Reg. ord. n. 107 del 2025 pubbl. su G.U. del 11/06/2025 n. 24
Ordinanza del Tribunale di Bergamo del 02/04/2025
Tra: J.S. R.
Oggetto:
Reati e pene – Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti – Previsione che per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88 e 89 cod. pen. – Denunciata interpretazione della norma nel senso di richiedere, ai fini della “cronica intossicazione”, l’esistenza di una condizione di infermità, di malattia o di disturbo con effetti permanenti o irreversibili e non una cronicità d’uso – Disparità di trattamento dell’autore del reato il quale versi al momento del fatto in condizioni di cronica intossicazione da alcool o stupefacenti per il quale, ai fini dell’applicabilità delle cause di esclusione dell’imputabilità di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen., è necessaria la configurabilità di alterazioni patologiche permanenti, rispetto all’autore del reato che non si trovi in tali condizioni e al quale sia applicabile il più ampio concetto di infermità, comprensiva di disturbi psichici di carattere non strettamente patologico – Contrasto con i principi di personalità e di finalità rieducativa della pena – Incidenza sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
- Codice penale, art. 95.
- Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 111.
In subordine: Reati e pene – Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti – Previsione che per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88 e 89 cod. pen. – Fatti commessi in presenza di una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi da dipendenza ovvero correlati all’uso di sostanze psicotrope e non associata ad infermità ovvero altri disturbi della personalità – Denunciata limitazione dell’applicazione delle norme di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen. alle sole situazioni di cronica intossicazione – Disparità di trattamento dell’autore del reato il quale versi al momento del fatto in condizioni di cronica intossicazione da alcool o stupefacenti, per il quale ai fini dell’applicabilità delle cause di esclusione dell’imputabilità di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen., è necessaria la configurabilità di alterazioni patologiche permanenti rispetto all’autore del reato che non si trovi in tali condizioni e al quale sia applicabile il più ampio concetto di infermità, comprensiva di disturbi psichici di carattere non strettamente patologico – Contrasto con i principi di personalità e di finalità rieducativa della pena – Incidenza sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
- Codice penale, art. 95.
- Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 111.
Norme impugnate:
codice penale
del
Num.
Art. 95
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Costituzione
Art. 111
Co.
codice penale
Art. 88
Co.
codice penale
Art. 89
Co.
Testo dell'ordinanza
N. 107 ORDINANZA (Atto di promovimento) 02 aprile 2025
Ordinanza del 2 aprile 2025 del Tribunale di Bergamo nel procedimento
penale a carico di J.S. R..
Reati e pene - Cronica intossicazione da alcool o da sostanze
stupefacenti - Previsione che per i fatti commessi in stato di
cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze
stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88
e 89 cod. pen. - Denunciata interpretazione della norma nel senso
di richiedere, ai fini della «cronica intossicazione», l'esistenza
di una condizione di infermita', di malattia o di disturbo con
effetti permanenti o irreversibili e non una cronicita' d'uso.
In subordine: Reati e pene - Cronica intossicazione da alcool o da
sostanze stupefacenti - Previsione che per i fatti commessi in
stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da
sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli
artt. 88 e 89 cod. pen. - Fatti commessi in presenza di una
condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi da dipendenza,
ovvero correlati all'uso di sostanze psicotrope e non associata ad
infermita', ovvero altri disturbi della personalita' - Denunciata
limitazione dell'applicazione delle norme di cui agli artt. 88 e 89
cod. pen. alle sole situazioni di cronica intossicazione.
- Codice penale, art. 95.
(GU n. 24 del 11-06-2025)
TRIBUNALE DI BERGAMO
Ufficio del giudice per le indagini preliminari
Il giudice per le indagini preliminari, Alessia Solombrino visti
gli atti del procedimento nei confronti di:
R J S , nato in il ;
Imputato
1) Per il reato di cui all'art. 572 del codice penale, perche',
anche alla presenza dei figli minori R E (...) e R G ( ), ha
maltrattato la compagna convivente L B , sottoponendola abitualmente
a vessazioni ed aggressioni tramite le seguenti condotte reiterate:
a) abituali ingiurie, con frequenza dapprima quindicinale e
nel corso del quotidiana, del tenore «stronza, puttana, grassa» ed
altri analoghi;
b) abituali atti violenti (dapprima solo spinte, poi anche
pugni e schiaffi) su tutto il corpo;
c) abituali minacce, prospettando la morte ed altri danni
all'incolumita' fisica della persona offesa, ogniqualvolta riceveva
dinieghi (ad esempio, dell'uso della carta di debito per acquistare
stupefacenti) o correlate ad un eventuale allontanamento della donna.
Fatto aggravato dall'essere stato commesso in presenza di figli
minori (art. 571, secondo comma, del codice penale).
Reato abituale perfezionato a nel e consumato a in data
2) Per il reato di cui all'art. 646 del codice penale, perche',
per procurarsi l'ingiusto profitto derivante dalla disponibilita' dei
relativi beni, si e' appropriato di tre paia di scarpe (Nike Air
Force bianche, Globo nere e verdi), 1 giubbotto, un forno a
microonde, 1 macchinetta per il caffe' De Longhi, 1 tostapane, 1
frullatore Bosch ed 1 robot da cucina Moulinex, di proprieta' di ,
nella propria materiale disponibilita' in ragione della permanenza
presso la casa dove precedentemente conviveva con la citata persona
offesa, omettendone la restituzione al momento della richiesta della
persona offesa di ritirare i propri effetti personali.
Reato istantaneo consumato in data
3) Per piu' ipotesi di reato di cui all'art. 572 del codice
penale, perche' ha maltrattato i propri genitori conviventi R B e K R
, nonche' il proprio fratello convivente minorenne R S «di anni 16)
mediante reiterate azioni vessatorie e violente, consistenti in
spintoni, urla, minacce (anche di morte) alle persone, lancio e colpi
ad oggetti materiali in casa, con particolare escalation di violenza
fisica in data (stretta al collo del fratello minore R S ) e nei
giorni compresi tra il ed il (schiaffo al R S e gravi minacce di
morte ed aggressione fisica nei confronti di tutti e tre i familiari.
Fatti aggravati dall'essere stati commessi in presenza e in danno
di persona minorenne (art. 572, secondo comma del codice penale)
Reato abituale perfezionato a ed in corso di consumazione
quantomeno fino al a
Osserva
Questo giudice dubita della legittimita' costituzionale dell'art.
95 del codice penale, nella parte in cui, per i fatti commessi in
presenza di una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi
da dipendenza ovvero correlati all'uso di sostanze psicotrope e non
associata ad infermita' ovvero altri gravi disturbi della
personalita', limita l'applicazione delle norme di cui agli articoli
88 e 89 del codice penale alle sole situazioni di cronica
intossicazione.
Si ritiene che la questione sia rilevante e non manifestamente
infondata.
1. Svolgimento del processo
Con provvedimento depositato in data 24 novembre 2023, il
pubblico ministero presso la locale Procura della Repubblica ha
formulato richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato in epigrafe
generalizzato, per i reati di cui agli articoli 572 e 646 del codice
penale, a lui ascritti nell'ambito del procedimento n. 12329/2022
R.G.Mod. 21.
Esperiti gli adempimenti di cui agli articoli 418 e 419 del
codice di procedura penale, all'udienza preliminare del 10 gennaio
2024, la persona offesa L B ha depositato atto di costituzione di
parte civile, al fine di ottenere la condanna dell'imputato ed il
risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti
per effetto della condotta criminosa ed il difensore ne chiedeva
l'esclusione, eccependo l'incapacita' di partecipare consapevolmente
al processo, ai sensi dell'art. 70 del codice di procedura penale,
del prevenuto, gia' sottoposto alla misura di sicurezza della REMS.
Nondimeno, questo giudice, preso atto della mancata declaratoria
della sospensione del procedimento e ritenuta l'esigenza di valutare
l'effettiva capacita' di stare in giudizio in capo al R , - con
specifico riguardo alla comprensione della portata delle condotte e
del danno cagionato alle vittime - , ad integrazione
dell'approfondimento istruttorio gia' eseguito nelle forme
dell'incidente probatorio, ha disposto perizia psichiatrica sulla
persona dell'imputato, con incarico conferito al professionista
nominato alla successiva udienza del 14 febbraio 2024.
Quindi, assunto l'esame del perito ed acquisito l'elaborato
peritale, ritenuta l'insussistenza dei presupposti una pronuncia ex
art. 70 del codice di procedura penale ed escluso il difetto di
imputabilita' originariamente ravvisato, questo GUP ha revocato la
misura di sicurezza della REMS applicata all'imputato, disponendo nei
suoi confronti l'applicazione della misura degli arresti domiciliari
presso una struttura di prima accoglienza individuata a cura dello
SMI competente, effettivamente eseguita presso una comunita' c.d. a
doppia diagnosi e successivamente revocata per volonta' della stessa
struttura.
Su conforme richiesta formulata dall'imputato personalmente, il
procedimento e' quindi proseguito nelle forme del giudizio
abbreviato, ove questo giudice, udite le conclusioni formulate dalle
parti, con ordinanza in data 5 giugno 2024, ha disposto l'ulteriore
audizione del perito gia' nominato, al fine di ottenere chiarimenti
in ordine al profilo della tossicomania dell'imputato, ai sensi
dell'art. 441, quinto comma del codice di procedura penale.
Assunto infine l'incombente istruttorio integrativo, il
procedimento e' stato infine chiamato all'odierna udienza per le
opportune determinazioni.
Tanto premesso, prima di pronunciarsi sul merito
dell'imputazione, ritiene questo giudice di dover sospendere il
procedimento e sollevare la questione di legittimita' costituzionale
di seguito esposta.
2. Il fatto storico
Il presente procedimento trae origine dalla denuncia-querela
sporta in data 25 novembre 2022 dinanzi alla Stazione Carabinieri di
da L B , la quale, in dettaglio, - con dichiarazioni successivamente
supportate dalle dichiarazioni rese dalle persone sentite a sommarie
informazioni, riferiva che:
conviveva da circa cinque anni con il compagno R J S e con i
figli nati dall'unione, dell'eta', rispettivamente, di tre e due
anni, e fin dal primo anno di convivenza era rimasta vittima
dell'atteggiamento aggressivo del compagno con frequenti episodi di
passaggio alle vie di fatto, drammaticamente aumentati nel corso del
tempo e consistiti in spinte, pugni, schiaffi in tutte le zone del
corpo, in concomitanza con il consolidamento della condizione di
assuntore di sostanze stupefacenti;
aveva confidato le violenze subite alla propria madre C R ,
oltre ai genitori dello stesso R , il quale palesava allarmante
aggressivita', in particolare, nei periodi di astinenza ovvero in
concomitanza con l'assunzione di sostanze psicotrope;
pur non avendo mai assistito agli atti di violenza, i figli
minori avevano piu' volte percepito lo stato di alterazione e le
aggressioni verbali perpetrate dal padre, il quale in occasione dei
diverbi manifestava veri e propri tratti deliranti, la insultava
pesantemente e la minacciava di morte e manifestava un insano bisogno
di controllo, monitorando di continuo i suoi spostamenti ed
impedendole di contattare la madre.
La donna precisava che il compagno era solito assumere sostanze
psicotrope quasi tutti i giorni da almeno un anno, che non svolgeva
alcuna attivita' lavorativa e che, da quando era seguito dal SERD di
aveva manifestato segni di miglioramento. Allegava quindi che
l'ultima aggressione si era verificata appena un giorno prima,
allorche' lei stessa, colpita con schiaffi al volto e mani al collo,
calci e pugni, era stata costretta ad allertare il personale della
polizia locale, si era successivamente allontanata dall'abitazione,
cercando rifugio presso i propri genitori, a (BG) e si era infine
recata presso il pronto soccorso del vicino nosocomio, ove i sanitari
le avevano diagnosticato lesioni consistenti in «graffi sul collo ed
ecchimosi», giudicate guaribili in otto giorni, salvo complicazioni.
Le dichiarazioni rese dalla donna trovavano conferma, in primo
luogo, nel referto medico versato in atti, quindi, nelle sommarie
informazioni della madre della denunciante C R , dei genitori del R ,
testimoni di aggressioni verbali e fisiche da quest'ultimo perpetrate
e a loro volta vittime di violente aggressioni, con passaggio alle
vie di fatto (cfr. verbali di sommarie informazioni testimoniali rese
in data 25 novembre 2022, 8 dicembre 2022 e 9 marzo 2023); in
particolare, il padre dell'imputato, riferiva di avere notato in
un'occasione il figlio in condizioni di alterazione ascrivibile
all'assunzione di sostanze del tipo cocaina, con manifestazioni
paranoidee peggiorate con il trascorrere delle ore, al punto da
indurlo a richiedere l'intervento del servizio sanitario di
emergenza, dal quale il figlio era stato condotto presso il reparto
di psichiatria del locale ospedale e sottoposto a TSO.
Sussiste sul punto, il referto redatto in data dai sanitari del
pronto soccorso dell'ospedale di , ove l'imputato giungeva in stato
di agitazione e riferita aggressione psicomotoria con coltelli e,
all'esito della visita psichiatrica, presentava una sintomatologia
psicotica direttamente correlata all'abuso di sostanze.
Venivano altresi' acquisite le plurime annotazioni di polizia
giudiziaria attestanti gli interventi esperiti presso l'abitazione
del R e della compagna, e successivamente, presso l'abitazione dei
genitori nei quali si dava atto dell'allarmante stato di alterazione
del prevenuto, il quale, in occasione di un accesso in data 28
novembre 2022, si era presentato con il telefono in mano,
visibilmente alterato e delirante, e mantenendo un volume del
telefono alto aveva iniziato a recitare riti in lingua indiana,
assertivamente finalizzati ad allontanare presenze demoniache
dall'abitazione, delle quali era convinto, al punto che poco prima
aveva rovesciato dell'acqua benedetta sul pavimento, con l'intento di
«benedire» i locali.
Del pari, in data 25 marzo 2023, i militari attestavano la
presenza dell'imputato in stato di agitazione, correlato all'uso di
stupefacenti, mentre in occasione dell'intervento del 16 aprile 2023,
presso l'abitazione dei genitori - ove lo stesso R si era nelle more
stabilito -, gli operanti lo rinvenivano sul divano del soggiorno,
nell'atto di recitare preghiere in lingua indiana e in preda ad
allucinazioni e, dopo averlo sedato, lo conducevano presso il
nosocomio di per le opportune cure, ove i sanitari confermavano
l'atteggiamento di angoscia ed irrequietezza ed i fenomeni
allucinatori, apprendendo della recente assunzione di sostanze del
tipo cocaina e formulando una diagnosi di «anomalie comportamentali
in intossicazione di cocaina» con prognosi di tre giorni (1) .
Con informativa del 2 giugno 2023, i carabinieri della stazione
di segnalavano infine plurime condotte violente perpetrate dal R nei
confronti dei genitori e del fratello minorenne R S con grave
turbamento della serenita' familiare, per il timore di gesti
inconsulti da parte del prevenuto, come confermato dall'annotazione
di polizia giudiziaria e dalle relazioni del 1° e del 2 giugno 2023,
supportate dalle sommarie informazioni rese dalle citate persone
offese, nonche' del referto redatto in occasione dell'ennesimo
accesso dell'imputato al nosocomio, con diagnosi di «abuso di
cocaina» e la presenza di uno «stato di attivazione» correlato
all'uso della sostanza, senza tuttavia la presenza di alterazioni
della forma o del contenuto del pensiero, ne' dispercezioni.
Sulla scorta delle risultanze acquisite, corredate dalla
relazione del consiglio di classe dell'istituto frequentato dal
fratello minore del prevenuto, - nella quale si dava atto di
comportamenti violenti subiti dai familiari e riferiti dal ragazzo,
accompagnati da continue minacce di gesti di autolesionismo e da
episodi di crisi psicotiche, urla verso presunti demoni, o tentativi
di allagare la casa -, in accoglimento della richiesta formulata dal
pubblico ministero, si procedeva nelle forme dell'incidente
probatorio all'accertamento della capacita' di intendere e di volere
del R J S ed il professionista nominato, con elaborato depositato in
data 27 giugno 2023 concludeva ritenendo configurabile una condizione
di «intossicazione cronica», con una compromissione stabile e
irreversibile del funzionamento delle cellule, qualificabile in
termini di «demenza da sostanze», una ridotta capacita' di «resistere
all'impulsivita' tossicodipendente, favorendo dunque il sommarsi
della patologia cognitiva con le conseguenze dell'assunzione di
sostanze stupefacenti», e, per l'effetto, una totale incapacita' di
intendere e di volere al momento dei fatti, oltre che una condizione
di incapacita' di stare in giudizio.
A sostegno delle conclusioni, il perito dott. M B allegava sia la
copiosa documentazione sanitaria redatta in occasione dei ricoveri
del prevenuto in SPDC ovvero dal servizio dipendenze che lo aveva in
cura, dalla quale emergevano «Anomalie del comportamento in disturbo
da abuso di cocaina», con sviluppo di «Psicosi indotta da sostanze
con ideazione persecutoria e dispercezioni uditive e visive di
origine fsotossica», sia l'esito dell'esame psichico, dal quale
emergevano «difficolta' cognitive di natura organica, a verosimile
genesi tossica» con una «condizione di complessiva sofferenza dei
domini della memoria e dell'attenzione e poi quelli
dell'orientamento, a configurare note di torpidita' tipiche della
sofferenza cerebrale organica verosimilmente di natura tossica», pur
senza segni di un attuale inquinamento delirante o di parassitamento
dispercettivo.
All'esito dell'incombente, sulla conforme richiesta del pubblico
ministero, con ordinanza in data 20 settembre 2023, l'imputato veniva
pertanto sottoposto alla misura di sicurezza provvisoria della
liberta' vigilata con obbligo di inserimento in una comunita'
residenziale, nonche', con successiva ordinanza del 28 ottobre 2023,
motivata dal rifiuto opposto dal R alla prosecuzione dei trattamenti,
con la misura del ricovero in REMS e, in attesa del rinvenimento di
una collocazione nella struttura disponibile, del ricovero
provvisorio presso il reparto di psichiatrica dell'ospedale di
A diverse conclusioni perveniva il perito nominato in sede di
udienza preliminare, dott. S L M , il quale, con motivazioni
apparentemente immeritevoli di censure sotto il profilo logico, -
ampiamente supportate dalle relazioni di aggiornamento in ordine alle
condizioni dell'imputato durante la degenza in SPDC e dopo l'ingresso
in REMS nelle more versate in atti (2) -, escludeva la sussistenza
all'epoca dei fatti di manifestazioni psicopatologiche dell'imputato
idonee ad escludere o scemare grandemente le capacita' di intendere
e/o di volere.
Evidenziava, sul punto, che sia dalla valutazione diretta che
dalla documentazione clinica vagliata non emergevano - relativamente
al periodo oggetto di contestazione ma anche con riferimento al
periodo antecedente e successivo -, disturbi psichiatrici maggiori a
genesi primaria, mentre risultavano documentati unicamente «episodi
di discontrollo comportamentale con agiti estero aggressivi e talora
clastici ed anche franchi episodi di scompenso psicotico con
allucinazioni e deliri floridi» che avevano imposto numerosi accessi
al pronto soccorso e, in almeno tre occasioni, reso necessario il
ricovero nel reparto di psichiatria e che tuttavia erano strettamente
correlati agli effetti diretti delle sostanze di abuso.
A conferma delle considerazioni svolte, precisava che dal , in
concomitanza con la cessazione dell'assunzione, l'assetto psichico e
comportamentale del periziato era esente da manifestazioni di
rilevanza psicopatologica e che la terapia somministrata era
finalizzata unicamente a contenere e controllare il possibile craving
per la sostanza di abuso.
Concludeva pertanto escludendo la configurabilita' di una
compromissione cognitiva di portata tale da configurarsi in uno stato
di «cronica intossicazione» rilevante ai fini dell'imputabilita',
evidenziando come sebbene fosse indiscutibile la sussistenza di una
capacita' di intendere e di volere al momento dei fatti «viziata»
dall'effetto psicotropo della sostanza di abuso, sia in termini di
intossicazione che di astinenza (craving, piu' propriamente), la
stessa doveva considerarsi su base volontaria, ai sensi degli
articoli 91 e seguenti del codice penale, ne' era ravvisabile un
danno organico perdurante ed irreversibile idoneo a ritenere
applicabile l'ipotesi di cui all'art. 95 del codice penale, non
potendosi ritenere tale il decadimento cognitivo rilevato, non
particolarmente inferiore rispetto alla norma e comunque influenzato
anche dei limiti culturali del periziando (cfr. relazione depositata
in data 1° maggio 2024).
Chiamato a precisare le motivazioni che inducevano ad escludere
la configurabilita' di una condizione di «cronica intossicazione», il
professionista evidenziava che «lo stato di cronica intossicazione
nasce primariamente in conseguenza dell'assunzione di alcolici, e'
(...) una fattispecie giuridica e medico-legale molto datata, dove
pero' c'era una precisa corrispondenza a un quadro clinico
nosograficamente definito, la paranoia alcolica piuttosto, la
sindrome di Korsakoff, la sindrome di Wernicke, che erano proprio con
compromissioni biologiche, organiche, riscontrabili», mentre «per gli
stupefacenti, per trovare un'alterazione di questo tipo e' pressoche'
impossibile», anche perche', in assenza di un riferimento preciso
sulla sostanza assunta, un eventuale stato psicotico perdurante ben
puo' essere riconducibile a sostanze psichedeliche o anfetaminiche
inserite nella dose di stimolanti assunta dall'interessato.
Aggiungeva, con specifico riferimento alla sostanza assunta che
«nella cocaina l'utilizzo prolungato puo' dare uno scadimento
cognitivo progressivo di varie entita'. E in alcuni casi da un
disturbo delirante, di solito di tipo persecutorio o di gelosia.
Queste sono le tipologie che si vedono frequentemente per usi
prolungati.
C'e' da dire che queste condizioni si instaurano, come dicevo, a
seconda della variabilita' delle sostanze che vengono prese ma che
passano per cocaina, poi in effetti non sono necessariamente cocaina,
e l'altro aspetto anche c'e' una struttura predisponente di
personalita', in alcuni casi, che consente e poi si associano ad
altri fattori, se la nutrizione e' adeguata, se l'idratazione e'
adeguata, sono fattori di carenza metabolica, ritornando all'aspetto
delle patologie della cronica intossicazione da alcool. Non si vedono
pressoche' piu' determinate patologie perche' erano dovute ad una
malnutrizione e alla carenza di fattori nutritivi e vitaminici in
particolare.
Quindi, quello che e' lecito aspettarsi nell'assunzione
continuativa di cocaina e' in genere uno scadimento delle capacita',
di memoria, di memorizzazione e di rievocazione piu' o meno intenso.
Siamo lontani pero' da quella che e' una demenza da uso di sostanze.
La demenza da uso di sostanze non differisce dalla demenza della
malattia di Alzheimer. Lo scadimento di tutte le competenze, la
capacita' di orientamento, le capacita' ad una consapevolezza di se',
la capacita' di agire in determinati ambiti di vita, di avere una
volizione conservata, una çapacita' di comprensione adeguata. Tutto
questo non c'e' nell'indagato».
Sentito nuovamente all'udienza del 10 luglio 2024, con specifico
riguardo all'incidenza dell'uso prolungato di stimolanti
sull'insorgenza di una condizione di disturbo e sugli effetti tossici
della cocaina, il perito precisava:
che trattasi di «uno stimolante, per cui aumenta il tono
dell'umore, lo rende piu' elevato, c'e' un senso di benessere, di
intensa energia, i pensieri sono accelerati, corrono piu'
rapidamente, le associazioni mentali sono piu' ... altrettanto rapide
e piu' lineari, piu'... c'e' una maggiore lucidita' di pensiero e
c'e' una riduzione del sonno connessa alla perdita del senso della
percezione e della fatica e dello sforzo, per cui si ha un incremento
delle prestazioni sia fisiche che mentali»;
che «l'effetto della cocaina e' nell'ordine di ore, poi
dipende dalle caratteristiche dell'assuntore, perche' ovviamente si
crea un'assuefazione praticamente e quella che si chiama una
tolleranza, nel senso che un assuntore abituale e continuativo deve
incrementare la dose della sostanza per ottenere gli stessi effetti
ricercati, cioe' stimolanti»;
che, quanto al craving, a differenza ad esempio dell'eroina,
in cui subentra una crisi d'astinenza, si tratta di «una compulsione
intensa, estremamente variabile, che va da un desiderio a un bisogno,
tanto e' vero che si parla di una sorta di dipendenza psicologica»;
peraltro, il desiderio, il bisogno intenso va degradando in
proporzione anche a quanto e' la durata dell'assunzione, e, in una
persona che ha un disturbo da uso di sostanze «questo pensiero rimane
sempre, per cui e' sempre da controllare un'assunzione, perche'
diversamente si spalanca una porta per la ripresa all'assunzione che
diventa abituale»; in altri termini, «una persona che e' entrata in
contatto con la sostanza e ha sviluppato un craving, questo
meccanismo viene attivato per sempre»;
che un'eventuale condizione di disturbo «non e' nell'uso di
sostanza, e' nelle conseguenze dell'uso di sostanza, quello e' il
disturbo, nel senso: non esiste una patologia a se' stante che
giustifichi l'utilizzo di qualsivoglia sostanza; si innesca un
meccanismo che e' legato a diversi fattori, che possono essere
disturbi psichiatrici che sono in comorbilita' cosiddetti o delle
condizioni di interesse psicologico o psichiatrico che sono, diciamo
cosi', sovrapposte in un determinato periodo, per cui personalita'
particolari, che non sono necessariamente patologiche»;
che, quanto ad eventuali modificazioni sotto il profilo
neurologico, «qualsiasi sostanza di ordine farmacologico o comunque
di abuso, determina una modificazione cerebrale, che transitoriamente
puo' anche persistere, ma questo non esclude la capacita' di rendersi
conto, di capire e di autodeterminarsi»;
che, sotto il profilo psichiatrico, «non esiste
un'intossicazione acuta e cronica, ma un'intossicazione ripetuta e
prolungata», la «condizione di intossicazione cronica e' data
dall'abuso continuativo frequente e ravvicinato, per cui la sostanza
rimane attiva a livello cerebrale, e' quella la cronicita', lo stato
di intossicazione cronica»;
che pertanto, anche eventuali anomalie correlate al consumo
della sostanza, o sono riconducibili a condizioni di disturbo, per
cosi' dire, «slatentizzati» dall'assunzione, o sono comunque su base
funzionale (conseguente all'utilizzo o all'effetto di esaurimento
della sostanza) e non su base organica.
3. La rilevanza della questione.
Ritiene il decidente che la prospettata questione di legittimita'
costituzionale sia rilevante, sotto un duplice profilo:
a) emerge dagli atti acquisiti al fascicolo che R J S , -
dell'eta' di 25 anni al momento dei fatti -, aveva iniziato ad
assumere cocaina, sia per via nasale che inalata -, dall'eta' di
circa 18 anni, talvolta accompagnata dal consumo di sostanze
alcoliche, con abuso ingravescente a partire da fino ad un craving
quotidiano ingestibile e la comparsa di anomalie comportamentali e di
episodi psicotici sintomatici di una fase di intossicazione
esotossica acuta protrattasi ben oltre il termine dei tre giorni di
riscontro dei metaboliti della cocaina nelle urine e posta,
unitamente al craving, alla base degli agiti aggressivi integranti le
condotte maltrattanti e lesive contestate.
Laddove questo giudice, all'esito della discussione del
giudizio abbreviato, ritenesse integrati gli elementi oggettivi e
soggettivi delle condotte contestate, pur dando atto dell'esistenza
di una condizione dell'imputato al momento del fatto apparentemente
idonea ad incidere sulla sua capacita' di intendere e di volere
(intesa come il complesso delle condizioni psicofisiche che
consentono di ritenere l'essere umano in grado di recepire il
messaggio della sanzione punitiva, in ragione del corretto
funzionamento dell'elemento intellettivo e dell'elemento volitivo),
trattandosi di uno stato mentale insorto a seguito di una situazione
di abuso di stupefacenti, derivato in particolare dalla prolungata
assunzione di cocaina (come del resto dimostrato dal decadimento
cognitivo riscontrato), ma senza l'insorgenza - a livello organico -
di alterazioni patologiche irreversibili o anche soltanto permanenti
tali da ritenere configurabile una condizione di cronica
intossicazione, non avrebbe la possibilita' di valutare la
sussistenza di un vizio di mente totale o parziale dell'imputato, ai
sensi degli articoli 88 e 89 del codice penale.
E cio' neanche in relazione agli episodi in cui il R J
presentava sintomatologia psicotica caratterizzata da ideazioni
persecutorie, dispercezioni uditive e discontrollo comportamentale,
tali da determinare in capo al giudicabile una situazione di assetto
psichico riconducibile ad una condizione di «significativa»
alterazione dei processi dell'intelligenza e della volonta' del
prevenuto e, conseguentemente, del meccanismo delle spinte e delle
controspinte all'azione.
A tale proposito, non puo' sottacersi che codesta Corte,
chiamata a pronunciarsi su una questione analoga a quella odierna,
con sentenza n. 114/1998, ha comunque sottolineato come il superiore
valore del principio di colpevolezza consenta al giudice di superare
i problemi che si presentano nella concreta applicazione dell'art. 95
del codice penale, «facendo applicazione, nel dubbio, proprio delle
regole espressamente stabilite nei commi 2 e 3 dell'art. 530 c.p.p.».
Nondimeno, esclusa la sussistenza di una sorta di incapacita'
preordinata, rispetto ad effetti psicotici protrattisi nei giorni
successivi all'assunzione di sostanze e strettamente correlati alla
condizione di disturbo da uso di sostanze diagnosticata al R J ,
ritiene questo giudice che le categorie dell'imputabilita' e della
colpevolezza interagiscono in un rapporto di totale e reciproca
indipendenza concettuale: l'imputabilita' attiene all'irrogabilita'
della pena, mentre la colpevolezza si riassume in due passaggi
fondamentali, l'attribuibilita' del fatto-reato e la riprovazione che
ne deriva, la quale legittima l'assoggettamento alla sanzione. Come
affermato in dottrina, l'anima originaria della colpevolezza resta
quindi la paternita' del fatto quale responsabilita' in senso
meccanicistico, «restando impregiudicate, la punibilita' del soggetto
sano e maturo e la non punibilita' del soggetto insano e non maturo
e, come tale, non rimproverabile».
Se ne ricava l'impossibilita' di prescindere da una
valutazione in ordine all'effettiva imputabilita' del giudicabile, al
di la' del giudizio di colpevolezza afferente essenzialmente il
principio di soggettivita' del reato, inteso come riferibilita'
psichica al suo agente, evidentemente configurabile anche nei
confronti di soggetti non imputabili, in assenza di cause esterne che
escludono la suitas della condotta ovvero si trovano al di fuori di
ogni possibilita' di controllo soggettivo; del resto, e' pacifico che
meccanismi psichici di rappresentazione e di volizione agiscono
comunque nella mente del non imputabile, anche se trattasi di
meccanismi abnormi e distorti.
b) in ogni caso, anche laddove fosse ravvisabile in capo
all'imputato una condizione idonea anche soltanto ad alterarne la
capacita' di comprendere l'illiceita' dei fatti o di agire in
conformita' a tale valutazione, in caso di condanna, tale condizione
non potrebbe essere valutata nella determinazione del trattamento
sanzionatorio, con l'applicazione della diminuente di cui all'art. 89
del codice penale.
4. La non manifesta infondatezza della questione.
4.1 Ritiene il decidente che la disposizione censurata violi gli
articoli 3, 25, secondo comma e 27, primo e terzo comma della
Costituzione, nella misura in cui, per i fatti commessi in presenza
di una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi da
dipendenza ovvero correlati all'uso di sostanze psicotrope e non
associata ad infermita' ovvero altri gravi disturbi della
personalita', limita l'applicazione delle norme di cui agli articoli
88 e 89 del codice penale alle sole situazioni di cronica
intossicazione.
Com'e' noto, l'art. 95 del codice penale, «Cronica intossicazione
da alcool o da sostanze stupefacenti» prevede che «per i fatti
commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero
da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute
negli articoli 88 e 89 c.p.».
Come gia' osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
114 del 16 aprile 1998, la disposizione, unitamente all'art. 94 del
codice penale, risulta inserita «in modo organico - e indubbiamente
coerente nel proprio interno -, in un sistema completo, quale e'
quello che il codice penale del 1930 ritenne di dover istituire per
l'affermazione od esclusione dell'imputabilita' penale dei soggetti
che abbiano commesso il reato in stato di ubriachezza o sotto
l'azione di sostanze stupefacenti».
Sistema che, sempre usando le parole della Corte, «e'
notoriamente ispirato a intenti di prevenzione generale improntati a
grande rigore» e che trova il suo nucleo primario nelle disposizioni
di cui agli articoli 92, primo comma e 93 del codice penale, le quali
parificano i reati commessi in stato di ubriachezza o sotto l'azione
di sostanze stupefacenti ai reati commessi in stato di normalita',
«eliminando le diminuzioni di pena previste nel codice Zanardelli e
sottoponendo ad eguale regime penale tanto l'ubriachezza (o
assunzione di sostanze stupefacenti) volontaria quanto quella
meramente colposa», con vere e proprie «finzioni di imputabilita'»,
con le quali il legislatore ritiene possibile un rimprovero di
colpevolezza e ragionevole il ricorso alla pena, nei confronti degli
autori di reato che si siano comunque posti, non accidentalmente, in
uno stato di incapacita', prescindendo dallo stato in cui versavano
al momento del fatto, anticipando sostanzialmente il mçmento della
«rimproverabilita'» della condotta a quello della volontaria
situazione di innesco del pericolo, mediante la violazione della
regola cautelare del «non assumere alcool o droghe».
Tali conclusioni sono del resto conformi alla posizione espressa
nella lontana sentenza n. 33 del 1970, con la quale la Corte
costituzionale, respingendo le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 92 del codice penale, sollevate con
riferimento agli articoli 3 e 27 Costituzione, ha ritenuto la norma
non irragionevole in relazione al fine perseguito dal legislatore,
coincidente con la prevenzione e la repressione dell'ubriachezza
«come male sociale, e, soprattutto, come situazione che in certi
soggetti puo' spingere al delitto», evidenziando come l'ubriaco che
realizzi un reato ne debba rispondere per una condotta comunque
antidoverosa, consistente nell'essersi posto volontariamente o
colposamente in condizione di commetterlo, in altri termini, viene
asserita l'antidoverosita' tout court dell'ubriacarsi, nella cui
natura volontaria o colposa sarebbe da ravvisare il fondamento della
responsabilita'; dall'altro lato, il coefficiente psicologico che
sorregge il fatto commesso e' assunto a «titolo della colpevolezza»,
con conseguente possibilita' di affermare un «titolo di colpevolezza»
piu' grave di quello ricollegabile al fatto dell'ubriacarsi, secondo
la formula del versari in re illicita.
Tale orientamento si pone nella scia del disfavore da sempre
manifestato dalle scienze criminali nei confronti dei fenomeni
dell'alcoolismo e dell'uso di stupefacenti, sia in quanto fattori
pregiudizievoli per la salute individuale e collettiva e per la
discendenza; sia in quanto fattori criminogeni diretti - favorendo la
generi di comportamenti criminali -, e indiretti, legati alla
squalificazione sociale, al depauperamento, al decadimento morale,
allo stato di bisogno dovuto alla tossicodipendenza.
In questo senso, sebbene dal punto di vista medico legale chi
commette un reato sotto l'azione di alcool o stupefacenti sia da
considerarsi non imputabile o semimputabile, laddove la sua capacita'
di intendere e/o di volere sia esclusa o grandemente compromessa, ai
sensi degli articoli 91 e 93 del codice penale, soltanto
l'intossicazione accidentale, ovvero incolpevole, da sostanze
alcoliche o stupefacenti puo' escludere o diminuire la capacita' di
intendere e di volere.
Specularmente, ai sensi gli articoli 92 e 93 del codice penale
non fa scemare ne' esclude l'imputabilita', l'assunzione di sostanze
volontaria - ovvero compiuta di proposito - o colposa, ovvero
volontaria nella causa, anche se involontaria nell'effetto, fermo
restando l'aumento di pena nelle ipotesi in cui lo stato di
incapacita' sia stato preordinato proprio al fine di eludere la
sanzione.
Ulteriori circostanze aggravanti sono infine contemplate
dall'art. 94 del codice penale, specificamente ancorate, in primo
luogo, ad uno stato di intossicazione acuta, volontaria o colposa; in
secondo luogo, alla commissione di un reato in tali condizioni e
all'abituabilita', definita come dedizione all'uso di alcolici o
stupefacenti e frequente stato di alterazione, si' da configurare «un
vizio continuativo, una consuetudine viziosa di vita», a conferma di
una dedizione all'uso e non di una mera proclivita'.
Cio' posto, l'art. 95 del codice penale prevede una sostanziale
deroga a tali finzioni, ancorandola a quelle situazioni in cui non e'
(piu') ragionevole colpire lo stile di vita dell'autore di reato
dedito agli stupefacenti e all'alcool, ritenendolo responsabile,
poiche', anche nel momento in cui si e' posto in una condizione
suscettibile di incidere sulla sua capacita', assumendo alcool o
droghe, versava gia' in una condizione di incapacita' (3) , a sua
volta ascrivibile ad un'alterazione patologica dei processi volitivi
e intellettivi, indicata dalla disposizione oggetto di censura con il
ricorso alla formula legale di «cronica intossicazione da sostanze»,
apparentemente censurabile sotto il profilo della genericita' e
dell'indeterminatezza e per l'effetto tale da offrire all'operatore
uno spazio di incontrollabile discrezionalita', anche tenuto conto
delle ambiguita' riscontrabili nel difficile accertamento dei confini
tra normalita' e anomalia.
Cio' premesso, ricade pertanto su questo giudice l'onere di
sperimentare se di tale concetto possa essere comunque offerta
un'interpretazione ed applicazione razionale, nell'osservanza degli
ordinari criteri ermeneutici (segnatamente, il dato letterale e
sistematico) e in conformita' con il compito essenziale della
giurisprudenza, che e' quello di dipanare gradualmente, attraverso
gli strumenti dell'esegesi normativa, i dubbi interpretativi che
ciascuna disposizione inevitabilmente solleva, nel costante confronto
con la concretezza dei casi in cui essa e' suscettibile di trovare
applicazione (cfr. Corte costituzionale, n. 110 del 18 aprile 2023).
Un'attenta esegesi della norma in discussione, approfondendo il
significato delle parole, consente in verita' di plasmare la
definizione di cronica intossicazione, colmando l'apparente deficit
di determinatezza con ricorso, per un verso, al criterio semantico, -
giacche', mentre la condizione acuta richiama fenomeni ad insorgenza
breve o improvvisa, con un andamento delimitato nel tempo, il termine
«cronico» richiama in via generale il concetto di malattia ovvero di
una sintomatologia che perdura e si sviluppa in maniera lenta e
progressiva e talvolta irreversibile -, e per altro verso, a
parametri interpretativi essenzialmente fondati sulla ratio legis,
nella duplice accezione di giustificazione della norma sotto il
profilo logico-assiologico e di motivazione storicamente contingente
e soggettiva posta all'origine della sua formulazione.s
Sotto il primo profilo, giungono in soccorso, i criteri offerti
dalla piu' autorevole letteratura scientifica in materia (cfr.
pomari, trattato di psichiatria forense), che consentono di delineare
nei termini di seguito esposti i concetti generali in tema di
«tossicomania», nonche' i rapporti tra assunzione di sostanze
stupefacenti e «sanita' psichica», elaborati dalla psichiatria
forense sulla scorta delle indicazioni del codice penale del 1930:
le intossicazioni voluttuarie sono causate dall'assunzione
saltuaria, periodica o continuativa di sostanze non necessarie alla
vita, che provocano, a breve termine, effetti per lo piu' piacevoli
sullo psichismo individuale, ma che, a medio-lungo termine, possono
causare danni rilevanti fisici e psichici;
sostanze psicoattive sono quelle sostanze naturali,
sintetiche o semisintetiche che, introdotte nell'organismo per via
parenterale, enterale o inalatoria, svolgono un'azione psicoattiva,
nel senso che modificano - esaltandole o deprimendole -, le
condizioni psichiche abituali del soggetto e possono indurre
assuefazione, dipendenza e disturbi di astinenza; sotto la dizione di
stupefacenti, sono convenzionalmente considerate le sostanze
raggruppate nelle tabelle di cui agli articoli 13 e 14 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/90;
per tossico e alcool-dipendente s'intende un soggetto
portatore di problemi multipli (psicologici, sociali, economici,
culturali, medici psichiatrici) variamente intrecciantisi e
sovrapponentisi, ma sempre interagenti tra loro; i termini di tossico
e alcool-dipendenza individuano un comportamento polideterminato e
costituito dall'assunzione saltuaria, periodica o continuativa, di
sostanze non necessarie alla vita. Nel linguaggio clinico, il termine
e' onnicomprensivo ed e' usato per indicare, indifferentemente, chi
usa e chi presenta pure sintomi di cronica intossicazione.
A tale definizione si aggiunge peraltro quella data
dall'Organizzazione mondiale della sanita', che indica la
tossicodipendenza in termini di «condizione di intossicazione cronica
o periodica dannosa all'individuo e alla societa', prodotta dall'uso
ripetuto di una sostanza chimica naturale o di sintesi. Sono sue
caratteristiche: 1) il desiderio incontrollabile di continuare ad
assumere la sostanza e di procurarsela con ogni mezzo; 2) la tendenza
ad aumentare la dose (tolleranza); 3) la dipendenza psichica e
talvolta fisica degli effetti della sostanza» e che gia' lascia
intravedere le problematiche connesse all'odierna questione;
il concetto di assuefazione o tolleranza si distingue da
quello di abitudine: il primo comporta la necessita' di aumentare la
dose della sostanza introdotta per ottenere sempre i medesimi effetti
e, per converso, una riduzione quantitativa della risposta alla
somministrazione del farmaco, con il trascorrere del tempo; il
secondo concetto indica la possibilita' di ottenere medesimi effetti
da medesime dosi, senza che sia necessario aumentare la quantita' di
sostanza introdotta;
i concetti di dipendenza e astinenza sono tra loro
intimamente correlati, nel senso che le sostanze inducono nel
consumatore un bisogno (avente una componente fisica e psichica) di
ripetere la somministrazione, a pena di lamentare disturbi da
carenza, quanto la sostanza venga sospesa; ambedue i fenomeni sono
accomunati da una condizione di sofferenza, di disagio, di ansia, di
discenestesie, di timore della loro comparsa o riapparizione e da
disturbi piu' gravi;
nella pratica clinica, si usa distinguere il consumatore
occasionale da quello abituale e dal tossicodipendente, in base al
tipo, alle modalita' e alle quantita' di sostanza assunta;
la sindrome di astinenza, avente caratteristiche di malattia
internistica, rilevante in ambito clinico, compare alcune ore dopo
l'assunzione della sostanza, varia a seconda del tipo di sostanza
aumenta di intensita' nei primi giorni e poi si attenua fino a
scomparire; molte manifestazioni sono peraltro finalizzate
all'obiettivo di ottenere la sostanza per allontanare la «paura» e la
«sofferenza» legate all'astinenza;
la diagnosi di tossicodipendenza e' una diagnosi
comportamentale, che diviene clinica soltanto se e' presente e
documentabile un danno organico a carico delle funzioni psichiche del
soggetto, che in tal caso dev'essere inquadrato e trattato in maniera
del tutto peculiare rispetto a un disturbo psicotico funzionale
(disturbi neurocognitivi indotti da sostanze/farmaci, DSM5).
I disturbi correlati a sostanze sono suddivisi in due gruppi:
l) Disturbi da uso di sostanze, consistenti in disturbi
psicotici che
possono avere, almeno inizialmente, esordio e decorso dotati di una
propria autonomia espressiva;
possono essere «lanciati» dall'uso di sostanze;
possono infine decorrere in maniera piu' o meno mascherata dalle
stesse;
2) Disturbi indotti da sostanze, che possono coincidere
con disturbi da uso di sostanze, da soli indicativi di meri tratti
sui quali si costruisce lo «stile di vita» del tossicodipendente;
con disturbi acuti indotti da sostanze, che sono reversibili, hanno
eziopatogenetica e decorso autonomi e non sono attribuibili ad una
condizione medica generale ovvero ad altro disturbo mentale;
con disturbi persistenti indotti da sostanze, codificati in quadri
caratterizzati dalla presenza di una psicosindrome organica
perdurante nel tempo, fondamentalmente costituita da deficit
dell'attenzione, memoria compromessa, ideazione rallentata e
irrigidita, disfunzioni dell'umore, compromissione delle attivita'
sociali e professionali, sospettosita' e tematiche paranoidi o di
riferimento, ansia marcata, disforia, aggressivita' e ostilita'.
Tutto quanto innanzi premesso, il concetto di «intossicazione
cronica» elaborato dalla dottrina medico-legale appare estremamente
variabile, risentendo delle diverse posizioni assunte nel corso del
tempo in tema di politica criminale e di difesa sociale, oltre che
della diffusione del fenomeno della tossicodipendenza all'interno del
mondo criminale e viene solitamente elaborato con riferimento ai vari
stadi dell'iter tossicomanico e con riferimento al momento
dell'insorgenza dei segni della sindrome da carenza o della
dipendenza fisica: in presenza di un uso cronico di sostanze, e'
possibile parlare di cronica intossicazione laddove sussista una
condizione di «malattia» (4) psichiatricamente intesa, - ravvisabile
anche a distanza di tempo rispetto alla cessazione dell'assunzione -,
concetto che, a sua volta richiama disturbi patologici psichici
(evidentemente differenti dalla mera sindrome di astinenza) e
riconducibili ad una psicosindrome organica ovvero una patologia di
tipo depressivo paranoideo o schizo-paranoide.
In questo senso, affinche' possa parlarsi di cronica
intossicazione, occorrono:
a) un uso non occasionale;
b) la configurabilita' di una condizione di «malattia»
perdurante nel tempo ed avente un decorso autonomo, a prescindere
dall'interruzione delle condotte di uso o abuso e con effetti
certamente permanenti se non irreversibili.
Tale opzione interpretativa appare, del resto, in linea con la
voluntas legislatoris espressa nella relazione ministeriale al
progetto del codice Rocco, nella quale per le persone in stato di
ubriachezza (alle quali sono equiparati gli autori dei reati commessi
sotto l'azione di stupefacenti) viene richiamato il principio delle
actiones liberae in causa fissato nell'art. 89 del codice penale,
eccettuando espressamente soltanto l'eventualita' dell'ubriachezza
accidentale e giustificando tale rigore con la necessita' di
combattere «contro forme d'intossicazione che attaccano alle radici
la forza e, con questa, l'avvenire della stirpe» e disincentivare una
forma di delinquenza collegata al consumo di alcol e all'epoca
particolarmente diffusa.
Del pari, quanto al consumo di stupefacenti, si legge che «il
grave fenomeno sociale dell'uso ed abuso degli stupefacenti in tutte
le classi e in tutte le eta', ma specie nei giovani, promesse e
speranze della Patria rinnovata dal Fascismo, doveva richiamare
l'attenzione del legislatore e indurlo a mettere il problema della
lotta contro questa, che puo' ben dirsi una calamita' sociale, allo
stesso piano, sulla stessa linea della lotta contro l'alcolismo».
Coerente con un sistema che spiega la dipendenza secondo un
modello morale, basato sulla convinzione che sia la risultante di una
«debolezza di carattere» piuttosto che una «malattia», ai fini del
riconoscimento del difetto di imputabilita', il codice richiede
alterazioni croniche, piu' o meno stabili, «che in parte sono effetti
del ripetuto e protratto rapporto con tossico e in parte sono dovute
alla ripercussione che ciascun organo leso puo' esercitare nel
rimanente organismo; ne risultano disturbi nervosi e psichici
gravissimi che, anche quando non sono permanenti, insorgono spesso,
senza che si ingeriscano i veleni, che ne furono la causa lontana».
Diversa e' l'intossicazione acuta, nella quale «si hanno solo le
manifestazioni direttamente e temporalmente apportate dall'azione
perturbatrice del volere sulle funzioni, durante il loro passaggio
biochimico attraverso l'organismo».
Riferendosi all'ubriachezza, con considerazioni evidentemente
estese anche all'intossicazione da stupefacenti, la relazione al
progetto prosegue, allegando che, sebbene sia difficile distinguere
in concreto l'ubriachezza abituale dall'alcolismo cronico, sotto il
profilo clinico, una simile operazione e' possibile, laddove si
consideri che l'ubriachezza, anche abituale, e' sempre un episodio
della vita di un individuo, il quale, scomparso il perturbamento
acuto delle sue facolta' psichiche, torna alla sua normale
personalita'; mentre l'alcolismo cronico e' un processo patologico
permanente, un'affezione cerebrale, che «oltre che produrre un
progrediente e caratteristico abbrutimento nel carattere, da' origine
a vere e proprie psicopatie».
In linea con tali considerazioni, affrontando il problema -
controverso nella dottrina medico-legale formatasi in relazione alle
disposizioni del codice -, di valutare se lo stato definito come
«cronica intossicazione» dell'art. 95 del codice penale debba essere
considerato un vero e proprio vizio di mente (totale o parziale),
codesta Corte, nella gia' citata sentenza n. 114/1998, aveva gia'
evidenziato come «la formula usata dalla legge, che si limita a
stabilire che "si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88
e 89", farebbe pensare assai piu' ad una assimilazione nel
trattamento penale(...) che non ad una identificazione», e come,
anche alla luce dei progetti di elaborazione in corso negli ultimi
decenni, inerenti proprio le disposizioni normative in tema di
imputabilita', lo stato di cronica intossicazione da alcool ovvero da
sostanze stupefacenti induca ad un concetto del tutto autonomo e piu'
ampio dell'infermita' (o della semi-infermita') mentale, «ad essa
parificandola sotto il segno dell'assenza o della diminuzione
dell'imputabilita', e dunque della colpevolezza».
A fronte di tali indicazioni e ad onta delle incertezze espresse
dalla dottrina medico-legale e delle richieste di innovazioni
legislative fortemente presenti nella dottrina penalistica,
l'approccio della giurisprudenza ordinaria gia' cristallizzato alla
data della ormai risalente sentenza n. 114/1998 ritiene unica
interpretazione plausibile della norma di cui all'art. 95 del codice
penale quella che ai fini della cronica intossicazione richiede
l'insorgenza nell'organismo dell'assuntore di alterazioni
neuropsichiche a carattere patologico, stabilizzate e permanenti.
Sul punto, invero, la giurisprudenza di legittimita', seguita
quasi pedissequamente dai giudici ordinari si e' assestata da alcuni
decenni -uniformemente e senza apprezzabili divergenze - su una
identificazione dei requisiti della cronica intossicazione da alcool
o da sostanze stupefacenti in una condizione di alterazione non
transitoria dell'equilibrio biochimico del soggetto, tale da
determinare un vero e proprio stato patologico psicofisico
dell'imputato e, dunque, una corrispondente e non transitoria
alterazione dei processi intellettivi e volitivi, formando un vero e
proprio «diritto vivente», proprio in quanto connotato dai «caratteri
di costanza e ripetizione» (Corte cost. 2 luglio 2008, n. 242),
desumibili dall'evoluzione della Suprema Corte, secondo una «tendenza
ormai uniforme da molti anni» (Corte cost. 25 luglio 1984 n. 225),
cosi' da dare vita ad una «interpretazione assolutamente dominante e
consolidata» (Corte cost. 8 febbraio 2006, n. 41), dalla quale appare
francamente difficile discostarsi.
Di seguito alcune tra le plurime decisioni intervenute in
materia.
Cass. pen., sez. I, n. 3633 del 18 gennaio 1995:
«L'intossicazione cronica da sostanze stupefacenti consiste in
un'alterazione dell'equilibrio biochimico del soggetto che provoca
una permanente alterazione dei processi intellettivi e volitivi,
configurabile come una vera e propria malattia mentale. A tal fine va
operata una distinzione tra alterazione della volonta' ed
eventualmente della capacita' intellettiva che si manifesta in un
soggetto tossicodipendente in crisi di astinenza e che viene superata
al termine della crisi stessa e la permanente compromissione delle
facolta' psichiche in conseguenza dell'intossicazione da sostanze
stupefacenti considerata dall'art. 95 c.p.».
Cass. pen., sez. VI, n. 6357 del 24 maggio 1996: «Non tutti gli
stati di tossicomania, la quale e' una dipendenza meramente psichica
alla droga, o di tossicodipendenza, che e' un'assuefazione cronica
alla stessa, producono di per se' alterazione mentale rilevante agli
effetti di cui agli artt. 88 e 89 c.p., ma solo quegli stati di grave
intossicazione da sostanze stupefacenti che determinano un vero e
proprio stato patologico psicofisico dell'imputato, incidendo
profondamente sui processi intellettivi o volitivi di quest'ultimo».
Cass. pen. sez. VI, n. 7885 del 22 dicembre 1998 richiamata da
Cassazione sez. VI, n. 1775/2003: «Per escludere (o diminuire)
l'imputabilita', l'intossicazione da sostanze stupefacenti non solo
dev'essere cronica (cioe' stabile) ma deve produrre un'alterazione
psichica permanente, cioe' una patologia a livello cerebrale
implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi
di un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze
stupefacenti; lo stato di tossicodipendenza non costituisce,
pertanto, di per se', indizio di malattia mentale o di alterazione
psichica».
Cass. pen., sez. V, n. 7363 del 29 ottobre 2002: «Affinche' si
possa ritenere esclusa o diminuita l'imputabilita' dell'agente,
l'intossicazione da sostanze stupefacenti dev'essere caratterizzata
dalla permanenza e dall'irreversibilita' e, cioe', da condizioni
psichiche che permangono indipendentemente dal rinnovarsi
dell'assunzione o meno di sostanze stupefacenti, condizioni che, in
ogni caso, debbono essere valutate con riferimento al momento in cui
il fatto di reato e' stato commesso».
Cass. pen., sez. III, n. 35872 del 1° ottobre 2007; nonche'
Cassazione pen., sez. VI, n. 25252/2018: «Deve anzitutto riaffermarsi
al riguardo che, come costantemente evidenziato da questa Corte
Suprema, la situazione di tossicodipendenza che influisce sulla
capacita' di intendere e di volere, e' solo quella di intossicazione
cronica, cioe' quella che -per il suo carattere ineliminabile e per
l'impossibilita' di guarigione -, provoca alterazioni patologiche
permanenti (vale a dire, una patologia a livello cerebrale implicante
psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di
un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze
stupefacenti) tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi di
fronte ad una vera e propria malattia psichica (...) l'intossicazione
cronica prevista dall'art. 95 c.p., deve tenersi ben distinta inoltre
(e lo e' sotto il profilo clinico) dalla intossicazione derivante da
un uso abituale di sostanze stupefacenti, che aggrava la pena ai
sensi dell'art. 94 c.p., comma terzo. Stabilire se e in quale delle
situazioni anzidette l'imputato versasse al momento del compimento
dell'azione delittuosa costituisce, comunque, valutazione di fatto
che compete esclusivamente al giudice di merito ed e' insindacabile
in sede di legittimita' se congruamente motivata».
Cass. pen., sez. II, n. 44337 del 31 ottobre 2013:
«L'intossicazione da sostanze stupefacenti dev'essere caratterizzata
dalla permanenza e dall'irreversibilita', vale a dire, da condizioni
psichiche che permangono indipendentemente dal rinnovarsi
dell'assunzione di sostanze stupefacenti (condizioni che, in ogni
caso, devono essere valutate con riferimento al momento in cui il
fatto e' stato commesso). In altre parole, riveste carattere
preliminare e assorbente rispetto ad ogni altra argomentazione fatta
valere (...) il rilievo che, a prescindere dall'identificabilita' o
meno, in astratto della cronica intossicazione da sostanze
stupefacenti di cui all'art. 95 c.p., con il vizio (totale o
parziale) di mente o dalla mera assimilabilita' ad esso, ad ogni modo
nel caso in esame non e' emersa ne' e' stata allegata in punto di
fatto alcuna cronica intossicazione. Ne' il mero uso di sostanze
stupefacenti, per quanto abituale, influenza coscienza e volonta'
della condotta, cosi' come non incide sull'imputabilita' del reo se
non derivante da caso fortuito o forza maggiore».
Cass. pen., sez. I, 22 marzo 2016, n. 27129: «L'abuso di droghe
esclude o diminuisce l'imputabilita', per vizio totale o parziale di
mente, soltanto in caso di intossicazione da sostanze stupefacenti.
Affinche' l'intossicazione da sostanze possa avere rilievo, non solo
dev'essere cronica, ma deve avere prodotto un'alterazione psichica
permanente, implicante psicopatie ed effetti che durano oltre la fase
accessuale d'assunzione della sostanza stupefacente stessa».
Cass. pen., sez. VI, n. 25252/2018: «La documentazione prodotta
(...) indicava un disturbo dell'orientamento, con ansia e
depressione, ma non era direttamente riconducibile alla sussistenza
di uno stato patologico permanente, non piu' dipendente
dall'assunzione di sostanze stupefacenti, tale da configurare una
malattia psichica incidente sull'imputabilita'. Del resto, l'uso
prolungato di droga non influisce necessariamente in maniera grave
sulla psiche.
Gli elementi incentrati sui plurimi ricoveri del ricorrente
presso comunita' terapeutiche, nonche' sul fatto che il ricorrente
non riusciva a smettere, che con la testa "era andato fuori" e che
quando si drogava il ricorrente era innocuo, danno conto di un
effettivo stato di tossicodipendenza e di dipendenza dalla droga, ma
di per se stessi sono inidonei a delineare quel peculiare stato di
permanente psicopatica, scollegata all'assunzione di stupefacenti, in
presenza della quale avrebbe potuto concretamente delinearsi una
malattia psichica. In questo senso, per cronica intossicazione si
intende solo quella che induce un'alterazione psichica permanente,
termine che a sua volta puo' essere interpretata, con criterio
restrittivo, come "irreversibile" ovvero, con criterio piu'
estensivo, come "prolungato nel tempo"».
Cass. pen., sez. III, n. 12949/2021: «La ratio del riconoscimento
di una diminuzione di pena qualora la condotta costituente reato sia
stata commessa in stato di cronica intossicazione da alcol o da
sostanze stupefacenti risiede nell'esistenza di uno stato patologico
di carattere cronico, ossia di lungo corso e senza possibilita' di
rapida guarigione, incidente, pur senza escluderla, sulla capacita'
di intendere e di volere al momento del /alto; tale condizione di
carattere cronico giustifica, proprio in considerazione della sua
radicata persistenza, che ne determina il carattere patologico, la
diminuzione di pena per i fatti commessi in tale stato. Detta
condizione che, come evidenziato, deve avere carattere patologico,
cioe' avere determinato un'alterazione funzionale dell'organismo e
cronica, ossia con sintomi che non si risolvono nel tempo e non
giungono a miglioramento, si distingue, proprio per tali
caratteristiche, dalla ubriachezza volontaria o colposa o preordinata
che, ai sensi dell'art. 92 c.p., se non dovuta a caso fortuito o
forza maggiore non esclude ne' diminuisce l'imputabilita',
determinando anzi ai sensi del secondo comma di tale disposizione, un
aumento di pena se preordinata al fine di commettere il reato o di
prepararsi una scusa».
Cass. pen., sez. VI, 11 luglio 2022, n. 26617: «Una siffatta
limitazione della capacita' di intendere e di volere sul soggetto
tossicodipendente puo' individuarsi in presenza di uno status di
dipendenza che, per il suo carattere ineliminabile e per
l'impossibilita' di guarigione, provoca alterazioni patologiche
permanenti, cioe' una patologia a livello cerebrale implicante
psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di
un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze
stupefacenti, tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi
difronte ad una vera e propria malattia psichica».
Cass. pen., sez. VI, n. 26478 del 30 maggio 2023: «La situazione
di tossicodipendenza che influisce sulla capacita' di intendere e di
volere e' solo quella che per il suo carattere ineliminabile e per
l'impossibilita' di guarigione, provoca alterazioni patologiche
permanenti, cioe' una patologia a livello cerebrale implicante
psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di
un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze
stupefacenti, tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi di
fronte ad una vera e propria malattia psichica».
4.2. Ritiene questo giudice che letta alla luce
dell'interpretazione stabilizzata e consolidata dianzi richiamata, -
che individua nella patologicita' e, quindi, nell'irreversibilita',
il tratto che empiricamente distingue l'intossicazione acuta
dall'intossicazione cronica -, la norma di cui all'art. 95 del codice
penale non sia conforme ai parametri costituzionali della legalita',
dell'uguaglianza e della colpevolezza, per i motivi di seguito
illustrati.
4.2.1. Come gia' osservato dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 114/1998, tale approccio interpretativo risulta
fortemente ancorato al concetto e alla definizione di infermita',
intesa peraltro secondo il piu' tradizionale e risalente modello
nosografico, quale «malattia del cervello o del sistema nervoso»,
avente per l'effetto un substrato organico o biologico, coincidente
con una vera e propria manifestazione patologica «certa e
documentabile»: il concetto di riferimento e' quello della malattia
psichiatrica in senso stretto, da intendersi come rottura di nessi
logici psichici, determinata da un processo patologico organico; in
questo senso, la visione della malattia mentale e' strettamente
legata all'accertamento di una causa anatomo-patologa e, in assenza
di una sicura base organica, sostanzialmente inquadra la condizione
di «disturbo mentale» in uno schema classificatorio «nosografico»
prestabilito, che raggruppa i quadri morbosi aventi in comune cause,
forme, sviluppo, decorso, esito e reperto cerebrale.
Trattasi di un modello anacronistico, non piu' giustificato
dall'evoluzione della scienza psichiatrica che attualmente accoglie
un paradigma integrato (bio-psico-sociale) che tiene conto
dell'aspetto medico, quanto di quello psicologico e di quello
sociologico, ciascuno dei quali risulta coinvolto nella malattia
mentale.
In tale direzione si e' del resto assestata la giurisprudenza
della Corte di cassazione che, nell'applicazione degli articoli 88 e
89 del codice penale, a partire dalla nota sentenza a Sezioni Unite,
n. 9163 del 25 gennaio 2005 (sentenza), ha aderito ad un concetto di
infermita' diverso e piu' ampio di quello di malattia, nel senso che
non si limita esclusivamente alle vere e proprie malattie mentali
esattamente inquadrabili nella nosografia, psichiatrica ma
ricomprende anche piu' estensivamente qualsiasi condizione patologica
che sia stata in grado di interferire sulla capacita' di intendere e
di volere anche solo transitoriamente.
Cio', in ragione di un noto triplice ordine di considerazioni:
a) il termine di «infermita'» di cui agli articoli 88 e 89
codice penale non viene utilizzato negli articoli 582 e 583 del
codice penale, in cui il legislatore impiega il diverso termine di
«malattia», sicche' e' lo stesso codice ad attribuire diversita' di
significato ai due termini:
«malattia» e' uno stato di sofferenza dell'organismo transitorio, con
andamento evolutivo verso un esito (guarigione, morte, adattamento ad
altre condizioni di vita) e, dal punto di vista etimologico, indica
un concetto dinamico;
«infermita'» e' qualsiasi malattia che colpisca l'organismo ed
esprime un concetto statico, un modo di essere senza alcun
riferimento al tempo di durata ed ha per l'effetto un significato
piu' ampio e generico;
b) sotto il profilo sistematico, cio' che rileva ai fini del
giudizio di imputabilita', non e' tanto la classificazione
nosografica della condizione del soggetto, quanto «che il disturbo
abbia in concreto l'attitudine a comprometterne gravemente la
capacita' sia di percepire il disvalore del fatto commesso sia di
recepire il significato del trattamento punitivo», il che rende
evidentemente rilevanti anche i disturbi psichici non inclusi
nell'ambito delle malattie psichiatriche in denso stretto;
c) i disturbi della personalita' sono stati in ogni caso
classificati dal DSM e cio' rende evidente l'esistenza di un diffuso
accordo tra la comunita' scientifica ad attribuire a tali disturbi
l'attitudine a proporsi come causa idonea ad escludere o grandemente
scemare la capacita' di intendere e di volere del soggetto, in via
autonoma e specifica, senza la necessita' che il disturbo si
sovrapponga ad un preesistente stato patologico.
In questo senso, la Suprema Corte, con motivazioni pienamente
condivisibili e di fatto condivise dalla giurisprudenza successiva
alla sentenza , ha ammesso la riconducibilita' dei disturbi della
personalita' nell'ambito delle infermita' rilevanti ai fini degli
articoli 88 e 89 del codice penale, a condizione che il disturbo
incida effettivamente sulla capacita' di intendere e di volere, -
annullandola o compromettendola (5) - e che vi sia un nesso
eziologico tra disturbo e fatto-reato, tale da fare ritenere
quest'ultimo causalmente determinato dal primo.
Sulla scorta delle considerazioni svolte, ritiene il decidente
che, cosi' come interpretata, la norma di cui all'art. 95 del codice
penale sia censurabile sotto il profilo della ragionevolezza e, per
l'effetto, violi il principio di uguaglianza di cui all'art 3 della
Costituzione.
Sul punto, deve evidenziarsi che, rispetto alle decisioni
criminalizzatrici del legislatore, - alla cui discrezionalita', va
ribadito, e' evidentemente affidata non soltanto la scelta dei
beni/interessi/valori da tutelare e le tecniche di tutela, ma
altresi' la commisurazione delle sanzioni -, e' del pari innegabile
il potere della Consulta di verificare, senza che possa parlarsi di
invasione di competenze, che la libera ponderazione politica non
trasmodi in arbitrio e sia esercitata entro i limiti concreti
derivanti proprio dai criteri di ragionevolezza, proporzionalita' e
coerenza, laddove la proporzionalita' risponda all'esigenza di
mitigare il rigore della disciplina positiva di fronte alle
peculiarita' del caso concreto, mentre la coerenza coincida con la
rispondenza logica della norma rispetto al fine perseguito dalla
legge ovvero rispetto ai principi generali del sistema.
Del resto, e' proprio il principio di uguaglianza ad esigere, che
vi sia una parita' di trattamento fra fattispecie sostanzialmente
omogenee, ovvero che l'eventuale scelta di differenziarle abbia una
rispondenza logica rispetto al fine perseguito dalla legge ovvero
alla sua ratio e sia per l'effetto sorretta da ragionevole
giustificazione (cfr. Corte costituzionale 2 febbraio 2007, n. 22;
nonche' Corte costituzionale n. 409/1989; e di recente Corte
costituzionale, n. 46/2024, secondo cui «qualsiasi legge dalla quale
discendano compressioni dei diritti fondamentali della persona deve
potersi razionalmente giustificare in relazione a una o piu'
finalita' legittime perseguite dal legislatore; e i mezzi prescelti
dal legislatore non devono risultare manifestamente sproporzionati
rispetto a quelle pur legittime finalita'»).
Quanto alle modalita' attraverso le quali si estrinseca il
giudizio di ragionevolezza di una norma giuridica come osservato da
codesta Corte, esso, «lungi dal comportare il ricorso a criteri di
valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal
legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle
esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende
perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni
concretamente sussistenti» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n.
1130 del 1988).
Per altro verso, in relazione al sindacato sull'operato del
legislatore, richiamando le considerazioni svolte nella nota sentenza
di Codesta Corte n. 236/2016, da tempo ormai e' stata registrata
l'emancipazione del principio di proporzionalita' dalla dinamica
trilaterale ex art. 3 della Costituzione, sicche' il sindacato di
proporzionalita' si irradia a questo punto in un controllo a monte,
affrancandosi dallo schema triadico del tertium comparationis ed
ancorandosi piuttosto, al rapporto di misura tra la quantita' della
pena comminata dal legislatore ed il conseguimento della finalita'
risocializzante, «non potendosi perseguire alcuna azione rieducativa
mediante un trattamento sanzionatorio sproporzionato alla gravita'
del fatto» (cosi' la circolare della Presidenza del Consiglio dei
ministri del 19 dicembre 1989, pubblicata in leg. pen., 1984).
Tanto premesso, a parere di questo giudice, la disposizione
censurata, cosi come interpretata alla luce del «diritto vivente»,
,contrasta con il principio di uguaglianza, nella misura in cui
diversifica in senso ingiustificatamente sfavorevole il trattamento,
dell'autore di reato il quale versi al momento del fatto in
condizioni di «cronica intossicazione da alcool o stupefacenti», -
per il quale, ai fini dell'applicabilita' delle norme di cui agli
articoli 88 e 89 del codice penale, e' necessaria la configurabilita'
di alterazioni patologiche permanenti aventi un substrato organico o
biologico, come quelle a livello cerebrale o di natura biochimica -,
e l'autore di reato che non si trovi in tali condizioni ed al quale
sia per l'effetto applicabile il piu' ampio concetto di infermita',
comprensiva altresi' di disturbi psichici di carattere non
strettamente patologico ovvero di anomalie psichiche riconducibili
alla psicopatologia clinica ma non ascrivibili alle malattie
psichiatriche in senso stretto.
Tale ingiustificata difformita' di trattamento appare ancora piu'
evidente con riferimento alla valutazione ed al trattamento previsto
in relazione a forme di dipendenza del tutto assimilabili alla
tossicodipendenza ovvero alla alcooldipendenza, consistenti nella
cleptomania o nel gioco d'azzardo patologico o ludopatia (in inglese,
gambling), quest'ultima originariamente definita dal punto di vista
psichiatrico come disturbo compulsivo o del controllo degli impulsi e
di recente classificata nell'ultima edizione del Manuale diagnostico
e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) come forma di dipendenza al
pari di quelle da sostanze stupefacenti e alcool.
Anticipando le considerazioni che saranno infra svolte, appare
fin d'ora opportuno sottolineare che proprio nell'ultima edizione del
DSM, le categorie di abuso e dipendenza da sostanze sono state
unificate in un unico disturbo, misurato su un continuum da lieve a
grave, - i cui criteri per la diagnosi sono stati uniti in un unico
elenco di undici sintomi -, comprensivo del disturbo da gioco
d'azzardo, indicato come esempio di una nuova categoria di dipendenze
comportamentali.
Adeguandosi a tale nuova classificazione e in sostanziale
allineamento con la sentenza delle Sezioni Unite, la giurisprudenza
degli ultimi anni e' ormai sostanzialmente uniforme non soltanto nel
riconoscere la ludopatia tra i disturbi di personalita', ma altresi'
nel ritenere la relativa condizione idonea ad integrare il vizio di
mente totale o parziale dell'autore del fatto, specialmente laddove
sia fortemente compromessa la capacita' di volere, nel senso di
capacita' di frenare le sollecitazioni endopsichiche che sollecitano
comportamenti compulsivi finalizzati all'appropriazione di denaro da
spendere nel gioco, con impulsi all'azione del tutto analoghi a
quelli che stimolano l'azione delittuosa di un tossicodipendente
(cfr. tra le tante, Cassazione pen., sez. VI, 10 maggio 2018, n.
33463, secondo cui «ai fini del riconoscimento del vizio totale o
parziale di mente, il gioco d'azzardo patologico, che e' da
considerarsi un disturbo della personalita' o disturbo di controllo
degli impulsi, destinato, come tale, a sconfinare nella patologia e
ad incidere, escludendola, sulla imputabilita' per il profilo della
capacita' di volere, puo' rientrare nel concetto di infermita',
purche' sia di consistenza, intensita' e gravita' tali da incidere
concretamente sulla capacita' di intendere o di volere, escludendola
o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso
eziologico con la specifica condotta criminosa»; nonche', meno
recente, Cassazione pen., n. 45156/2015, che, in relazione alla
condotta di una donna autrice del delitto di rapina ed affetta da una
«sindrome di disregolazione della dopamina» in grado di indurre
comportamenti compulsivi, tra cui il gioco d'azzardo, censurando la
valutazione del giudice di merito, ha richiamato la necessita' di una
verifica positiva in ordine alla sfera della capacita' di volere
implicante l'esistenza di un impulso cui resisti non potest alla
perpetrazione del reato).
D'altro lato, la scelta legislativa di valutare e trattare
diversamente «stati mentali» riconducibili al medesimo modello
esplicativo, non appare piu' ragionevole sotto il profilo della
coerenza, in quanto giustificata da intenti di prevenzione generale
di particolare rigore rispetto a «forme di intossicazione, che
attaccano alle radici la forza e con questa, l'avvenire della
stirpe», divenuti nondimeno del tutto incongruenti rispetto al mutato
contesto globale della societa' attuale, in cui la tossicodipendenza
(cosi' come l'alcooldipendenza), pur restando inequivocabile piaga
sociale, non e' piu' valutata in termini di devianza, ma quale
manifestazione della c.d. addiction, concettualizzata secondo modelli
accreditati dalle scienze mediche e sociologiche quale disturbo di un
malfunzionamento dei circuiti cerebrali della ricompensa (a sua volta
causato dall'assunzione prolungata) suscettibile di integrare una
vera e propria compromissione patologica (6) non necessariamente
irreversibile, in presenza di determinate caratteristiche di
contesto (7) .
In altri termini, in conformita' con il modello proposto da
autorevole dottrina scientifica, trattasi non tanto di una «malattia
del cervello», bensi' di un «disturbo incorporato in un contesto
sociale», in cui, ai fini dell'iniziazione all'addiction, sia pure
innescata da un'attivita' volitiva iniziale (la prima dose di
stupefacente, il primo bicchiere, la prima slot), assumono rilevanza
fattori biochimici, cosi' come fattori psicologici, economici,
sociali e situazionali (8) .
Tale impostazione e' stata del resto progressivamente condivisa
dall'evoluzione legislativa, che si e' dimostrata sempre piu'
sensibile verso la presa in carico di soggetti che versino in
condizioni di abuso di stupefacenti, attraverso l'apertura alla
prevenzione ed al reinserimento sociale:
con la legge n. 685/1975 i luoghi di cura non sono piu' gli
ospedali psichiatrici, ma i normali presidi ospedalieri, favorendo
l'immagine del tossicodipendente non piu' come potenziale o attuale
criminale, ma come persona malata e bisognosa di cure;
con la legge n. 297/1985 si sottolinea il fondamentale valore
dell'intervento preventivo rispetto all'abuso di sostanze e il
bisogno di un reinserimento sociale ai fini del trattamento;
con la legge n. 663/1996, si regola la modalita' di
affidamento in prova ai servizi sociali per il detenuto
tossicodipendente o alcoldipendente che abbia in corso un programma
di recupero o che intenda sottoporsi ad esso;
con la legge n. 162/1990 si conferma la volonta' politica di
collocare il problema della dipendenza da stupefacenti al centro
dell'attenzione della comunita' civile, come espressione del disagio
del singolo, portatore di problematiche piu' ampie, prevedendo che la
pena detentiva nei confronti di persona condannata per reati commessi
in relazione al suo stato di tossicodipendenza sia scontata in
istituti idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e
socio-riabilitativi.
Rispetto a tale qualificazione ormai condivisa dalla scienza
moderna in tema di dipendenza (da sostanze e comportamentali), le
«finzioni giuridiche» stabilite dagli articoli 92 e 93 del codice
penale ed il rigore che sottende la disposizione oggetto dell'odierna
censura, -fondata su un modello giuridico del tutto sfasato rispetto
alle categorie scientifico-naturalistiche che secondo le attuali
correnti psicodinamiche e fenomenologiche spiegano l'abuso di
sostanze e l'alcoldipendenza collocandole all'interno di patologie
comportamentali -, si dimostrano irragionevolmente anacronistiche, in
quanto non corrispondenti e addirittura contrastanti con le esigenze
del tempo attuale.
In conformita' con la dottrina costituzionalistica in materia,
l'anacronismo legislativo e' stato infatti individuato, innanzitutto,
nella «sfasatura» nella «mancata armonia sul piano temporale» e,
quindi, nel «contrasto» che la norma presenta «nei confronti delle
strutture sociali connesse alla sua regolazione» e dei «modelli
culturali in atto in una determinata societa'»; in questo senso, puo'
manifestarsi «quando la legge, come mezzo originariamente collegato
ad un fine, perde col passare del tempo, il senso di tale relazione
.funzionale, ossia la propria ratio» - intesa sia quale motivazione
storicamente contingente e soggettiva posta all'origine della
formulazione della norma sia quale fondamento razionale obiettivo
della norma stessa - «e risulta percio' irragionevole», anche in
seguito al «mutare dei rapporti assiologici sui quali la legge si
fondava o, comunque, per la intervenuta non corrispondenza ai suoi
originari presupposti».
Nella giurisprudenza costituzionale, del resto, si rinvengono
numerose pronunce in cui l'obsolescenza o inattualita' delle norme -
e la connessa perdita di ratio -, sono state ricondotte al mutare (o
al venir meno) dei presupposti scientifici a sua volta conseguente ai
progressi ed alle acquisizioni della scienza medica (cfr. sul punto
Corte costituzionale n. 134/1985; n. 179/1988; nonche' n. 324/1998 la
quale, ritenendo incompatibili con i principi costituzionali le norme
che prevedevano l'applicabilita' anche ai minori della misura di
sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, ha
evidenziato che «il legislatore, recependo le acquisizioni piu'
recenti della scienza e della coscienza sociale, ha riconosciuto come
la cura della malattia mentale non debba attuarsi se non
eccezionalmente in condizioni di degenza ospedaliera, bensi' di norma
attraverso servizi e presidi psichiatrici extra ospedalieri, e
comunque non attraverso la segregazione dei malati in strutture
chiuse come le preesistenti istituzioni manicomiali»).
Cio' che e' avvenuto con riguardo alla disciplina dei reati
commessi in fase di intossicazione, elaborata in un contesto storico
in cui peraltro il problema criminogeno della tossicodipendenza era
del tutto trascurabile, giacche', come osservato da autorevole
dottrina, «fino agli anni cinquanta il tossicomane era una figura
isolata, di estrazione borghese o piu' elevata, scarsamente integrato
nella vita sociale lavorativa tradizionale che, al massimo, poteva
rivestirsi, nel suo comportamento, di caratteri asociali, ma non
antisociali o francamente criminosi»; e l'immagine del «pallido
viveur che annusa cocaina o il morfinomane che e' preda del farmaco
per debolezza di carattere o per malattia cronica piu' o meno
confessabile» cliche' «quasi letterario e romantico, del
tossicodipendente della prima meta' del secolo» appare assai distante
dalla definizione della tossicodipendenza offerta dalla
Organizzazione mondiale della sanita' supra richiamata.
In questo senso, ritiene il decidente che i mutamenti
extranormativi sopravvenuti nel contesto di riferimento della norma
in tema di cronica intossicazione ne abbiano inevitabilmente
determinato l'obsolescenza, privandola della sua ratio, ovvero del
suo fondamento giustificativo attuale e rendendola incostituzionale
in forza di una sopravvenuta irragionevolezza, con un conseguente
pregiudizio per il principio di coerenza interna dell'ordinamento,
tenuto conto della difforme valutazione riservata ad altre forme di
dipendenza.
La censura non coinvolge per l'effetto la discrezionalita' del
legislatore, poiche' il giudice costituzionale interviene al fine di
sanare un vizio non originario, ma provocato dal semplice passaggio
del tempo, sicche' la dichiarazione di incostituzionalita' non e'
idonea in concreto a sollevare reazioni di lesa violazione
dell'autonomia legislativa.
4.2,2. Sintomi di irragionevolezza, in relazione al principio di
cui all'art. 3 della Costituzione, nonche' profili di anomalia,
rispetto al principio dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti
giurisdizionali di cui all'art. 111 della Costituzione, sono altresi'
ravvisabili, a parere di questo giudice, nell'accostamento della
condizione di intossicazione cronica del tossicodipendente rispetto a
quella dell'alcooldipendente, rispetto alle alterazioni patologiche
permanenti richieste ai fini del riconoscimento del vizio di mente
idoneo ad incidere sull'imputabilita', ex articoli 88 e 89 del codice
penale.
Anche in questo caso, l'evoluzione scientifica ha infatti
dimostrato che esiste una differenza sostanziale sul piano clinico,
sintomatologico, anatomopatologico, sociale e psicologico tra
intossicazione da alcool e intossicazione da sostanza stupefacente e
che, contrariamente a quanto avviene per l'alcolismo, dove la
cronicita' trova base sia clinica che anatomopatologica, non vi e'
sostanza stupefacente che induca un danno anatomico di tale gravita'
da indurre una «permanente e irreversibile anomalia psichica».
Se ne ricava che mentre l'intossicazione alcolica rappresenta una
«patologia di rilievo somatico, neurologico, psichiatrico, con
spiccate caratteristiche di permanenza e, comunque osservabile
costantemente anche oltre la cessazione degli effetti, con parametri
di rilievo nosografico», le tossicomanie di fatto non rientrano mai
nel disposto di cui all'art. 95 del codice penale, giacche' e'
estremamente raro che possano rinvenirsi quelle «alterazioni
psichiche permanenti» necessarie ai fini del riconoscimento della
«cronica intossicazione» da sostanze, idonea ad escludere
l'imputabilita'.
In verita', se i piu' recenti studi eseguiti grazie all'impiego
delle moderne tecniche di neuroimmagine consentono di ritenere con un
sufficiente grado di certezza l'influenza delle droghe sul
:funzionamento delle principali capacita' cerebrali, agendo
direttamente sui neuro-trasmettitori (le molecole che coordinano la
trasmissione degli impulsi nervosi) e determinando significative
conseguenze, - quali la perdita di reazione agli stimoli,
l'incapacita' di valutare e controllare le proprie azioni, lo
sdoppiamento di personalita', le alterazioni mentali, oltre ad una
distorta percezione dello spazio e del tempo e alterazioni delle
funzioni cognitive -, documentabili anche a distanza di mesi dalla
sospensione dell'uso (come per la cocaina), nondimeno, trattasi di
alterazioni in via generale reversibili con la cessazione del
consumo, grazie al ruolo della plasticita' cerebrale rispetto al
recupero cognitivo, pur variabile, a seconda della durata dell'uso,
della quantita' delle sostanze assunte, dalle modalita'
dell'assunzione e della sensibilita' individuale, oltre che della
compresenza di altre malattie.
Per altro verso, come osservato dalla letteratura scientifica
piu' accreditata, le psicosi acute e croniche indotte dall'alcool
sono di accertamento relativamente agevole e strettamente legate agli
stati permanenti di intossicazione cronica, quali il «delirium
tremens» (perturbamento di coscienza con grande irrequietezza,
tremori e allucinazioni visive spesso terrifiche), la «allucinosi
alcolica» (saldo delirio di persecuzione sulla base di allucinazioni
soprattutto uditive); il «delirio di gelosia» (convincimenti
irremovibili ed erronei sulla infedelta' del partner), la «sindrome
di Korsakoff» (manifestantesi in molte affezioni tossiche o in altre
malattie organiche, quali traumi, tumori ovvero gravissime lesioni
della memoria, colmata da fantastiche invenzioni e accompagnata da
confabulazione) e la «demenza alcolica» (scadimento globale
intellettivo grave ed irrimediabile). Trattasi, pertanto, di
patologie di rilievo somatico, neurologico e psichiatrico che hanno
caratteristiche di permanenza e sono certamente osservabili anche
oltre la cessazione dell'abuso.
Al contrario, i disturbi psicotici acuti e cronici da uso di
sostanze sono di difficile e contrastato inquadramento e, come gia'
supra evidenziato, sebbene idonei ad escludere o scemare la capacita'
di volere in caso di gravi disordini da dipendenza, non hanno
necessariamente effetti permanenti e/o irreversibili, ad eccezione
dei casi di uso protratto di eroina e morfina, suscettibili di
produrre una degenerazione grassa dei neuroni, associata a varie
lesioni di tipo degenerativo, quali sclerosi, tigrolisi, o lesioni
regressive delle pareti vascolari con conseguente spopolamento
cellulare, e, per l'effetto, stati discrasici che difficilmente
possono consentire la perpetrazione di reati.
In questo scenario, la psichiatrica clinica, la
neuropsicofarmacologia e la neurobiologia puntano l'attenzione
proprio sul problema ancora oggi insoluto del ruolo che le sostanze
d'abuso possono esercitare nell'esordio di un disturbo psichiatrico
e, in particolare, di un quadro psicotico.
A cio' vanno aggiunte le perplessita' gia' sollevate con la
questione decisa con la sentenza n. 114/1998, in ordine all'oggettiva
difficolta' di stabilire un confine tra normalita' e anomalia in un
quadro di cronica intossicazione da stupefacenti, e, per l'effetto,
di pervenire ad una motivazione del provvedimento giurisdizionale che
la riconosce o la esclude senza risolversi in formule stereotipe,
incongrue e contraddittorie, in ossequio al principio di cui all'art.
111 della Costituzione.
Cio' in quanto, in conformita' con quanto ritenuto dalla
letteratura psichiatrica in materia:
a) non esiste una struttura di personalita' tipica del
tossicodipendente;
b) i tratti abnormi o patologici di personalita', qualora
esistano, non si sa se precedono o succedono all'uso di sostanze
stupefacenti;
c) le eventuali manifestazioni psicopatologiche, in senso
lato intese, possono cambiare con il cambiamento del contesto
storico-culturale;
d) se disturbi patologici psichici persistono anche a
distanza di tempo nella personalita' del tossicodipendente, essi
vanno essenzialmente riportati ad una patologia organica (in via
generale provocata da sostanze quali barbiturici, sedativi e
ipnotici, oppiacei, anfetaminici) ovvero ad una patologia di tipo
depressivo-paranoideo.
Peraltro, se e' pacifica la sintomatologia propria dei disturbi
mentali organici - costituita da deficit dell'attenzione, memoria
compromessa, ideazione rallentata e irrigidita, disfunzioni
dell'umore, compromissione delle attivita' sociali e professionali,
sospettosita' e idee paranoidi o di riferimento, ansia marcata,
aggressivita' e ostilita' -, oltre agli esiti dei test mentali
(specialmente il test di Rorschach e i test di disegno della figura
umana), resta il fatto che i dati clinici segnalati dalla letteratura
sono difficilmente individuabili e fruibili in ambito giudiziario,
specialmente nei confronti di soggetti che appartengano a culture
differenti da quella occidentale ed in parte coincidono con i tratti
comuni a tutti i tossicodipendenti, rendendo francamente ambiguo e
privo di validita' scientifica l'accertamento peritale sul quale si
fonda la decisione, che - giova ancora una volta evidenziarlo -, in
assenza di patologie somatiche o neurologiche specifiche direttamente
collegate all'intossicazione, si fonda una verifica di un'alterazione
inerente lo stato psichico e comportamentale e non biologico del
soggetto e nella maggioranza dei casi, avviene in un momento che non
coincide con l'epoca di commissione del reato, sicche' lo stato
psichico del soggetto viene ricostruito per retrospezione.
A cio' va aggiunto che, proprio per le considerazioni supra
svolte, in tutti i casi in cui l'uso di sostanze diventa cronico,
subentrano altri fattori nel mantenimento del comportamento
tossicomanico, non necessariamente coincidenti con tratti o disturbi
preesistenti di personalita', ma consistenti piu' in generale con
patologie conflittuali o frustrazionali, fattori socio-ambientali e
culturali, esperienze legali e giudiziarie di diversa gravita';
fattori che rendono inevitabilmente l'approccio esclusivamente
medico-biologico-psichiatrico del tutto inadeguato, riduttivo,
impreciso.
Se ne ricava che non e' in alcun modo determinabile con
ragionevole certezza scientifica, ai fini del riconoscimento della
cronicita' dell'intossicazione, il momento in cui l'uso abitudinario
sfocia nelle alterazioni piu' o meno stabili richiamate dal
legislatore: l'assenza di una base per una diagnostica clinica,
preclude quell'accertamento differenziale che sembra richiamato dalle
norme esaminate.
Ne e' prova, del resto, la vicenda sottostante l'odierna
questione, in cui il medesimo soggetto, valutato a distanza di
qualche mese da due distinti professionisti, e' stato ritenuto dal
primo non imputabile e per l'effetto collocato in REMS e dal secondo
imputabile e per l'effetto sottoposto a misura cautelare, proprio in
ragione di un difforme giudizio in ordine alla configurabilita' di
una condizione di cronica intossicazione.
Infine, non puo' sottacersi che, a differenza dell'alcool, gli
stupefacenti non rappresentano una sostanza categorialmente unitaria
e, dunque, producono nei consumatori disturbi che si inseriscono in
quadri psicopatologici diversi, a seconda del tipo di sostanza
assunta: esiste in questo senso, un'enorme differenza nelle
conseguenze dell'uso, tra le singole droghe, sul piano
comportamentale oltre che clinico, agendo alcune sostanze in
direzione dell'io (modificazione della somaticita', apertura verso
fantasie allucinanti) ed altre, alterando il rapporto interpersonale
e causando comportamenti eteroaggressivi (9) .
Richiamando integralmente i quadri tossici previsti dalla
psichiatria forense e riportando in questa sede, a titolo
esemplificativo, gli effetti conseguenti all'assunzione di
Psicodislettici minori ovvero di Sostanze stimolanti (assunte
dall'imputato del procedimento a quo), nel caso di intossicazione
cronica da cannabis, le evidenze piu' significative si
manifesterebbero sotto forma di una sindrome simile alla schizofrenia
ovvero di una psicosindrome organica, mentre, nel caso di
intossicazione cronica da cocaina, il quadro si trasformerebbe in una
psicosi cronica di tipo schizofrenico paranoide, con manie di
persecuzione, allucinazioni e tono dell'umore orientato in senso
disforico-depressivo.
Se ne ricava la sostanziale impossibilita' di delineare un unico
quadro clinico e psichiatrico di intossicazione cronica da sostanze
oggettivamente misurabile con riferimento alle sostanze assunte,
posto che ogni psicosi ha un significato diverso sulla base di ogni
intossicazione da sostanze e della struttura di personalita'
dell'assuntore e che non e' mai possibile procedere
all'identificazione delle sostanze presenti nell'organismo, ne'
stabilire l'epoca di insorgenza della intossicazione, cosi' come la
durata e l'entita' dell'abuso.
Senza trascurare l'effetto procurato da sostanze psichedeliche
solitamente utilizzate per «tagliare» la cocaina, destinate ad
incrementare la sintomatologia psicotica, mediante alterazione della
percezione e dello stato di coscienza, provocando allucinazioni,
distorsioni della realta', modifiche della percezione del tempo e
dell'ambiente; questo significa che l'effetto di una sostanza (nella
specie, la cocaina) non puo' essere mai matematicamente
predeterminato, ne' univoco, ma, ancora un volta, dev'essere sempre
contestualizzato all'interno delle ben piu' ampie dinamiche della
vita personale e sociale del tossicodipendente.
4.2.3. Infine, ritiene il decidente che la norma censurata,
precludendo per le sostanze stupefacenti (e per le ragioni supra
spiegate) l'accertamento di uno stato mentale in concreto idoneo a
superare la finzione giuridica di cui all'art. 93 del codice penale,
contrasti con il principio di personalita' e di finalita' rieducativa
della pena di cui all'art. 27, terzo comma della Costituzione, da
intendersi sia come divieto imposto al legislatore di ricorrere alla
c.d. responsabilita' oggettiva, fondate sul mero versori in re
illicita, sia, nelle ipotesi di possibile riconoscimento di un vizio
di mente parziale, ai sensi dell'art. 89 del codice penale, in
termini di «individualizzazione del trattamento sanzionatorio»,
diretta a rendere quanto piu' possibile «personale» la
responsabilita' penale e, nello stesso tempo, quanto piu' possibile
«finalizzata» la pena determinata in caso di condanna (cfr. Corte
costituzionale, n. 50/1980), giacche', come piu' volte rammentato da
codesta Corte, una pena non proporzionata alla gravita' del fatto si
risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa (cfr. ex multis,
Corte costituzionale, sentenze n. 236/2016, n. 68/2012 e n.
341/1994).
In questo senso, il principio della personalita' della
responsabilita' penale impone uno stretto legame tra colpevolezza e
liberta' di agire e di volere dell'uomo, intesa come capacita'
dell'uomo di autodeterminarsi, di decidere tra piu' alternative, in
ultima istanza, come liberta' di agire altrimenti dell'individuo, a
cui comunque deve potersi muovere un rimprovero individuale (perche'
il soggetto e' stato nelle condizioni di comprendere il significato
nocivo della propria azione nel giudizio di valore che impone
l'inflizione di un castigo), sia pure estraneo allo stato psicologico
del momento, ai sensi dell'art. 42 del codice penale, in un disegno
complessivo diretto a garantire la certezza e la prevedibilita'
dell'agire umano.
Per altro verso, una pena applicata a prescindere dall'esigenza
di rieducazione del condannato incolpevole, solo per ragioni di
deterrenza di natura generai-preventiva, finirebbe per
«strumentalizzare» la persona, sacrificando i suoi beni fondamentali
per ragioni di politica criminale, in contrasto con il principio c.d.
personalistico che ispira la Costituzione.
Sul punto, invero, i principi di cui agli articoli 3 e 27 della
Costituzione «esigono di contenere la privazione della liberta' e la
sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria
e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione,
riconciliazione e reinserimento sociale» (Corte cost. n. 179/2017) in
vista del «progressivo reinserimento armonico della persona nella
societa', che costituisce l'essenza della finalita' rieducativa»
della pena (cfr. Corte costituzionale n. 149/2018).
La stessa Corte costituzionale, dichiarando l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 69, quarto comma del codice penale, nella
parte in cui statuisce il divieto di prevalenza della circostanza
attenuante di cui all'art. 89 del codice penale sulla circostanza
aggravante della recidiva, ha di recente (sentenza n. 73 del 24
aprile 2020) colto l'occasione per precisare che «il principio di
proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del reato, da
tempo affermato da questa Corte sulla base di una lettura congiunta
degli articoli 3 e 27, terzo comma, Costituzione (a partire almeno
dalla sentenza n. 343 del 1993; in senso conforme, ex multis,
sentenze n. 40 del 2019, n. 233 del 2018, n. 236 del 2016) esige in
via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al
concreto contenuto di offensivita' del fatto di reato per gli
interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal
fatto medesimo (sentenza n. 222 del 2018). E il quantum di disvalore
soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto
della volonta' criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o
della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno
influito sul processo motivazionale dell'autore, rendendolo piu' o
meno rimproverabile»; fattori tra i quali si colloca, in posizione
preminente, «proprio la presenza di patologie o disturbi
significativi della personalita' (cosi' come definiti da Corte di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 gennaio - 8 marzo 2005,
n. 9163) come quelli che la scienza medico-forense stima idonei a
diminuire, pur senza escluderla totalmente, la capacita' di intendere
e di volere dell'autore del reato».
D'altro lato, appare evidente come l'eventuale palese
sproporzione della risposta punitiva - e del sacrificio della
liberta' personale -, anche e specialmente nelle ipotesi in cui la
pena deve mirare non soltanto alla rieducazione ma anche alla cura
del condannato, compromette ab initio il processo rieducativo, al
quale il reo tendera' a non prestare adesione, gia' solo per la
percezione di subire una condanna ingiusta, svincolata dalla gravita'
e dal disvalore della propria condotta) (10) .
Tutto quanto innanzi premesso, appare di tutta evidenza come si
riveli alquanto pregiudizievole per l'efficacia rieducativa in
concreto della pena, rispetto ai casi di scarsa gravita', la
preclusione della possibilita' di riconoscere una minorata
responsabilita' soggettiva del reo, favorendo l'applicazione di
misure di sicurezza, certamente piu' adeguate nelle ipotesi di
imputabilita' diminuita, in quanto recanti un profilo di «cura»
associato al contenimento della pericolosita'.
In particolare, essendo preclusa la possibilita' di accertare
l'esistenza di una patologia di carattere permanente ed irreversibile
idonea a consentire l'applicazione delle norme di cui all'art. 88 e
89 del codice penale, nelle ipotesi in cui e' in astratto ravvisabile
una diminuita capacita' di intendere o di volere del responsabile,
difetta la possibilita' di applicare un trattamento adeguato e
proporzionato al singolo caso concreto, nonche' di ricorrere a
trattamenti finalizzati al recupero e al reinserimento del reo nelle
ipotesi in cui quest'ultimo, pur essendosi reso responsabile di una
condotta criminosa, meriti una ridotta rimproverabilita' proprio per
il suo minore grado di discernimento del disvalore della propria
condotta ovvero della sua minore capacita' di controllo dei propri
impulsi, al momento di commissione del fatto, in frontale contrasto
con la finalita' rieducativa della pena.
4.3. Ritenuta l'illegittimita' costituzionale della norma di cui
all'art. 95 del codice penale, cosi' come interpretata alla luce
dell'univoco indirizzo giurisprudenziale costituente diritto vivente
supra richiamato, e' onere di questo giudice verificare se della
disposizione censurata possa essere offerta, nell'osservanza degli
ordinari criteri ermeneutici, un'interpretazione adeguatrice, in
grado di porla al riparo dalle sollevate censure e comunque
rispettosa dei parametri costituzionali, non sussistendo alcun
obbligo di uniformarsi all'interpretazione stabilizzata (cfr. Corte
costituzionale, n. 230 del 12 ottobre 230).
Cio' posto, l'unico percorso interpretativo praticabile, appare
quello apparentemente «suggerito» dalla stessa Corte costituzionale
con la sentenza n. 114/1998 (la quale, nel richiamare i progetti di
riforma del codice penale degli anni '90, sottolinea lo spazio
autonomo assegnato alla «cronica intossicazione da alcool o da
sostanze stupefacenti» rispetto alle ipotesi di infermita' o alle
altre anomalie, in questo senso svincolandola proprio dal concetto di
infermita') e fatto proprio dalla nota sentenza della Cassazione a
SS.UU. n. 9163/2005, che, con uno storico cambio di rotta destinato a
fare da viatico anche nei confronti di quei disturbi psichici non
perfettamente inquadrabili dalla nosografia clinica, ha aperto la
categoria del vizio di mente a tali condizioni, comprensive dei
disturbi mentali o disordini dell'umore o del pensiero, scavalcando
la nozione classica di malattia psichiatrica.
In questo senso, ci si chiede se sia possibile ipotizzare la
sussistenza di uno stato di cronica intossicazione da stupefacenti in
presenza di una condizione di infermita' nella quale siano compresi
anche i gravi disturbi di personalita' che, pur non avendo un
inquadramento nosografico ed essendo transeunti e reversibili, siano
di consistenza, intensita', rilevanza e gravita' tali da
concretamente incidere sulla capacita' di intendere e di volere.
Seguendo tale approccio interpretativo, sarebbe possibile aprire
alla possibilita' di riconoscere legittimazione alla categoria dei
«Disturbi correlati a sostanze» (Disturbo da uso di sostanze DUS),
riconosciuta dal DSM-V, ai fini della configurabilita' di uno stato
di cronica intossicazione, sia pure in presenza di sintomatologia non
permanente ne' irreversibile.
Nell'identificazione del disturbo sarebbero pertanto utilizzabili
i criteri elaborati dalla psichiatria forense, in relazione ad una
sintomatologia riscontrata entro un termine di dodici mesi:
1. Tolleranza: fenomeno caratterizzato dal bisogno di dosi
notevolmente piu' elevate della sostanza per raggiungere
l'intossicazione o l'effetto desiderato;
2. Astinenza: manifestata dalla caratteristica sindrome di
astinenza, la quale porta ad assumere la sostanza (o una strettamente
correlata a quella abituale) per attenuare o evitarne i sintomi;
3. Interruzione o riduzione delle attivita' sociali,
lavorative o ricreative, con danni sul funzionamento della persona;
4. Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o
controllare l'uso della sostanza;
5. Quantita' significative di tempo impiegato nella ricerca e
nell'assunzione della sostanza;
6. Perdita del controllo ed attuazione di comportamenti d'uso
compulsivi;
7. Uso continuativo della sostanza nonostante la
consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di
natura fisica o psicologica, causato o esacerbato dalla sostanza;
8. Uso frequente con incapacita' di adempiere ai propri
compiti;
9. Uso della sostanza in situazioni a rischio;
10. Uso ricorrente della sostanza nonostante l'insorgenza di
problemi sociali o interpersonali;
11. Craving, inteso in termini di desiderio impulsivo per una
sostanza psicoattiva, per un cibo o per qualunque altro
oggetto-comportamento gratificante.
In dettaglio, proprio la sintomatologia del craving consente di
spiegare il modello dell'addiction elaborato sulla scorta delle
evidenze del progresso neuroscientifico degli ultimi trentanni, che
ha consentito di verificare come le sostanze psicoattive agiscano sul
sistema nervoso, alterando il normale equilibrio dei
neurotrasmettitori e di fatto i processi del c.d. circuito della
gratificazione ovvero i processi di elaborazione delle informazioni
ed i processi critici cerebrali che interagiscono con il controllo
comportamentale.
Sul punto, invero, una recente rassegna di studi ha accertato
che, in caso di dipendenza in fase avanzata, sono ravvisabili una
serie di alterazioni inerenti non soltanto la struttura del sistema
nervoso centrale - con la riduzione della capacita' della corteccia
prefrontale di dare il via a comportamenti in risposta a
gratificazioni biologiche, di fatto diminuendo il controllo cognitivo
e incrementando l'impulso glutamatergico nella risposta allo stimolo
associato alla sostanza -, ma altresi' il profilo sensoriale,
generando una visione distorta della realta' e condizionando lo stato
psichico del soggetto, rendendolo il piu' delle volte incapace di
determinarsi razionalmente, sebbene le due forme di alterazione siano
comunque influenzate da fattori individuali (condizioni genetiche con
deficit del sistema dopaminergico e controllo comportamentale), oltre
che da fattori familiari e socio-ambientali, come la mancanza di
adeguate cure, supporto e controllo parentale, ovvero condizioni di
deprivazione affettiva, eventi e condizioni di vita stressanti.
In questo senso, l'addiction assume i contorni di un disturbo
della cognizione sociale, configurandosi in termini di una condizione
patologica progressiva in grado di ledere fortemente lo stato
generale di salute psico-fisica dell'individuo e di condizionarne in
modo sostanziale e pervasivo il comportamento in ambito personale; ed
e' per l'effetto una condizione in grado di influire sullo stato di
mente dell'individuo e ricondurlo a condizioni di infermita',
variabili per intensita' in funzione della gravita' del disturbo.
Ritiene tuttavia il decidente che tale interpretazione della
«cronica intossicazione», riferita non soltanto ad una malattia
psichiatrica ma anche a gravi disturbi di personalita', sia pure
strettamente correlati alla realizzazione della condotta non soltanto
non consente il superamento delle censure di indeterminatezza e di
irragionevolezza della disposizione di cui all'art. 95 del codice
penale supra illustrate, in assenza di solide basi scientifiche che
consentano di individuare una patologia somatica o neurologica ovvero
una condizione di disturbo specifica ma si pone in contrasto con il
presupposto della cronica intossicazione nei termini voluti dal
legislatore del 1930, ipotizzabile soltanto quando l'abuso abbia
comportato «alterazioni psichiche permanenti».
Non puo' sottacersi che l'art. 95 del codice penale si inserisce
immediatamente dopo una serie di disposizioni che contemplano una
sorta di anticipazione del «rimprovero» rivolto all'autore del fatto
illecito nel momento dell'assunzione della sostanza e non·al momento
della realizzazione della condotta commesso sotto l'azione della
sostanza: so bene o posso immaginare che quando hai commesso il fatto
eri in condizioni di capacita' assente o scemata, ma ti punisco
perche' sei stato tu a porti in questo stato e, piuttosto, ti punisco
con maggiore severita' se accerto il tuo atteggiamento antisociale di
persona dedita al consumo di stupefacenti. Nondimeno, non posso
muoverti analogo rimprovero se accerto che quando hai assunto la
sostanza e quando hai commesso il fatto la tua capacita' era assente
o scemata grandemente.
Pretendere l'esistenza di una pre-condizione di infermita' o
anche soltanto di disturbo di personalita' quale l'addiction in primo
luogo, condurrebbe a pronunciamenti tautologici: dovendo spiegare
quali siano le infermita' idonee a produrre incapacita' di intendere
e di volere si risponde che si intende infermita' quello stato che
produce incapacita' di intendere e di volere, proprio in quanto
qualsiasi situazione morbosa, anche se non ben definibile
clinicamente, e' idonea a configurare il vizio di mente, purche' la
sua intensita' sia tale da escludere o diminuire grandemente le
capacita' intellettive e volitive del soggetto.
In secondo luogo, crea distonia ed incoerenza con il sistema,
giacche', per le considerazioni esposte, ai sensi dell'art. 95 del
codice penale, la cronica intossicazione rappresenta lo stadio
conclusivo dell'alcolismo o della tossicodipendenza, caratterizzato
da una vera e propria stabilita' dei fenomeni tossici, che persistono
anche dopo l'eliminazione delle sostanze dall'organismo e che non
sono assenti neanche negli intervalli di astinenza.
In questo senso, a differenza del carattere transeunte
dell'assunzione abituale di sostanze e del carattere acuto dei
fenomeni tossici, l'intossicazione cronica e' considerata un vero e
proprio status, caratterizzato da incapacita' totale o parziale di
autodeterminarsi liberamente, tale da rendere incoercibile, in primo
luogo, la necessita' di ingerire sostanze tossiche, in secondo luogo,
la condotta criminosa.
Adoperando una suggestiva espressione elaborata riguardo
all'ubriaco, il tossicodipendente abituale e' folle perche' assume
sostanze psicoattive, mentre l'intossicato cronico assume sostanze
psicoattive perche' e' folle.
Cio' posto, nell'impossibilita' di calare le nozioni
naturalistiche nell'ambito della norma giuridica e distinguere tra
cronicita' d'uso e cronicita' semeiologicamente evidenziabile, anche
in rapporto all'assenza di solide basi scientifiche e diversamente da
quanto avviene nell'ambito della problematica dell'imputabilita'
connessa all'abuso di sostanze alcoliche, ritiene questo giudice che
l'unica via che consenta di ritenere la disposizione censurata
conforme ai principi di uguaglianza e di personalita' della pena sia
la previsione di una cronicita' dell'intossicazione ancorata non ad
una condizione di infermita', di malattia o di disturbo, con effetti
permanenti o irreversibili, ma ad una cronicita' d'uso, diversa
dall'uso abituale e riferibile a quello stadio dell'iter della
tossicomania in cui si produce l'effetto peculiare dell'addiction,
individuabile sulla base della sintomatologia proposta dal DSM-V e
sostanzialmente caratterizzato da una limitazione della volonta', che
- e' bene evidenziarlo - si manifesta nei confronti del consumo di
droga, senza necessariamente generalizzarsi o estendersi ad ogni
altro settore dell'agire e in particolare alla commissione di
delitti.
Valutata la configurabilita' di una condizione di cronicita' nel
senso dianzi illustrato, sulla scorta di criteri diagnostici ben
definiti, l'accertamento di eventuali connessioni tra gli esiti del
prolungato abuso e le caratteristiche della personalita' di base del
tossicomane, nonche' la verifica di un'evoluzione verso la
radicalizzazione delle componenti nevrotiche o verso lo scompenso
psicotico, e l'esistenza di un nesso eziologico con il fatto
sarebbero dunque consentite dall'espresso richiamo contenuto
nell'art. 95 del codice penale alle disposizioni di cui agli articoli
88 e 89 del codice penale.
Una simile prospettazione consentirebbe a parere del decidente di
riportare il concetto di cronica intossicazione da stupefacenti
nell'alveo della determinatezza e del rispetto del principio di
legalita', spostando il relativo accertamento alla valutazione
normativa spettante al Giudice, peraltro, del tutto in linea con i
progetti di riforma delle norme in materia di imputabilita', i quali
traggono tutti ispirazione dalla considerazione dell'inadeguatezza
della categoria dell'incapacita' di intendere e di volere e della
scarsa predittivita' degli indicatori dell'infermita' psichica, da
considerarsi al pari di uno stato patologico transitorio, curabile e,
in molti casi, anche sanabile.
Tale da ultimo il progetto della Commissione Pelissero presentato
in data 5 giugno 2018, nel quale il concetto di infermita' non e'
piu' la chiave di lettura, ma la clausola di chiusura delle cause di
esclusione dell'imputabilita', incentrate sui gravi disturbi psichici
(coincidenti con le anomalie dello spettro psicotico) e di
personalita' (evidentemente comprensivi delle nevrosi e delle
psicopatie), a superamento i progetti elaborati dalle precedenti
Commissioni Grosso (1998) e Pisapia (2007), le cui formule ancora
contenevano il testuale richiamo alla «cronica intossicazione da
alcol o stupefacenti», associandole al concetto di infermita'.
5. Il petitum della presente ordinanza.
Rispetto alla manifesta incostituzionalita' della norma, fermo
restando il potere della Corte costituzionale di individuare - ove
ritenga fondate le questioni -, la pronuncia piu' idonea alla
reductio ad legitimitatem della disposizione censurata (cfr. Corte
costituzionale n. 221/2023), ritiene questo giudice che sia comunque
possibile il ricorso ad una soluzione «costituzionalmente adeguata»
(cfr. Corte costituzionale sentenza n. 40/2019), tale da consentire
alla Corte adita di porre rimedio nell'immediato al vulnus
riscontrato con un vero e proprio intervento
manipolativo/interpretativo.
Ebbene, a parere di questo giudice, al fine di garantire il
rispetto degli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, non
ritenendosi percorribili interpretazioni conformi a tali principi
della norma censurata, tenuto conto del chiaro tenore letterale e
della ratio della stessa e' necessaria una decisione interpretativa
del concetto della cronica intossicazione contenuto nell'art. 95 del
codice penale, restando poi ferma la possibilita' di una
rimeditazione organica della materia da parte del legislatore, con
l'adozione, nell'ambito della sua discrezionalita', di altra e piu'
congrua soluzione, purche' rispettosa dei principi costituzionali.
In subordine, si chiede in ogni caso un intervento di tipo
additivo, che consenta il ricorso all'accertamento delle cause di
esclusione dell'imputabilita', ai sensi degli articoli 88 e 89 del
codice penale, anche alle ipotesi diverse dalla cronica
intossicazione, laddove ricorra una condizione inquadrabile nella
categoria dei disturbi da dipendenza ovvero correlati all'uso di
sostanze psicotrope e non associata ad infermita' ovvero altri gravi
disturbi della personalita'.
(1) Cfr. referto di visita psichiatrica in data , ove il paziente
appariva angosciato, allucinato e delirante e accusava i genitori
di avergli fatto del male la notte precedente.
(2) Cfr. in particolare, relazione del , nella quale si evidenzia che
durante la degenza in reparto «non sono stati rilevati episodi di
discontrollo comportamentale» ne' «alterazioni ideative o della
sfera ideopercettiva» e che anche successivamente all'ingresso in
REMS, il paziente, pur presentando un profilo di funzionamento
cognitivo deficitario, «e' apparso gestibile dal punto di vista
comportamentale», senza «segni o sintomi riferibili all'ambito
psicotico o alterazioni rilevanti dell'umore», ovvero aspetti
psicopatologici di rilievo o sintomi o segni riconducibili a
diagnosi psichiatriche di asse I.
(3) Osserva la Corte nella richiamata sentenza n. 114/1998 che «e'
d'altra parte opportuno, proprio in relazione al sistema di
rigore instaurato con la sancita irrilevanza penale dello stato
tossico acuto, espressamente escluso che una intossicazione
cronica, e cioe' non piu' dominabile dal soggetto, possa a quella
severa parificazione».
(4) Cio' in linea con il concetto generale di «malattia» secondo la
scienza medica, che lo riconduce a quel «complesso di fenomeni
che si instaurano in un organismo vivente quando una causa alteri
l'integrita' strutturale delle sue parti, oppure ne faccia
deviare il funzionamento in senso dannoso».
(5) In altri termini, deve trattarsi «di un disturbo idoneo a
determinare una situazione di assetto psichico incontrollabile ed
ingestibile, che, incolpevolmente, rende l'agente incapace di
esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di
conseguentemente indirizzarli, di percepire il disvalore sociale
del fatto, di autonomamente liberamente, autodeterminarsi».
(6) Si richiamano sul punto i molteplici studi preclinici e clinici,
coerenti nel mostrare specifici cambiamenti neuroplastici
molecolari e funzionali a livello sinaptico e circuitale
innescati da un'esposizione ripetuta alla sostanza.
(7) Interessante al riguardo e' l'esito di una nota ricerca eseguita
sui militari del Vietnam, dalla quale e' risultato come oltre il
90% dei soldati che, durante la guerra, avevano problemi di
tossicodipendenza da eroina, smisero spontaneamente di assumere
la droga al ritorno nella madrepatria, in molti casi senza il
bisogno di ricorrere ad alcun tipo di intervento specifico,
soltanto in seguito ad un cambiamento radicale del contesto di
vita.
(8) Trattasi di un modello bio-psico-sociale che sostanzialmente
richiama il concetto olistico di salute fatto proprio dalla
Organizzazione mondiale della sanita' nel lontano 1946: «la
salute non e' semplicemente l'assenza di malattia, ma e' lo stato
di completo benessere fisico, mentale e sociale» e che
concettualizza l'addiction considerando che «la mente e il corpo
sono collegati e sia la mente sia il corpo influenzano lo
sviluppo l'evoluzione della dipendenza, all'interno di un
determinato contesto sociale e culturale».
(9) Secondo la letteratura scientifica, le droghe sono classificate
in quattro insiemi, distinti in base all'effetto che hanno sul
sistema nervoso centrale: droghe che deprimo il sistema nervoso
centrale; droghe che riducono la sensazione di dolore; droghe che
stimolano il sistema nervoso centrale; droghe che alterano la
funzione percettiva.
(10) In altri termini, come osservato in dottrina, «il principio di
risocializzazione della pena diviene la bussola principale nella
scelta del tipo e dell'entita' della sanzione, rendendo il
sindacato della Corte costituzionale pienamente lecito, qualora
la norma incriminatrice palesi un trattamento sanzionatorio
abnorme rispetto al fine rieducativo».
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 legge costituzionale
1° febbraio 1948 e 23 e seguenti legge n. 87 dell'11 marzo 1953,
Dichiara:
D'ufficio rilevante e non manifestamente infondata, con
riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma e 111 della
Costituzione, la questione di costituzionalita' dell'art. 95 del
codice penale, interpretato nel senso di richiedere ai fini della
«cronica intossicazione» l'esistenza di una condizione di infermita',
di malattia o di disturbo, con effetti permanenti o irreversibili, e
non una cronicita' d'uso;
In subordine, con riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma e
111 della Costituzione, la questione di costituzionalita' dell'art.
95 del codice penale, nella parte in cui, per i fatti commessi in
presenza di una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi
da dipendenza ovvero correlati all'uso di sostanze psicotrope e non
associata ad infermita' ovvero altri gravi disturbi della
personalita', limita l'applicazione delle norme di cui agli articoli
88 e 89 del codice penale alle sole situazioni di cronica
intossicazione;
Dichiara sospeso il processo a carico di R J S , nonche' il
decorso della prescrizione dei reati fino alla definizione del
giudizio dinanzi alla Corte costituzionale;
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti,
nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai
presidenti delle due Camere del Parlamento.
Bergamo, 2 aprile 2025
Il giudice: Solombrino
Oggetto:
Reati e pene – Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti – Previsione che per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88 e 89 cod. pen. – Denunciata interpretazione della norma nel senso di richiedere, ai fini della “cronica intossicazione”, l’esistenza di una condizione di infermità, di malattia o di disturbo con effetti permanenti o irreversibili e non una cronicità d’uso – Disparità di trattamento dell’autore del reato il quale versi al momento del fatto in condizioni di cronica intossicazione da alcool o stupefacenti per il quale, ai fini dell’applicabilità delle cause di esclusione dell’imputabilità di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen., è necessaria la configurabilità di alterazioni patologiche permanenti, rispetto all’autore del reato che non si trovi in tali condizioni e al quale sia applicabile il più ampio concetto di infermità, comprensiva di disturbi psichici di carattere non strettamente patologico – Contrasto con i principi di personalità e di finalità rieducativa della pena – Incidenza sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
- Codice penale, art. 95.
- Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 111.
In subordine: Reati e pene – Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti – Previsione che per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88 e 89 cod. pen. – Fatti commessi in presenza di una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi da dipendenza ovvero correlati all’uso di sostanze psicotrope e non associata ad infermità ovvero altri disturbi della personalità – Denunciata limitazione dell’applicazione delle norme di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen. alle sole situazioni di cronica intossicazione – Disparità di trattamento dell’autore del reato il quale versi al momento del fatto in condizioni di cronica intossicazione da alcool o stupefacenti, per il quale ai fini dell’applicabilità delle cause di esclusione dell’imputabilità di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen., è necessaria la configurabilità di alterazioni patologiche permanenti rispetto all’autore del reato che non si trovi in tali condizioni e al quale sia applicabile il più ampio concetto di infermità, comprensiva di disturbi psichici di carattere non strettamente patologico – Contrasto con i principi di personalità e di finalità rieducativa della pena – Incidenza sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
- Codice penale, art. 95.
- Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 111.
Norme impugnate:
codice penale del Num. Art. 95
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 3
Costituzione Art. 111 Co.
codice penale Art. 88 Co.
codice penale Art. 89 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 107 ORDINANZA (Atto di promovimento) 02 aprile 2025 Ordinanza del 2 aprile 2025 del Tribunale di Bergamo nel procedimento penale a carico di J.S. R.. Reati e pene - Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti - Previsione che per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88 e 89 cod. pen. - Denunciata interpretazione della norma nel senso di richiedere, ai fini della «cronica intossicazione», l'esistenza di una condizione di infermita', di malattia o di disturbo con effetti permanenti o irreversibili e non una cronicita' d'uso. In subordine: Reati e pene - Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti - Previsione che per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88 e 89 cod. pen. - Fatti commessi in presenza di una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi da dipendenza, ovvero correlati all'uso di sostanze psicotrope e non associata ad infermita', ovvero altri disturbi della personalita' - Denunciata limitazione dell'applicazione delle norme di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen. alle sole situazioni di cronica intossicazione. - Codice penale, art. 95. (GU n. 24 del 11-06-2025) TRIBUNALE DI BERGAMO Ufficio del giudice per le indagini preliminari Il giudice per le indagini preliminari, Alessia Solombrino visti gli atti del procedimento nei confronti di: R J S , nato in il ; Imputato 1) Per il reato di cui all'art. 572 del codice penale, perche', anche alla presenza dei figli minori R E (...) e R G ( ), ha maltrattato la compagna convivente L B , sottoponendola abitualmente a vessazioni ed aggressioni tramite le seguenti condotte reiterate: a) abituali ingiurie, con frequenza dapprima quindicinale e nel corso del quotidiana, del tenore «stronza, puttana, grassa» ed altri analoghi; b) abituali atti violenti (dapprima solo spinte, poi anche pugni e schiaffi) su tutto il corpo; c) abituali minacce, prospettando la morte ed altri danni all'incolumita' fisica della persona offesa, ogniqualvolta riceveva dinieghi (ad esempio, dell'uso della carta di debito per acquistare stupefacenti) o correlate ad un eventuale allontanamento della donna. Fatto aggravato dall'essere stato commesso in presenza di figli minori (art. 571, secondo comma, del codice penale). Reato abituale perfezionato a nel e consumato a in data 2) Per il reato di cui all'art. 646 del codice penale, perche', per procurarsi l'ingiusto profitto derivante dalla disponibilita' dei relativi beni, si e' appropriato di tre paia di scarpe (Nike Air Force bianche, Globo nere e verdi), 1 giubbotto, un forno a microonde, 1 macchinetta per il caffe' De Longhi, 1 tostapane, 1 frullatore Bosch ed 1 robot da cucina Moulinex, di proprieta' di , nella propria materiale disponibilita' in ragione della permanenza presso la casa dove precedentemente conviveva con la citata persona offesa, omettendone la restituzione al momento della richiesta della persona offesa di ritirare i propri effetti personali. Reato istantaneo consumato in data 3) Per piu' ipotesi di reato di cui all'art. 572 del codice penale, perche' ha maltrattato i propri genitori conviventi R B e K R , nonche' il proprio fratello convivente minorenne R S «di anni 16) mediante reiterate azioni vessatorie e violente, consistenti in spintoni, urla, minacce (anche di morte) alle persone, lancio e colpi ad oggetti materiali in casa, con particolare escalation di violenza fisica in data (stretta al collo del fratello minore R S ) e nei giorni compresi tra il ed il (schiaffo al R S e gravi minacce di morte ed aggressione fisica nei confronti di tutti e tre i familiari. Fatti aggravati dall'essere stati commessi in presenza e in danno di persona minorenne (art. 572, secondo comma del codice penale) Reato abituale perfezionato a ed in corso di consumazione quantomeno fino al a Osserva Questo giudice dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 95 del codice penale, nella parte in cui, per i fatti commessi in presenza di una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi da dipendenza ovvero correlati all'uso di sostanze psicotrope e non associata ad infermita' ovvero altri gravi disturbi della personalita', limita l'applicazione delle norme di cui agli articoli 88 e 89 del codice penale alle sole situazioni di cronica intossicazione. Si ritiene che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata. 1. Svolgimento del processo Con provvedimento depositato in data 24 novembre 2023, il pubblico ministero presso la locale Procura della Repubblica ha formulato richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato in epigrafe generalizzato, per i reati di cui agli articoli 572 e 646 del codice penale, a lui ascritti nell'ambito del procedimento n. 12329/2022 R.G.Mod. 21. Esperiti gli adempimenti di cui agli articoli 418 e 419 del codice di procedura penale, all'udienza preliminare del 10 gennaio 2024, la persona offesa L B ha depositato atto di costituzione di parte civile, al fine di ottenere la condanna dell'imputato ed il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per effetto della condotta criminosa ed il difensore ne chiedeva l'esclusione, eccependo l'incapacita' di partecipare consapevolmente al processo, ai sensi dell'art. 70 del codice di procedura penale, del prevenuto, gia' sottoposto alla misura di sicurezza della REMS. Nondimeno, questo giudice, preso atto della mancata declaratoria della sospensione del procedimento e ritenuta l'esigenza di valutare l'effettiva capacita' di stare in giudizio in capo al R , - con specifico riguardo alla comprensione della portata delle condotte e del danno cagionato alle vittime - , ad integrazione dell'approfondimento istruttorio gia' eseguito nelle forme dell'incidente probatorio, ha disposto perizia psichiatrica sulla persona dell'imputato, con incarico conferito al professionista nominato alla successiva udienza del 14 febbraio 2024. Quindi, assunto l'esame del perito ed acquisito l'elaborato peritale, ritenuta l'insussistenza dei presupposti una pronuncia ex art. 70 del codice di procedura penale ed escluso il difetto di imputabilita' originariamente ravvisato, questo GUP ha revocato la misura di sicurezza della REMS applicata all'imputato, disponendo nei suoi confronti l'applicazione della misura degli arresti domiciliari presso una struttura di prima accoglienza individuata a cura dello SMI competente, effettivamente eseguita presso una comunita' c.d. a doppia diagnosi e successivamente revocata per volonta' della stessa struttura. Su conforme richiesta formulata dall'imputato personalmente, il procedimento e' quindi proseguito nelle forme del giudizio abbreviato, ove questo giudice, udite le conclusioni formulate dalle parti, con ordinanza in data 5 giugno 2024, ha disposto l'ulteriore audizione del perito gia' nominato, al fine di ottenere chiarimenti in ordine al profilo della tossicomania dell'imputato, ai sensi dell'art. 441, quinto comma del codice di procedura penale. Assunto infine l'incombente istruttorio integrativo, il procedimento e' stato infine chiamato all'odierna udienza per le opportune determinazioni. Tanto premesso, prima di pronunciarsi sul merito dell'imputazione, ritiene questo giudice di dover sospendere il procedimento e sollevare la questione di legittimita' costituzionale di seguito esposta. 2. Il fatto storico Il presente procedimento trae origine dalla denuncia-querela sporta in data 25 novembre 2022 dinanzi alla Stazione Carabinieri di da L B , la quale, in dettaglio, - con dichiarazioni successivamente supportate dalle dichiarazioni rese dalle persone sentite a sommarie informazioni, riferiva che: conviveva da circa cinque anni con il compagno R J S e con i figli nati dall'unione, dell'eta', rispettivamente, di tre e due anni, e fin dal primo anno di convivenza era rimasta vittima dell'atteggiamento aggressivo del compagno con frequenti episodi di passaggio alle vie di fatto, drammaticamente aumentati nel corso del tempo e consistiti in spinte, pugni, schiaffi in tutte le zone del corpo, in concomitanza con il consolidamento della condizione di assuntore di sostanze stupefacenti; aveva confidato le violenze subite alla propria madre C R , oltre ai genitori dello stesso R , il quale palesava allarmante aggressivita', in particolare, nei periodi di astinenza ovvero in concomitanza con l'assunzione di sostanze psicotrope; pur non avendo mai assistito agli atti di violenza, i figli minori avevano piu' volte percepito lo stato di alterazione e le aggressioni verbali perpetrate dal padre, il quale in occasione dei diverbi manifestava veri e propri tratti deliranti, la insultava pesantemente e la minacciava di morte e manifestava un insano bisogno di controllo, monitorando di continuo i suoi spostamenti ed impedendole di contattare la madre. La donna precisava che il compagno era solito assumere sostanze psicotrope quasi tutti i giorni da almeno un anno, che non svolgeva alcuna attivita' lavorativa e che, da quando era seguito dal SERD di aveva manifestato segni di miglioramento. Allegava quindi che l'ultima aggressione si era verificata appena un giorno prima, allorche' lei stessa, colpita con schiaffi al volto e mani al collo, calci e pugni, era stata costretta ad allertare il personale della polizia locale, si era successivamente allontanata dall'abitazione, cercando rifugio presso i propri genitori, a (BG) e si era infine recata presso il pronto soccorso del vicino nosocomio, ove i sanitari le avevano diagnosticato lesioni consistenti in «graffi sul collo ed ecchimosi», giudicate guaribili in otto giorni, salvo complicazioni. Le dichiarazioni rese dalla donna trovavano conferma, in primo luogo, nel referto medico versato in atti, quindi, nelle sommarie informazioni della madre della denunciante C R , dei genitori del R , testimoni di aggressioni verbali e fisiche da quest'ultimo perpetrate e a loro volta vittime di violente aggressioni, con passaggio alle vie di fatto (cfr. verbali di sommarie informazioni testimoniali rese in data 25 novembre 2022, 8 dicembre 2022 e 9 marzo 2023); in particolare, il padre dell'imputato, riferiva di avere notato in un'occasione il figlio in condizioni di alterazione ascrivibile all'assunzione di sostanze del tipo cocaina, con manifestazioni paranoidee peggiorate con il trascorrere delle ore, al punto da indurlo a richiedere l'intervento del servizio sanitario di emergenza, dal quale il figlio era stato condotto presso il reparto di psichiatria del locale ospedale e sottoposto a TSO. Sussiste sul punto, il referto redatto in data dai sanitari del pronto soccorso dell'ospedale di , ove l'imputato giungeva in stato di agitazione e riferita aggressione psicomotoria con coltelli e, all'esito della visita psichiatrica, presentava una sintomatologia psicotica direttamente correlata all'abuso di sostanze. Venivano altresi' acquisite le plurime annotazioni di polizia giudiziaria attestanti gli interventi esperiti presso l'abitazione del R e della compagna, e successivamente, presso l'abitazione dei genitori nei quali si dava atto dell'allarmante stato di alterazione del prevenuto, il quale, in occasione di un accesso in data 28 novembre 2022, si era presentato con il telefono in mano, visibilmente alterato e delirante, e mantenendo un volume del telefono alto aveva iniziato a recitare riti in lingua indiana, assertivamente finalizzati ad allontanare presenze demoniache dall'abitazione, delle quali era convinto, al punto che poco prima aveva rovesciato dell'acqua benedetta sul pavimento, con l'intento di «benedire» i locali. Del pari, in data 25 marzo 2023, i militari attestavano la presenza dell'imputato in stato di agitazione, correlato all'uso di stupefacenti, mentre in occasione dell'intervento del 16 aprile 2023, presso l'abitazione dei genitori - ove lo stesso R si era nelle more stabilito -, gli operanti lo rinvenivano sul divano del soggiorno, nell'atto di recitare preghiere in lingua indiana e in preda ad allucinazioni e, dopo averlo sedato, lo conducevano presso il nosocomio di per le opportune cure, ove i sanitari confermavano l'atteggiamento di angoscia ed irrequietezza ed i fenomeni allucinatori, apprendendo della recente assunzione di sostanze del tipo cocaina e formulando una diagnosi di «anomalie comportamentali in intossicazione di cocaina» con prognosi di tre giorni (1) . Con informativa del 2 giugno 2023, i carabinieri della stazione di segnalavano infine plurime condotte violente perpetrate dal R nei confronti dei genitori e del fratello minorenne R S con grave turbamento della serenita' familiare, per il timore di gesti inconsulti da parte del prevenuto, come confermato dall'annotazione di polizia giudiziaria e dalle relazioni del 1° e del 2 giugno 2023, supportate dalle sommarie informazioni rese dalle citate persone offese, nonche' del referto redatto in occasione dell'ennesimo accesso dell'imputato al nosocomio, con diagnosi di «abuso di cocaina» e la presenza di uno «stato di attivazione» correlato all'uso della sostanza, senza tuttavia la presenza di alterazioni della forma o del contenuto del pensiero, ne' dispercezioni. Sulla scorta delle risultanze acquisite, corredate dalla relazione del consiglio di classe dell'istituto frequentato dal fratello minore del prevenuto, - nella quale si dava atto di comportamenti violenti subiti dai familiari e riferiti dal ragazzo, accompagnati da continue minacce di gesti di autolesionismo e da episodi di crisi psicotiche, urla verso presunti demoni, o tentativi di allagare la casa -, in accoglimento della richiesta formulata dal pubblico ministero, si procedeva nelle forme dell'incidente probatorio all'accertamento della capacita' di intendere e di volere del R J S ed il professionista nominato, con elaborato depositato in data 27 giugno 2023 concludeva ritenendo configurabile una condizione di «intossicazione cronica», con una compromissione stabile e irreversibile del funzionamento delle cellule, qualificabile in termini di «demenza da sostanze», una ridotta capacita' di «resistere all'impulsivita' tossicodipendente, favorendo dunque il sommarsi della patologia cognitiva con le conseguenze dell'assunzione di sostanze stupefacenti», e, per l'effetto, una totale incapacita' di intendere e di volere al momento dei fatti, oltre che una condizione di incapacita' di stare in giudizio. A sostegno delle conclusioni, il perito dott. M B allegava sia la copiosa documentazione sanitaria redatta in occasione dei ricoveri del prevenuto in SPDC ovvero dal servizio dipendenze che lo aveva in cura, dalla quale emergevano «Anomalie del comportamento in disturbo da abuso di cocaina», con sviluppo di «Psicosi indotta da sostanze con ideazione persecutoria e dispercezioni uditive e visive di origine fsotossica», sia l'esito dell'esame psichico, dal quale emergevano «difficolta' cognitive di natura organica, a verosimile genesi tossica» con una «condizione di complessiva sofferenza dei domini della memoria e dell'attenzione e poi quelli dell'orientamento, a configurare note di torpidita' tipiche della sofferenza cerebrale organica verosimilmente di natura tossica», pur senza segni di un attuale inquinamento delirante o di parassitamento dispercettivo. All'esito dell'incombente, sulla conforme richiesta del pubblico ministero, con ordinanza in data 20 settembre 2023, l'imputato veniva pertanto sottoposto alla misura di sicurezza provvisoria della liberta' vigilata con obbligo di inserimento in una comunita' residenziale, nonche', con successiva ordinanza del 28 ottobre 2023, motivata dal rifiuto opposto dal R alla prosecuzione dei trattamenti, con la misura del ricovero in REMS e, in attesa del rinvenimento di una collocazione nella struttura disponibile, del ricovero provvisorio presso il reparto di psichiatrica dell'ospedale di A diverse conclusioni perveniva il perito nominato in sede di udienza preliminare, dott. S L M , il quale, con motivazioni apparentemente immeritevoli di censure sotto il profilo logico, - ampiamente supportate dalle relazioni di aggiornamento in ordine alle condizioni dell'imputato durante la degenza in SPDC e dopo l'ingresso in REMS nelle more versate in atti (2) -, escludeva la sussistenza all'epoca dei fatti di manifestazioni psicopatologiche dell'imputato idonee ad escludere o scemare grandemente le capacita' di intendere e/o di volere. Evidenziava, sul punto, che sia dalla valutazione diretta che dalla documentazione clinica vagliata non emergevano - relativamente al periodo oggetto di contestazione ma anche con riferimento al periodo antecedente e successivo -, disturbi psichiatrici maggiori a genesi primaria, mentre risultavano documentati unicamente «episodi di discontrollo comportamentale con agiti estero aggressivi e talora clastici ed anche franchi episodi di scompenso psicotico con allucinazioni e deliri floridi» che avevano imposto numerosi accessi al pronto soccorso e, in almeno tre occasioni, reso necessario il ricovero nel reparto di psichiatria e che tuttavia erano strettamente correlati agli effetti diretti delle sostanze di abuso. A conferma delle considerazioni svolte, precisava che dal , in concomitanza con la cessazione dell'assunzione, l'assetto psichico e comportamentale del periziato era esente da manifestazioni di rilevanza psicopatologica e che la terapia somministrata era finalizzata unicamente a contenere e controllare il possibile craving per la sostanza di abuso. Concludeva pertanto escludendo la configurabilita' di una compromissione cognitiva di portata tale da configurarsi in uno stato di «cronica intossicazione» rilevante ai fini dell'imputabilita', evidenziando come sebbene fosse indiscutibile la sussistenza di una capacita' di intendere e di volere al momento dei fatti «viziata» dall'effetto psicotropo della sostanza di abuso, sia in termini di intossicazione che di astinenza (craving, piu' propriamente), la stessa doveva considerarsi su base volontaria, ai sensi degli articoli 91 e seguenti del codice penale, ne' era ravvisabile un danno organico perdurante ed irreversibile idoneo a ritenere applicabile l'ipotesi di cui all'art. 95 del codice penale, non potendosi ritenere tale il decadimento cognitivo rilevato, non particolarmente inferiore rispetto alla norma e comunque influenzato anche dei limiti culturali del periziando (cfr. relazione depositata in data 1° maggio 2024). Chiamato a precisare le motivazioni che inducevano ad escludere la configurabilita' di una condizione di «cronica intossicazione», il professionista evidenziava che «lo stato di cronica intossicazione nasce primariamente in conseguenza dell'assunzione di alcolici, e' (...) una fattispecie giuridica e medico-legale molto datata, dove pero' c'era una precisa corrispondenza a un quadro clinico nosograficamente definito, la paranoia alcolica piuttosto, la sindrome di Korsakoff, la sindrome di Wernicke, che erano proprio con compromissioni biologiche, organiche, riscontrabili», mentre «per gli stupefacenti, per trovare un'alterazione di questo tipo e' pressoche' impossibile», anche perche', in assenza di un riferimento preciso sulla sostanza assunta, un eventuale stato psicotico perdurante ben puo' essere riconducibile a sostanze psichedeliche o anfetaminiche inserite nella dose di stimolanti assunta dall'interessato. Aggiungeva, con specifico riferimento alla sostanza assunta che «nella cocaina l'utilizzo prolungato puo' dare uno scadimento cognitivo progressivo di varie entita'. E in alcuni casi da un disturbo delirante, di solito di tipo persecutorio o di gelosia. Queste sono le tipologie che si vedono frequentemente per usi prolungati. C'e' da dire che queste condizioni si instaurano, come dicevo, a seconda della variabilita' delle sostanze che vengono prese ma che passano per cocaina, poi in effetti non sono necessariamente cocaina, e l'altro aspetto anche c'e' una struttura predisponente di personalita', in alcuni casi, che consente e poi si associano ad altri fattori, se la nutrizione e' adeguata, se l'idratazione e' adeguata, sono fattori di carenza metabolica, ritornando all'aspetto delle patologie della cronica intossicazione da alcool. Non si vedono pressoche' piu' determinate patologie perche' erano dovute ad una malnutrizione e alla carenza di fattori nutritivi e vitaminici in particolare. Quindi, quello che e' lecito aspettarsi nell'assunzione continuativa di cocaina e' in genere uno scadimento delle capacita', di memoria, di memorizzazione e di rievocazione piu' o meno intenso. Siamo lontani pero' da quella che e' una demenza da uso di sostanze. La demenza da uso di sostanze non differisce dalla demenza della malattia di Alzheimer. Lo scadimento di tutte le competenze, la capacita' di orientamento, le capacita' ad una consapevolezza di se', la capacita' di agire in determinati ambiti di vita, di avere una volizione conservata, una çapacita' di comprensione adeguata. Tutto questo non c'e' nell'indagato». Sentito nuovamente all'udienza del 10 luglio 2024, con specifico riguardo all'incidenza dell'uso prolungato di stimolanti sull'insorgenza di una condizione di disturbo e sugli effetti tossici della cocaina, il perito precisava: che trattasi di «uno stimolante, per cui aumenta il tono dell'umore, lo rende piu' elevato, c'e' un senso di benessere, di intensa energia, i pensieri sono accelerati, corrono piu' rapidamente, le associazioni mentali sono piu' ... altrettanto rapide e piu' lineari, piu'... c'e' una maggiore lucidita' di pensiero e c'e' una riduzione del sonno connessa alla perdita del senso della percezione e della fatica e dello sforzo, per cui si ha un incremento delle prestazioni sia fisiche che mentali»; che «l'effetto della cocaina e' nell'ordine di ore, poi dipende dalle caratteristiche dell'assuntore, perche' ovviamente si crea un'assuefazione praticamente e quella che si chiama una tolleranza, nel senso che un assuntore abituale e continuativo deve incrementare la dose della sostanza per ottenere gli stessi effetti ricercati, cioe' stimolanti»; che, quanto al craving, a differenza ad esempio dell'eroina, in cui subentra una crisi d'astinenza, si tratta di «una compulsione intensa, estremamente variabile, che va da un desiderio a un bisogno, tanto e' vero che si parla di una sorta di dipendenza psicologica»; peraltro, il desiderio, il bisogno intenso va degradando in proporzione anche a quanto e' la durata dell'assunzione, e, in una persona che ha un disturbo da uso di sostanze «questo pensiero rimane sempre, per cui e' sempre da controllare un'assunzione, perche' diversamente si spalanca una porta per la ripresa all'assunzione che diventa abituale»; in altri termini, «una persona che e' entrata in contatto con la sostanza e ha sviluppato un craving, questo meccanismo viene attivato per sempre»; che un'eventuale condizione di disturbo «non e' nell'uso di sostanza, e' nelle conseguenze dell'uso di sostanza, quello e' il disturbo, nel senso: non esiste una patologia a se' stante che giustifichi l'utilizzo di qualsivoglia sostanza; si innesca un meccanismo che e' legato a diversi fattori, che possono essere disturbi psichiatrici che sono in comorbilita' cosiddetti o delle condizioni di interesse psicologico o psichiatrico che sono, diciamo cosi', sovrapposte in un determinato periodo, per cui personalita' particolari, che non sono necessariamente patologiche»; che, quanto ad eventuali modificazioni sotto il profilo neurologico, «qualsiasi sostanza di ordine farmacologico o comunque di abuso, determina una modificazione cerebrale, che transitoriamente puo' anche persistere, ma questo non esclude la capacita' di rendersi conto, di capire e di autodeterminarsi»; che, sotto il profilo psichiatrico, «non esiste un'intossicazione acuta e cronica, ma un'intossicazione ripetuta e prolungata», la «condizione di intossicazione cronica e' data dall'abuso continuativo frequente e ravvicinato, per cui la sostanza rimane attiva a livello cerebrale, e' quella la cronicita', lo stato di intossicazione cronica»; che pertanto, anche eventuali anomalie correlate al consumo della sostanza, o sono riconducibili a condizioni di disturbo, per cosi' dire, «slatentizzati» dall'assunzione, o sono comunque su base funzionale (conseguente all'utilizzo o all'effetto di esaurimento della sostanza) e non su base organica. 3. La rilevanza della questione. Ritiene il decidente che la prospettata questione di legittimita' costituzionale sia rilevante, sotto un duplice profilo: a) emerge dagli atti acquisiti al fascicolo che R J S , - dell'eta' di 25 anni al momento dei fatti -, aveva iniziato ad assumere cocaina, sia per via nasale che inalata -, dall'eta' di circa 18 anni, talvolta accompagnata dal consumo di sostanze alcoliche, con abuso ingravescente a partire da fino ad un craving quotidiano ingestibile e la comparsa di anomalie comportamentali e di episodi psicotici sintomatici di una fase di intossicazione esotossica acuta protrattasi ben oltre il termine dei tre giorni di riscontro dei metaboliti della cocaina nelle urine e posta, unitamente al craving, alla base degli agiti aggressivi integranti le condotte maltrattanti e lesive contestate. Laddove questo giudice, all'esito della discussione del giudizio abbreviato, ritenesse integrati gli elementi oggettivi e soggettivi delle condotte contestate, pur dando atto dell'esistenza di una condizione dell'imputato al momento del fatto apparentemente idonea ad incidere sulla sua capacita' di intendere e di volere (intesa come il complesso delle condizioni psicofisiche che consentono di ritenere l'essere umano in grado di recepire il messaggio della sanzione punitiva, in ragione del corretto funzionamento dell'elemento intellettivo e dell'elemento volitivo), trattandosi di uno stato mentale insorto a seguito di una situazione di abuso di stupefacenti, derivato in particolare dalla prolungata assunzione di cocaina (come del resto dimostrato dal decadimento cognitivo riscontrato), ma senza l'insorgenza - a livello organico - di alterazioni patologiche irreversibili o anche soltanto permanenti tali da ritenere configurabile una condizione di cronica intossicazione, non avrebbe la possibilita' di valutare la sussistenza di un vizio di mente totale o parziale dell'imputato, ai sensi degli articoli 88 e 89 del codice penale. E cio' neanche in relazione agli episodi in cui il R J presentava sintomatologia psicotica caratterizzata da ideazioni persecutorie, dispercezioni uditive e discontrollo comportamentale, tali da determinare in capo al giudicabile una situazione di assetto psichico riconducibile ad una condizione di «significativa» alterazione dei processi dell'intelligenza e della volonta' del prevenuto e, conseguentemente, del meccanismo delle spinte e delle controspinte all'azione. A tale proposito, non puo' sottacersi che codesta Corte, chiamata a pronunciarsi su una questione analoga a quella odierna, con sentenza n. 114/1998, ha comunque sottolineato come il superiore valore del principio di colpevolezza consenta al giudice di superare i problemi che si presentano nella concreta applicazione dell'art. 95 del codice penale, «facendo applicazione, nel dubbio, proprio delle regole espressamente stabilite nei commi 2 e 3 dell'art. 530 c.p.p.». Nondimeno, esclusa la sussistenza di una sorta di incapacita' preordinata, rispetto ad effetti psicotici protrattisi nei giorni successivi all'assunzione di sostanze e strettamente correlati alla condizione di disturbo da uso di sostanze diagnosticata al R J , ritiene questo giudice che le categorie dell'imputabilita' e della colpevolezza interagiscono in un rapporto di totale e reciproca indipendenza concettuale: l'imputabilita' attiene all'irrogabilita' della pena, mentre la colpevolezza si riassume in due passaggi fondamentali, l'attribuibilita' del fatto-reato e la riprovazione che ne deriva, la quale legittima l'assoggettamento alla sanzione. Come affermato in dottrina, l'anima originaria della colpevolezza resta quindi la paternita' del fatto quale responsabilita' in senso meccanicistico, «restando impregiudicate, la punibilita' del soggetto sano e maturo e la non punibilita' del soggetto insano e non maturo e, come tale, non rimproverabile». Se ne ricava l'impossibilita' di prescindere da una valutazione in ordine all'effettiva imputabilita' del giudicabile, al di la' del giudizio di colpevolezza afferente essenzialmente il principio di soggettivita' del reato, inteso come riferibilita' psichica al suo agente, evidentemente configurabile anche nei confronti di soggetti non imputabili, in assenza di cause esterne che escludono la suitas della condotta ovvero si trovano al di fuori di ogni possibilita' di controllo soggettivo; del resto, e' pacifico che meccanismi psichici di rappresentazione e di volizione agiscono comunque nella mente del non imputabile, anche se trattasi di meccanismi abnormi e distorti. b) in ogni caso, anche laddove fosse ravvisabile in capo all'imputato una condizione idonea anche soltanto ad alterarne la capacita' di comprendere l'illiceita' dei fatti o di agire in conformita' a tale valutazione, in caso di condanna, tale condizione non potrebbe essere valutata nella determinazione del trattamento sanzionatorio, con l'applicazione della diminuente di cui all'art. 89 del codice penale. 4. La non manifesta infondatezza della questione. 4.1 Ritiene il decidente che la disposizione censurata violi gli articoli 3, 25, secondo comma e 27, primo e terzo comma della Costituzione, nella misura in cui, per i fatti commessi in presenza di una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi da dipendenza ovvero correlati all'uso di sostanze psicotrope e non associata ad infermita' ovvero altri gravi disturbi della personalita', limita l'applicazione delle norme di cui agli articoli 88 e 89 del codice penale alle sole situazioni di cronica intossicazione. Com'e' noto, l'art. 95 del codice penale, «Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti» prevede che «per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89 c.p.». Come gia' osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 114 del 16 aprile 1998, la disposizione, unitamente all'art. 94 del codice penale, risulta inserita «in modo organico - e indubbiamente coerente nel proprio interno -, in un sistema completo, quale e' quello che il codice penale del 1930 ritenne di dover istituire per l'affermazione od esclusione dell'imputabilita' penale dei soggetti che abbiano commesso il reato in stato di ubriachezza o sotto l'azione di sostanze stupefacenti». Sistema che, sempre usando le parole della Corte, «e' notoriamente ispirato a intenti di prevenzione generale improntati a grande rigore» e che trova il suo nucleo primario nelle disposizioni di cui agli articoli 92, primo comma e 93 del codice penale, le quali parificano i reati commessi in stato di ubriachezza o sotto l'azione di sostanze stupefacenti ai reati commessi in stato di normalita', «eliminando le diminuzioni di pena previste nel codice Zanardelli e sottoponendo ad eguale regime penale tanto l'ubriachezza (o assunzione di sostanze stupefacenti) volontaria quanto quella meramente colposa», con vere e proprie «finzioni di imputabilita'», con le quali il legislatore ritiene possibile un rimprovero di colpevolezza e ragionevole il ricorso alla pena, nei confronti degli autori di reato che si siano comunque posti, non accidentalmente, in uno stato di incapacita', prescindendo dallo stato in cui versavano al momento del fatto, anticipando sostanzialmente il mçmento della «rimproverabilita'» della condotta a quello della volontaria situazione di innesco del pericolo, mediante la violazione della regola cautelare del «non assumere alcool o droghe». Tali conclusioni sono del resto conformi alla posizione espressa nella lontana sentenza n. 33 del 1970, con la quale la Corte costituzionale, respingendo le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 92 del codice penale, sollevate con riferimento agli articoli 3 e 27 Costituzione, ha ritenuto la norma non irragionevole in relazione al fine perseguito dal legislatore, coincidente con la prevenzione e la repressione dell'ubriachezza «come male sociale, e, soprattutto, come situazione che in certi soggetti puo' spingere al delitto», evidenziando come l'ubriaco che realizzi un reato ne debba rispondere per una condotta comunque antidoverosa, consistente nell'essersi posto volontariamente o colposamente in condizione di commetterlo, in altri termini, viene asserita l'antidoverosita' tout court dell'ubriacarsi, nella cui natura volontaria o colposa sarebbe da ravvisare il fondamento della responsabilita'; dall'altro lato, il coefficiente psicologico che sorregge il fatto commesso e' assunto a «titolo della colpevolezza», con conseguente possibilita' di affermare un «titolo di colpevolezza» piu' grave di quello ricollegabile al fatto dell'ubriacarsi, secondo la formula del versari in re illicita. Tale orientamento si pone nella scia del disfavore da sempre manifestato dalle scienze criminali nei confronti dei fenomeni dell'alcoolismo e dell'uso di stupefacenti, sia in quanto fattori pregiudizievoli per la salute individuale e collettiva e per la discendenza; sia in quanto fattori criminogeni diretti - favorendo la generi di comportamenti criminali -, e indiretti, legati alla squalificazione sociale, al depauperamento, al decadimento morale, allo stato di bisogno dovuto alla tossicodipendenza. In questo senso, sebbene dal punto di vista medico legale chi commette un reato sotto l'azione di alcool o stupefacenti sia da considerarsi non imputabile o semimputabile, laddove la sua capacita' di intendere e/o di volere sia esclusa o grandemente compromessa, ai sensi degli articoli 91 e 93 del codice penale, soltanto l'intossicazione accidentale, ovvero incolpevole, da sostanze alcoliche o stupefacenti puo' escludere o diminuire la capacita' di intendere e di volere. Specularmente, ai sensi gli articoli 92 e 93 del codice penale non fa scemare ne' esclude l'imputabilita', l'assunzione di sostanze volontaria - ovvero compiuta di proposito - o colposa, ovvero volontaria nella causa, anche se involontaria nell'effetto, fermo restando l'aumento di pena nelle ipotesi in cui lo stato di incapacita' sia stato preordinato proprio al fine di eludere la sanzione. Ulteriori circostanze aggravanti sono infine contemplate dall'art. 94 del codice penale, specificamente ancorate, in primo luogo, ad uno stato di intossicazione acuta, volontaria o colposa; in secondo luogo, alla commissione di un reato in tali condizioni e all'abituabilita', definita come dedizione all'uso di alcolici o stupefacenti e frequente stato di alterazione, si' da configurare «un vizio continuativo, una consuetudine viziosa di vita», a conferma di una dedizione all'uso e non di una mera proclivita'. Cio' posto, l'art. 95 del codice penale prevede una sostanziale deroga a tali finzioni, ancorandola a quelle situazioni in cui non e' (piu') ragionevole colpire lo stile di vita dell'autore di reato dedito agli stupefacenti e all'alcool, ritenendolo responsabile, poiche', anche nel momento in cui si e' posto in una condizione suscettibile di incidere sulla sua capacita', assumendo alcool o droghe, versava gia' in una condizione di incapacita' (3) , a sua volta ascrivibile ad un'alterazione patologica dei processi volitivi e intellettivi, indicata dalla disposizione oggetto di censura con il ricorso alla formula legale di «cronica intossicazione da sostanze», apparentemente censurabile sotto il profilo della genericita' e dell'indeterminatezza e per l'effetto tale da offrire all'operatore uno spazio di incontrollabile discrezionalita', anche tenuto conto delle ambiguita' riscontrabili nel difficile accertamento dei confini tra normalita' e anomalia. Cio' premesso, ricade pertanto su questo giudice l'onere di sperimentare se di tale concetto possa essere comunque offerta un'interpretazione ed applicazione razionale, nell'osservanza degli ordinari criteri ermeneutici (segnatamente, il dato letterale e sistematico) e in conformita' con il compito essenziale della giurisprudenza, che e' quello di dipanare gradualmente, attraverso gli strumenti dell'esegesi normativa, i dubbi interpretativi che ciascuna disposizione inevitabilmente solleva, nel costante confronto con la concretezza dei casi in cui essa e' suscettibile di trovare applicazione (cfr. Corte costituzionale, n. 110 del 18 aprile 2023). Un'attenta esegesi della norma in discussione, approfondendo il significato delle parole, consente in verita' di plasmare la definizione di cronica intossicazione, colmando l'apparente deficit di determinatezza con ricorso, per un verso, al criterio semantico, - giacche', mentre la condizione acuta richiama fenomeni ad insorgenza breve o improvvisa, con un andamento delimitato nel tempo, il termine «cronico» richiama in via generale il concetto di malattia ovvero di una sintomatologia che perdura e si sviluppa in maniera lenta e progressiva e talvolta irreversibile -, e per altro verso, a parametri interpretativi essenzialmente fondati sulla ratio legis, nella duplice accezione di giustificazione della norma sotto il profilo logico-assiologico e di motivazione storicamente contingente e soggettiva posta all'origine della sua formulazione.s Sotto il primo profilo, giungono in soccorso, i criteri offerti dalla piu' autorevole letteratura scientifica in materia (cfr. pomari, trattato di psichiatria forense), che consentono di delineare nei termini di seguito esposti i concetti generali in tema di «tossicomania», nonche' i rapporti tra assunzione di sostanze stupefacenti e «sanita' psichica», elaborati dalla psichiatria forense sulla scorta delle indicazioni del codice penale del 1930: le intossicazioni voluttuarie sono causate dall'assunzione saltuaria, periodica o continuativa di sostanze non necessarie alla vita, che provocano, a breve termine, effetti per lo piu' piacevoli sullo psichismo individuale, ma che, a medio-lungo termine, possono causare danni rilevanti fisici e psichici; sostanze psicoattive sono quelle sostanze naturali, sintetiche o semisintetiche che, introdotte nell'organismo per via parenterale, enterale o inalatoria, svolgono un'azione psicoattiva, nel senso che modificano - esaltandole o deprimendole -, le condizioni psichiche abituali del soggetto e possono indurre assuefazione, dipendenza e disturbi di astinenza; sotto la dizione di stupefacenti, sono convenzionalmente considerate le sostanze raggruppate nelle tabelle di cui agli articoli 13 e 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90; per tossico e alcool-dipendente s'intende un soggetto portatore di problemi multipli (psicologici, sociali, economici, culturali, medici psichiatrici) variamente intrecciantisi e sovrapponentisi, ma sempre interagenti tra loro; i termini di tossico e alcool-dipendenza individuano un comportamento polideterminato e costituito dall'assunzione saltuaria, periodica o continuativa, di sostanze non necessarie alla vita. Nel linguaggio clinico, il termine e' onnicomprensivo ed e' usato per indicare, indifferentemente, chi usa e chi presenta pure sintomi di cronica intossicazione. A tale definizione si aggiunge peraltro quella data dall'Organizzazione mondiale della sanita', che indica la tossicodipendenza in termini di «condizione di intossicazione cronica o periodica dannosa all'individuo e alla societa', prodotta dall'uso ripetuto di una sostanza chimica naturale o di sintesi. Sono sue caratteristiche: 1) il desiderio incontrollabile di continuare ad assumere la sostanza e di procurarsela con ogni mezzo; 2) la tendenza ad aumentare la dose (tolleranza); 3) la dipendenza psichica e talvolta fisica degli effetti della sostanza» e che gia' lascia intravedere le problematiche connesse all'odierna questione; il concetto di assuefazione o tolleranza si distingue da quello di abitudine: il primo comporta la necessita' di aumentare la dose della sostanza introdotta per ottenere sempre i medesimi effetti e, per converso, una riduzione quantitativa della risposta alla somministrazione del farmaco, con il trascorrere del tempo; il secondo concetto indica la possibilita' di ottenere medesimi effetti da medesime dosi, senza che sia necessario aumentare la quantita' di sostanza introdotta; i concetti di dipendenza e astinenza sono tra loro intimamente correlati, nel senso che le sostanze inducono nel consumatore un bisogno (avente una componente fisica e psichica) di ripetere la somministrazione, a pena di lamentare disturbi da carenza, quanto la sostanza venga sospesa; ambedue i fenomeni sono accomunati da una condizione di sofferenza, di disagio, di ansia, di discenestesie, di timore della loro comparsa o riapparizione e da disturbi piu' gravi; nella pratica clinica, si usa distinguere il consumatore occasionale da quello abituale e dal tossicodipendente, in base al tipo, alle modalita' e alle quantita' di sostanza assunta; la sindrome di astinenza, avente caratteristiche di malattia internistica, rilevante in ambito clinico, compare alcune ore dopo l'assunzione della sostanza, varia a seconda del tipo di sostanza aumenta di intensita' nei primi giorni e poi si attenua fino a scomparire; molte manifestazioni sono peraltro finalizzate all'obiettivo di ottenere la sostanza per allontanare la «paura» e la «sofferenza» legate all'astinenza; la diagnosi di tossicodipendenza e' una diagnosi comportamentale, che diviene clinica soltanto se e' presente e documentabile un danno organico a carico delle funzioni psichiche del soggetto, che in tal caso dev'essere inquadrato e trattato in maniera del tutto peculiare rispetto a un disturbo psicotico funzionale (disturbi neurocognitivi indotti da sostanze/farmaci, DSM5). I disturbi correlati a sostanze sono suddivisi in due gruppi: l) Disturbi da uso di sostanze, consistenti in disturbi psicotici che possono avere, almeno inizialmente, esordio e decorso dotati di una propria autonomia espressiva; possono essere «lanciati» dall'uso di sostanze; possono infine decorrere in maniera piu' o meno mascherata dalle stesse; 2) Disturbi indotti da sostanze, che possono coincidere con disturbi da uso di sostanze, da soli indicativi di meri tratti sui quali si costruisce lo «stile di vita» del tossicodipendente; con disturbi acuti indotti da sostanze, che sono reversibili, hanno eziopatogenetica e decorso autonomi e non sono attribuibili ad una condizione medica generale ovvero ad altro disturbo mentale; con disturbi persistenti indotti da sostanze, codificati in quadri caratterizzati dalla presenza di una psicosindrome organica perdurante nel tempo, fondamentalmente costituita da deficit dell'attenzione, memoria compromessa, ideazione rallentata e irrigidita, disfunzioni dell'umore, compromissione delle attivita' sociali e professionali, sospettosita' e tematiche paranoidi o di riferimento, ansia marcata, disforia, aggressivita' e ostilita'. Tutto quanto innanzi premesso, il concetto di «intossicazione cronica» elaborato dalla dottrina medico-legale appare estremamente variabile, risentendo delle diverse posizioni assunte nel corso del tempo in tema di politica criminale e di difesa sociale, oltre che della diffusione del fenomeno della tossicodipendenza all'interno del mondo criminale e viene solitamente elaborato con riferimento ai vari stadi dell'iter tossicomanico e con riferimento al momento dell'insorgenza dei segni della sindrome da carenza o della dipendenza fisica: in presenza di un uso cronico di sostanze, e' possibile parlare di cronica intossicazione laddove sussista una condizione di «malattia» (4) psichiatricamente intesa, - ravvisabile anche a distanza di tempo rispetto alla cessazione dell'assunzione -, concetto che, a sua volta richiama disturbi patologici psichici (evidentemente differenti dalla mera sindrome di astinenza) e riconducibili ad una psicosindrome organica ovvero una patologia di tipo depressivo paranoideo o schizo-paranoide. In questo senso, affinche' possa parlarsi di cronica intossicazione, occorrono: a) un uso non occasionale; b) la configurabilita' di una condizione di «malattia» perdurante nel tempo ed avente un decorso autonomo, a prescindere dall'interruzione delle condotte di uso o abuso e con effetti certamente permanenti se non irreversibili. Tale opzione interpretativa appare, del resto, in linea con la voluntas legislatoris espressa nella relazione ministeriale al progetto del codice Rocco, nella quale per le persone in stato di ubriachezza (alle quali sono equiparati gli autori dei reati commessi sotto l'azione di stupefacenti) viene richiamato il principio delle actiones liberae in causa fissato nell'art. 89 del codice penale, eccettuando espressamente soltanto l'eventualita' dell'ubriachezza accidentale e giustificando tale rigore con la necessita' di combattere «contro forme d'intossicazione che attaccano alle radici la forza e, con questa, l'avvenire della stirpe» e disincentivare una forma di delinquenza collegata al consumo di alcol e all'epoca particolarmente diffusa. Del pari, quanto al consumo di stupefacenti, si legge che «il grave fenomeno sociale dell'uso ed abuso degli stupefacenti in tutte le classi e in tutte le eta', ma specie nei giovani, promesse e speranze della Patria rinnovata dal Fascismo, doveva richiamare l'attenzione del legislatore e indurlo a mettere il problema della lotta contro questa, che puo' ben dirsi una calamita' sociale, allo stesso piano, sulla stessa linea della lotta contro l'alcolismo». Coerente con un sistema che spiega la dipendenza secondo un modello morale, basato sulla convinzione che sia la risultante di una «debolezza di carattere» piuttosto che una «malattia», ai fini del riconoscimento del difetto di imputabilita', il codice richiede alterazioni croniche, piu' o meno stabili, «che in parte sono effetti del ripetuto e protratto rapporto con tossico e in parte sono dovute alla ripercussione che ciascun organo leso puo' esercitare nel rimanente organismo; ne risultano disturbi nervosi e psichici gravissimi che, anche quando non sono permanenti, insorgono spesso, senza che si ingeriscano i veleni, che ne furono la causa lontana». Diversa e' l'intossicazione acuta, nella quale «si hanno solo le manifestazioni direttamente e temporalmente apportate dall'azione perturbatrice del volere sulle funzioni, durante il loro passaggio biochimico attraverso l'organismo». Riferendosi all'ubriachezza, con considerazioni evidentemente estese anche all'intossicazione da stupefacenti, la relazione al progetto prosegue, allegando che, sebbene sia difficile distinguere in concreto l'ubriachezza abituale dall'alcolismo cronico, sotto il profilo clinico, una simile operazione e' possibile, laddove si consideri che l'ubriachezza, anche abituale, e' sempre un episodio della vita di un individuo, il quale, scomparso il perturbamento acuto delle sue facolta' psichiche, torna alla sua normale personalita'; mentre l'alcolismo cronico e' un processo patologico permanente, un'affezione cerebrale, che «oltre che produrre un progrediente e caratteristico abbrutimento nel carattere, da' origine a vere e proprie psicopatie». In linea con tali considerazioni, affrontando il problema - controverso nella dottrina medico-legale formatasi in relazione alle disposizioni del codice -, di valutare se lo stato definito come «cronica intossicazione» dell'art. 95 del codice penale debba essere considerato un vero e proprio vizio di mente (totale o parziale), codesta Corte, nella gia' citata sentenza n. 114/1998, aveva gia' evidenziato come «la formula usata dalla legge, che si limita a stabilire che "si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88 e 89", farebbe pensare assai piu' ad una assimilazione nel trattamento penale(...) che non ad una identificazione», e come, anche alla luce dei progetti di elaborazione in corso negli ultimi decenni, inerenti proprio le disposizioni normative in tema di imputabilita', lo stato di cronica intossicazione da alcool ovvero da sostanze stupefacenti induca ad un concetto del tutto autonomo e piu' ampio dell'infermita' (o della semi-infermita') mentale, «ad essa parificandola sotto il segno dell'assenza o della diminuzione dell'imputabilita', e dunque della colpevolezza». A fronte di tali indicazioni e ad onta delle incertezze espresse dalla dottrina medico-legale e delle richieste di innovazioni legislative fortemente presenti nella dottrina penalistica, l'approccio della giurisprudenza ordinaria gia' cristallizzato alla data della ormai risalente sentenza n. 114/1998 ritiene unica interpretazione plausibile della norma di cui all'art. 95 del codice penale quella che ai fini della cronica intossicazione richiede l'insorgenza nell'organismo dell'assuntore di alterazioni neuropsichiche a carattere patologico, stabilizzate e permanenti. Sul punto, invero, la giurisprudenza di legittimita', seguita quasi pedissequamente dai giudici ordinari si e' assestata da alcuni decenni -uniformemente e senza apprezzabili divergenze - su una identificazione dei requisiti della cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti in una condizione di alterazione non transitoria dell'equilibrio biochimico del soggetto, tale da determinare un vero e proprio stato patologico psicofisico dell'imputato e, dunque, una corrispondente e non transitoria alterazione dei processi intellettivi e volitivi, formando un vero e proprio «diritto vivente», proprio in quanto connotato dai «caratteri di costanza e ripetizione» (Corte cost. 2 luglio 2008, n. 242), desumibili dall'evoluzione della Suprema Corte, secondo una «tendenza ormai uniforme da molti anni» (Corte cost. 25 luglio 1984 n. 225), cosi' da dare vita ad una «interpretazione assolutamente dominante e consolidata» (Corte cost. 8 febbraio 2006, n. 41), dalla quale appare francamente difficile discostarsi. Di seguito alcune tra le plurime decisioni intervenute in materia. Cass. pen., sez. I, n. 3633 del 18 gennaio 1995: «L'intossicazione cronica da sostanze stupefacenti consiste in un'alterazione dell'equilibrio biochimico del soggetto che provoca una permanente alterazione dei processi intellettivi e volitivi, configurabile come una vera e propria malattia mentale. A tal fine va operata una distinzione tra alterazione della volonta' ed eventualmente della capacita' intellettiva che si manifesta in un soggetto tossicodipendente in crisi di astinenza e che viene superata al termine della crisi stessa e la permanente compromissione delle facolta' psichiche in conseguenza dell'intossicazione da sostanze stupefacenti considerata dall'art. 95 c.p.». Cass. pen., sez. VI, n. 6357 del 24 maggio 1996: «Non tutti gli stati di tossicomania, la quale e' una dipendenza meramente psichica alla droga, o di tossicodipendenza, che e' un'assuefazione cronica alla stessa, producono di per se' alterazione mentale rilevante agli effetti di cui agli artt. 88 e 89 c.p., ma solo quegli stati di grave intossicazione da sostanze stupefacenti che determinano un vero e proprio stato patologico psicofisico dell'imputato, incidendo profondamente sui processi intellettivi o volitivi di quest'ultimo». Cass. pen. sez. VI, n. 7885 del 22 dicembre 1998 richiamata da Cassazione sez. VI, n. 1775/2003: «Per escludere (o diminuire) l'imputabilita', l'intossicazione da sostanze stupefacenti non solo dev'essere cronica (cioe' stabile) ma deve produrre un'alterazione psichica permanente, cioe' una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze stupefacenti; lo stato di tossicodipendenza non costituisce, pertanto, di per se', indizio di malattia mentale o di alterazione psichica». Cass. pen., sez. V, n. 7363 del 29 ottobre 2002: «Affinche' si possa ritenere esclusa o diminuita l'imputabilita' dell'agente, l'intossicazione da sostanze stupefacenti dev'essere caratterizzata dalla permanenza e dall'irreversibilita' e, cioe', da condizioni psichiche che permangono indipendentemente dal rinnovarsi dell'assunzione o meno di sostanze stupefacenti, condizioni che, in ogni caso, debbono essere valutate con riferimento al momento in cui il fatto di reato e' stato commesso». Cass. pen., sez. III, n. 35872 del 1° ottobre 2007; nonche' Cassazione pen., sez. VI, n. 25252/2018: «Deve anzitutto riaffermarsi al riguardo che, come costantemente evidenziato da questa Corte Suprema, la situazione di tossicodipendenza che influisce sulla capacita' di intendere e di volere, e' solo quella di intossicazione cronica, cioe' quella che -per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilita' di guarigione -, provoca alterazioni patologiche permanenti (vale a dire, una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze stupefacenti) tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte ad una vera e propria malattia psichica (...) l'intossicazione cronica prevista dall'art. 95 c.p., deve tenersi ben distinta inoltre (e lo e' sotto il profilo clinico) dalla intossicazione derivante da un uso abituale di sostanze stupefacenti, che aggrava la pena ai sensi dell'art. 94 c.p., comma terzo. Stabilire se e in quale delle situazioni anzidette l'imputato versasse al momento del compimento dell'azione delittuosa costituisce, comunque, valutazione di fatto che compete esclusivamente al giudice di merito ed e' insindacabile in sede di legittimita' se congruamente motivata». Cass. pen., sez. II, n. 44337 del 31 ottobre 2013: «L'intossicazione da sostanze stupefacenti dev'essere caratterizzata dalla permanenza e dall'irreversibilita', vale a dire, da condizioni psichiche che permangono indipendentemente dal rinnovarsi dell'assunzione di sostanze stupefacenti (condizioni che, in ogni caso, devono essere valutate con riferimento al momento in cui il fatto e' stato commesso). In altre parole, riveste carattere preliminare e assorbente rispetto ad ogni altra argomentazione fatta valere (...) il rilievo che, a prescindere dall'identificabilita' o meno, in astratto della cronica intossicazione da sostanze stupefacenti di cui all'art. 95 c.p., con il vizio (totale o parziale) di mente o dalla mera assimilabilita' ad esso, ad ogni modo nel caso in esame non e' emersa ne' e' stata allegata in punto di fatto alcuna cronica intossicazione. Ne' il mero uso di sostanze stupefacenti, per quanto abituale, influenza coscienza e volonta' della condotta, cosi' come non incide sull'imputabilita' del reo se non derivante da caso fortuito o forza maggiore». Cass. pen., sez. I, 22 marzo 2016, n. 27129: «L'abuso di droghe esclude o diminuisce l'imputabilita', per vizio totale o parziale di mente, soltanto in caso di intossicazione da sostanze stupefacenti. Affinche' l'intossicazione da sostanze possa avere rilievo, non solo dev'essere cronica, ma deve avere prodotto un'alterazione psichica permanente, implicante psicopatie ed effetti che durano oltre la fase accessuale d'assunzione della sostanza stupefacente stessa». Cass. pen., sez. VI, n. 25252/2018: «La documentazione prodotta (...) indicava un disturbo dell'orientamento, con ansia e depressione, ma non era direttamente riconducibile alla sussistenza di uno stato patologico permanente, non piu' dipendente dall'assunzione di sostanze stupefacenti, tale da configurare una malattia psichica incidente sull'imputabilita'. Del resto, l'uso prolungato di droga non influisce necessariamente in maniera grave sulla psiche. Gli elementi incentrati sui plurimi ricoveri del ricorrente presso comunita' terapeutiche, nonche' sul fatto che il ricorrente non riusciva a smettere, che con la testa "era andato fuori" e che quando si drogava il ricorrente era innocuo, danno conto di un effettivo stato di tossicodipendenza e di dipendenza dalla droga, ma di per se stessi sono inidonei a delineare quel peculiare stato di permanente psicopatica, scollegata all'assunzione di stupefacenti, in presenza della quale avrebbe potuto concretamente delinearsi una malattia psichica. In questo senso, per cronica intossicazione si intende solo quella che induce un'alterazione psichica permanente, termine che a sua volta puo' essere interpretata, con criterio restrittivo, come "irreversibile" ovvero, con criterio piu' estensivo, come "prolungato nel tempo"». Cass. pen., sez. III, n. 12949/2021: «La ratio del riconoscimento di una diminuzione di pena qualora la condotta costituente reato sia stata commessa in stato di cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti risiede nell'esistenza di uno stato patologico di carattere cronico, ossia di lungo corso e senza possibilita' di rapida guarigione, incidente, pur senza escluderla, sulla capacita' di intendere e di volere al momento del /alto; tale condizione di carattere cronico giustifica, proprio in considerazione della sua radicata persistenza, che ne determina il carattere patologico, la diminuzione di pena per i fatti commessi in tale stato. Detta condizione che, come evidenziato, deve avere carattere patologico, cioe' avere determinato un'alterazione funzionale dell'organismo e cronica, ossia con sintomi che non si risolvono nel tempo e non giungono a miglioramento, si distingue, proprio per tali caratteristiche, dalla ubriachezza volontaria o colposa o preordinata che, ai sensi dell'art. 92 c.p., se non dovuta a caso fortuito o forza maggiore non esclude ne' diminuisce l'imputabilita', determinando anzi ai sensi del secondo comma di tale disposizione, un aumento di pena se preordinata al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa». Cass. pen., sez. VI, 11 luglio 2022, n. 26617: «Una siffatta limitazione della capacita' di intendere e di volere sul soggetto tossicodipendente puo' individuarsi in presenza di uno status di dipendenza che, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilita' di guarigione, provoca alterazioni patologiche permanenti, cioe' una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze stupefacenti, tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi difronte ad una vera e propria malattia psichica». Cass. pen., sez. VI, n. 26478 del 30 maggio 2023: «La situazione di tossicodipendenza che influisce sulla capacita' di intendere e di volere e' solo quella che per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilita' di guarigione, provoca alterazioni patologiche permanenti, cioe' una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze stupefacenti, tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte ad una vera e propria malattia psichica». 4.2. Ritiene questo giudice che letta alla luce dell'interpretazione stabilizzata e consolidata dianzi richiamata, - che individua nella patologicita' e, quindi, nell'irreversibilita', il tratto che empiricamente distingue l'intossicazione acuta dall'intossicazione cronica -, la norma di cui all'art. 95 del codice penale non sia conforme ai parametri costituzionali della legalita', dell'uguaglianza e della colpevolezza, per i motivi di seguito illustrati. 4.2.1. Come gia' osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 114/1998, tale approccio interpretativo risulta fortemente ancorato al concetto e alla definizione di infermita', intesa peraltro secondo il piu' tradizionale e risalente modello nosografico, quale «malattia del cervello o del sistema nervoso», avente per l'effetto un substrato organico o biologico, coincidente con una vera e propria manifestazione patologica «certa e documentabile»: il concetto di riferimento e' quello della malattia psichiatrica in senso stretto, da intendersi come rottura di nessi logici psichici, determinata da un processo patologico organico; in questo senso, la visione della malattia mentale e' strettamente legata all'accertamento di una causa anatomo-patologa e, in assenza di una sicura base organica, sostanzialmente inquadra la condizione di «disturbo mentale» in uno schema classificatorio «nosografico» prestabilito, che raggruppa i quadri morbosi aventi in comune cause, forme, sviluppo, decorso, esito e reperto cerebrale. Trattasi di un modello anacronistico, non piu' giustificato dall'evoluzione della scienza psichiatrica che attualmente accoglie un paradigma integrato (bio-psico-sociale) che tiene conto dell'aspetto medico, quanto di quello psicologico e di quello sociologico, ciascuno dei quali risulta coinvolto nella malattia mentale. In tale direzione si e' del resto assestata la giurisprudenza della Corte di cassazione che, nell'applicazione degli articoli 88 e 89 del codice penale, a partire dalla nota sentenza a Sezioni Unite, n. 9163 del 25 gennaio 2005 (sentenza), ha aderito ad un concetto di infermita' diverso e piu' ampio di quello di malattia, nel senso che non si limita esclusivamente alle vere e proprie malattie mentali esattamente inquadrabili nella nosografia, psichiatrica ma ricomprende anche piu' estensivamente qualsiasi condizione patologica che sia stata in grado di interferire sulla capacita' di intendere e di volere anche solo transitoriamente. Cio', in ragione di un noto triplice ordine di considerazioni: a) il termine di «infermita'» di cui agli articoli 88 e 89 codice penale non viene utilizzato negli articoli 582 e 583 del codice penale, in cui il legislatore impiega il diverso termine di «malattia», sicche' e' lo stesso codice ad attribuire diversita' di significato ai due termini: «malattia» e' uno stato di sofferenza dell'organismo transitorio, con andamento evolutivo verso un esito (guarigione, morte, adattamento ad altre condizioni di vita) e, dal punto di vista etimologico, indica un concetto dinamico; «infermita'» e' qualsiasi malattia che colpisca l'organismo ed esprime un concetto statico, un modo di essere senza alcun riferimento al tempo di durata ed ha per l'effetto un significato piu' ampio e generico; b) sotto il profilo sistematico, cio' che rileva ai fini del giudizio di imputabilita', non e' tanto la classificazione nosografica della condizione del soggetto, quanto «che il disturbo abbia in concreto l'attitudine a comprometterne gravemente la capacita' sia di percepire il disvalore del fatto commesso sia di recepire il significato del trattamento punitivo», il che rende evidentemente rilevanti anche i disturbi psichici non inclusi nell'ambito delle malattie psichiatriche in denso stretto; c) i disturbi della personalita' sono stati in ogni caso classificati dal DSM e cio' rende evidente l'esistenza di un diffuso accordo tra la comunita' scientifica ad attribuire a tali disturbi l'attitudine a proporsi come causa idonea ad escludere o grandemente scemare la capacita' di intendere e di volere del soggetto, in via autonoma e specifica, senza la necessita' che il disturbo si sovrapponga ad un preesistente stato patologico. In questo senso, la Suprema Corte, con motivazioni pienamente condivisibili e di fatto condivise dalla giurisprudenza successiva alla sentenza , ha ammesso la riconducibilita' dei disturbi della personalita' nell'ambito delle infermita' rilevanti ai fini degli articoli 88 e 89 del codice penale, a condizione che il disturbo incida effettivamente sulla capacita' di intendere e di volere, - annullandola o compromettendola (5) - e che vi sia un nesso eziologico tra disturbo e fatto-reato, tale da fare ritenere quest'ultimo causalmente determinato dal primo. Sulla scorta delle considerazioni svolte, ritiene il decidente che, cosi' come interpretata, la norma di cui all'art. 95 del codice penale sia censurabile sotto il profilo della ragionevolezza e, per l'effetto, violi il principio di uguaglianza di cui all'art 3 della Costituzione. Sul punto, deve evidenziarsi che, rispetto alle decisioni criminalizzatrici del legislatore, - alla cui discrezionalita', va ribadito, e' evidentemente affidata non soltanto la scelta dei beni/interessi/valori da tutelare e le tecniche di tutela, ma altresi' la commisurazione delle sanzioni -, e' del pari innegabile il potere della Consulta di verificare, senza che possa parlarsi di invasione di competenze, che la libera ponderazione politica non trasmodi in arbitrio e sia esercitata entro i limiti concreti derivanti proprio dai criteri di ragionevolezza, proporzionalita' e coerenza, laddove la proporzionalita' risponda all'esigenza di mitigare il rigore della disciplina positiva di fronte alle peculiarita' del caso concreto, mentre la coerenza coincida con la rispondenza logica della norma rispetto al fine perseguito dalla legge ovvero rispetto ai principi generali del sistema. Del resto, e' proprio il principio di uguaglianza ad esigere, che vi sia una parita' di trattamento fra fattispecie sostanzialmente omogenee, ovvero che l'eventuale scelta di differenziarle abbia una rispondenza logica rispetto al fine perseguito dalla legge ovvero alla sua ratio e sia per l'effetto sorretta da ragionevole giustificazione (cfr. Corte costituzionale 2 febbraio 2007, n. 22; nonche' Corte costituzionale n. 409/1989; e di recente Corte costituzionale, n. 46/2024, secondo cui «qualsiasi legge dalla quale discendano compressioni dei diritti fondamentali della persona deve potersi razionalmente giustificare in relazione a una o piu' finalita' legittime perseguite dal legislatore; e i mezzi prescelti dal legislatore non devono risultare manifestamente sproporzionati rispetto a quelle pur legittime finalita'»). Quanto alle modalita' attraverso le quali si estrinseca il giudizio di ragionevolezza di una norma giuridica come osservato da codesta Corte, esso, «lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 1130 del 1988). Per altro verso, in relazione al sindacato sull'operato del legislatore, richiamando le considerazioni svolte nella nota sentenza di Codesta Corte n. 236/2016, da tempo ormai e' stata registrata l'emancipazione del principio di proporzionalita' dalla dinamica trilaterale ex art. 3 della Costituzione, sicche' il sindacato di proporzionalita' si irradia a questo punto in un controllo a monte, affrancandosi dallo schema triadico del tertium comparationis ed ancorandosi piuttosto, al rapporto di misura tra la quantita' della pena comminata dal legislatore ed il conseguimento della finalita' risocializzante, «non potendosi perseguire alcuna azione rieducativa mediante un trattamento sanzionatorio sproporzionato alla gravita' del fatto» (cosi' la circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 1989, pubblicata in leg. pen., 1984). Tanto premesso, a parere di questo giudice, la disposizione censurata, cosi come interpretata alla luce del «diritto vivente», ,contrasta con il principio di uguaglianza, nella misura in cui diversifica in senso ingiustificatamente sfavorevole il trattamento, dell'autore di reato il quale versi al momento del fatto in condizioni di «cronica intossicazione da alcool o stupefacenti», - per il quale, ai fini dell'applicabilita' delle norme di cui agli articoli 88 e 89 del codice penale, e' necessaria la configurabilita' di alterazioni patologiche permanenti aventi un substrato organico o biologico, come quelle a livello cerebrale o di natura biochimica -, e l'autore di reato che non si trovi in tali condizioni ed al quale sia per l'effetto applicabile il piu' ampio concetto di infermita', comprensiva altresi' di disturbi psichici di carattere non strettamente patologico ovvero di anomalie psichiche riconducibili alla psicopatologia clinica ma non ascrivibili alle malattie psichiatriche in senso stretto. Tale ingiustificata difformita' di trattamento appare ancora piu' evidente con riferimento alla valutazione ed al trattamento previsto in relazione a forme di dipendenza del tutto assimilabili alla tossicodipendenza ovvero alla alcooldipendenza, consistenti nella cleptomania o nel gioco d'azzardo patologico o ludopatia (in inglese, gambling), quest'ultima originariamente definita dal punto di vista psichiatrico come disturbo compulsivo o del controllo degli impulsi e di recente classificata nell'ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) come forma di dipendenza al pari di quelle da sostanze stupefacenti e alcool. Anticipando le considerazioni che saranno infra svolte, appare fin d'ora opportuno sottolineare che proprio nell'ultima edizione del DSM, le categorie di abuso e dipendenza da sostanze sono state unificate in un unico disturbo, misurato su un continuum da lieve a grave, - i cui criteri per la diagnosi sono stati uniti in un unico elenco di undici sintomi -, comprensivo del disturbo da gioco d'azzardo, indicato come esempio di una nuova categoria di dipendenze comportamentali. Adeguandosi a tale nuova classificazione e in sostanziale allineamento con la sentenza delle Sezioni Unite, la giurisprudenza degli ultimi anni e' ormai sostanzialmente uniforme non soltanto nel riconoscere la ludopatia tra i disturbi di personalita', ma altresi' nel ritenere la relativa condizione idonea ad integrare il vizio di mente totale o parziale dell'autore del fatto, specialmente laddove sia fortemente compromessa la capacita' di volere, nel senso di capacita' di frenare le sollecitazioni endopsichiche che sollecitano comportamenti compulsivi finalizzati all'appropriazione di denaro da spendere nel gioco, con impulsi all'azione del tutto analoghi a quelli che stimolano l'azione delittuosa di un tossicodipendente (cfr. tra le tante, Cassazione pen., sez. VI, 10 maggio 2018, n. 33463, secondo cui «ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, il gioco d'azzardo patologico, che e' da considerarsi un disturbo della personalita' o disturbo di controllo degli impulsi, destinato, come tale, a sconfinare nella patologia e ad incidere, escludendola, sulla imputabilita' per il profilo della capacita' di volere, puo' rientrare nel concetto di infermita', purche' sia di consistenza, intensita' e gravita' tali da incidere concretamente sulla capacita' di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa»; nonche', meno recente, Cassazione pen., n. 45156/2015, che, in relazione alla condotta di una donna autrice del delitto di rapina ed affetta da una «sindrome di disregolazione della dopamina» in grado di indurre comportamenti compulsivi, tra cui il gioco d'azzardo, censurando la valutazione del giudice di merito, ha richiamato la necessita' di una verifica positiva in ordine alla sfera della capacita' di volere implicante l'esistenza di un impulso cui resisti non potest alla perpetrazione del reato). D'altro lato, la scelta legislativa di valutare e trattare diversamente «stati mentali» riconducibili al medesimo modello esplicativo, non appare piu' ragionevole sotto il profilo della coerenza, in quanto giustificata da intenti di prevenzione generale di particolare rigore rispetto a «forme di intossicazione, che attaccano alle radici la forza e con questa, l'avvenire della stirpe», divenuti nondimeno del tutto incongruenti rispetto al mutato contesto globale della societa' attuale, in cui la tossicodipendenza (cosi' come l'alcooldipendenza), pur restando inequivocabile piaga sociale, non e' piu' valutata in termini di devianza, ma quale manifestazione della c.d. addiction, concettualizzata secondo modelli accreditati dalle scienze mediche e sociologiche quale disturbo di un malfunzionamento dei circuiti cerebrali della ricompensa (a sua volta causato dall'assunzione prolungata) suscettibile di integrare una vera e propria compromissione patologica (6) non necessariamente irreversibile, in presenza di determinate caratteristiche di contesto (7) . In altri termini, in conformita' con il modello proposto da autorevole dottrina scientifica, trattasi non tanto di una «malattia del cervello», bensi' di un «disturbo incorporato in un contesto sociale», in cui, ai fini dell'iniziazione all'addiction, sia pure innescata da un'attivita' volitiva iniziale (la prima dose di stupefacente, il primo bicchiere, la prima slot), assumono rilevanza fattori biochimici, cosi' come fattori psicologici, economici, sociali e situazionali (8) . Tale impostazione e' stata del resto progressivamente condivisa dall'evoluzione legislativa, che si e' dimostrata sempre piu' sensibile verso la presa in carico di soggetti che versino in condizioni di abuso di stupefacenti, attraverso l'apertura alla prevenzione ed al reinserimento sociale: con la legge n. 685/1975 i luoghi di cura non sono piu' gli ospedali psichiatrici, ma i normali presidi ospedalieri, favorendo l'immagine del tossicodipendente non piu' come potenziale o attuale criminale, ma come persona malata e bisognosa di cure; con la legge n. 297/1985 si sottolinea il fondamentale valore dell'intervento preventivo rispetto all'abuso di sostanze e il bisogno di un reinserimento sociale ai fini del trattamento; con la legge n. 663/1996, si regola la modalita' di affidamento in prova ai servizi sociali per il detenuto tossicodipendente o alcoldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che intenda sottoporsi ad esso; con la legge n. 162/1990 si conferma la volonta' politica di collocare il problema della dipendenza da stupefacenti al centro dell'attenzione della comunita' civile, come espressione del disagio del singolo, portatore di problematiche piu' ampie, prevedendo che la pena detentiva nei confronti di persona condannata per reati commessi in relazione al suo stato di tossicodipendenza sia scontata in istituti idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi. Rispetto a tale qualificazione ormai condivisa dalla scienza moderna in tema di dipendenza (da sostanze e comportamentali), le «finzioni giuridiche» stabilite dagli articoli 92 e 93 del codice penale ed il rigore che sottende la disposizione oggetto dell'odierna censura, -fondata su un modello giuridico del tutto sfasato rispetto alle categorie scientifico-naturalistiche che secondo le attuali correnti psicodinamiche e fenomenologiche spiegano l'abuso di sostanze e l'alcoldipendenza collocandole all'interno di patologie comportamentali -, si dimostrano irragionevolmente anacronistiche, in quanto non corrispondenti e addirittura contrastanti con le esigenze del tempo attuale. In conformita' con la dottrina costituzionalistica in materia, l'anacronismo legislativo e' stato infatti individuato, innanzitutto, nella «sfasatura» nella «mancata armonia sul piano temporale» e, quindi, nel «contrasto» che la norma presenta «nei confronti delle strutture sociali connesse alla sua regolazione» e dei «modelli culturali in atto in una determinata societa'»; in questo senso, puo' manifestarsi «quando la legge, come mezzo originariamente collegato ad un fine, perde col passare del tempo, il senso di tale relazione .funzionale, ossia la propria ratio» - intesa sia quale motivazione storicamente contingente e soggettiva posta all'origine della formulazione della norma sia quale fondamento razionale obiettivo della norma stessa - «e risulta percio' irragionevole», anche in seguito al «mutare dei rapporti assiologici sui quali la legge si fondava o, comunque, per la intervenuta non corrispondenza ai suoi originari presupposti». Nella giurisprudenza costituzionale, del resto, si rinvengono numerose pronunce in cui l'obsolescenza o inattualita' delle norme - e la connessa perdita di ratio -, sono state ricondotte al mutare (o al venir meno) dei presupposti scientifici a sua volta conseguente ai progressi ed alle acquisizioni della scienza medica (cfr. sul punto Corte costituzionale n. 134/1985; n. 179/1988; nonche' n. 324/1998 la quale, ritenendo incompatibili con i principi costituzionali le norme che prevedevano l'applicabilita' anche ai minori della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, ha evidenziato che «il legislatore, recependo le acquisizioni piu' recenti della scienza e della coscienza sociale, ha riconosciuto come la cura della malattia mentale non debba attuarsi se non eccezionalmente in condizioni di degenza ospedaliera, bensi' di norma attraverso servizi e presidi psichiatrici extra ospedalieri, e comunque non attraverso la segregazione dei malati in strutture chiuse come le preesistenti istituzioni manicomiali»). Cio' che e' avvenuto con riguardo alla disciplina dei reati commessi in fase di intossicazione, elaborata in un contesto storico in cui peraltro il problema criminogeno della tossicodipendenza era del tutto trascurabile, giacche', come osservato da autorevole dottrina, «fino agli anni cinquanta il tossicomane era una figura isolata, di estrazione borghese o piu' elevata, scarsamente integrato nella vita sociale lavorativa tradizionale che, al massimo, poteva rivestirsi, nel suo comportamento, di caratteri asociali, ma non antisociali o francamente criminosi»; e l'immagine del «pallido viveur che annusa cocaina o il morfinomane che e' preda del farmaco per debolezza di carattere o per malattia cronica piu' o meno confessabile» cliche' «quasi letterario e romantico, del tossicodipendente della prima meta' del secolo» appare assai distante dalla definizione della tossicodipendenza offerta dalla Organizzazione mondiale della sanita' supra richiamata. In questo senso, ritiene il decidente che i mutamenti extranormativi sopravvenuti nel contesto di riferimento della norma in tema di cronica intossicazione ne abbiano inevitabilmente determinato l'obsolescenza, privandola della sua ratio, ovvero del suo fondamento giustificativo attuale e rendendola incostituzionale in forza di una sopravvenuta irragionevolezza, con un conseguente pregiudizio per il principio di coerenza interna dell'ordinamento, tenuto conto della difforme valutazione riservata ad altre forme di dipendenza. La censura non coinvolge per l'effetto la discrezionalita' del legislatore, poiche' il giudice costituzionale interviene al fine di sanare un vizio non originario, ma provocato dal semplice passaggio del tempo, sicche' la dichiarazione di incostituzionalita' non e' idonea in concreto a sollevare reazioni di lesa violazione dell'autonomia legislativa. 4.2,2. Sintomi di irragionevolezza, in relazione al principio di cui all'art. 3 della Costituzione, nonche' profili di anomalia, rispetto al principio dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali di cui all'art. 111 della Costituzione, sono altresi' ravvisabili, a parere di questo giudice, nell'accostamento della condizione di intossicazione cronica del tossicodipendente rispetto a quella dell'alcooldipendente, rispetto alle alterazioni patologiche permanenti richieste ai fini del riconoscimento del vizio di mente idoneo ad incidere sull'imputabilita', ex articoli 88 e 89 del codice penale. Anche in questo caso, l'evoluzione scientifica ha infatti dimostrato che esiste una differenza sostanziale sul piano clinico, sintomatologico, anatomopatologico, sociale e psicologico tra intossicazione da alcool e intossicazione da sostanza stupefacente e che, contrariamente a quanto avviene per l'alcolismo, dove la cronicita' trova base sia clinica che anatomopatologica, non vi e' sostanza stupefacente che induca un danno anatomico di tale gravita' da indurre una «permanente e irreversibile anomalia psichica». Se ne ricava che mentre l'intossicazione alcolica rappresenta una «patologia di rilievo somatico, neurologico, psichiatrico, con spiccate caratteristiche di permanenza e, comunque osservabile costantemente anche oltre la cessazione degli effetti, con parametri di rilievo nosografico», le tossicomanie di fatto non rientrano mai nel disposto di cui all'art. 95 del codice penale, giacche' e' estremamente raro che possano rinvenirsi quelle «alterazioni psichiche permanenti» necessarie ai fini del riconoscimento della «cronica intossicazione» da sostanze, idonea ad escludere l'imputabilita'. In verita', se i piu' recenti studi eseguiti grazie all'impiego delle moderne tecniche di neuroimmagine consentono di ritenere con un sufficiente grado di certezza l'influenza delle droghe sul :funzionamento delle principali capacita' cerebrali, agendo direttamente sui neuro-trasmettitori (le molecole che coordinano la trasmissione degli impulsi nervosi) e determinando significative conseguenze, - quali la perdita di reazione agli stimoli, l'incapacita' di valutare e controllare le proprie azioni, lo sdoppiamento di personalita', le alterazioni mentali, oltre ad una distorta percezione dello spazio e del tempo e alterazioni delle funzioni cognitive -, documentabili anche a distanza di mesi dalla sospensione dell'uso (come per la cocaina), nondimeno, trattasi di alterazioni in via generale reversibili con la cessazione del consumo, grazie al ruolo della plasticita' cerebrale rispetto al recupero cognitivo, pur variabile, a seconda della durata dell'uso, della quantita' delle sostanze assunte, dalle modalita' dell'assunzione e della sensibilita' individuale, oltre che della compresenza di altre malattie. Per altro verso, come osservato dalla letteratura scientifica piu' accreditata, le psicosi acute e croniche indotte dall'alcool sono di accertamento relativamente agevole e strettamente legate agli stati permanenti di intossicazione cronica, quali il «delirium tremens» (perturbamento di coscienza con grande irrequietezza, tremori e allucinazioni visive spesso terrifiche), la «allucinosi alcolica» (saldo delirio di persecuzione sulla base di allucinazioni soprattutto uditive); il «delirio di gelosia» (convincimenti irremovibili ed erronei sulla infedelta' del partner), la «sindrome di Korsakoff» (manifestantesi in molte affezioni tossiche o in altre malattie organiche, quali traumi, tumori ovvero gravissime lesioni della memoria, colmata da fantastiche invenzioni e accompagnata da confabulazione) e la «demenza alcolica» (scadimento globale intellettivo grave ed irrimediabile). Trattasi, pertanto, di patologie di rilievo somatico, neurologico e psichiatrico che hanno caratteristiche di permanenza e sono certamente osservabili anche oltre la cessazione dell'abuso. Al contrario, i disturbi psicotici acuti e cronici da uso di sostanze sono di difficile e contrastato inquadramento e, come gia' supra evidenziato, sebbene idonei ad escludere o scemare la capacita' di volere in caso di gravi disordini da dipendenza, non hanno necessariamente effetti permanenti e/o irreversibili, ad eccezione dei casi di uso protratto di eroina e morfina, suscettibili di produrre una degenerazione grassa dei neuroni, associata a varie lesioni di tipo degenerativo, quali sclerosi, tigrolisi, o lesioni regressive delle pareti vascolari con conseguente spopolamento cellulare, e, per l'effetto, stati discrasici che difficilmente possono consentire la perpetrazione di reati. In questo scenario, la psichiatrica clinica, la neuropsicofarmacologia e la neurobiologia puntano l'attenzione proprio sul problema ancora oggi insoluto del ruolo che le sostanze d'abuso possono esercitare nell'esordio di un disturbo psichiatrico e, in particolare, di un quadro psicotico. A cio' vanno aggiunte le perplessita' gia' sollevate con la questione decisa con la sentenza n. 114/1998, in ordine all'oggettiva difficolta' di stabilire un confine tra normalita' e anomalia in un quadro di cronica intossicazione da stupefacenti, e, per l'effetto, di pervenire ad una motivazione del provvedimento giurisdizionale che la riconosce o la esclude senza risolversi in formule stereotipe, incongrue e contraddittorie, in ossequio al principio di cui all'art. 111 della Costituzione. Cio' in quanto, in conformita' con quanto ritenuto dalla letteratura psichiatrica in materia: a) non esiste una struttura di personalita' tipica del tossicodipendente; b) i tratti abnormi o patologici di personalita', qualora esistano, non si sa se precedono o succedono all'uso di sostanze stupefacenti; c) le eventuali manifestazioni psicopatologiche, in senso lato intese, possono cambiare con il cambiamento del contesto storico-culturale; d) se disturbi patologici psichici persistono anche a distanza di tempo nella personalita' del tossicodipendente, essi vanno essenzialmente riportati ad una patologia organica (in via generale provocata da sostanze quali barbiturici, sedativi e ipnotici, oppiacei, anfetaminici) ovvero ad una patologia di tipo depressivo-paranoideo. Peraltro, se e' pacifica la sintomatologia propria dei disturbi mentali organici - costituita da deficit dell'attenzione, memoria compromessa, ideazione rallentata e irrigidita, disfunzioni dell'umore, compromissione delle attivita' sociali e professionali, sospettosita' e idee paranoidi o di riferimento, ansia marcata, aggressivita' e ostilita' -, oltre agli esiti dei test mentali (specialmente il test di Rorschach e i test di disegno della figura umana), resta il fatto che i dati clinici segnalati dalla letteratura sono difficilmente individuabili e fruibili in ambito giudiziario, specialmente nei confronti di soggetti che appartengano a culture differenti da quella occidentale ed in parte coincidono con i tratti comuni a tutti i tossicodipendenti, rendendo francamente ambiguo e privo di validita' scientifica l'accertamento peritale sul quale si fonda la decisione, che - giova ancora una volta evidenziarlo -, in assenza di patologie somatiche o neurologiche specifiche direttamente collegate all'intossicazione, si fonda una verifica di un'alterazione inerente lo stato psichico e comportamentale e non biologico del soggetto e nella maggioranza dei casi, avviene in un momento che non coincide con l'epoca di commissione del reato, sicche' lo stato psichico del soggetto viene ricostruito per retrospezione. A cio' va aggiunto che, proprio per le considerazioni supra svolte, in tutti i casi in cui l'uso di sostanze diventa cronico, subentrano altri fattori nel mantenimento del comportamento tossicomanico, non necessariamente coincidenti con tratti o disturbi preesistenti di personalita', ma consistenti piu' in generale con patologie conflittuali o frustrazionali, fattori socio-ambientali e culturali, esperienze legali e giudiziarie di diversa gravita'; fattori che rendono inevitabilmente l'approccio esclusivamente medico-biologico-psichiatrico del tutto inadeguato, riduttivo, impreciso. Se ne ricava che non e' in alcun modo determinabile con ragionevole certezza scientifica, ai fini del riconoscimento della cronicita' dell'intossicazione, il momento in cui l'uso abitudinario sfocia nelle alterazioni piu' o meno stabili richiamate dal legislatore: l'assenza di una base per una diagnostica clinica, preclude quell'accertamento differenziale che sembra richiamato dalle norme esaminate. Ne e' prova, del resto, la vicenda sottostante l'odierna questione, in cui il medesimo soggetto, valutato a distanza di qualche mese da due distinti professionisti, e' stato ritenuto dal primo non imputabile e per l'effetto collocato in REMS e dal secondo imputabile e per l'effetto sottoposto a misura cautelare, proprio in ragione di un difforme giudizio in ordine alla configurabilita' di una condizione di cronica intossicazione. Infine, non puo' sottacersi che, a differenza dell'alcool, gli stupefacenti non rappresentano una sostanza categorialmente unitaria e, dunque, producono nei consumatori disturbi che si inseriscono in quadri psicopatologici diversi, a seconda del tipo di sostanza assunta: esiste in questo senso, un'enorme differenza nelle conseguenze dell'uso, tra le singole droghe, sul piano comportamentale oltre che clinico, agendo alcune sostanze in direzione dell'io (modificazione della somaticita', apertura verso fantasie allucinanti) ed altre, alterando il rapporto interpersonale e causando comportamenti eteroaggressivi (9) . Richiamando integralmente i quadri tossici previsti dalla psichiatria forense e riportando in questa sede, a titolo esemplificativo, gli effetti conseguenti all'assunzione di Psicodislettici minori ovvero di Sostanze stimolanti (assunte dall'imputato del procedimento a quo), nel caso di intossicazione cronica da cannabis, le evidenze piu' significative si manifesterebbero sotto forma di una sindrome simile alla schizofrenia ovvero di una psicosindrome organica, mentre, nel caso di intossicazione cronica da cocaina, il quadro si trasformerebbe in una psicosi cronica di tipo schizofrenico paranoide, con manie di persecuzione, allucinazioni e tono dell'umore orientato in senso disforico-depressivo. Se ne ricava la sostanziale impossibilita' di delineare un unico quadro clinico e psichiatrico di intossicazione cronica da sostanze oggettivamente misurabile con riferimento alle sostanze assunte, posto che ogni psicosi ha un significato diverso sulla base di ogni intossicazione da sostanze e della struttura di personalita' dell'assuntore e che non e' mai possibile procedere all'identificazione delle sostanze presenti nell'organismo, ne' stabilire l'epoca di insorgenza della intossicazione, cosi' come la durata e l'entita' dell'abuso. Senza trascurare l'effetto procurato da sostanze psichedeliche solitamente utilizzate per «tagliare» la cocaina, destinate ad incrementare la sintomatologia psicotica, mediante alterazione della percezione e dello stato di coscienza, provocando allucinazioni, distorsioni della realta', modifiche della percezione del tempo e dell'ambiente; questo significa che l'effetto di una sostanza (nella specie, la cocaina) non puo' essere mai matematicamente predeterminato, ne' univoco, ma, ancora un volta, dev'essere sempre contestualizzato all'interno delle ben piu' ampie dinamiche della vita personale e sociale del tossicodipendente. 4.2.3. Infine, ritiene il decidente che la norma censurata, precludendo per le sostanze stupefacenti (e per le ragioni supra spiegate) l'accertamento di uno stato mentale in concreto idoneo a superare la finzione giuridica di cui all'art. 93 del codice penale, contrasti con il principio di personalita' e di finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma della Costituzione, da intendersi sia come divieto imposto al legislatore di ricorrere alla c.d. responsabilita' oggettiva, fondate sul mero versori in re illicita, sia, nelle ipotesi di possibile riconoscimento di un vizio di mente parziale, ai sensi dell'art. 89 del codice penale, in termini di «individualizzazione del trattamento sanzionatorio», diretta a rendere quanto piu' possibile «personale» la responsabilita' penale e, nello stesso tempo, quanto piu' possibile «finalizzata» la pena determinata in caso di condanna (cfr. Corte costituzionale, n. 50/1980), giacche', come piu' volte rammentato da codesta Corte, una pena non proporzionata alla gravita' del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa (cfr. ex multis, Corte costituzionale, sentenze n. 236/2016, n. 68/2012 e n. 341/1994). In questo senso, il principio della personalita' della responsabilita' penale impone uno stretto legame tra colpevolezza e liberta' di agire e di volere dell'uomo, intesa come capacita' dell'uomo di autodeterminarsi, di decidere tra piu' alternative, in ultima istanza, come liberta' di agire altrimenti dell'individuo, a cui comunque deve potersi muovere un rimprovero individuale (perche' il soggetto e' stato nelle condizioni di comprendere il significato nocivo della propria azione nel giudizio di valore che impone l'inflizione di un castigo), sia pure estraneo allo stato psicologico del momento, ai sensi dell'art. 42 del codice penale, in un disegno complessivo diretto a garantire la certezza e la prevedibilita' dell'agire umano. Per altro verso, una pena applicata a prescindere dall'esigenza di rieducazione del condannato incolpevole, solo per ragioni di deterrenza di natura generai-preventiva, finirebbe per «strumentalizzare» la persona, sacrificando i suoi beni fondamentali per ragioni di politica criminale, in contrasto con il principio c.d. personalistico che ispira la Costituzione. Sul punto, invero, i principi di cui agli articoli 3 e 27 della Costituzione «esigono di contenere la privazione della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale» (Corte cost. n. 179/2017) in vista del «progressivo reinserimento armonico della persona nella societa', che costituisce l'essenza della finalita' rieducativa» della pena (cfr. Corte costituzionale n. 149/2018). La stessa Corte costituzionale, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del codice penale, nella parte in cui statuisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 del codice penale sulla circostanza aggravante della recidiva, ha di recente (sentenza n. 73 del 24 aprile 2020) colto l'occasione per precisare che «il principio di proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del reato, da tempo affermato da questa Corte sulla base di una lettura congiunta degli articoli 3 e 27, terzo comma, Costituzione (a partire almeno dalla sentenza n. 343 del 1993; in senso conforme, ex multis, sentenze n. 40 del 2019, n. 233 del 2018, n. 236 del 2016) esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensivita' del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo (sentenza n. 222 del 2018). E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volonta' criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell'autore, rendendolo piu' o meno rimproverabile»; fattori tra i quali si colloca, in posizione preminente, «proprio la presenza di patologie o disturbi significativi della personalita' (cosi' come definiti da Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 gennaio - 8 marzo 2005, n. 9163) come quelli che la scienza medico-forense stima idonei a diminuire, pur senza escluderla totalmente, la capacita' di intendere e di volere dell'autore del reato». D'altro lato, appare evidente come l'eventuale palese sproporzione della risposta punitiva - e del sacrificio della liberta' personale -, anche e specialmente nelle ipotesi in cui la pena deve mirare non soltanto alla rieducazione ma anche alla cura del condannato, compromette ab initio il processo rieducativo, al quale il reo tendera' a non prestare adesione, gia' solo per la percezione di subire una condanna ingiusta, svincolata dalla gravita' e dal disvalore della propria condotta) (10) . Tutto quanto innanzi premesso, appare di tutta evidenza come si riveli alquanto pregiudizievole per l'efficacia rieducativa in concreto della pena, rispetto ai casi di scarsa gravita', la preclusione della possibilita' di riconoscere una minorata responsabilita' soggettiva del reo, favorendo l'applicazione di misure di sicurezza, certamente piu' adeguate nelle ipotesi di imputabilita' diminuita, in quanto recanti un profilo di «cura» associato al contenimento della pericolosita'. In particolare, essendo preclusa la possibilita' di accertare l'esistenza di una patologia di carattere permanente ed irreversibile idonea a consentire l'applicazione delle norme di cui all'art. 88 e 89 del codice penale, nelle ipotesi in cui e' in astratto ravvisabile una diminuita capacita' di intendere o di volere del responsabile, difetta la possibilita' di applicare un trattamento adeguato e proporzionato al singolo caso concreto, nonche' di ricorrere a trattamenti finalizzati al recupero e al reinserimento del reo nelle ipotesi in cui quest'ultimo, pur essendosi reso responsabile di una condotta criminosa, meriti una ridotta rimproverabilita' proprio per il suo minore grado di discernimento del disvalore della propria condotta ovvero della sua minore capacita' di controllo dei propri impulsi, al momento di commissione del fatto, in frontale contrasto con la finalita' rieducativa della pena. 4.3. Ritenuta l'illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 95 del codice penale, cosi' come interpretata alla luce dell'univoco indirizzo giurisprudenziale costituente diritto vivente supra richiamato, e' onere di questo giudice verificare se della disposizione censurata possa essere offerta, nell'osservanza degli ordinari criteri ermeneutici, un'interpretazione adeguatrice, in grado di porla al riparo dalle sollevate censure e comunque rispettosa dei parametri costituzionali, non sussistendo alcun obbligo di uniformarsi all'interpretazione stabilizzata (cfr. Corte costituzionale, n. 230 del 12 ottobre 230). Cio' posto, l'unico percorso interpretativo praticabile, appare quello apparentemente «suggerito» dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 114/1998 (la quale, nel richiamare i progetti di riforma del codice penale degli anni '90, sottolinea lo spazio autonomo assegnato alla «cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti» rispetto alle ipotesi di infermita' o alle altre anomalie, in questo senso svincolandola proprio dal concetto di infermita') e fatto proprio dalla nota sentenza della Cassazione a SS.UU. n. 9163/2005, che, con uno storico cambio di rotta destinato a fare da viatico anche nei confronti di quei disturbi psichici non perfettamente inquadrabili dalla nosografia clinica, ha aperto la categoria del vizio di mente a tali condizioni, comprensive dei disturbi mentali o disordini dell'umore o del pensiero, scavalcando la nozione classica di malattia psichiatrica. In questo senso, ci si chiede se sia possibile ipotizzare la sussistenza di uno stato di cronica intossicazione da stupefacenti in presenza di una condizione di infermita' nella quale siano compresi anche i gravi disturbi di personalita' che, pur non avendo un inquadramento nosografico ed essendo transeunti e reversibili, siano di consistenza, intensita', rilevanza e gravita' tali da concretamente incidere sulla capacita' di intendere e di volere. Seguendo tale approccio interpretativo, sarebbe possibile aprire alla possibilita' di riconoscere legittimazione alla categoria dei «Disturbi correlati a sostanze» (Disturbo da uso di sostanze DUS), riconosciuta dal DSM-V, ai fini della configurabilita' di uno stato di cronica intossicazione, sia pure in presenza di sintomatologia non permanente ne' irreversibile. Nell'identificazione del disturbo sarebbero pertanto utilizzabili i criteri elaborati dalla psichiatria forense, in relazione ad una sintomatologia riscontrata entro un termine di dodici mesi: 1. Tolleranza: fenomeno caratterizzato dal bisogno di dosi notevolmente piu' elevate della sostanza per raggiungere l'intossicazione o l'effetto desiderato; 2. Astinenza: manifestata dalla caratteristica sindrome di astinenza, la quale porta ad assumere la sostanza (o una strettamente correlata a quella abituale) per attenuare o evitarne i sintomi; 3. Interruzione o riduzione delle attivita' sociali, lavorative o ricreative, con danni sul funzionamento della persona; 4. Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l'uso della sostanza; 5. Quantita' significative di tempo impiegato nella ricerca e nell'assunzione della sostanza; 6. Perdita del controllo ed attuazione di comportamenti d'uso compulsivi; 7. Uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica, causato o esacerbato dalla sostanza; 8. Uso frequente con incapacita' di adempiere ai propri compiti; 9. Uso della sostanza in situazioni a rischio; 10. Uso ricorrente della sostanza nonostante l'insorgenza di problemi sociali o interpersonali; 11. Craving, inteso in termini di desiderio impulsivo per una sostanza psicoattiva, per un cibo o per qualunque altro oggetto-comportamento gratificante. In dettaglio, proprio la sintomatologia del craving consente di spiegare il modello dell'addiction elaborato sulla scorta delle evidenze del progresso neuroscientifico degli ultimi trentanni, che ha consentito di verificare come le sostanze psicoattive agiscano sul sistema nervoso, alterando il normale equilibrio dei neurotrasmettitori e di fatto i processi del c.d. circuito della gratificazione ovvero i processi di elaborazione delle informazioni ed i processi critici cerebrali che interagiscono con il controllo comportamentale. Sul punto, invero, una recente rassegna di studi ha accertato che, in caso di dipendenza in fase avanzata, sono ravvisabili una serie di alterazioni inerenti non soltanto la struttura del sistema nervoso centrale - con la riduzione della capacita' della corteccia prefrontale di dare il via a comportamenti in risposta a gratificazioni biologiche, di fatto diminuendo il controllo cognitivo e incrementando l'impulso glutamatergico nella risposta allo stimolo associato alla sostanza -, ma altresi' il profilo sensoriale, generando una visione distorta della realta' e condizionando lo stato psichico del soggetto, rendendolo il piu' delle volte incapace di determinarsi razionalmente, sebbene le due forme di alterazione siano comunque influenzate da fattori individuali (condizioni genetiche con deficit del sistema dopaminergico e controllo comportamentale), oltre che da fattori familiari e socio-ambientali, come la mancanza di adeguate cure, supporto e controllo parentale, ovvero condizioni di deprivazione affettiva, eventi e condizioni di vita stressanti. In questo senso, l'addiction assume i contorni di un disturbo della cognizione sociale, configurandosi in termini di una condizione patologica progressiva in grado di ledere fortemente lo stato generale di salute psico-fisica dell'individuo e di condizionarne in modo sostanziale e pervasivo il comportamento in ambito personale; ed e' per l'effetto una condizione in grado di influire sullo stato di mente dell'individuo e ricondurlo a condizioni di infermita', variabili per intensita' in funzione della gravita' del disturbo. Ritiene tuttavia il decidente che tale interpretazione della «cronica intossicazione», riferita non soltanto ad una malattia psichiatrica ma anche a gravi disturbi di personalita', sia pure strettamente correlati alla realizzazione della condotta non soltanto non consente il superamento delle censure di indeterminatezza e di irragionevolezza della disposizione di cui all'art. 95 del codice penale supra illustrate, in assenza di solide basi scientifiche che consentano di individuare una patologia somatica o neurologica ovvero una condizione di disturbo specifica ma si pone in contrasto con il presupposto della cronica intossicazione nei termini voluti dal legislatore del 1930, ipotizzabile soltanto quando l'abuso abbia comportato «alterazioni psichiche permanenti». Non puo' sottacersi che l'art. 95 del codice penale si inserisce immediatamente dopo una serie di disposizioni che contemplano una sorta di anticipazione del «rimprovero» rivolto all'autore del fatto illecito nel momento dell'assunzione della sostanza e non·al momento della realizzazione della condotta commesso sotto l'azione della sostanza: so bene o posso immaginare che quando hai commesso il fatto eri in condizioni di capacita' assente o scemata, ma ti punisco perche' sei stato tu a porti in questo stato e, piuttosto, ti punisco con maggiore severita' se accerto il tuo atteggiamento antisociale di persona dedita al consumo di stupefacenti. Nondimeno, non posso muoverti analogo rimprovero se accerto che quando hai assunto la sostanza e quando hai commesso il fatto la tua capacita' era assente o scemata grandemente. Pretendere l'esistenza di una pre-condizione di infermita' o anche soltanto di disturbo di personalita' quale l'addiction in primo luogo, condurrebbe a pronunciamenti tautologici: dovendo spiegare quali siano le infermita' idonee a produrre incapacita' di intendere e di volere si risponde che si intende infermita' quello stato che produce incapacita' di intendere e di volere, proprio in quanto qualsiasi situazione morbosa, anche se non ben definibile clinicamente, e' idonea a configurare il vizio di mente, purche' la sua intensita' sia tale da escludere o diminuire grandemente le capacita' intellettive e volitive del soggetto. In secondo luogo, crea distonia ed incoerenza con il sistema, giacche', per le considerazioni esposte, ai sensi dell'art. 95 del codice penale, la cronica intossicazione rappresenta lo stadio conclusivo dell'alcolismo o della tossicodipendenza, caratterizzato da una vera e propria stabilita' dei fenomeni tossici, che persistono anche dopo l'eliminazione delle sostanze dall'organismo e che non sono assenti neanche negli intervalli di astinenza. In questo senso, a differenza del carattere transeunte dell'assunzione abituale di sostanze e del carattere acuto dei fenomeni tossici, l'intossicazione cronica e' considerata un vero e proprio status, caratterizzato da incapacita' totale o parziale di autodeterminarsi liberamente, tale da rendere incoercibile, in primo luogo, la necessita' di ingerire sostanze tossiche, in secondo luogo, la condotta criminosa. Adoperando una suggestiva espressione elaborata riguardo all'ubriaco, il tossicodipendente abituale e' folle perche' assume sostanze psicoattive, mentre l'intossicato cronico assume sostanze psicoattive perche' e' folle. Cio' posto, nell'impossibilita' di calare le nozioni naturalistiche nell'ambito della norma giuridica e distinguere tra cronicita' d'uso e cronicita' semeiologicamente evidenziabile, anche in rapporto all'assenza di solide basi scientifiche e diversamente da quanto avviene nell'ambito della problematica dell'imputabilita' connessa all'abuso di sostanze alcoliche, ritiene questo giudice che l'unica via che consenta di ritenere la disposizione censurata conforme ai principi di uguaglianza e di personalita' della pena sia la previsione di una cronicita' dell'intossicazione ancorata non ad una condizione di infermita', di malattia o di disturbo, con effetti permanenti o irreversibili, ma ad una cronicita' d'uso, diversa dall'uso abituale e riferibile a quello stadio dell'iter della tossicomania in cui si produce l'effetto peculiare dell'addiction, individuabile sulla base della sintomatologia proposta dal DSM-V e sostanzialmente caratterizzato da una limitazione della volonta', che - e' bene evidenziarlo - si manifesta nei confronti del consumo di droga, senza necessariamente generalizzarsi o estendersi ad ogni altro settore dell'agire e in particolare alla commissione di delitti. Valutata la configurabilita' di una condizione di cronicita' nel senso dianzi illustrato, sulla scorta di criteri diagnostici ben definiti, l'accertamento di eventuali connessioni tra gli esiti del prolungato abuso e le caratteristiche della personalita' di base del tossicomane, nonche' la verifica di un'evoluzione verso la radicalizzazione delle componenti nevrotiche o verso lo scompenso psicotico, e l'esistenza di un nesso eziologico con il fatto sarebbero dunque consentite dall'espresso richiamo contenuto nell'art. 95 del codice penale alle disposizioni di cui agli articoli 88 e 89 del codice penale. Una simile prospettazione consentirebbe a parere del decidente di riportare il concetto di cronica intossicazione da stupefacenti nell'alveo della determinatezza e del rispetto del principio di legalita', spostando il relativo accertamento alla valutazione normativa spettante al Giudice, peraltro, del tutto in linea con i progetti di riforma delle norme in materia di imputabilita', i quali traggono tutti ispirazione dalla considerazione dell'inadeguatezza della categoria dell'incapacita' di intendere e di volere e della scarsa predittivita' degli indicatori dell'infermita' psichica, da considerarsi al pari di uno stato patologico transitorio, curabile e, in molti casi, anche sanabile. Tale da ultimo il progetto della Commissione Pelissero presentato in data 5 giugno 2018, nel quale il concetto di infermita' non e' piu' la chiave di lettura, ma la clausola di chiusura delle cause di esclusione dell'imputabilita', incentrate sui gravi disturbi psichici (coincidenti con le anomalie dello spettro psicotico) e di personalita' (evidentemente comprensivi delle nevrosi e delle psicopatie), a superamento i progetti elaborati dalle precedenti Commissioni Grosso (1998) e Pisapia (2007), le cui formule ancora contenevano il testuale richiamo alla «cronica intossicazione da alcol o stupefacenti», associandole al concetto di infermita'. 5. Il petitum della presente ordinanza. Rispetto alla manifesta incostituzionalita' della norma, fermo restando il potere della Corte costituzionale di individuare - ove ritenga fondate le questioni -, la pronuncia piu' idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata (cfr. Corte costituzionale n. 221/2023), ritiene questo giudice che sia comunque possibile il ricorso ad una soluzione «costituzionalmente adeguata» (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 40/2019), tale da consentire alla Corte adita di porre rimedio nell'immediato al vulnus riscontrato con un vero e proprio intervento manipolativo/interpretativo. Ebbene, a parere di questo giudice, al fine di garantire il rispetto degli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, non ritenendosi percorribili interpretazioni conformi a tali principi della norma censurata, tenuto conto del chiaro tenore letterale e della ratio della stessa e' necessaria una decisione interpretativa del concetto della cronica intossicazione contenuto nell'art. 95 del codice penale, restando poi ferma la possibilita' di una rimeditazione organica della materia da parte del legislatore, con l'adozione, nell'ambito della sua discrezionalita', di altra e piu' congrua soluzione, purche' rispettosa dei principi costituzionali. In subordine, si chiede in ogni caso un intervento di tipo additivo, che consenta il ricorso all'accertamento delle cause di esclusione dell'imputabilita', ai sensi degli articoli 88 e 89 del codice penale, anche alle ipotesi diverse dalla cronica intossicazione, laddove ricorra una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi da dipendenza ovvero correlati all'uso di sostanze psicotrope e non associata ad infermita' ovvero altri gravi disturbi della personalita'. (1) Cfr. referto di visita psichiatrica in data , ove il paziente appariva angosciato, allucinato e delirante e accusava i genitori di avergli fatto del male la notte precedente. (2) Cfr. in particolare, relazione del , nella quale si evidenzia che durante la degenza in reparto «non sono stati rilevati episodi di discontrollo comportamentale» ne' «alterazioni ideative o della sfera ideopercettiva» e che anche successivamente all'ingresso in REMS, il paziente, pur presentando un profilo di funzionamento cognitivo deficitario, «e' apparso gestibile dal punto di vista comportamentale», senza «segni o sintomi riferibili all'ambito psicotico o alterazioni rilevanti dell'umore», ovvero aspetti psicopatologici di rilievo o sintomi o segni riconducibili a diagnosi psichiatriche di asse I. (3) Osserva la Corte nella richiamata sentenza n. 114/1998 che «e' d'altra parte opportuno, proprio in relazione al sistema di rigore instaurato con la sancita irrilevanza penale dello stato tossico acuto, espressamente escluso che una intossicazione cronica, e cioe' non piu' dominabile dal soggetto, possa a quella severa parificazione». (4) Cio' in linea con il concetto generale di «malattia» secondo la scienza medica, che lo riconduce a quel «complesso di fenomeni che si instaurano in un organismo vivente quando una causa alteri l'integrita' strutturale delle sue parti, oppure ne faccia deviare il funzionamento in senso dannoso». (5) In altri termini, deve trattarsi «di un disturbo idoneo a determinare una situazione di assetto psichico incontrollabile ed ingestibile, che, incolpevolmente, rende l'agente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di conseguentemente indirizzarli, di percepire il disvalore sociale del fatto, di autonomamente liberamente, autodeterminarsi». (6) Si richiamano sul punto i molteplici studi preclinici e clinici, coerenti nel mostrare specifici cambiamenti neuroplastici molecolari e funzionali a livello sinaptico e circuitale innescati da un'esposizione ripetuta alla sostanza. (7) Interessante al riguardo e' l'esito di una nota ricerca eseguita sui militari del Vietnam, dalla quale e' risultato come oltre il 90% dei soldati che, durante la guerra, avevano problemi di tossicodipendenza da eroina, smisero spontaneamente di assumere la droga al ritorno nella madrepatria, in molti casi senza il bisogno di ricorrere ad alcun tipo di intervento specifico, soltanto in seguito ad un cambiamento radicale del contesto di vita. (8) Trattasi di un modello bio-psico-sociale che sostanzialmente richiama il concetto olistico di salute fatto proprio dalla Organizzazione mondiale della sanita' nel lontano 1946: «la salute non e' semplicemente l'assenza di malattia, ma e' lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale» e che concettualizza l'addiction considerando che «la mente e il corpo sono collegati e sia la mente sia il corpo influenzano lo sviluppo l'evoluzione della dipendenza, all'interno di un determinato contesto sociale e culturale». (9) Secondo la letteratura scientifica, le droghe sono classificate in quattro insiemi, distinti in base all'effetto che hanno sul sistema nervoso centrale: droghe che deprimo il sistema nervoso centrale; droghe che riducono la sensazione di dolore; droghe che stimolano il sistema nervoso centrale; droghe che alterano la funzione percettiva. (10) In altri termini, come osservato in dottrina, «il principio di risocializzazione della pena diviene la bussola principale nella scelta del tipo e dell'entita' della sanzione, rendendo il sindacato della Corte costituzionale pienamente lecito, qualora la norma incriminatrice palesi un trattamento sanzionatorio abnorme rispetto al fine rieducativo». P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 legge costituzionale 1° febbraio 1948 e 23 e seguenti legge n. 87 dell'11 marzo 1953, Dichiara: D'ufficio rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma e 111 della Costituzione, la questione di costituzionalita' dell'art. 95 del codice penale, interpretato nel senso di richiedere ai fini della «cronica intossicazione» l'esistenza di una condizione di infermita', di malattia o di disturbo, con effetti permanenti o irreversibili, e non una cronicita' d'uso; In subordine, con riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma e 111 della Costituzione, la questione di costituzionalita' dell'art. 95 del codice penale, nella parte in cui, per i fatti commessi in presenza di una condizione inquadrabile nella categoria dei disturbi da dipendenza ovvero correlati all'uso di sostanze psicotrope e non associata ad infermita' ovvero altri gravi disturbi della personalita', limita l'applicazione delle norme di cui agli articoli 88 e 89 del codice penale alle sole situazioni di cronica intossicazione; Dichiara sospeso il processo a carico di R J S , nonche' il decorso della prescrizione dei reati fino alla definizione del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Bergamo, 2 aprile 2025 Il giudice: Solombrino