Reg. ord. n. 109 del 2025 pubbl. su G.U. del 11/06/2025 n. 24
Ordinanza del Tribunale di Firenze del 12/05/2025
Tra: G.E. G.
Oggetto:
Assistenza e solidarietà sociale – Politiche sociali – Reddito di cittadinanza – Utilizzo o resa di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito – Previsione la quale stabilisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, una punizione con la reclusione da due a sei anni, anziché con la reclusione da sei mesi a tre anni o in subordine con la reclusione da sei mesi a sei anni – Denunciata disciplina che infligge un’irragionevole pena rispetto alla dosimetria sanzionatoria impiegata dal legislatore in altre analoghe fattispecie offensive e segnatamente in relazione ai reati di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316-ter cod. pen. e di truffa aggravata di cui agli artt. 640, secondo comma, n. 1 o 640-bis cod. pen. – Previsione di un minimo edittale così significativamente elevato che impedisce al giudice di applicare una pena adeguata a condotte delittuose che, per quanto conformi al tipo considerato, risultano essere di modesta lesività – Violazione del principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità intrinseca del trattamento sanzionatorio – Lesione del principio della finalità rieducativa della pena.
Norme impugnate:
decreto-legge
del 28/01/2019
Num. 4
Art. 7
Co. 1
legge
del 28/03/2019
Num. 26
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 109 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 maggio 2025
Ordinanza del 12 maggio 2025 del Tribunale di Firenze nel
procedimento penale a carico di G.E. G..
Assistenza e solidarieta' sociale - Politiche sociali - Reddito di
cittadinanza - Utilizzo o resa di dichiarazioni o documenti falsi o
attestanti cose non vere, al fine di ottenere indebitamente il
beneficio del reddito - Previsione la quale stabilisce, salvo che
il fatto costituisca piu' grave reato, una punizione con la
reclusione da due a sei anni, anziche' con la reclusione da sei
mesi a tre anni o in subordine con la reclusione da sei mesi a sei
anni.
- Decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in
materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con
modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, art. 7, comma 1.
(GU n. 24 del 11-06-2025)
TRIBUNALE DI FIRENZE
Prima Sezione penale
Il Giudice. dr Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a
carico di G. G. E. , nat. in ... il ... libera, assente;
difeso di fiducia dall'avv. Stefano Magherini del Foro di
Firenze;
imputata del:
reato di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge 28 gennaio
2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019,
n. 26 poiche', al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui
all'art. 3, decreto-legge cit. (c.d. «reddito di cittadinanza»), in
assenza dei requisiti previsti dalla normativa, rendeva dichiarazioni
false, attestanti dati non veritieri ed ometteva informazioni dovute
rilevanti ai sensi dell'art. 2, in particolare:
in data ... presentava apposita domanda (protocollo n.
INPS-RDC- ...) al cui interno veniva richiamata la dichiarazione
sostitutiva unica (valida per l'ISEE e sottoscritta in data ...
omettendo di indicare redditi relativi all'anno 2018 imputabili ad
altri componenti del nucleo familiare in cui la stessa si e' venuta a
trovare, ovvero:
1) al momento della compilazione della citata DSU in data ... ,
indicava di essere l'unica componente del nucleo familiare e non
indicava i redditi da pensione e patrimoni del proprio padre G. M. ,
individuati rispettivamente in € 32.054,23 ed € 371.813,36,
2) al momento della presentazione della domanda, risultava essere
residente presso l'abitazione di B. A. e di conseguenza non indicava
i redditi e i patrimoni di B. A. , individuati in almeno € 55.911,00,
che avrebbero innalzato il valore ISEE ad almeno 23.679,80, ben sopra
il requisito di legge.
All'esito di cio' percepiva un importo pari a € 4.000,00.
Fatto commesso in ... il ...
sentite le parti;
premesso che:
G. G. E. era rinviata a giudizio con decreto del Gup del 5
maggio 2022 per il reato di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge n.
4/2019;
nel corso del dibattimento le parti hanno concordato la
produzione degli atti d'indagine e di ulteriori documenti, con
rinuncia all'audizione dei testimoni;
all'udienza del 28 ottobre 2024 le parti illustravano le
rispettive conclusioni. In particolare, il pubblico ministero
chiedeva la condanna dell'imputata, previo riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni uno e mesi
quattro di reclusione; il difensore chiedeva la sostituzione della
pena detentiva con i lavori di pubblica utilita' (all'udienza del 24
febbraio 2025 era depositata la necessaria procura speciale);
all'udienza odierna, cui il processo era rinviato per le
eventuali repliche, le parti vi rinunciavano;
rilevato che:
A) dagli atti e documenti acquisiti e' emerso che in data ...
l'attuale imputata presentava una domanda per ottenere il c.d.
«reddito di cittadinanza» e alla stessa era associata la
dichiarazione sostitutiva unica gia' dalla medesima presentata in
data .... In tale DSU la prevenuta aveva dichiarato di essere l'unica
componente del proprio nucleo familiare, che il proprio reddito nel
2018 era stato nullo e che il suo patrimonio era pressoche' nullo
(constava del solo saldo di conto corrente, di poche decine di euro).
Sulla base di tali dati, ricorrendone le condizioni, il beneficio era
riconosciuto e l'imputata percepiva l'importo mensile di € 500 per
otto mensilita', da ... a ... per totali € 4.000.
La successiva attivita' d'indagine posta in essere dalla Guardia
di finanza nel gennaio .... consentiva di accertare che in realta',
alla data del ..., del nucleo familiare dell'imputata faceva parte
anche il padre G. M. (nato il...), il quale nel 2018 aveva percepito
un reddito da pensione di circa € 32.000 (sostanzialmente analogo era
stato il reddito del 2019) ed era inoltre proprietario della casa di
abitazione del nucleo familiare in localita' ... (del valore di circa
€ 370.000).
Dunque, dichiarando di essere l'unica componente del proprio
nucleo familiare e cosi' occultando la presenza nel nucleo del padre,
con il relativo reddito e il relativo patrimonio, l'imputata faceva
figurare la sussistenza dei requisiti per accedere al reddito di
cittadinanza, di cui concretamente percepiva otto mensilita' e a cui
non aveva viceversa diritto (nell'an prima ancora che nel quantum).
La condotta era chiaramente finalizzata ad ottenere indebitamente
il beneficio, non essendovi altro motivo plausibile per occultare la
presenza del familiare.
B) Alla luce di quanto precede risulta certa la responsabilita'
dell'imputata per il reato ascrittogli.
Peraltro alla stessa conclusione si giungerebbe anche avendo
riguardo non al momento della presentazione e la DSU poi richiamata
(... ), ma a quello della presentazione della domanda del reddito di
cittadinanza (... ). A tale data l'imputata faceva ormai parte del
nucleo familiare di tale B. A. e conviveva con la stessa e una minore
in localita'...; la B. era titolare di un reddito di circa 53.000 €,
per cui - anche considerando tale situazione - difettavano i
requisiti per beneficiare del reddito di cittadinanza.
C) Il fatto non puo' ritenersi di particolare tenuita' ai sensi
dell'art. 131-bis c. p., neppure tenendo conto del comportamento
successivo ai fatti (restituzione all'Inps di complessivi € 600
circa), come ora consentito a seguito delle modifiche apportate alla
citata norma dal decreto legislativo n. 150/2022.
L'offesa non puo' infatti ritenersi di particolare tenuita', in
ragione della non lieve discrasia tra il reddito effettivo del nucleo
familiare e quello oggetto della falsa dichiarazione, nonche'
dell'effettiva percezione da parte dell'imputata di 4.000 €
complessivi.
D) All'imputata possono essere riconosciute le circostanze
attenuanti generiche in considerazione della parziale restituzione in
piu' tranches degli importi indebitamente percepiti, delle relative
condizioni soggettive (dalla certificazione prodotta risulta che e'
seguita dal ... dal ... per disturbo depressivo tipo bipolare e per
dipendenza da alcool) e del percorso finora effettuato (... era
astinente da alcool da circa dieci mesi).
E) quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, per
poter addivenire ad una corretta decisione appare necessario il
pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla legittimita'
costituzionale della norma di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge
n. 4/2019 nella parte in cui prevede la punizione «con la reclusione
da due a sei anni» anziche' «con la reclusione da sei mesi a tre
anni» (o, in subordine, «con la reclusione da sei mesi a sei anni»);
cio' premesso,
Osserva
1. Rilevanza della questione
1.1 Il delitto in contestazione si e' consumato nell'...,
allorche' era in vigore il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4
(Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di
pensioni), convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n.
26.
1.2 Successivamente, nell'ambito di una piu' articolata riforma,
la legge n. 197/2022, all'art. 1, comma 318, ha abrogato l'art. 7,
decreto-legge n. 4/2019, a decorrere pero' dal 1° gennaio 2024.
Come rilevato anche dalla Corte di cassazione «prima
dell'indicata data, il legislatore e' intervenuto per modificare la
previsione di cui si discute, la quale, proprio con riguardo
all'abrogazione anche delle disposizioni penali, era stata in
dottrina ritenuta frutto di una mera "svista" [...] e' stato emanato
il decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante «misure urgenti per
l'inclusione e l'accesso al mondo del lavoro», conv., con modif.,
dalla legge 3 luglio 2023, n. 85. Dopo aver riproposto, all'art. 8,
commi 1 e 2, previsioni incriminatrici per le false od omesse
comunicazioni concernenti l'ottenimento o il mantenimento dei nuovi
benefici economici previsti dagli articoli 3 e 12 della legge,
previsioni sostanzialmente identiche a quelle gia' contenute
nell'art. 7, commi 1 e 2, decreto-legge n. 4/2019 con riguardo al
reddito di cittadinanza, l'art. 13, comma 3, decreto-legge n.
48/2023, collocato tra le disposizioni transitorie e finali,
statuisce che «al beneficio di cui all'art. 1 del decreto-legge 28
gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28
marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui
all'art. 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il
beneficio e' stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre
2023»" (cosi Cassazione Sez. 3, sentenza n. 7541 del 24 gennaio 2024
Rv. 285964 - 01).
Per altro verso la giurisprudenza di legittimita' ha precisato
che «la formale abrogazione dell'indicata norma incriminatrice,
disposta dall'art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, a
far data dal 1° gennaio 2024, non integra un'ipotesi di "abolitio
criminis" di cui all'art. 2, comma secondo, del codice penale; ma da'
luogo a un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo,
inquadrabile nel disposto di cui all'art. 2, comma terzo, del codice
penale, avuto riguardo alla corrispondente incriminazione introdotta
dall'art. 8, decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con
modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, del tutto
sovrapponibile e riferita al reddito di inclusione in sostituzione di
quello di cittadinanza» (cosi' Cassazione Sez. 3, sentenza n. 39155
del 24 settembre 2024 Rv. 286951 - 01).
Il fatto in contestazione, costituisce dunque tuttora reato. E'
dunque rilevante la questione della legittimita' del relativo
trattamento sanzionatorio.
1.3 La questione pare tanto piu' rilevante nella misura in cui -
se pur non puo' ritenersi applicabile la causa di non punibilita' ex
art. 131-bis del codice penale - lo specifico fatto di reato ora in
esame risulta comunque di gravita' contenuta.
Da un lato, infatti, e' si' vero che il nucleo famiiliare di cui
l'imputata faceva parte disponeva di un reddito e di beni
patrimoniali i cui valori erano superiori alle soglie di legge, per
cui la predetta se avesse presentato una dichiarazione veritiera non
avrebbe avuto accesso al reddito di cittadinanza: e' anche vero pero'
che l'imputata - donna all'epoca di 53 anni - era del tutto priva di
un reddito proprio e di beni e finanze proprie (non e' emersa la
falsita' delle indicazioni in proposito presenti nella dichiarazione
sostitutiva unica) e dipendeva quindi interamente, nonostante l'eta',
dal padre anziano prima e dalla B. poi.
Dall'altro lato, la somma di denaro oggetto di percezione
indebita non risulta elevata.
1.4 In definitiva per l'imputata andrebbe individuata una pena
base prossima al minimo edittale (fatta salva l'applicazione delle
circostanze attenuanti generiche).
E' quindi rilevante la questione della legittimita' della pena
detentiva minima di anni due di reclusione; in particolare, si
auspica un intervento manipolativo della Corte costituzionale che
sostituisca detta pena edittale minima con quella di mesi sei di
reclusione.
2. Non manifesta infondatezza
2.1 Si dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 7,
comma 1, decreto-legge n. 4/2019 nella parte in cui prevede la
punizione della condotta ivi incriminata «con la reclusione da due a
sei anni» anziche' «con la reclusione da sei mesi a tre anni».
2.2 Pare opportuno un breve inquadramento sistematico della
disciplina in questione.
Come piu' volte rilevato dalla stessa Corte costituzionale, «"la
disciplina del reddito di cittadinanza definisce un percorso di
reinserimento nel mondo lavorativo che va al di la' della pura
assistenza economica": mentre le prestazioni di assistenza sociale
vere e proprie si "fonda[no] essenzialmente sul solo stato di
bisogno", il Rdc prevede «un sistema di rigorosi obblighi e
condizionalita'», che strutturano un percorso formativo e
d'inclusione, "il cui mancato rispetto determina, in varie forme,
l'espulsione dal percorso medesimo" (sentenza n. 126 del 2021 e, in
termini simili, sentenza n. 122 del 2020).
L'erogazione del Rdc, infatti, "'e' condizionata alla
dichiarazione di immediata disponibilita' al lavoro da parte dei
componenti il nucleo familiare maggiorenni, [...] nonche'
all'adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento
all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale che prevede
attivita' al servizio della comunita', di riqualificazione
professionale, di completamento degli studi, nonche' altri impegni
individuati dai servizi competenti finalizzati all'inserimento nel
mercato del lavoro e all'inclusione sociale' (art. 4, comma 1).
Questo percorso si realizza o con il Patto per il lavoro [...] o con
il Patto per l'inclusione sociale, stipulato presso i servizi
comunali competenti per il contrasto della poverta' (art. 4, commi 7
e 12). [...] Si e' quindi ribadito che: "il reddito di cittadinanza,
pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla
poverta', non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a
soddisfare un bisogno primario dell'individuo, ma persegue diversi e
piu' articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di
integrazione sociale. A tale sua prevalente connotazione si collegano
coerentemente la temporaneita' della prestazione e il suo carattere
condizionale, cioe' la necessita' che ad essa si accompagnino precisi
impegni dei destinatari, definiti in Patti sottoscritti da tutti i
componenti maggiorenni del nucleo familiare (salve le esclusioni di
cui all'art. 4, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 4 del 2019). E'
inoltre prevista la decadenza dal beneficio nel caso in cui un solo
componente rispetti gli impegni (art. 7, comma 5, del decreto-legge
n. 4 del 2019)" (ancora sentenza n. 19 del 2022). In definitiva, gli
strumenti apprestati non consistono in meri sussidi per rispondere
alla situazione di poverta', dal momento che il beneficio economico
erogato e' inscindibile da una piu' complessa e qualificante
componente di inclusione attiva, diretta a incentivare la persona
nell'assunzione di una responsabilita' sociale, che si realizza
attraverso la risposta positiva agli impegni contenuti in un percorso
appositamente predisposto e che dovrebbe condurre, per questa via,
all'uscita dalla condizione di poverta'».
2.3 Il delitto di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge n.
4/2019 consiste nel rendere o utilizzare dichiarazioni o documenti
falsi o attestanti cose non vere (o nell'omettere informazioni
dovute) al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico
connesso all'istituto giuridico in questione.
Come affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione
(Sez. U - sentenza n. 49686 del 13 luglio 2023 Rv. 285435), integrano
il reato in questione le omesse o false indicazioni di informazioni
contenute nell'autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito
di cittadinanza solo se funzionali a ottenere un beneficio non
spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge, non
rilevando viceversa la semplice omissione o falsita' da parte del
richiedente che non incida ne' sull'an ne' sul quantum del beneficio.
Ai fini dell'integrazione del reato, la percezione indebita del
beneficio non e' necessario che si verifichi, essendo sufficiente che
sia oggetto del dolo specifico del soggetto agente.
Come rilevato sempre dalle Sezioni unite della Corte di
cassazione (Sez. U - Sentenza n. 49686 del 13 luglio 2023 Rv.
285435), si tratta infatti di un reato di pericolo concreto a
consumazione anticipata; inoltre, il bene giuridico tutelato non e'
la fede pubblica, bensi' il patrimonio dell'ente pubblico erogante,
essendo il reato «posto a presidio delle risorse pubbliche economiche
destinate a finanziare il Rdc impedendone la dispersione a favore di
chi non ne ha [...] diritto o ne ha diritto in misura minore».
2.4 Tanto premesso, ad avviso dello scrivente la previsione per
detto reato della pena edittale della «reclusione da due a sei anni»
pare violare i precetti di cui agli articoli 3 e 27, comma 3 della
Costituzione, sia per cio' che attiene al generale principio di
uguaglianza, sia sotto il profilo della proporzionalita' intrinseca
del trattamento sanzionatorio. Ad avviso di questo giudice la norma
qui censurata impone l'inflizione di una pena irragionevole in
relazione alla dosimetria sanzionatoria impiegata dal legislatore in
altre fattispecie offensive (a giudizio dello scrivente) analoghe, e
pare inoltre che un minimo edittale cosi' significativamente elevato
impedisca al giudice di applicare una pena adeguata a condotte
delittuose che, per quanto conformi al tipo considerato, risultino
essere caratterizzate da una lesivita' modesta.
2.5 Si consideri che le somme erogate in relazione al beneficio
del reddito di cittadinanza sono sempre di importo contenuto e che, a
differenza di altre tipologie di beneficio economico, si tratta -
strutturalmente - di una misura di natura temporanea; in ogni caso,
quindi, le somme indebitamente percepite per effetto della singola
condotta delittuosa, anche complessivamente considerate, non saranno
mai superiori ad alcune migliaia di euro, laddove altri benefici
economici possono raggiungere importi ben piu' elevati. Scorrendo ad
esempio le sentenze di legittimita' relative ai reati concernenti
l'indebita percezione del cd. «Superbonus 110%» previsto dalla
legislazione emergenziale pandemica, si rinvengono importi ben piu'
idonei a compromettere le risorse pubbliche e il perseguimento delle
finalita' cui le stesse devono essere destinate (euro 2.104.091 in
Cassazione Sez. 2, sentenza n. 13852 del 2025; euro 3.456.069 in
Cassazione Sez. 6, sentenza n. 13339 del 2025; euro 1.837.709 in
Cassazione, Sez. 2, sentenza n. 11705 del 2025; euro 25.267.389 ed
euro 42.160.281 in Cassazione Sez. 3, sentenza n. 832 del 2025).
2.6 Si aggiunga che, come evidenziato dalla giurisprudenza sia
costituzionale sia di legittimita', la disciplina del reddito di
cittadinanza prevede «un sistema di rigorosi obblighi e
condizionalita'», «il cui mancato rispetto determina, in varie forme,
l'espulsione dal percorso medesimo». L'accesso indebito (perche' in
assenza dei presupposti) a tale percorso di reinserimento nel mondo
lavorativo, che va al di la' della pura assistenza economica e che e'
comunque connotato da obblighi e oneri in capo all'ammesso, pare
percio' semmai meno grave rispetto all'accesso indebito ad altre
forme di sussidi e sovvenzioni, contraddistinte dalla mera percezione
di somme di denaro.
Il reato in questione inoltre puo' perfezionarsi anche rispetto a
soggetti che avrebbero comunque diritto ad accedere al citato sistema
e al beneficio economico, ma in misura minore nel quantum (Sez. U -
sentenza n. 49686 del 13 luglio 2023), e che dunque effettivamente
versano in condizioni di poverta' o comunque di rischio di
emarginazione nella societa' e nel mondo del lavoro.
Inoltre, puo' perfezionarsi rispetto a soggetti che, sotto il
profilo reddituale e patrimoniale, avrebbero tutti i requisiti per
accedere al citato percorso, ma che non possono legittimamente
accedervi per difetto di altra tipologia di requisiti fissati dal
legislatore (ad esempio, la residenza sul territorio nazionale per un
certo numero di anni) o per la presenza di elementi ostativi (ad
esempio. la condanna per taluni reati): anche in questo caso si
tratta di soggetti che effettivamente versano in condizioni di
poverta' o sono comunque a rischio di esclusione sociale.
Anche nel caso oggetto del presente procedimento l'imputata era
si' priva dei requisiti di accesso al reddito di cittadinanza, ma era
comunque soggetto che versava in condizioni di disagio psichico e
sociale (disturbo depressivo di tipo bipolare, dipendenza da alcool),
ma anche economico (del tutto priva di reddito e risorse proprie, e
quindi interamente dipendente, nonostante l'eta' adulta avanzata, dal
genitore).
2.7 A fronte dei citati fattori, la previsione per il reato in
questione di una pena edittale della «reclusione da due a sei anni»
pare sproporzionata per eccesso e quindi irragionevole.
La Corte costituzionale ha reiteratamente sottolineato che
«l'ampia discrezionalita' del legislatore nella definizione della
propria politica criminale, e in particolare nella determinazione
delle pene le applicabili a chi abbia commesso reati, cosi' come
nella stessa selezione delle condotte costitutive di reato [...],
tuttavia, non equivale ad arbitrio» (cosi' la sentenza n. 46 del
2024).
2.8 Sotto il profilo del raffronto con altre figure criminose
analoghe, posto che - come rilevato dalle Sezioni unite della Corte
di cassazione - il delitto ex art. 7, comma 1, decreto-legge n.
4/2019 e' un reato posto a tutela del patrimonio dell'ente erogante
e, in particolare, delle risorse destinare all'erogazione del
beneficio e quindi al perseguimento del fine pubblico ad esso
sotteso, pare doversi avere riguardo alle figure criminose
dell'indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter del
codice penale e della truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, comma
2, n.1 del codice penale o dell'art. 640-bis del codice penale.
2.9 La giurisprudenza di legittimita' non e' unanime quanto ai
rapporti tra il delitto in esame e tali diverse (ma analoghe) figure
criminose.
Si puo' ravvisare un orientamento maggioritario secondo cui il
reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 sarebbe un'ipotesi
speciale di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art.
316-ter del codice penale.
In particolare, secondo la sentenza Cassazione Sez. 3, n. 7528
del 9 novembre 2023 Rv. 285954 - 03, «il legislatore, con
l'introduzione delle fattispecie di cui all'art. 7 del decreto-legge
n. 4 del 2019, ha inteso punire piu' severamente di quanto previsto
in casi analoghi, condotte che altrimenti potrebbero sfuggire alla
sanzione penale, non potendo ricadere in astratto nell'ambito di
applicazione dell'art. 316-ter codice penale o dell'art. 640-bis
codice penale Quanto, in particolare, all'ipotesi di "indebita
percezione di erogazioni pubbliche" (art. 316-ter del codice penale),
la sanzione prevista e' meno grave di quelle di cui all'art. 7 e
prevede una soglia minima di contributo percepito pari a euro
3.999,96, al di sotto della quale e' esclusa la punibilita' penale.
Orbene, poiche' il reddito di cittadinanza si caratterizza per essere
un contributo mensile che non supera mai la soglia anzidetta, il
reato non potrebbe mai configurarsi e cio' ha reso necessaria
l'espressa previsione di una speciale fattispecie di reato, non
essendo sufficiente la sanzione amministrativa pecuniaria, inefficace
quanto a soggetti per definizione poco capienti sul piano
patrimoniale. [...] A tale prima ratio legis se ne affianca un'altra,
specificamente rilevante in punto di trattamento sanzionatorio: il
legislatore ha scelto di creare, nell'ambito della legge speciale sul
reddito di cittadinanza, una fattispecie penale speciale dotata di un
apparato sanzionatorio piu' grave di quello del richiamato art.
316-ter, nella consapevolezza del fatto che il reddito di
cittadinanza e' un beneficio di portata significativa e relativamente
facile da conseguire da parte di un gran numero di persone,
prestandosi, per le modalita' di accesso particolarmente agevoli, ad
essere occasione per la produzione di dichiarazioni o documenti falsi
o attestanti cose non vere o per l'omissione di informazioni dovute».
Tale orientamento e' stato poi ripreso dalla sentenza Cassazione
Sez. 3, n. 38877 del 2024, che - nel ritenere corretta la sentenza
della Corte d'appello (che aveva a sua volta confermato la sentenza
di primo grado, che aveva riqualificato ai sensi dell'art. 7, comma
1, decreto-legge n. 4/2019 il fatto originariamente contestato come
truffa aggravata) - ha richiamato quanto affermato dalla sentenza n.
7528 del 9 novembre 2023 e ribadito la specialita' del reato in esame
rispetto a quello di cui all'art. 316-ter ter del codice penale.
Da ultimo, la sentenza Cassazione Sez. 3, n. 2597 del 2025 ha
rilevato che secondo un consolidato orientamento di legittimita' «il
reato di cui all'art. 7 del decreto-legge n. 4 del 2019, strutturato
sulla falsariga dell'art. 316-ter del codice penale (con il quale e'
in rapporto di specialita' reciproca), si differenzia dalla truffa
aggravata, per la presenza del dolo specifico e per la mancata
inclusione, tra gli elementi costitutivi, dell'induzione in errore
dell'ente erogatore, il quale svolge un'attivita' istruttoria minima
finalizzata alla verifica del possesso dei requisiti autocertificati
dal richiedente per l'accesso al beneficio».
Si deve peraltro rilevare che anche in dottrina,
nell'immediatezza dell'abrogazione dell'art. 7, decreto-legge n.
4/2019 ad opera della legge n. 197/2022 (prima che il legislatore
ponesse rimedio alla propria «svista»), si e' sottolineato che la
condotta gia' oggetto della disposizione abrogata avrebbe potuto in
seguito assumere rilevanza ai sensi dell'art. 316-ter codice penale
(fatto salvo il problema del superamento o meno della soglia di
rilevanza penale fissata da quest'ultimo articolo).
Non sono pero', mancate singole pronunce di segno diverso.
In particolare, la sentenza Cassazione Sez. 2., n. 13345 del
2025, dopo avere sottolineato che il reddito di cittadinanza deve
intendersi quale strumento di sostegno economico per le famiglie in
difficolta' associato ad un percorso di reinserimento nel mondo del
lavoro, ha affermato che tale istituto non puo' rientrare - per
natura della prestazione e per tipologia dei destinatari - tra le
erogazioni pubbliche contemplate dall'art. 640-bis del codice penale;
ha quindi ritenuto che la condotta incriminata dall'art. 7, comma 1,
decreto-legge n. 4/2019 «puo' ben essere astrattamente ricondotta
alla meno grave fattispecie di cui all'art. 640, comma 2, n. 1 del
codice penale».
Infine, la sentenza Cassazione sez. 2. n. 30007 del 2022 ha
ritenuto corretta la qualificazione dei fatti ai sensi dell'art.
640-bis del codice penale e non dell'art. 7, comma 1, decreto-legge
n. 4/2019 in ragione della clausola di riserva prevista dal tale
ultima norma e degli specifici artifizi posti in essere dagli
imputati nel caso allora esaminato.
2.10 Ad avviso dello scrivente, il reato di indebita percezione
di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter del codice penale
costituisce, nonostante talune differenze sul piano strutturale, un
valido termine di raffronto ai fini sanzionatori.
Oltre alle affinita' dal punto di vista del bene giuridico
tutelato e delle modalita' attuative, come sottolineato dalla Corte
di cassazione pare di particolare rilevanza il fatto che l'accesso al
reddito di cittadinanza sia connotato da un'attivita' istruttoria
minima da parte dell'ente erogante quanto alla verifica del possesso
dei requisiti autocertificati dal richiedente, limitandosi in
sostanza detto ente ad una presa d'atto di quando dichiarato dal
richiedente (ai sensi dell'art. 5, decreto-legge n. 4/2019 l'INPS
puo' basarsi solo sulle risultanze delle proprie banche dati e
comunque, in ogni caso, il riconoscimento da parte dell'INPS deve
avvenire entro la fine del mese successivo alla trasmissione della
domanda all'Istituto). Difetta cioe' l'elemento dell'induzione in
errore che differenzia il reato ex art. 640-bis del codice penale da
quello ex art. 316-ter del codice penale.
Ebbene, il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche
ex art. 316-ter del codice penale e' punito con la reclusione da sei
mesi a tre anni, laddove per il reato ex art. 7, comma 1,
decreto-legge n. 4/2019 e' prevista la pena della reclusione da due a
sei anni.
Si e' inoltre gia' sottolineato come il reato ex art. 7, comma 1,
decreto-legge n. 4/2019 abbia sempre ad oggetto somme di denaro di
importo contenuto (a differenza di quanto puo' avvenire per il reato
ex art. 316-ter del codice penale) e che spesso gli autori di detto
reato sono soggetti in condizioni di disagio economico e sociale
(addirittura «soggetti per definizione poco capienti sul piano
patrimoniale» secondo Cassazione Sez. 3, n. 7528 del 9 novembre
2023).
In proposito, non paiono condivisibili le argomentazioni con cui
la suprema Corte nella sentenza Cassazione Sez. 3, n. 7528/2023 ha
ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalita'
relativa al trattamento sanzionatorio del reato in esame in rapporto
a quello ex art. 316-ter del codice penale di cui pur ha ritenuto che
il primo costituisca un'ipotesi speciale. In particolare, la
circostanza che l'importo della singola erogazione mensile del
reddito di cittadinanza sia inferiore alla soglia di rilevanza penale
fissata dall'art. 316-ter del codice penale (per cui, in assenza di
un'apposita incriminazione, la condotta descritta dall'art. 316-ter
del codice penale tenuta in relazione al reddito di cittadinanza
avrebbe integrato soltanto un illecito amministrativo), unitamente al
dato per cui il reddito di cittadinanza e' un beneficio di portata
significativa e relativamente facile da conseguire da parte di un
gran numero di persone, puo' forse giustificare la scelta del
legislatore di creare un'apposita figura criminosa per il reddito di
cittadinanza. Non puo' viceversa giustificare la previsione per tale
nuovo reato di una cornice edittale decisamente piu' severa rispetto
a quello della figura generale di cui all'art. 316-ter del codice
penale (il minimo edittale previsto per il reato ex art. 7, comma 1,
decreto-legge n. 4/2019 e' pari al quadruplo del minimo edittale
previsto per il reato ex art. 316-ter del codice penale; il massimo
edittale e' pari al doppio).
Il principio di proporzionalita' evincibile dagli articoli 3 e
27, comma 3 della Costituzione esige che il trattamento sanzionatorio
sia proporzionale rispetto alla gravita' del reato commesso e, entro
certi limiti, alla pericolosita' del suo autore. Il dato della
facilita' di accesso al reddito di cittadinanza da parte di un
elevato numero di persone. con il connesso rischio per le risorse
dell'ente erogante, non e' viceversa un aspetto inerente alla
gravita' del reato commesso dal singolo soggetto o alla pericolosita'
di quest'ultimo (semmai depone in senso contrario: se un reato e' di
agevole commissione, cio' significa che non richiede un particolare
impegno o un dolo particolarmente intenso in capo al relativo autore
e che quest'ultimo non e' necessario che si connoti per una specifica
attitudine a commettere reati). Il legislatore, dunque, nel fissare
la cornice edittale di un reato, puo' solo entro limiti
ristrettissimi tenere conto dell'esigenza di dissuadere i potenziali
autori delle condotte incriminate: diversamente, incrementando a
dismisura le pene pur a fronte di un disvalore del fatto analogo a
quello di altro reato, finisce per violare il principio di
proporzionalita' e, in definitiva, per strumentalizzare la singola
persona.
Si potrebbe altresi' sostenere che il trattamento sanzionatorio
piu' severo previsto per il reato in questione potrebbe giustificarsi
in ragione del fatto che il relativo autore sarebbe ancor piu'
rimproverabile per il fatto di essersi finto indigente e bisognoso e
di avere cosi' sottratto risorse destinate a supportare il contrasto
alla poverta' e misure di inclusione sociale. Anche tale
argomentazione non pare condivisibile: si e' infatti visto che anche
gli autori del reato in questione potrebbero versare e spesso versano
in situazioni di indigenza e di emarginazione sociale (perche'
potrebbero avere diritto al beneficio ma in misura minore, oppure
perche' potrebbero presentare i requisiti reddituali e patrimoniali
ma essere privi di altro tipo di requisito). Inoltre il reato di cui
all'art. 316-ter del codice penale e' configurabile rispetto ad altri
sussidi (o erogazioni di altro tipo) previsti per finalita'
assistenziali nei confronti di soggetti indigenti.
In definitiva, pare non giustificata la previsione per il reato
ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 di un trattamento
sanzionatorio tanto piu' rigoroso rispetto a quello previsto
dall'art. 316-ter del codice penale (anche considerando il fatto che
il delitto ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 e' pure a
consumazione anticipata).
Si auspica quindi un intervento manipolativo della Corte
costituzionale che anche per il reato ora in esame introduca una
cornice edittale compresa tra due e sei anni di reclusione.
2.11 Ad analoga conclusione si ritiene che si possa pervenire
anche qualora si ritenga che il reato ex art. 7, comma 1,
decreto-legge n. 4/2019 sia piuttosto assimilabile ad una truffa
aggravata ai sensi dell'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale o
dell'art. 640-bis del c.p.
Tali disposizioni contemplano un trattamento sanzionatorio piu'
severo rispetto all'art. 316-ter del codice penale: rispettivamente
la reclusione da uno a cinque anni (oltre multa) e la reclusione da
due a sette anni (in quest'ultimo caso il massimo edittale e' anche
superiore a quello indicato dall'art. 7, comma 1, decreto-legge n.
4/2019).
Occorre pero' considerare che si tratta, in entrambi i casi, di
fattispecie circostanziate; la giurisprudenza di legittimita' e'
infatti unanime nel senso che le due disposizioni di cui all'art.
640, comma 2, n. 1 del codice penale e all'art. 640-bis del codice
penale individuino delle circostanze aggravanti e non dei reati
autonomi (si vedano, ad esempio, Cassazione Sez. 2, sentenza n. 48394
del 19 novembre 2019 Rv. 277895 - 01).
Si tratta inoltre di circostanze aggravanti che non sono
sottratte alle regole generali sul bilanciamento ex art. 69 del
codice penale in caso di concorso di circostanze aggravanti e
attenuanti.
La maggiore severita' del trattamento sanzionatorio previsto
dagli articoli 640, comma 2, n. 1 e 640-bis del codice penale puo'
dunque in concreto risultare solo teorica. In caso di riconoscimento
di una qualsiasi circostanza attenuante (come ad esempio le
circostanze attenuanti generiche nell'attuale procedimento), in
misura prevalente o anche solo equivalente, ai fini della
commisurazione della pena occorrera' avere riguardo alla cornice
edittale base prevista dall'art. 640, comma 1, del codice penale per
il reato di truffa, vale a dire per l'appunto la reclusione da sei
mesi a tre anni, oltre multa.
Viceversa, il delitto ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019
si presenta come un reato autonomo, il cui minimo edittale - pari a
due anni di reclusione - puo' solo essere minimamente ridotto in
virtu' delle circostanze.
Nella fattispecie ora in esame, ad esempio, se il fatto fosse
qualificato ai sensi dell'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale o
dell'art. 640-bis c.p., la pena minima applicabile per effetto del
bilanciamento della circostanza aggravante con le circostanze
attenuanti generiche sarebbe di mesi quattro di reclusione, oltre
multa, in caso di giudizio di prevalenza delle attenuanti (o di mesi
sei di reclusione, oltre multa, in caso di giudizio di equivalenza).
Ai sensi dell'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019, viceversa, la
pena minima e' di anni uno e mesi quattro di reclusione, cioe'
quattro volte tanto.
Anche sotto tale profilo pare dunque auspicabile un intervento
che introduca anche per il reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n.
4/2019 una cornice edittale compresa tra sei mesi e tre anni di
reclusione.
2.12 In subordine, posto che le maggiori criticita' si pongono
con riguardo al minimo edittale si richiede alla Corte costituzionale
di sostituire la cornice edittale attualmente vigente con quella
compresa tra mesi sei e anni sei di reclusione. In tal modo, infatti,
si consentirebbe di applicare una pena contenuta per le ipotesi meno
gravi o comunque nei casi in cui la severita' delle norme di cui
all'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale o dell'art. 640-bis del
codice penale sarebbe neutralizzata dal riconoscimento di qualche
attenuante in misura prevalente o anche solo equivalente.
3. Ulteriori rilievi
3.1 Considerato il dato testuale della norma censurata. non
paiono percorribili interpretazioni conformi della norma in questione
agli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione, chiaro e univoco
essendo il dato normativo.
3.2 Qualora fosse accolta la questione qui sollevata in via
principale o anche solo in via subordinata, ad avviso di questo
giudice potrebbe determinarsi un'incongruenza nel rapporto tra le due
fattispecie di cui ai primi due commi dell'art. 7, decreto-legge n.
4/2919: il reato ex art. 7, comma 1 - ora punito con maggior rigore
rispetto al reato di cui al comma successivo (consistente nella mera
omessa comunicazione, dopo il riconoscimento del beneficio, di
informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della
riduzione del beneficio stesso) - finirebbe infatti per essere
connotato da una cornice edittale in tutto o in parte meno severa.
Tale criticita' non pare poter precludere l'intervento
manipolativo qui auspicato. Al contrario, la stessa pare integrare il
presupposto del «rapporto di chiara consequenzialita' con la
decisione assunta» ai fini della dichiarazione di illegittimita'
derivata ai sensi dell'art. 27, legge n. 87/1953. In proposito per
tale fattispecie «minore» di cui all'art. 7, comma 2, decreto-legge
n. 4/2019 potrebbe risultare costituzionalmente legittima la pena
della reclusione fino a tre anni, risultante dalla ablazione del
minimo edittale, tecnicamente attuabile con la sostituzione
dell'espressione «da uno a tre anni» con l'espressione «fino a tre
anni», con conseguente riespansione della regola generale di cui
all'art. 23 del codice penale, che stabilisce in quindici giorni la
durata minima della reclusione ogniqualvolta la legge non disponga
diversamente (secondo la tecnica impiegata dalla Corte nella sentenza
n. 46 del 2024).
3.3 Un ulteriore profilo di illegittimita' derivata potrebbe
interessare l'art. 8, commi 1 e 2 del decreto-legge n. 48/2023. che
ha riproposto con riguardo al neo introdotto assegno di inclusione lo
stesso contenuto delle disposizioni dettate dall'art. 7, commi 1 e 2,
decreto-legge n. 4/2019 per il reddito di cittadinanza e rispetto al
quale la giurisprudenza di legittimita' ha riconosciuto la
continuita' rispetto ai reati concernenti il reddito di cittadinanza
(si veda, ad esempio, Cassazione Sez. 3, sentenza n. 39155 del 24
settembre 2024 Rv. 286951 - 01).
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 ss. legge n.
87/1953,
ritenuta d'ufficio la questione rilevante e non manifestamente
infondata,
Solleva questione di legittimita' costituzionale - per violazione
degli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione - della norma di
cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 nella parte in cui
prevede la punizione «con la reclusione da due a sei anni» anziche'
«con la reclusione da sei mesi a tre anni» o, in subordine, «con la
reclusione da sei mesi a sei anni»;
Sospende il giudizio in corso ed i relativi termini di
prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale.
Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della
presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della
documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso.
Manda alla cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la
comunicazione ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo
processuale alla Corte costituzionale.
Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23, comma 4, legge n.
87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e che,
pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono
considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5 del codice di procedura
penale.
Firenze, 12 maggio 2025
Il Giudice: Attina'
Oggetto:
Assistenza e solidarietà sociale – Politiche sociali – Reddito di cittadinanza – Utilizzo o resa di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito – Previsione la quale stabilisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, una punizione con la reclusione da due a sei anni, anziché con la reclusione da sei mesi a tre anni o in subordine con la reclusione da sei mesi a sei anni – Denunciata disciplina che infligge un’irragionevole pena rispetto alla dosimetria sanzionatoria impiegata dal legislatore in altre analoghe fattispecie offensive e segnatamente in relazione ai reati di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316-ter cod. pen. e di truffa aggravata di cui agli artt. 640, secondo comma, n. 1 o 640-bis cod. pen. – Previsione di un minimo edittale così significativamente elevato che impedisce al giudice di applicare una pena adeguata a condotte delittuose che, per quanto conformi al tipo considerato, risultano essere di modesta lesività – Violazione del principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità intrinseca del trattamento sanzionatorio – Lesione del principio della finalità rieducativa della pena.
Norme impugnate:
decreto-legge del 28/01/2019 Num. 4 Art. 7 Co. 1
legge del 28/03/2019 Num. 26
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 109 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 maggio 2025 Ordinanza del 12 maggio 2025 del Tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di G.E. G.. Assistenza e solidarieta' sociale - Politiche sociali - Reddito di cittadinanza - Utilizzo o resa di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito - Previsione la quale stabilisce, salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, una punizione con la reclusione da due a sei anni, anziche' con la reclusione da sei mesi a tre anni o in subordine con la reclusione da sei mesi a sei anni. - Decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, art. 7, comma 1. (GU n. 24 del 11-06-2025) TRIBUNALE DI FIRENZE Prima Sezione penale Il Giudice. dr Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di G. G. E. , nat. in ... il ... libera, assente; difeso di fiducia dall'avv. Stefano Magherini del Foro di Firenze; imputata del: reato di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26 poiche', al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'art. 3, decreto-legge cit. (c.d. «reddito di cittadinanza»), in assenza dei requisiti previsti dalla normativa, rendeva dichiarazioni false, attestanti dati non veritieri ed ometteva informazioni dovute rilevanti ai sensi dell'art. 2, in particolare: in data ... presentava apposita domanda (protocollo n. INPS-RDC- ...) al cui interno veniva richiamata la dichiarazione sostitutiva unica (valida per l'ISEE e sottoscritta in data ... omettendo di indicare redditi relativi all'anno 2018 imputabili ad altri componenti del nucleo familiare in cui la stessa si e' venuta a trovare, ovvero: 1) al momento della compilazione della citata DSU in data ... , indicava di essere l'unica componente del nucleo familiare e non indicava i redditi da pensione e patrimoni del proprio padre G. M. , individuati rispettivamente in € 32.054,23 ed € 371.813,36, 2) al momento della presentazione della domanda, risultava essere residente presso l'abitazione di B. A. e di conseguenza non indicava i redditi e i patrimoni di B. A. , individuati in almeno € 55.911,00, che avrebbero innalzato il valore ISEE ad almeno 23.679,80, ben sopra il requisito di legge. All'esito di cio' percepiva un importo pari a € 4.000,00. Fatto commesso in ... il ... sentite le parti; premesso che: G. G. E. era rinviata a giudizio con decreto del Gup del 5 maggio 2022 per il reato di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019; nel corso del dibattimento le parti hanno concordato la produzione degli atti d'indagine e di ulteriori documenti, con rinuncia all'audizione dei testimoni; all'udienza del 28 ottobre 2024 le parti illustravano le rispettive conclusioni. In particolare, il pubblico ministero chiedeva la condanna dell'imputata, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione; il difensore chiedeva la sostituzione della pena detentiva con i lavori di pubblica utilita' (all'udienza del 24 febbraio 2025 era depositata la necessaria procura speciale); all'udienza odierna, cui il processo era rinviato per le eventuali repliche, le parti vi rinunciavano; rilevato che: A) dagli atti e documenti acquisiti e' emerso che in data ... l'attuale imputata presentava una domanda per ottenere il c.d. «reddito di cittadinanza» e alla stessa era associata la dichiarazione sostitutiva unica gia' dalla medesima presentata in data .... In tale DSU la prevenuta aveva dichiarato di essere l'unica componente del proprio nucleo familiare, che il proprio reddito nel 2018 era stato nullo e che il suo patrimonio era pressoche' nullo (constava del solo saldo di conto corrente, di poche decine di euro). Sulla base di tali dati, ricorrendone le condizioni, il beneficio era riconosciuto e l'imputata percepiva l'importo mensile di € 500 per otto mensilita', da ... a ... per totali € 4.000. La successiva attivita' d'indagine posta in essere dalla Guardia di finanza nel gennaio .... consentiva di accertare che in realta', alla data del ..., del nucleo familiare dell'imputata faceva parte anche il padre G. M. (nato il...), il quale nel 2018 aveva percepito un reddito da pensione di circa € 32.000 (sostanzialmente analogo era stato il reddito del 2019) ed era inoltre proprietario della casa di abitazione del nucleo familiare in localita' ... (del valore di circa € 370.000). Dunque, dichiarando di essere l'unica componente del proprio nucleo familiare e cosi' occultando la presenza nel nucleo del padre, con il relativo reddito e il relativo patrimonio, l'imputata faceva figurare la sussistenza dei requisiti per accedere al reddito di cittadinanza, di cui concretamente percepiva otto mensilita' e a cui non aveva viceversa diritto (nell'an prima ancora che nel quantum). La condotta era chiaramente finalizzata ad ottenere indebitamente il beneficio, non essendovi altro motivo plausibile per occultare la presenza del familiare. B) Alla luce di quanto precede risulta certa la responsabilita' dell'imputata per il reato ascrittogli. Peraltro alla stessa conclusione si giungerebbe anche avendo riguardo non al momento della presentazione e la DSU poi richiamata (... ), ma a quello della presentazione della domanda del reddito di cittadinanza (... ). A tale data l'imputata faceva ormai parte del nucleo familiare di tale B. A. e conviveva con la stessa e una minore in localita'...; la B. era titolare di un reddito di circa 53.000 €, per cui - anche considerando tale situazione - difettavano i requisiti per beneficiare del reddito di cittadinanza. C) Il fatto non puo' ritenersi di particolare tenuita' ai sensi dell'art. 131-bis c. p., neppure tenendo conto del comportamento successivo ai fatti (restituzione all'Inps di complessivi € 600 circa), come ora consentito a seguito delle modifiche apportate alla citata norma dal decreto legislativo n. 150/2022. L'offesa non puo' infatti ritenersi di particolare tenuita', in ragione della non lieve discrasia tra il reddito effettivo del nucleo familiare e quello oggetto della falsa dichiarazione, nonche' dell'effettiva percezione da parte dell'imputata di 4.000 € complessivi. D) All'imputata possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche in considerazione della parziale restituzione in piu' tranches degli importi indebitamente percepiti, delle relative condizioni soggettive (dalla certificazione prodotta risulta che e' seguita dal ... dal ... per disturbo depressivo tipo bipolare e per dipendenza da alcool) e del percorso finora effettuato (... era astinente da alcool da circa dieci mesi). E) quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, per poter addivenire ad una corretta decisione appare necessario il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 nella parte in cui prevede la punizione «con la reclusione da due a sei anni» anziche' «con la reclusione da sei mesi a tre anni» (o, in subordine, «con la reclusione da sei mesi a sei anni»); cio' premesso, Osserva 1. Rilevanza della questione 1.1 Il delitto in contestazione si e' consumato nell'..., allorche' era in vigore il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26. 1.2 Successivamente, nell'ambito di una piu' articolata riforma, la legge n. 197/2022, all'art. 1, comma 318, ha abrogato l'art. 7, decreto-legge n. 4/2019, a decorrere pero' dal 1° gennaio 2024. Come rilevato anche dalla Corte di cassazione «prima dell'indicata data, il legislatore e' intervenuto per modificare la previsione di cui si discute, la quale, proprio con riguardo all'abrogazione anche delle disposizioni penali, era stata in dottrina ritenuta frutto di una mera "svista" [...] e' stato emanato il decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante «misure urgenti per l'inclusione e l'accesso al mondo del lavoro», conv., con modif., dalla legge 3 luglio 2023, n. 85. Dopo aver riproposto, all'art. 8, commi 1 e 2, previsioni incriminatrici per le false od omesse comunicazioni concernenti l'ottenimento o il mantenimento dei nuovi benefici economici previsti dagli articoli 3 e 12 della legge, previsioni sostanzialmente identiche a quelle gia' contenute nell'art. 7, commi 1 e 2, decreto-legge n. 4/2019 con riguardo al reddito di cittadinanza, l'art. 13, comma 3, decreto-legge n. 48/2023, collocato tra le disposizioni transitorie e finali, statuisce che «al beneficio di cui all'art. 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio e' stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023»" (cosi Cassazione Sez. 3, sentenza n. 7541 del 24 gennaio 2024 Rv. 285964 - 01). Per altro verso la giurisprudenza di legittimita' ha precisato che «la formale abrogazione dell'indicata norma incriminatrice, disposta dall'art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, a far data dal 1° gennaio 2024, non integra un'ipotesi di "abolitio criminis" di cui all'art. 2, comma secondo, del codice penale; ma da' luogo a un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, inquadrabile nel disposto di cui all'art. 2, comma terzo, del codice penale, avuto riguardo alla corrispondente incriminazione introdotta dall'art. 8, decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, del tutto sovrapponibile e riferita al reddito di inclusione in sostituzione di quello di cittadinanza» (cosi' Cassazione Sez. 3, sentenza n. 39155 del 24 settembre 2024 Rv. 286951 - 01). Il fatto in contestazione, costituisce dunque tuttora reato. E' dunque rilevante la questione della legittimita' del relativo trattamento sanzionatorio. 1.3 La questione pare tanto piu' rilevante nella misura in cui - se pur non puo' ritenersi applicabile la causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale - lo specifico fatto di reato ora in esame risulta comunque di gravita' contenuta. Da un lato, infatti, e' si' vero che il nucleo famiiliare di cui l'imputata faceva parte disponeva di un reddito e di beni patrimoniali i cui valori erano superiori alle soglie di legge, per cui la predetta se avesse presentato una dichiarazione veritiera non avrebbe avuto accesso al reddito di cittadinanza: e' anche vero pero' che l'imputata - donna all'epoca di 53 anni - era del tutto priva di un reddito proprio e di beni e finanze proprie (non e' emersa la falsita' delle indicazioni in proposito presenti nella dichiarazione sostitutiva unica) e dipendeva quindi interamente, nonostante l'eta', dal padre anziano prima e dalla B. poi. Dall'altro lato, la somma di denaro oggetto di percezione indebita non risulta elevata. 1.4 In definitiva per l'imputata andrebbe individuata una pena base prossima al minimo edittale (fatta salva l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche). E' quindi rilevante la questione della legittimita' della pena detentiva minima di anni due di reclusione; in particolare, si auspica un intervento manipolativo della Corte costituzionale che sostituisca detta pena edittale minima con quella di mesi sei di reclusione. 2. Non manifesta infondatezza 2.1 Si dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 nella parte in cui prevede la punizione della condotta ivi incriminata «con la reclusione da due a sei anni» anziche' «con la reclusione da sei mesi a tre anni». 2.2 Pare opportuno un breve inquadramento sistematico della disciplina in questione. Come piu' volte rilevato dalla stessa Corte costituzionale, «"la disciplina del reddito di cittadinanza definisce un percorso di reinserimento nel mondo lavorativo che va al di la' della pura assistenza economica": mentre le prestazioni di assistenza sociale vere e proprie si "fonda[no] essenzialmente sul solo stato di bisogno", il Rdc prevede «un sistema di rigorosi obblighi e condizionalita'», che strutturano un percorso formativo e d'inclusione, "il cui mancato rispetto determina, in varie forme, l'espulsione dal percorso medesimo" (sentenza n. 126 del 2021 e, in termini simili, sentenza n. 122 del 2020). L'erogazione del Rdc, infatti, "'e' condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilita' al lavoro da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, [...] nonche' all'adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale che prevede attivita' al servizio della comunita', di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonche' altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all'inserimento nel mercato del lavoro e all'inclusione sociale' (art. 4, comma 1). Questo percorso si realizza o con il Patto per il lavoro [...] o con il Patto per l'inclusione sociale, stipulato presso i servizi comunali competenti per il contrasto della poverta' (art. 4, commi 7 e 12). [...] Si e' quindi ribadito che: "il reddito di cittadinanza, pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla poverta', non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell'individuo, ma persegue diversi e piu' articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale. A tale sua prevalente connotazione si collegano coerentemente la temporaneita' della prestazione e il suo carattere condizionale, cioe' la necessita' che ad essa si accompagnino precisi impegni dei destinatari, definiti in Patti sottoscritti da tutti i componenti maggiorenni del nucleo familiare (salve le esclusioni di cui all'art. 4, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 4 del 2019). E' inoltre prevista la decadenza dal beneficio nel caso in cui un solo componente rispetti gli impegni (art. 7, comma 5, del decreto-legge n. 4 del 2019)" (ancora sentenza n. 19 del 2022). In definitiva, gli strumenti apprestati non consistono in meri sussidi per rispondere alla situazione di poverta', dal momento che il beneficio economico erogato e' inscindibile da una piu' complessa e qualificante componente di inclusione attiva, diretta a incentivare la persona nell'assunzione di una responsabilita' sociale, che si realizza attraverso la risposta positiva agli impegni contenuti in un percorso appositamente predisposto e che dovrebbe condurre, per questa via, all'uscita dalla condizione di poverta'». 2.3 Il delitto di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 consiste nel rendere o utilizzare dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere (o nell'omettere informazioni dovute) al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico connesso all'istituto giuridico in questione. Come affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U - sentenza n. 49686 del 13 luglio 2023 Rv. 285435), integrano il reato in questione le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza solo se funzionali a ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge, non rilevando viceversa la semplice omissione o falsita' da parte del richiedente che non incida ne' sull'an ne' sul quantum del beneficio. Ai fini dell'integrazione del reato, la percezione indebita del beneficio non e' necessario che si verifichi, essendo sufficiente che sia oggetto del dolo specifico del soggetto agente. Come rilevato sempre dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U - Sentenza n. 49686 del 13 luglio 2023 Rv. 285435), si tratta infatti di un reato di pericolo concreto a consumazione anticipata; inoltre, il bene giuridico tutelato non e' la fede pubblica, bensi' il patrimonio dell'ente pubblico erogante, essendo il reato «posto a presidio delle risorse pubbliche economiche destinate a finanziare il Rdc impedendone la dispersione a favore di chi non ne ha [...] diritto o ne ha diritto in misura minore». 2.4 Tanto premesso, ad avviso dello scrivente la previsione per detto reato della pena edittale della «reclusione da due a sei anni» pare violare i precetti di cui agli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione, sia per cio' che attiene al generale principio di uguaglianza, sia sotto il profilo della proporzionalita' intrinseca del trattamento sanzionatorio. Ad avviso di questo giudice la norma qui censurata impone l'inflizione di una pena irragionevole in relazione alla dosimetria sanzionatoria impiegata dal legislatore in altre fattispecie offensive (a giudizio dello scrivente) analoghe, e pare inoltre che un minimo edittale cosi' significativamente elevato impedisca al giudice di applicare una pena adeguata a condotte delittuose che, per quanto conformi al tipo considerato, risultino essere caratterizzate da una lesivita' modesta. 2.5 Si consideri che le somme erogate in relazione al beneficio del reddito di cittadinanza sono sempre di importo contenuto e che, a differenza di altre tipologie di beneficio economico, si tratta - strutturalmente - di una misura di natura temporanea; in ogni caso, quindi, le somme indebitamente percepite per effetto della singola condotta delittuosa, anche complessivamente considerate, non saranno mai superiori ad alcune migliaia di euro, laddove altri benefici economici possono raggiungere importi ben piu' elevati. Scorrendo ad esempio le sentenze di legittimita' relative ai reati concernenti l'indebita percezione del cd. «Superbonus 110%» previsto dalla legislazione emergenziale pandemica, si rinvengono importi ben piu' idonei a compromettere le risorse pubbliche e il perseguimento delle finalita' cui le stesse devono essere destinate (euro 2.104.091 in Cassazione Sez. 2, sentenza n. 13852 del 2025; euro 3.456.069 in Cassazione Sez. 6, sentenza n. 13339 del 2025; euro 1.837.709 in Cassazione, Sez. 2, sentenza n. 11705 del 2025; euro 25.267.389 ed euro 42.160.281 in Cassazione Sez. 3, sentenza n. 832 del 2025). 2.6 Si aggiunga che, come evidenziato dalla giurisprudenza sia costituzionale sia di legittimita', la disciplina del reddito di cittadinanza prevede «un sistema di rigorosi obblighi e condizionalita'», «il cui mancato rispetto determina, in varie forme, l'espulsione dal percorso medesimo». L'accesso indebito (perche' in assenza dei presupposti) a tale percorso di reinserimento nel mondo lavorativo, che va al di la' della pura assistenza economica e che e' comunque connotato da obblighi e oneri in capo all'ammesso, pare percio' semmai meno grave rispetto all'accesso indebito ad altre forme di sussidi e sovvenzioni, contraddistinte dalla mera percezione di somme di denaro. Il reato in questione inoltre puo' perfezionarsi anche rispetto a soggetti che avrebbero comunque diritto ad accedere al citato sistema e al beneficio economico, ma in misura minore nel quantum (Sez. U - sentenza n. 49686 del 13 luglio 2023), e che dunque effettivamente versano in condizioni di poverta' o comunque di rischio di emarginazione nella societa' e nel mondo del lavoro. Inoltre, puo' perfezionarsi rispetto a soggetti che, sotto il profilo reddituale e patrimoniale, avrebbero tutti i requisiti per accedere al citato percorso, ma che non possono legittimamente accedervi per difetto di altra tipologia di requisiti fissati dal legislatore (ad esempio, la residenza sul territorio nazionale per un certo numero di anni) o per la presenza di elementi ostativi (ad esempio. la condanna per taluni reati): anche in questo caso si tratta di soggetti che effettivamente versano in condizioni di poverta' o sono comunque a rischio di esclusione sociale. Anche nel caso oggetto del presente procedimento l'imputata era si' priva dei requisiti di accesso al reddito di cittadinanza, ma era comunque soggetto che versava in condizioni di disagio psichico e sociale (disturbo depressivo di tipo bipolare, dipendenza da alcool), ma anche economico (del tutto priva di reddito e risorse proprie, e quindi interamente dipendente, nonostante l'eta' adulta avanzata, dal genitore). 2.7 A fronte dei citati fattori, la previsione per il reato in questione di una pena edittale della «reclusione da due a sei anni» pare sproporzionata per eccesso e quindi irragionevole. La Corte costituzionale ha reiteratamente sottolineato che «l'ampia discrezionalita' del legislatore nella definizione della propria politica criminale, e in particolare nella determinazione delle pene le applicabili a chi abbia commesso reati, cosi' come nella stessa selezione delle condotte costitutive di reato [...], tuttavia, non equivale ad arbitrio» (cosi' la sentenza n. 46 del 2024). 2.8 Sotto il profilo del raffronto con altre figure criminose analoghe, posto che - come rilevato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione - il delitto ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 e' un reato posto a tutela del patrimonio dell'ente erogante e, in particolare, delle risorse destinare all'erogazione del beneficio e quindi al perseguimento del fine pubblico ad esso sotteso, pare doversi avere riguardo alle figure criminose dell'indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter del codice penale e della truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, comma 2, n.1 del codice penale o dell'art. 640-bis del codice penale. 2.9 La giurisprudenza di legittimita' non e' unanime quanto ai rapporti tra il delitto in esame e tali diverse (ma analoghe) figure criminose. Si puo' ravvisare un orientamento maggioritario secondo cui il reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 sarebbe un'ipotesi speciale di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter del codice penale. In particolare, secondo la sentenza Cassazione Sez. 3, n. 7528 del 9 novembre 2023 Rv. 285954 - 03, «il legislatore, con l'introduzione delle fattispecie di cui all'art. 7 del decreto-legge n. 4 del 2019, ha inteso punire piu' severamente di quanto previsto in casi analoghi, condotte che altrimenti potrebbero sfuggire alla sanzione penale, non potendo ricadere in astratto nell'ambito di applicazione dell'art. 316-ter codice penale o dell'art. 640-bis codice penale Quanto, in particolare, all'ipotesi di "indebita percezione di erogazioni pubbliche" (art. 316-ter del codice penale), la sanzione prevista e' meno grave di quelle di cui all'art. 7 e prevede una soglia minima di contributo percepito pari a euro 3.999,96, al di sotto della quale e' esclusa la punibilita' penale. Orbene, poiche' il reddito di cittadinanza si caratterizza per essere un contributo mensile che non supera mai la soglia anzidetta, il reato non potrebbe mai configurarsi e cio' ha reso necessaria l'espressa previsione di una speciale fattispecie di reato, non essendo sufficiente la sanzione amministrativa pecuniaria, inefficace quanto a soggetti per definizione poco capienti sul piano patrimoniale. [...] A tale prima ratio legis se ne affianca un'altra, specificamente rilevante in punto di trattamento sanzionatorio: il legislatore ha scelto di creare, nell'ambito della legge speciale sul reddito di cittadinanza, una fattispecie penale speciale dotata di un apparato sanzionatorio piu' grave di quello del richiamato art. 316-ter, nella consapevolezza del fatto che il reddito di cittadinanza e' un beneficio di portata significativa e relativamente facile da conseguire da parte di un gran numero di persone, prestandosi, per le modalita' di accesso particolarmente agevoli, ad essere occasione per la produzione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere o per l'omissione di informazioni dovute». Tale orientamento e' stato poi ripreso dalla sentenza Cassazione Sez. 3, n. 38877 del 2024, che - nel ritenere corretta la sentenza della Corte d'appello (che aveva a sua volta confermato la sentenza di primo grado, che aveva riqualificato ai sensi dell'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 il fatto originariamente contestato come truffa aggravata) - ha richiamato quanto affermato dalla sentenza n. 7528 del 9 novembre 2023 e ribadito la specialita' del reato in esame rispetto a quello di cui all'art. 316-ter ter del codice penale. Da ultimo, la sentenza Cassazione Sez. 3, n. 2597 del 2025 ha rilevato che secondo un consolidato orientamento di legittimita' «il reato di cui all'art. 7 del decreto-legge n. 4 del 2019, strutturato sulla falsariga dell'art. 316-ter del codice penale (con il quale e' in rapporto di specialita' reciproca), si differenzia dalla truffa aggravata, per la presenza del dolo specifico e per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, dell'induzione in errore dell'ente erogatore, il quale svolge un'attivita' istruttoria minima finalizzata alla verifica del possesso dei requisiti autocertificati dal richiedente per l'accesso al beneficio». Si deve peraltro rilevare che anche in dottrina, nell'immediatezza dell'abrogazione dell'art. 7, decreto-legge n. 4/2019 ad opera della legge n. 197/2022 (prima che il legislatore ponesse rimedio alla propria «svista»), si e' sottolineato che la condotta gia' oggetto della disposizione abrogata avrebbe potuto in seguito assumere rilevanza ai sensi dell'art. 316-ter codice penale (fatto salvo il problema del superamento o meno della soglia di rilevanza penale fissata da quest'ultimo articolo). Non sono pero', mancate singole pronunce di segno diverso. In particolare, la sentenza Cassazione Sez. 2., n. 13345 del 2025, dopo avere sottolineato che il reddito di cittadinanza deve intendersi quale strumento di sostegno economico per le famiglie in difficolta' associato ad un percorso di reinserimento nel mondo del lavoro, ha affermato che tale istituto non puo' rientrare - per natura della prestazione e per tipologia dei destinatari - tra le erogazioni pubbliche contemplate dall'art. 640-bis del codice penale; ha quindi ritenuto che la condotta incriminata dall'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 «puo' ben essere astrattamente ricondotta alla meno grave fattispecie di cui all'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale». Infine, la sentenza Cassazione sez. 2. n. 30007 del 2022 ha ritenuto corretta la qualificazione dei fatti ai sensi dell'art. 640-bis del codice penale e non dell'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 in ragione della clausola di riserva prevista dal tale ultima norma e degli specifici artifizi posti in essere dagli imputati nel caso allora esaminato. 2.10 Ad avviso dello scrivente, il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter del codice penale costituisce, nonostante talune differenze sul piano strutturale, un valido termine di raffronto ai fini sanzionatori. Oltre alle affinita' dal punto di vista del bene giuridico tutelato e delle modalita' attuative, come sottolineato dalla Corte di cassazione pare di particolare rilevanza il fatto che l'accesso al reddito di cittadinanza sia connotato da un'attivita' istruttoria minima da parte dell'ente erogante quanto alla verifica del possesso dei requisiti autocertificati dal richiedente, limitandosi in sostanza detto ente ad una presa d'atto di quando dichiarato dal richiedente (ai sensi dell'art. 5, decreto-legge n. 4/2019 l'INPS puo' basarsi solo sulle risultanze delle proprie banche dati e comunque, in ogni caso, il riconoscimento da parte dell'INPS deve avvenire entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda all'Istituto). Difetta cioe' l'elemento dell'induzione in errore che differenzia il reato ex art. 640-bis del codice penale da quello ex art. 316-ter del codice penale. Ebbene, il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter del codice penale e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, laddove per il reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 e' prevista la pena della reclusione da due a sei anni. Si e' inoltre gia' sottolineato come il reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 abbia sempre ad oggetto somme di denaro di importo contenuto (a differenza di quanto puo' avvenire per il reato ex art. 316-ter del codice penale) e che spesso gli autori di detto reato sono soggetti in condizioni di disagio economico e sociale (addirittura «soggetti per definizione poco capienti sul piano patrimoniale» secondo Cassazione Sez. 3, n. 7528 del 9 novembre 2023). In proposito, non paiono condivisibili le argomentazioni con cui la suprema Corte nella sentenza Cassazione Sez. 3, n. 7528/2023 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalita' relativa al trattamento sanzionatorio del reato in esame in rapporto a quello ex art. 316-ter del codice penale di cui pur ha ritenuto che il primo costituisca un'ipotesi speciale. In particolare, la circostanza che l'importo della singola erogazione mensile del reddito di cittadinanza sia inferiore alla soglia di rilevanza penale fissata dall'art. 316-ter del codice penale (per cui, in assenza di un'apposita incriminazione, la condotta descritta dall'art. 316-ter del codice penale tenuta in relazione al reddito di cittadinanza avrebbe integrato soltanto un illecito amministrativo), unitamente al dato per cui il reddito di cittadinanza e' un beneficio di portata significativa e relativamente facile da conseguire da parte di un gran numero di persone, puo' forse giustificare la scelta del legislatore di creare un'apposita figura criminosa per il reddito di cittadinanza. Non puo' viceversa giustificare la previsione per tale nuovo reato di una cornice edittale decisamente piu' severa rispetto a quello della figura generale di cui all'art. 316-ter del codice penale (il minimo edittale previsto per il reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 e' pari al quadruplo del minimo edittale previsto per il reato ex art. 316-ter del codice penale; il massimo edittale e' pari al doppio). Il principio di proporzionalita' evincibile dagli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione esige che il trattamento sanzionatorio sia proporzionale rispetto alla gravita' del reato commesso e, entro certi limiti, alla pericolosita' del suo autore. Il dato della facilita' di accesso al reddito di cittadinanza da parte di un elevato numero di persone. con il connesso rischio per le risorse dell'ente erogante, non e' viceversa un aspetto inerente alla gravita' del reato commesso dal singolo soggetto o alla pericolosita' di quest'ultimo (semmai depone in senso contrario: se un reato e' di agevole commissione, cio' significa che non richiede un particolare impegno o un dolo particolarmente intenso in capo al relativo autore e che quest'ultimo non e' necessario che si connoti per una specifica attitudine a commettere reati). Il legislatore, dunque, nel fissare la cornice edittale di un reato, puo' solo entro limiti ristrettissimi tenere conto dell'esigenza di dissuadere i potenziali autori delle condotte incriminate: diversamente, incrementando a dismisura le pene pur a fronte di un disvalore del fatto analogo a quello di altro reato, finisce per violare il principio di proporzionalita' e, in definitiva, per strumentalizzare la singola persona. Si potrebbe altresi' sostenere che il trattamento sanzionatorio piu' severo previsto per il reato in questione potrebbe giustificarsi in ragione del fatto che il relativo autore sarebbe ancor piu' rimproverabile per il fatto di essersi finto indigente e bisognoso e di avere cosi' sottratto risorse destinate a supportare il contrasto alla poverta' e misure di inclusione sociale. Anche tale argomentazione non pare condivisibile: si e' infatti visto che anche gli autori del reato in questione potrebbero versare e spesso versano in situazioni di indigenza e di emarginazione sociale (perche' potrebbero avere diritto al beneficio ma in misura minore, oppure perche' potrebbero presentare i requisiti reddituali e patrimoniali ma essere privi di altro tipo di requisito). Inoltre il reato di cui all'art. 316-ter del codice penale e' configurabile rispetto ad altri sussidi (o erogazioni di altro tipo) previsti per finalita' assistenziali nei confronti di soggetti indigenti. In definitiva, pare non giustificata la previsione per il reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 di un trattamento sanzionatorio tanto piu' rigoroso rispetto a quello previsto dall'art. 316-ter del codice penale (anche considerando il fatto che il delitto ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 e' pure a consumazione anticipata). Si auspica quindi un intervento manipolativo della Corte costituzionale che anche per il reato ora in esame introduca una cornice edittale compresa tra due e sei anni di reclusione. 2.11 Ad analoga conclusione si ritiene che si possa pervenire anche qualora si ritenga che il reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 sia piuttosto assimilabile ad una truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale o dell'art. 640-bis del c.p. Tali disposizioni contemplano un trattamento sanzionatorio piu' severo rispetto all'art. 316-ter del codice penale: rispettivamente la reclusione da uno a cinque anni (oltre multa) e la reclusione da due a sette anni (in quest'ultimo caso il massimo edittale e' anche superiore a quello indicato dall'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019). Occorre pero' considerare che si tratta, in entrambi i casi, di fattispecie circostanziate; la giurisprudenza di legittimita' e' infatti unanime nel senso che le due disposizioni di cui all'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale e all'art. 640-bis del codice penale individuino delle circostanze aggravanti e non dei reati autonomi (si vedano, ad esempio, Cassazione Sez. 2, sentenza n. 48394 del 19 novembre 2019 Rv. 277895 - 01). Si tratta inoltre di circostanze aggravanti che non sono sottratte alle regole generali sul bilanciamento ex art. 69 del codice penale in caso di concorso di circostanze aggravanti e attenuanti. La maggiore severita' del trattamento sanzionatorio previsto dagli articoli 640, comma 2, n. 1 e 640-bis del codice penale puo' dunque in concreto risultare solo teorica. In caso di riconoscimento di una qualsiasi circostanza attenuante (come ad esempio le circostanze attenuanti generiche nell'attuale procedimento), in misura prevalente o anche solo equivalente, ai fini della commisurazione della pena occorrera' avere riguardo alla cornice edittale base prevista dall'art. 640, comma 1, del codice penale per il reato di truffa, vale a dire per l'appunto la reclusione da sei mesi a tre anni, oltre multa. Viceversa, il delitto ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 si presenta come un reato autonomo, il cui minimo edittale - pari a due anni di reclusione - puo' solo essere minimamente ridotto in virtu' delle circostanze. Nella fattispecie ora in esame, ad esempio, se il fatto fosse qualificato ai sensi dell'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale o dell'art. 640-bis c.p., la pena minima applicabile per effetto del bilanciamento della circostanza aggravante con le circostanze attenuanti generiche sarebbe di mesi quattro di reclusione, oltre multa, in caso di giudizio di prevalenza delle attenuanti (o di mesi sei di reclusione, oltre multa, in caso di giudizio di equivalenza). Ai sensi dell'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019, viceversa, la pena minima e' di anni uno e mesi quattro di reclusione, cioe' quattro volte tanto. Anche sotto tale profilo pare dunque auspicabile un intervento che introduca anche per il reato ex art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 una cornice edittale compresa tra sei mesi e tre anni di reclusione. 2.12 In subordine, posto che le maggiori criticita' si pongono con riguardo al minimo edittale si richiede alla Corte costituzionale di sostituire la cornice edittale attualmente vigente con quella compresa tra mesi sei e anni sei di reclusione. In tal modo, infatti, si consentirebbe di applicare una pena contenuta per le ipotesi meno gravi o comunque nei casi in cui la severita' delle norme di cui all'art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale o dell'art. 640-bis del codice penale sarebbe neutralizzata dal riconoscimento di qualche attenuante in misura prevalente o anche solo equivalente. 3. Ulteriori rilievi 3.1 Considerato il dato testuale della norma censurata. non paiono percorribili interpretazioni conformi della norma in questione agli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione, chiaro e univoco essendo il dato normativo. 3.2 Qualora fosse accolta la questione qui sollevata in via principale o anche solo in via subordinata, ad avviso di questo giudice potrebbe determinarsi un'incongruenza nel rapporto tra le due fattispecie di cui ai primi due commi dell'art. 7, decreto-legge n. 4/2919: il reato ex art. 7, comma 1 - ora punito con maggior rigore rispetto al reato di cui al comma successivo (consistente nella mera omessa comunicazione, dopo il riconoscimento del beneficio, di informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio stesso) - finirebbe infatti per essere connotato da una cornice edittale in tutto o in parte meno severa. Tale criticita' non pare poter precludere l'intervento manipolativo qui auspicato. Al contrario, la stessa pare integrare il presupposto del «rapporto di chiara consequenzialita' con la decisione assunta» ai fini della dichiarazione di illegittimita' derivata ai sensi dell'art. 27, legge n. 87/1953. In proposito per tale fattispecie «minore» di cui all'art. 7, comma 2, decreto-legge n. 4/2019 potrebbe risultare costituzionalmente legittima la pena della reclusione fino a tre anni, risultante dalla ablazione del minimo edittale, tecnicamente attuabile con la sostituzione dell'espressione «da uno a tre anni» con l'espressione «fino a tre anni», con conseguente riespansione della regola generale di cui all'art. 23 del codice penale, che stabilisce in quindici giorni la durata minima della reclusione ogniqualvolta la legge non disponga diversamente (secondo la tecnica impiegata dalla Corte nella sentenza n. 46 del 2024). 3.3 Un ulteriore profilo di illegittimita' derivata potrebbe interessare l'art. 8, commi 1 e 2 del decreto-legge n. 48/2023. che ha riproposto con riguardo al neo introdotto assegno di inclusione lo stesso contenuto delle disposizioni dettate dall'art. 7, commi 1 e 2, decreto-legge n. 4/2019 per il reddito di cittadinanza e rispetto al quale la giurisprudenza di legittimita' ha riconosciuto la continuita' rispetto ai reati concernenti il reddito di cittadinanza (si veda, ad esempio, Cassazione Sez. 3, sentenza n. 39155 del 24 settembre 2024 Rv. 286951 - 01). P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 ss. legge n. 87/1953, ritenuta d'ufficio la questione rilevante e non manifestamente infondata, Solleva questione di legittimita' costituzionale - per violazione degli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione - della norma di cui all'art. 7, comma 1, decreto-legge n. 4/2019 nella parte in cui prevede la punizione «con la reclusione da due a sei anni» anziche' «con la reclusione da sei mesi a tre anni» o, in subordine, «con la reclusione da sei mesi a sei anni»; Sospende il giudizio in corso ed i relativi termini di prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte costituzionale. Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23, comma 4, legge n. 87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5 del codice di procedura penale. Firenze, 12 maggio 2025 Il Giudice: Attina'