Reg. ord. n. 106 del 2025 pubbl. su G.U. del 11/06/2025 n. 24
Ordinanza del Corte d'appello di Roma del 03/04/2025
Tra: Ministero dell'economia e delle finanze C/ Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti
Oggetto:
Bilancio e contabilità pubblica – Previdenza – Raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica – Previsione che gli enti di cui al d.lgs n. 509 del 1994 e al d.lgs n. 103 del 1996, e in particolare la Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti (CIPAG), possono assolvere alle disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa dell'apparato amministrativo, effettuando un riversamento a favore dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 15 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010 – Denunciata disposizione che determina l’effetto distrattivo finale di riversare in favore dello Stato il risparmio di spesa di una cassa di previdenza – Disciplina che privilegia, attraverso il prelievo, esigenze di bilancio statale rispetto alla garanzia per gli iscritti alla CIPAG di vedere impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali – Conflitto con il principio di ragionevolezza – Lesione della garanzia previdenziale, vista la mancata tutela dei diritti degli iscritti alla suddetta Cassa – Lesione del principio di buon andamento della gestione amministrativa della medesima Cassa di previdenza – Incongrua scelta di sacrificare l’interesse istituzionale della CIPAG a un generico e macro-economicamente esiguo impiego nel bilancio statale – Violazione ulteriore del principio di ragionevolezza.
Norme impugnate:
legge del 27/12/2013 Num. 147 Art. 1 Co. 417
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 38 Co.
Costituzione Art. 97 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 02 aprile 2025 Ordinanza del 2 aprile 2025 della Corte d'appello di Roma nel procedimento civile promosso dal Ministero dell'economia e delle finanze contro Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti. Bilancio e contabilita' pubblica - Previdenza - Raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica - Previsione che gli enti di cui al d.lgs. n. 509 del 1994 e al d.lgs. n. 103 del 1996, e in particolare la Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti (CIPAG), possono assolvere alle disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa dell'apparato amministrativo, effettuando un riversamento a favore dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 15 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. - Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)), art. 1, comma 417. (GU n. 24 del 11-06-2025) CORTE DI APPELLO DI ROMA Sezione I civile Nel collegio composto da: dott. Diego Pinto Presidente rel.; dott. Elena Gelato consigliere; dott. Maria Aversano consigliere, riunito in Camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza. Nelle cause civili in grado di appello riunite iscritte al Ruolo generale affari contenziosi al numero 24/2021 e 214/21 in deliberazione all'udienza del 26 febbraio 2025 tra: Agenzia delle entrate (06363391001); Ministero del lavoro e delle politiche sociali (80237250586); Ministero dell'economia e delle finanze (80207790587); Avvocatura generale dello Stato e Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti - CIPAG (80032590582); Avv.ti Valerio Onida e Barbara Randazzo. Oggetto Appello avverso la sentenza n. 8314/2020 emessa dal Tribunale di Roma. Motivi della decisione 1. Agenzia delle entrate, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero delle finanze hanno proposto appello avverso la sentenza in oggetto con la quale il Tribunale di Roma ha cosi' statuito: «1) rigetta la domanda proposta da parte attrice in via principale; 2) accerta e dichiara che non rientrano tra le spese sostenute da parte attrice per consumi intermedi, con conseguente esclusione dalla base imponibile da assumere ai fini del calcolo delle somme da riversare al bilancio dello Stato in applicazione dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013, le seguenti spese: a) spese sostenute dagli organi di amministrazione per recarsi presso la sede istituzionale della Cassa; b) spese sostenute per accertamenti sanitari necessarie per il funzionamento delle commissioni per l'accertamento della inabilita' e della invalidita' ai fini della concessione del relativo trattamento pensionistico; c) spese sostenute per le attivita' svolte dalle articolazioni territoriali della Cassa, in forma decentrata per lo svolgimento di fini istituzionali; d) spese sostenute per compenso alla societa' Groma s.r.l. limitatamente alle spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria di immobili da reddito; e) spese sostenute per incarichi professionali e assicurazioni se relativi ad immobili da reddito; 3) compensa le spese del giudizio tra le parti.» Anche la CIPAG-Cassa italiana di previdenza ed assistenza dei geometri liberi professionisti ha proposto appello avverso la stessa sentenza. In entrambi i giudizi gli appellati hanno chiesto comunque il rigetto degli appelli proposti nei propri confronti. Riuniti i procedimenti, precisate le conclusioni all'udienza del 13 novembre 2024, la causa e' stata trattenuta in decisione con i termini di cui all'art. 190 del codice di procedura civile. La causa e' stata rimessa sul ruolo, a causa del trasferimento del Consigliere relatore ad altro ufficio intervenuto medio tempore. All'udienza del 22 gennaio 2025, precisate nuovamente le conclusioni, le parti hanno rinunziato ai termini di cui all'art. 190 c.p.c, ma hanno chiesto la discussione orale della causa ex art. 352, secondo comma, codice di procedura civile previgente. Dopo la discussione all'udienza sopra indicata, la causa e' stata trattenuta quindi in decisione. 2. La vicenda processuale e' stata riassunta come segue nella sentenza impugnata. «Con atto di citazione ritualmente notificato la Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti (di seguito per brevita' Cassa) conveniva in giudizio, dinanzi a questo Tribunale, i convenuti indicati in epigrafe, chiedendo che fosse accertato il diritto della Cassa alla ripetizione dei riversamenti dei risparmi di spesa per i consumi intermedi effettuati, per gli anni 2014, 2015 e 2016, al bilancio dello Stato a norma dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013, in applicazione del principio di diritto sancito dalla sentenza n. 7/2017 della Corte costituzionale, con condanna delle amministrazioni convenute alla restituzione di quanto indebitamente percepito, per un importo pari ad euro 2.373.756,30, oltre rivalutazione ed interessi e "ove occorra, rimettendo in via incidentale alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417 della legge n. 147/2013 in relazione agli articoli 2, 3, 18, 3, 36, 38 e 97 della Costituzione. Chiedeva, in subordine, al Tribunale di accertare e dichiarare che le spese sostenute dagli organi di amministrazione per recarsi presso la sede istituzionale della Cassa e altre spese, analiticamente indicate nell'atto introduttivo, non rientrando tra quelle per consumi intermedi, dovevano essere escluse dal imponibile posto a base del calcolo delle somme da riversare al bilancio dello Stato in applicazione dell'art. 1, comma 417, della legge di Stabilita' 2014 (legge n. 147/2013). A tal fine esponeva: - che la Cassa era un ente previdenziale privatizzato ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, vigilato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'economia e delle finanze; - che la medesima era presente nell'elenco delle pubbliche amministrazioni inserite nel c.d. «conto economico dello Stato», come individuate dall'Istat ex art. 1, legge 30 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilita' e finanza pubblica); - che gli enti previdenziali privatizzati erano stati assoggettati alle norme di «spending review», ivi compresa quella di cui all'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95 del 2012, norma che la Corte costituzionale, con sentenza dell'11 gennaio 2017 n. 7, aveva dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevedeva che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste fossero versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato; - che con tale pronuncia la Corte aveva censurato, in via di principio, la scelta del legislatore di imporre il riversamento delle somme derivanti dal risparmio di spesa di tutte le Casse privatizzate al bilancio dello Stato; - che pertanto tale censura di incostituzionalita' aveva prodotto conseguenze caducanti anche sulla norma di cui all'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 in base alla quale la Cassa, su richiesta dell'Amministrazione ministeriale, aveva provveduto a riversare al bilancio dello Stato, con riserva di ripetizione, l'importo complessivo di euro 2.373.756,30 per gli anni 2014, 2015 e 2016; - che la lettura costituzionalmente orientata del richiamato art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 doveva indurre a ritenere l'autonomia gestionale, organizzativa e contabile della Cassa attraverso il conseguimento di un obiettivo forfettizzato di risparmio (il 15% della spesa per consumi intermedi sostenuta nel 2010), con conseguente liberta' dell'ente previdenziale di potere scegliere le voci di spesa da contenere, senza riversarli al bilancio dello Stato, impiegandoli per il pagamento delle prestazioni previdenziali o comunque per garantire gli equilibri economici-finanziari dell'ente stesso; - che in ogni caso la base di calcolo dei consumi intermedi indicata dall'amministrazione convenuta, ai fini dei risparmi di spesa e dei conseguenti riversamenti, era errata. Si costituivano i Ministeri convenuti, eccependo: - il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, in favore del Giudice amministrativo; - il difetto di legittimazione passiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Agenzia delle entrate. Nel merito contestavano la fondatezza della domanda, deducendo che: - gli importi di cui si chiedeva la restituzione erano stati versati in base ad una norma diversa da quella oggetto della sentenza n. 7/2017 della Corte costituzionale che aveva comunque operato una declaratoria di incostituzionalita' parziale e solo nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e di assistenza dei dottori commercialisti; - che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 era manifestamente infondata, prevedendo la predetta disposizione un'alternativita' nell'adempimento agli oneri di contenimento della spesa rimessa alla piena autonomia e alle scelte organizzative degli enti; - che in ogni caso la pronuncia della Corte costituzionale non poteva travolgere la validita' ed efficacia dei versamenti, gia' effettuati al bilancio dello Stato per gli anni 2014, 2015 e 2016, ormai definitivi. In ordine alla domanda proposta in via subordinata, assumevano che la determinazione della base imponibile su cui quantificare i riversamenti era stata rilevata nel corso di una verifica amministrativo contabile effettuata «dai Servizi ispettivi di finanza», che non era stata oggetto di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo e che comunque era conforme a quanto indicato nella normativa di riferimento. Chiedevano quindi, in via pregiudiziale, che fosse dichiarato il difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario adito e, in subordine, il rigetto nel merito delle domande.» 3. Con sentenza non definitiva in data odierna, questa Corte ha respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione ed ha accolto le eccezioni di difetto di legittimazione passiva dell'Agenzia delle entrate e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali proposte dall'Avvocatura generale dello Stato. 4. In ordine alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417, della legge n. 147 del 2013, per contrasto con gli articoli 2, 3, 1836, 38 e 97 della Costituzione, si rileva quanto segue. A. La vicenda processuale e' stata riassunta come segue nella sentenza impugnata. «Con atto di citazione ritualmente notificato la Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti (di seguito per brevita' Cassa) conveniva in giudizio, dinanzi a questo Tribunale, i convenuti indicati in epigrafe, chiedendo che fosse accertato il diritto della Cassa alla ripetizione dei riversamenti dei risparmi di spesa per i consumi intermedi effettuati, per gli anni 2014, 2015 e 2016, al bilancio dello Stato a norma dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013, in applicazione del principio di diritto sancito dalla sentenza n. 7/2017 della Corte costituzionale, con condanna delle amministrazioni convenute alla restituzione di quanto indebitamente percepito, per un importo pari ad euro 2.373.756,30, oltre rivalutazione ed interessi e «ove occorra, rimettendo in via incidentale alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417 della legge n. 147/2013 in relazione agli articoli 2, 3, 18, 3, 36, 38 e 97 della Costituzione. Chiedeva, in subordine, al Tribunale di accertare e dichiarare che le spese sostenute dagli organi di amministrazione per recarsi presso la sede istituzionale della Cassa e altre spese, analiticamente indicate nell'atto introduttivo, non rientrando tra quelle per consumi intermedi, dovevano essere escluse dall'imponibile posto a base del calcolo delle somme da riversare al bilancio dello Stato in applicazione dell'art. 1, comma 417, della legge di Stabilita' 2014 (legge n. 147/2013). A tal fine esponeva: - che la Cassa era un ente previdenziale privatizzato ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, vigilato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'economia e delle finanze; - che la medesima era presente nell'elenco delle pubbliche amministrazioni inserite nel c.d. «conto economico dello Stato», come individuate dall'Istat ex art. 1, legge 30 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilita' e finanza pubblica); - che gli enti previdenziali privatizzati erano stati assoggettati alle norme di «spending review», ivi compresa quella di cui all'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95 del 2012, norma che la Corte costituzionale, con sentenza dell'11 gennaio 2017 n. 7, aveva dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevedeva che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste fossero versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato; - che con tale pronuncia la Corte aveva censurato, in via di principio, la scelta del legislatore di imporre il riversamento delle somme derivanti dal risparmio di spesa di tutte le Casse privatizzate al bilancio dello Stato; - che pertanto tale censura di incostituzionalita' aveva prodotto conseguenze caducanti anche sulla norma di cui all'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 in base alla quale la Cassa, su richiesta dell'Amministrazione ministeriale, aveva provveduto a riversare al bilancio dello Stato, con riserva di ripetizione, l'importo complessivo di euro 2.373.756,30 per gli anni 2014, 2015 e 2016; - che la lettura costituzionalmente orientata del richiamato art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 doveva indurre a ritenere l'autonomia gestionale, organizzativa e contabile della Cassa attraverso il conseguimento di un obiettivo forfettizzato di risparmio (il 15% della spesa per consumi intermedi sostenuta nel 2010), con conseguente liberta' dell'ente previdenziale di potere scegliere le voci di spesa da contenere, senza riversarli al bilancio dello Stato, impiegandoli per il pagamento delle prestazioni previdenziali o comunque per garantire gli equilibri economici - finanziari dell'ente stesso; - che in ogni caso la base di calcolo dei consumi intermedi indicata dall'amministrazione convenuta, ai fini dei risparmi di spesa e dei conseguenti riversamenti, era errata. Si costituivano i Ministeri convenuti, eccependo: - il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, in favore del Giudice amministrativo; - il difetto di legittimazione passiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Agenzia delle entrate. Nel merito contestavano la fondatezza della domanda, deducendo che: - gli importi di cui si chiedeva la restituzione erano stati versati in base ad una norma diversa da quella oggetto della sentenza n. 7/2017 della Corte costituzionale che aveva comunque operato una declaratoria di incostituzionalita' parziale e solo nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e di assistenza dei dottori commercialisti; - che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 era manifestamente infondata, prevedendo la predetta disposizione un'alternativita' nell'adempimento agli oneri di contenimento della spesa rimessa alla piena autonomia e alle scelte organizzative degli enti; - che in ogni caso la pronuncia della Corte costituzionale non poteva travolgere la validita' ed efficacia dei versamenti, gia' effettuati al bilancio dello Stato per gli anni 2014, 2015 e 2016, ormai definitivi. In ordine alla domanda proposta in via subordinata, assumevano che la determinazione della base imponibile su cui quantificare i riversamenti era stata rilevata nel corso di una verifica amministrativo contabile effettuata «dai Servizi ispettivi di finanza», che non era stata oggetto di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo e che comunque era conforme a quanto indicato nella normativa di riferimento. Chiedevano quindi, in via pregiudiziale, che fosse dichiarato il difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario adito e, in subordine, il rigetto nel merito delle domande.» B. Questa Corte ritiene rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», nella parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale disposizione siano versate annualmente dalla CIPAG ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato. Tale disposizione prevede che «A decorrere dall'anno 2014, ai fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea e del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, gli enti di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, possono assolvere alle disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa dell'apparato amministrativo effettuando un riversamento a favore dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 15 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. Per detti enti, la presente disposizione sostituisce tutta la normativa vigente in materia di contenimento della spesa pubblica che prevede, ai fini del conseguimento dei risparmi di finanza pubblica, il concorso delle amministrazioni di cui all'art. 1, commi 2 e 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ferme restando, in ogni caso, le disposizioni vigenti che recano vincoli in materia di spese di personale». C. La rilevanza della questione ai fini del decidere e' indubbia, in quanto la decisione sulle domande ex art. 2033 del codice civile proposte dalla CIPAG nel presente giudizio di appello comporta la necessita' di fare applicazione della disposizione censurata. D'altra parte, non e' possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della norma di rango primario, in considerazione della sua inequivoca portata sia sul piano letterale, sia della ratio, sia degli effetti, dovendosi sul punto condividere quanto gia' affermato dal Tribunale di Roma che aveva precisato: «Cio' posto, e' necessario puntualizzare che la dichiarazione di incostituzionalita' della norma ha inciso solo sul richiamato art. 8, comma 3 del decreto-legge n. 95/2012 (conv. con modif. dalla legge n. 135/2012). Ne consegue che il Tribunale adito non puo' disapplicare una norma vigente sulla cui costituzionalita' la Corte costituzionale non si e' pronunciata. Giova ricordare che ai sensi dell'art. 27, legge n. 87 del 1953 la Corte costituzionale, "quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questione di legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime". Tale principio trova deroga nello stesso art. 27, secondo cui la Corte "dichiara, altresi', quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimita' deriva come conseguenza dalla decisione adottata". L'illegittimita' consequenziale colpisce quindi norme legate a quella dichiarata incostituzionale in quanto attuative, ripetitive o esecutive di quest'ultima. In sostanza la disposizione di cui all'art. 27 citato autorizza la Corte alla dichiarazione della cd illegittimita' conseguenziale solo nel caso in cui altre disposizioni si trovino, rispetto a quella oggetto del giudizio, in rapporto di inseparabilita' assoluta o indissolubile correlazione. Deve quindi escludersi la possibilita' di estendere la dichiarazione di illegittimita' costituzionale alle disposizioni che, pure avendo in comune con il contenuto di quella che ha formato oggetto del giudizio uno o piu' elementi della fattispecie o la medesima ratio ispiratrice, regolino tuttavia fattispecie diverse, anche se simili o affini.» D. Quanto alla non manifesta infondatezza, questa Corte ritiene centrale e dirimente la sentenza della Corte costituzionale n. 7 del 2017, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento agli articoli 3, 38 e 97 Cost., nella parte in cui tale disposizione prescriveva che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste fossero versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato. Il Tribunale ha ritenuto la questione manifestamente infondata affermando che «non e' ravvisabile tra l'art. 8, comma 3 del decreto-legge n. 95/2012 e l'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 un nesso di indissolubile correlazione, ne' la medesima ratio ispiratrice. Nella prima sono state dettate le regole per la riduzione della spesa degli enti pubblici non territoriali ed e' stato previsto il loro riversamento all'apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, nella seconda e' stata prevista una scelta, rimessa all'autonomia gestionale, organizzativa e contabile degli enti, tra il rispetto di tutta la normativa vigente in materia di contenimento della spesa pubblica e il riversamento a favore dell'entrata del bilancio dello Stato di un importo predeterminato in una misura forfettaria pari al 15 % della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. La scelta operata da parte attrice non rappresenta quindi un prelievo strutturale e continuativo imposto alla Cassa, ma il risultato di una facolta' esercitata dallo stesso ente, che proprio perche' rimessa alla sua autonomia gestionale, organizzativa e contabile, non altera gli equilibri finanziari della Cassa funzionali alla garanzia delle posizioni previdenziali degli associati, ne' compromette l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale. Del resto, la stessa pronuncia della Corte costituzionale richiamata da parte attrice non ha escluso la possibilita' da parte del legislatore di disporre, in un particolare momento di crisi economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che si autofinanziano attraverso i contributi dei propri iscritti (eccezionalita' del prelievo che trova riscontro nella legislazione successiva a quella in oggetto che, con l'art. 1, comma 183 della legge n. 205/2017, ha escluso a far data dall'anno 2020, nei confronti degli enti previdenziali privatizzati, l'applicazione dall'anno 2020 delle norme di contenimento delle spese previste a carico degli altri soggetti inclusi nell'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ferme restando, in ogni caso, le disposizioni vigenti che recano vincoli in materia di personale». E. Viceversa, questa Corte di appello condivide gli argomenti illustrati a sostegno delle censure di legittimita' costituzionale formulate dal Consiglio di Stato nell'ordinanza n. 208 del 2015 in relazione all'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012. Questa Corte ritiene infatti che i medesimi profili di illegittimita' costituzionale investano anche l'art. 1, comma 417, della legge n. 147 del 2013. Nella sentenza n. 7 del 2017 della Corte costituzionale, le censure di illegittimita' formulate dal Consiglio di Stato sono state cosi' sintetizzate: «Con ordinanza iscritta al n. 208 del registro ordinanze del 2015, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135 - con particolare riguardo al primo, terzo e quarto periodo della disposizione - per violazione degli articoli 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53 e 97 della Costituzione. La questione trae origine dall'appello della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti (CNPADC) e da due iscritti alla Cassa in proprio, sigg. W.A. e R.G., proposto contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio - Roma n. 6103 del 18 giugno 2013, che aveva rigettato il ricorso avverso i provvedimenti applicativi dell'art. 8 cit. La norma censurata impone alle Casse di previdenza privatizzate di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza), in forza della loro inclusione nell'elenco redatto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilita' e finanza pubblica), di adottare interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti al 5 per cento per il 2012 ed al 10 per cento a partire dal 2013, nonche' di riversare annualmente i risparmi di spesa, cosi' conseguiti sui propri consumi intermedi, al bilancio dello Stato. In punto di rilevanza, osserva il Consiglio di Stato che gli atti impugnati sarebbero applicativi dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, per la parte in cui assoggettano anche la CNPADC al regime di versamento previsto dalla predetta norma; nella misura in cui determinano l'imposizione del versamento anche da parte della Cassa appellante, troverebbero il loro diretto e completo presupposto nella previsione normativa della cui costituzionalita' si dubita e, dunque, il problema della loro legittimita' non discenderebbe dalla presenza di eventuali vizi di legittimita', bensi' dalla legittimita' costituzionale del loro fondamento normativo. Ne', secondo il rimettente, la questione apparirebbe ex se risolvibile affermando o negando la natura pubblicistica delle Casse di previdenza, posto che il legislatore avrebbe "legificato" i predetti elenchi e, pertanto, in assenza di specifiche censure di illegittimita' costituzionale avverso le normative che a detti elenchi fanno rinvio, non ci si potrebbe che limitare a prendere atto di tale scelta legislativa. Secondo il Consiglio di Stato non sarebbe dirimente la questione della natura della personalita' giuridica (di diritto pubblico o privato) delle Casse di previdenza (ovvero della loro assimilazione, nominativamente disposta, alle amministrazioni pubbliche) ma, piuttosto, assumerebbe rilievo la provenienza, da soggetti privati, della contribuzione destinata a costituire le risorse per il futuro trattamento pensionistico agli iscritti alla Cassa di previdenza, nonche' il fatto che la disposizione impugnata non incida su trasferimenti a carico della finanza pubblica, nella specie non presenti, bensi' imponga un prelievo percentualmente determinato sulla misura dei c.d. consumi intermedi, che avrebbero parimenti la loro fonte nelle somme percepite dai propri iscritti e la cui disponibilita' dovrebbe essere mantenuta nella piena ed autonoma determinazione della Cassa medesima. Tanto premesso, il Consiglio di Stato ritiene che l'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, imponendo un versamento obbligatorio in favore dello Stato di parte delle somme frutto dei contributi versati dagli iscritti, finirebbe con il distrarre dette somme, in dotazione alla Cassa, dalla loro causa tipica e dalla ragione, normativamente prevista, che ne legittima l'imposizione. La distrazione dal perseguimento delle finalita' che sono alla base dell'imposizione coattiva integrerebbe la violazione dell'art. 23 Cost., in quanto il potere impositivo attribuito alle Casse previdenziali verso i propri iscritti sarebbe legato al perseguimento delle predette finalita' e non potrebbe essere vanificato destinando parte delle risorse ad esigenze generali di finanza pubblica. La disposizione impugnata violerebbe altresi' gli articoli 35, 36 e 38, comma 2, della Costituzione, poiche', sottraendo parte dei contributi alle Casse, il legislatore inciderebbe sulla misura del trattamento pensionistico, da intendersi anche come «retribuzione differita» e contravverrebbe all'esigenza di assicurare mezzi adeguati per le esigenze connesse alla vecchiaia del lavoratore; piu' in generale, inciderebbe sulla finalita' di tutela del lavoro, costituzionalmente garantita. Inoltre, l'art. 8, comma 3 cit., si porrebbe in conflitto con gli articoli 2, 3 e 97 della Costituzione, in quanto il prelievo ivi previsto inciderebbe, in modo non ragionevole, sulla autonomia dell'ente, impedendo al medesimo di poter disporre delle somme derivanti da contribuzioni dei propri iscritti, per destinarle ad esigenze strumentali alla realizzazione delle finalita' previdenziali. Esso inciderebbe, altresi', sul principio di buon andamento delle amministrazioni pubbliche, posto che non realizzerebbe alcuna economicita' dell'azione amministrativa, e determinerebbe altresi' una distrazione di somme dalla loro finalita' tipica. Infine, secondo il giudice a quo, la norma impugnata violerebbe gli articoli 3 e 53 della Costituzione in quanto, dovendosi ritenere che i contributi versati dagli iscritti siano assimilabili ai tributi, il prelievo corrispondente al versamento imposto alla Cassa, stabilito in una percentuale fissa in relazione alla spesa per consumi intermedi dell'anno 2010, non terrebbe in considerazione ne' la capacita' contributiva del soggetto, ne' qualsivoglia criterio di progressivita', in cio' determinando altresi' sia una disparita' di trattamento tra soggetti destinatari di una medesima percentuale di esazione, indipendentemente dalla loro soggettiva capacita' contributiva, sia una palese irragionevolezza della previsione.» F. La non manifesta infondatezza della questione in esame appare ancor piu' evidente proprio alla luce della motivazione della dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95. Nella sentenza n. 7 del 2017, la Corte costituzionale ha infatti affermato: «2.- Ai fini della presente decisione sono necessarie alcune premesse. L'elenco delle amministrazioni pubbliche appartenenti al conto economico consolidato previsto dall'art. 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009 - come modificato dal decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44 - e' stato istituito in attuazione di precisi obblighi comunitari sulla base di norme classificatorie e definitorie proprie del sistema statistico nazionale ed europeo, ai sensi del regolamento CE n. 2223/96 del Consiglio del 25 giugno 1996 modificato dal regolamento UE 549/2013 relativo al «Sistema europeo dei Conti nazionali e regionali nell'Unione Europea» (SEC2010). I criteri utilizzati per la classificazione sono di natura statistico-economica. Tale regolamento e' servente alla definizione delle politiche dell'Unione europea ed al monitoraggio delle economie degli Stati membri e dell'Unione economica e monetaria (UEM), i quali «richiedono informazioni comparabili, aggiornate e affidabili sulla struttura dell'economia e l'evoluzione della situazione economica di ogni Stato membro o regione» (considerando n. 1 del regolamento UE n. 549/2013). La commissione utilizza gli aggregati dei conti nazionali e regionali, raccolti attraverso tali informazioni, per i fini amministrativi dell'Unione e, in particolare, per i calcoli di bilancio. Dunque, il sistema europeo dei conti, disciplinato dai richiamati regolamenti, prevede una metodologia finalizzata al monitoraggio della convergenza economica ed al conseguimento di uno stretto coordinamento delle politiche finanziarie europee. La CNPADC e' classificata, secondo l'allegato A (Capitolo 2 «Unita' e insiemi di unita'» - I settori istituzionali - amministrazioni pubbliche S.13) del regolamento UE n. 549/2013, nel sottosettore S.1314, afferente agli «Enti di previdenza e assistenza sociale» (2.117), il quale «comprende le unita' istituzionali centrali, di Stati federati e locali, la cui attivita' principale consiste nell'erogare prestazioni sociali che rispondono ai seguenti due criteri: a) in forza di disposizioni legislative o regolamentari determinati gruppi della popolazione sono tenuti a partecipare al regime o a versare contributi; b) le amministrazioni pubbliche sono responsabili della gestione dell'istituzione per quanto riguarda la fissazione o l'approvazione dei contributi e delle prestazioni, a prescindere dal loro ruolo di organismo di sorveglianza o di datore di lavoro». Nell'ambito delle procedure di convergenza verso gli obiettivi europei di contenimento della spesa pubblica, l'inserimento in tale elenco ha comportato per l'ente previdenziale la sottoposizione ai pertinenti vincoli di riduzione della spesa. Tuttavia, a differenza della maggior parte degli enti pubblici e dei soggetti inseriti nell'elenco, la CNPADC non gode di finanziamenti pubblici che - anzi - sono vietati dalla legge istitutiva: «Gli enti trasformati continuano a svolgere le attivita' previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorieta' della iscrizione e della contribuzione. Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali» (art. 1, comma 3, decreto legislativo n. 509 del 1994). E' altresi' utile un'ulteriore premessa circa la natura giuridica della CNPADC e la sua sostanziale irrilevanza nell'ambito del thema decidendum. La trasformazione della Cassa operata dal decreto legislativo n. 509 del 1994, pur avendo inciso sulla forma giuridica dell'ente e sulle modalita' organizzative delle sue funzioni, non ha modificato il carattere pubblicistico dell'attivita' istituzionale di previdenza ed assistenza, che mantiene non solo una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico di assicurare dette prestazioni sociali a particolari categorie di lavoratori, ma acquisisce un ruolo rilevante in ambito europeo attraverso l'inclusione delle risultanze del relativo bilancio nel calcolo del prodotto nazionale lordo ai prezzi di mercato (PNLpm), mediante le uniformi regole di contabilizzazione del sistema europeo dei conti economici integrati. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che «dal quadro cosi' tracciato [dalla riforma] emerge che la suddetta trasformazione ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attivita' istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l'obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell'inalterato fine previdenziale. L'esclusione di un intervento a carico della solidarieta' generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli enti, in quanto implicita nella premessa che nega il finanziamento pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario» (sentenza n. 248 del 1997). 3.- Tanto premesso, l'eccezione di inammissibilita' dell'Avvocatura dello Stato, argomentata in ragione della mancata considerazione della iscrizione nell'elenco ISTAT e delle conseguenze che ne deriverebbero automaticamente in punto di debenza del prelievo, non puo' essere accolta. Secondo la difesa dello Stato, il fatto che la CNPADC sia stata individuata dalla legge quale componente dell'elenco ISTAT, nonche' risulti destinataria delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica, costituirebbe indefettibile presupposto per la soggezione dell'ente previdenziale all'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012 e, conseguentemente, il giudice rimettente avrebbe compiuto una sorta di aberratio ictus, nel censurare la legge che prevede il prelievo ai danni della CNPADC stessa anziche' l'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, come modificato dal decreto-legge n. 16 del 2012, il quale, includendo il predetto ente nell'elenco ISTAT, comporterebbe l'automatica applicazione del prelievo a favore dell'Erario. Nella prospettazione del giudice rimettente, al contrario, non e' contestata la legittimita' dell'inclusione della CNPADC nell'elenco delle amministrazioni ISTAT e neppure la legittimita' della prima parte della disposizione, laddove vengono dettate norme finalizzate alla riduzione della spesa per consumi intermedi. Infatti, se da un lato egli menziona l'intero comma 3, compresa la parte riferita agli enti che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato e la prescrizione afferente ad interventi di razionalizzazione della spesa, dall'altro chiarisce che la questione riguarda «gli atti impugnati, nella misura in cui determinano l'imposizione del versamento anche da parte della Cassa appellante, trovan[d]o il loro diretto e completo presupposto nella previsione normativa della cui costituzionalita' si dubita, e, dunque, il problema della loro legittimita' (in parte qua) non discende dalla presenza di eventuali vizi di legittimita', bensi' dalla legittimita' costituzionale del loro fondamento normativo». Pertanto, l'eccezione d'inammissibilita' non puo' essere accolta, dal momento che l'ordinanza di rimessione si limita a dubitare della legittimita' costituzionale del prelievo operato dal legislatore statale nei confronti della CNPADC, tema che costituisce l'oggetto del presente giudizio. 4.- Venendo al merito, la questione di legittimita' costituzionale sollevata in riferimento agli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione con riguardo alla sola prescrizione inerente all'imposizione del versamento annuale nelle casse dello Stato, e' fondata. Per quanto di seguito meglio specificato, la scelta di privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del bilancio statale rispetto alla garanzia, per gli iscritti alla CNPADC, di vedere impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali non e' conforme ne' al canone della ragionevolezza, ne' alla tutela dei diritti degli iscritti alla Cassa, garantita dall'art. 38 della Costituzione, ne' al buon andamento della gestione amministrativa della medesima. 4.1.- Sotto il profilo della ragionevolezza, l'art. 3 della Costituzione risulta violato per l'incongrua scelta di sacrificare l'interesse istituzionale della CNPADC ad un generico e macroeconomicamente esiguo impiego nel bilancio statale. L'esame del contesto legislativo rivela come la disposizione censurata operi in deroga all'ordinario regime di autonomia della Cassa, in parte alterando il vincolo funzionale tra contributi degli iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali. Prescindendo dall'indagine sulla natura del contributo, e tenuto conto che le politiche statali possono, in particolari contingenze, incidere anche sull'autonomia finanziaria di un ente pubblico, nel caso in esame la compressione di un principio di sana gestione finanziaria, come quello inerente alla natura mutualistica degli enti privatizzati di cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994, non risulta proporzionato all'alternativa di assicurare un prelievo generico a favore del bilancio dello Stato. Mentre l'interesse della CNPADC e' specificamente riferibile alla missione istituzionale di gestire ed assicurare nel tempo le prestazioni previdenziali agli associati, quello dello Stato e' - per obiettiva conformazione della norma impugnata - circoscritto alla generica copertura del complesso della spesa. Nella ponderazione delle due finalita' non appare ragionevole il sacrificio - a beneficio di un generico interesse dello Stato ad arricchire, in modo peraltro marginale, le proprie dotazioni di entrata - di quella della CNPADC, che e' collegata intrinsecamente alla necessaria autosufficienza della gestione pensionistica. In particolare, con riguardo al bilanciamento tra le esigenze istituzionali della Cassa e quelle del bilancio statale, non puo' essere condiviso l'assunto dell'Avvocatura generale dello Stato secondo cui l'interesse dell'ente previdenziale a mantenere parte delle risorse acquisite attraverso la contribuzione degli iscritti sarebbe recessivo rispetto all'esigenza di prelevare dette risorse «per garantire il rispetto del principio del pareggio di bilancio sancito dall'art. 81 della Costituzione anche alla luce degli impegni assunti dal nostro Paese con le autorita' europee». La difesa statale desume un'arbitraria correlazione eziologica tra l'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, la prima parte dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, non contestata dal giudice rimettente, e la seconda parte del medesimo comma 3 dell'art. 8: l'iscrizione nell'elenco ISTAT della CNPADC non comporterebbe soltanto la considerazione di quest'ultima nel complesso macroeconomico della finanza pubblica da coordinare attraverso l'imposizione di economie della spesa per beni intermedi, ma anche il prelievo di tali economie a beneficio dello Stato. Al contrario, come gia' premesso, tale rapporto di causalita' tra le citate disposizioni non sussiste. E' di tutta evidenza che la prima parte della norma impugnata provvede in modo costituzionalmente legittimo ad assicurare - attraverso il risparmio e l'accantonamento della percentuale di spesa pertinente a ciascuno dei soggetti rientranti nel sistema europeo dei conti nazionali e regionali dell'Unione europea-SEC 2010 - il coordinamento della finanza pubblica allargata per il raggiungimento degli obiettivi concordati in sede europea, mentre la seconda parte introduce un finanziamento a favore dell'Erario. Pertanto, e' la sola disposizione dell'art. 8, comma 3, impugnata dal rimettente a porre in essere un prelievo indebito nei confronti della CNPADC - il quale determina, nella situazione economico-patrimoniale della destinataria, una minusvalenza correlata ad una speculare plusvalenza a favore del bilancio dello Stato - mentre quella che impone la riduzione degli oneri per beni intermedi, oltre al coordinamento finalizzato al rispetto dei vincoli europei, costituisce di per se' anche un meccanismo idoneo a rendere piu' efficiente la gestione pensionistica nella misura in cui riduce le spese correnti della Cassa, indirizzando il risparmio alla naturale destinazione delle prestazioni previdenziali. A parte il fatto che nella manovra di finanza pubblica il contestato prelievo assume valore neutro, dal momento che il saldo complessivo delle risorse disponibili nel consolidato pubblico risulta invariato, tale prelievo costituisce una scelta autonoma del legislatore statale (consistente nel trasferimento di risorse della CNPADC al proprio bilancio), del tutto distinta dall'adempimento degli obblighi di riduzione della spesa concordati in sede europea. Se, in astratto, non puo' essere disconosciuta la possibilita' per lo Stato di disporre, in un particolare momento di crisi economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che - come la CNPADC - sostanzialmente si autofinanziano attraverso i contributi dei propri iscritti, non e' invece conforme a Costituzione articolare la norma nel senso di un prelievo strutturale e continuativo nei riguardi di un ente caratterizzato da funzioni previdenziali e assistenziali sottoposte al rigido principio dell'equilibrio tra risorse versate dagli iscritti e prestazioni rese. Alla luce di tali considerazioni risultano capovolte anche le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui la fattispecie normativa in esame sarebbe il portato di un'«adeguata ponderazione» delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica di cui all'art. 81 della Costituzione con «gli altri parametri costituzionali richiamati dal Consiglio di Stato [...] nel rispetto dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza [...] in relazione alla pari necessita' di rispetto dell'art. 81 della Costituzione ed alla luce della necessita' di individuare un punto di equilibrio dinamico e non prefissato in anticipo tra tutti i vari diritti tutelati dalla Carta costituzionale». Una valutazione in termini di proporzionalita' e di adeguatezza tra i dialettici interessi in gioco puo' essere realizzata solo all'interno del quadro legislativo della materia «secondo determinazioni discrezionali del legislatore, le quali devono essere basate sul ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti nell'attuazione graduale di quei principi, compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilita' delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa» (sentenza n. 119 del 1991). Infatti, se il costante orientamento di questa Corte e' nel senso che il legislatore conserva piena liberta' di scelta tra sistemi previdenziali di tipo mutualistico - caratterizzati dalla corrispondenza fra rischio e contribuzione e da una rigorosa proporzionalita' fra contributi e prestazioni previdenziali - e sistemi di tipo solidaristico - caratterizzati, di regola, dall'irrilevanza della proporzionalita' tra contributi e prestazioni previdenziali - una volta scelta con chiarezza la prima delle due opzioni, il bilanciamento degli interessi in gioco deve avvenire tenendo conto della soluzione normativa prevista dal decreto legislativo n. 509 del 1994. Nel caso in esame, quest'ultima e' nel senso di realizzare modalita' di finanziamento del sistema pensionistico della CNPADC attraverso la capitalizzazione dei contributi versati da ciascun lavoratore prima della quiescenza. Tali contributi sono gestiti dalla Cassa attraverso criteri di autonomia delineati dal legislatore secondo accantonamenti a basso rischio, cosicche', al momento del pensionamento, ogni lavoratore ritira il proprio montante contributivo, cioe' quanto versato sino alla quiescenza, maggiorato dai cosiddetti coefficienti di trasformazione. Questa scelta si contrappone al sistema dell'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP), ora confluito nell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nel quale il pagamento delle pensioni viene effettuato utilizzando i contributi correntemente versati dai lavoratori in servizio e dai relativi datori di lavoro, senza che si effettui alcun accantonamento dei contributi stessi. Negli anni '90 il legislatore italiano ha ritenuto che i due sistemi potessero coesistere in ragione delle specifiche peculiarita'. Risulta, quindi, evidente come in quello in esame esista un collegamento chiaro ed indefettibile fra volume dei contributi versati e livello delle prestazioni rese, legame che comporta un forte richiamo alla responsabilita' del gestore, dalla cui buona amministrazione dipende in sostanza il mantenimento di un sistema che non puo' altrimenti finanziarsi. In definitiva, se in Costituzione non esiste un vincolo a realizzare un assetto organizzativo autonomo basato sul principio mutualistico, occorre tuttavia evidenziare che, una volta scelta tale soluzione, il relativo assetto organizzativo e finanziario deve essere preservato in modo coerente con l'assunto dell'autosufficienza economica, dell'equilibrio della gestione e del vincolo di destinazione tra contributi e prestazioni. 4.2.- Sotto il profilo del buon andamento di cui all'art. 97 Cost., non puo' essere ignorato che la riforma della CNPADC, avvenuta in attuazione del portato normativo del decreto legislativo n. 509 del 1994, e' ispirata dall'esigenza di percorrere una strada alternativa di tipo mutualistico rispetto alla soluzione «generalista» della previdenza dei dipendenti pubblici rappresentata dal sistema INPDAP, ora accorpato all'INPS. Tale alternativa consiste sostanzialmente nell'autonomia finanziaria comportante l'assoluto divieto di contribuzione da parte dello Stato, nonche' la ricerca di equilibri di lungo periodo sul piano previdenziale, finanziario ed economico. In definitiva, si tratta di un sistema progettato e finalizzato all'equilibrio di lungo periodo di cui e' connotato sintomatico «la previsione di una riserva legale, al fine di assicurare la continuita' nell'erogazione delle prestazioni, in misura non inferiore a cinque annualita' dell'importo delle pensioni in essere. Ferme restando le riserve tecniche esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, all'eventuale adeguamento di esse si provvede, nella fase di prima applicazione, mediante accantonamenti pari ad una annualita' per ogni biennio» (art. 1, comma 4, lettera c, della legge n. 509 del 1994). In tale contesto, le spese di gestione della CNPADC devono essere ispirate alla logica del massimo contenimento e della massima efficienza, dal momento che il finanziamento di tale attivita' strumentale grava sulle contribuzioni degli iscritti, cosicche' ogni spesa eccedente al necessario finisce per incidere negativamente sul sinallagma macroeconomico tra contribuzioni e prestazioni. Secondo tale prospettiva - come gia' rilevato - le misure di contenimento della spesa per i beni intermedi stabilite dall'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012 sono utili non solo ad assicurare pro quota la partecipazione della Cassa al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, ma anche a preservare da un'eccessiva espansione della spesa corrente una parte delle risorse naturalmente destinate alle prestazioni previdenziali, salvaguardando il buon andamento dell'ente in conformita' agli obiettivi della riforma del 1994. Se la prima parte dell'art. 1, comma 3, appare, dunque, un efficace strumento di coordinamento della finanza pubblica, la seconda parte - nel destinare detto risparmio all'Erario - collide anche con l'art. 97 della Costituzione, in quanto sottrae alla CNPADC risorse intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti. E, nel caso di specie, non e' tanto l'entita' del prelievo - peraltro esiguo in rapporto alla dimensione delle entrate dello Stato - a determinare la non conformita' a Costituzione, quanto l'astratta configurazione della norma, che aggredisce, sotto l'aspetto strutturale, la correlazione contributi-prestazioni, nell'ambito della quale si articola «la naturale missione» della CNPADC di preservare l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale. 4.3.- Con riguardo alla violazione dell'art. 38 della Costituzione, non sono condivisibili le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui il prelievo non colpirebbe le situazioni previdenziali degli iscritti, ma si limiterebbe ad incidere sul bilancio della Cassa. Occorre a tal proposito ricordare che - per effetto della riforma del 1994 - le posizioni previdenziali degli iscritti sono collettivamente e singolarmente condizionate dalla regola per cui la prestazione deve essere resa solo attraverso la contribuzione capitalizzata del destinatario e non attraverso l'impiego delle contribuzioni versate dagli altri iscritti in attivita'. Cio' con assoluta esclusione - a differenza della previdenza dei pubblici dipendenti - di qualsiasi contribuzione a carico dello Stato nel momento in cui il flusso finanziario proveniente dai versamenti contributivi non risulti sufficiente al pagamento delle prestazioni dovute. In sostanza, in un sistema ispirato - pur nell'ambito del meccanismo contributivo - alla capitalizzazione dei contributi degli iscritti, l'ingerenza del prelievo statale rischia di minare quegli equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell'esperienza previdenziale autonoma. Questa Corte ha affermato che la scelta di dotare le Casse di previdenza di un sistema di solidarieta' endocategoriale basato sulla comunanza di interessi degli iscritti - cosicche' ciascuno di essi concorre con il proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si giova l'intera categoria - e di vincolare in tal senso la contribuzione di detti soggetti, costituisce soluzione del tutto ragionevole e idonea a «prevenire situazioni di crisi finanziaria e dunque di garantire l'erogazione delle prestazioni [. E'] stato cosi' sancito il vincolo d'una riserva legale a copertura per almeno cinque anni delle pensioni in essere (art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994) e, piu' recentemente in sede di riforma del sistema pensionistico generale, e' stata prevista l'obbligatorieta' della predisposizione di un bilancio tecnico attuariale per un arco previsionale di almeno quindici anni (art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335)». Pertanto, «[l]a solidarieta' endocategoriale che il legislatore si e' preoccupato di non far venire improvvisamente meno», e' finalizzata ad «assicurare l'idonea provvista di mezzi: considerazione, quest'ultima, tanto piu' valida ora, in un sistema dichiaratamente autofinanziato», in cui «tale previsione "assicura lo strumento meglio idoneo all'attuazione di finalita' schiettamente pubbliche [...]". Tanto puo' affermarsi anche con riguardo agli scopi previdenziali perseguiti [dalle Casse previdenziali autonome] nel quadro della gia' richiamata solidarieta' interna ai professionisti, a vantaggio dei quali l'ente e' stato istituito: la comunanza d'interessi degli iscritti comporta che ciascuno di essi concorra con il proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si giova l'intera categoria, di talche' il vincolo puo' dirsi presupposto prima ancora che imposto» (sentenza n. 248 del 1997). Considerate le complesse problematiche alla base della deficienza strutturale dei meccanismi di finanziamento della previdenza dei dipendenti pubblici, l'alternativo sistema, voluto dal legislatore per gli enti privatizzati in un periodo ormai risalente, merita di essere preservato da meccanismi - quali il prelievo a regime in esame - in grado di scalfirne gli assunti di base. Cio' anche in considerazione del fatto che detti assunti ne hanno, comunque, garantito la sopravvivenza senza interventi di parte pubblica per un ragguardevole periodo di tempo. In proposito non puo' essere sottovalutato come la tutela degli equilibri finanziari della CNPADC sia intrinsecamente funzionale alla garanzia delle posizioni previdenziali degli associati, a sua volta riconducibile all'art. 38 della Costituzione. 5.- In definitiva, subordinare le esigenze di coerenza dell'ordinamento previdenziale, disegnato dal decreto legislativo n. 509 del 1994 in senso mutualistico e successivamente perfezionato attraverso l'applicazione del sistema contributivo, ad un meccanismo di prelievo di importo marginale (anche per il carattere di neutralita' finanziaria nell'ambito della manovra complessiva) non risulta coerente ne' in grado di superare i test di ragionevolezza precedentemente richiamati. Infatti, proprio una ponderazione delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica tende inevitabilmente verso la soluzione di non alterare la regola secondo cui i contributi degli iscritti alla CNPADC devono assicurarne l'autosufficienza della gestione e la resa delle future prestazioni, in presenza di un chiaro divieto normativo all'intervento riequilibratore dello Stato. Per quanto considerato, l'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo in riferimento agli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione nella parte in cui prescrive che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale norma siano versate annualmente dalla CNPADC ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato. G. Nel caso all'esame di questa Corte di appello, il dubbio di legittimita' costituzionale investe l'art. 1, comma 417, della legge n. 147 del 2013, che ha la medesima ratio della norma dichiarata costituzionalmente illegittima e determina il medesimo effetto distrattivo finale di riversare in favore dello Stato il risparmio di spesa di una Cassa di previdenza, sicche' le medesime ragioni che hanno indotto la Corte costituzionale a dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, devono intendersi poste alla base della presente ordinanza di rimessione. Al riguardo, questa Corte condivide e fa proprie le argomentazioni svolte dalla CIPCAG, la' dove ha osservato che: «l'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 introduce un "meccanismo" analogo a quello previsto dall'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012, che stabilisce un obbligo di riversamento al bilancio dello Stato di somme commisurate a una quota percentuale delle spese per 'consumi intermedi' relative all'anno 2010, e la cui disciplina si differenzia dalla precedente solo per la maggiore entita' delle somme da riversare e per la sua alternativita' rispetto alle altre disposizioni contenenti obblighi connessi alla cd. spending review. 42. Sia l'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 che l'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012, infatti, al fine di assicurare un'entrata ulteriore al bilancio dello Stato, prevedono che anche gli enti previdenziali privatizzati debbano, non solo procedere alle riduzioni di spesa necessarie per garantire il rispetto della disciplina europea di spending review, ma anche riversare allo Stato le somme risparmiate da dette riduzioni, con grave nocumento all'autonomia finanziaria degli stessi. [Tali previsioni si inseriscono nell'ambito della disciplina per il contenimento delle spese da parte delle amministrazioni pubbliche, adottata in dichiarato perseguimento degli obiettivi economici concordati in sede europea, e in particolare quelli pattuiti nel Trattato sulla stabilita', sul coordinamento e sulla governance dell'Unione economica e monetaria (cd. Fiscal compact), disciplina che si applica a Cassa geometri in virtu' dell'inserimento delle casse previdenziali privatizzate nell'elenco ISTAT delle amministrazioni pubbliche.] 43. Si tratta in entrambi i casi di obblighi di riversamento cui la Cassa geometri non avrebbe potuto sottrarsi. Come si e' ampiamente dedotto, i regimi normativi di cd. spending review applicabili alla Cassa a decorrere dall'anno 2014 (da un lato, quello recato dalla normativa generale in materia di contenimento della spesa, comprensivo del combinato disposto dell'art. 50, comma 3, decreto-legge n. 66/2014 e dell'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012 e, dall'altro, quello di cui all'art. 1, comma 417, cit.) comportavano obblighi di riversamento in favore del bilancio dello Stato: Cassa geometri non ha potuto scegliere se procedere o meno ai riversamenti; quel che essa ha potuto scegliere sono soltanto le modalita' attraverso cui procedere alle riduzioni di spesa e ai conseguenti riversamenti, se forfettarie in base all'art. 1, comma 417, cit. ovvero analitiche in base alla normativa generale degli enti pubblici non territoriali (si v. supra, § II.A.1). E' allora chiaro che rispetto all'art. 1, comma 417, cit. si ripropongono i medesimi vizi di illegittimita' costituzionale accertati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 7/2017 in relazione all'art. 8, comma 3, decreto-legge 95/2012 - nella parte in cui si prevede che le somme derivanti da riduzioni di spesa siano riversate annualmente dagli enti previdenziali privatizzati ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato - e tale conclusione e' ampiamente dimostrata dall'esame del percorso motivazionale di tale pronuncia. Pertanto, questa Corte ritiene non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417, della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui prescrive che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale disposizione siano versate annualmente dalla CIPAG ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato. H. Ritiene pertanto la Corte di dovere sollevare, in riferimento agli articoli 3, 38 e 97, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417, della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui prescrive che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale disposizione siano versate annualmente dalla CIPAG ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato. P.Q.M. La Corte dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417, della legge n. 147 del 2013 per contrasto con gli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione, nella parte in cui prescrive che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale disposizione siano versate annualmente dalla Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Dispone, inoltre, che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Roma, 20 marzo 2025 Il Presidente: Pinto