 222 del 2018 di poco precedente aveva gia' ritenuto che al fine di consentire l'intervento correttivo di questa Corte non e' necessario che esista, nel sistema, un'unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella prevista per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere assunta come tertium comparazioni, essendo sufficiente che il «sistema nel suo complesso offra alla Corte "precisi punti di riferimento" e soluzioni "gia' esistenti"», ancorche' non «costituzionalmente obbligate», «che possano sostituirsi alla previsione sanzionatoria dichiarata illegittima». In definitiva, fermo restando che non spetta alla Corte determinare autonomamente la misura della pena, l'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale che riguardano l'entita' della punizione risulta condizionata non tanto dalla presenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal legislatore. Nel rispetto delle scelte di politica sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre, infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche immuni dal sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui e' maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva dei diritti fondamentali, incisi dalle scelte sanzionatorie del legislatore. G) Violazione dell'art. 2 della costituzione Il contrasto del trattamento sanzionatorio attualmente previsto dall'art. 131-bis del codice penale, e l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo 2000 «con il principio di proporzionalita' e il principio di colpevolezza e di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, appare oggettivamente contrastare e vilare il disposto degli articoli 3 e 27 della Costituzione». La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto con l'art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo. Invero, la giurisprudenza costituzionale, ribadita anche recentemente, ammette in particolari situazioni interventi con possibili effetti in malam partem in materia penale, restando semmai da verificare l'ampiezza e i limiti dell'ammissibilita' di tali interventi nei singoli casi. Certamente il principio della riserva di legge di cui all'art. 25 della Costituzione rimette al legislatore «la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare», ma non esclude che la Corte possa assumere decisioni il cui effetto in malam partem non discende dall'introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti, ma dalla semplice rimozione di disposizioni costituzionalmente illegittime. In tal caso, l'effetto in malam partem e' ammissibile in quanto esso e' una mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di una norma costituzionalmente illegittima, la cui caducazione determina l'automatica espansione di altra norma dettata dallo stesso legislatore. In definitiva, fermo restando che non spetta alla Corte determinare autonomamente la misura della pena, l'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale che riguardano l'entita' della punizione risulta condizionata non tanto dalla presenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal legislatore. Nel rispetto delle scelte di politica sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre, infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche immuni dal sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui e' maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva dei diritti fondamentali. L'impossibilita' di applicare l'art. 34 decreto legislativo n. 274/2000 decreto legislativo, nella fattispecie peculiare, per l'opposizione della parte civile, porterebbe a condannare l'imputato... al posto di una applicazione dell'art. 131-bis del codice penale per il principio processuale della ragione piu' liquida, desumibile dagli articoli 24, e 111 della Costituzione italiana (Cassazione n. 30745 del 2019) con conclusioni paradossali, per cui ancora oggi: La possibilita' di essere assolti per particolare tenuita' del fatto e' inversamente proporzionale alla gravita' del reato commesso. (1) Lettera cosi' da ultimo modificata dal decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92. (2) Lettera abrogata dalla legge 6 aprile 2005, n. 49. (3) Lettera cosi' modificata dalla legge 9 aprile 2003, n. 72. (4) Lettera aggiunta dalla legge 15 luglio 2009, n. 94. (5) Lettera aggiunta dal decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 P.Q.M. Il GOP giudice di pace di Lecce dott. Cosimo Rochira, Visti gli articoli 134 e ss. della Costituzione e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953; Ritenuta la rilevanza ai fini del giudizio e la non manifesta infondatezza solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice penale nella parte in cui non lo rende applicabile anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace, per contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 25, 27, 102, 111 della Costituzione della Repubblica italiana; Sospende il presente processo e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Lecce il 16 ottobre 2024 Il GOP: Rochira