Reg. ord. n. 117 del 2025 pubbl. su G.U. del 18/06/2025 n. 25

Ordinanza del Tribunale di Firenze  del 08/05/2025

Tra: Elisabetta Santi  C/ Marco Giallombardo



Oggetto:

Prescrizione e decadenza – Cause di sospensione per rapporti tra le parti – Sospensione della prescrizione tra i coniugi e tra le parti di un’unione civile – Omessa estensione della causa di sospensione ai conviventi stabili e legati, fra loro, da vincolo di affettività familiare – Disparità di trattamento tra coniugi (e uniti civilmente) rispetto ai conviventi more uxorio – Irragionevolezza intrinseca – Lesione dei diritti inviolabili dei singoli all’interno delle formazioni sociali – Contrasto con i valori di solidarietà sociale, di solidarietà familiare e di corretto e pacifico sviluppo delle relazioni familiari.

Norme impugnate:

codice civile  del  Num.  Art. 2941

legge  del 20/05/2016  Num. 76  Art. 1  Co. 18



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.  Co.  



Camera di Consiglio del 1 dicembre 2025 rel. NAVARRETTA


Testo dell'ordinanza

                        N. 117 ORDINANZA (Atto di promovimento) 08 maggio 2025

Ordinanza  dell'8  maggio  2025  del   Tribunale   di   Firenze   nel
procedimento  civile  promosso  da  Elisabetta  Santi  contro   Marco
Giallombardo. 
 
Prescrizione e decadenza - Cause di sospensione per rapporti  tra  le
  parti - Sospensione della prescrizione tra i coniugi e tra le parti
  di un'unione civile - Omessa estensione della causa di  sospensione
  ai  conviventi  stabili  e  legati,  fra  loro,   da   vincolo   di
  affettivita' familiare. 
- Codice civile, art. 2941, numero 1); legge 20 maggio  2016,  n.  76
  (Regolamentazione delle unioni  civili  tra  persone  dello  stesso
  sesso e disciplina delle convivenze), art. 1, comma 18. 


(GU n. 25 del 18-06-2025)

 
                        TRIBUNALE DI FIRENZE 
                         III sezione civile 
 
    A  scioglimento  della  riserva  assunta  all'esito  dell'udienza
cartolare del 7  maggio  2025,  esaminati  gli  atti  il  giudice  ha
pronunciato  la  seguente  ordinanza   di   rimessione   alla   Corte
costituzionale di questione  di  legittimita'  costituzionale,  nella
causa civile di primo grado iscritta al n. 7270 R.G.  dell'anno  2020
vertente tra Elisabetta Santi, rappresentata e difesa dall'avv. Monia
Rossi,  in  qualita'  di  parte  attrice,   e   Marco   Giallombardo,
rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Voce e dall'avv. Chiara  Tesi,
in qualita' di parte convenuta. 
 
                          Premesso in fatto 
 
    1. Con atto di citazione  ritualmente  notificato  parte  attrice
conveniva in giudizio l'ex convivente more uxorio Marco  Giallombardo
al  fine  di  ottenerne,  in  via  principale,   la   condanna   alla
restituzione  di  vari  beni  ed  effetti  personali  di   proprieta'
dell'attrice, nonche' la restituzione di plurime somme di denaro  per
un totale di  euro  91.063,00  oltre  ad  interessi  e  rivalutazione
monetaria; in particolare: 
      euro 63.713,00 a questo consegnati a titolo di prestito; 
      euro 11.000,00 relativi all'acquisto di un gommone Zar  53,  di
euro 6.800,00 per l'acquisto di un motore Suzuki e di  euro  3.000,00
relativi alla permuta di un gommone  Zar  61,  tutti  acquistati  dal
convenuto; 
      euro 3.600,00 per l'acquisto di un armadio e di  euro  2.950,00
per acquisto di un letto. 
    1.1. A sostegno della domanda, per quanto rileva in questa  sede,
rappresentava di aver intrattenuto con  il  convenuto  una  relazione
sentimentale e di aver con questo convissuto dal 2002 al 2016. 
    1.2. Nei primi anni della convivenza, l'attrice aveva prestato la
somma di euro 63.713,00 al compagno, che la ha impiegata per eseguire
opere di miglioria sull'immobile di sua esclusiva proprieta'.  Il  16
marzo  2006  Marco  Giallombardo  redigeva  un  atto  unilaterale  di
riconoscimento di debito, dichiarando per iscritto di  aver  ricevuto
da Elisabetta Santi, fino a quella data, la somma di euro 63.713,00 a
titolo di prestito  e  di  impegnarsi  alla  restituzione  di  quanto
ricevuto, oltre indicizzazione al  saggio  di  incremento  annuo  del
valore degli immobili  registrato  nella  provincia  di  Firenze;  la
scrittura, infine, escludeva espressamente che quel trasferimento  di
denaro  rappresentasse  l'esecuzione,  da  parte   dell'attrice,   di
un'obbligazione  naturale   ex   art.   2034   del   codice   civile,
riconducibile al rapporto di convivenza tra esse esistente. 
    1.3. Nel corso della relazione, poi,  parte  attrice  contribuiva
all'acquisto di gommoni o parti di questi da parte del  compagno,  il
quale intestava a  se'  i  natanti;  in  particolare,  parte  attrice
rappresentava di aver pagato euro 11.000,00 il 13 luglio 2007 per  un
primo gommone, euro 6.800,00 il 25 luglio 2008 per un  motore  Suzuki
ed euro 3000,00 il 12 luglio 2013 a perfezionamento  di  una  permuta
relativa ad altro gommone, producendo i documenti bancari da  cui  si
evincevano i relativi bonifici. 
    1.4. Parte attrice, inoltre, contribuendo all'arredo della comune
abitazione (di proprieta' del solo convenuto),  acquistava  un  letto
per euro 2.950,00, con assegni del 18 aprile 2009  e  del  28  maggio
2009, e un armadio per euro 3.600,00 il 6 aprile 2011. 
    1.5. La coppia, dopo aver trascorso insieme oltre un decennio  di
vita comune, caratterizzata anche da intensa condivisione di progetti
esistenziali fra i quali il desiderio di mettere al mondo dei  figli,
non  realizzatosi  in  ragione  di  tre  interruzioni  di  gravidanza
avvenute per cause naturali fra il 2009 e il 2012, entrava  in  crisi
nel novembre del 2015. Il tentativo di salvare la  coppia  naufragava
definitivamente il 3 novembre 2016, quando il convenuto metteva  alla
porta la compagna dalla casa comune. 
    1.6.  Sin  dall'interruzione  della  convivenza,  parte   attrice
provvedeva  a  richiedere  la  restituzione  di  quanto  prestato  al
convenuto  e  di  quanto  per  conto   di   questi   pagato.   Stante
l'inadempimento, inviava quindi a quest'ultimo una prima raccomandata
il 30 giugno 2017 chiedendo la restituzione  di  euro  63.713,00,  di
ulteriori euro 11.000 relativi all'acquisto di un gommone e dei  beni
personali rimasti all'interno  della  casa  del  Giallombardo,  prima
destinata a comune abitazione. Tale richiesta  veniva  reiterata  con
raccomandata del 12 luglio 2018, alla  quale  faceva  seguito  il  15
novembre  missiva  del  legale  di  parte  attrice   avente   analogo
contenuto. 
    L'ulteriore inerzia di Giallombardo  spingeva  parte  attrice  ad
adire questo Tribunale. 
    1.7. Si costituiva in giudizio il convenuto, il  quale  in  primo
luogo, riconosceva di aver ricevuto la somma  di  euro  63.713,00  da
parte attrice e che tale trasferimento fosse  avvenuto  a  titolo  di
mutuo.  Veniva  riconosciuta,  altresi',  la  scrittura  privata   di
riconoscimento del debito da questo sottoscritta  in  data  16  marzo
2006. Eccepiva, tuttavia,  l'intervenuta  prescrizione  del  relativo
diritto di credito restitutorio. Medesima eccezione veniva  sollevata
con  riferimento  ai  crediti  restitutori  relativi   ai   pagamenti
effettuati per l'acquisto dei gommoni per la somma,  rispettivamente,
di euro 11.000,00 ed euro 3.000,00. Quanto alle ulteriori domande, il
convenuto contestava la  prova  di  alcuni  pagamenti,  rilevava,  in
generale, che essi dovessero essere qualificati come  adempimenti  di
obbligazioni naturali (soggetti a soluti retentio)  e  che,  in  ogni
caso,  i  relativi  crediti   andrebbero   dichiarati   estinti   per
compensazione  a  fronte  delle  ingenti  spese  sostenute   per   il
sostentamento del menage familiare. 
    1.8. Parte convenuta contestava, infine, che l'interruzione della
relazione si collocasse, temporalmente, nel novembre 2016, atteso che
la coppia si  era  lasciata  definitivamente  nel  giugno  2016,  pur
rimanendo separata in casa sino al successivo mese di novembre. 
    1.9.  La  causa,  istruita  documentalmente  e   mediante   prova
testimoniale, e' stata trattenuta in  decisione  all'udienza  del  17
dicembre 2024, assegnando alle parti i termini di  cui  all'art.  190
del codice di procedura civile. 
    E'  stata  poi  rimessa  sul  ruolo  al  fine  di   attivare   il
contraddittorio tra le parti in merito alla questione di legittimita'
costituzionale che oggi si solleva, trattandosi di questione rilevata
d'ufficio. 
 
                        Osservato in diritto 
 
    2. Ai fini del decidere e' rilevante  la  disciplina  dettata  in
materia di cause di sospensione della  prescrizione  dei  diritti  in
ragione della relazione esistente fra il titolare del  diritto  e  il
soggetto passivo e, in particolare, le regole sancite dagli  articoli
2941, n. 1, del codice civile e (occorrendo) 1 comma 18  della  legge
20 maggio 2016, n. 76 in relazione alla sospensione del  termine  tra
coniugi e uniti civilmente. 
    2.1. L'erogazione della somma  di  euro  63.713,00  da  parte  di
Elisabetta Santi a favore di  Marco  Giallombardo  va  infatti  senza
dubbio ricondotta allo schema  del  contratto  di  mutuo.  La  natura
titolata della - pacifica tra le parti - ricognizione di  debito  del
16 marzo 2006, ove si fa riferimento ad un «prestito», e l'impegno di
Marco Giallombardo a restituire  la  somma  di  denaro  a  Elisabetta
Santi, per di piu' indicizzando il quantum da  restituire  all'indice
di incremento  annuo  del  valore  degli  immobili  registrato  nella
provincia di Firenze, rende impossibile una  diversa  qualificazione.
L'atto del 16 marzo 2006, infatti, e' idoneo ex art. 1988 del  codice
civile a produrre un'astrazione processuale della causa del  rapporto
fondamentale, dispensando il creditore dal normale  onere  probatorio
circa l'esistenza del proprio titolo, pur consentendo al debitore  di
contrastare la presunzione mediante la prova del deficit causale.  Si
tratta di una prova contraria mai fornita dall'odierno convenuto,  il
quale, al contrario, non ha mai negato, ma  anzi  ha  confermato,  di
aver ricevuto quella somma a titolo  di  mutuo  e  di  essere  tenuto
quindi alla sua restituzione. 
    Inoltre, nella stessa scrittura le parti,  a  conferma  ulteriore
della  pacifica  qualificazione   giudica   di   cui   sopra,   hanno
significativamente tenuto a specificare, al fine di escludere che  la
dazione di denaro fosse sorretta da  animus  solvendi,  o  che  fosse
giustificata  da  animus  donandi,  che   «il   sottoscritto   (Marco
Giallombardo) dichiara altresi' che l'obbligazione di cui  sopra  non
rientra nel novero di quelle di cui all'art. 2034 del codice civile». 
    In assenza di altro documento comprovante o inglobante il  titolo
contrattuale, in particolare, bisogna ritenere che le  parti  abbiano
concluso il contratto di mutuo  oralmente  e  che  solo  la  relativa
obbligazione restitutoria  sia  stata  in  seguito  riconosciuta  per
iscritto dal convenuto. 
    2.2. Dal titolo, dall'atto di  ricognizione  di  debito  e  dalle
allegazioni delle parti non e' possibile ricavare un termine previsto
per  l'adempimento  dell'obbligazione  restitutoria  incombente   sul
Giallombardo. Soccorre l'art. 1817 del codice civile (ricalcante  per
molta parte, in sede di mutuo, la  supplenza  giudiziale  sancita  in
generale dall'art. 1183 del codice  civile),  il  quale  consente  al
mutuante di ricorrere al  giudice  affinche'  fissi  il  termine  per
l'adempimento. 
    L'eventuale spostamento in avanti del termine di  adempimento  ad
opera del giudice non incide, tuttavia, sul decorso  del  termine  di
prescrizione. Il diritto vivente in materia e' risalente e  granitico
nel sostenere che «condizione necessaria  e  sufficiente  perche'  la
prescrizione decorra e' che  il  titolare  del  diritto  pur  potendo
esercitarlo si astenga da tale esercizio, rilevando peraltro  a  tale
fine solo la possibilita' legale e non influendo per contro, salve le
eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilita' di fatto  di  agire
in cui il detto titolare venga a trovarsi (Cass., 3 giugno  1997,  n.
4939). Il diritto di credito,  ancorche'  non  ancora  esigibile  per
mancata fissazione del  tempo  dell'adempimento,  da  stabilirsi  per
accordo delle parti, puo'  essere  esercitato,  in  caso  di  mancato
accordo, attraverso il ricorso del creditore al giudice ex art.  1183
del codice civile, comma 2, con  la  conseguenza  che  l'inerzia  del
creditore  -  ossia  la  mancanza  del  ricorso  giudiziale  o  della
sollecitazione al debitore - determina il decorso della  prescrizione
ex art. 2935 del codice civile fin dal momento in cui il  diritto  e'
sorto (Cass., 14 marzo 1986, n. 1731)»  (Cass.  Civ.,  Sez.  III,  19
giugno 2009, n. 14345).  Pertanto,  ancorche'  non  sia  previsto  un
termine per  la  restituzione  della  somma  mutuata,  incombendo  al
mutuante l'onere di attivare la procedura di cui  all'art.  1817  del
codice civile, quale presupposto per  l'azione  di  restituzione,  il
corso  della  prescrizione  decorre  dal  giorno  della  stipula  del
contratto di mutuo  (cfr.  Cass.  Civ.,  Sez.  I,  15  gennaio  2020,
ordinanza n. 732), ovvero dal successivo atto  interruttivo  che  sia
tempestivo. 
    2.3.  Tanto  premesso,  nel  caso   di   specie   l'ultimo   atto
interruttivo utile che emerge dall'istruttoria e' quello del 16 marzo
2006, quando il debitore ha come detto riconosciuto il proprio debito
(art. 2944  del  codice  civile);  pertanto,  tale  credito  andrebbe
dichiarato   estinto   per   l'utile   eccezione   di    prescrizione
tempestivamente  formulata  dal   convenuto.   Gli   ulteriori   atti
astrattamente interruttivi compiuti dalla creditrice tra il 2017 e il
2020 risulterebbero, cosi', tardivi, in  quanto  realizzati  dopo  lo
spirare del termine di prescrizione, ossia dopo il 16 marzo 2016. 
    L'applicazione  dell'attuale   disciplina   legale   comportera',
dunque, l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione  sollevata  dal
convenuto e, conseguentemente, il rigetto  di  alcune  delle  domande
restitutorie formulate dall'attrice, e cio' atteso che  l'ordinamento
non assume la stabile convivenza con  vincolo  di  affettivita'  come
causa di sospensione del termine di prescrizione. 
    Se la disciplina dettata dagli articoli  2941  n.  1  del  codice
civile  e  1,  comma  18,  legge  n.  76/2016  (per  quanto,  occorre
osservare, l'entrata in vigore della  predetta  disciplina  si  ponga
nella parte terminale della relazione more uxorio intercorsa  tra  le
parti)  fosse  applicabile  al  caso  di  specie,  il   corso   della
prescrizione risulterebbe invece sospeso sin dall'origine del diritto
di credito per cui e' causa, poiche' sorto in costanza di convivenza,
fino al giugno/novembre del 2016. Cosi' individuato il dies a quo  da
cui  calcolare  il  termine   prescrizionale   ordinario,   sarebbero
tempestivi gli atti interruttivi realizzati prima di tale periodo  da
parte attrice, a seguito della cessazione  della  relazione  e  della
convivenza. 
    Ed infatti, non vi e' dubbio che le due parti  in  causa  fossero
definibili in termini di «conviventi  di  fatto»,  intendendosi  come
tali «due persone maggiorenni unite stabilmente da  legami  affettivi
di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale (figura  ormai
anche normativamente riconosciuta: art. 1, comma 36, della  legge  n.
76 del 2016). Come esposto nella parte in fatto, essi  infatti  hanno
per lunghi anni coltivato un progetto di vita comune,  caratterizzato
da stabile convivenza e coabitazione nonche' dal concreto e  ripetuto
tentativo, pur non riuscito, di procreare. 
    2.4. Ne consegue che il giudizio  principale  non  e'  definibile
indipendentemente    dalla    risoluzione    della    questione    di
costituzionalita', rilevata d'ufficio, degli articoli 2941 n.  1  del
codice civile e (occorrendo)  1,  comma  18,  legge  n.  76/2016,  in
relazione agli articoli 2 e 3 della Costituzione nella parte  in  cui
non parificano, ai  fini  della  sospensione  della  prescrizione,  i
soggetti  stabilmente  conviventi  con  vincoli  di  affettivita'  ai
coniugi  e  agli  uniti  civilmente  e,  comunque,  per  contrariera'
all'art.  3   della   Costituzione   in   ragione   della   manifesta
irrazionalita'  della  scelta  legislativa   di   non   disporre   la
sospensione della prescrizione fra conviventi  stabili  e  legati  da
vincoli di affettivita', pur in presenza di interessi  meritevoli  di
protezione (art. 8-9 Cedu). 
    Di qui la rilevanza della questione. 
    3.  In  verita'  una  questione  di  legittimita'  costituzionale
sull'art. 2941, n.  1  del  codice  civile,  per  contrasto  con  gli
articoli  2  e   3   della   Costituzione,   nella   parte   in   cui
irragionevolmente  esclude  la  sospensione  della  prescrizione   in
costanza di stabile convivenza, e' gia' stata prospettata alla  Corte
costituzionale e da questa dichiarata infondata con sentenza n. 2 del
1998. Tuttavia il mutamento del contesto sociale e valoriale, da  una
parte,  e   l'evoluzione   dell'ordinamento   giuridico   sul   piano
legislativo,  costituzionale  e  sovrannazionale,  dall'altra,  hanno
fatto emergere ulteriori e piu' pregnanti elementi che  il  Tribunale
ritiene  debbano  essere  sottoposti  al   vaglio   di   legittimita'
costituzionale. 
    Il  rigetto  della  precedente  questione  di  costituzionalita',
sollevata dal Tribunale di Bolzano con ordinanza del 3  maggio  1996,
e' motivato, anzitutto, a partire dall'inadeguatezza  della  famiglia
legittima a fungere da valido tertium comparationis per  la  famiglia
di mero fatto, attesa  la  disciplina  legale  e  la  stabilita'  del
rapporto che connotano la prima, e non anche la seconda. 
    Il quadro di riferimento e' tuttavia radicalmente mutato sia  dal
punto di vista sociale che dal punto di vista normativo. 
    Di tali radicali mutamenti, del resto, ha dato piu' volte atto la
stessa Corte costituzionale, da ultimo con la decisione  n.  148  del
2024, che in questa sede integralmente si richiama. 
    3.1.  L'accostarsi  alla  questione  dello  standard  di   tutela
costituzionale  della  famiglia  impone  sempre   all'interprete   di
confrontarsi con concetti di chiara matrice  sociale  e  sociologica,
quali il costume sociale, la cultura e la coscienza sociale (concetti
ampiamente evocati dalla giurisprudenza  costituzionale;  cfr.  Corte
costituzionale, sentenze n. 1 del 2022, n. 221 del 2019 e n. 174  del
2016). Da questo confronto e dalla relativa analisi pare emergere una
dequotazione sociale delle differenze  intercorrenti  fra  coniugi  e
conviventi stabili. E' chiaro, sotto questo profilo, come  l'istituto
matrimoniale  -  oggetto  di  primaria  tutela  nell'art.  29   della
Costituzione, non rappresenti piu' l'unico strumento per i consociati
per dare rilievo giuridico ad un'unione familiare e  neppure  l'unico
congegno  per  fondare  una  famiglia  dotata  del  carattere   della
stabilita'. 
    3.2. Alla luce di cio' la giurisprudenza,  civile  e  penale,  di
merito e  di  legittimita',  ha  avviato  un'opera  di  rivisitazione
interpretativa di plurimi istituti e disposizioni legislative al fine
di  affermare  interpretazioni  estensive  o  coltivare  applicazioni
analogiche  (ove  consentite),  in  guisa  da  equiparare  coniugi  e
conviventi di fatto. Cio' appunto allo scopo di elidere irragionevoli
disparita' di trattamento, incompatibili con la Carta costituzionale,
di fronte a disposizioni di legge dettate ad altri  fini,  ossia  con
finalita' diverse da quelle  di  regolazione  del  rapporto,  ma  che
assumevano il  rapporto  affettivo  sottostante  al  matrimonio  come
elemento e ratio della produzione di un certo effetto giuridico. 
    Il  riferimento  va,  in  primo  luogo,  alla  giurisprudenza  di
legittimita' (Cass. Pen., Sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 20647) che  ha
equiparato, peraltro in malam partem, i  conviventi  more  uxorio  ai
membri della famiglia ai fini dell'applicabilita' dell'art.  572  del
codice penale (prima della modifica del testo in senso  estensivo  da
parte dell'art. 4 della legge 1° ottobre 2012, n. 172). 
    In secondo luogo, la giurisprudenza delle Sezioni  Unite  ha,  in
definitiva,  applicato  analogicamente  agli  stabili  conviventi  la
scusante che l'art.  384  del  codice  penale  riserva  ai  «prossimi
congiunti»,  pur  in  presenza  di  una  norma  definitoria,  sancita
dall'art. 307, comma IV del codice penale, che escludeva  chiaramente
detti conviventi dal concetto di prossimo congiunto (Cass. Pen., Sez.
Un.,  26  novembre  2020,  n.  10381).  In  terzo   luogo   si   veda
l'orientamento costante in tema di ammissione al patrocinio  a  spese
dello Stato, ove la giurisprudenza  di  legittimita'  computa  tra  i
redditi dei familiari anche quello del convivente  (cfr.  Cass.  Civ.
Sez. IV, 26 ottobre 2005, n. 109). Infine, e' il caso  di  rammentare
il pacifico orientamento che ha sancito  una  equiparazione  completa
del convivente stabile al coniuge in tema di risarcimento  del  danno
patito dalla c.d. «vittima  secondaria»,  ossia  per  la  lesione  da
perdita del rapporto parentale. Anche le  tabelle  elaborate  in  via
pretoria e  costantemente  seguite  dalla  giurisprudenza  di  merito
attribuiscono  il  medesimo  valore  del  cd.  «punto  base»  per  la
liquidazione del danno  non  patrimoniale  da  lesione  del  rapporto
parentale quando a morire sia il coniuge  e  il  convivente  stabile;
cio' dimostra, anche in una materia ove si  fa  specifica  attuazione
del principio dell'equita' (art. 1226 del codice  civile,  richiamato
in sede aquiliana dall'art. 2056 del codice civile)  e,  dunque,  del
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, che il
rapporto affettivo non puo'  essere  distinto  per  l'essere  o  meno
rivestito dal vincolo matrimoniale. 
    L'espansione della nozione di famiglia, volta a ricomprendere  in
se'  qualsiasi  consorzio  di  persone  tra  le  quali,  per  strette
relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di  assistenza
e di solidarieta' per un apprezzabile periodo di tempo, nel rispetto,
dunque, anche delle istanze di liberta' della  persona  nella  scelta
del tipo di famiglia da fondare e di cui far parte, e' stata ispirata
anche dalle fonti sovranazionali. Sebbene,  infatti,  la  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo non pare possa essere  in  questa  sede
invocata come autentico parametro interposto ai sensi dell'art.  117,
comma I, della Costituzione, in ragione del margine di  apprezzamento
che  la  giurisprudenza  di  Strasburgo  riconosce   ai   legislatori
nazionali in materia di regolamentazione dei menage familiari, questa
fonte ha un rilievo nel porre in luce la  disparita'  di  trattamento
che  si  va  censurando.  L'art.  8  Cedu,  come  interpretato  dalla
giurisprudenza convenzionale, infatti, accoglie senza dubbio nel  suo
perimetro di tutela  tutti  i  legami  di  fatto,  caratterizzati  da
affettivita' e pregnanza,  fondati  su  una  stabile  convivenza;  la
famiglia, secondo l'impostazione europea, e' dunque quella  legittima
(legale), quella naturale e quella di fatto,  socialmente  equiparata
alle altre forme di famiglia (cfr., Corte EDU, 13 giugno 1979, Marckx
c. Belgio; Corte EDU, 26 maggio 1994, Keegan c. Irlanda; Corte EDU, 5
gennaio 2010, Jaremowicz c.  Polonia;  Corte  EDU,  27  aprile  2010,
Moretti e Benedetti c. Italia; Corte EDU, 24 giugno 2010, Schalk  and
Kopf c. Austria; Corte EDU,  21  luglio  2015,  Oliari  ed  altri  c.
Italia). 
    Ulteriore significativa fonte e' rappresentata  dalla  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea  (approvata  dal  Parlamento
europeo il 14 novembre 2000, formalmente proclamata a  Nizza  il  7-8
dicembre 2000 e giuridicamente equiparata ai Trattati ex art. 6, par.
1, TUE). 
    L'art.   9 -   differenziandosi   da   comparabili   disposizioni
sovrannazionali e internazionali - sancisce separatamente il  diritto
di fondare una famiglia e il  diritto  di  sposarsi,  svincolando  la
nozione eurounitaria di  famiglia  dall'istituto  matrimoniale.  Cio'
consente di ritenere le altre norme comunitarie espresse  a  garanzia
della famiglia riferite ad ogni forma di famiglia, anche se sguarnita
del vincolo coniugale. In questo senso, di centrale rilievo e' l'art.
33 CDFUE, a  mente  del  quale  «e'  garantita  la  protezione  della
famiglia sul piano giuridico, economico e sociale». 
    Da cio' puo' dedursi che il tradizionale monopolio del matrimonio
nell'ambito della tutela giuridica della famiglia abbia  lasciato  il
passo ad  un  nuovo  paradigma,  per  il  quale  tutte  le  forme  di
convivenza stabile, connotate da significativi rapporti  affettivi  e
da condivisione di  un  progetto  di  vita  comune,  godono  di  pari
dignita',  salva  una  puntuale  e   diversa   regolamentazione   del
matrimonio, inteso come atto e  come  rapporto  giuridico.  Non  pare
ammissibile, pertanto, una  disparita'  di  trattamento  allorche'  a
venire in rilievo sia una norma che assume, specie  alla  luce  della
sua  ratio  legis,  ad  elemento  costitutivo  della  fattispecie  il
rapporto di fatto sottostante  intercorrente  tra  partner;  cio'  e'
quanto avviene nel caso della  sospensione  della  prescrizione,  ove
l'impedimento soggettivo a compiere atti interruttivi del termine  si
fonda su ragioni sostanziali e non meramente formali. 
    3.3. Sul piano generale, la differente disciplina applicabile  ai
coniugi e ai conviventi e' stata giustificata, in  alcune  occasioni,
da risalente giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sentenze  n.
121 del 2004, n. 8  del  1996  e  n.  2  del  1998)  evidenziando  il
carattere della stabilita' del vincolo coniugale, non equiparabile ad
alcun altro vincolo di affettivita' fra partner. Tali  pronunciamenti
non appaiono piu', tuttavia, del tutto attuali in ragione del  mutato
contesto normativo. 
    In primo luogo «la stabilita' del rapporto, con  il  venire  meno
dell'indissolubilita'  del  matrimonio,  non  costituisce  piu'   una
caratteristica assoluta e inderogabile ed  anzi  spesso  caratterizza
maggiormente unioni non fondate sul matrimonio» (Cass. Pen., Sez. II,
30 aprile 2015, n. 34147). La  perdita  di  stabilita'  dello  status
coniugale, del resto, non e' tanto e solo il frutto dell'introduzione
nell'ordinamento italiano dell'istituto del  divorzio  (il  quale  ha
origini ormai risalenti  nel  tempo),  ma  e'  il  risultato  di  una
accentuata facilitazione della cessazione degli  effetti  civili  del
matrimonio, coerentemente col mutare del sentire sociale. In disparte
il problema della tutela della prole  (il  quale  si  pone  parimenti
anche  per  le  coppie  non  coniugate)   e   porgendo   lo   sguardo
esclusivamente sul vincolo coniugale, l'accesso al divorzio e'  stato
oggetto  di  una  progressiva  semplificazione:  i  coniugi   possono
procedere a separazione e divorzio mediante negoziazione assistita  o
accordo concluso innanzi all'ufficiale di stato civile (articoli 6  e
12,  decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  132,   convertito   con
modificazioni dalla legge  10  novembre  2014,  n.  162;  oggetto  di
significativo ampliamento per mezzo della legge 26 novembre  2021  n.
206), avendo assunto il controllo giudiziale  carattere  eventuale  e
sussidiario; quanto al fattore temporale, da una parte il legislatore
ha  ridotto  sensibilmente  il   tempo   che   necessariamente   deve
intercorrere tra la separazione dei coniugi  e  la  cessazione  degli
effetti civili del matrimonio (da tre anni a  sei  mesi  in  caso  di
separazione  consensuale  e  ad  un  anno  in  caso  di   separazione
giudiziale);  dall'altra,  ha  da  ultimo  consentito   di   proporre
congiuntamente la domanda  giudiziale  di  separazione  e  quella  di
divorzio  (art.  473-bis.49.  del  codice   di   procedura   civile),
garantendo particolare speditezza alla procedura di scioglimento  del
vincolo coniugale. 
    In secondo luogo, il connotato della stabilita' non  e'  estraneo
ad altri moduli familiari. Anche l'unione civile  fra  persone  dello
stesso sesso infatti, sebbene non conosca in fase di  cessazione  una
fase di «quiescenza» dello status  para-coniugale  assimilabile  alla
separazione fra coniugi, non appare affatto sguarnita di  stabilita',
attesa la pregnanza dei doveri patrimoniali e  non  patrimoniali  che
dall'unione discendono sulle parti. Ne e' testimone la sentenza n. 66
del  2024  della  Corte  costituzionale  la  quale,   ancorche'   non
rappresenti una pronuncia simmetrica alla sentenza n. 170  del  2014,
sancisce  l'illegittimita'  costituzionale  dello  scioglimento,   de
plano, del vincolo  fra  le  parti  dell'unione  civile  in  caso  di
rettificazione di sesso di uno degli uniti. 
    Non potrebbe, peraltro, utilmente  obiettarsi  che  la  peculiare
stabilita'  del  rapporto  coniugale  trovi  la  sua  giustificazione
nell'obbligo di fedelta', non previsto per le altre forme  familiari.
La dottrina, gia' in sede di primo  commento  alla  legge  20  maggio
2016, n. 76 (regolamentazione delle unioni civili tra  persone  dello
stesso sesso e disciplina delle convivenze), ha  avuto  occasione  di
svalutare la rilevanza giuridica di questa mancata previsione. Da una
parte e' stato osservato che, poiche'  la  fedelta'  e'  sempre  piu'
intesa come sinonimo di fedelta' morale e  assistenziale,  mantenendo
invece un secondario  rilievo  la  componente  di  fedelta'  sessuale
legata al momento riproduttivo, e' innegabile  che  anche  gli  altri
tipi familiari conoscano, ancorche' con  diversita'  di  accenti,  un
dovere di fedelta'. Dall'altra, si e' evidenziato che non e' impedito
ai partner non coniugati di concludere negozi  personali,  espressivi
di un libero e  revocabile  consenso,  che  sanciscano  fra  loro  un
autentico e pregnante dovere di fedelta'. 
    Ad ogni buon conto, a ben riflettere,  tutti  i  tipi  di  menage
familiare godono del connotato della  stabilita',  in  quanto  questa
rappresenta   un   elemento   costitutivo   della   famiglia,   della
«fattispecie familiare»: in altri termini, senza stabilita' non  v'e'
rapporto familiare. 
    Il vincolo matrimoniale, senza dubbio, appare  quello  dotato  di
maggior resistenza e, quindi, risulta il piu' stabile nel novero  dei
vincoli  fra  partner;  tuttavia,  il   solo   dato   dell'accentuata
stabilita' del rapporto non puo' costituire  un  valido  e  dirimente
argomento per negare una equiparazione fra coniugi  e  conviventi  in
tema di sospensione della prescrizione. 
    Lo stesso legislatore mostra di  non  considerare  piu'  il  dato
della eccezionale stabilita' coniugale quale  elemento  essenziale  a
giustificare la sospensione della prescrizione atteso che  l'art.  1,
comma 18, legge n. 76/2016 estende la disciplina dell'art.  2941  del
codice civile alle parti dell'unione civile, disponendo  che  tra  di
queste il corso della prescrizione resti sospeso. 
    3.4. Ad ulteriore testimonianza del  mutato  contesto  sociale  e
normativo rispetto a quello innanzi al quale si ebbe a pronunciare la
Corte costituzionale con la sentenza n. 2 del 1998, si pensi al  caso
della sospensione della prescrizione fra coniugi separati. Forte  del
tenore  testuale  dell'art.  2941  n.  1   del   codice   civile   la
giurisprudenza piu' risalente (Cass. Civ., Sez. I, 19 giugno 1971, n.
1883) applicava la citata causa  di  sospensione  della  prescrizione
anche all'ipotesi di  coniugi  legalmente  separati.  La  carenza  di
giustificazione aveva indotto parte della giurisprudenza  a  dubitare
della legittimita' costituzionale della norma in parola; nondimeno la
Corte  costituzionale,  sull'assunto  che  in  caso  di   separazione
personale lo status coniugale non viene meno, ma si attenua  o  entra
in una sorta di fase di quiescenza, ha ritenuto  non  irrazionale  la
scelta legislativa per come interpretata nell'allora diritto  vivente
(Corte  cost.,  sentenza  n.  35   del   1976).   Ciononostante,   la
giurisprudenza di legittimita' in tempi piu' recenti  ha  iniziato  a
revocare in dubbio la coerenza  di  quell'interpretazione  letterale,
giungendo ad affermare un  netto  revirement  nel  2014.  La  Suprema
Corte, infatti, pur al cospetto del citato e risalente pronunciamento
del Giudice delle leggi, ha espunto in via interpretativa  i  coniugi
separati dal campo di applicabilita' dell'art. 2941 n. 1  del  codice
civile, evidenziando come debba «prevalere sul  criterio  ermeneutico
letterale  un'interpretazione   conforme   alla   ratio   legis,   da
individuarsi tenuto conto dell'evoluzione  della  normativa  e  della
coscienza sociale e, quindi,  della  valorizzazione  delle  posizioni
individuali dei membri della  famiglia  rispetto  alla  conservazione
dell'unita' familiare [...]. Nel regime di separazione, infatti,  non
puo' ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in  giudizio  il
coniuge, collegata al timore di turbare l'armonia familiare,  poiche'
e' gia' subentrata una crisi conclamata e sono gia' state esperite le
relative azioni giudiziarie [...] (Cass., n.  7981/14;  ordinanza  n.
18078/14; n. 8987/16)» (cosi', Cass. Civ., Sez. I, 14 dicembre  2018,
ordinanza n. 32524). 
    Alla luce della ratio legis e del profondo  mutamento  sociale  e
normativo che ha coinvolto il fenomeno della famiglia, l'esigenza  di
non  turbare  l'armonia  familiare  mediante  l'imposizione  di  atti
interruttivi  della  prescrizione,  aventi  per  lo  piu'   carattere
contenzioso, non puo' che sussistere identica anche in relazione alle
famiglie di fatto. Non vi e' alcuna differenza, sotto questo profilo,
fra una coppia di sposati e una coppia di stabili  conviventi:  tutti
patiscono equamente  la  riluttanza  nel  convenire  in  giudizio  il
proprio partner (o anche solo prospettare una simile possibilita'). 
    Tanto e' vero che nel caso di specie, ed in pratica  in  tutti  i
casi similari,  gli  atti  interruttivi  della  prescrizione  vengono
significativamente  posti  in  essere  (soltanto)   all'esito   della
cessazione della convivenza more uxorio e della coabitazione. 
    Quale che sia il modello familiare, l'esigenza  di  conservazione
dell'unita' familiare ha  pari  dignita'  sociale,  costituzionale  e
sovranazionale e quindi pretende la medesima disciplina. 
    4. Un ultimo vaglio di merito circa la legittimita' della opzione
legislativa di escludere la convivenza di fatto fra le situazioni che
danno luogo a sospensione della prescrizione deve essere condotto con
riferimento al tema della certezza dei rapporti giuridici cui  fa  da
contraltare, per quel che in questa sede rileva, la certezza circa le
cause di sospensione della prescrizione,  come  evocato  anche  dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 2 del 1998. 
    4.1.  Tale  certezza  non  sussisterebbe  con  riferimento   alle
convivenze di fatto,  poiche'  tanto  l'avvio  quanto  l'interruzione
della convivenza familiare sono connotati da elementi, si' oggettivi,
ma privi di qualunque formalismo (salvo quanto potrebbe dirsi per  le
cd.  convivenze  registrate,  come  successivamente  introdotte   dal
legislatore). Cionondimeno, l'estensione della sospensione  anche  ai
conviventi non appare affatto in contrasto con la ratio dell'istituto
della prescrizione, la quale rende chiaro come le esigenze di evitare
vincoli perpetui e di assicurare certezza nelle relazioni  giuridiche
siano prevalenti sull'istanza di conservazione della sfera  giuridica
patrimoniale del titolare del  diritto  solo  allorche'  quest'ultimo
ometta di compiere atti di  esercizio  del  diritto  per  sostanziale
disinteresse. 
    Il mancato esercizio del diritto non puo' mai  essere  espressivo
di suddetto disinteresse nell'ipotesi di impossibilita' giuridica  di
compiere atti d'esercizio del diritto  medesimo.  A  mente  dell'art.
2935 del codice civile, infatti, la prescrizione comincia a decorrere
dal giorno in  cui  il  diritto  puo'  essere  fatto  valere  e  tale
possibilita' e' stata intesa dalla giurisprudenza costante  solo  nel
senso di possibilita' giuridica, sicche' la prescrizione non  decorre
solo ove il titolare sia giuridicamente impedito  nell'esercizio  del
diritto (cfr. Cass. Civ.,  Sez.  L,  24  maggio  2021,  ordinanza  n.
14193). Cosi' delineata la regola generale,  il  legislatore  ha  poi
previsto alcune cause di sospensione della prescrizione  nell'ipotesi
in cui il titolare  del  diritto,  pur  giuridicamente  in  grado  di
esercitarlo, si trovi fattualmente o moralmente  ostacolato  nel  suo
esercizio  in  ragione  della  sussistenza  di   peculiari   rapporti
giuridici. Cosi', unanimemente la giurisprudenza qualifica le ipotesi
di sospensione  declinate  dall'art.  2941  del  codice  civile  come
eccezionali,   tassative   ed   insuscettibili   di   interpretazione
estensiva, avendo il  legislatore  selezionato  specificatamente  gli
impedimenti  soggettivi  rilevanti  ai  fini  della  sospensione  del
termine (cfr. Cass. Civ., Sez. VI-lav., 8 maggio 2018,  ordinanza  n.
11004; Cass. Civ., Sez. III, 6 ottobre 2014, n.  21026,  Cass.  Civ.,
Sez. I, 12 giugno 2007, n. 13765 Cass. Civ., Sez. L, 6 ottobre  2000,
n. 13310). Tale impostazione risulta confortata in dottrina,  nonche'
coerente con ulteriori indici normativi, fra i quali  particolarmente
significativo e' l'art. 247 disp. att. cod. civ. 
    Si tratta, dunque, di ipotesi selezionate  discrezionalmente  dal
legislatore. Tuttavia, nel  caso  dei  conviventi  stabili,  l'omessa
inclusione  fra  le  cause  di  sospensione   appalesa   un   impiego
irrazionale   della   potesta'   legislativa   e,   a   ben   vedere,
discriminatorio al cospetto delle  altre  ipotesi  omogenee  ad  essa
raffrontabili. 
    4.2. L'istituto della prescrizione e la disciplina delle cause di
interruzione e di sospensione del termine  prescrizionale,  anche  al
fine di garantire certezza nei rapporti giuridici, si giovano di dati
oggettivi temporalmente certi. Sovente tali dati sono rafforzati  dal
rilievo formale che  riveste  il  relativo  atto,  ma  questo  e'  un
elemento niente affatto essenziale. 
    Basti pensare all'ipotesi di cui  al  n.  8  dell'art.  2941  del
codice civile che, richiedendo la prova della sussistenza del dolo e,
soprattutto, del giorno della sua  scoperta,  dimostra  plasticamente
che il legislatore non richiede  come  elemento  indefettibile  delle
cause di sospensione la certezza ex ante del periodo di  sospensione,
da ricavare da dati formali. Inoltre  il  n.  7  dell'art.  2941  del
codice civile, come esteso dalla sentenza n. 262 del 2015 della Corte
costituzionale,  accoglie   ipotesi   di   sospensione   non   sempre
caratterizzate da elementi  formali.  La  disposizione,  infatti,  e'
stata dichiarata illegittima nella parte in cui non prevedeva che  la
prescrizione fosse sospesa tra la societa' in  nome  collettivo  e  i
suoi amministratori,  finche'  sono  in  carica,  per  le  azioni  di
responsabilita' contro di essi; sicche' anche il n. 7 diviene ipotesi
idonea ad essere applicata  ad  una  situazione  che  puo'  avere  un
esclusivo rilievo fattuale non formale, oggetto di normale  prova  in
giudizio, poiche' il citato tipo societario  puo'  costituirsi  anche
per facta concludentia (cd. s.n.c. di fatto), e  quindi  la  relativa
causa di sospensione dipende da elementi di fatto che  devono  essere
oggetto di accertamento. 
    Ancora in tema di diritti reali gli atti di esercizio del diritto
(che  producono   il   medesimo   effetto   dell'interruzione   della
prescrizione) si estrinsecano normalmente sul  piano  fattuale.  Puo'
farsi riferimento in via esemplificativa agli atti di  esercizio  del
diritto di servitu' prediale, che comportano il decorso ex  novo  del
termine di  prescrizione  in  ragione  di  meri  atti  di  passaggio,
espressivi dell'esercizio della facolta' di godimento  riconnesse  al
diritto   reale   minore.   Si   puo',   inoltre,    fare    menzione
dell'orientamento dottrinale e giurisprudenziale che, in  virtu'  del
principio di liberta' delle forme, ritiene non  necessaria  la  forma
scritta del riconoscimento di debito, il  quale  e'  atto  idoneo  ad
interrompere la prescrizione ex  art.  2944  del  codice  civile;  la
possibilita' di compiere oralmente un atto di ricognizione di  debito
e'  confortata  anche  dall'argomento   storico-diacronico,   poiche'
nell'attuale codice civile nessuna forma viene prescritta all'atto di
cui all'art. 1988 del codice civile,  mentre  nel  previgente  codice
civile del 1865, all'art. 1325, si richiedeva  la  forma  scritta  ad
substantiam. E' chiaro, allora, come il sistema ammetta pacificamente
atti che hanno l'effetto di azzerare il termine di  prescrizione  pur
avendo una dimensione eminentemente fattuale o pur  essendo  compiuti
oralmente. 
    Non si ravvisano, tuttavia,  serie  ragioni  per  distinguere  in
maniera  netta  queste  ipotesi  e  le  cause  di  sospensione  della
prescrizione. Al contrario,  se  gli  atti  che  comunque  comportano
l'inizio  di  un  nuovo  periodo  di  prescrizione   possono   essere
costituiti da atti privi di carattere formale  idoneo  ad  assicurare
certezza ex ante nel calcolo del termine prescrizionale,  a  fortiori
cio' dovrebbe poter valere per  l'istituto  della  sospensione  della
prescrizione, atteso che questa comporta  un  mero  congelamento  del
termine. 
    4.3. Non si ravvisa, pertanto, un'intima connessione tra  criteri
formali idonei a garantire certezza temporale della sospensione della
prescrizione e cause sospensive, sia alla luce di tutte le ipotesi di
sospensione  conosciute  dall'ordinamento,  nonche'  del  collaterale
istituto della interruzione della prescrizione,  sia  avuto  riguardo
alla stessa ratio giustificatrice  dell'estinzione  dei  diritti  per
decorso del termine  di  prescrizione.  L'estensione,  dunque,  della
disciplina  dell'art.  2941  del  codice  civile  all'ipotesi   delle
convivenze di fatto, postula un accertamento  giudiziale  sull'inizio
della stabile convivenza sorretta da vincolo di affettivita' e  sulla
cessazione di questa, che non appare incompatibile col  sistema.  Del
resto,  una  volta  accertato  che  il  credito  e'  sorto,   l'onere
probatorio del convivente-debitore  convenuto  in  giudizio  riguarda
solo   l'avvenuta    decorrenza    del    termine,    spettando    al
convivente-creditore, che abbia  agito  per  ottenere  l'adempimento,
dimostrare che prima che il termine spirasse fossero intervenuti atti
interruttivi o cause sospensive della prescrizione. Pertanto, in caso
di incertezza, in ossequio alle regole generale di cui all'art.  2697
del codice civile ricadrebbe sul convivente-creditore il  rischio  di
non aver dimostrato compiutamente l'esistenza e l'esatta durata della
convivenza; conseguentemente, ove permanga un dubbio  processualmente
rilevante sul momento di inizio e su quello di fine della convivenza,
il giudicante dovra' considerare sospeso il termine  di  prescrizione
solo  nel  segmento  temporale  in  cui  sia  certo  che  la  stabile
convivenza connotata da vincolo di affettivita' era effettiva. 
    4.4. Il tenore testuale dell'art. 2941 n. 1 del codice civile  (e
con esso, poi, dell'art. 1, comma 18, legge n. 76/2016)  produce  una
illegittima  discriminazione  fra  coniugi  (e  uniti  civilmente)  e
conviventi  poiche'  le  ragioni  che  giustificano  la   sospensione
intraconiugale  ricorrono  in  maniera  eguale   nei   rapporti   fra
conviventi. La ratio della norma  e'  quella  di  dare  rilievo  alla
sostanziale  inesigibilita'  di  comportamenti   interruttivi   della
prescrizione che si renderebbero necessari al  fine  di  tutelare  la
pienezza dei diritti che un coniuge vanta nei  confronti  dell'altro;
l'interruzione   del   termine,   infatti,   salva   l'ipotesi    del
riconoscimento del debito, si avrebbe solo con atti aventi  carattere
contenzioso (art. 2943 del codice civile) che, come  tali,  risultano
certamente in conflitto con il normale svolgersi delle  relazioni  di
convivenza familiare. In altri termini, e' al fine di scongiurare  il
rischio di imporre nei rapporti fra partner il compimento di atti  di
«frizione» o di contrasto, che il  legislatore  ha  disposto  che  il
termine prescrizionale non decorra in costanza di matrimonio, sicche'
anche in assenza di atti interruttivi i diritti vantati verso l'altro
risultino salvaguardati in caso  di  cessazione  del  rapporto.  Solo
quando la crisi della  coppia  sia  conclamata,  vi  sia  sostanziale
separazione e cessazione della affectio, allora puo' venire  meno  il
timore  di  turbare  l'armonia   familiare   e   diviene   nuovamente
pretendibile il compimento di atti interruttivi della prescrizione. 
    Appare dunque chiaro che quel che rileva non e'  tanto  la  veste
formale,    ma    la    consistenza    sostanziale    del    rapporto
affettivo-familiare che lega titolare del diritto e soggetto  passivo
dello stesso, caratterizzato da stabilita' e coabitazione. Si  tratta
di un rapporto che e' oggetto di  sicura  garanzia  costituzionale  e
sovranazionale e che appare omogeno ed indistinguibile a  prescindere
dalle formalita' del vincolo che lega le due persone.  E'  del  resto
ormai un dato acquisito nella giurisprudenza che vi  sia  sostanziale
identita' delle relazioni sentimentali, affettive  e  familiari,  fra
coniugi e fra conviventi (in questo senso, cfr. Cass. Pen., Sez. Un.,
26 novembre 2020, n. 10381). 
    Si ravvisa, pertanto, l'omogeneita'  delle  fattispecie  poste  a
raffronto e la pari riferibilita' alle stesse della ratio legis della
norma  censurata,  sicche'  l'esclusione  degli  stabili   conviventi
dall'ambito  applicativo  della  norma  denunciata  appare  priva  di
ragionevole giustificazione e, conseguentemente, lesiva del principio
di eguaglianza. 
    5. La violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione da parte
dell'omessa  previsione  della  sospensione  della  prescrizione  fra
conviventi appare, dunque, non manifestamente infondata. 
    5.1.   Non    e'    utilmente    esperibile    un'interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme censurate. 
    Pur al cospetto del sopraesposto orientamento  giurisprudenziale,
ascrivibile al diritto vivente,  che  esclude  rigidamente  non  solo
l'analogia, ma anche l'interpretazione estensiva dell'art.  2941  del
codice civile, si ritiene  non  impedito  tentare  un'interpretazione
estensiva  dell'art.  2941,  n.  1,  del   codice   civile   (ovvero,
occorrendo, dell'art. 1, comma 18, legge  n.  76/2016)  ove  cio'  si
dimostrasse  indispensabile  a  salvare  la  norma  censurata   dalla
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale.  Siffatto  percorso
esegetico, infatti, non entrerebbe in conflitto col  divieto  di  cui
all'art. 14 delle preleggi, il quale a fronte  di  norme  eccezionali
preclude chiaramente solo l'applicazione  analogica.  Tuttavia,  tale
tentativo si appalesa fallimentare,  poiche'  per  quanto  si  voglia
dilatare il concetto di coniuge (o  di  uniti  civilmente),  il  dato
letterale impedisce di considerare  ricompreso  in  tale  nozione  lo
stabile convivente, vista in particolare  l'assenza  in  quest'ultimo
caso del dato formale, che si e' detto essere caratterizzante  invece
i primi  rapporti  indicati.  Si  tratterebbe  di  un'interpretazione
adeguatrice praeter legem che,  alla  luce  del  carattere  tassativo
della norma, finisce per oltrepassare i  limiti  sanciti  dai  canoni
d'interpretazione,  costituendo  infine   un'interpretazione   contra
legem. 
    Per cui, solo un'applicazione analogica in  senso  proprio  della
disposizione sarebbe idonea a colmare  la  lacuna  costituzionalmente
inammissibile, ma  cio'  e'  escluso  sia  dal  diritto  vivente  che
dall'art. 14 delle preleggi, in presenza di norme eccezionali. 
    Risulta pertanto necessario l'interpello del Giudice delle leggi. 
    6. Anche ove si ritenesse che l'ipotesi dei coniugi (art. 2941 n.
1 del codice civile) e degli uniti  civilmente  (art.  1,  comma  18,
legge n. 76/2016) non rappresentino validi termini di comparazione al
fine  di  censurare,  sotto  questo  aspetto,   la   discrezionalita'
legislativa,  la   non   manifesta   infondatezza   della   questione
risiederebbe, in  via  subordinata,  nella  patente  irragionevolezza
intrinseca all'opzione legislativa, parimenti violativa  dell'art.  3
della Costituzione. 
    6.1.  L'art.  2  della  Costituzione,   laddove   garantisce   le
formazioni sociali familiari e i diritti dei singoli  all'interno  di
queste, impone al legislatore di rispettare  ad  un  tempo  l'armonia
familiare e le situazioni giuridiche soggettive di cui  i  componenti
sono  titolari.  La  mancata  sospensione  della   prescrizione   fra
conviventi onera il partner creditore a  compiere  atti  interruttivi
della prescrizione (intimazioni  ad  adempiere,  domande  giudiziali,
richieste al giudice di fissazione di un termine  per  l'adempimento,
etc.) che sono in grado di incrinare i rapporti familiari in  spregio
agli articoli 2 e 117, comma I, della Costituzione  (quest'ultimo  in
relazione all'art. 8 Cedu). 
    6.2. L'omissione legislativa impone  al  convivente-creditore  di
compiere  atti  quali   la   costituzione   in   mora   del   proprio
compagno-debitore  per   garantire   la   propria   sfera   giuridica
patrimoniale.  Si   tratta   di   un'opzione   irrazionale,   poiche'
l'intimazione ad adempiere e la costituzione in mora (ma lo stesso si
dica,  a  fortiori,  per  la  domanda  giudiziale)  interrompono   la
prescrizione perche' hanno l'effetto di contrastare quella  sorta  di
presunzione  di   tolleranza   del   creditore   circa   il   ritardo
nell'ottenimento della prestazione; solo ove tale presunta tolleranza
si protragga per  oltre  dieci  anni  il  diritto  puo'  considerarsi
prescritto in virtu'  del  consolidamento  nel  tempo  di  un  totale
disinteresse del suo titolare. 
    Nei rapporti di convivenza more uxorio tale presunzione non  puo'
valere. 
    Tra conviventi non puo' essere presunto  che  la  tolleranza  (id
est, l'omessa intimazione ad adempiere) sia sinonimo di  disinteresse
nella tutela del diritto da parte del  titolare.  Deve,  all'opposto,
presumersi - secondo l'id quod plerumque accidit - che l'omissione di
atti volti a compulsare l'adempimento del convivente-debitore sia  un
contegno volto a non compromettere la stabilita' e la  serenita'  del
nucleo familiare. Allora, se e' vero  che  la  ratio  degli  articoli
2941, n. 1, del codice civile (e poi dell'art. 1, comma 18, legge  n.
76/2016) e' quella  di  valorizzare  le  «posizioni  individuali  dei
membri  della  famiglia  rispetto  alla   conservazione   dell'unita'
familiare» (Cass. Civ., Sez. I, 14 dicembre 2018, ordinanza n. 32524)
e se e' parimenti vero che l'istanza di conservazione della comunita'
familiare  ha  pari  consistenza  costituzionale  a  prescindere  dal
vincolo coniugale (articoli 2 e 117,  comma  I,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 8 Cedu, nonche' articoli  9  e  33
CDFUE), risulta costituzionalmente incompatibile l'omessa  previsione
in tali casi di un istituto che  e'  idoneo  a  salvaguardare  questi
valori. 
    6.4.  L'attuale  quadro  normativo  e'  idoneo   ad   incentivare
comportamenti antisociali e, comunque, incongrui ed incoerenti con il
normale sviluppo delle relazioni familiari. Da un canto, infatti, non
beneficiando della sospensione della prescrizione dei  suoi  diritti,
un membro della coppia convivente potrebbe  essere  disincentivato  o
intimorito dal  fornire  a  prestito  risorse  economiche  importanti
all'altro, il quale potrebbe trovarsi in  condizioni  di  difficolta'
finanziaria  o,  al  contrario,  di  cogliere  importanti   occasioni
d'affare. Dall'altro, l'omissione  legislativa  potrebbe  incentivare
condotte  da  parte  del  convivente-debitore  ai  danni  dell'altro,
ritardando  l'adempimento  delle  proprie   obbligazioni   confidando
nell'omissione  di  formali  atti   interruttivi   del   termine   di
prescrizione da parte del convivente-creditore. La famiglia di  fatto
potrebbe giungere persino a disgregarsi,  come  non  di  rado  accade
anche per questioni soltanto patrimoniali, per effetto del  clima  di
tensione che la necessita' di far valere il proprio diritto, pena  la
sua prescrizione, oppure la sostanzialmente  necessitata  rinuncia  a
farlo (con conseguenti rancori inespressi) potrebbe innescare  tra  i
conviventi. 
    Tali  condotte  si  pongono  in  contrasto  con   i   valori   di
solidarieta' sociale, di  solidarieta'  familiare  e  di  corretto  e
pacifico sviluppo delle relazioni familiari (articoli 2,  117,  comma
I, 8 Cedu), senza che a sminuire la  valenza  della  questione  possa
essere il carattere patrimoniale  dei  diritti  in  gioco,  visto  il
riflesso evidenziato che simili questioni possono avere sulla  stessa
famiglia, come oggetto di tutela da parte della Costituzione e  della
disciplina sovranazionale. 
    7.  Ritenuta  la  questione  rilevante   e   non   manifestamente
infondata,  esperito  inutilmente  il  tentativo  di  interpretazione
adeguatrice della norma censurata, non rimane dunque che rimettere la
questione alla Corte costituzionale. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 ss.  legge  n.  87
del 1953,  ritenuta  la  questione  rilevante  e  non  manifestamente
infondata, 
    solleva questione di legittimita' costituzionale della  norma  di
cui agli articoli 2941 n. 1 codice civile e (occorrendo) 1 comma  18,
legge 20 maggio 2016, n. 76 nella parte in cui non prevedono  che  la
prescrizione dei diritti sia sospesa anche fra conviventi  stabili  e
legati,  fra  loro,  da  vincolo  di  affettivita'   familiare,   per
violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione e,  comunque,  per
intrinseca irragionevolezza (art. 3 della Costituzione) della norma; 
    sospende il presente giudizio in corso fino alla definizione  del
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza alle parti costituite e al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei
Deputati  e  del  Senato  della  Repubblica  e  per   la   successiva
trasmissione del fascicolo processuale alla Corte costituzionale. 
    Dispone la trasmissione alla Corte costituzionale della  presente
ordinanza  e  degli  atti   del   procedimento,   comprensivi   della
documentazione  attentante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazioni. 
      Firenze, 8 maggio 2025 
 
                        Il Giudice: D'Alfonso