Reg. ord. n. 109 del 2025 pubbl. su G.U. del 11/06/2025 n. 24

Ordinanza del Tribunale di Firenze  del 12/05/2025

Tra: G.E. G.

Oggetto:

Assistenza e solidarietà sociale – Politiche sociali – Reddito di cittadinanza – Utilizzo o resa di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito – Previsione la quale stabilisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, una punizione con la reclusione da due a sei anni, anziché con la reclusione da sei mesi a tre anni o in subordine con la reclusione da sei mesi a sei anni – Denunciata disciplina che infligge un’irragionevole pena rispetto alla dosimetria sanzionatoria impiegata dal legislatore in altre analoghe fattispecie offensive e segnatamente in relazione ai reati di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316-ter cod. pen. e di truffa aggravata di cui agli artt. 640, secondo comma, n. 1 o 640-bis cod. pen. – Previsione di un minimo edittale così significativamente elevato che impedisce al giudice di applicare una pena adeguata a condotte delittuose che, per quanto conformi al tipo considerato, risultano essere di modesta lesività – Violazione del principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità intrinseca del trattamento sanzionatorio – Lesione del principio della finalità rieducativa della pena.

Norme impugnate:

decreto-legge  del 28/01/2019  Num. 4  Art. 7  Co. 1

legge  del 28/03/2019  Num. 26



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 27   Co.




Testo dell'ordinanza

                        N. 109 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 maggio 2025

Ordinanza  del  12  maggio  2025  del  Tribunale   di   Firenze   nel
procedimento penale a carico di G.E. G.. 
 
Assistenza e solidarieta' sociale - Politiche sociali  -  Reddito  di
  cittadinanza - Utilizzo o resa di dichiarazioni o documenti falsi o
  attestanti cose non vere, al  fine  di  ottenere  indebitamente  il
  beneficio del reddito - Previsione la quale stabilisce,  salvo  che
  il fatto  costituisca  piu'  grave  reato,  una  punizione  con  la
  reclusione da due a sei anni, anziche' con  la  reclusione  da  sei
  mesi a tre anni o in subordine con la reclusione da sei mesi a  sei
  anni. 
- Decreto-legge 28  gennaio  2019,  n.  4  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito,  con
  modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, art. 7, comma 1. 


(GU n. 24 del 11-06-2025)

 
                        TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima Sezione penale 
 
    Il Giudice. dr Franco Attina', nel procedimento sopra indicato  a
carico di G. G. E. , nat. in ... il ... libera, assente; 
    difeso  di  fiducia  dall'avv.  Stefano  Magherini  del  Foro  di
Firenze; 
    imputata del: 
        reato di cui all'art. 7, comma 1,  decreto-legge  28  gennaio
2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28  marzo  2019,
n. 26 poiche', al fine di ottenere indebitamente il beneficio di  cui
all'art. 3, decreto-legge cit. (c.d. «reddito di  cittadinanza»),  in
assenza dei requisiti previsti dalla normativa, rendeva dichiarazioni
false, attestanti dati non veritieri ed ometteva informazioni  dovute
rilevanti ai sensi dell'art. 2, in particolare: 
          in data ...  presentava  apposita  domanda  (protocollo  n.
INPS-RDC- ...) al cui  interno  veniva  richiamata  la  dichiarazione
sostitutiva unica (valida per  l'ISEE  e  sottoscritta  in  data  ...
omettendo di indicare redditi relativi all'anno  2018  imputabili  ad
altri componenti del nucleo familiare in cui la stessa si e' venuta a
trovare, ovvero: 
1) al momento della compilazione della  citata  DSU  in  data  ...  ,
indicava di essere l'unica componente  del  nucleo  familiare  e  non
indicava i redditi da pensione e patrimoni del proprio padre G. M.  ,
individuati rispettivamente in € 32.054,23 ed € 371.813,36, 
2) al momento della presentazione  della  domanda,  risultava  essere
residente presso l'abitazione di B. A. e di conseguenza non  indicava
i redditi e i patrimoni di B. A. , individuati in almeno € 55.911,00,
che avrebbero innalzato il valore ISEE ad almeno 23.679,80, ben sopra
il requisito di legge. 
    All'esito di cio' percepiva un importo pari a € 4.000,00. 
    Fatto commesso in ... il ... 
    sentite le parti; 
    premesso che: 
        G. G. E. era rinviata a giudizio con decreto del  Gup  del  5
maggio 2022 per il reato di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge n.
4/2019; 
        nel corso del  dibattimento  le  parti  hanno  concordato  la
produzione degli  atti  d'indagine  e  di  ulteriori  documenti,  con
rinuncia all'audizione dei testimoni; 
    all'udienza  del  28  ottobre  2024  le  parti  illustravano   le
rispettive  conclusioni.  In  particolare,  il   pubblico   ministero
chiedeva  la  condanna  dell'imputata,  previo  riconoscimento  delle
circostanze attenuanti generiche,  alla  pena  di  anni  uno  e  mesi
quattro di reclusione; il difensore chiedeva  la  sostituzione  della
pena detentiva con i lavori di pubblica utilita' (all'udienza del  24
febbraio 2025 era depositata la necessaria procura speciale); 
        all'udienza odierna, cui il  processo  era  rinviato  per  le
eventuali repliche, le parti vi rinunciavano; 
    rilevato che: 
        A) dagli atti e documenti acquisiti e' emerso che in data ...
l'attuale imputata  presentava  una  domanda  per  ottenere  il  c.d.
«reddito  di  cittadinanza»  e   alla   stessa   era   associata   la
dichiarazione sostitutiva unica gia'  dalla  medesima  presentata  in
data .... In tale DSU la prevenuta aveva dichiarato di essere l'unica
componente del proprio nucleo familiare, che il proprio  reddito  nel
2018 era stato nullo e che il suo  patrimonio  era  pressoche'  nullo
(constava del solo saldo di conto corrente, di poche decine di euro).
Sulla base di tali dati, ricorrendone le condizioni, il beneficio era
riconosciuto e l'imputata percepiva l'importo mensile di  €  500  per
otto mensilita', da ... a ... per totali € 4.000. 
    La successiva attivita' d'indagine posta in essere dalla  Guardia
di finanza nel gennaio .... consentiva di accertare che  in  realta',
alla data del ..., del nucleo familiare  dell'imputata  faceva  parte
anche il padre G. M. (nato il...), il quale nel 2018 aveva  percepito
un reddito da pensione di circa € 32.000 (sostanzialmente analogo era
stato il reddito del 2019) ed era inoltre proprietario della casa  di
abitazione del nucleo familiare in localita' ... (del valore di circa
€ 370.000). 
    Dunque, dichiarando di  essere  l'unica  componente  del  proprio
nucleo familiare e cosi' occultando la presenza nel nucleo del padre,
con il relativo reddito e il relativo patrimonio,  l'imputata  faceva
figurare la sussistenza dei requisiti  per  accedere  al  reddito  di
cittadinanza, di cui concretamente percepiva otto mensilita' e a  cui
non aveva viceversa diritto (nell'an prima ancora che nel quantum). 
    La condotta era chiaramente finalizzata ad ottenere indebitamente
il beneficio, non essendovi altro motivo plausibile per occultare  la
presenza del familiare. 
    B) Alla luce di quanto precede risulta certa  la  responsabilita'
dell'imputata per il reato ascrittogli. 
    Peraltro alla stessa  conclusione  si  giungerebbe  anche  avendo
riguardo non al momento della presentazione e la DSU  poi  richiamata
(... ), ma a quello della presentazione della domanda del reddito  di
cittadinanza (... ). A tale data l'imputata faceva  ormai  parte  del
nucleo familiare di tale B. A. e conviveva con la stessa e una minore
in localita'...; la B. era titolare di un reddito di circa 53.000  €,
per  cui  -  anche  considerando  tale  situazione  -  difettavano  i
requisiti per beneficiare del reddito di cittadinanza. 
    C) Il fatto non puo' ritenersi di particolare tenuita'  ai  sensi
dell'art. 131-bis c. p.,  neppure  tenendo  conto  del  comportamento
successivo ai fatti  (restituzione  all'Inps  di  complessivi  €  600
circa), come ora consentito a seguito delle modifiche apportate  alla
citata norma dal decreto legislativo n. 150/2022. 
    L'offesa non puo' infatti ritenersi di particolare  tenuita',  in
ragione della non lieve discrasia tra il reddito effettivo del nucleo
familiare  e  quello  oggetto  della  falsa  dichiarazione,   nonche'
dell'effettiva  percezione  da  parte  dell'imputata   di   4.000   €
complessivi. 
    D)  All'imputata  possono  essere  riconosciute  le   circostanze
attenuanti generiche in considerazione della parziale restituzione in
piu' tranches degli importi indebitamente percepiti,  delle  relative
condizioni soggettive (dalla certificazione prodotta risulta  che  e'
seguita dal ... dal ... per disturbo depressivo tipo bipolare  e  per
dipendenza da alcool) e  del  percorso  finora  effettuato  (...  era
astinente da alcool da circa dieci mesi). 
    E) quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio,  per
poter addivenire ad  una  corretta  decisione  appare  necessario  il
pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla legittimita'
costituzionale della norma di cui all'art. 7, comma 1,  decreto-legge
n. 4/2019 nella parte in cui prevede la punizione «con la  reclusione
da due a sei anni» anziche' «con la reclusione  da  sei  mesi  a  tre
anni» (o, in subordine, «con la reclusione da sei mesi a sei anni»); 
    cio' premesso, 
 
                               Osserva 
 
1. Rilevanza della questione 
    1.1  Il  delitto  in  contestazione  si  e'  consumato  nell'...,
allorche' era in vigore  il  decreto-legge  28  gennaio  2019,  n.  4
(Disposizioni urgenti in materia di  reddito  di  cittadinanza  e  di
pensioni), convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n.
26. 
    1.2 Successivamente, nell'ambito di una piu' articolata  riforma,
la legge n. 197/2022, all'art. 1, comma 318, ha  abrogato  l'art.  7,
decreto-legge n. 4/2019, a decorrere pero' dal 1° gennaio 2024. 
    Come  rilevato   anche   dalla   Corte   di   cassazione   «prima
dell'indicata data, il legislatore e' intervenuto per  modificare  la
previsione  di  cui  si  discute,  la  quale,  proprio  con  riguardo
all'abrogazione  anche  delle  disposizioni  penali,  era  stata   in
dottrina ritenuta frutto di una mera "svista" [...] e' stato  emanato
il decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante  «misure  urgenti  per
l'inclusione e l'accesso al mondo del  lavoro»,  conv.,  con  modif.,
dalla legge 3 luglio 2023, n. 85. Dopo aver riproposto,  all'art.  8,
commi 1 e  2,  previsioni  incriminatrici  per  le  false  od  omesse
comunicazioni concernenti l'ottenimento o il mantenimento  dei  nuovi
benefici economici previsti  dagli  articoli  3  e  12  della  legge,
previsioni  sostanzialmente  identiche  a   quelle   gia'   contenute
nell'art. 7, commi 1 e 2, decreto-legge n.  4/2019  con  riguardo  al
reddito  di  cittadinanza,  l'art.  13,  comma  3,  decreto-legge  n.
48/2023,  collocato  tra  le  disposizioni  transitorie   e   finali,
statuisce che «al beneficio di cui all'art. 1  del  decreto-legge  28
gennaio 2019, n. 4, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  28
marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le  disposizioni  di  cui
all'art. 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data  in  cui  il
beneficio e' stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre
2023»" (cosi Cassazione Sez. 3, sentenza n. 7541 del 24 gennaio  2024
Rv. 285964 - 01). 
    Per altro verso la giurisprudenza di  legittimita'  ha  precisato
che  «la  formale  abrogazione  dell'indicata  norma  incriminatrice,
disposta dall'art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022,  n.  197,  a
far data dal 1° gennaio 2024, non  integra  un'ipotesi  di  "abolitio
criminis" di cui all'art. 2, comma secondo, del codice penale; ma da'
luogo a un  fenomeno  di  successione  di  leggi  penali  nel  tempo,
inquadrabile nel disposto di cui all'art. 2, comma terzo, del  codice
penale, avuto riguardo alla corrispondente incriminazione  introdotta
dall'art. 8, decreto-legge 4 maggio  2023,  n.  48,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  3  luglio  2023,  n.  85,   del   tutto
sovrapponibile e riferita al reddito di inclusione in sostituzione di
quello di cittadinanza» (cosi' Cassazione Sez. 3, sentenza  n.  39155
del 24 settembre 2024 Rv. 286951 - 01). 
    Il fatto in contestazione, costituisce dunque tuttora  reato.  E'
dunque  rilevante  la  questione  della  legittimita'  del   relativo
trattamento sanzionatorio. 
    1.3 La questione pare tanto piu' rilevante nella misura in cui  -
se pur non puo' ritenersi applicabile la causa di non punibilita'  ex
art. 131-bis del codice penale - lo specifico fatto di reato  ora  in
esame risulta comunque di gravita' contenuta. 
    Da un lato, infatti, e' si' vero che il nucleo famiiliare di  cui
l'imputata  faceva  parte  disponeva  di  un  reddito   e   di   beni
patrimoniali i cui valori erano superiori alle soglie di  legge,  per
cui la predetta se avesse presentato una dichiarazione veritiera  non
avrebbe avuto accesso al reddito di cittadinanza: e' anche vero pero'
che l'imputata - donna all'epoca di 53 anni - era del tutto priva  di
un reddito proprio e di beni e finanze  proprie  (non  e'  emersa  la
falsita' delle indicazioni in proposito presenti nella  dichiarazione
sostitutiva unica) e dipendeva quindi interamente, nonostante l'eta',
dal padre anziano prima e dalla B. poi. 
    Dall'altro  lato,  la  somma  di  denaro  oggetto  di  percezione
indebita non risulta elevata. 
    1.4 In definitiva per l'imputata andrebbe  individuata  una  pena
base prossima al minimo edittale (fatta  salva  l'applicazione  delle
circostanze attenuanti generiche). 
    E' quindi rilevante la questione della  legittimita'  della  pena
detentiva minima di  anni  due  di  reclusione;  in  particolare,  si
auspica un intervento manipolativo  della  Corte  costituzionale  che
sostituisca detta pena edittale minima con  quella  di  mesi  sei  di
reclusione. 
2. Non manifesta infondatezza 
    2.1 Si dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 1, decreto-legge n.  4/2019  nella  parte  in  cui  prevede  la
punizione della condotta ivi incriminata «con la reclusione da due  a
sei anni» anziche' «con la reclusione da sei mesi a tre anni». 
    2.2 Pare  opportuno  un  breve  inquadramento  sistematico  della
disciplina in questione. 
    Come piu' volte rilevato dalla stessa Corte costituzionale,  «"la
disciplina del reddito  di  cittadinanza  definisce  un  percorso  di
reinserimento nel mondo lavorativo  che  va  al  di  la'  della  pura
assistenza economica": mentre le prestazioni  di  assistenza  sociale
vere e  proprie  si  "fonda[no]  essenzialmente  sul  solo  stato  di
bisogno",  il  Rdc  prevede  «un  sistema  di  rigorosi  obblighi   e
condizionalita'»,   che   strutturano   un   percorso   formativo   e
d'inclusione, "il cui mancato rispetto  determina,  in  varie  forme,
l'espulsione dal percorso medesimo" (sentenza n. 126 del 2021  e,  in
termini simili, sentenza n. 122 del 2020). 
    L'erogazione   del   Rdc,   infatti,   "'e'   condizionata   alla
dichiarazione di immediata disponibilita'  al  lavoro  da  parte  dei
componenti   il   nucleo   familiare   maggiorenni,   [...]   nonche'
all'adesione  ad  un  percorso  personalizzato   di   accompagnamento
all'inserimento  lavorativo  e  all'inclusione  sociale  che  prevede
attivita'  al   servizio   della   comunita',   di   riqualificazione
professionale, di completamento degli studi,  nonche'  altri  impegni
individuati dai servizi competenti  finalizzati  all'inserimento  nel
mercato del lavoro e  all'inclusione  sociale'  (art.  4,  comma  1).
Questo percorso si realizza o con il Patto per il lavoro [...] o  con
il  Patto  per  l'inclusione  sociale,  stipulato  presso  i  servizi
comunali competenti per il contrasto della poverta' (art. 4, commi  7
e 12). [...] Si e' quindi ribadito che: "il reddito di  cittadinanza,
pur presentando anche tratti propri di una misura di  contrasto  alla
poverta', non si risolve in una provvidenza assistenziale  diretta  a
soddisfare un bisogno primario dell'individuo, ma persegue diversi  e
piu'  articolati  obiettivi  di  politica  attiva  del  lavoro  e  di
integrazione sociale. A tale sua prevalente connotazione si collegano
coerentemente la temporaneita' della prestazione e il  suo  carattere
condizionale, cioe' la necessita' che ad essa si accompagnino precisi
impegni dei destinatari, definiti in Patti sottoscritti  da  tutti  i
componenti maggiorenni del nucleo familiare (salve le  esclusioni  di
cui all'art. 4, commi 2 e 3, del decreto-legge n.  4  del  2019).  E'
inoltre prevista la decadenza dal beneficio nel caso in cui  un  solo
componente rispetti gli impegni (art. 7, comma 5,  del  decreto-legge
n. 4 del 2019)" (ancora sentenza n. 19 del 2022). In definitiva,  gli
strumenti apprestati non consistono in meri  sussidi  per  rispondere
alla situazione di poverta', dal momento che il  beneficio  economico
erogato  e'  inscindibile  da  una  piu'  complessa  e   qualificante
componente di inclusione attiva, diretta  a  incentivare  la  persona
nell'assunzione di  una  responsabilita'  sociale,  che  si  realizza
attraverso la risposta positiva agli impegni contenuti in un percorso
appositamente predisposto e che dovrebbe condurre,  per  questa  via,
all'uscita dalla condizione di poverta'». 
    2.3 Il delitto di cui  all'art.  7,  comma  1,  decreto-legge  n.
4/2019 consiste nel rendere o utilizzare  dichiarazioni  o  documenti
falsi o  attestanti  cose  non  vere  (o  nell'omettere  informazioni
dovute) al fine di  ottenere  indebitamente  il  beneficio  economico
connesso all'istituto giuridico in questione. 
    Come affermato dalle Sezioni  Unite  della  Corte  di  cassazione
(Sez. U - sentenza n. 49686 del 13 luglio 2023 Rv. 285435), integrano
il reato in questione le omesse o false indicazioni  di  informazioni
contenute nell'autodichiarazione finalizzata a conseguire il  reddito
di cittadinanza solo  se  funzionali  a  ottenere  un  beneficio  non
spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge, non
rilevando viceversa la semplice omissione o  falsita'  da  parte  del
richiedente che non incida ne' sull'an ne' sul quantum del beneficio. 
    Ai fini dell'integrazione del reato, la percezione  indebita  del
beneficio non e' necessario che si verifichi, essendo sufficiente che
sia oggetto del dolo specifico del soggetto agente. 
    Come  rilevato  sempre  dalle  Sezioni  unite  della   Corte   di
cassazione (Sez. U -  Sentenza  n.  49686  del  13  luglio  2023  Rv.
285435), si tratta  infatti  di  un  reato  di  pericolo  concreto  a
consumazione anticipata; inoltre, il bene giuridico tutelato  non  e'
la fede pubblica, bensi' il patrimonio dell'ente  pubblico  erogante,
essendo il reato «posto a presidio delle risorse pubbliche economiche
destinate a finanziare il Rdc impedendone la dispersione a favore  di
chi non ne ha [...] diritto o ne ha diritto in misura minore». 
    2.4 Tanto premesso, ad avviso dello scrivente la  previsione  per
detto reato della pena edittale della «reclusione da due a sei  anni»
pare violare i precetti di cui agli articoli 3 e 27,  comma  3  della
Costituzione, sia per cio'  che  attiene  al  generale  principio  di
uguaglianza, sia sotto il profilo della  proporzionalita'  intrinseca
del trattamento sanzionatorio. Ad avviso di questo giudice  la  norma
qui censurata  impone  l'inflizione  di  una  pena  irragionevole  in
relazione alla dosimetria sanzionatoria impiegata dal legislatore  in
altre fattispecie offensive (a giudizio dello scrivente) analoghe,  e
pare inoltre che un minimo edittale cosi' significativamente  elevato
impedisca al giudice  di  applicare  una  pena  adeguata  a  condotte
delittuose che, per quanto conformi al  tipo  considerato,  risultino
essere caratterizzate da una lesivita' modesta. 
    2.5 Si consideri che le somme erogate in relazione  al  beneficio
del reddito di cittadinanza sono sempre di importo contenuto e che, a
differenza di altre tipologie di beneficio  economico,  si  tratta  -
strutturalmente - di una misura di natura temporanea; in  ogni  caso,
quindi, le somme indebitamente percepite per  effetto  della  singola
condotta delittuosa, anche complessivamente considerate, non  saranno
mai superiori ad alcune migliaia  di  euro,  laddove  altri  benefici
economici possono raggiungere importi ben piu' elevati. Scorrendo  ad
esempio le sentenze di legittimita'  relative  ai  reati  concernenti
l'indebita  percezione  del  cd.  «Superbonus  110%»  previsto  dalla
legislazione emergenziale pandemica, si rinvengono importi  ben  piu'
idonei a compromettere le risorse pubbliche e il perseguimento  delle
finalita' cui le stesse devono essere destinate  (euro  2.104.091  in
Cassazione Sez. 2, sentenza n. 13852  del  2025;  euro  3.456.069  in
Cassazione Sez. 6, sentenza n. 13339  del  2025;  euro  1.837.709  in
Cassazione, Sez. 2, sentenza n. 11705 del 2025;  euro  25.267.389  ed
euro 42.160.281 in Cassazione Sez. 3, sentenza n. 832 del 2025). 
    2.6 Si aggiunga che, come evidenziato  dalla  giurisprudenza  sia
costituzionale sia di legittimita',  la  disciplina  del  reddito  di
cittadinanza   prevede   «un   sistema   di   rigorosi   obblighi   e
condizionalita'», «il cui mancato rispetto determina, in varie forme,
l'espulsione dal percorso medesimo». L'accesso indebito  (perche'  in
assenza dei presupposti) a tale percorso di reinserimento  nel  mondo
lavorativo, che va al di la' della pura assistenza economica e che e'
comunque connotato da obblighi e  oneri  in  capo  all'ammesso,  pare
percio' semmai meno grave  rispetto  all'accesso  indebito  ad  altre
forme di sussidi e sovvenzioni, contraddistinte dalla mera percezione
di somme di denaro. 
    Il reato in questione inoltre puo' perfezionarsi anche rispetto a
soggetti che avrebbero comunque diritto ad accedere al citato sistema
e al beneficio economico, ma in misura minore nel quantum (Sez.  U  -
sentenza n. 49686 del 13 luglio 2023), e  che  dunque  effettivamente
versano  in  condizioni  di  poverta'  o  comunque  di   rischio   di
emarginazione nella societa' e nel mondo del lavoro. 
    Inoltre, puo' perfezionarsi rispetto a  soggetti  che,  sotto  il
profilo reddituale e patrimoniale, avrebbero tutti  i  requisiti  per
accedere al  citato  percorso,  ma  che  non  possono  legittimamente
accedervi per difetto di altra tipologia  di  requisiti  fissati  dal
legislatore (ad esempio, la residenza sul territorio nazionale per un
certo numero di anni) o per la  presenza  di  elementi  ostativi  (ad
esempio. la condanna per taluni  reati):  anche  in  questo  caso  si
tratta di  soggetti  che  effettivamente  versano  in  condizioni  di
poverta' o sono comunque a rischio di esclusione sociale. 
    Anche nel caso oggetto del presente procedimento  l'imputata  era
si' priva dei requisiti di accesso al reddito di cittadinanza, ma era
comunque soggetto che versava in condizioni  di  disagio  psichico  e
sociale (disturbo depressivo di tipo bipolare, dipendenza da alcool),
ma anche economico (del tutto priva di reddito e risorse  proprie,  e
quindi interamente dipendente, nonostante l'eta' adulta avanzata, dal
genitore). 
    2.7 A fronte dei citati fattori, la previsione per  il  reato  in
questione di una pena edittale della «reclusione da due a  sei  anni»
pare sproporzionata per eccesso e quindi irragionevole. 
    La  Corte  costituzionale  ha  reiteratamente  sottolineato   che
«l'ampia discrezionalita' del  legislatore  nella  definizione  della
propria politica criminale, e  in  particolare  nella  determinazione
delle pene le applicabili a chi  abbia  commesso  reati,  cosi'  come
nella stessa selezione delle condotte  costitutive  di  reato  [...],
tuttavia, non equivale ad arbitrio» (cosi'  la  sentenza  n.  46  del
2024). 
    2.8 Sotto il profilo del raffronto  con  altre  figure  criminose
analoghe, posto che - come rilevato dalle Sezioni unite  della  Corte
di cassazione - il delitto ex  art.  7,  comma  1,  decreto-legge  n.
4/2019 e' un reato posto a tutela del patrimonio  dell'ente  erogante
e,  in  particolare,  delle  risorse  destinare  all'erogazione   del
beneficio e  quindi  al  perseguimento  del  fine  pubblico  ad  esso
sotteso,  pare  doversi  avere   riguardo   alle   figure   criminose
dell'indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter  del
codice penale e della truffa aggravata ai sensi dell'art. 640,  comma
2, n.1 del codice penale o dell'art. 640-bis del codice penale. 
    2.9 La giurisprudenza di legittimita' non e'  unanime  quanto  ai
rapporti tra il delitto in esame e tali diverse (ma analoghe)  figure
criminose. 
    Si puo' ravvisare un orientamento maggioritario  secondo  cui  il
reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 sarebbe  un'ipotesi
speciale di indebita  percezione  di  erogazioni  pubbliche  ex  art.
316-ter del codice penale. 
    In particolare, secondo la sentenza Cassazione Sez.  3,  n.  7528
del  9  novembre  2023  Rv.  285954  -  03,  «il   legislatore,   con
l'introduzione delle fattispecie di cui all'art. 7 del  decreto-legge
n. 4 del 2019, ha inteso punire piu' severamente di  quanto  previsto
in casi analoghi, condotte che altrimenti  potrebbero  sfuggire  alla
sanzione penale, non potendo  ricadere  in  astratto  nell'ambito  di
applicazione dell'art. 316-ter  codice  penale  o  dell'art.  640-bis
codice  penale  Quanto,  in  particolare,  all'ipotesi  di  "indebita
percezione di erogazioni pubbliche" (art. 316-ter del codice penale),
la sanzione prevista e' meno grave di quelle  di  cui  all'art.  7  e
prevede una  soglia  minima  di  contributo  percepito  pari  a  euro
3.999,96, al di sotto della quale e' esclusa la  punibilita'  penale.
Orbene, poiche' il reddito di cittadinanza si caratterizza per essere
un contributo mensile che non supera  mai  la  soglia  anzidetta,  il
reato non  potrebbe  mai  configurarsi  e  cio'  ha  reso  necessaria
l'espressa previsione di  una  speciale  fattispecie  di  reato,  non
essendo sufficiente la sanzione amministrativa pecuniaria, inefficace
quanto  a  soggetti  per  definizione   poco   capienti   sul   piano
patrimoniale. [...] A tale prima ratio legis se ne affianca un'altra,
specificamente rilevante in punto di  trattamento  sanzionatorio:  il
legislatore ha scelto di creare, nell'ambito della legge speciale sul
reddito di cittadinanza, una fattispecie penale speciale dotata di un
apparato sanzionatorio piu'  grave  di  quello  del  richiamato  art.
316-ter,  nella  consapevolezza  del  fatto   che   il   reddito   di
cittadinanza e' un beneficio di portata significativa e relativamente
facile  da  conseguire  da  parte  di  un  gran  numero  di  persone,
prestandosi, per le modalita' di accesso particolarmente agevoli,  ad
essere occasione per la produzione di dichiarazioni o documenti falsi
o attestanti cose non vere o per l'omissione di informazioni dovute». 
    Tale orientamento e' stato poi ripreso dalla sentenza  Cassazione
Sez. 3, n. 38877 del 2024, che - nel ritenere  corretta  la  sentenza
della Corte d'appello (che aveva a sua volta confermato  la  sentenza
di primo grado, che aveva riqualificato ai sensi dell'art.  7,  comma
1, decreto-legge n. 4/2019 il fatto originariamente  contestato  come
truffa aggravata) - ha richiamato quanto affermato dalla sentenza  n.
7528 del 9 novembre 2023 e ribadito la specialita' del reato in esame
rispetto a quello di cui all'art. 316-ter ter del codice penale. 
    Da ultimo, la sentenza Cassazione Sez. 3, n.  2597  del  2025  ha
rilevato che secondo un consolidato orientamento di legittimita'  «il
reato di cui all'art. 7 del decreto-legge n. 4 del 2019,  strutturato
sulla falsariga dell'art. 316-ter del codice penale (con il quale  e'
in rapporto di specialita' reciproca), si  differenzia  dalla  truffa
aggravata, per la presenza  del  dolo  specifico  e  per  la  mancata
inclusione, tra gli elementi costitutivi,  dell'induzione  in  errore
dell'ente erogatore, il quale svolge un'attivita' istruttoria  minima
finalizzata alla verifica del possesso dei requisiti  autocertificati
dal richiedente per l'accesso al beneficio». 
    Si   deve   peraltro   rilevare   che    anche    in    dottrina,
nell'immediatezza  dell'abrogazione  dell'art.  7,  decreto-legge  n.
4/2019 ad opera della legge n. 197/2022  (prima  che  il  legislatore
ponesse rimedio alla propria «svista»), si  e'  sottolineato  che  la
condotta gia' oggetto della disposizione abrogata avrebbe  potuto  in
seguito assumere rilevanza ai sensi dell'art. 316-ter  codice  penale
(fatto salvo il problema del  superamento  o  meno  della  soglia  di
rilevanza penale fissata da quest'ultimo articolo). 
    Non sono pero', mancate singole pronunce di segno diverso. 
    In particolare, la sentenza Cassazione  Sez.  2.,  n.  13345  del
2025, dopo avere sottolineato che il  reddito  di  cittadinanza  deve
intendersi quale strumento di sostegno economico per le  famiglie  in
difficolta' associato ad un percorso di reinserimento nel  mondo  del
lavoro, ha affermato che tale  istituto  non  puo'  rientrare  -  per
natura della prestazione e per tipologia dei  destinatari  -  tra  le
erogazioni pubbliche contemplate dall'art. 640-bis del codice penale;
ha quindi ritenuto che la condotta incriminata dall'art. 7, comma  1,
decreto-legge n. 4/2019 «puo'  ben  essere  astrattamente  ricondotta
alla meno grave fattispecie di cui all'art. 640, comma 2,  n.  1  del
codice penale». 
    Infine, la sentenza Cassazione sez.  2.  n.  30007  del  2022  ha
ritenuto corretta la qualificazione  dei  fatti  ai  sensi  dell'art.
640-bis del codice penale e non dell'art. 7, comma  1,  decreto-legge
n. 4/2019 in ragione della clausola  di  riserva  prevista  dal  tale
ultima norma  e  degli  specifici  artifizi  posti  in  essere  dagli
imputati nel caso allora esaminato. 
    2.10 Ad avviso dello scrivente, il reato di  indebita  percezione
di  erogazioni  pubbliche  ex  art.   316-ter   del   codice   penale
costituisce, nonostante talune differenze sul piano  strutturale,  un
valido termine di raffronto ai fini sanzionatori. 
    Oltre alle affinita'  dal  punto  di  vista  del  bene  giuridico
tutelato e delle modalita' attuative, come sottolineato  dalla  Corte
di cassazione pare di particolare rilevanza il fatto che l'accesso al
reddito di cittadinanza sia  connotato  da  un'attivita'  istruttoria
minima da parte dell'ente erogante quanto alla verifica del  possesso
dei  requisiti  autocertificati  dal  richiedente,   limitandosi   in
sostanza detto ente ad una presa  d'atto  di  quando  dichiarato  dal
richiedente (ai sensi dell'art. 5,  decreto-legge  n.  4/2019  l'INPS
puo' basarsi solo  sulle  risultanze  delle  proprie  banche  dati  e
comunque, in ogni caso, il riconoscimento  da  parte  dell'INPS  deve
avvenire entro la fine del mese successivo  alla  trasmissione  della
domanda all'Istituto). Difetta  cioe'  l'elemento  dell'induzione  in
errore che differenzia il reato ex art. 640-bis del codice penale  da
quello ex art. 316-ter del codice penale. 
    Ebbene, il reato di indebita percezione di  erogazioni  pubbliche
ex art. 316-ter del codice penale e' punito con la reclusione da  sei
mesi  a  tre  anni,  laddove  per  il  reato  ex  art.  7,  comma  1,
decreto-legge n. 4/2019 e' prevista la pena della reclusione da due a
sei anni. 
    Si e' inoltre gia' sottolineato come il reato ex art. 7, comma 1,
decreto-legge n. 4/2019 abbia sempre ad oggetto somme  di  denaro  di
importo contenuto (a differenza di quanto puo' avvenire per il  reato
ex art. 316-ter del codice penale) e che spesso gli autori  di  detto
reato sono soggetti in condizioni  di  disagio  economico  e  sociale
(addirittura  «soggetti  per  definizione  poco  capienti  sul  piano
patrimoniale» secondo Cassazione Sez.  3,  n.  7528  del  9  novembre
2023). 
    In proposito, non paiono condivisibili le argomentazioni con  cui
la suprema Corte nella sentenza Cassazione Sez. 3,  n.  7528/2023  ha
ritenuto manifestamente infondata la questione  di  costituzionalita'
relativa al trattamento sanzionatorio del reato in esame in  rapporto
a quello ex art. 316-ter del codice penale di cui pur ha ritenuto che
il  primo  costituisca  un'ipotesi  speciale.  In   particolare,   la
circostanza  che  l'importo  della  singola  erogazione  mensile  del
reddito di cittadinanza sia inferiore alla soglia di rilevanza penale
fissata dall'art. 316-ter del codice penale (per cui, in  assenza  di
un'apposita incriminazione, la condotta descritta  dall'art.  316-ter
del codice penale tenuta in  relazione  al  reddito  di  cittadinanza
avrebbe integrato soltanto un illecito amministrativo), unitamente al
dato per cui il reddito di cittadinanza e' un  beneficio  di  portata
significativa e relativamente facile da conseguire  da  parte  di  un
gran numero  di  persone,  puo'  forse  giustificare  la  scelta  del
legislatore di creare un'apposita figura criminosa per il reddito  di
cittadinanza. Non puo' viceversa giustificare la previsione per  tale
nuovo reato di una cornice edittale decisamente piu' severa  rispetto
a quello della figura generale di cui  all'art.  316-ter  del  codice
penale (il minimo edittale previsto per il reato ex art. 7, comma  1,
decreto-legge n. 4/2019 e' pari  al  quadruplo  del  minimo  edittale
previsto per il reato ex art. 316-ter del codice penale;  il  massimo
edittale e' pari al doppio). 
    Il principio di proporzionalita' evincibile dagli  articoli  3  e
27, comma 3 della Costituzione esige che il trattamento sanzionatorio
sia proporzionale rispetto alla gravita' del reato commesso e,  entro
certi limiti, alla  pericolosita'  del  suo  autore.  Il  dato  della
facilita' di accesso al  reddito  di  cittadinanza  da  parte  di  un
elevato numero di persone. con il connesso  rischio  per  le  risorse
dell'ente  erogante,  non  e'  viceversa  un  aspetto  inerente  alla
gravita' del reato commesso dal singolo soggetto o alla pericolosita'
di quest'ultimo (semmai depone in senso contrario: se un reato e'  di
agevole commissione, cio' significa che non richiede  un  particolare
impegno o un dolo particolarmente intenso in capo al relativo  autore
e che quest'ultimo non e' necessario che si connoti per una specifica
attitudine a commettere reati). Il legislatore, dunque,  nel  fissare
la  cornice  edittale  di  un   reato,   puo'   solo   entro   limiti
ristrettissimi tenere conto dell'esigenza di dissuadere i  potenziali
autori delle  condotte  incriminate:  diversamente,  incrementando  a
dismisura le pene pur a fronte di un disvalore del  fatto  analogo  a
quello  di  altro  reato,  finisce  per  violare  il   principio   di
proporzionalita' e, in definitiva, per  strumentalizzare  la  singola
persona. 
    Si potrebbe altresi' sostenere che il  trattamento  sanzionatorio
piu' severo previsto per il reato in questione potrebbe giustificarsi
in ragione del fatto  che  il  relativo  autore  sarebbe  ancor  piu'
rimproverabile per il fatto di essersi finto indigente e bisognoso  e
di avere cosi' sottratto risorse destinate a supportare il  contrasto
alla  poverta'  e  misure   di   inclusione   sociale.   Anche   tale
argomentazione non pare condivisibile: si e' infatti visto che  anche
gli autori del reato in questione potrebbero versare e spesso versano
in situazioni  di  indigenza  e  di  emarginazione  sociale  (perche'
potrebbero avere diritto al beneficio ma  in  misura  minore,  oppure
perche' potrebbero presentare i requisiti reddituali  e  patrimoniali
ma essere privi di altro tipo di requisito). Inoltre il reato di  cui
all'art. 316-ter del codice penale e' configurabile rispetto ad altri
sussidi  (o  erogazioni  di  altro  tipo)  previsti   per   finalita'
assistenziali nei confronti di soggetti indigenti. 
    In definitiva, pare non giustificata la previsione per  il  reato
ex art. 7,  comma  1,  decreto-legge  n.  4/2019  di  un  trattamento
sanzionatorio  tanto  piu'  rigoroso  rispetto  a   quello   previsto
dall'art. 316-ter del codice penale (anche considerando il fatto  che
il delitto ex art. 7, comma 1, decreto-legge  n.  4/2019  e'  pure  a
consumazione anticipata). 
    Si  auspica  quindi  un  intervento  manipolativo   della   Corte
costituzionale che anche per il reato  ora  in  esame  introduca  una
cornice edittale compresa tra due e sei anni di reclusione. 
    2.11 Ad analoga conclusione si ritiene  che  si  possa  pervenire
anche  qualora  si  ritenga  che  il  reato  ex  art.  7,  comma   1,
decreto-legge n. 4/2019 sia  piuttosto  assimilabile  ad  una  truffa
aggravata ai sensi dell'art. 640, comma 2, n. 1 del codice  penale  o
dell'art. 640-bis del c.p. 
    Tali disposizioni contemplano un trattamento  sanzionatorio  piu'
severo rispetto all'art. 316-ter del codice  penale:  rispettivamente
la reclusione da uno a cinque anni (oltre multa) e la  reclusione  da
due a sette anni (in quest'ultimo caso il massimo edittale  e'  anche
superiore a quello indicato dall'art. 7, comma  1,  decreto-legge  n.
4/2019). 
    Occorre pero' considerare che si tratta, in entrambi i  casi,  di
fattispecie circostanziate;  la  giurisprudenza  di  legittimita'  e'
infatti unanime nel senso che le due  disposizioni  di  cui  all'art.
640, comma 2, n. 1 del codice penale e all'art.  640-bis  del  codice
penale individuino delle  circostanze  aggravanti  e  non  dei  reati
autonomi (si vedano, ad esempio, Cassazione Sez. 2, sentenza n. 48394
del 19 novembre 2019 Rv. 277895 - 01). 
    Si  tratta  inoltre  di  circostanze  aggravanti  che  non   sono
sottratte alle regole generali  sul  bilanciamento  ex  art.  69  del
codice penale  in  caso  di  concorso  di  circostanze  aggravanti  e
attenuanti. 
    La maggiore  severita'  del  trattamento  sanzionatorio  previsto
dagli articoli 640, comma 2, n. 1 e 640-bis del  codice  penale  puo'
dunque in concreto risultare solo teorica. In caso di  riconoscimento
di  una  qualsiasi  circostanza  attenuante  (come  ad   esempio   le
circostanze  attenuanti  generiche  nell'attuale  procedimento),   in
misura  prevalente  o  anche  solo   equivalente,   ai   fini   della
commisurazione della pena  occorrera'  avere  riguardo  alla  cornice
edittale base prevista dall'art. 640, comma 1, del codice penale  per
il reato di truffa, vale a dire per l'appunto la  reclusione  da  sei
mesi a tre anni, oltre multa. 
    Viceversa, il delitto ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019
si presenta come un reato autonomo, il cui minimo edittale -  pari  a
due anni di reclusione - puo'  solo  essere  minimamente  ridotto  in
virtu' delle circostanze. 
    Nella fattispecie ora in esame, ad esempio,  se  il  fatto  fosse
qualificato ai sensi dell'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale o
dell'art. 640-bis c.p., la pena minima applicabile  per  effetto  del
bilanciamento  della  circostanza  aggravante  con   le   circostanze
attenuanti generiche sarebbe di mesi  quattro  di  reclusione,  oltre
multa, in caso di giudizio di prevalenza delle attenuanti (o di  mesi
sei di reclusione, oltre multa, in caso di giudizio di  equivalenza).
Ai sensi dell'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019, viceversa, la
pena minima e' di anni  uno  e  mesi  quattro  di  reclusione,  cioe'
quattro volte tanto. 
    Anche sotto tale profilo pare dunque  auspicabile  un  intervento
che introduca anche per il reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n.
4/2019 una cornice edittale compresa tra  sei  mesi  e  tre  anni  di
reclusione. 
    2.12 In subordine, posto che le maggiori  criticita'  si  pongono
con riguardo al minimo edittale si richiede alla Corte costituzionale
di sostituire la cornice  edittale  attualmente  vigente  con  quella
compresa tra mesi sei e anni sei di reclusione. In tal modo, infatti,
si consentirebbe di applicare una pena contenuta per le ipotesi  meno
gravi o comunque nei casi in cui la  severita'  delle  norme  di  cui
all'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale o dell'art. 640-bis del
codice penale sarebbe neutralizzata  dal  riconoscimento  di  qualche
attenuante in misura prevalente o anche solo equivalente. 
3. Ulteriori rilievi 
    3.1 Considerato il  dato  testuale  della  norma  censurata.  non
paiono percorribili interpretazioni conformi della norma in questione
agli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione,  chiaro  e  univoco
essendo il dato normativo. 
    3.2 Qualora fosse accolta  la  questione  qui  sollevata  in  via
principale o anche solo in  via  subordinata,  ad  avviso  di  questo
giudice potrebbe determinarsi un'incongruenza nel rapporto tra le due
fattispecie di cui ai primi due commi dell'art. 7,  decreto-legge  n.
4/2919: il reato ex art. 7, comma 1 - ora punito con  maggior  rigore
rispetto al reato di cui al comma successivo (consistente nella  mera
omessa  comunicazione,  dopo  il  riconoscimento  del  beneficio,  di
informazioni  dovute  e  rilevanti  ai  fini  della  revoca  o  della
riduzione del  beneficio  stesso)  -  finirebbe  infatti  per  essere
connotato da una cornice edittale in tutto o in parte meno severa. 
    Tale  criticita'   non   pare   poter   precludere   l'intervento
manipolativo qui auspicato. Al contrario, la stessa pare integrare il
presupposto  del  «rapporto  di  chiara  consequenzialita'   con   la
decisione assunta» ai  fini  della  dichiarazione  di  illegittimita'
derivata ai sensi dell'art. 27, legge n. 87/1953.  In  proposito  per
tale fattispecie «minore» di cui all'art. 7, comma  2,  decreto-legge
n. 4/2019 potrebbe risultare  costituzionalmente  legittima  la  pena
della reclusione fino a tre  anni,  risultante  dalla  ablazione  del
minimo  edittale,  tecnicamente   attuabile   con   la   sostituzione
dell'espressione «da uno a tre anni» con l'espressione  «fino  a  tre
anni», con conseguente riespansione  della  regola  generale  di  cui
all'art. 23 del codice penale, che stabilisce in quindici  giorni  la
durata minima della reclusione ogniqualvolta la  legge  non  disponga
diversamente (secondo la tecnica impiegata dalla Corte nella sentenza
n. 46 del 2024). 
    3.3 Un ulteriore  profilo  di  illegittimita'  derivata  potrebbe
interessare l'art. 8, commi 1 e 2 del decreto-legge n.  48/2023.  che
ha riproposto con riguardo al neo introdotto assegno di inclusione lo
stesso contenuto delle disposizioni dettate dall'art. 7, commi 1 e 2,
decreto-legge n. 4/2019 per il reddito di cittadinanza e rispetto  al
quale  la  giurisprudenza  di   legittimita'   ha   riconosciuto   la
continuita' rispetto ai reati concernenti il reddito di  cittadinanza
(si veda, ad esempio, Cassazione Sez. 3, sentenza  n.  39155  del  24
settembre 2024 Rv. 286951 - 01). 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli  134  della  Costituzione,  23  ss.  legge  n.
87/1953, 
    ritenuta d'ufficio la questione rilevante  e  non  manifestamente
infondata, 
    Solleva questione di legittimita' costituzionale - per violazione
degli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione -  della  norma  di
cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 nella parte  in  cui
prevede la punizione «con la reclusione da due a sei  anni»  anziche'
«con la reclusione da sei mesi a tre anni» o, in subordine,  «con  la
reclusione da sei mesi a sei anni»; 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  ed  i  relativi   termini   di
prescrizione, fino  alla  definizione  del  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale. 
    Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale  della
presente ordinanza e degli atti del procedimento,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri,  nonche'  per  la
comunicazione ai presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica e  per  la  successiva  trasmissione  del  fascicolo
processuale alla Corte costituzionale. 
    Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23,  comma  4,  legge  n.
87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza  e  che,
pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o  devono
considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5 del codice  di  procedura
penale. 
        Firenze, 12 maggio 2025 
 
                         Il Giudice: Attina'