Reg. ord. n. 106 del 2025 pubbl. su G.U. del 11/06/2025 n. 24

Ordinanza del Corte d'appello di Roma  del 03/04/2025

Tra: Ministero dell'economia e delle finanze  C/ Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti



Oggetto:

Bilancio e contabilità pubblica – Previdenza – Raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica – Previsione che gli enti di cui al d.lgs n. 509 del 1994 e al d.lgs n. 103 del 1996, e in particolare la Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti (CIPAG), possono assolvere alle disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa dell'apparato amministrativo, effettuando un riversamento a favore dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 15 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010 – Denunciata disposizione che determina l’effetto distrattivo finale di riversare in favore dello Stato il risparmio di spesa di una cassa di previdenza – Disciplina che privilegia, attraverso il prelievo, esigenze di bilancio statale rispetto alla garanzia per gli iscritti alla CIPAG di vedere impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali – Conflitto con il principio di ragionevolezza – Lesione della garanzia previdenziale, vista la mancata tutela dei diritti degli iscritti alla suddetta Cassa – Lesione del principio di buon andamento della gestione amministrativa della medesima Cassa di previdenza – Incongrua scelta di sacrificare l’interesse istituzionale della CIPAG a un generico e macro-economicamente esiguo impiego nel bilancio statale – Violazione ulteriore del principio di ragionevolezza.

Norme impugnate:

legge  del 27/12/2013  Num. 147  Art. 1  Co. 417



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 38   Co.  

Costituzione  Art. 97   Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 02 aprile 2025

Ordinanza del 2  aprile  2025  della  Corte  d'appello  di  Roma  nel
procedimento civile promosso  dal  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze contro Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri
liberi professionisti. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Previdenza - Raggiungimento  degli
  obiettivi di finanza pubblica e del rispetto dei saldi  strutturali
  di finanza pubblica - Previsione che gli enti di cui al  d.lgs.  n.
  509 del 1994 e al d.lgs. n. 103 del 1996, e in particolare la Cassa
  italiana  di  previdenza   e   assistenza   dei   geometri   liberi
  professionisti (CIPAG), possono assolvere alle disposizioni vigenti
  in   materia   di   contenimento    della    spesa    dell'apparato
  amministrativo, effettuando un riversamento a  favore  dell'entrata
  del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun  anno,  pari
  al 15  per  cento  della  spesa  sostenuta  per  consumi  intermedi
  nell'anno 2010. 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione  del
  bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (Legge  di  stabilita'
  2014)), art. 1, comma 417. 


(GU n. 24 del 11-06-2025)

 
                      CORTE DI APPELLO DI ROMA 
                          Sezione I civile 
 
    Nel collegio composto da: 
        dott. Diego Pinto Presidente rel.; 
        dott. Elena Gelato consigliere; 
        dott. Maria Aversano consigliere, 
riunito in Camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza. 
    Nelle cause civili in grado di appello riunite iscritte al  Ruolo
generale  affari  contenziosi  al  numero   24/2021   e   214/21   in
deliberazione all'udienza del 26 febbraio 2025 tra: 
        Agenzia delle entrate (06363391001); 
        Ministero del lavoro e delle politiche sociali (80237250586); 
        Ministero dell'economia e delle finanze (80207790587); 
        Avvocatura generale dello Stato e 
        Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi
professionisti - CIPAG (80032590582); 
        Avv.ti Valerio Onida e Barbara Randazzo. 
 
                               Oggetto 
 
        Appello avverso la sentenza n. 8314/2020 emessa dal Tribunale
di Roma. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    1. Agenzia delle entrate, Ministero del lavoro e delle  politiche
sociali e Ministero delle finanze hanno proposto appello  avverso  la
sentenza in oggetto con la  quale  il  Tribunale  di  Roma  ha  cosi'
statuito: «1) rigetta la domanda proposta da  parte  attrice  in  via
principale; 2) accerta e dichiara che  non  rientrano  tra  le  spese
sostenute da parte attrice per  consumi  intermedi,  con  conseguente
esclusione dalla base imponibile da  assumere  ai  fini  del  calcolo
delle somme da riversare al  bilancio  dello  Stato  in  applicazione
dell'art. 1, comma 417, legge n.  147/2013,  le  seguenti  spese:  a)
spese sostenute dagli organi di amministrazione per recarsi presso la
sede istituzionale della Cassa; b) spese sostenute  per  accertamenti
sanitari  necessarie  per  il  funzionamento  delle  commissioni  per
l'accertamento della inabilita' e della  invalidita'  ai  fini  della
concessione  del  relativo  trattamento   pensionistico;   c)   spese
sostenute per le attivita' svolte  dalle  articolazioni  territoriali
della  Cassa,  in  forma  decentrata  per  lo  svolgimento  di   fini
istituzionali; d) spese sostenute per compenso  alla  societa'  Groma
s.r.l. limitatamente alle  spese  per  la  manutenzione  ordinaria  e
straordinaria  di  immobili  da  reddito;  e)  spese  sostenute   per
incarichi professionali e assicurazioni se relativi  ad  immobili  da
reddito; 3) compensa le spese del giudizio tra le parti.» 
    Anche la CIPAG-Cassa italiana di  previdenza  ed  assistenza  dei
geometri liberi professionisti ha proposto appello avverso la  stessa
sentenza. 
    In entrambi i giudizi gli appellati  hanno  chiesto  comunque  il
rigetto degli appelli proposti nei propri confronti. 
    Riuniti i procedimenti, precisate le conclusioni all'udienza  del
13 novembre 2024, la causa e' stata trattenuta  in  decisione  con  i
termini di cui all'art. 190 del codice di procedura civile. La  causa
e' stata rimessa sul ruolo, a causa del trasferimento del Consigliere
relatore ad altro ufficio intervenuto medio tempore. 
    All'udienza  del  22  gennaio  2025,  precisate   nuovamente   le
conclusioni, le parti hanno rinunziato ai termini di cui all'art. 190
c.p.c, ma hanno chiesto la discussione orale della causa ex art. 352,
secondo comma, codice di procedura civile previgente. 
    Dopo la discussione all'udienza sopra indicata, la causa e' stata
trattenuta quindi in decisione. 
    2. La vicenda processuale e' stata  riassunta  come  segue  nella
sentenza impugnata. 
        «Con  atto  di  citazione  ritualmente  notificato  la  Cassa
italiana   di   previdenza   e   assistenza   dei   geometri   liberi
professionisti (di seguito per brevita' Cassa) conveniva in giudizio,
dinanzi  a  questo  Tribunale,  i  convenuti  indicati  in  epigrafe,
chiedendo che fosse accertato il diritto della Cassa alla ripetizione
dei riversamenti dei  risparmi  di  spesa  per  i  consumi  intermedi
effettuati, per gli anni 2014, 2015 e 2016, al bilancio dello Stato a
norma dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013, in applicazione  del
principio di diritto sancito dalla sentenza  n.  7/2017  della  Corte
costituzionale, con condanna  delle  amministrazioni  convenute  alla
restituzione di quanto indebitamente percepito, per un  importo  pari
ad  euro  2.373.756,30,  oltre  rivalutazione  ed  interessi  e  "ove
occorra, rimettendo in via incidentale alla Corte costituzionale,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417 della
legge n. 147/2013 in relazione agli articoli 2, 3, 18, 3, 36, 38 e 97
della Costituzione. 
        Chiedeva,  in  subordine,  al  Tribunale   di   accertare   e
dichiarare che le spese sostenute dagli organi di amministrazione per
recarsi presso la sede  istituzionale  della  Cassa  e  altre  spese,
analiticamente indicate nell'atto introduttivo,  non  rientrando  tra
quelle per consumi intermedi, dovevano essere escluse dal  imponibile
posto a base del calcolo delle somme da riversare al  bilancio  dello
Stato  in  applicazione  dell'art.  1,  comma  417,  della  legge  di
Stabilita' 2014 (legge n. 147/2013). 
        A tal fine esponeva: - che la Cassa era un ente previdenziale
privatizzato ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509,
vigilato dal Ministero del lavoro e delle  politiche  sociali  e  dal
Ministero dell'economia e  delle  finanze;  -  che  la  medesima  era
presente nell'elenco delle  pubbliche  amministrazioni  inserite  nel
c.d. «conto economico dello Stato», come  individuate  dall'Istat  ex
art. 1, legge 30 dicembre 2009,  n.  196  (legge  di  contabilita'  e
finanza pubblica); - che gli enti  previdenziali  privatizzati  erano
stati assoggettati alle norme  di  «spending  review»,  ivi  compresa
quella di cui all'art. 8, comma 3,  decreto-legge  n.  95  del  2012,
norma che la Corte costituzionale, con sentenza dell'11 gennaio  2017
n. 7, aveva dichiarato incostituzionale nella parte in cui  prevedeva
che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste  fossero
versate annualmente ad apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio
dello Stato; - che con tale pronuncia la Corte  aveva  censurato,  in
via  di  principio,  la  scelta  del  legislatore   di   imporre   il
riversamento delle somme derivanti dal risparmio di spesa di tutte le
Casse privatizzate al bilancio  dello  Stato;  -  che  pertanto  tale
censura di incostituzionalita' aveva prodotto  conseguenze  caducanti
anche sulla norma di cui all'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013  in
base  alla  quale  la  Cassa,   su   richiesta   dell'Amministrazione
ministeriale, aveva provveduto a riversare al bilancio  dello  Stato,
con  riserva  di   ripetizione,   l'importo   complessivo   di   euro
2.373.756,30 per gli anni  2014,  2015  e  2016;  -  che  la  lettura
costituzionalmente orientata del richiamato art. 1, comma 417,  legge
n.  147/2013  doveva  indurre  a  ritenere  l'autonomia   gestionale,
organizzativa e contabile della Cassa attraverso il conseguimento  di
un obiettivo forfettizzato di  risparmio  (il  15%  della  spesa  per
consumi intermedi  sostenuta  nel  2010),  con  conseguente  liberta'
dell'ente previdenziale di potere  scegliere  le  voci  di  spesa  da
contenere, senza riversarli al bilancio dello Stato, impiegandoli per
il pagamento delle prestazioni previdenziali o comunque per garantire
gli equilibri economici-finanziari dell'ente stesso; -  che  in  ogni
caso  la   base   di   calcolo   dei   consumi   intermedi   indicata
dall'amministrazione convenuta, ai fini dei risparmi di spesa  e  dei
conseguenti riversamenti, era errata. 
        Si  costituivano  i  Ministeri  convenuti,  eccependo:  -  il
difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, in favore del Giudice
amministrativo; - il difetto di legittimazione passiva del  Ministero
del lavoro e delle politiche sociali e  dell'Agenzia  delle  entrate.
Nel merito contestavano la fondatezza della domanda, deducendo che: -
gli importi di cui si chiedeva la restituzione erano stati versati in
base ad una norma diversa da quella oggetto della sentenza n.  7/2017
della  Corte  costituzionale   che   aveva   comunque   operato   una
declaratoria di incostituzionalita' parziale  e  solo  nei  confronti
della Cassa nazionale di  previdenza  e  di  assistenza  dei  dottori
commercialisti; - che la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  1,  comma  417,  legge  n.  147/2013  era   manifestamente
infondata,  prevedendo  la  predetta  disposizione  un'alternativita'
nell'adempimento agli oneri di contenimento della spesa rimessa  alla
piena autonomia e alle scelte organizzative degli enti; - che in ogni
caso la pronuncia della Corte costituzionale non poteva travolgere la
validita' ed efficacia dei versamenti, gia'  effettuati  al  bilancio
dello Stato per gli anni 2014, 2015 e 2016, ormai definitivi. 
        In  ordine  alla  domanda  proposta   in   via   subordinata,
assumevano  che  la  determinazione  della  base  imponibile  su  cui
quantificare i riversamenti era  stata  rilevata  nel  corso  di  una
verifica amministrativo contabile effettuata «dai  Servizi  ispettivi
di finanza», che non era stata oggetto  di  impugnazione  dinanzi  al
giudice amministrativo e che comunque era conforme a quanto  indicato
nella normativa di riferimento. 
        Chiedevano quindi, in via pregiudiziale, che fosse dichiarato
il difetto di giurisdizione  del  Tribunale  ordinario  adito  e,  in
subordine, il rigetto nel merito delle domande.» 
    3. Con sentenza non definitiva in data odierna, questa  Corte  ha
respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione  ed  ha  accolto  le
eccezioni di difetto di  legittimazione  passiva  dell'Agenzia  delle
entrate e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali proposte
dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    4.  In  ordine  alla  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 417, della legge n. 147 del  2013,  per  contrasto
con gli articoli 2, 3, 1836, 38 e 97 della  Costituzione,  si  rileva
quanto segue. 
  A. La vicenda processuale  e'  stata  riassunta  come  segue  nella
sentenza impugnata. 
        «Con  atto  di  citazione  ritualmente  notificato  la  Cassa
italiana   di   previdenza   e   assistenza   dei   geometri   liberi
professionisti (di seguito per brevita' Cassa) conveniva in giudizio,
dinanzi  a  questo  Tribunale,  i  convenuti  indicati  in  epigrafe,
chiedendo che fosse accertato il diritto della Cassa alla ripetizione
dei riversamenti dei  risparmi  di  spesa  per  i  consumi  intermedi
effettuati, per gli anni 2014, 2015 e 2016, al bilancio dello Stato a
norma dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013, in applicazione  del
principio di diritto sancito dalla sentenza  n.  7/2017  della  Corte
costituzionale, con condanna  delle  amministrazioni  convenute  alla
restituzione di quanto indebitamente percepito, per un  importo  pari
ad  euro  2.373.756,30,  oltre  rivalutazione  ed  interessi  e  «ove
occorra, rimettendo in via incidentale alla Corte costituzionale,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417 della
legge n. 147/2013 in relazione agli articoli 2, 3, 18, 3, 36, 38 e 97
della Costituzione. 
        Chiedeva,  in  subordine,  al  Tribunale   di   accertare   e
dichiarare che le spese sostenute dagli organi di amministrazione per
recarsi presso la sede  istituzionale  della  Cassa  e  altre  spese,
analiticamente indicate nell'atto introduttivo,  non  rientrando  tra
quelle per consumi intermedi, dovevano essere escluse dall'imponibile
posto a base del calcolo delle somme da riversare al  bilancio  dello
Stato  in  applicazione  dell'art.  1,  comma  417,  della  legge  di
Stabilita' 2014 (legge n. 147/2013). 
        A tal fine esponeva: - che la Cassa era un ente previdenziale
privatizzato ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509,
vigilato dal Ministero del lavoro e delle  politiche  sociali  e  dal
Ministero dell'economia e  delle  finanze;  -  che  la  medesima  era
presente nell'elenco delle  pubbliche  amministrazioni  inserite  nel
c.d. «conto economico dello Stato», come  individuate  dall'Istat  ex
art. 1, legge 30 dicembre 2009,  n.  196  (legge  di  contabilita'  e
finanza pubblica); - che gli enti  previdenziali  privatizzati  erano
stati assoggettati alle norme  di  «spending  review»,  ivi  compresa
quella di cui all'art. 8, comma 3,  decreto-legge  n.  95  del  2012,
norma che la Corte costituzionale, con sentenza dell'11 gennaio  2017
n. 7, aveva dichiarato incostituzionale nella parte in cui  prevedeva
che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste  fossero
versate annualmente ad apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio
dello Stato; - che con tale pronuncia la Corte  aveva  censurato,  in
via  di  principio,  la  scelta  del  legislatore   di   imporre   il
riversamento delle somme derivanti dal risparmio di spesa di tutte le
Casse privatizzate al bilancio  dello  Stato;  -  che  pertanto  tale
censura di incostituzionalita' aveva prodotto  conseguenze  caducanti
anche sulla norma di cui all'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013  in
base  alla  quale  la  Cassa,   su   richiesta   dell'Amministrazione
ministeriale, aveva provveduto a riversare al bilancio  dello  Stato,
con  riserva  di   ripetizione,   l'importo   complessivo   di   euro
2.373.756,30 per gli anni  2014,  2015  e  2016;  -  che  la  lettura
costituzionalmente orientata del richiamato art. 1, comma 417,  legge
n.  147/2013  doveva  indurre  a  ritenere  l'autonomia   gestionale,
organizzativa e contabile della Cassa attraverso il conseguimento  di
un obiettivo forfettizzato di  risparmio  (il  15%  della  spesa  per
consumi intermedi  sostenuta  nel  2010),  con  conseguente  liberta'
dell'ente previdenziale di potere  scegliere  le  voci  di  spesa  da
contenere, senza riversarli al bilancio dello Stato, impiegandoli per
il pagamento delle prestazioni previdenziali o comunque per garantire
gli equilibri economici - finanziari dell'ente stesso; - che in  ogni
caso  la   base   di   calcolo   dei   consumi   intermedi   indicata
dall'amministrazione convenuta, ai fini dei risparmi di spesa  e  dei
conseguenti riversamenti, era errata. 
        Si  costituivano  i  Ministeri  convenuti,  eccependo:  -  il
difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, in favore del Giudice
amministrativo; - il difetto di legittimazione passiva del  Ministero
del lavoro e delle politiche sociali e  dell'Agenzia  delle  entrate.
Nel merito contestavano la fondatezza della domanda, deducendo che: -
gli importi di cui si chiedeva la restituzione erano stati versati in
base ad una norma diversa da quella oggetto della sentenza n.  7/2017
della  Corte  costituzionale   che   aveva   comunque   operato   una
declaratoria di incostituzionalita' parziale  e  solo  nei  confronti
della Cassa nazionale di  previdenza  e  di  assistenza  dei  dottori
commercialisti; - che la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  1,  comma  417,  legge  n.  147/2013  era   manifestamente
infondata,  prevedendo  la  predetta  disposizione  un'alternativita'
nell'adempimento agli oneri di contenimento della spesa rimessa  alla
piena autonomia e alle scelte organizzative degli enti; - che in ogni
caso la pronuncia della Corte costituzionale non poteva travolgere la
validita' ed efficacia dei versamenti, gia'  effettuati  al  bilancio
dello Stato per gli anni 2014, 2015 e 2016, ormai definitivi. 
        In  ordine  alla  domanda  proposta   in   via   subordinata,
assumevano  che  la  determinazione  della  base  imponibile  su  cui
quantificare i riversamenti era  stata  rilevata  nel  corso  di  una
verifica amministrativo contabile effettuata «dai  Servizi  ispettivi
di finanza», che non era stata oggetto  di  impugnazione  dinanzi  al
giudice amministrativo e che comunque era conforme a quanto  indicato
nella normativa di riferimento. 
        Chiedevano quindi, in via pregiudiziale, che fosse dichiarato
il difetto di giurisdizione  del  Tribunale  ordinario  adito  e,  in
subordine, il rigetto nel merito delle domande.» 
    B. Questa Corte ritiene rilevante e non manifestamente infondata,
in riferimento agli articoli  3,  38  e  97  della  Costituzione,  la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  417,
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (Legge  di
stabilita' 2014)», nella parte in cui prevede che le somme  derivanti
dalle riduzioni di spesa previste da tale disposizione siano  versate
annualmente dalla CIPAG ad apposito capitolo di entrata del  bilancio
dello Stato. 
    Tale disposizione prevede che «A  decorrere  dall'anno  2014,  ai
fini  del  raggiungimento  degli  obiettivi   di   finanza   pubblica
concordati in sede europea e del rispetto dei  saldi  strutturali  di
finanza pubblica, gli enti di cui al decreto  legislativo  30  giugno
1994, n. 509, e al decreto legislativo  10  febbraio  1996,  n.  103,
possono  assolvere  alle   disposizioni   vigenti   in   materia   di
contenimento della spesa dell'apparato amministrativo effettuando  un
riversamento a favore dell'entrata del bilancio dello Stato entro  il
30 giugno di ciascun anno, pari al 15 per cento della spesa sostenuta
per consumi intermedi nell'anno 2010. Per  detti  enti,  la  presente
disposizione sostituisce tutta la normativa  vigente  in  materia  di
contenimento  della  spesa  pubblica  che  prevede,   ai   fini   del
conseguimento dei risparmi di finanza  pubblica,  il  concorso  delle
amministrazioni di cui all'art. 1,  commi  2  e  3,  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, ferme restando, in ogni caso, le  disposizioni
vigenti che recano vincoli in materia di spese di personale». 
    C. La rilevanza della questione ai fini del decidere e' indubbia,
in quanto la decisione sulle domande ex art. 2033 del  codice  civile
proposte dalla CIPAG nel presente giudizio  di  appello  comporta  la
necessita' di fare applicazione della disposizione censurata. D'altra
parte,  non  e'  possibile  una  interpretazione   costituzionalmente
orientata della norma di rango primario, in considerazione della  sua
inequivoca portata sia sul piano  letterale,  sia  della  ratio,  sia
degli effetti, dovendosi sul punto condividere quanto gia'  affermato
dal Tribunale di Roma che aveva precisato: «Cio' posto, e' necessario
puntualizzare che la dichiarazione di incostituzionalita' della norma
ha inciso solo sul richiamato art. 8, comma 3  del  decreto-legge  n.
95/2012 (conv. con modif. dalla legge n. 135/2012). Ne  consegue  che
il Tribunale adito non puo' disapplicare una norma vigente sulla  cui
costituzionalita' la Corte costituzionale non si e' pronunciata. 
    Giova ricordare che ai sensi dell'art. 27, legge n. 87  del  1953
la Corte costituzionale, "quando accoglie una istanza  o  un  ricorso
relativo a questione di legittimita' costituzionale di una legge o di
un   atto   avente   forza   di   legge,   dichiara,    nei    limiti
dell'impugnazione,   quali   sono   le    disposizioni    legislative
illegittime". Tale principio  trova  deroga  nello  stesso  art.  27,
secondo cui  la  Corte  "dichiara,  altresi',  quali  sono  le  altre
disposizioni  legislative,  la   cui   illegittimita'   deriva   come
conseguenza    dalla    decisione     adottata".     L'illegittimita'
consequenziale colpisce  quindi  norme  legate  a  quella  dichiarata
incostituzionale in  quanto  attuative,  ripetitive  o  esecutive  di
quest'ultima. 
    In sostanza la disposizione di cui all'art. 27  citato  autorizza
la Corte alla dichiarazione della  cd  illegittimita'  conseguenziale
solo nel caso in cui altre disposizioni si trovino, rispetto a quella
oggetto del giudizio,  in  rapporto  di  inseparabilita'  assoluta  o
indissolubile correlazione. 
    Deve  quindi  escludersi  la   possibilita'   di   estendere   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale alle disposizioni che,
pure avendo in comune con il  contenuto  di  quella  che  ha  formato
oggetto del giudizio uno o  piu'  elementi  della  fattispecie  o  la
medesima ratio ispiratrice, regolino  tuttavia  fattispecie  diverse,
anche se simili o affini.» 
    D. Quanto alla non manifesta infondatezza, questa  Corte  ritiene
centrale e dirimente la sentenza della Corte costituzionale n. 7  del
2017, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  8,
comma 3, del decreto-legge  n.  95  del  2012,  in  riferimento  agli
articoli 3, 38 e 97 Cost.,  nella  parte  in  cui  tale  disposizione
prescriveva che le somme  derivanti  dalle  riduzioni  di  spesa  ivi
previste  fossero  versate  annualmente  dalla  Cassa  nazionale   di
previdenza e assistenza per  i  dottori  commercialisti  ad  apposito
capitolo di entrata del bilancio dello Stato. 
    Il Tribunale ha ritenuto la  questione  manifestamente  infondata
affermando che  «non  e'  ravvisabile  tra  l'art.  8,  comma  3  del
decreto-legge n. 95/2012 e l'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013  un
nesso  di  indissolubile  correlazione,   ne'   la   medesima   ratio
ispiratrice. 
    Nella prima sono state dettate le regole per la  riduzione  della
spesa degli enti pubblici non territoriali ed e'  stato  previsto  il
loro riversamento all'apposito  capitolo  dell'entrata  del  bilancio
dello Stato, nella seconda e'  stata  prevista  una  scelta,  rimessa
all'autonomia gestionale, organizzativa e contabile degli  enti,  tra
il rispetto di tutta la normativa vigente in materia di  contenimento
della spesa pubblica e il  riversamento  a  favore  dell'entrata  del
bilancio dello Stato di  un  importo  predeterminato  in  una  misura
forfettaria pari al 15 % della spesa sostenuta per consumi  intermedi
nell'anno 2010. 
    La scelta operata da parte  attrice  non  rappresenta  quindi  un
prelievo  strutturale  e  continuativo  imposto  alla  Cassa,  ma  il
risultato di una facolta' esercitata dallo stesso ente,  che  proprio
perche'  rimessa  alla  sua  autonomia  gestionale,  organizzativa  e
contabile, non altera gli equilibri finanziari della Cassa funzionali
alla garanzia delle  posizioni  previdenziali  degli  associati,  ne'
compromette l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale. 
    Del  resto,  la  stessa  pronuncia  della  Corte   costituzionale
richiamata da parte attrice non ha escluso la possibilita'  da  parte
del legislatore di disporre,  in  un  particolare  momento  di  crisi
economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che
si  autofinanziano  attraverso  i  contributi  dei  propri   iscritti
(eccezionalita' del prelievo che trova riscontro  nella  legislazione
successiva a quella in oggetto che, con l'art.  1,  comma  183  della
legge n.  205/2017,  ha  escluso  a  far  data  dall'anno  2020,  nei
confronti  degli  enti  previdenziali  privatizzati,   l'applicazione
dall'anno 2020 delle norme di contenimento  delle  spese  previste  a
carico degli altri soggetti inclusi nell'elenco delle amministrazioni
pubbliche  inserite  nel  conto  economico  consolidato,  individuate
dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'art. 1, comma  2,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ferme restando, in  ogni  caso,
le disposizioni vigenti che recano vincoli in materia di personale». 
    E. Viceversa, questa Corte di  appello  condivide  gli  argomenti
illustrati a sostegno delle censure  di  legittimita'  costituzionale
formulate dal Consiglio di Stato nell'ordinanza n. 208  del  2015  in
relazione all'art. 8, comma 3, del  decreto-legge  n.  95  del  2012.
Questa Corte ritiene infatti che i medesimi profili di illegittimita'
costituzionale investano anche l'art. 1, comma 417,  della  legge  n.
147 del 2013. 
    Nella sentenza n. 7  del  2017  della  Corte  costituzionale,  le
censure di illegittimita' formulate dal Consiglio di Stato sono state
cosi' sintetizzate: «Con ordinanza iscritta al n.  208  del  registro
ordinanze del 2015, il Consiglio di Stato ha sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge 6
luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'  misure  di
rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore  bancario),
convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135  -  con
particolare  riguardo  al  primo,  terzo  e  quarto   periodo   della
disposizione - per violazione degli articoli 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53
e 97 della Costituzione. 
    La questione trae origine dall'appello della Cassa  nazionale  di
previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti (CNPADC)
e da due iscritti alla Cassa in proprio, sigg. W.A. e R.G.,  proposto
contro la sentenza del Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  -
Roma n. 6103 del 18 giugno  2013,  che  aveva  rigettato  il  ricorso
avverso i provvedimenti applicativi dell'art. 8 cit. 
    La norma censurata impone alle Casse di  previdenza  privatizzate
di cui al decreto legislativo 30  giugno  1994,  n.  509  (Attuazione
della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre
1993, n. 537, in materia  di  trasformazione  in  persone  giuridiche
private di  enti  gestori  di  forme  obbligatorie  di  previdenza  e
assistenza), in  forza  della  loro  inclusione  nell'elenco  redatto
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi dell'art.  1,
comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196 (Legge di  contabilita'
e finanza pubblica), di adottare interventi di razionalizzazione  per
la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da  assicurare
risparmi corrispondenti al 5 per cento per il 2012 ed al 10 per cento
a partire dal 2013, nonche' di riversare annualmente  i  risparmi  di
spesa, cosi' conseguiti sui propri  consumi  intermedi,  al  bilancio
dello Stato. 
    In punto di rilevanza, osserva il Consiglio di Stato che gli atti
impugnati  sarebbero  applicativi   dell'art.   8,   comma   3,   del
decreto-legge n. 95 del 2012, per la parte in cui assoggettano  anche
la CNPADC al regime di  versamento  previsto  dalla  predetta  norma;
nella misura in cui determinano l'imposizione del versamento anche da
parte della Cassa appellante, troverebbero il loro diretto e completo
presupposto nella previsione normativa della cui costituzionalita' si
dubita  e,  dunque,  il  problema   della   loro   legittimita'   non
discenderebbe dalla  presenza  di  eventuali  vizi  di  legittimita',
bensi'  dalla  legittimita'  costituzionale   del   loro   fondamento
normativo. 
    Ne', secondo  il  rimettente,  la  questione  apparirebbe  ex  se
risolvibile affermando o negando la natura pubblicistica delle  Casse
di previdenza,  posto  che  il  legislatore  avrebbe  "legificato"  i
predetti elenchi e, pertanto, in assenza  di  specifiche  censure  di
illegittimita'  costituzionale  avverso  le  normative  che  a  detti
elenchi fanno rinvio, non ci si potrebbe che limitare a prendere atto
di tale scelta legislativa. 
    Secondo il Consiglio di Stato non sarebbe dirimente la  questione
della natura della personalita'  giuridica  (di  diritto  pubblico  o
privato) delle Casse di previdenza (ovvero della loro  assimilazione,
nominativamente  disposta,  alle   amministrazioni   pubbliche)   ma,
piuttosto, assumerebbe rilievo la provenienza, da  soggetti  privati,
della contribuzione destinata a costituire le risorse per  il  futuro
trattamento pensionistico agli iscritti  alla  Cassa  di  previdenza,
nonche'  il  fatto  che  la  disposizione  impugnata  non  incida  su
trasferimenti a carico  della  finanza  pubblica,  nella  specie  non
presenti, bensi'  imponga  un  prelievo  percentualmente  determinato
sulla misura dei c.d. consumi intermedi, che avrebbero  parimenti  la
loro fonte nelle  somme  percepite  dai  propri  iscritti  e  la  cui
disponibilita' dovrebbe essere  mantenuta  nella  piena  ed  autonoma
determinazione della Cassa medesima. 
    Tanto premesso, il Consiglio di Stato ritiene che l'art. 8, comma
3,  del  decreto-legge  n.  95  del  2012,  imponendo  un  versamento
obbligatorio in favore dello Stato di parte delle  somme  frutto  dei
contributi versati dagli iscritti, finirebbe con il  distrarre  dette
somme, in dotazione alla Cassa,  dalla  loro  causa  tipica  e  dalla
ragione, normativamente prevista, che ne legittima l'imposizione.  La
distrazione dal perseguimento delle  finalita'  che  sono  alla  base
dell'imposizione coattiva integrerebbe  la  violazione  dell'art.  23
Cost.,  in  quanto  il  potere  impositivo  attribuito   alle   Casse
previdenziali verso i propri iscritti sarebbe legato al perseguimento
delle predette finalita' e non potrebbe essere vanificato  destinando
parte delle risorse ad esigenze generali di finanza pubblica. 
    La disposizione impugnata violerebbe altresi' gli articoli 35, 36
e 38, comma 2, della  Costituzione,  poiche',  sottraendo  parte  dei
contributi alle Casse, il legislatore inciderebbe  sulla  misura  del
trattamento pensionistico, da  intendersi  anche  come  «retribuzione
differita»  e  contravverrebbe  all'esigenza  di   assicurare   mezzi
adeguati per le esigenze connesse alla vecchiaia del lavoratore; piu'
in generale,  inciderebbe  sulla  finalita'  di  tutela  del  lavoro,
costituzionalmente garantita. 
    Inoltre, l'art. 8, comma 3 cit., si porrebbe in conflitto con gli
articoli 2, 3 e 97 della Costituzione,  in  quanto  il  prelievo  ivi
previsto  inciderebbe,  in  modo  non  ragionevole,  sulla  autonomia
dell'ente, impedendo  al  medesimo  di  poter  disporre  delle  somme
derivanti da contribuzioni dei propri  iscritti,  per  destinarle  ad
esigenze   strumentali    alla    realizzazione    delle    finalita'
previdenziali. 
    Esso inciderebbe, altresi', sul principio di buon andamento delle
amministrazioni  pubbliche,  posto  che  non   realizzerebbe   alcuna
economicita' dell'azione amministrativa,  e  determinerebbe  altresi'
una distrazione di somme dalla loro finalita' tipica. 
    Infine, secondo il giudice a quo, la norma  impugnata  violerebbe
gli articoli 3 e 53 della Costituzione in quanto, dovendosi  ritenere
che  i  contributi  versati  dagli  iscritti  siano  assimilabili  ai
tributi, il prelievo corrispondente al versamento imposto alla Cassa,
stabilito in una  percentuale  fissa  in  relazione  alla  spesa  per
consumi intermedi dell'anno 2010, non terrebbe in considerazione  ne'
la capacita' contributiva del soggetto, ne' qualsivoglia criterio  di
progressivita', in cio' determinando altresi' sia una  disparita'  di
trattamento tra soggetti destinatari di una medesima  percentuale  di
esazione,   indipendentemente   dalla   loro   soggettiva   capacita'
contributiva, sia una palese irragionevolezza della previsione.» 
    F. La non manifesta infondatezza della questione in esame  appare
ancor  piu'  evidente  proprio  alla  luce  della  motivazione  della
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma  3,
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95. 
    Nella sentenza n. 7 del 2017, la Corte costituzionale ha  infatti
affermato: 
        «2.- Ai fini della presente decisione sono necessarie  alcune
premesse. 
        L'elenco  delle  amministrazioni  pubbliche  appartenenti  al
conto economico consolidato previsto  dall'art.  1,  comma  3,  della
legge n. 196 del 2009 - come modificato  dal  decreto-legge  2  marzo
2012, n. 16  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  semplificazioni
tributarie, di efficientamento e  potenziamento  delle  procedure  di
accertamento), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,  comma  1,
della legge 26 aprile 2012, n. 44 - e' stato istituito in  attuazione
di precisi obblighi comunitari sulla base di norme classificatorie  e
definitorie proprie del sistema statistico nazionale ed  europeo,  ai
sensi del regolamento CE n. 2223/96 del Consiglio del 25 giugno  1996
modificato dal regolamento UE 549/2013 relativo al  «Sistema  europeo
dei Conti nazionali e regionali  nell'Unione  Europea»  (SEC2010).  I
criteri  utilizzati   per   la   classificazione   sono   di   natura
statistico-economica. Tale regolamento e' servente  alla  definizione
delle politiche dell'Unione europea ed al monitoraggio delle economie
degli Stati membri e dell'Unione economica e monetaria (UEM), i quali
«richiedono informazioni comparabili, aggiornate e  affidabili  sulla
struttura dell'economia e l'evoluzione della situazione economica  di
ogni Stato membro o regione» (considerando n. 1 del regolamento UE n.
549/2013). 
        La commissione utilizza gli aggregati dei conti  nazionali  e
regionali,  raccolti  attraverso  tali  informazioni,  per   i   fini
amministrativi dell'Unione  e,  in  particolare,  per  i  calcoli  di
bilancio. Dunque, il sistema  europeo  dei  conti,  disciplinato  dai
richiamati  regolamenti,  prevede  una  metodologia  finalizzata   al
monitoraggio della convergenza economica ed al conseguimento  di  uno
stretto coordinamento delle politiche finanziarie europee. 
        La CNPADC e' classificata, secondo l'allegato A  (Capitolo  2
«Unita'  e  insiemi  di  unita'»  -   I   settori   istituzionali   -
amministrazioni pubbliche S.13) del regolamento UE n.  549/2013,  nel
sottosettore S.1314, afferente agli «Enti di previdenza e  assistenza
sociale»  (2.117),  il  quale  «comprende  le  unita'   istituzionali
centrali, di Stati federati e locali,  la  cui  attivita'  principale
consiste nell'erogare prestazioni sociali che rispondono ai  seguenti
due criteri: a) in forza di disposizioni legislative o  regolamentari
determinati gruppi della popolazione sono  tenuti  a  partecipare  al
regime o a versare contributi; b) le amministrazioni  pubbliche  sono
responsabili della gestione dell'istituzione per quanto  riguarda  la
fissazione o l'approvazione dei contributi  e  delle  prestazioni,  a
prescindere dal loro ruolo di organismo di sorveglianza o  di  datore
di lavoro». 
        Nell'ambito  delle  procedure  di   convergenza   verso   gli
obiettivi europei di contenimento della spesa pubblica, l'inserimento
in  tale  elenco  ha   comportato   per   l'ente   previdenziale   la
sottoposizione  ai  pertinenti  vincoli  di  riduzione  della  spesa.
Tuttavia, a differenza della maggior parte degli enti pubblici e  dei
soggetti inseriti nell'elenco, la CNPADC non  gode  di  finanziamenti
pubblici che - anzi - sono vietati dalla legge istitutiva: «Gli  enti
trasformati  continuano  a  svolgere  le  attivita'  previdenziali  e
assistenziali in  atto  riconosciute  a  favore  delle  categorie  di
lavoratori e professionisti per le quali sono  stati  originariamente
istituiti, ferma restando la obbligatorieta' della iscrizione e della
contribuzione. Agli enti stessi  non  sono  consentiti  finanziamenti
pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli  connessi  con
gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali» (art.  1,  comma
3, decreto legislativo n. 509 del 1994). 
        E' altresi'  utile  un'ulteriore  premessa  circa  la  natura
giuridica della CNPADC e la sua sostanziale  irrilevanza  nell'ambito
del thema decidendum. 
        La trasformazione della Cassa operata dal decreto legislativo
n. 509 del 1994, pur avendo inciso sulla forma giuridica dell'ente  e
sulle modalita' organizzative delle sue funzioni, non  ha  modificato
il carattere pubblicistico dell'attivita' istituzionale di previdenza
ed assistenza,  che  mantiene  non  solo  una  funzione  strettamente
correlata all'interesse  pubblico  di  assicurare  dette  prestazioni
sociali a particolari categorie di lavoratori, ma acquisisce un ruolo
rilevante in ambito europeo attraverso l'inclusione delle  risultanze
del relativo bilancio nel calcolo del  prodotto  nazionale  lordo  ai
prezzi  di  mercato  (PNLpm),  mediante   le   uniformi   regole   di
contabilizzazione del sistema europeo dei conti economici  integrati.
Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che «dal  quadro
cosi' tracciato [dalla riforma] emerge che la suddetta trasformazione
ha  lasciato  immutato  il  carattere  pubblicistico   dell'attivita'
istituzionale  di  previdenza  ed  assistenza  svolta   dagli   enti,
articolandosi  invece  sul  diverso  piano  di  una  modifica   degli
strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei
soggetti stessi: l'obbligo contributivo  costituisce  un  corollario,
appunto,   della   rilevanza   pubblicistica   dell'inalterato   fine
previdenziale.  L'esclusione  di  un  intervento   a   carico   della
solidarieta' generale consegue alla stessa scelta di trasformare  gli
enti, in quanto implicita nella premessa che  nega  il  finanziamento
pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario»  (sentenza
n. 248 del 1997). 
    3.-   Tanto    premesso,    l'eccezione    di    inammissibilita'
dell'Avvocatura dello Stato, argomentata  in  ragione  della  mancata
considerazione della iscrizione nell'elenco ISTAT e delle conseguenze
che  ne  deriverebbero  automaticamente  in  punto  di  debenza   del
prelievo, non puo' essere accolta. 
        Secondo la difesa dello Stato, il fatto  che  la  CNPADC  sia
stata individuata dalla legge  quale  componente  dell'elenco  ISTAT,
nonche'  risulti  destinataria  delle  disposizioni  in  materia   di
contenimento  della  spesa  pubblica,   costituirebbe   indefettibile
presupposto per la soggezione  dell'ente  previdenziale  all'art.  8,
comma 3, del decreto-legge n. 95 del  2012  e,  conseguentemente,  il
giudice rimettente avrebbe compiuto una sorta di aberratio ictus, nel
censurare la legge che prevede il  prelievo  ai  danni  della  CNPADC
stessa anziche' l'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009,  come
modificato dal decreto-legge n. 16 del 2012, il quale, includendo  il
predetto   ente   nell'elenco   ISTAT,   comporterebbe   l'automatica
applicazione del prelievo a favore dell'Erario. 
        Nella prospettazione del giudice  rimettente,  al  contrario,
non  e'  contestata  la  legittimita'  dell'inclusione  della  CNPADC
nell'elenco delle amministrazioni ISTAT  e  neppure  la  legittimita'
della prima parte della disposizione, laddove vengono  dettate  norme
finalizzate alla riduzione della spesa per consumi intermedi. 
        Infatti, se da  un  lato  egli  menziona  l'intero  comma  3,
compresa la parte riferita agli enti che non  ricevono  trasferimenti
dal bilancio dello Stato e la prescrizione afferente ad interventi di
razionalizzazione della spesa, dall'altro chiarisce che la  questione
riguarda  «gli  atti  impugnati,  nella  misura  in  cui  determinano
l'imposizione del versamento anche da parte della  Cassa  appellante,
trovan[d]o il loro diretto e completo  presupposto  nella  previsione
normativa della  cui  costituzionalita'  si  dubita,  e,  dunque,  il
problema della loro legittimita' (in parte qua)  non  discende  dalla
presenza di eventuali vizi di legittimita', bensi' dalla legittimita'
costituzionale del loro fondamento normativo». 
        Pertanto,  l'eccezione  d'inammissibilita'  non  puo'  essere
accolta, dal momento  che  l'ordinanza  di  rimessione  si  limita  a
dubitare della legittimita' costituzionale del prelievo  operato  dal
legislatore statale nei confronti della CNPADC, tema che  costituisce
l'oggetto del presente giudizio. 
    4.-   Venendo   al   merito,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento agli  articoli  3,  38  e  97
della Costituzione  con  riguardo  alla  sola  prescrizione  inerente
all'imposizione del versamento annuale nelle casse  dello  Stato,  e'
fondata. 
        Per quanto  di  seguito  meglio  specificato,  la  scelta  di
privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del  bilancio  statale
rispetto alla garanzia, per  gli  iscritti  alla  CNPADC,  di  vedere
impiegato  il  risparmio  di  spesa  corrente  per   le   prestazioni
previdenziali non e' conforme ne' al canone della ragionevolezza, ne'
alla  tutela  dei  diritti  degli  iscritti  alla  Cassa,   garantita
dall'art. 38 della Costituzione, ne' al buon andamento della gestione
amministrativa della medesima. 
    4.1.- Sotto il  profilo  della  ragionevolezza,  l'art.  3  della
Costituzione risulta violato per l'incongrua  scelta  di  sacrificare
l'interesse   istituzionale   della   CNPADC   ad   un   generico   e
macroeconomicamente esiguo impiego nel bilancio statale. 
        L'esame del contesto legislativo rivela come la  disposizione
censurata operi in deroga all'ordinario  regime  di  autonomia  della
Cassa, in parte alterando il vincolo funzionale tra contributi  degli
iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali. 
        Prescindendo dall'indagine sulla  natura  del  contributo,  e
tenuto  conto  che  le  politiche  statali  possono,  in  particolari
contingenze, incidere anche sull'autonomia  finanziaria  di  un  ente
pubblico, nel caso in esame la compressione di un principio  di  sana
gestione finanziaria, come quello inerente alla  natura  mutualistica
degli enti privatizzati di cui all'art. 1 del decreto legislativo  n.
509 del 1994, non risulta proporzionato all'alternativa di assicurare
un prelievo generico  a  favore  del  bilancio  dello  Stato.  Mentre
l'interesse della CNPADC e' specificamente riferibile  alla  missione
istituzionale di gestire  ed  assicurare  nel  tempo  le  prestazioni
previdenziali agli associati, quello dello Stato e' -  per  obiettiva
conformazione della norma  impugnata  -  circoscritto  alla  generica
copertura del complesso della spesa.  Nella  ponderazione  delle  due
finalita' non appare ragionevole il sacrificio - a  beneficio  di  un
generico interesse  dello  Stato  ad  arricchire,  in  modo  peraltro
marginale, le proprie dotazioni di entrata - di quella della  CNPADC,
che e'  collegata  intrinsecamente  alla  necessaria  autosufficienza
della gestione pensionistica. 
        In particolare, con riguardo al bilanciamento tra le esigenze
istituzionali della Cassa e quelle del  bilancio  statale,  non  puo'
essere  condiviso  l'assunto  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato
secondo cui l'interesse dell'ente  previdenziale  a  mantenere  parte
delle risorse acquisite attraverso la  contribuzione  degli  iscritti
sarebbe recessivo rispetto all'esigenza di  prelevare  dette  risorse
«per garantire il rispetto del principio  del  pareggio  di  bilancio
sancito dall'art. 81 della Costituzione anche alla luce degli impegni
assunti dal nostro Paese con le autorita' europee». 
        La   difesa   statale   desume   un'arbitraria   correlazione
eziologica tra l'art. 1, comma 2, della legge n.  196  del  2009,  la
prima parte dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95  del  2012,
non contestata  dal  giudice  rimettente,  e  la  seconda  parte  del
medesimo comma 3 dell'art. 8: l'iscrizione  nell'elenco  ISTAT  della
CNPADC non comporterebbe soltanto la considerazione  di  quest'ultima
nel complesso macroeconomico della  finanza  pubblica  da  coordinare
attraverso l'imposizione di economie della spesa per beni  intermedi,
ma anche il prelievo di tali economie a  beneficio  dello  Stato.  Al
contrario, come gia' premesso, tale rapporto  di  causalita'  tra  le
citate disposizioni non sussiste. E' di tutta evidenza che  la  prima
parte della  norma  impugnata  provvede  in  modo  costituzionalmente
legittimo ad assicurare - attraverso il risparmio e  l'accantonamento
della  percentuale  di  spesa  pertinente  a  ciascuno  dei  soggetti
rientranti nel  sistema  europeo  dei  conti  nazionali  e  regionali
dell'Unione  europea-SEC  2010  -  il  coordinamento  della   finanza
pubblica allargata per il raggiungimento degli  obiettivi  concordati
in sede europea, mentre la seconda parte introduce un finanziamento a
favore dell'Erario. 
        Pertanto, e' la  sola  disposizione  dell'art.  8,  comma  3,
impugnata dal rimettente a porre in essere un prelievo  indebito  nei
confronti  della  CNPADC  -  il  quale  determina,  nella  situazione
economico-patrimoniale della destinataria, una minusvalenza correlata
ad una speculare plusvalenza a favore  del  bilancio  dello  Stato  -
mentre quella che impone la riduzione degli oneri per beni intermedi,
oltre al coordinamento finalizzato al rispetto dei  vincoli  europei,
costituisce di per se' anche un  meccanismo  idoneo  a  rendere  piu'
efficiente la gestione pensionistica nella misura in  cui  riduce  le
spese correnti della Cassa, indirizzando il risparmio  alla  naturale
destinazione delle prestazioni previdenziali. 
        A parte il fatto che nella manovra  di  finanza  pubblica  il
contestato prelievo assume valore neutro, dal momento  che  il  saldo
complessivo  delle  risorse  disponibili  nel  consolidato   pubblico
risulta invariato, tale prelievo costituisce una scelta autonoma  del
legislatore statale (consistente nel trasferimento di  risorse  della
CNPADC al proprio  bilancio),  del  tutto  distinta  dall'adempimento
degli obblighi di riduzione della spesa concordati in sede europea. 
        Se,  in  astratto,   non   puo'   essere   disconosciuta   la
possibilita' per lo Stato di disporre, in un particolare  momento  di
crisi economica, un prelievo eccezionale anche  nei  confronti  degli
enti che  -  come  la  CNPADC  -  sostanzialmente  si  autofinanziano
attraverso i contributi dei propri iscritti, non e' invece conforme a
Costituzione articolare la norma nel senso di un prelievo strutturale
e continuativo nei riguardi di un  ente  caratterizzato  da  funzioni
previdenziali  e  assistenziali  sottoposte   al   rigido   principio
dell'equilibrio tra risorse  versate  dagli  iscritti  e  prestazioni
rese. 
        Alla luce di tali considerazioni risultano capovolte anche le
argomentazioni  dell'Avvocatura   dello   Stato,   secondo   cui   la
fattispecie normativa in esame sarebbe  il  portato  di  un'«adeguata
ponderazione» delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica  di
cui  all'art.  81  della  Costituzione  con  «gli   altri   parametri
costituzionali richiamati dal Consiglio di Stato [...]  nel  rispetto
dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza [...] in  relazione
alla pari necessita' di rispetto dell'art. 81 della  Costituzione  ed
alla luce della necessita' di  individuare  un  punto  di  equilibrio
dinamico e non prefissato  in  anticipo  tra  tutti  i  vari  diritti
tutelati dalla Carta costituzionale». 
        Una  valutazione  in  termini  di   proporzionalita'   e   di
adeguatezza  tra  i  dialettici  interessi  in  gioco   puo'   essere
realizzata solo all'interno  del  quadro  legislativo  della  materia
«secondo  determinazioni  discrezionali  del  legislatore,  le  quali
devono essere basate sul ragionevole bilanciamento del complesso  dei
valori e degli  interessi  costituzionali  coinvolti  nell'attuazione
graduale di quei principi, compresi quelli connessi alla  concreta  e
attuale  disponibilita'  delle  risorse  finanziarie  e   dei   mezzi
necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa»  (sentenza  n.
119 del 1991). Infatti, se il costante orientamento di  questa  Corte
e' nel senso che il legislatore conserva piena liberta' di scelta tra
sistemi previdenziali di tipo  mutualistico  -  caratterizzati  dalla
corrispondenza  fra  rischio  e  contribuzione  e  da  una   rigorosa
proporzionalita' fra  contributi  e  prestazioni  previdenziali  -  e
sistemi  di  tipo  solidaristico   -   caratterizzati,   di   regola,
dall'irrilevanza della proporzionalita' tra contributi e  prestazioni
previdenziali - una volta scelta con chiarezza  la  prima  delle  due
opzioni, il bilanciamento degli  interessi  in  gioco  deve  avvenire
tenendo  conto  della  soluzione  normativa  prevista   dal   decreto
legislativo n. 509 del 1994. 
        Nel caso in esame, quest'ultima e' nel  senso  di  realizzare
modalita' di finanziamento del  sistema  pensionistico  della  CNPADC
attraverso la capitalizzazione  dei  contributi  versati  da  ciascun
lavoratore prima della quiescenza. Tali contributi sono gestiti dalla
Cassa attraverso  criteri  di  autonomia  delineati  dal  legislatore
secondo accantonamenti a basso rischio,  cosicche',  al  momento  del
pensionamento,   ogni   lavoratore   ritira   il   proprio   montante
contributivo, cioe' quanto versato sino alla  quiescenza,  maggiorato
dai cosiddetti  coefficienti  di  trasformazione.  Questa  scelta  si
contrappone al sistema dell'Istituto nazionale di  previdenza  per  i
dipendenti  dell'amministrazione  pubblica  (INPDAP),  ora  confluito
nell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nel quale il
pagamento delle pensioni viene effettuato  utilizzando  i  contributi
correntemente versati dai  lavoratori  in  servizio  e  dai  relativi
datori di lavoro, senza che  si  effettui  alcun  accantonamento  dei
contributi stessi. 
        Negli anni '90 il legislatore italiano ha ritenuto che i  due
sistemi   potessero   coesistere   in   ragione   delle    specifiche
peculiarita'. Risulta, quindi,  evidente  come  in  quello  in  esame
esista  un  collegamento  chiaro  ed  indefettibile  fra  volume  dei
contributi versati e  livello  delle  prestazioni  rese,  legame  che
comporta un forte richiamo alla responsabilita'  del  gestore,  dalla
cui buona amministrazione dipende in sostanza il mantenimento  di  un
sistema che non puo' altrimenti finanziarsi. 
        In definitiva, se in Costituzione non  esiste  un  vincolo  a
realizzare un assetto organizzativo  autonomo  basato  sul  principio
mutualistico, occorre tuttavia evidenziare che, una volta scelta tale
soluzione, il  relativo  assetto  organizzativo  e  finanziario  deve
essere preservato in modo coerente con l'assunto dell'autosufficienza
economica,  dell'equilibrio  della  gestione   e   del   vincolo   di
destinazione tra contributi e prestazioni. 
    4.2.- Sotto il profilo del buon  andamento  di  cui  all'art.  97
Cost., non puo' essere ignorato che la riforma della CNPADC, avvenuta
in attuazione del portato normativo del decreto  legislativo  n.  509
del  1994,  e'  ispirata  dall'esigenza  di  percorrere  una   strada
alternativa   di   tipo   mutualistico   rispetto   alla    soluzione
«generalista» della previdenza dei dipendenti pubblici  rappresentata
dal sistema INPDAP, ora accorpato all'INPS. 
    Tale   alternativa   consiste   sostanzialmente    nell'autonomia
finanziaria comportante l'assoluto divieto di contribuzione da  parte
dello Stato, nonche' la ricerca di equilibri  di  lungo  periodo  sul
piano previdenziale, finanziario ed economico. 
    In definitiva, si tratta di un sistema progettato  e  finalizzato
all'equilibrio di lungo periodo di cui e' connotato  sintomatico  «la
previsione  di  una  riserva  legale,  al  fine  di   assicurare   la
continuita'  nell'erogazione  delle  prestazioni,   in   misura   non
inferiore a cinque annualita' dell'importo delle pensioni in  essere.
Ferme restando le riserve tecniche esistenti alla data di entrata  in
vigore del presente decreto, all'eventuale  adeguamento  di  esse  si
provvede, nella fase di prima applicazione,  mediante  accantonamenti
pari ad una annualita' per ogni biennio» (art. 1, comma 4, lettera c,
della legge n. 509 del 1994). 
    In tale contesto, le spese di gestione della CNPADC devono essere
ispirate  alla  logica  del  massimo  contenimento  e  della  massima
efficienza, dal  momento  che  il  finanziamento  di  tale  attivita'
strumentale grava sulle contribuzioni degli iscritti, cosicche'  ogni
spesa eccedente al necessario finisce per incidere negativamente  sul
sinallagma macroeconomico tra contribuzioni e prestazioni. 
    Secondo tale prospettiva - come gia'  rilevato  -  le  misure  di
contenimento della spesa per i beni intermedi stabilite dall'art.  8,
comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012  sono  utili  non  solo  ad
assicurare pro quota la partecipazione della Cassa al  raggiungimento
degli obiettivi  di  finanza  pubblica,  ma  anche  a  preservare  da
un'eccessiva espansione della spesa corrente una parte delle  risorse
naturalmente destinate alle prestazioni previdenziali, salvaguardando
il buon andamento  dell'ente  in  conformita'  agli  obiettivi  della
riforma del 1994. 
    Se la prima parte  dell'art.  1,  comma  3,  appare,  dunque,  un
efficace  strumento  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  la
seconda parte - nel destinare detto risparmio  all'Erario  -  collide
anche con l'art. 97 della Costituzione, in quanto sottrae alla CNPADC
risorse intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti.  E,
nel caso di specie, non e' tanto l'entita' del  prelievo  -  peraltro
esiguo in rapporto alla dimensione delle  entrate  dello  Stato  -  a
determinare la non  conformita'  a  Costituzione,  quanto  l'astratta
configurazione  della  norma,   che   aggredisce,   sotto   l'aspetto
strutturale,  la  correlazione  contributi-prestazioni,   nell'ambito
della quale si  articola  «la  naturale  missione»  della  CNPADC  di
preservare l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale. 
    4.3.-  Con  riguardo   alla   violazione   dell'art.   38   della
Costituzione,    non    sono    condivisibili    le    argomentazioni
dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui il prelievo  non  colpirebbe
le situazioni previdenziali degli  iscritti,  ma  si  limiterebbe  ad
incidere sul bilancio della Cassa. 
        Occorre a tal proposito ricordare che  -  per  effetto  della
riforma del 1994 - le posizioni  previdenziali  degli  iscritti  sono
collettivamente e singolarmente condizionate dalla regola per cui  la
prestazione  deve  essere  resa  solo  attraverso  la   contribuzione
capitalizzata del  destinatario  e  non  attraverso  l'impiego  delle
contribuzioni versate dagli altri iscritti  in  attivita'.  Cio'  con
assoluta esclusione - a  differenza  della  previdenza  dei  pubblici
dipendenti - di qualsiasi contribuzione  a  carico  dello  Stato  nel
momento in cui  il  flusso  finanziario  proveniente  dai  versamenti
contributivi non risulti sufficiente al pagamento  delle  prestazioni
dovute. 
        In sostanza, in un sistema ispirato  -  pur  nell'ambito  del
meccanismo contributivo - alla capitalizzazione dei contributi  degli
iscritti, l'ingerenza del prelievo statale rischia di  minare  quegli
equilibri che costituiscono  elemento  indefettibile  dell'esperienza
previdenziale autonoma. Questa Corte ha affermato che  la  scelta  di
dotare  le  Casse  di  previdenza  di  un  sistema  di   solidarieta'
endocategoriale basato sulla comunanza di interessi degli iscritti  -
cosicche' ciascuno di essi concorre  con  il  proprio  contributo  al
costo delle erogazioni delle quali si giova l'intera categoria - e di
vincolare  in  tal  senso  la  contribuzione   di   detti   soggetti,
costituisce soluzione del tutto ragionevole  e  idonea  a  «prevenire
situazioni di crisi finanziaria e dunque  di  garantire  l'erogazione
delle prestazioni [. E'] stato cosi' sancito il vincolo d'una riserva
legale a copertura per almeno cinque anni delle  pensioni  in  essere
(art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del  1994)  e,  piu'
recentemente in sede di riforma del sistema  pensionistico  generale,
e' stata  prevista  l'obbligatorieta'  della  predisposizione  di  un
bilancio tecnico  attuariale  per  un  arco  previsionale  di  almeno
quindici anni (art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335)».
Pertanto, «[l]a solidarieta' endocategoriale che il legislatore si e'
preoccupato di non far venire improvvisamente meno»,  e'  finalizzata
ad  «assicurare  l'idonea   provvista   di   mezzi:   considerazione,
quest'ultima, tanto piu' valida ora, in  un  sistema  dichiaratamente
autofinanziato», in  cui  «tale  previsione  "assicura  lo  strumento
meglio idoneo all'attuazione  di  finalita'  schiettamente  pubbliche
[...]".  Tanto  puo'  affermarsi  anche  con  riguardo   agli   scopi
previdenziali perseguiti [dalle  Casse  previdenziali  autonome]  nel
quadro della gia' richiamata solidarieta' interna ai  professionisti,
a vantaggio  dei  quali  l'ente  e'  stato  istituito:  la  comunanza
d'interessi degli iscritti comporta che ciascuno di essi concorra con
il proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si  giova
l'intera categoria, di talche'  il  vincolo  puo'  dirsi  presupposto
prima ancora che imposto» (sentenza n. 248 del 1997). 
        Considerate  le  complesse  problematiche  alla  base   della
deficienza  strutturale  dei  meccanismi   di   finanziamento   della
previdenza dei dipendenti pubblici, l'alternativo sistema, voluto dal
legislatore per gli enti privatizzati in un periodo ormai  risalente,
merita di essere preservato da  meccanismi  -  quali  il  prelievo  a
regime in esame - in grado di scalfirne gli  assunti  di  base.  Cio'
anche in  considerazione  del  fatto  che  detti  assunti  ne  hanno,
comunque,  garantito  la  sopravvivenza  senza  interventi  di  parte
pubblica per un ragguardevole periodo di tempo. In proposito non puo'
essere sottovalutato come la tutela degli equilibri finanziari  della
CNPADC sia intrinsecamente funzionale alla garanzia  delle  posizioni
previdenziali degli associati, a sua volta riconducibile all'art.  38
della Costituzione. 
    5.-  In  definitiva,  subordinare   le   esigenze   di   coerenza
dell'ordinamento previdenziale, disegnato dal decreto legislativo  n.
509 del 1994 in senso  mutualistico  e  successivamente  perfezionato
attraverso l'applicazione del sistema contributivo, ad un  meccanismo
di  prelievo  di  importo  marginale  (anche  per  il  carattere   di
neutralita' finanziaria nell'ambito della  manovra  complessiva)  non
risulta coerente ne' in grado di superare i  test  di  ragionevolezza
precedentemente richiamati. 
        Infatti,  proprio  una   ponderazione   delle   esigenze   di
equilibrio della finanza  pubblica  tende  inevitabilmente  verso  la
soluzione di non alterare la regola secondo cui  i  contributi  degli
iscritti  alla  CNPADC  devono  assicurarne  l'autosufficienza  della
gestione e la resa delle future prestazioni, in presenza di un chiaro
divieto normativo all'intervento riequilibratore dello Stato. 
        Per quanto considerato, l'art. 8, comma 3, del  decreto-legge
n. 95 del 2012 deve essere dichiarato costituzionalmente  illegittimo
in riferimento agli articoli 3, 38  e  97  della  Costituzione  nella
parte in cui prescrive che le  somme  derivanti  dalle  riduzioni  di
spesa previste da tale norma siano versate annualmente  dalla  CNPADC
ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato. 
    G. Nel caso all'esame di questa Corte di appello,  il  dubbio  di
legittimita' costituzionale investe l'art. 1, comma 417, della  legge
n. 147 del 2013, che ha la  medesima  ratio  della  norma  dichiarata
costituzionalmente  illegittima  e  determina  il  medesimo   effetto
distrattivo finale di riversare in favore dello Stato il risparmio di
spesa di una Cassa di previdenza, sicche'  le  medesime  ragioni  che
hanno indotto la Corte costituzionale a  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012,
n. 95, devono intendersi poste alla base della presente ordinanza  di
rimessione. 
        Al  riguardo,  questa  Corte  condivide  e  fa   proprie   le
argomentazioni svolte  dalla  CIPCAG,  la'  dove  ha  osservato  che:
«l'art. 1, comma 417, legge n.  147/2013  introduce  un  "meccanismo"
analogo a quello previsto dall'art.  8,  comma  3,  decreto-legge  n.
95/2012, che stabilisce un obbligo di riversamento al bilancio  dello
Stato di somme commisurate a una quota percentuale  delle  spese  per
'consumi intermedi' relative all'anno 2010, e la  cui  disciplina  si
differenzia dalla precedente solo per la maggiore entita' delle somme
da  riversare  e  per  la  sua  alternativita'  rispetto  alle  altre
disposizioni contenenti obblighi connessi alla cd. spending review. 
        42. Sia l'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 che l'art.  8,
comma 3, decreto-legge n. 95/2012, infatti,  al  fine  di  assicurare
un'entrata ulteriore al bilancio dello Stato, prevedono che anche gli
enti previdenziali privatizzati  debbano,  non  solo  procedere  alle
riduzioni  di  spesa  necessarie  per  garantire  il  rispetto  della
disciplina europea di spending review, ma anche riversare allo  Stato
le  somme  risparmiate  da  dette  riduzioni,  con  grave   nocumento
all'autonomia  finanziaria  degli   stessi.   [Tali   previsioni   si
inseriscono nell'ambito della disciplina per  il  contenimento  delle
spese  da  parte  delle  amministrazioni   pubbliche,   adottata   in
dichiarato perseguimento degli obiettivi economici concordati in sede
europea,  e  in  particolare  quelli  pattuiti  nel  Trattato   sulla
stabilita',  sul  coordinamento  e   sulla   governance   dell'Unione
economica e monetaria (cd. Fiscal compact), disciplina che si applica
a Cassa geometri in virtu' dell'inserimento delle casse previdenziali
privatizzate nell'elenco ISTAT delle amministrazioni pubbliche.] 
        43. Si tratta in entrambi i casi di obblighi di  riversamento
cui la Cassa geometri  non  avrebbe  potuto  sottrarsi.  Come  si  e'
ampiamente  dedotto,  i  regimi  normativi  di  cd.  spending  review
applicabili alla Cassa a decorrere dall'anno 2014 (da un lato, quello
recato dalla normativa generale  in  materia  di  contenimento  della
spesa, comprensivo del combinato  disposto  dell'art.  50,  comma  3,
decreto-legge n. 66/2014 e dell'art. 8,  comma  3,  decreto-legge  n.
95/2012 e, dall'altro, quello di cui all'art.  1,  comma  417,  cit.)
comportavano obblighi di riversamento in favore  del  bilancio  dello
Stato: Cassa geometri non ha potuto scegliere se procedere o meno  ai
riversamenti; quel che essa ha  potuto  scegliere  sono  soltanto  le
modalita' attraverso cui procedere  alle  riduzioni  di  spesa  e  ai
conseguenti riversamenti, se forfettarie in base  all'art.  1,  comma
417, cit. ovvero analitiche in base  alla  normativa  generale  degli
enti pubblici non territoriali (si v. supra, § II.A.1). 
        E' allora chiaro che rispetto all'art. 1, comma 417, cit.  si
ripropongono  i  medesimi  vizi  di   illegittimita'   costituzionale
accertati dalla Corte costituzionale  nella  sentenza  n.  7/2017  in
relazione all'art. 8, comma 3, decreto-legge 95/2012 - nella parte in
cui si prevede che le somme derivanti da  riduzioni  di  spesa  siano
riversate  annualmente  dagli  enti  previdenziali  privatizzati   ad
apposito capitolo di entrata  del  bilancio  dello  Stato  -  e  tale
conclusione  e'  ampiamente  dimostrata   dall'esame   del   percorso
motivazionale di tale pronuncia. 
        Pertanto, questa Corte ritiene non manifestamente  infondata,
in riferimento agli articoli  3,  38  e  97  della  Costituzione,  la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  417,
della legge n. 147 del 2013, nella parte  in  cui  prescrive  che  le
somme  derivanti  dalle  riduzioni  di   spesa   previste   da   tale
disposizione  siano  versate  annualmente  dalla  CIPAG  ad  apposito
capitolo di entrata del bilancio dello Stato. 
    H. Ritiene pertanto la Corte di dovere sollevare, in  riferimento
agli  articoli  3,  38  e  97,  della  Costituzione,   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417,  della  legge  n.
147 del 2013, nella parte in cui prescrive  che  le  somme  derivanti
dalle riduzioni di spesa previste da tale disposizione siano  versate
annualmente dalla CIPAG ad apposito capitolo di entrata del  bilancio
dello Stato. 

 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte dichiara rilevante e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  417,
della legge n. 147 del 2013 per contrasto con gli articoli 3, 38 e 97
della Costituzione,  nella  parte  in  cui  prescrive  che  le  somme
derivanti dalle riduzioni di  spesa  previste  da  tale  disposizione
siano versate  annualmente  dalla  Cassa  italiana  di  previdenza  e
assistenza dei geometri liberi professionisti ad apposito capitolo di
entrata del bilancio dello Stato; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso; 
    Dispone, inoltre, che, a  cura  della  cancelleria,  la  presente
ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei  ministri  e
alle parti e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al
Presidente del Senato della Repubblica. 
        Roma, 20 marzo 2025 
 
                        Il Presidente: Pinto