Reg. ord. n. 111 del 2025 pubbl. su G.U. del 11/06/2025 n. 24

Ordinanza del Tribunale di Siracusa  del 12/12/2024

Tra: F. M.

Oggetto:

Reati e pene – Abrogazione dell’art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio) – Inosservanza degli obblighi internazionali, in relazione alla Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 (cosiddetta Convenzione di Merida).

Norme impugnate:

legge  del 09/08/2024  Num. 114  Art. 1  Co. 1



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art. 11   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione ONU contro la corruzione del 2003  Art.  Co.  

Convenzione ONU contro la corruzione del 2003  Art. 19   Co.  

Convenzione ONU contro la corruzione del 2003  Art. 65   Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 111 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2024

Ordinanza  del  12  dicembre  2024  del  Tribunale  di  Siracusa  nel
procedimento penale a carico di F. M., M. F. e G. P.. 
 
Reati e pene - Abrogazione dell'art. 323  del  codice  penale  (Abuso
  d'ufficio). 
- Legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al  codice
  di  procedura  penale,  all'ordinamento  giudiziario  e  al  codice
  dell'ordinamento militare), art. 1, comma 1, lettera b). 


(GU n. 24 del 11-06-2025)

 
                        TRIBUNALE DI SIRACUSA 
 
 
           Sezione del giudice per le indagini preliminari 
                     e dell'udienza preliminare 
 
    Il Giudice dell'udienza preliminare dott.ssa Tiziana Carrubba, in
esito all'udienza preliminare del 12 dicembre 2024; 
 
                               Osserva 
 
    Premessa 
    Il  Pubblico  Ministero  ha  presentato  richiesta  di  rinvio  a
giudizio nei confronti  degli  odierni  imputati  per  i  reati  loro
rispettivamente  ascritti  come  da  capi  d'imputazione  di  seguito
riportati. In esito alla richiesta di  rinvio  a  giudizio  e'  stata
fissata l'udienza preliminare che  si  e'  sviluppata  nel  corso  di
diverse udienze. 
    Nelle more, e' intervenuta l'abrogazione espressa  dell'art.  323
del codice penale disposta dall'art. 1, comma 1, lett. B) della legge
9 agosto 2014, n. 114. 
    La questione di legittimita' costituzionale dell'abrogazione  del
delitto d. cui all'art. 323 del  codice  penale,  gia'  sollevata  da
diversi giudici in altri processi, e' stata affrontata dal  P.M.  nel
corso della discussione in sede di  udienza  preliminare,  come  mera
sollecitazione al giudice, senza articolare specifiche richieste. 
    Il  decidente,   ritenendo   la   questione   rilevante   e   non
manifestamente infondata propone l'incidente di costituzionalita' nei
termini e per le ragioni che seguono. 
 
                      Rilevanza della questione 
 
    Le imputazioni. 
    I delitti di cui all'art. 323  del  codice  penale  costituiscono
soltanto alcune delle imputazioni oggetto di richiesta  di  rinvio  a
giudizio, inserendosi in un piu' ampio conte to processuale che  vede
imputati del delitto di induzione a dare o promettere utilita'  e  di
altri delitti, piu' soggetti,  pubblici  ufficiali  e  incaricati  di
pubblico  servizio,  a  vario  titolo  coinvolti  in   attivita'   di
formazione di false concessioni per l'uso di cappelle gentilizie  del
cimitero di , in assenza  delle  procedure  di  evidenza  pubblica  a
dietro pagamento di somme di denaro. Per tali  imputazioni  e'  stata
disposta la separazione ex art. 18,  lett.  b)  codice  di  procedura
penale e si e' separatamente proceduto con emissione del decreto  che
dispone il giudizio. 
    Tra le  contestazioni  contenute  nella  richiesta  di  rinvio  a
giudizio, sono ricomprese  alcune  ipotesi  di  abuso  d'ufficio,  di
seguito riportate per esteso segnatamente: a carico di M, F e  P;  il
capo 5, il capo 7, il capo 12, il capo 17; a carico dei soli M e F il
capo 30 e il capo 34. 
    5. del delitto p. e p. dagli artt. 61, n. 2, 81 cpv.  110  e  323
codice penale perche' in concorso fra loro e nelle suddette qualita',
con il fine - per M, e F. - di eseguire il delitto di cui al capo  1,
in violazione del combinato disposto degli artt. 83 e 88, decreto del
Presidente della  Repubblica  n.  285/1990,  che  stabilisce  che  le
estumulazioni straordinarie per la traslazione  di  cadaveri  da  una
sepoltura all'altra siano effettuate  su  disposizione  del  Sindaco,
traslavano la salma  del  piccolo  dalla  precedente  sepoltura  alla
Cappella gentilizia c.d. ex , nonche' le salme  dei  congiunti  della
famiglia  verso  l'ossario  comune   in   mancanza   del   prescritto
provvedimento autorizzativo, procurando  ai  coniugi  ,  un  ingiusto
profitto consistito nel mancato pagamento del contributo comunale per
estumulazione e traslazione del cadavere. 
    In fra il e 
    7. del delitto p. e p. dagli artt. 61, n. 2, 110 e 323 del codice
penale perche' in concorso fra loro e nelle suddette qualita', con il
fine - per M, e F - di eseguire il delitto  di  cui  al  capo  1,  in
violazione del combinato disposto degli artt. 83 e  88,  decreto  del
Presidente della  Repubblica  n.  285/1990,  che  stabilisce  che  le
estumulazioni straordinarie per la traslazione  di  cadaveri  da  una
sepoltura all'altra siano effettuare  su  disposizione  del  Sindaco,
traslavano le salme custodite all'interno della cappella  cimiteriale
c.d. provvedimento autorizzativo, procurando ai coniugi  in  mancanza
del prescritto un ingiusto profitto consistito nel mancato  pagamento
del contributo comunale per estumulazione e traslazione del cadavere. 
    In fra in data successiva e prossima al 
    12. del delitto p. e p. dagli artt. 61,  n.  2,  110  e  323  del
codice penale perche' in concorso fra loro e nelle suddette qualita',
con il fine - per M e F - di eseguire il delitto di cui al capo 8, in
violazione del combinalo disposto degli artt. 83 e  88,  decreto  del
Presidente della  Repubblica  n.  285/1990,  che  stabilisce  che  le
estumulazioni straordinarie per la traslazione  di  cadaveri  da  una
sepoltura all'altra siano effettuate  su  disposizione  del  Sindaco,
traslavano le salme custodite all'interno della cappella  cimiteriale
c.d. ex  in  mancanza  del  prescritto  provvedimento  autorizzativo.
procurando a un ingiusto profitto consistito  nel  mancato  pagamento
del contributo comunale per estumulazione e traslazione del cadavere. 
    In fra in data successiva e prossima al 
    17. del delitto p. e p. dagli artt. 61,  n.  2,  110  e  323  del
codice penale perche' in concorso fra loro e nelle suddette qualita',
con il fine di eseguire il delitto di cui al capo 13,  in  violazione
del combinato disposto degli artt. 83 e 88,  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 285/1990, che  stabilisce  che  le  estumulazioni
straordinarie  per  la  traslazione  di  cadaveri  da  una  sepoltura
all'altra siano effettuate su disposizione del Sindaco, traslavano le
salme  custodite  all'interno  del  monumento  con  due   loculi   in
precedenza  concesso  alla  famiglia  in  mancanza   del   prescritto
provvedimento  autorizzativo,  procurando  a  un  ingiusto   profitto
consistito  nel  mancato  pagamento  del  contributo   comunale   per
estumulazione e traslazione del cadavere. 
    In fra in data successiva e prossima al 
    30. del delitto p. e p. dagli artt. 61,  n.  2,  110  e  323  del
codice penale perche' in concorso fra loro e nelle suddette qualita',
con il fine - per M, e F - di eseguire il delitto di cui al capo  29,
in violazione del combinato disposto degli artt. 83 e 88, decreto del
Presidente della  Repubblica  n.  285/1990,  che  stabilisce  che  le
estumulazioni straordinarie per la traslazione  di  cadaveri  da  una
sepoltura all'altra siano effettuate  su  disposizione  del  Sindaco,
traslavano le salme custodite all'interno della cappella  cimiteriale
ex , sita nel settore ,  in  mancanza  del  prescritto  provvedimento
autorizzativo. procurando  a  un  ingiusto  profitto  consistito  nel
mancato  pagamento  del  contributo  comunale  per  estumulazione   e
traslazione del cadavere. 
    In il 
    34. del delitto p. e p. dagli artt. 61,  n.  2,  110  e  323  del
codice penale perche' in concorso fra loro e nelle suddette qualita',
con il fine - per M e F. - di eseguire il delitto di cui al capo  34,
in violazione del combinato disposto degli artt. 83 e 88, decreto del
Presidente della  Repubblica  n.  285/1990,  che  stabilisce  che  le
estumulazioni straordinarie per la traslazione  di  cadaveri  da  una
sepoltura all'altra siano effettuate  su  disposizione  del  Sindaco,
traslavano la salma custodita all'interno della cappella  cimiteriale
ex sita nel settore·, lotto in mancanza del prescritto  provvedimento
autorizzativo, procurando  a  un  ingiusto  profitto  consistito  nel
mancalo  pagamento  del  contributo  comunale  per  estumulazione   e
traslazione del cadavere. 
    In il 
    Per nessuno dei reati in contestazione e' maturato il termine  di
prescrizione  ne'  e'  prospettabile   una   diversa   qualificazione
giuridica dei fatti,  astrattamente  sussumibili  esclusivamente  nel
quadro della fattispecie oggi abrogata. 
    Si versa infatti nel  caso  di  abrogazione  con  abolizione  del
reato, atteso  che  i  fatti  ricompresi  nella  norma  abrogata  non
possono, nel caso concreto, essere ricondotti  ad  altra  fattispecie
incriminatrice. Altrimenti detto, non vi sono nell'ordinamento penale
vigente fattispecie generali rispetto all'abuso  d'ufficio,  divenute
applicabili dopo l'abrogazione dell'art. 323 del codice penale e  non
e'   prospettabile,   nel   presente   giudizio   una   modificazione
dell'imputazione ne' l'attribuzione  di  una  diversa  qualificazione
giuridica. 
    Tutte le ipotesi di abuso d'ufficio oggetto  di  imputazione  nel
presente processo  sono  costruite  contestando:  la  violazione  del
combinato disposto degli artt. 83 e 88, decreto del Presidente  della
Repubblica  n.  285/1990  che   stabilisce   che   le   estumulazioni
straordinarie di cadaveri da una sepoltura all'altra siano effettuate
su disposizione del sindaco; la condotta di  traslazione  di  diverse
salme  seppellite  nel  cimitero  di  in  mancanza   del   prescritto
provvedimento autorizzativo; il conseguimento di un ingiusto profitto
consistito nel mancato pagamento del contributo comunale  dovuto  (da
parte  dei  soggetti  cui  erano  destinate  le   false   concessioni
cimiteriali) per estumulazione e traslazione dei cadaveri. 
    La sede processuale dell'udienza preliminare impone al giudice il
vaglio dell'ipotesi accusatoria alla luce  dell'intervenuta  abolitio
criminis legislativa con esito potenziale della decisione nei termini
di una sentenza di proscioglimento per  ex  art.  425,  comma  1  del
codice di procedura penale; ne deriva l'impossibilita' da  parte  del
giudice dell'udienza  preliminare  di  accedere  ad  una  valutazione
fondata sull'applicazione della regola di giudizio  di  cui  all'art.
425, comma 3 del codice  penale  ossia  al  giudizio  prognostico  di
ragionevole  previsione  di  condanna  che   aprirebbe   la   strada,
alternativamente,  ad  una  sentenza  di  proscioglimento  con  detta
formula  (ferma  restando  la  possibilita'  di  una   formula   piu'
favorevole) ovvero al decreto che dispone il giudizio con  successivo
vaglio dibattimentale. 
    La prospettata questione di legittimita' costituzionale e' allora
certamente rilevante nel presente processo, ponendosi,  nella  catena
delle  questioni  oggetto  di  valutazione,  la  necessita'  di  fare
applicazione dell'art. 1 dall'art. 1, comma 1, lett. B) della legge 9
agosto 2024, n. 114 che  si  colloca  quale  antecedente  logicamente
necessario della decisione. 
    Appare dunque evidente  che  il  giudizio  spettante  al  Gup  e'
direttamente ed imprescindibilmente condizionato  dalla  norma  della
cui legittimita' costituzionale si dubita. 
    Va  inoltre  sottolineato  in  punto  di  rilevanza   l'ulteriore
aspetto,  specificamente  legato  all'attuale  momento   processuale,
ovvero   all'esito   dell'udienza   preliminare,   significando   che
l'eventuale sentenza di non luogo a procedere per  abolitio  criminis
spiegherebbe pienamente il proprio effetto preclusivo rispetto ad  un
successivo giudizio anche nel caso di  accoglimento  da  parte  della
Corte costituzionale della questione di  legittimita'  costituzionale
gia' sollevata in diverse sedi processuali. 
 
                           Ammissibilita' 
 
    Il  preliminare  vaglio  di  ammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale come prospettata e' direttamente connesso
al potenziale esito di  una  pronuncia  di  incostituzionalita'  che,
espungendo dall'ordinamento giuridico una fattispecie  abrogativa  di
una  norma  incriminatrice,  sortirebbe  l'effetto,  di  riespansione
dell'area del penalmente rilevante attraverso la  reviviscenza  della
norma abrogata, con evidenti conseguenze in malam partem per tutti  i
potenziali destinatari di essa ivi compresi gli imputati nel presente
processo. 
    Sul punto, il decidente  ritiene  condivisibili  le  osservazioni
svolte nelle  ordinanze  di  rimessione  di  identica  questione  dai
giudici a quo Tribunale di Firenze,  Gup  di  Firenze,  Tribunale  di
Busto Arsizio, Tribunale di Locri, Tribunale di Teramo, Tribunale  di
Catania premettendo che si ritiene di circoscrivere la  questione  di
legittimita'  costituzionale  al  ritenuto  contrasto   della   norma
abrogativa  dell'abuso  d'ufficio  con  un   obbligo   internazionale
rilevante ex artt. 11 e 117 Costituzione. 
    In  sintesi,  si  richiamano  i  plurimi  arresti   della   Corte
costituzionale che, a determinate, stringenti condizioni, ammette  lo
scrutinio di costituzionalita' di norme penali con effetto  in  malam
partem, distinguendo in particolare tra  norme  penali  di  favore  e
norme penali favorevoli, ammettendolo le prime (ossia per  norme  che
stabiliscono, per determinati  soggetti  o  ipotesi,  un  trattamento
penalistico    favorevole    rispetto    a    quello    riconducibile
all'applicazione di norme generali o  comuni).  Tale  conclusione  e'
motivata dall'esigenza di evitare  la  creazione  di  «zone  franche»
dell'ordinamento, sottratte al controllo di costituzionalita',  entro
le quali il legislatore potrebbe di fatto operare svincolato da  ogni
regola (Sentenza Corte costituzionale 394 del 2006). 
    La Corte costituzionale ha ritenuto, in via generale, a se stessa
preclusa l'operazione volta a ripristinare, a seguito di giudizio  di
costituzionalita' una norma abrogata, per contrasto  con  la  riserva
assoluta di legge di cui all'art. 25 della Costituzione;  ha  ammesso
tuttavia, contestualmente, l'esistenza di determinate situazioni  che
consentono il controllo di costituzionalita' con  potenziali  effetti
in malam partem; e segnatamente (Sentenza 37/2019): 
      quando a essere censurato e' lo scorretto esercizio del  potere
legislativo da parte dei Consigli  regionali,  ai  quali  non  spetta
neutralizzare le scelte di criminalizzazione compiute dal legislatore
nazionale (sentenza n.  46  del  2014,  e  ulteriori  precedenti  ivi
citati); 
      da parte del  Governo,  che  abbia  abrogato  mediante  decreto
legislativo una disposizione penale, senza a cio' essere  autorizzato
dalla legge delega (sentenza n. 5 del 2014); ovvero  anche  da  parte
dello  stesso  Parlamento.  che  non  abbia  rispettato  i   principi
stabiliti  dalla  Costituzione  in   materia   di   conversione   dei
decreti-legge (sentenza n. 32 del 2014). In tali ipotesi, qualora  la
disposizione dichiarata incostituzionale  sia  una  disposizione  che
semplicemente abrogava una norma  incriminatrice  preesistente  (come
nel caso deciso dalla sentenza n. 5 del 2014),  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale della prima non potra'  che  comportare
il ripristino della seconda, in effetti mai (validamente) abrogata. 
      quando  l'effetto  peggiorativo   si   configuri   come   «mera
conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem  di  una  norma
processuale»,  derivante  «dall'eliminazione  di  una  previsione   a
carattere derogatorio di una disciplina generale»  (sentenza  n.  236
del 2018). 
      ove si assuma la contrarieta' della  disposizione  censurata  a
obblighi sovranazionali rilevanti ai sensi dell'art. 11  o  dell'art.
117, primo comma, Costituzione. 
    Situazione quest'ultima prospettata, come si dira' oltre, con  la
presente ordinanza. 
    Il principio sopra richiamato e' stato espressamente ribadito con
riferimento alle norme comunitarie in tema di  direttiva  comunitaria
in materia di rifiuti con la  sentenza  n.  28  del  2010  avente  ad
oggetto l'art. 183, comma 1,  lett.  N  del  decreto  legislativo  n.
152/2006 che escludeva dalla disciplina dei  rifiuti  le  «ceneri  di
pirite». La norma, contraria al diritto comunitario, e' stata  poi  a
sua volta abrogata con l'effetto  ripristinare  la  rilevanza  penale
delle  condotte  gia'  depenalizzate.  La  Corte  costituzionale   ha
stabilito  l'incompatibilita'  della  disposizione  censurata  con  a
normativa comunitaria; ha riconosciuto la natura non  self  executing
della   direttiva   comunitaria   ammettendo    il    controllo    di
costituzionalita' attraverso l'art.  117  Costituzione;  ha  statuito
positivamente  in  ordine   alla   rilevanza   della   questione   di
costituzionalita'  (anche   nel   caso   in   cui   il   divieto   di
irretroattivita' avesse dovuto imporre al giudice remittente di dover
applicare la norma dichiarata illegittima, favor rei, nel processo  a
quo. In altre pronunce (Corte costituzionale n. 98 del 1997 e n.  294
del 2011) la Consulta ha precisato  che  «e'  totalmente  ininfluente
sull'ammissibilita'  della  questione  il  "senso"  degli   ipotetici
effetti che  potrebbero  derivare  per  le  parti  in  causa  da  una
pronuncia sulla costituzionalita' delle leggi». 
    Ancora  ai  fini  della  valutazione  di   ammissibilita'   della
questione si rileva  infine  l'impossibilita'  di  un'interpretazione
alternativa, costituzionalmente  orientata,  della  norma  della  cui
legittimita' costituzionale si dubita, opzione preclusa nel  caso  di
specie, dalla natura della norma medesima.  meramente  abrogativa  di
preesistente fattispecie di reato. 
 
                     Non manifesta infondatezza 
 
    Il decidente ritiene non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale del citato art. 1, legge n. 114/2024  per
contrasto con gli artt. 11 e  117  della  Costituzione  in  relazione
all'art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro  la
corruzione (cd. Convenzione di Merida). 
    Va ricordato che la Convenzione di Merida e' stata adottata dalla
Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre  2003  con  risoluzione  n.
58/4; e' stata sottoscritta dallo Stato italiano il 9 dicembre  2003,
ratificata e resa esecutiva in Italia con legge del 3 agosto 2009, n.
116. 
    La  natura  della  Convenzione  e'  quella  tipica  dei  trattati
internazionali ed e' dunque vincolante per gli Stati contraenti sulla
scorta della norma consuetudinaria cogente pacta sunt servanda e  del
principio codificato nella Convenzione di Vienna del 23  maggio  1969
sul diritto dei trattati, all'art. 26. 
    La   Convenzione   contempla   veri   e   propri   obblighi    di
criminalizzazione.  variamente  articolati,  richiedendo  agli  Stati
contraenti di approntare forme di tutela penale in relazione ad  atti
di corruzione, qualora non  siano  gia'  previste  dagli  ordinamenti
interni. Le indicazioni convenzionali prescindono  dal  nomen  jiuris
dei  singoli  reati  riguardando  espressamente  non   solo   ipotesi
corruttive in senso stretto  ma  anche  i  cosiddetti  reati  spia  o
ostacolo e, per quanto di immediato interesse ai fini della  presente
questione di costituzionalita', anche  fatti  certamente  sussumibili
entro il modello normativo dell'abuso d'ufficio. 
    E' infatti la stessa Convenzione ad attribuire rilevanza (al fine
della sottoposizione delle relative condotte a sanzione  penale)  non
solo alle forme consuete e consolidate (basic) di  corruzione,  quali
concussione, appropriazione di fondi pubblici ma anche  ad  ulteriori
condotte  di  supporto  alla  corruzione  quali   l'ostruzione   alla
giustizia, il traffico di influenza e l'occultamento o il riciclaggio
dei proventi della corruzione. 
    Cio' detto, rilievo peculiare ai fini della presente decisione va
ascritto all'art. 19 della Convenzione, plasticamente riferibile alla
fattispecie dell'abuso d'ufficio descritta dall'abrogato art. 323 del
codice penale,  ove  prescrive:  «Each  State  Party  shall  consider
adopting such legislative and other measures as may be  necessary  to
establish as a criminal offence, when  committed  intentionally,  the
abuse of functions or  position,  that  is,  the  performance  of  or
failure to perform  an  act,  in  violation  of  laws,  by  a  public
officialin the discharge of his or her functions, for the purpose  of
obtaining an undue advantage for himself or herself or for another  8
person or entity» (nella traduzione italiana, allegata alla legge  di
autorizzazione alla ratifica ed  esecuzione,  la  disposizione  viene
cosi' riportata: «Articolo 19 Abuso d'ufficio. Ciascuno  Stato  Parte
esamina l'adozione delle misure  legislative  e  delle  altre  misure
necessarie per conferire il  carattere  di  illecito  penale.  quando
l'atto e' stato commesso intenzionalmente, al fimo  per  un  pubblico
ufficiale di abusare delle proprie funzioni o  della  sua  posizione,
ossia di compiere o di astenersi dal compiere.  nell'esercizio  delle
proprie funzioni, un atto  in  violazione  delle  leggi  al  fine  di
ottenere un indebito vantaggio per  se'  o  per  un'altra  persona  o
entita'»). 
    L'abrogato art. 323 del  codice  penale,  nella  formulazione  da
ultimo  adottata  dal  legislatore  del  2020,  prevedeva.  ponendosi
pienamente  in  linea  con  la  convenzione,  la  figura   dell'abuso
d'ufficio, declinato in termini del  tutto  sovrapponibili  al  testo
dell'art. 19 della Convenzione quanto meno per la  figura  dell'abuso
«di vantaggio». Si pone dunque  la  questione  se  l'abrogazione  del
delitto di abuso d'ufficio contrasti con un vero e proprio obbligo di
penalizzazione imposto dall'art. 19 della Convenzione di Merida e se,
in ogni caso, la sopravvenuta abrogazione dell'abuso d'ufficio. reato
preesistente in Italia rispetto alla  Convenzione  di  Merida,  possa
integrare comunque  una  violazione  del  diritto  internazionale  e,
quindi, sia prospettabile  il  contrasto  con  l'art.  117,  comma  l
Costituzione. 
    In linea con le altre  ordinanze  di  rimessione  si  ritiene  in
proposito che la Convenzione di Merida sancisca  un  vero  e  proprio
obbligo in  capo  agli  Stati  che  gia'  la  prevedessero  nel  loro
ordinamento interno di mantenere in  vita  la  fattispecie  di  abuso
d'ufficio. Obbligo trasgredito dal legislatore italiano con l'art. 1,
legge n. 114/2024 e dunque in  contrasto  con  gli  artt.  11  e  117
Costituzione. L'art.  19  della  convenzione  utilizza  l'espressione
«Each State Party shall consider  adopting»  (dovra'  considerare  di
adottare)  espressione  la  cui  interpretazione  sembra   collocarsi
nell'ambito  dell'obbligo   di   penalizzazione   e   non   di   mera
raccomandazione come gia' rilevato dal giudice di Firenze, atteso che
la «Legislative guide for the implementation of  the  United  Nations
Convention  against  corruption»,   -   che   costituisce   atto   di
«interpretazione autentica» della Convenzione - ai punti ai punti  11
e  12  chiarisce  che  l'espressione  indicata  nell'art.  19   della
Convenzione di Merida, con riferimento all'abuso  d'ufficio,  colloca
tale  previsione  non  nell'ambito  delle  semplici  raccomandazioni,
bensi' delle disposizioni aventi carattere obbligatorio. 
    Il profilo  convenzionale  che  viene  qui  in  rilievo  riguarda
tuttavia non tanto, l'obbligo di penalizzazione per gli stati che non
contemplino una norma incriminatrice delle condotte rilevati ai sensi
dell'art. 19 quanto piuttosto  l'obbligo  di  non  abrogazione  delle
fattispecie di abuso  d'ufficio  esistenti,  palesemente  trasgredito
dall'art. 1 della legge n. 114/2024. 
    Va infatti ricordato  che  lo  Stato  italiano  ha  aderito  alla
Convenzione di Merida nel  2003,  quando  l'ordinamento  penale  gia'
contemplava una fattispecie di abuso  d'ufficio  del  tutto  conforme
alle prescrizioni convenzionali, poi modificata in  sede  legislativa
nel 2020 riducendo e circoscrivendo il profilo  della  violazione  di
legge ma  restando  pienamente  nel  solco  delle  indicazioni  della
Convenzione  di  Merida.  E  allora,  la   sopravvenuta   abrogazione
dell'abuso d'ufficio, reato preesistente rispetto alla Convenzione di
Merida, integra la violazione di un trattato internazionale e  quindi
della Costituzione attraverso il meccanismo di cui agli art. 11 e 117
Costituzione concordando il  decidente  con  la  ricostruzione  della
questione nei termini per cui nell'ipotesi in cui un ordinamento  che
ha   sottoscritto   la   convenzione   preveda   gia',   al   momento
dell'assunzione di  un  obbligo  internazionale,  una  norma  interna
conforme a quella internazionale, gravi  sullo  Stato  contraente  un
obbligo di non abrogazione. 
    Si richiamano sul punto le osservazioni formulate  dal  Tribunale
di Firenze con l'ordinanza di rimessione del 3 ottobre 2024:  «appare
del tutto logico... ritenere che  le  indicazioni  discendenti  dalla
Convenzione di Merida vadano declinate  diversamente  a  seconda  del
fatto che lo Stato aderente abbia o meno gia'  adottato  nel  proprio
ordinamento la fattispecie di abuso d'ufficio, in modo che laddove lo
Stato  contraente  non  abbia   introdotto   la   fattispecie   prima
dell'adesione alla Convenzione di Merida,  sara'  tenuto  a  valutare
concretamente e seriamente la  sua  introduzione  in  conformita'  al
proprio diritto interno, dovendo compiere uno sforzo reale per vedere
se essa sia compatibile con  il  proprio  ordinamento  giuridico;  di
talche', laddove tale compatibilita' sussista, lo  Stato  contraente,
onde   intenda   adeguarsi    all'obbligo    internazionale,    sara'
ragionevolmente tenuto ad introdurlo, mentre lo Stato contraente che,
invece, come l'Italia, abbia gia'  introdotto  la  fattispecie  prima
dell'adesione alla Convenzione di Merida e che  abbia,  dunque.  gia'
positivamente valutato la conformita' della fattispecie  rispetto  al
proprio diritto interno - dovendo mantenere e  rafforzare  i  sistemi
che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di  interesse
(art. 7, comma 4, Convenzione di Merida) - per adeguarsi  all'obbligo
internazionale di cui all'art. 19, sara' tenuto  a  non  abrogare  la
fattispecie gia' vigente». 
    L'abrogazione di una norma penale il cui mantenimento e' previsto
in termini di obbligo (ma la medesima conclusione si prospetta  anche
qualora si considerasse configurabile una mera raccomandazione) da un
trattato internazionale cui e' stata  prestata  adesione  appare  del
tutto  in  contrasto  con  i  principi  di  ragionevolezza,   cardine
dell'ordinamento interno  anche  costituzionale,  e  di  buona  fede,
criterio quest'ultimo espressamente  richiamato  dall'art.  31  della
Convenzione di Vienna in tema di interpretazione dei trattati  («Art.
31 Regola generale per l'interpretazione. 1. Un trattato deve  essere
interpretato in buona fede in base al senso comune da  attribuire  ai
termini del trattato nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e
del suo scopo»). Si richiamano altresi' a  completamento  del  quadro
degli obblighi assunti con la sottoscrizione  e  successiva  ratifica
della Convenzione di Merida, l'art. 7, comma 4 della Convenzione («4.
Ciascuno stato si adopera, conformemente ai principi fondamentali del
proprio diritto interno, al fine di adottare, mantenere e  rafforzare
i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti  di
interesse») e, in termini generali, l'art.  65  (Art.  65  Attuazione
della  Convenzione  1.  Ciascuno  Stato  Parte   adotta   le   misure
necessarie,  comprese  misure  legislative  ed   amministrative,   in
conformita' con i principi fondamentali del suo ditino  interno,  per
assicurare l'esecuzione dei suoi obblighi  ai  sensi  della  presente
Convenzione. 2.  Ciascuno  Stato  Parte  puo'  adottare  misure  piu'
strette o severe di quelle previste  dalla  presente  Convenzione  al
fine di prevenire e combattere la corruzione»). 
    Si ritiene, per quanto sopra indicato. che sia non manifestamente
infondata  la  questione  di   costituzionalita'   relativamente   al
contrasto con la Costituzione dell'art. 1, comma 1,  lett.  b)  della
legge 9 agosto 2024, n. 114 nella parte in cui abroga il reato di cui
all'art. 323 del codice penale per violazione degli artt. 11  e  117,
comma 1 Costituzione, in relazione agli artt. 7, comma 4,  19  e  65,
comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite  del  2003  contro  la
corruzione (cd. Convenzione di Merida). 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli artt. 134 Costituzione, 1 Legge Costituzione 1/1948, 23
e  ss.  L.  n.  87/1953,  ritenuta  la  questione  rilevante  e   non
manifestamente   infondata,   solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale in relazione all'art. 1, comma 1, lett. B) della legge
9 agosto 2024, n. 114, nella parte  in  cui  abroga  l'art.  323  del
codice  penale,  per  violazione  degli  artt.   11   e   117   della
Costituzione. 
    Sospende l'udienza preliminare in corso per gli imputati M F , F.
M , P G , per i reati loro ascritti ai capi 5, 7, 12,  17,  30  e  34
come contestati nella richiesta di rinvio a giudizio  del  22  maggio
2024. 
    Sospende i termini di  prescrizione  fino  alla  definizione  del
giudizio innanzi alla Corte costituzionale  cui  dispone  l'immediata
trasmissione degli atti. 
    Dispone,  a  cura  della  Cancelleria,  la  notificazione   della
presente ordinanza al Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  e  la
notificazione ai Presidenti della Camera dei Deputati  e  del  Senato
della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Siracusa, 12 dicembre 2024. 
 
            Il Giudice dell'udienza preliminare: Carrubba