Reg. ord. n. 117 del 2025 pubbl. su G.U. del 18/06/2025 n. 25
Ordinanza del Tribunale di Firenze del 08/05/2025
Tra: Elisabetta Santi C/ Marco Giallombardo
Oggetto:
Prescrizione e decadenza – Cause di sospensione per rapporti tra le parti – Sospensione della prescrizione tra i coniugi e tra le parti di un’unione civile – Omessa estensione della causa di sospensione ai conviventi stabili e legati, fra loro, da vincolo di affettività familiare – Disparità di trattamento tra coniugi (e uniti civilmente) rispetto ai conviventi more uxorio – Irragionevolezza intrinseca – Lesione dei diritti inviolabili dei singoli all’interno delle formazioni sociali – Contrasto con i valori di solidarietà sociale, di solidarietà familiare e di corretto e pacifico sviluppo delle relazioni familiari.
Norme impugnate:
codice civile del Num. Art. 2941
legge del 20/05/2016 Num. 76 Art. 1 Co. 18
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 2 Co.
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali Art. 8 Co.
Camera di Consiglio del 1 dicembre 2025 rel. NAVARRETTA
Testo dell'ordinanza
N. 117 ORDINANZA (Atto di promovimento) 08 maggio 2025 Ordinanza dell'8 maggio 2025 del Tribunale di Firenze nel procedimento civile promosso da Elisabetta Santi contro Marco Giallombardo. Prescrizione e decadenza - Cause di sospensione per rapporti tra le parti - Sospensione della prescrizione tra i coniugi e tra le parti di un'unione civile - Omessa estensione della causa di sospensione ai conviventi stabili e legati, fra loro, da vincolo di affettivita' familiare. - Codice civile, art. 2941, numero 1); legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), art. 1, comma 18. (GU n. 25 del 18-06-2025) TRIBUNALE DI FIRENZE III sezione civile A scioglimento della riserva assunta all'esito dell'udienza cartolare del 7 maggio 2025, esaminati gli atti il giudice ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di questione di legittimita' costituzionale, nella causa civile di primo grado iscritta al n. 7270 R.G. dell'anno 2020 vertente tra Elisabetta Santi, rappresentata e difesa dall'avv. Monia Rossi, in qualita' di parte attrice, e Marco Giallombardo, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Voce e dall'avv. Chiara Tesi, in qualita' di parte convenuta. Premesso in fatto 1. Con atto di citazione ritualmente notificato parte attrice conveniva in giudizio l'ex convivente more uxorio Marco Giallombardo al fine di ottenerne, in via principale, la condanna alla restituzione di vari beni ed effetti personali di proprieta' dell'attrice, nonche' la restituzione di plurime somme di denaro per un totale di euro 91.063,00 oltre ad interessi e rivalutazione monetaria; in particolare: euro 63.713,00 a questo consegnati a titolo di prestito; euro 11.000,00 relativi all'acquisto di un gommone Zar 53, di euro 6.800,00 per l'acquisto di un motore Suzuki e di euro 3.000,00 relativi alla permuta di un gommone Zar 61, tutti acquistati dal convenuto; euro 3.600,00 per l'acquisto di un armadio e di euro 2.950,00 per acquisto di un letto. 1.1. A sostegno della domanda, per quanto rileva in questa sede, rappresentava di aver intrattenuto con il convenuto una relazione sentimentale e di aver con questo convissuto dal 2002 al 2016. 1.2. Nei primi anni della convivenza, l'attrice aveva prestato la somma di euro 63.713,00 al compagno, che la ha impiegata per eseguire opere di miglioria sull'immobile di sua esclusiva proprieta'. Il 16 marzo 2006 Marco Giallombardo redigeva un atto unilaterale di riconoscimento di debito, dichiarando per iscritto di aver ricevuto da Elisabetta Santi, fino a quella data, la somma di euro 63.713,00 a titolo di prestito e di impegnarsi alla restituzione di quanto ricevuto, oltre indicizzazione al saggio di incremento annuo del valore degli immobili registrato nella provincia di Firenze; la scrittura, infine, escludeva espressamente che quel trasferimento di denaro rappresentasse l'esecuzione, da parte dell'attrice, di un'obbligazione naturale ex art. 2034 del codice civile, riconducibile al rapporto di convivenza tra esse esistente. 1.3. Nel corso della relazione, poi, parte attrice contribuiva all'acquisto di gommoni o parti di questi da parte del compagno, il quale intestava a se' i natanti; in particolare, parte attrice rappresentava di aver pagato euro 11.000,00 il 13 luglio 2007 per un primo gommone, euro 6.800,00 il 25 luglio 2008 per un motore Suzuki ed euro 3000,00 il 12 luglio 2013 a perfezionamento di una permuta relativa ad altro gommone, producendo i documenti bancari da cui si evincevano i relativi bonifici. 1.4. Parte attrice, inoltre, contribuendo all'arredo della comune abitazione (di proprieta' del solo convenuto), acquistava un letto per euro 2.950,00, con assegni del 18 aprile 2009 e del 28 maggio 2009, e un armadio per euro 3.600,00 il 6 aprile 2011. 1.5. La coppia, dopo aver trascorso insieme oltre un decennio di vita comune, caratterizzata anche da intensa condivisione di progetti esistenziali fra i quali il desiderio di mettere al mondo dei figli, non realizzatosi in ragione di tre interruzioni di gravidanza avvenute per cause naturali fra il 2009 e il 2012, entrava in crisi nel novembre del 2015. Il tentativo di salvare la coppia naufragava definitivamente il 3 novembre 2016, quando il convenuto metteva alla porta la compagna dalla casa comune. 1.6. Sin dall'interruzione della convivenza, parte attrice provvedeva a richiedere la restituzione di quanto prestato al convenuto e di quanto per conto di questi pagato. Stante l'inadempimento, inviava quindi a quest'ultimo una prima raccomandata il 30 giugno 2017 chiedendo la restituzione di euro 63.713,00, di ulteriori euro 11.000 relativi all'acquisto di un gommone e dei beni personali rimasti all'interno della casa del Giallombardo, prima destinata a comune abitazione. Tale richiesta veniva reiterata con raccomandata del 12 luglio 2018, alla quale faceva seguito il 15 novembre missiva del legale di parte attrice avente analogo contenuto. L'ulteriore inerzia di Giallombardo spingeva parte attrice ad adire questo Tribunale. 1.7. Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale in primo luogo, riconosceva di aver ricevuto la somma di euro 63.713,00 da parte attrice e che tale trasferimento fosse avvenuto a titolo di mutuo. Veniva riconosciuta, altresi', la scrittura privata di riconoscimento del debito da questo sottoscritta in data 16 marzo 2006. Eccepiva, tuttavia, l'intervenuta prescrizione del relativo diritto di credito restitutorio. Medesima eccezione veniva sollevata con riferimento ai crediti restitutori relativi ai pagamenti effettuati per l'acquisto dei gommoni per la somma, rispettivamente, di euro 11.000,00 ed euro 3.000,00. Quanto alle ulteriori domande, il convenuto contestava la prova di alcuni pagamenti, rilevava, in generale, che essi dovessero essere qualificati come adempimenti di obbligazioni naturali (soggetti a soluti retentio) e che, in ogni caso, i relativi crediti andrebbero dichiarati estinti per compensazione a fronte delle ingenti spese sostenute per il sostentamento del menage familiare. 1.8. Parte convenuta contestava, infine, che l'interruzione della relazione si collocasse, temporalmente, nel novembre 2016, atteso che la coppia si era lasciata definitivamente nel giugno 2016, pur rimanendo separata in casa sino al successivo mese di novembre. 1.9. La causa, istruita documentalmente e mediante prova testimoniale, e' stata trattenuta in decisione all'udienza del 17 dicembre 2024, assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190 del codice di procedura civile. E' stata poi rimessa sul ruolo al fine di attivare il contraddittorio tra le parti in merito alla questione di legittimita' costituzionale che oggi si solleva, trattandosi di questione rilevata d'ufficio. Osservato in diritto 2. Ai fini del decidere e' rilevante la disciplina dettata in materia di cause di sospensione della prescrizione dei diritti in ragione della relazione esistente fra il titolare del diritto e il soggetto passivo e, in particolare, le regole sancite dagli articoli 2941, n. 1, del codice civile e (occorrendo) 1 comma 18 della legge 20 maggio 2016, n. 76 in relazione alla sospensione del termine tra coniugi e uniti civilmente. 2.1. L'erogazione della somma di euro 63.713,00 da parte di Elisabetta Santi a favore di Marco Giallombardo va infatti senza dubbio ricondotta allo schema del contratto di mutuo. La natura titolata della - pacifica tra le parti - ricognizione di debito del 16 marzo 2006, ove si fa riferimento ad un «prestito», e l'impegno di Marco Giallombardo a restituire la somma di denaro a Elisabetta Santi, per di piu' indicizzando il quantum da restituire all'indice di incremento annuo del valore degli immobili registrato nella provincia di Firenze, rende impossibile una diversa qualificazione. L'atto del 16 marzo 2006, infatti, e' idoneo ex art. 1988 del codice civile a produrre un'astrazione processuale della causa del rapporto fondamentale, dispensando il creditore dal normale onere probatorio circa l'esistenza del proprio titolo, pur consentendo al debitore di contrastare la presunzione mediante la prova del deficit causale. Si tratta di una prova contraria mai fornita dall'odierno convenuto, il quale, al contrario, non ha mai negato, ma anzi ha confermato, di aver ricevuto quella somma a titolo di mutuo e di essere tenuto quindi alla sua restituzione. Inoltre, nella stessa scrittura le parti, a conferma ulteriore della pacifica qualificazione giudica di cui sopra, hanno significativamente tenuto a specificare, al fine di escludere che la dazione di denaro fosse sorretta da animus solvendi, o che fosse giustificata da animus donandi, che «il sottoscritto (Marco Giallombardo) dichiara altresi' che l'obbligazione di cui sopra non rientra nel novero di quelle di cui all'art. 2034 del codice civile». In assenza di altro documento comprovante o inglobante il titolo contrattuale, in particolare, bisogna ritenere che le parti abbiano concluso il contratto di mutuo oralmente e che solo la relativa obbligazione restitutoria sia stata in seguito riconosciuta per iscritto dal convenuto. 2.2. Dal titolo, dall'atto di ricognizione di debito e dalle allegazioni delle parti non e' possibile ricavare un termine previsto per l'adempimento dell'obbligazione restitutoria incombente sul Giallombardo. Soccorre l'art. 1817 del codice civile (ricalcante per molta parte, in sede di mutuo, la supplenza giudiziale sancita in generale dall'art. 1183 del codice civile), il quale consente al mutuante di ricorrere al giudice affinche' fissi il termine per l'adempimento. L'eventuale spostamento in avanti del termine di adempimento ad opera del giudice non incide, tuttavia, sul decorso del termine di prescrizione. Il diritto vivente in materia e' risalente e granitico nel sostenere che «condizione necessaria e sufficiente perche' la prescrizione decorra e' che il titolare del diritto pur potendo esercitarlo si astenga da tale esercizio, rilevando peraltro a tale fine solo la possibilita' legale e non influendo per contro, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilita' di fatto di agire in cui il detto titolare venga a trovarsi (Cass., 3 giugno 1997, n. 4939). Il diritto di credito, ancorche' non ancora esigibile per mancata fissazione del tempo dell'adempimento, da stabilirsi per accordo delle parti, puo' essere esercitato, in caso di mancato accordo, attraverso il ricorso del creditore al giudice ex art. 1183 del codice civile, comma 2, con la conseguenza che l'inerzia del creditore - ossia la mancanza del ricorso giudiziale o della sollecitazione al debitore - determina il decorso della prescrizione ex art. 2935 del codice civile fin dal momento in cui il diritto e' sorto (Cass., 14 marzo 1986, n. 1731)» (Cass. Civ., Sez. III, 19 giugno 2009, n. 14345). Pertanto, ancorche' non sia previsto un termine per la restituzione della somma mutuata, incombendo al mutuante l'onere di attivare la procedura di cui all'art. 1817 del codice civile, quale presupposto per l'azione di restituzione, il corso della prescrizione decorre dal giorno della stipula del contratto di mutuo (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 15 gennaio 2020, ordinanza n. 732), ovvero dal successivo atto interruttivo che sia tempestivo. 2.3. Tanto premesso, nel caso di specie l'ultimo atto interruttivo utile che emerge dall'istruttoria e' quello del 16 marzo 2006, quando il debitore ha come detto riconosciuto il proprio debito (art. 2944 del codice civile); pertanto, tale credito andrebbe dichiarato estinto per l'utile eccezione di prescrizione tempestivamente formulata dal convenuto. Gli ulteriori atti astrattamente interruttivi compiuti dalla creditrice tra il 2017 e il 2020 risulterebbero, cosi', tardivi, in quanto realizzati dopo lo spirare del termine di prescrizione, ossia dopo il 16 marzo 2016. L'applicazione dell'attuale disciplina legale comportera', dunque, l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto e, conseguentemente, il rigetto di alcune delle domande restitutorie formulate dall'attrice, e cio' atteso che l'ordinamento non assume la stabile convivenza con vincolo di affettivita' come causa di sospensione del termine di prescrizione. Se la disciplina dettata dagli articoli 2941 n. 1 del codice civile e 1, comma 18, legge n. 76/2016 (per quanto, occorre osservare, l'entrata in vigore della predetta disciplina si ponga nella parte terminale della relazione more uxorio intercorsa tra le parti) fosse applicabile al caso di specie, il corso della prescrizione risulterebbe invece sospeso sin dall'origine del diritto di credito per cui e' causa, poiche' sorto in costanza di convivenza, fino al giugno/novembre del 2016. Cosi' individuato il dies a quo da cui calcolare il termine prescrizionale ordinario, sarebbero tempestivi gli atti interruttivi realizzati prima di tale periodo da parte attrice, a seguito della cessazione della relazione e della convivenza. Ed infatti, non vi e' dubbio che le due parti in causa fossero definibili in termini di «conviventi di fatto», intendendosi come tali «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale (figura ormai anche normativamente riconosciuta: art. 1, comma 36, della legge n. 76 del 2016). Come esposto nella parte in fatto, essi infatti hanno per lunghi anni coltivato un progetto di vita comune, caratterizzato da stabile convivenza e coabitazione nonche' dal concreto e ripetuto tentativo, pur non riuscito, di procreare. 2.4. Ne consegue che il giudizio principale non e' definibile indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalita', rilevata d'ufficio, degli articoli 2941 n. 1 del codice civile e (occorrendo) 1, comma 18, legge n. 76/2016, in relazione agli articoli 2 e 3 della Costituzione nella parte in cui non parificano, ai fini della sospensione della prescrizione, i soggetti stabilmente conviventi con vincoli di affettivita' ai coniugi e agli uniti civilmente e, comunque, per contrariera' all'art. 3 della Costituzione in ragione della manifesta irrazionalita' della scelta legislativa di non disporre la sospensione della prescrizione fra conviventi stabili e legati da vincoli di affettivita', pur in presenza di interessi meritevoli di protezione (art. 8-9 Cedu). Di qui la rilevanza della questione. 3. In verita' una questione di legittimita' costituzionale sull'art. 2941, n. 1 del codice civile, per contrasto con gli articoli 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui irragionevolmente esclude la sospensione della prescrizione in costanza di stabile convivenza, e' gia' stata prospettata alla Corte costituzionale e da questa dichiarata infondata con sentenza n. 2 del 1998. Tuttavia il mutamento del contesto sociale e valoriale, da una parte, e l'evoluzione dell'ordinamento giuridico sul piano legislativo, costituzionale e sovrannazionale, dall'altra, hanno fatto emergere ulteriori e piu' pregnanti elementi che il Tribunale ritiene debbano essere sottoposti al vaglio di legittimita' costituzionale. Il rigetto della precedente questione di costituzionalita', sollevata dal Tribunale di Bolzano con ordinanza del 3 maggio 1996, e' motivato, anzitutto, a partire dall'inadeguatezza della famiglia legittima a fungere da valido tertium comparationis per la famiglia di mero fatto, attesa la disciplina legale e la stabilita' del rapporto che connotano la prima, e non anche la seconda. Il quadro di riferimento e' tuttavia radicalmente mutato sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista normativo. Di tali radicali mutamenti, del resto, ha dato piu' volte atto la stessa Corte costituzionale, da ultimo con la decisione n. 148 del 2024, che in questa sede integralmente si richiama. 3.1. L'accostarsi alla questione dello standard di tutela costituzionale della famiglia impone sempre all'interprete di confrontarsi con concetti di chiara matrice sociale e sociologica, quali il costume sociale, la cultura e la coscienza sociale (concetti ampiamente evocati dalla giurisprudenza costituzionale; cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 1 del 2022, n. 221 del 2019 e n. 174 del 2016). Da questo confronto e dalla relativa analisi pare emergere una dequotazione sociale delle differenze intercorrenti fra coniugi e conviventi stabili. E' chiaro, sotto questo profilo, come l'istituto matrimoniale - oggetto di primaria tutela nell'art. 29 della Costituzione, non rappresenti piu' l'unico strumento per i consociati per dare rilievo giuridico ad un'unione familiare e neppure l'unico congegno per fondare una famiglia dotata del carattere della stabilita'. 3.2. Alla luce di cio' la giurisprudenza, civile e penale, di merito e di legittimita', ha avviato un'opera di rivisitazione interpretativa di plurimi istituti e disposizioni legislative al fine di affermare interpretazioni estensive o coltivare applicazioni analogiche (ove consentite), in guisa da equiparare coniugi e conviventi di fatto. Cio' appunto allo scopo di elidere irragionevoli disparita' di trattamento, incompatibili con la Carta costituzionale, di fronte a disposizioni di legge dettate ad altri fini, ossia con finalita' diverse da quelle di regolazione del rapporto, ma che assumevano il rapporto affettivo sottostante al matrimonio come elemento e ratio della produzione di un certo effetto giuridico. Il riferimento va, in primo luogo, alla giurisprudenza di legittimita' (Cass. Pen., Sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 20647) che ha equiparato, peraltro in malam partem, i conviventi more uxorio ai membri della famiglia ai fini dell'applicabilita' dell'art. 572 del codice penale (prima della modifica del testo in senso estensivo da parte dell'art. 4 della legge 1° ottobre 2012, n. 172). In secondo luogo, la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha, in definitiva, applicato analogicamente agli stabili conviventi la scusante che l'art. 384 del codice penale riserva ai «prossimi congiunti», pur in presenza di una norma definitoria, sancita dall'art. 307, comma IV del codice penale, che escludeva chiaramente detti conviventi dal concetto di prossimo congiunto (Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2020, n. 10381). In terzo luogo si veda l'orientamento costante in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ove la giurisprudenza di legittimita' computa tra i redditi dei familiari anche quello del convivente (cfr. Cass. Civ. Sez. IV, 26 ottobre 2005, n. 109). Infine, e' il caso di rammentare il pacifico orientamento che ha sancito una equiparazione completa del convivente stabile al coniuge in tema di risarcimento del danno patito dalla c.d. «vittima secondaria», ossia per la lesione da perdita del rapporto parentale. Anche le tabelle elaborate in via pretoria e costantemente seguite dalla giurisprudenza di merito attribuiscono il medesimo valore del cd. «punto base» per la liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale quando a morire sia il coniuge e il convivente stabile; cio' dimostra, anche in una materia ove si fa specifica attuazione del principio dell'equita' (art. 1226 del codice civile, richiamato in sede aquiliana dall'art. 2056 del codice civile) e, dunque, del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, che il rapporto affettivo non puo' essere distinto per l'essere o meno rivestito dal vincolo matrimoniale. L'espansione della nozione di famiglia, volta a ricomprendere in se' qualsiasi consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e di solidarieta' per un apprezzabile periodo di tempo, nel rispetto, dunque, anche delle istanze di liberta' della persona nella scelta del tipo di famiglia da fondare e di cui far parte, e' stata ispirata anche dalle fonti sovranazionali. Sebbene, infatti, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo non pare possa essere in questa sede invocata come autentico parametro interposto ai sensi dell'art. 117, comma I, della Costituzione, in ragione del margine di apprezzamento che la giurisprudenza di Strasburgo riconosce ai legislatori nazionali in materia di regolamentazione dei menage familiari, questa fonte ha un rilievo nel porre in luce la disparita' di trattamento che si va censurando. L'art. 8 Cedu, come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, infatti, accoglie senza dubbio nel suo perimetro di tutela tutti i legami di fatto, caratterizzati da affettivita' e pregnanza, fondati su una stabile convivenza; la famiglia, secondo l'impostazione europea, e' dunque quella legittima (legale), quella naturale e quella di fatto, socialmente equiparata alle altre forme di famiglia (cfr., Corte EDU, 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio; Corte EDU, 26 maggio 1994, Keegan c. Irlanda; Corte EDU, 5 gennaio 2010, Jaremowicz c. Polonia; Corte EDU, 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti c. Italia; Corte EDU, 24 giugno 2010, Schalk and Kopf c. Austria; Corte EDU, 21 luglio 2015, Oliari ed altri c. Italia). Ulteriore significativa fonte e' rappresentata dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (approvata dal Parlamento europeo il 14 novembre 2000, formalmente proclamata a Nizza il 7-8 dicembre 2000 e giuridicamente equiparata ai Trattati ex art. 6, par. 1, TUE). L'art. 9 - differenziandosi da comparabili disposizioni sovrannazionali e internazionali - sancisce separatamente il diritto di fondare una famiglia e il diritto di sposarsi, svincolando la nozione eurounitaria di famiglia dall'istituto matrimoniale. Cio' consente di ritenere le altre norme comunitarie espresse a garanzia della famiglia riferite ad ogni forma di famiglia, anche se sguarnita del vincolo coniugale. In questo senso, di centrale rilievo e' l'art. 33 CDFUE, a mente del quale «e' garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale». Da cio' puo' dedursi che il tradizionale monopolio del matrimonio nell'ambito della tutela giuridica della famiglia abbia lasciato il passo ad un nuovo paradigma, per il quale tutte le forme di convivenza stabile, connotate da significativi rapporti affettivi e da condivisione di un progetto di vita comune, godono di pari dignita', salva una puntuale e diversa regolamentazione del matrimonio, inteso come atto e come rapporto giuridico. Non pare ammissibile, pertanto, una disparita' di trattamento allorche' a venire in rilievo sia una norma che assume, specie alla luce della sua ratio legis, ad elemento costitutivo della fattispecie il rapporto di fatto sottostante intercorrente tra partner; cio' e' quanto avviene nel caso della sospensione della prescrizione, ove l'impedimento soggettivo a compiere atti interruttivi del termine si fonda su ragioni sostanziali e non meramente formali. 3.3. Sul piano generale, la differente disciplina applicabile ai coniugi e ai conviventi e' stata giustificata, in alcune occasioni, da risalente giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sentenze n. 121 del 2004, n. 8 del 1996 e n. 2 del 1998) evidenziando il carattere della stabilita' del vincolo coniugale, non equiparabile ad alcun altro vincolo di affettivita' fra partner. Tali pronunciamenti non appaiono piu', tuttavia, del tutto attuali in ragione del mutato contesto normativo. In primo luogo «la stabilita' del rapporto, con il venire meno dell'indissolubilita' del matrimonio, non costituisce piu' una caratteristica assoluta e inderogabile ed anzi spesso caratterizza maggiormente unioni non fondate sul matrimonio» (Cass. Pen., Sez. II, 30 aprile 2015, n. 34147). La perdita di stabilita' dello status coniugale, del resto, non e' tanto e solo il frutto dell'introduzione nell'ordinamento italiano dell'istituto del divorzio (il quale ha origini ormai risalenti nel tempo), ma e' il risultato di una accentuata facilitazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio, coerentemente col mutare del sentire sociale. In disparte il problema della tutela della prole (il quale si pone parimenti anche per le coppie non coniugate) e porgendo lo sguardo esclusivamente sul vincolo coniugale, l'accesso al divorzio e' stato oggetto di una progressiva semplificazione: i coniugi possono procedere a separazione e divorzio mediante negoziazione assistita o accordo concluso innanzi all'ufficiale di stato civile (articoli 6 e 12, decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014, n. 162; oggetto di significativo ampliamento per mezzo della legge 26 novembre 2021 n. 206), avendo assunto il controllo giudiziale carattere eventuale e sussidiario; quanto al fattore temporale, da una parte il legislatore ha ridotto sensibilmente il tempo che necessariamente deve intercorrere tra la separazione dei coniugi e la cessazione degli effetti civili del matrimonio (da tre anni a sei mesi in caso di separazione consensuale e ad un anno in caso di separazione giudiziale); dall'altra, ha da ultimo consentito di proporre congiuntamente la domanda giudiziale di separazione e quella di divorzio (art. 473-bis.49. del codice di procedura civile), garantendo particolare speditezza alla procedura di scioglimento del vincolo coniugale. In secondo luogo, il connotato della stabilita' non e' estraneo ad altri moduli familiari. Anche l'unione civile fra persone dello stesso sesso infatti, sebbene non conosca in fase di cessazione una fase di «quiescenza» dello status para-coniugale assimilabile alla separazione fra coniugi, non appare affatto sguarnita di stabilita', attesa la pregnanza dei doveri patrimoniali e non patrimoniali che dall'unione discendono sulle parti. Ne e' testimone la sentenza n. 66 del 2024 della Corte costituzionale la quale, ancorche' non rappresenti una pronuncia simmetrica alla sentenza n. 170 del 2014, sancisce l'illegittimita' costituzionale dello scioglimento, de plano, del vincolo fra le parti dell'unione civile in caso di rettificazione di sesso di uno degli uniti. Non potrebbe, peraltro, utilmente obiettarsi che la peculiare stabilita' del rapporto coniugale trovi la sua giustificazione nell'obbligo di fedelta', non previsto per le altre forme familiari. La dottrina, gia' in sede di primo commento alla legge 20 maggio 2016, n. 76 (regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), ha avuto occasione di svalutare la rilevanza giuridica di questa mancata previsione. Da una parte e' stato osservato che, poiche' la fedelta' e' sempre piu' intesa come sinonimo di fedelta' morale e assistenziale, mantenendo invece un secondario rilievo la componente di fedelta' sessuale legata al momento riproduttivo, e' innegabile che anche gli altri tipi familiari conoscano, ancorche' con diversita' di accenti, un dovere di fedelta'. Dall'altra, si e' evidenziato che non e' impedito ai partner non coniugati di concludere negozi personali, espressivi di un libero e revocabile consenso, che sanciscano fra loro un autentico e pregnante dovere di fedelta'. Ad ogni buon conto, a ben riflettere, tutti i tipi di menage familiare godono del connotato della stabilita', in quanto questa rappresenta un elemento costitutivo della famiglia, della «fattispecie familiare»: in altri termini, senza stabilita' non v'e' rapporto familiare. Il vincolo matrimoniale, senza dubbio, appare quello dotato di maggior resistenza e, quindi, risulta il piu' stabile nel novero dei vincoli fra partner; tuttavia, il solo dato dell'accentuata stabilita' del rapporto non puo' costituire un valido e dirimente argomento per negare una equiparazione fra coniugi e conviventi in tema di sospensione della prescrizione. Lo stesso legislatore mostra di non considerare piu' il dato della eccezionale stabilita' coniugale quale elemento essenziale a giustificare la sospensione della prescrizione atteso che l'art. 1, comma 18, legge n. 76/2016 estende la disciplina dell'art. 2941 del codice civile alle parti dell'unione civile, disponendo che tra di queste il corso della prescrizione resti sospeso. 3.4. Ad ulteriore testimonianza del mutato contesto sociale e normativo rispetto a quello innanzi al quale si ebbe a pronunciare la Corte costituzionale con la sentenza n. 2 del 1998, si pensi al caso della sospensione della prescrizione fra coniugi separati. Forte del tenore testuale dell'art. 2941 n. 1 del codice civile la giurisprudenza piu' risalente (Cass. Civ., Sez. I, 19 giugno 1971, n. 1883) applicava la citata causa di sospensione della prescrizione anche all'ipotesi di coniugi legalmente separati. La carenza di giustificazione aveva indotto parte della giurisprudenza a dubitare della legittimita' costituzionale della norma in parola; nondimeno la Corte costituzionale, sull'assunto che in caso di separazione personale lo status coniugale non viene meno, ma si attenua o entra in una sorta di fase di quiescenza, ha ritenuto non irrazionale la scelta legislativa per come interpretata nell'allora diritto vivente (Corte cost., sentenza n. 35 del 1976). Ciononostante, la giurisprudenza di legittimita' in tempi piu' recenti ha iniziato a revocare in dubbio la coerenza di quell'interpretazione letterale, giungendo ad affermare un netto revirement nel 2014. La Suprema Corte, infatti, pur al cospetto del citato e risalente pronunciamento del Giudice delle leggi, ha espunto in via interpretativa i coniugi separati dal campo di applicabilita' dell'art. 2941 n. 1 del codice civile, evidenziando come debba «prevalere sul criterio ermeneutico letterale un'interpretazione conforme alla ratio legis, da individuarsi tenuto conto dell'evoluzione della normativa e della coscienza sociale e, quindi, della valorizzazione delle posizioni individuali dei membri della famiglia rispetto alla conservazione dell'unita' familiare [...]. Nel regime di separazione, infatti, non puo' ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di turbare l'armonia familiare, poiche' e' gia' subentrata una crisi conclamata e sono gia' state esperite le relative azioni giudiziarie [...] (Cass., n. 7981/14; ordinanza n. 18078/14; n. 8987/16)» (cosi', Cass. Civ., Sez. I, 14 dicembre 2018, ordinanza n. 32524). Alla luce della ratio legis e del profondo mutamento sociale e normativo che ha coinvolto il fenomeno della famiglia, l'esigenza di non turbare l'armonia familiare mediante l'imposizione di atti interruttivi della prescrizione, aventi per lo piu' carattere contenzioso, non puo' che sussistere identica anche in relazione alle famiglie di fatto. Non vi e' alcuna differenza, sotto questo profilo, fra una coppia di sposati e una coppia di stabili conviventi: tutti patiscono equamente la riluttanza nel convenire in giudizio il proprio partner (o anche solo prospettare una simile possibilita'). Tanto e' vero che nel caso di specie, ed in pratica in tutti i casi similari, gli atti interruttivi della prescrizione vengono significativamente posti in essere (soltanto) all'esito della cessazione della convivenza more uxorio e della coabitazione. Quale che sia il modello familiare, l'esigenza di conservazione dell'unita' familiare ha pari dignita' sociale, costituzionale e sovranazionale e quindi pretende la medesima disciplina. 4. Un ultimo vaglio di merito circa la legittimita' della opzione legislativa di escludere la convivenza di fatto fra le situazioni che danno luogo a sospensione della prescrizione deve essere condotto con riferimento al tema della certezza dei rapporti giuridici cui fa da contraltare, per quel che in questa sede rileva, la certezza circa le cause di sospensione della prescrizione, come evocato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 2 del 1998. 4.1. Tale certezza non sussisterebbe con riferimento alle convivenze di fatto, poiche' tanto l'avvio quanto l'interruzione della convivenza familiare sono connotati da elementi, si' oggettivi, ma privi di qualunque formalismo (salvo quanto potrebbe dirsi per le cd. convivenze registrate, come successivamente introdotte dal legislatore). Cionondimeno, l'estensione della sospensione anche ai conviventi non appare affatto in contrasto con la ratio dell'istituto della prescrizione, la quale rende chiaro come le esigenze di evitare vincoli perpetui e di assicurare certezza nelle relazioni giuridiche siano prevalenti sull'istanza di conservazione della sfera giuridica patrimoniale del titolare del diritto solo allorche' quest'ultimo ometta di compiere atti di esercizio del diritto per sostanziale disinteresse. Il mancato esercizio del diritto non puo' mai essere espressivo di suddetto disinteresse nell'ipotesi di impossibilita' giuridica di compiere atti d'esercizio del diritto medesimo. A mente dell'art. 2935 del codice civile, infatti, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto puo' essere fatto valere e tale possibilita' e' stata intesa dalla giurisprudenza costante solo nel senso di possibilita' giuridica, sicche' la prescrizione non decorre solo ove il titolare sia giuridicamente impedito nell'esercizio del diritto (cfr. Cass. Civ., Sez. L, 24 maggio 2021, ordinanza n. 14193). Cosi' delineata la regola generale, il legislatore ha poi previsto alcune cause di sospensione della prescrizione nell'ipotesi in cui il titolare del diritto, pur giuridicamente in grado di esercitarlo, si trovi fattualmente o moralmente ostacolato nel suo esercizio in ragione della sussistenza di peculiari rapporti giuridici. Cosi', unanimemente la giurisprudenza qualifica le ipotesi di sospensione declinate dall'art. 2941 del codice civile come eccezionali, tassative ed insuscettibili di interpretazione estensiva, avendo il legislatore selezionato specificatamente gli impedimenti soggettivi rilevanti ai fini della sospensione del termine (cfr. Cass. Civ., Sez. VI-lav., 8 maggio 2018, ordinanza n. 11004; Cass. Civ., Sez. III, 6 ottobre 2014, n. 21026, Cass. Civ., Sez. I, 12 giugno 2007, n. 13765 Cass. Civ., Sez. L, 6 ottobre 2000, n. 13310). Tale impostazione risulta confortata in dottrina, nonche' coerente con ulteriori indici normativi, fra i quali particolarmente significativo e' l'art. 247 disp. att. cod. civ. Si tratta, dunque, di ipotesi selezionate discrezionalmente dal legislatore. Tuttavia, nel caso dei conviventi stabili, l'omessa inclusione fra le cause di sospensione appalesa un impiego irrazionale della potesta' legislativa e, a ben vedere, discriminatorio al cospetto delle altre ipotesi omogenee ad essa raffrontabili. 4.2. L'istituto della prescrizione e la disciplina delle cause di interruzione e di sospensione del termine prescrizionale, anche al fine di garantire certezza nei rapporti giuridici, si giovano di dati oggettivi temporalmente certi. Sovente tali dati sono rafforzati dal rilievo formale che riveste il relativo atto, ma questo e' un elemento niente affatto essenziale. Basti pensare all'ipotesi di cui al n. 8 dell'art. 2941 del codice civile che, richiedendo la prova della sussistenza del dolo e, soprattutto, del giorno della sua scoperta, dimostra plasticamente che il legislatore non richiede come elemento indefettibile delle cause di sospensione la certezza ex ante del periodo di sospensione, da ricavare da dati formali. Inoltre il n. 7 dell'art. 2941 del codice civile, come esteso dalla sentenza n. 262 del 2015 della Corte costituzionale, accoglie ipotesi di sospensione non sempre caratterizzate da elementi formali. La disposizione, infatti, e' stata dichiarata illegittima nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione fosse sospesa tra la societa' in nome collettivo e i suoi amministratori, finche' sono in carica, per le azioni di responsabilita' contro di essi; sicche' anche il n. 7 diviene ipotesi idonea ad essere applicata ad una situazione che puo' avere un esclusivo rilievo fattuale non formale, oggetto di normale prova in giudizio, poiche' il citato tipo societario puo' costituirsi anche per facta concludentia (cd. s.n.c. di fatto), e quindi la relativa causa di sospensione dipende da elementi di fatto che devono essere oggetto di accertamento. Ancora in tema di diritti reali gli atti di esercizio del diritto (che producono il medesimo effetto dell'interruzione della prescrizione) si estrinsecano normalmente sul piano fattuale. Puo' farsi riferimento in via esemplificativa agli atti di esercizio del diritto di servitu' prediale, che comportano il decorso ex novo del termine di prescrizione in ragione di meri atti di passaggio, espressivi dell'esercizio della facolta' di godimento riconnesse al diritto reale minore. Si puo', inoltre, fare menzione dell'orientamento dottrinale e giurisprudenziale che, in virtu' del principio di liberta' delle forme, ritiene non necessaria la forma scritta del riconoscimento di debito, il quale e' atto idoneo ad interrompere la prescrizione ex art. 2944 del codice civile; la possibilita' di compiere oralmente un atto di ricognizione di debito e' confortata anche dall'argomento storico-diacronico, poiche' nell'attuale codice civile nessuna forma viene prescritta all'atto di cui all'art. 1988 del codice civile, mentre nel previgente codice civile del 1865, all'art. 1325, si richiedeva la forma scritta ad substantiam. E' chiaro, allora, come il sistema ammetta pacificamente atti che hanno l'effetto di azzerare il termine di prescrizione pur avendo una dimensione eminentemente fattuale o pur essendo compiuti oralmente. Non si ravvisano, tuttavia, serie ragioni per distinguere in maniera netta queste ipotesi e le cause di sospensione della prescrizione. Al contrario, se gli atti che comunque comportano l'inizio di un nuovo periodo di prescrizione possono essere costituiti da atti privi di carattere formale idoneo ad assicurare certezza ex ante nel calcolo del termine prescrizionale, a fortiori cio' dovrebbe poter valere per l'istituto della sospensione della prescrizione, atteso che questa comporta un mero congelamento del termine. 4.3. Non si ravvisa, pertanto, un'intima connessione tra criteri formali idonei a garantire certezza temporale della sospensione della prescrizione e cause sospensive, sia alla luce di tutte le ipotesi di sospensione conosciute dall'ordinamento, nonche' del collaterale istituto della interruzione della prescrizione, sia avuto riguardo alla stessa ratio giustificatrice dell'estinzione dei diritti per decorso del termine di prescrizione. L'estensione, dunque, della disciplina dell'art. 2941 del codice civile all'ipotesi delle convivenze di fatto, postula un accertamento giudiziale sull'inizio della stabile convivenza sorretta da vincolo di affettivita' e sulla cessazione di questa, che non appare incompatibile col sistema. Del resto, una volta accertato che il credito e' sorto, l'onere probatorio del convivente-debitore convenuto in giudizio riguarda solo l'avvenuta decorrenza del termine, spettando al convivente-creditore, che abbia agito per ottenere l'adempimento, dimostrare che prima che il termine spirasse fossero intervenuti atti interruttivi o cause sospensive della prescrizione. Pertanto, in caso di incertezza, in ossequio alle regole generale di cui all'art. 2697 del codice civile ricadrebbe sul convivente-creditore il rischio di non aver dimostrato compiutamente l'esistenza e l'esatta durata della convivenza; conseguentemente, ove permanga un dubbio processualmente rilevante sul momento di inizio e su quello di fine della convivenza, il giudicante dovra' considerare sospeso il termine di prescrizione solo nel segmento temporale in cui sia certo che la stabile convivenza connotata da vincolo di affettivita' era effettiva. 4.4. Il tenore testuale dell'art. 2941 n. 1 del codice civile (e con esso, poi, dell'art. 1, comma 18, legge n. 76/2016) produce una illegittima discriminazione fra coniugi (e uniti civilmente) e conviventi poiche' le ragioni che giustificano la sospensione intraconiugale ricorrono in maniera eguale nei rapporti fra conviventi. La ratio della norma e' quella di dare rilievo alla sostanziale inesigibilita' di comportamenti interruttivi della prescrizione che si renderebbero necessari al fine di tutelare la pienezza dei diritti che un coniuge vanta nei confronti dell'altro; l'interruzione del termine, infatti, salva l'ipotesi del riconoscimento del debito, si avrebbe solo con atti aventi carattere contenzioso (art. 2943 del codice civile) che, come tali, risultano certamente in conflitto con il normale svolgersi delle relazioni di convivenza familiare. In altri termini, e' al fine di scongiurare il rischio di imporre nei rapporti fra partner il compimento di atti di «frizione» o di contrasto, che il legislatore ha disposto che il termine prescrizionale non decorra in costanza di matrimonio, sicche' anche in assenza di atti interruttivi i diritti vantati verso l'altro risultino salvaguardati in caso di cessazione del rapporto. Solo quando la crisi della coppia sia conclamata, vi sia sostanziale separazione e cessazione della affectio, allora puo' venire meno il timore di turbare l'armonia familiare e diviene nuovamente pretendibile il compimento di atti interruttivi della prescrizione. Appare dunque chiaro che quel che rileva non e' tanto la veste formale, ma la consistenza sostanziale del rapporto affettivo-familiare che lega titolare del diritto e soggetto passivo dello stesso, caratterizzato da stabilita' e coabitazione. Si tratta di un rapporto che e' oggetto di sicura garanzia costituzionale e sovranazionale e che appare omogeno ed indistinguibile a prescindere dalle formalita' del vincolo che lega le due persone. E' del resto ormai un dato acquisito nella giurisprudenza che vi sia sostanziale identita' delle relazioni sentimentali, affettive e familiari, fra coniugi e fra conviventi (in questo senso, cfr. Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2020, n. 10381). Si ravvisa, pertanto, l'omogeneita' delle fattispecie poste a raffronto e la pari riferibilita' alle stesse della ratio legis della norma censurata, sicche' l'esclusione degli stabili conviventi dall'ambito applicativo della norma denunciata appare priva di ragionevole giustificazione e, conseguentemente, lesiva del principio di eguaglianza. 5. La violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione da parte dell'omessa previsione della sospensione della prescrizione fra conviventi appare, dunque, non manifestamente infondata. 5.1. Non e' utilmente esperibile un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate. Pur al cospetto del sopraesposto orientamento giurisprudenziale, ascrivibile al diritto vivente, che esclude rigidamente non solo l'analogia, ma anche l'interpretazione estensiva dell'art. 2941 del codice civile, si ritiene non impedito tentare un'interpretazione estensiva dell'art. 2941, n. 1, del codice civile (ovvero, occorrendo, dell'art. 1, comma 18, legge n. 76/2016) ove cio' si dimostrasse indispensabile a salvare la norma censurata dalla declaratoria di illegittimita' costituzionale. Siffatto percorso esegetico, infatti, non entrerebbe in conflitto col divieto di cui all'art. 14 delle preleggi, il quale a fronte di norme eccezionali preclude chiaramente solo l'applicazione analogica. Tuttavia, tale tentativo si appalesa fallimentare, poiche' per quanto si voglia dilatare il concetto di coniuge (o di uniti civilmente), il dato letterale impedisce di considerare ricompreso in tale nozione lo stabile convivente, vista in particolare l'assenza in quest'ultimo caso del dato formale, che si e' detto essere caratterizzante invece i primi rapporti indicati. Si tratterebbe di un'interpretazione adeguatrice praeter legem che, alla luce del carattere tassativo della norma, finisce per oltrepassare i limiti sanciti dai canoni d'interpretazione, costituendo infine un'interpretazione contra legem. Per cui, solo un'applicazione analogica in senso proprio della disposizione sarebbe idonea a colmare la lacuna costituzionalmente inammissibile, ma cio' e' escluso sia dal diritto vivente che dall'art. 14 delle preleggi, in presenza di norme eccezionali. Risulta pertanto necessario l'interpello del Giudice delle leggi. 6. Anche ove si ritenesse che l'ipotesi dei coniugi (art. 2941 n. 1 del codice civile) e degli uniti civilmente (art. 1, comma 18, legge n. 76/2016) non rappresentino validi termini di comparazione al fine di censurare, sotto questo aspetto, la discrezionalita' legislativa, la non manifesta infondatezza della questione risiederebbe, in via subordinata, nella patente irragionevolezza intrinseca all'opzione legislativa, parimenti violativa dell'art. 3 della Costituzione. 6.1. L'art. 2 della Costituzione, laddove garantisce le formazioni sociali familiari e i diritti dei singoli all'interno di queste, impone al legislatore di rispettare ad un tempo l'armonia familiare e le situazioni giuridiche soggettive di cui i componenti sono titolari. La mancata sospensione della prescrizione fra conviventi onera il partner creditore a compiere atti interruttivi della prescrizione (intimazioni ad adempiere, domande giudiziali, richieste al giudice di fissazione di un termine per l'adempimento, etc.) che sono in grado di incrinare i rapporti familiari in spregio agli articoli 2 e 117, comma I, della Costituzione (quest'ultimo in relazione all'art. 8 Cedu). 6.2. L'omissione legislativa impone al convivente-creditore di compiere atti quali la costituzione in mora del proprio compagno-debitore per garantire la propria sfera giuridica patrimoniale. Si tratta di un'opzione irrazionale, poiche' l'intimazione ad adempiere e la costituzione in mora (ma lo stesso si dica, a fortiori, per la domanda giudiziale) interrompono la prescrizione perche' hanno l'effetto di contrastare quella sorta di presunzione di tolleranza del creditore circa il ritardo nell'ottenimento della prestazione; solo ove tale presunta tolleranza si protragga per oltre dieci anni il diritto puo' considerarsi prescritto in virtu' del consolidamento nel tempo di un totale disinteresse del suo titolare. Nei rapporti di convivenza more uxorio tale presunzione non puo' valere. Tra conviventi non puo' essere presunto che la tolleranza (id est, l'omessa intimazione ad adempiere) sia sinonimo di disinteresse nella tutela del diritto da parte del titolare. Deve, all'opposto, presumersi - secondo l'id quod plerumque accidit - che l'omissione di atti volti a compulsare l'adempimento del convivente-debitore sia un contegno volto a non compromettere la stabilita' e la serenita' del nucleo familiare. Allora, se e' vero che la ratio degli articoli 2941, n. 1, del codice civile (e poi dell'art. 1, comma 18, legge n. 76/2016) e' quella di valorizzare le «posizioni individuali dei membri della famiglia rispetto alla conservazione dell'unita' familiare» (Cass. Civ., Sez. I, 14 dicembre 2018, ordinanza n. 32524) e se e' parimenti vero che l'istanza di conservazione della comunita' familiare ha pari consistenza costituzionale a prescindere dal vincolo coniugale (articoli 2 e 117, comma I, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 8 Cedu, nonche' articoli 9 e 33 CDFUE), risulta costituzionalmente incompatibile l'omessa previsione in tali casi di un istituto che e' idoneo a salvaguardare questi valori. 6.4. L'attuale quadro normativo e' idoneo ad incentivare comportamenti antisociali e, comunque, incongrui ed incoerenti con il normale sviluppo delle relazioni familiari. Da un canto, infatti, non beneficiando della sospensione della prescrizione dei suoi diritti, un membro della coppia convivente potrebbe essere disincentivato o intimorito dal fornire a prestito risorse economiche importanti all'altro, il quale potrebbe trovarsi in condizioni di difficolta' finanziaria o, al contrario, di cogliere importanti occasioni d'affare. Dall'altro, l'omissione legislativa potrebbe incentivare condotte da parte del convivente-debitore ai danni dell'altro, ritardando l'adempimento delle proprie obbligazioni confidando nell'omissione di formali atti interruttivi del termine di prescrizione da parte del convivente-creditore. La famiglia di fatto potrebbe giungere persino a disgregarsi, come non di rado accade anche per questioni soltanto patrimoniali, per effetto del clima di tensione che la necessita' di far valere il proprio diritto, pena la sua prescrizione, oppure la sostanzialmente necessitata rinuncia a farlo (con conseguenti rancori inespressi) potrebbe innescare tra i conviventi. Tali condotte si pongono in contrasto con i valori di solidarieta' sociale, di solidarieta' familiare e di corretto e pacifico sviluppo delle relazioni familiari (articoli 2, 117, comma I, 8 Cedu), senza che a sminuire la valenza della questione possa essere il carattere patrimoniale dei diritti in gioco, visto il riflesso evidenziato che simili questioni possono avere sulla stessa famiglia, come oggetto di tutela da parte della Costituzione e della disciplina sovranazionale. 7. Ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata, esperito inutilmente il tentativo di interpretazione adeguatrice della norma censurata, non rimane dunque che rimettere la questione alla Corte costituzionale. P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 ss. legge n. 87 del 1953, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimita' costituzionale della norma di cui agli articoli 2941 n. 1 codice civile e (occorrendo) 1 comma 18, legge 20 maggio 2016, n. 76 nella parte in cui non prevedono che la prescrizione dei diritti sia sospesa anche fra conviventi stabili e legati, fra loro, da vincolo di affettivita' familiare, per violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione e, comunque, per intrinseca irragionevolezza (art. 3 della Costituzione) della norma; sospende il presente giudizio in corso fino alla definizione del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte costituzionale. Dispone la trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della documentazione attentante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni. Firenze, 8 maggio 2025 Il Giudice: D'Alfonso