Reg. ord. n. 136 del 2025 pubbl. su G.U. del 16/07/2025 n. 29

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  del 13/05/2025

Tra: Ecotec srl  C/ Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Ministero della Cultura ed altri 1



Oggetto:

Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Modifiche al decreto legislativo n. 199 del 2021 – Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo – Previsione che l'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a) limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c) incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Previsione che il primo periodo del comma 1-bis dell’art. 20 di tale decreto legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR – Previsione che l’art. 20, comma 1-bis, primo periodo, del decreto legislativo n. 199 del 2021, introdotto dal comma 1 dell’art. 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, come convertito, non si applica ai progetti per i quali, alla relativa data di entrata in vigore, sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi – Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Denunciata disciplina che, prevedendo il divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, confligge con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e in particolare con il principio di massima diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, come declinato dalla normativa europea – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Introduzione di un divieto che si inserisce nel complesso delle previsioni dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 quale corpo estraneo, dato che le relative previsioni non risultano coordinate con il resto dell’articolato – Norma che non istituisce nessuna forma di bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo una prevalenza dell’interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni agricoli, senza considerare una loro possibile utilizzabilità finanche a fini agricoli – Conflitto con l’obiettivo del decreto succitato di promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili – Violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza – Assenza di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo costituzionale, che contrasta con la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.

Norme impugnate:

decreto-legge  del 15/05/2024  Num. 63  Art. 5  Co. 1

legge  del 12/07/2024  Num. 101

decreto legislativo  del 08/11/2021  Num. 199  Art. 20  Co. 1

decreto-legge  del 15/05/2024  Num. 63  Art. 5  Co. 2

legge  del 12/07/2024  Num. 101

decreto legislativo  del 25/11/2024  Num. 190  Art. 2  Co. 2



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 11   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

direttiva UE  Art.    Co.  

direttiva UE  Art.    Co.  

regolamento UE  Art.    Co.  

regolamento UE  Art.    Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 136 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2025

Ordinanza del 13 maggio 2025 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio sul ricorso proposto  da  Ecotec  srl  contro  Ministero
dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri. 
 
Energia - Impianti alimentati da fonti  rinnovabili  -  Modifiche  al
  decreto legislativo n. 199 del 2021 -  Disposizioni  finalizzate  a
  limitare l'uso del suolo agricolo - Previsione che  l'installazione
  degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra,  in  zone
  classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, e'  consentita
  esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a) limitatamente agli
  interventi per modifica,  rifacimento,  potenziamento  o  integrale
  ricostruzione degli impianti gia' installati, a condizione che  non
  comportino incremento dell'area occupata, c) incluse le  cave  gia'
  oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione
  terminato ancora non ripristinate, nonche' le discariche o i  lotti
  di  discarica  chiusi  ovvero  ripristinati,  c-bis),  c-bis.1),  e
  c-ter), numeri 2) e 3),  del  comma  8  dell'art.  20  del  decreto
  legislativo n. 199 del 2021 - Previsione che il primo  periodo  del
  comma 1-bis dell'art. 20 di tale decreto legislativo non si applica
  nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli
  collocati a terra finalizzati alla costituzione  di  una  comunita'
  energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del  predetto  decreto
  nonche' in  caso  di  progetti  attuativi  delle  altre  misure  di
  investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza  (PNRR)  e
  del Piano nazionale per  gli  investimenti  complementari  al  PNRR
  (PNC) ovvero di  progetti  necessari  per  il  conseguimento  degli
  obiettivi del PNRR - Previsione che l'art. 20, comma  1-bis,  primo
  periodo, del decreto legislativo n. 199 del  2021,  introdotto  dal
  comma 1  dell'art.  5  del  decreto-legge  n.  63  del  2024,  come
  convertito, non si applica ai progetti per i quali,  alla  relativa
  data di entrata in vigore,  sia  stata  avviata  almeno  una  delle
  procedure   amministrative,   comprese   quelle   di    valutazione
  ambientale,  necessarie   all'ottenimento   dei   titoli   per   la
  costruzione e l'esercizio degli impianti  e  delle  relative  opere
  connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi
  - Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia
  da fonti  rinnovabili  -  Previsione  che  gli  interventi  di  cui
  all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del  2024  sono
  considerati di pubblica utilita', indifferibili e urgenti e possono
  essere ubicati anche in  zone  classificate  agricole  dai  vigenti
  piani urbanistici, nel rispetto di  quanto  previsto  all'art.  20,
  comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021. 
- Decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 (Disposizioni  urgenti  per  le
  imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura, nonche'  per  le
  imprese  di  interesse  strategico  nazionale),   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n. 101, art. 5, commi  1
  e 2; decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190  (Disciplina  dei
  regimi  amministrativi  per  la  produzione  di  energia  da  fonti
  rinnovabili, in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e  5,  lettera
  b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118), art. 2, comma 2, primo
  periodo. 


(GU n. 29 del 16-07-2025)

 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                            sezione terza 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 8718  del  2024,  proposto  da  Ecotec  S.r.l.,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dagli avvocati Carlo Comande', Enzo  Puccio,  Serena  Caradonna,  con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
    Contro Ministero  dell'ambiente  e  della  sicurezza  energetica,
Ministero  dell'agricoltura  della  sovranita'  alimentare  e   delle
foreste, Ministero della cultura, in persona  dei  rispettivi  legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura
generale dello  Stato,  domiciliataria  ex  lege  in  Roma,  via  dei
Portoghesi, 12; 
    Nei  confronti  Regione  Siciliana,   in   persona   del   legale
rappresentante pro tempore, rappresentata  e  difesa  dall'Avvocatura
generale dello  Stato,  domiciliataria  ex  lege  in  Roma,  via  dei
Portoghesi, 12; 
    Giunta  Regionale  della  Regione  Siciliana,  Presidenza   della
Regione Siciliana, non costituiti in giudizio; 
    Per  l'annullamento  degli  articoli  1,  3  e  7   del   decreto
ministeriale 21 giugno 2024, recante «Disciplina per l'individuazione
di superfici e aree idonee per l'installazione di  impianti  a  fonti
rinnovabili» adottato dal Ministero dell'ambiente e  della  sicurezza
energetica di concerto con il Ministero della cultura e il  Ministero
dell'agricoltura, della  sovranita'  alimentare  e  delle  foreste  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie
generale -n. 153 del 2 luglio 2024, nonche' i relativi allegati; 
    Di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  del  Ministero  della
cultura, del Ministero dell'ambiente e  della  sicurezza  energetica,
del Ministero dell'agricoltura della sovranita'  alimentare  e  delle
foreste e della Regione Siciliana; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  5  febbraio  2025  la
dott.ssa Elena Stanizzi  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    1 - Premette in fatto la societa' odierna ricorrente  di  operare
nel settore della produzione di  energia  da  fonti  rinnovabili,  in
particolare da fonte solare. Rappresenta, al  riguardo,  che  tra  le
iniziative in corso di  sviluppo  vi  e'  la  predisposizione  di  un
progetto per la realizzazione di un impianto agrivoltaico, denominato
«Circo» da realizzarsi nella Regione Sicilia, di potenza 2,5 MW,  con
riferimento al quale ha gia' ottenuto il  preventivo  di  connessione
nonche' la disponibilita' delle aree di sedime,  per  il  quale  deve
essere avviata la procedura per il rilascio dell'autorizzazione  alla
costruzione ed esercizio. 
    2 - Sostiene parte ricorrente che  le  previsioni  dettate  dagli
articoli 1, 3 e  7  del  decreto  impugnato,  adottato  dal  Ministro
dell'ambiente e della sicurezza energetica («Mase»), di concerto  con
il Ministro della cultura («Mic») e con il Ministro dell'agricoltura,
della sovranita' alimentare e delle  foreste  («Masaf»)  nel  formale
esercizio della delega di cui all'articolo 20, comma 1,  del  decreto
legislativo n. 199/2021 con il fine di stabilire principi  e  criteri
omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree  idonee  e
non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia  da
fonti   rinnovabili,   avrebbero   di   fatto   introdotto    criteri
asseritamente illegittimi e lesivi della sua posizione giuridica,  in
quanto suscettibili di pregiudicare l'autorizzazione del progetto  di
impianto agrivoltaico in corso di elaborazione. 
    Solleva, quindi, parte  ricorrente,  a  sostegno  della  proposta
azione impugnatoria, i seguenti motivi di  censura  inerenti  plurimi
profili di violazione di legge ed eccesso di potere: 
I - Con riferimento agli articoli 1  e  7  del  decreto  ministerale:
violazione e falsa applicazione dell'art. 5  della  legge  22  aprile
2021, n. 53 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, commi  1,
2, 3 e 8 del decreto legislativo n. 199/2021  -  Violazione  e  falsa
applicazione delle linee guida  emanate  con  decreto  del  ministero
dello sviluppo economico del 10 settembre  2010  -  Violazione  della
delega - Eccesso di potere - Manifesta irragionevolezza -  Violazione
della  direttiva  2009/28/CE,  della  direttiva  2001/77/CE  e  della
direttiva 2018/2001/UE. 
    I.1 - Violazione e falsa applicazione dell'articolo 20,  comma  3
del decreto legislativo n. 199/2021 e dell'articolo 5 della legge  n.
53/2021. 
    Il decreto  impugnato  avrebbe  mancato  di  definire  i  criteri
omogenei per l'individuazione delle aree idonee all'installazione  di
impianti di produzione  di  energia  da  fonti  rinnovabili  («FER»),
essendosi limitato a riprodurre principi  di  massima  che  sarebbero
esattamente e testualmente riproduttivi di quelli  individuati  dalla
fonte delegante all'art. 20, comma 3, decreto legislativo n. 199/2021
(e, ancor prima, l'articolo 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53),  di
carattere meramente programmatico.  Ne  deriverebbe  il  conferimento
alle regioni di una delega sostanzialmente in  bianco,  in  contrasto
con l'insegnamento della Corte  costituzionale,  che  avrebbe  sempre
rivendicato l'importanza della uniformita'  della  «materia  energia»
sul territorio nazionale. 
    I.2 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1,  del
decreto legislativo n. 199/2021. 
    Nel ricordare parte ricorrente come ai sensi di  quanto  previsto
dall'articolo 20, comma 1,  lett.  a),  del  d.lgs.  n.  199/2021,  i
Ministeri resistenti, mediante  l'adozione  di  uno  o  piu'  decreti
delegati, erano tenuti in via prioritaria a «dettare  i  criteri  per
l'individuazione delle aree idonee  all'installazione  della  potenza
eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le modalita' per
minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima  porzione  di
suolo occupabile dai suddetti  impianti  per  unita'  di  superficie,
nonche' dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione  di  energia
elettrica gia' installati e le  superfici  tecnicamente  disponibili»
contesta l'attuazione che di tale  norma  e'  stata  operato  con  il
gravato decreto. 
    Lamenta in particolare parte ricorrente che l'articolo  7,  comma
2, lettera b) del decreto  ministeriale  21  giugno  2024  -  laddove
prevede  che  le  Regioni,  nell'individuazione  delle  aree  idonee,
debbano tener conto «della possibilita' di classificare le  superfici
o le aree come idonee differenziandole sulla base della fonte,  della
taglia e della  tipologia  di  impianto»  -  conterrebbe  indicazioni
generiche  ed  un   mero   richiamo   al   sintetico   principio   di
differenziazione, insuscettibili come tali di  fornire  alle  Regioni
gli indirizzi necessari  ed  idonei  a  orientare  l'esercizio  della
potesta' regionale anche quanto ad individuazione del  mix  di  fonti
energetiche  richiesto  dalla  normativa  primaria,   da   porre   in
correlazione con le caratteristiche dei territori. 
    La norma del gravato decreto, pertanto, sarebbe  illegittima  per
aver abdicato alla propria funzione di individuazione dei principi  e
criteri per l'individuazione delle aree idonee,  violando  la  delega
legislativa conferita con il decreto  legislativo  n.  199/2021,  per
effetto della quale il decreto avrebbe dovuto «dettare i criteri  per
l'individuazione delle aree idonee  all'installazione  della  potenza
eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le modalita' per
minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima  porzione  di
suolo occupabile dai suddetti  impianti  per  unita'  di  superficie,
nonche' dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione  di  energia
elettrica gia' installati e le superfici tecnicamente disponibili». 
    I.3 - Violazione e falsa applicazione dell'art.  20,  c.  8,  del
D.lgs. 199/202. 
    Denuncia  parte  ricorrente  l'illegittimita'  della  previsione,
contenuta nell'art. 7, lettera c) del decreto ministeriale impugnato,
che  assegna  una  mera  «possibilita'»  alle  Regioni,  in  sede  di
emanazione delle leggi regionali, di fare salve le  aree  nelle  more
ritenute idonee dall'art. 20, comma 8,  del  decreto  legislativo  n.
199/2021, con classificazione da ritenersi, secondo parte ricorrente,
anticipatoria e vincolante per la futura normazione  regionale.  Tale
norma si porrebbe in contrasto con il dato normativo e  consentirebbe
alle regioni di non tener conto, in sede di  normazione,  delle  aree
idonee  individuate  dal  legislatore  nazionale,  rimettendosi  alle
regioni la potesta' di prevedere che aree che,  fino  ad  oggi,  sono
state indiscussamente idonee, ai sensi del comma 8,  diventino  «aree
ordinarie» o addirittura «aree non idonee», con impatti  negativi  in
termini di affidamento degli investimenti ed  incertezza  del  quadro
giuridico di riferimento, senza  peraltro  prevedere  una  disciplina
transitoria  per  i  procedimenti  autorizzativi  avviati   in   data
anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni regionali. 
II - Con riferimento all'illegittimita' degli articoli 1, 3 e  7  del
decreto ministeriale: violazione e  falsa  applicazione  dell'art.  5
della legge 22 aprile 2021, n. 53 - Violazione e  falsa  applicazione
dell'art. 20, commi 1, 2, 3, 4, 7 e  8  del  decreto  legislativo  n.
199/2021 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 12 del D.Lgs. n.
387/2003 - Violazione e falsa applicazione delle linee guida  emanate
con decreto del ministero dello sviluppo economico del  10  settembre
2010 - Eccesso di potere - Manifesta  irragionevolezza  -  Violazione
della  direttiva  2009/28/CE,  della  direttiva  2001/77/CE  e  della
direttiva 2018/2001/UE  -  Violazione  del  principio  della  massima
diffusione degli impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili. 
    II.1 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4  del
decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto legislativo
n.  387/2003,  delle  Linee  Guida  e  del  principio  della  massima
diffusione degli impianti FER. 
    Sostiene parte ricorrente che l'art. 20,  comma  4,  del  decreto
legislativo n. 199/2021  prevedrebbe  una  competenza  regionale,  da
esercitare mediante legge, unicamente per la  disciplina  delle  aree
idonee. Il decreto, invece, affidando  alle  regioni  il  compito  di
individuare con legge anche  le  aree  non  idonee,  si  porrebbe  in
contrasto, oltre che con tale norma primaria, anche  con  l'art.  12,
comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003  e  con  le  successive
Linee  Guida  emanate  con  decreto  del  Ministero  dello   sviluppo
economico del 10 settembre 2010, che prevedono l'individuazione delle
«aree   non   idonee»   all'esito   di   un   apposito   procedimento
amministrativo, nel  cui  ambito,  attraverso  adeguata  istruttoria,
poter  operare  un  bilanciamento   in   concreto   degli   interessi
strettamente aderenti  alla  specificita'  dei  luoghi,  senza  poter
imporre in  via  legislativa  vincoli  generali  non  previsti  dalla
disciplina  statale,  in  violazione  peraltro  del  principio  della
riserva di procedimento amministrativo. 
    II.2 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4  del
decreto legislativo n. 199/2004, dell'art. 12 del decreto legislativo
n.  387/2003,  delle  Linee  Guida  e  del  principio  della  massima
diffusione degli impianti FER. 
    Nel definire le aree non  idonee  come  aree  «incompatibili  con
l'installazione di specifiche  tipologie  di  impianti»,  il  decreto
introdurrebbe un vero e proprio divieto di installazione di  impianti
FER in dette aree, in contrasto con i principi  dettati  dalle  Linee
Guida, che pure vengono dalla disposizione in  questione  richiamati,
in base alle quali «L'individuazione delle aree e dei siti non idonei
non deve configurarsi  come  divieto  preliminare»  all'installazione
degli impianti, costituendo solo una valutazione di primo livello cui
deve eseguire una valutazione in concreto  circa  la  realizzabilita'
dell'impianto. 
    II.3 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, commi 1, 7 e
8 del decreto legislativo  n.  199/2021,  dell'art.  12  del  decreto
legislativo n. 387/2003, delle Linee  Guida  e  del  principio  della
massima diffusione degli impianti FER nonche' del decreto legislativo
n. 42/2004 e dell'art. 117 comma 2, lettera s) Cost. 
    Nel prevedere che «Sono considerate non idonee le superfici e  le
aree che sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti  a  tutela
ai sensi dell'art. 10 e dell'art. 136, comma 1, lettere a) e b),  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42», il decreto  si  porrebbe
in contrasto con la normativa europea e nazionale, nonche' con quella
prevista per i beni soggetti  a  tutela  paesaggistica  e  culturale,
introducendo un divieto esorbitante e  del  tutto  irragionevole,  in
quanto  di  fatto  inibirebbe  in  tutte   le   aree   vincolate   la
realizzazione degli impianti, a prescindere  da  qualsiasi  specifica
valutazione in ordine alle effettive e concrete esigenze di tutela di
ciascun bene vincolato e, correlativamente, da qualsiasi verifica  in
ordine   alla   sussistenza   di   una   effettiva   incompatibilita'
dell'intervento  con  la  tutela   paesaggistica   o   culturale   da
assicurare. Del pari illegittima sarebbe la  previsione  secondo  cui
«Le regioni possono individuare come non idonee  le  superfici  e  le
aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti  a
tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004,  n.
42», nonche' «stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni
sottoposti  a  tutela  di  ampiezza  differenziata  a  seconda  della
tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela,  fino
a un massimo di 7 chilometri», in  quanto  assegnerebbe  poteri  alle
Regioni  in  contrasto  con  la  competenza  statale  in  materia  di
paesaggio e beni culturali, che impone uniformi livelli di tutela  in
tutto il territorio nazionale. 
III -  Con  riferimento  all'illegittimita'  dell'art.  1,  comma  2,
lettera d), del decreto ministeriale: violazione e falsa applicazione
dell'art. 20, commi 1 e 2  del  decreto  legislativo  n.  199/2021  -
Violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma  7,  del  decreto
legislativo n. 387/2003 - Violazione e falsa applicazione delle linee
guida emanate con decreto del ministero dello sviluppo economico  del
10 settembre 2010 - Violazione della delega -  Eccesso  di  potere  -
Manifesta irragionevolezza - Violazione della  direttiva  2009/28/CE,
della direttiva 2001/77/CE e della direttiva 2018/2001/UE. 
    III.1 - Violazione dell'art. 20, comma 1, decreto legislativo  n.
199/2021. 
    Nell'individuare le aree agricole come aree  in  cui  e'  vietata
l'installazione di  impianti  fotovoltaici  con  moduli  collocati  a
terra, per le quali vige il  divieto  di  installazione  di  impianti
fotovoltaici con moduli a terra ai sensi dell'art. 20,  comma  1-bis,
del  decreto  legislativo  n.  199/2021,   l'art.   1   del   decreto
contravverrebbe  alla  delega,  che  non   avrebbe   contemplato   la
possibilita' di individuare aree "in cui e' vietata" la installazione
di impianti fotovoltaici a terra, sicche' il decreto ministeriale non
avrebbe potuto essere utilizzato per dare attuazione al citato  comma
1-bis. 
    III.2 - Manifesta irragionevolezza - Violazione  della  direttiva
2009/28/CE,   della   direttiva   2001/77/CE   e   della    direttiva
2018/2001/UE. 
    La delega di cui all'art. 1, comma  2,  lettera  d)  del  decreto
ministeriale impugnato sarebbe irragionevole ed illegittima anche  in
ragione del fatto che, nel vietare la collocazione di impianti FTV  a
terra in  aree  agricole,  non  precisa  che  da  tale  divieto  sono
sottratti tutti gli impianti agrivoltaici. Invero, sia  gli  impianti
fotovoltaici con moduli a terra che gli agrivoltaici hanno in  comune
la collocazione sul suolo di moduli  recanti  pannelli  fotovoltaici.
Tuttavia, la giurisprudenza ne avrebbe evidenziato la differenza,  in
quanto nei primi la crescita della vegetazione  puo'  ostare  con  la
produzione di energia e quindi  e'  oggetto  di  interventi  volti  a
limitare o impedire la collocazione di tale  tipologia  di  impianti,
mentre, nel caso  dell'agrivoltaico,  l'impianto  (sia  avanzato  che
base) sarebbe strutturato in modo  da  consentire  alle  macchine  da
lavoro la coltivazione agricola ovvero il pascolo degli  animali,  di
talche'  la  superficie  del  terreno  resta  permeabile   e   quindi
raggiungibile  dal  sole   e   dalla   pioggia,   dunque   pienamente
utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola.  La
previsione in esame,  non  operando  alcuna  distinzione  in  merito,
introdurrebbe un divieto concreto, indiscriminato e generalizzato  ad
ogni  tipo  di  impianto  che  usa  tale  tecnologia,   inclusi   gli
agrivoltaici base o avanzati che siano. 
    La previsione sarebbe inoltre in  contrasto  con  l'art.  12  del
decreto legislativo n. 387/2003  che  consente  la  realizzazione  di
impianti  di  produzione  di  energia   elettrica   anche   in   zone
classificate agricole. 
IV - Illegittimita' costituzionale  dell'art.  20,  comma  1-bis  del
decreto legislativo n. 199/2021, introdotto dall'art. 5, comma 1, del
decreto-legge n. 63/2024, convertito con modifiche con legge n. 22 n.
101/2024, per violazione e falsa  applicazione  dell'art.  77,  comma
secondo, della Costituzione. 
    Per  l'ipotesi  in  cui  non  sia  possibile   un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  dell'art.  20,  comma  1-bis,  decreto
legislativo  n.   199/2021,   la   ricorrente   ne   ha   prospettato
l'illegittimita' costituzionale. 
    Dalla disamina del «Preambolo» al  decreto-legge  Agricoltura  n.
63/2024, convertito in legge con legge n.  101/2024,  si  evincerebbe
che l'iniziativa governativa da cui ha preso le mosse  l'approvazione
dell'art. 5, comma 1, del menzionato decreto-legge, che ha introdotto
il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo n.  199/2021,  e'
stata motivata in ragione della ritenuta straordinaria  necessita'  e
urgenza di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a  vocazione
agricola. Tale presupposto, tuttavia, secondo parte  ricorrente,  non
sarebbe sussistente, in quanto nel territorio italiano la  Superficie
agricola totale (SAT) e' pari a  16  milioni  di  ettari,  mentre  la
Superficie agricola utilizzata  (SAU)  e'  pari  a  12,5  milioni  di
ettari. Inoltre,  4  milioni  di  ettari  di  terreni  agricoli  sono
attualmente abbandonati. Al 2023 sono stati installati impianti  pari
a una potenza di 30,3 GW. Di questi, secondo  il  GSE,  9,2  GW  sono
impianti FTV a terra che utilizzano 16.400  ettari,  che  equivalgono
solo allo 0,05% del territorio nazionale oppure allo 0,13% della SAU.
Installare gli  84  GW  di  cui  al  Piano  elettrico  2030/REPowerEU
richiederebbe fino a 70.000  ettari  -  considerando  l'ipotesi  piu'
estensiva secondo cui l'intero obiettivo  fosse  perseguito  mediante
l'utilizzo della sola tecnologia che utilizza  pannelli  fotovoltaici
collocati a terra  e  senza  considerare  la  quota  installabile  su
edifici - che equivalgono allo 0,2% del  territorio  italiano  ovvero
allo 0,4% della SAT. Si tratterebbe  di  una  porzione  marginale  di
suoli agricoli anche se paragonata ai 4 milioni di ettari di  terreni
agricoli abbandonati e ai 12,5 milioni di ettari  di  SAU.  Sarebbero
stati, pertanto, in origine  carenti  i  requisiti  di  necessita'  e
urgenza di cui  all'art.  77  Cost.  che  avrebbero  giustificato  il
ricorso allo strumento eccezionale della decretazione d'urgenza. 
V.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  20,  comma  1-bis  del
decreto legislativo n. 199/2021, introdotto dall'art. 5, comma 1, del
decreto-legge n. 63/2024 (c.d. decreto-legge agricoltura), convertito
con  modifiche  con  legge  n.  101/2024,  per  violazione  e   falsa
applicazione  degli  articoli  117,  commi  primo  e   terzo,   della
Costituzione, in  relazione,  rispettivamente,  alla  direttiva  (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e  del  Consiglio  dell'11  dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti  rinnovabili  e
all'art.  12  del  decreto  legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387
(attuazione della direttiva 2001/77/CE). 
    La norma contestata di cui all'art. 20, comma 1-bis  del  decreto
legislativo n. 199/2021, nel prevedere il divieto di installazione di
nuovi impianti FTV con moduli collocati  a  terra  e  il  divieto  di
aumentare l'estensione di quelli esistenti nelle  aree  agricole,  si
porrebbe  in  contrasto  con  i  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
europeo e, in particolare, con l'obiettivo di  garantire  la  massima
diffusione degli impianti FER, perseguito dalla direttiva 2009/28/CE,
dalla direttiva 2001/77/CE, nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE,  in
attuazione della quale e' stato emanato  il  decreto  legislativo  n.
199/2021. 
    Sotto altro profilo, la norma si  porrebbe  in  contrasto  con  i
principi  generali  dettati  in  materia  dallo  stesso   Legislatore
statale, in attuazione delle direttive europee, e in particolare  con
l'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del
quale «Gli impianti  di  produzione  di  energia  elettrica,  di  cui
all'articolo 2, comma 1, lettere b)  e  c),  possono  essere  ubicati
anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici», e
con le Linee guida del 2010, introdotte in attuazione del citato art.
12, con  decreto  del  Ministero  dello  sviluppo  economico  del  10
settembre 2010, secondo le quali le zone  classificate  agricole  dai
vigenti  piani   urbanistici   non   possono   essere   genericamente
considerate aree e siti non idonei e l'individuazione  delle  aree  e
dei siti non idonei non puo' riguardare  porzioni  significative  del
territorio.  Per  contro,  una  norma  che   introduce   un   divieto
generalizzato a realizzare una tipologia di impianto FER su qualsiasi
area agricola - a prescindere anche da una previa indagine in  merito
alle  tecnologie  utilizzate,  in  specie  gli   agrivoltaici,   alle
specifiche  qualita'  del  sito  agricolo  ovvero  alle  colture  ivi
condotte - si porrebbe in  conflitto  con  i  summenzionati  principi
fondamentali di cui all'art. 117, comma  1,  Cost.  ed  all'art.  12,
comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, attuativi di  direttive
dell'Unione europea e che  riflettono  anche  impegni  internazionali
volti a favorire l'energia prodotta da fonti rinnovabili. 
    La  previsione  si  porrebbe,  inoltre,  in  contrasto   con   la
raccomandazione della Commissione UE 2024/1343 volta  a  limitare  al
minimo le zone di  esclusione  per  l'installazione  di  impianti  di
energia rinnovabile. 
VI - Sotto altro profilo: illegittimita' costituzionale dell'art. 20,
comma 1-bis del decreto legislativo n. 199/2021, introdotto dall'art.
5,  comma  1,  del  decreto-legge  n.  63/2024  (c.d.   decreto-legge
agricoltura), convertito con modifiche con legge  n.  101/2024,  per:
Violazione e falsa applicazione dell'art.  9  Cost.  -  Violazione  e
falsa applicazione dell'art. 15 della direttiva  (UE)  2018/2001  del
Parlamento europeo e  del  Consiglio  dell'11  dicembre  2018,  sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti  rinnovabili  -  Violazione
del principio di proporzionalita' - Violazione dell'art. 11 del  TFUE
- Violazione dell'art. 41 Cost. 
    La scelta di introdurre un generale e  indiscriminato  divieto  a
realizzare impianti FTV con moduli a terra su  aree  urbanisticamente
classificate come «gricole» risulterebbe  sproporzionata  e  tale  da
rallentare la diffusione delle fonti rinnovabili in modo da  incidere
sugli obiettivi di tutela dell'ambiente perseguiti. Sul punto, l'art.
15 della direttiva 2018/2001 prevede che «Gli Stati  membri  prendono
in particolare le misure appropriate per assicurare che: b) le  norme
in materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze
siano oggettive, trasparenti e proporzionate ...». La norma censurata
sarebbe tutt'altro che una forma di esercizio  «proporzionato»  della
potesta' legislativa. La norma, inoltre, violerebbe il  principio  di
integrazione delle tutele - riconosciuto, sia a livello europeo (art.
11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del decreto legislativo n.
152 del  2006,  sia  pure  con  una  formulazione  ellittica  che  lo
sottintende)  -  in  virtu'  del  quale   le   esigenze   di   tutela
dell'ambiente   devono   essere   integrate   nella   definizione   e
nell'attuazione  delle  altre  pertinenti  politiche  pubbliche,   in
particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. 
    Se il principio di proporzionalita' rappresenta il criterio  alla
stregua del quale mediare e comporre il potenziale  conflitto  tra  i
due valori costituzionali  all'interno  di  un  quadro  argomentativo
razionale, il principio di integrazione costituisce la  direttiva  di
metodo. La tutela dell'ambiente  e  del  paesaggio  (nello  specifico
dell'ambiente e del contesto agricolo) non  potrebbero  essere  visti
quali  valori  contrapposti  rispetto  alla  diffusione  delle  fonti
rinnovabili, sia sotto il  profilo  della  tutela  dell'ambiente  che
sotto quello della tutela dell'iniziativa economica privata. 
    Lo stesso art. 9 della Costituzione sancisce che  la  tutela  dei
valori ambientali deve essere perseguita «anche nell'interesse  delle
future  generazioni».  Al  contrario,  la   disposizione   in   esame
muoverebbe  dall'assunto  di  un  aprioristico   conflitto   tra   la
conservazione delle aree agricole e l'autorizzazione di impianti  per
la  produzione  di  energia   mediante   collocazione   di   pannelli
fotovoltaici a terra, come se le descritte finalita' non fossero  tra
loro  contemperabili  mediante  la  introduzione  di   parametri   di
valutazione  idonei  a  stabilire,  caso  per  caso,  quando  e  dove
consentire o meno la  collocazione  di  impianti  che  utilizzano  la
tecnologia fotovoltaica a terra  (inclusi  gli  agrivoltaici  base  o
avanzati) in area agricola. 
    3 - Si sono costituite in giudizio le  amministrazioni  intimate,
dapprima con  formula  di  rito,  mentre  con  successiva  memoria  i
Ministeri   intimati    hanno    sostenuto    l'inammissibilita'    e
l'infondatezza  del  ricorso,   con   richiesta   di   corrispondente
pronuncia, rilevando che i presupposti ricostruttivi e teorici su cui
la ricorrente fonda le proprie  deduzioni  sarebbero  smentiti  dalla
lettura della normativa di riferimento. 
    3.1.-  In  particolare,  la  necessita'  di  individuare  criteri
omogenei per la definizione delle superfici e delle aree idonee e non
idonee per l'installazione di impianti a  fonti  rinnovabili  sarebbe
stata introdotta dall'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 22
aprile 2021, n. 53, «Delega  al  Governo  per  il  recepimento  delle
direttive europee e l'attuazione di altri atti  dell'Unione  europea»
(legge di delegazione europea  2019-2020),  che  dettava  criteri  di
delega per  il  recepimento  della  direttiva  (UE)  2018/2001  sulla
promozione dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili  (RED  II).
Successivamente,  il  decreto  legislativo  n.  199  del  2021,   con
l'articolo 20, ha individuato il percorso per l'individuazione  delle
superfici e aree idonee e non idonee alla realizzazione di impianti a
fonti rinnovabili, prevedendo un coinvolgimento,  in  prima  battuta,
del MASE, del MIC e del MASAF d'intesa con le  regioni,  al  fine  di
definire criteri e principi omogenei e rinviando a  successive  leggi
regionali per l'individuazione su ciascun territorio delle  superfici
e delle aree idonee e non  idonee.  Nello  specifico,  la  disciplina
prevede: 
        -  al  comma  5  dell'art.  20  del  decreto  legislativo  n.
199/2021, che nel percorso di individuazione delle aree idonee  siano
rispettati   i   principi   della   minimizzazione   degli    impatti
sull'ambiente,  sul  territorio,  sul  patrimonio  culturale  e   sul
paesaggio,  fermo  restando  il  vincolo  del  raggiungimento   degli
obiettivi di decarbonizzazione al 2030; 
        -  ai  commi  6  e  7,  rispettivamente,   che   nelle   more
dell'individuazione delle aree idonee  non  possono  essere  disposte
moratorie  ovvero  sospensioni  dei  termini  dei   procedimenti   di
autorizzazione e che le aree non incluse nel novero delle aree idonee
non possono essere dichiarate non idonee in  sede  di  pianificazione
territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti,  in  ragione
della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee; 
        - al comma 8 che «nelle more dell'individuazione  delle  aree
idonee sulla base dei criteri e delle modalita' stabiliti dai decreti
di cui al comma 1, sono considerate aree idonee, ai fini  di  cui  al
comma 1 del presente articolo [...]»  una  lista  specifica  di  aree
immediatamente idonee (c.d. aree idonee ex-lege). 
    3.2 - In secondo luogo, il decreto ministeriale impugnato,  lungi
dal voler introdurre  barriere  alla  realizzazione  di  impianti  di
produzione  di  energia  elettrica  da  fonte  rinnovabile,   sarebbe
finalizzato all'individuazione di quelle aree o superfici  ove  poter
usufruire di procedimenti autorizzativi piu' veloci e snelli ai  fini
dell'ottenimento   del    relativo    titolo    autorizzativo,    con
individuazione altresi' delle zone dove invece tali accelerazioni non
sono presenti o che richiederanno una  valutazione  piu'  attenta  in
ragione di specifiche tutele che interessano l'area dell'intervento. 
    La definizione di «area idonea»  e  «non  idonea»  contenuta  nel
suddetto  decreto,  infatti,   sarebbe   strettamente   legata   alla
individuazione delle semplificazioni di cui poter beneficiare ai fini
autorizzativi, fermo restando che anche nelle «aree non idonee» nulla
vieterebbe agli operatori di poter realizzare impianti di  produzione
di energia elettrica da fonte rinnovabile. 
    Il che troverebbe conferma nella previsione dettata dall'art. 20,
comma 7, del decreto legislativo n. 199/2021 che vieta esplicitamente
alle regioni, in sede di pianificazione, di considerare le  aree  non
idonee come inibite in assoluto alla realizzazione di  impianti  FER,
mentre l'art. 1,  comma  2,  lettera  b),  del  decreto  ministeriale
impugnato, nel richiamare le linee guida di cui al paragrafo  17  del
decreto ministeriale 10  settembre  2010,  le  identificherebbe  come
quelle aree  in  cui  si  individuano  obiettivi  di  protezione  non
compatibili con l'insediamento di specifiche tipologie e/o dimensioni
di  impianti,  «i  quali  determinerebbero,  pertanto,  una   elevata
probabilita' (non certezza) di esito negativo  delle  valutazioni  in
sede di autorizzazione». 
    3.3 - Quanto all'individuazione  tramite  legge  regionale  delle
aree  idonee,  la  competenza  normativa  in  materia  sarebbe   gia'
riconosciuta dalla Costituzione (art. 117, terzo comma,  in  tema  di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»),  per
cui non sarebbe necessaria alcuna espressa «delega» alle regioni, nel
momento in cui il decreto legislativo 199 del  2021,  base  giuridica
del decreto in  esame,  costituirebbe  una  chiara  «legge  cornice»,
individuando principi e criteri omogenei per  l'individuazione  anche
delle aree non idonee. Per poter legiferare anche su  tali  aree  non
sarebbe  stato  necessario,   pertanto,   alcun   espresso   «mandato
normativo» statale. 
    3.4   -   Sarebbe,   altresi',   infondata    la    contestazione
dell'esistenza di un c.d. «delega in bianco»: il decreto ministeriale
impugnato, infatti, indicherebbe all'articolo 7 i principi e  criteri
omogenei (in linea con l'articolo  20,  commi  1  e  2,  del  decreto
legislativo n. 199 del  2021)  lasciando  alle  regioni,  tramite  le
proprie leggi, l'individuazione delle aree idonee  e  non  idonee  al
fine di garantire il  rispetto  delle  competenze  legislative  nella
materia concorrente  della  «produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale dell'energia» ai sensi dell'articolo 117,  comma  3,  della
Costituzione. 
    3.5 - Con riferimento alla previsione per cui  «Sono  considerate
non idonee le superficie e le aree che sono ricomprese nel  perimetro
dei beni sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 10 e  dell'art.  136,
comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42», sostengono le parti resistenti che si tratterebbe  di  parametro
non irragionevole,  ne'  indiscriminato,  posto  che  la  inidoneita'
concernerebbe unicamente le aree ricomprese nel perimetro di beni  di
interesse pubblico che  richiedono  una  protezione  forte  da  parte
dell'ordinamento. 
    3.6 - In merito all'art. 7, comma  3,  del  decreto  ministeriale
impugnato, laddove e' previsto che «Le  regioni  possono  individuare
come non idonee  le  superficie  le  aree  che  sono  ricomprese  nel
perimetro degli altri  beni  sottoposti  a  tutela  ai  sensi  del  8
medesimo decreto legislativo 22  gennaio  2004,  n.  42.  Le  regioni
possono stabilire una fascia  di  rispetto  dal  perimetro  dei  beni
sottoposti  a  tutela  di  ampiezza  differenziata  a  seconda  della
tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela,  fino
a un massimo di 7 chilometri», la previsione  sarebbe  in  linea  con
quanto contenuto nelle Linee guida (decreto ministeriale 10 settembre
2010), che  all'allegato  3  chiariscono  che  le  «Regioni,  con  le
modalita' di cui al paragrafo 17, possono procedere ad indicare  come
aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie  di
impianti le  aree  particolarmente  sensibili  e/o  vulnerabili  alle
trasformazioni territoriali o del paesaggio», quali, tra l'altro, «le
aree ed i beni di notevole interesse  culturale  di  cui  alla  Parte
seconda del decreto legislativo 42 del 2004, nonche' gli  immobili  e
le aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi  dell'art.
136 dello stesso decreto legislativo» ovvero le «zone individuate  ai
sensi dell'art. 142 del decreto legislativo 42 del 2004 valutando  la
sussistenza   di   particolari   caratteristiche   che   le   rendano
incompatibili con la realizzazione degli impianti». 
    3.7 - Con riguardo all'articolo  1,  comma  2,  lettera  d),  del
decreto ministeriale, secondo cui  le  regioni  individuano,  tra  le
altre, le  «aree  in  cui  e'  vietata  l'installazione  di  impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra: le aree  agricole  per  le
quali vige il divieto di installazione di impianti  fotovoltaici  con
moduli a terra ai  sensi  dell'art.  20,  comma  1-bis,  del  decreto
legislativo 8 novembre 2021,  n.  199»,  la  previsione  non  sarebbe
strumento di «attuazione» dell'articolo 20, comma 1-bis, perche'  gli
effetti di tale disposizione verrebbero gia'  spiegati  autonomamente
all'interno del decreto legislativo n. 199 del 2021,  con  previsione
di rango primario introdotta successivamente con la  legge  ordinaria
di conversione del decreto-legge Agricoltura n. 63/2024. Piuttosto il
rimando  operato  nel  decreto  ministeriale  Aree  idonee   a   tale
previsione, lungi dal volere introdurre un divieto  generalizzato  di
portata innovativa, troverebbe  ragione  in  forza  della  ratio  del
medesimo  provvedimento  impugnato  diretto  a  voler  fornire,   tra
l'altro,  agli  operatori  del  settore,  chiare  indicazioni   sulla
individuazione delle superfici e aree ove poter ubicare i progetti di
impianti FER e di quelle in cui cio' e' precluso. 
    4 - Con ordinanza n. 4182 del 9 settembre 2024 e' stata rigettata
l'istanza cautelare proposta dal ricorrente, ritenendo  insussistente
il profilo del danno grave ed irreparabile. 
    5 - Con decreto presidenziale n. 4473  del  21  ottobre  2024  e'
stata disattesa la  richiesta  di  anticipazione  dell'udienza,  gia'
fissata alla data del 5 febbraio 2025 - formulata  sulla  base  delle
indicazioni  contenute  nell'ordinanza  del  Consiglio  di  Stato  n.
3868/2024  del  17  ottobre  2024  contenenti  la  prescrizione,   in
applicazione dell'art. 55, comma  10,  c.p.a.,  della  «rifissazione»
dell'udienza pubblica calendarizzata per il giorno  5  febbraio  2025
«con la massima anticipazione possibile», anche mediante lo strumento
di cui all'art. 53 c.p.a. per l'abbreviazione  dei  termini  -  nella
considerazione  che  l'urgenza  della  definizione  delle   questioni
controverse aveva gia'  comportato  la  celere  fissazione  d'ufficio
dell'udienza e i ruoli di udienza erano gia' saturi. 
    6  -  In  vista  dell'udienza,  parte  ricorrente  ha  depositato
memoria, insistendo nelle proprie deduzioni. 
    7 - All'udienza pubblica del  5  febbraio  2025  il  Collegio  ha
prospettato alle parti, ai sensi dell'art. 73, comma  3,  c.p.a.,  la
sussistenza di possibili profili  di  parziale  inammissibilita'  del
ricorso per carenza d'interesse, come riportato a verbale. La  causa,
previa discussione delle  parti,  e'  stata,  quindi,  trattenuta  in
decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1 - Il ricorso, del cui  contenuto  si  e'  dato  atto  in  parte
narrativa, rivolto avverso talune previsioni  contenute  nel  decreto
ministeriale   21   giugno   2024,   recante   la   «Disciplina   per
l'individuazione di superfici e aree idonee  per  l'installazione  di
impianti  a   fonti   rinnovabili»,   puo'   essere   definito   solo
parzialmente, ritenendo il Collegio rilevanti  e  non  manifestamente
infondate  le  questioni  di  costituzionalita'  sollevate  da  parte
ricorrente con riferimento al divieto di installazione di impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili in aree classificate  come
agricole, di cui ai motivi di censura V e VI, dovendosi pertanto, con
riferimento a tali profili e per le considerazioni che in seguito  si
andranno  ad  illustrare,  disporre  la  rimessione  della   relativa
questione alla Corte costituzionale, contestualmente procedendo  alla
sospensione  del  giudizio  per  la  sola  parte  coinvolta  da  tale
questione, la cui soluzione ne condiziona il parziale esito. 
    Possono invece essere esaminati e decisi  i  diversi  profili  di
censura non incisi dalla predetta questione. 
    2 - Tanto precisato quanto al perimetro della presente decisione,
la disamina della proposta azione transita attraverso il  preliminare
vaglio  della  sussistenza  e  consistenza  dell'interesse  posto   a
fondamento del ricorso, la cui  possibile  mancanza  -  refluente  in
ipotesi di inammissibilita' parziale della proposta azione - e' stata
oggetto di rilievo officioso in udienza, in ordine al quale le  parti
hanno svolto le proprie deduzioni,  senza  chiedere  un  termine  per
dedurre in ordine a tale rilievo. 
    2.1 -  Anticipando  le   conclusioni   che,   alla   luce   delle
considerazioni che  si  andranno  ad  esporre,  il  Collegio  intende
trarre, il  ricorso  in  esame  deve  essere  dichiarato,  in  parte,
inammissibile, in quanto non e' ravvisabile  in  capo  alla  societa'
ricorrente un interesse attuale  e  concreto  all'annullamento  delle
gravate previsioni dettate dal decreto  ministeriale  del  21  giugno
2024. 
    2.2 - Tale scrutinio in ordine alla  sussistenza,  in  capo  alla
societa' ricorrente, dell'interesse alla proposizione di  determinate
censure richiede che siano preliminarmente chiariti i termini in  cui
debba   essere   declinato   il   concetto   di   area   non   idonea
all'installazione di impianti  di  produzione  di  energia  da  fonti
rinnovabili («FER») nel regime introdotto  dalla  disciplina  di  cui
all'art.  20,  decreto  legislativo  n.  199/2021  e  successivamente
precisato con il gravato decreto ministeriale, sulla cui  base  poter
riscontrare l'affermato effettivo carattere lesivo delle disposizioni
ministeriali contestate. 
    2.3 - L'esigenza di tale accertamento risiede  nel  tenore  delle
censure articolate con il ricorso, ed e' alle stesse  intrinsecamente
correlata. 
    Per come esposto in parte narrativa, la societa' ricorrente ha in
sostanza contestato con i motivi da I a III: 
        - l'indebita  contemplazione,  nell'ambito  della  disciplina
posta dal decreto ministeriale, della materia delle aree non idonee; 
        -  la  configurazione  delle  aree  non  idonee  quali   aree
incompatibili e, quindi,  sostanzialmente  preclusive  rispetto  alla
installazione di impianti FER; 
        - la genericita' dei criteri posti dal decreto ministeriale a
fini  di  indirizzo   della   successiva   attivita'   pianificatoria
regionale; 
        -   l'abnorme   estensione   del   perimetro   di   possibile
individuazione delle aree non idonee; 
        - l'individuazione delle aree non idonee con legge regionale,
e  non  piu'  in  sede  procedimentale  attraverso  la   riserva   di
procedimento amministrativo con valutazione caso per caso; 
        - la mancanza  di  una  disciplina  di  salvaguardia  per  le
iniziative gia'  avviate  in  funzione  dell'elencazione  delle  aree
idonee ai sensi del  comma  8  del  richiamato  articolo  20  Decreto
legislativo n. 199/2021. 
    2.4 - A tale riguardo  occorre  evidenziare  che  il  presupposto
teorico e ricostruttivo delle censure  proposte  e'  che,  avendo  il
decreto qualificato le aree non idonee come  aree  incompatibili  con
l'installazione di impianti FER - precludendone in assoluto  la  loro
installazione, senza alcuna distinzione in  base  alla  tipologia  di
impianti e di potenza e senza distinzione  quanto  a  caratteristiche
specifiche delle aree - il concetto di area non  idonea,  coincidente
con  un  divieto  assoluto,  sarebbe  stato  completamente  stravolto
rispetto al  regime  previgente  (di  cui  all'art.  12  del  decreto
legislativo n. 387 del 2003 ed alle linee guida approvate con decreto
ministeriale  10  settembre  2010),  nell'ambito  del  quale  la  non
idoneita' dell'area era stabilita in funzione meramente acceleratoria
dei singoli  procedimenti  autorizzativi,  senza  alcuna  preclusione
assoluta. 
    In  particolare,  prima   dell'adozione   del   gravato   decreto
ministeriale, la qualificazione di un'area come non idonea comportava
come  unica  conseguenza  che  il  soggetto  proponente  non  potesse
accedere alla accelerazione  procedimentale  dell'iter  autorizzativo
propedeutico  alla  realizzazione  ed  esercizio  dell'impianto  FER,
accelerazione  che,  viceversa,   avrebbe   operato   nel   caso   di
localizzazione dell'impianto in area idonea.  Per  converso,  nessuna
preclusione, aprioristica ed assoluta,  alla  realizzazione  di  tali
impianti risultava  discendere  dalla  loro  localizzazione  in  aree
qualificate come non idonee. 
    2.5 - Secondo la prospettazione della  societa'  ricorrente,  con
l'adozione del gravato decreto ministeriale  sarebbe  stata,  invece,
introdotta una preclusione aprioristica ed assoluta all'installazione
di impianti FER nelle aree classificate come non idonee,  discendendo
da tale assunto l'illegittimita' delle relative previsioni, capaci di
incidere immediatamente sulla posizione rivestita. 
    La ricostruzione operata da parte ricorrente quanto a valenza  ed
effetti discendenti dalla qualificazione di aree come non idonee - la
cui nozione andrebbe a  coincidere  con  quella  di  aree  vietate  o
comunque precluse all'installazione di impianti FER - non puo' essere
condivisa per le ragioni di seguito  precisate,  sulla  cui  base  e'
possibile delibare il carattere non immediatamente lesivo del gravato
decreto ministeriale. 
    2.6 - Sotto il profilo  ricostruttivo  del  quadro  normativo  di
riferimento, va ricordato che con l'art. 12 del  decreto  legislativo
29 dicembre 2003, n. 387, sono state introdotte disposizioni  per  la
razionalizzazione e la semplificazione delle procedure  autorizzative
per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. 
    A tal fine, al comma 10, e' stato  previsto  che  «In  Conferenza
unificata, su proposta del Ministro delle  attivita'  produttive,  di
concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio
e del Ministro per i beni e le attivita' culturali, si  approvano  le
linee guida per lo svolgimento del procedimento di  cui  al  comma  3
[autorizzazione unica]. Tali linee guida sono volte, in  particolare,
ad assicurare un corretto inserimento degli impianti,  con  specifico
riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione  di  tali
linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree  e
siti  non  idonei  alla  installazione  di  specifiche  tipologie  di
impianti». 
    2.7 - Le linee guida previste dal citato art. 12, comma 10,  sono
state adottate con decreto ministeriale 10 settembre 2010,  il  quale
stabilisce: 
        - al paragrafo 17, che  «Al  fine  di  accelerare  l'iter  di
autorizzazione  alla  costruzione  e  all'esercizio  degli   impianti
alimentati da fonti rinnovabili,  in  attuazione  delle  disposizioni
delle presenti linee guida, le regioni e le province autonome possono
procedere  alla  indicazione  di  aree  e  siti   non   idonei   alla
installazione  di  specifiche  tipologie  di  impianti   secondo   le
modalita' di cui al presente punto e sulla base dei  criteri  di  cui
all'allegato 3. L'individuazione della  non  idoneita'  dell'area  e'
operata dalle regioni attraverso un'apposita  istruttoria  avente  ad
oggetto  la  ricognizione  delle  disposizioni  volte   alla   tutela
dell'ambiente, del paesaggio, del  patrimonio  storico  e  artistico,
delle tradizioni agroalimentari locali,  della  biodiversita'  e  del
paesaggio  rurale  che  identificano  obiettivi  di  protezione   non
compatibili con l'insediamento, in determinate  aree,  di  specifiche
tipologie e/o  dimensioni  di  impianti,  i  quali  determinerebbero,
pertanto,  una  elevata  probabilita'   di   esito   negativo   delle
valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli  esiti  dell'istruttoria,
da richiamare nell'atto di cui al punto 17.2, dovranno contenere,  in
relazione a ciascuna area individuata come non idonea in relazione  a
specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle
incompatibilita'  riscontrate  con  gli   obiettivi   di   protezione
individuati nelle disposizioni esaminate. [...]. Le aree  non  idonee
sono  [...]  individuate  dalle  regioni  nell'ambito  dell'atto   di
programmazione con cui sono  definite  le  misure  e  gli  interventi
necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing fissati
in attuazione  delle  suddette  norme.  Con  tale  atto,  la  regione
individua le aree non idonee tenendo conto  di  quanto  eventualmente
gia'  previsto  dal  piano  paesaggistico  e  in  congruenza  con  lo
specifico obiettivo assegnatole»; 
        - all'allegato 3, viene previsto che «L'individuazione  delle
aree  e  dei  siti  non  idonei  mira  non  gia'  a   rallentare   la
realizzazione degli impianti, bensi' ad  offrire  agli  operatori  un
quadro  certo  e  chiaro  di  riferimento  e  orientamento   per   la
localizzazione dei progetti. L'individuazione delle aree  non  idonee
dovra' essere  effettuata  dalle  regioni  con  propri  provvedimenti
tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione  ambientale,
territoriale  e  paesaggistica,  secondo  le  modalita'  indicate  al
paragrafo 17», nonche' sulla base di principi e criteri,  individuati
dal medesimo  allegato,  in  ragione  dei  quali,  tra  l'altro:  «a)
l'individuazione  delle  aree   non   idonee   deve   essere   basata
esclusivamente su criteri tecnici  oggettivi  legati  ad  aspetti  di
tutela   dell'ambiente,    del    paesaggio    e    del    patrimonio
artistico-culturale, connessi alle  caratteristiche  intrinseche  del
territorio e del sito; b) l'individuazione delle aree e dei siti  non
idonei deve essere differenziata con specifico riguardo alle  diverse
fonti rinnovabili  e  alle  diverse  taglie  di  impianto;  [...]  d)
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a
tutela   dell'ambiente,    del    paesaggio    e    del    patrimonio
storico-artistico, ne'  tradursi  nell'identificazione  di  fasce  di
rispetto di dimensioni non  giustificate  da  specifiche  e  motivate
esigenze  di  tutela.  La  tutela  di  tali  interessi   e'   infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed  affidate,
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche,  alle
regioni, agli enti  locali  ed  alle  autonomie  funzionali  all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno  del  procedimento
unico e della procedura di Valutazione  dell'impatto  ambientale  nei
casi previsti. L'individuazione delle aree e dei siti non idonei  non
deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto  di
accelerazione e  semplificazione  dell'iter  di  autorizzazione  alla
costruzione  e  all'esercizio,  anche  in  termini  di   opportunita'
localizzative offerte dalle specifiche  caratteristiche  e  vocazioni
del territorio». 
    2.8 - Nel contesto del sistema delineato dall'art. 12, comma  10,
del decreto legislativo n. 387/2003, alla luce dei principi affermati
dalla giurisprudenza  costituzionale,  le  citate  linee  guida  sono
«poste  a  completamento  della  normativa   primaria   "in   settori
squisitamente tecnici" (sentenze n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177  del
2021, n. 106 del 2020, n. 286 e n. 86 del 2019,  nonche'  n.  69  del
2018) e connotate dal carattere della inderogabilita' a  garanzia  di
una disciplina "uniforme in tutto il territorio  nazionale  (sentenze
n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del 2018)" (sentenza n. 106 del  2020;
nello stesso senso, sentenze n. 221, n. 216, n. 77 e n. 11 del  2022,
n. 177 e n. 46 del 2021)» (Corte Cost., sentenza n. 27/2023). 
    Con tali linee guida sono stati introdotti  criteri  strettamente
connessi e funzionali al procedimento  autorizzatorio,  assurgendo  a
elemento qualificante del sistema, intercettando esigenze di certezza
degli investimenti e di tutela dei concorrenti interessi pubblici. 
    La  Corte  costituzionale,  con  riferimento  alle   disposizioni
introdotte dal decreto legislativo n. 199/2921 ha  chiarito  che  «il
legislatore statale ha inteso superare il sistema  dettato  dall'art.
12, comma 10, del  decreto  legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387
(Attuazione  della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita')  e  dal  conseguente  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee  guida
per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili),
contenenti i principi e i criteri di individuazione  delle  aree  non
idonee. Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a individuare le aree
«idonee» all'installazione degli impianti, sulla scorta dei  principi
e dei  criteri  stabiliti  con  appositi  decreti  interministeriali,
previsti  dal  comma  1  del   citato   art.   20   [...].   Inoltre,
l'individuazione delle aree idonee dovra' avvenire non piu'  in  sede
amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente in  relazione
a quelle non idonee, bensi' «con  legge»  regionale,  secondo  quanto
precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso  art.  20»  (Corte
Cost., sentenza n. 103/2024). 
    2.9 - Alla luce dei  richiamati  orientamenti  giurisprudenziali,
discende  che  nell'applicazione  del  rinnovato  quadro   normativo,
inerente la materia  della  realizzazione  degli  impianti  FER,  non
possano sic et simpliciter essere trasposti, in  maniera  acritica  e
meccanica, i principi enunciati dalla  giurisprudenza  costituzionale
in relazione al pregresso assetto normativo e regolatorio. 
    Infatti, laddove si aderisse ad una siffatta opzione  ermeneutica
- ovvero quella sostanzialmente prospettata dalla societa' ricorrente
- si finirebbe per obliterare indebitamente la  portata  del  vigente
contesto normativo, avuto specifico  riguardo  alla  circostanza  per
cui, de iure condito, l'articolo 20, comma 1, del decreto legislativo
n. 199/2021 espressamente dispone che sia il MASE, di concerto con il
MIC e il MASAF, a stabilire  con  decreto  i  principi  e  i  criteri
omogenei strumentali  all'individuazione  delle  aree  idonee  e  non
idonee. 
    La portata del  rinnovato  quadro  normativo  non  puo',  quindi,
essere enucleata e vagliata mediante mera trasposizione dei  principi
inerenti il pregresso assetto  regolatorio,  essendo  ora  necessario
riportarsi,   quanto   alla    ricostruzione    dei    criteri    per
l'individuazione delle aree  idonee  e  non  idonee,  alla  specifica
disciplina recata dal decreto previsto dal comma 1 dell'art.  20  del
decreto legislativo n. 199/2021. 
    2.10 - Sulla scorta delle scelte sottese all'adozione del gravato
decreto ministeriale - condivise con gli enti territoriali tramite lo
strumento dell'intesa in sede di Conferenza unificata - emerge  come,
contrariamente a quanto  sostenuto  dalla  societa'  ricorrente,  nel
complessivo   nuovo   impianto   normativo   e   regolamentare    sia
sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e  finalita',  la
portata precettiva del concetto di «area non idonea». 
    Infatti,  l'articolo  1,  comma  2,  lettera  b),   del   decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 ha definito le «superfici e aree  non
idonee» come «aree e siti le cui caratteristiche  sono  incompatibili
con l'installazione di specifiche tipologie di  impianti  secondo  le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato  3  delle  linee
guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo  economico  10
settembre 2010, pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  18  settembre
2010, n. 219 e successive modifiche e integrazioni». Contrariamente a
quanto affermato dalla societa' ricorrente  -  secondo  la  quale  la
definizione di area non idonea come area  incompatibile  equivarrebbe
alla introduzione  di  un  divieto  assoluto  alla  installazione  di
impianti FER - occorre ricordare che  il  paragrafo  17  delle  Linee
guida gia' per il passato specificava che il processo di ricognizione
delle aree non idonee dovesse avvenire  prendendo  in  considerazione
gli «obiettivi di protezione non compatibili con  l'insediamento,  in
determinate  aree,  di  specifiche  tipologie   e/o   dimensioni   di
impianti». 
    Emerge, quindi, come gia' nel  contesto  previgente  all'adozione
del  gravato   decreto   ministeriale   le   aree   non   idonee   si
caratterizzassero   per   essere   aree    incompatibili    con    il
soddisfacimento  degli  obiettivi  di  protezione  che  l'ordinamento
intende perseguire. Tale  forma  di  incompatibilita',  quale  tratto
caratterizzante delle aree  non  idonee,  non  si  traduceva  in  una
preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo
ad indicare la sussistenza di  «una  elevata  probabilita'  di  esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione». 
    L'analisi diacronica sinteticamente svolta consente di  affermare
che,  sotto  l'esaminato   profilo   della   «incompatibilita'»,   la
definizione di «aree non idonee» contenuta nell'articolo 1, comma  2,
lett. b), del gravato decreto ministeriale non possiede un  carattere
innovativo, risultando sostanzialmente invariata, quoad effectum,  la
portata del concetto di «area non idonea»,  per  come  declinato  dal
decreto ministeriale del 21 giugno 2024, rispetto a quella scaturente
dalle Linee guida di cui al decreto ministeriale 2010. 
    2.11 - A sostegno di tale conclusione, d'altronde,  milita  anche
il fatto che lo stesso articolo 1, comma 2, lettera b),  del  gravato
decreto ministeriale declini la dichiarata incompatibilita'  «secondo
le modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee
guida». 
    Benche' l'ordito normativo, con il previsto  aggiornamento  delle
Linee guida  «A  seguito  dell'entrata  in  vigore  della  disciplina
statale e regionale per l'individuazione di superfici e  aree  idonee
ai sensi dell'articolo 20», presenti indubbi elementi di circolarita'
che rendono non del tutto chiaro il ruolo che le medesime Linee guida
sono ad oggi chiamate a svolgere in subiecta materia, e'  preferibile
ritenere che il richiamo alle modalita' stabilite dalle  Linee  guida
sia da intendersi nel senso che il legislatore abbia  optato  per  il
consolidamento, anche rispetto al nuovo regime,  delle  acquisizioni,
in termini di significato e declinazione delle aree non idonee,  gia'
raggiunte nel previgente  assetto  normativo  in  applicazione  delle
previsioni dettate dalle Linee guida di cui al  decreto  ministeriale
2010. 
    Tale opzione esegetica puo'  essere  legittimamente  percorsa  in
ossequio al canone ermeneutico dell'interpretazione  conservativa  di
cui all'articolo 1367 del codice civile -  pacificamente  applicabile
anche agli atti amministrativi, come  chiarito  dalla  giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez.  III,  sent.  n.  5358  del  4
settembre 2020 e riferimenti ivi citati). 
    Infatti, mediante l'impiego di tale criterio interpretativo,  nel
nostro ordinamento giuridico e' possibile preservare  atti  e  valori
giuridici non affetti da vizi di legittimita' (ut  res  magis  valeat
quam pereat), risultando cio' confacente, peraltro,  ai  principi  di
economicita'  ed  efficacia  dell'attivita'  amministrativa   sanciti
dall'articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto  1990,  n.  241  (cfr.
Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3488 del 10 luglio 2015) e di cui  il
criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione. 
    2.12 - Se e' vero che non puo' essere  sottaciuto  il  fatto  che
l'articolo 3, comma 1, del gravato decreto ministeriale  dispone  che
le Regioni provvedono con legge  alla  individuazione  (anche)  delle
aree non idonee - e non piu' nell'ambito di un apposito  procedimento
amministrativo, come previsto dalle Linee guida - e'  del  pari  vero
che, in disparte gli eventuali  profili  di  illegittimita'  di  tale
scelta, non v'e' alcun indice normativo che  faccia  ritenere  che  a
tale cambiamento  sia  correlata  la  conseguenza  prospettata  dalla
societa' ricorrente. 
    Infatti, il mutamento normativo che  ha  interessato  il  veicolo
giuridico  di   approvazione   della   classificazione   delle   aree
potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e
messa in esercizio di un impianto FER, non  risulta  accompagnato  da
alcuna radicale  trasfigurazione  del  significato  che  il  concetto
giuridico  di   «aree   non   idonee»   esprime   nell'ambito   della
pianificazione del  territorio  necessaria  al  raggiungimento  degli
obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili. 
    Ad avviso del Collegio, l'interpretazione sin qui proposta  trova
anche  il  conforto  della  giurisprudenza  costituzionale   che   ha
riconosciuto la «necessita' di garantire la "massima diffusione degli
impianti da fonti di energia rinnovabili" (sentenza n. 286 del  2019,
in senso analogo, ex multis, sentenze n. 221, n.  216  e  n.  77  del
2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 69 del  2018,  n.  13  del
2014 e n. 44 del 2011) "nel comune intento 'di ridurre  le  emissioni
di gas ad effetto serra' (sentenza n. 275 del  2012)";  nello  stesso
senso, sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n.
85  del  2012),  onde  contrastare  il  riscaldamento  globale  e   i
cambiamenti climatici (sentenza n. 77 del 2022)» (Corte cost.,  sent.
n. 27/2023). 
    Va, quindi, radicalmente escluso che le «aree non idonee» possano
essere considerate aree del tutto interdette  alla  installazione  di
impianti  FER,  poiche'   opinando   diversamente   potrebbe   essere
seriamente pregiudicato il conseguimento degli  obiettivi  energetici
strumentali al rispetto degli impegni assunti dall'Italia  a  livello
sovranazionale, tenuto anche conto  della  particolare  ampiezza  dei
margini di manovra consentiti alle regioni dal  decreto  ministeriale
impugnato. 
    Viceversa, l'interpretazione dell'articolo 1,  comma  2,  lettera
b), del gravato decreto ministeriale  del  21  giugno  2024,  che  il
Collegio intende adottare in quanto ritenuta piu' conforme al  quadro
generale di riferimento, partendo dall'assunto che  il  carattere  di
non idoneita' di un'area non precluda in radice la  realizzazione  di
impianti FER - e' atta a porre in rilievo come  l'individuazione  con
legge  regionale  delle  aree  non  idonee   non   esclude   che   le
amministrazioni,    nell'ambito    degli    specifici    procedimenti
amministrativi di valutazione delle istanze  di  autorizzazione  alla
realizzazione  di  impianti  FER,  siano  necessariamente  tenute  ad
apprezzare in concreto l'impatto dei progetti proposti sulle esigenze
di  tutela  ambientale,   paesaggistico-territoriale   e   dei   beni
culturali,  anche  laddove  l'area  interessata  rientri  tra  quelle
classificate come non idonee. 
    2.13 -  Ad  avvalorare   tale   conclusione   depone   anche   la
classificazione  delle  aree  contenuta  nell'art.  1   del   decreto
ministeriale 21 giugno 2024, riferita - rispettivamente -  alle  aree
idonee, alle aree non idonee, alle aree ordinarie e alle aree vietate
(id est: agricole), ricollegando la qualificazione come  aree  idonee
alla possibilita' di accedere ad un  iter  accelerato  ed  agevolato,
mentre con riferimento alle aree ordinarie e' prevista l'applicazione
dei regimi autorizzativi ordinari, potendosi da cio' desumere come la
classificazione delle aree sia  funzionale  alla  individuazione  del
regime  autorizzativo  applicabile  e   non   gia'   ad   individuare
preclusioni generalizzate (ad eccezione per  le  aree  vietate)  alla
realizzazione di impianti FER. 
    3 - Il Collegio, chiariti i termini in base ai quali delineare la
nozione giuridica di  «aree  non  idonee»  alla  realizzazione  degli
impianti FER, ritiene di poter quindi procedere all'esame dei profili
inerenti l'attualita' e concretezza dell'interesse  a  ricorrere,  la
cui sussistenza costituisce condizione di ammissibilita' del presente
gravame. 
    Si evidenzia, sin da ora, che non si reputa sussistente  in  capo
alla  societa'  ricorrente  il  necessario  interesse   a   ricorrere
richiesto dalla legge per conseguire  l'annullamento  giudiziale  del
gravato decreto ministeriale del 21  giugno  2024,  dal  momento  che
l'inclusione di determinate porzioni di territorio tra  le  aree  non
idonee non costituisce un impedimento assoluto alla realizzazione  di
progetti per la realizzazione di impianti  a  fonti  rinnovabili,  in
quanto sara' sempre necessaria la verifica, nell'ambito  del  singolo
procedimento autorizzatorio, della compatibilita' dell'intervento con
il complessivo assetto del territorio e degli interessi coinvolti. 
    3.1  -  In  proposito,  giova  preliminarmente  evidenziare   che
l'interesse a ricorrere, quale condizione dell'azione concettualmente
autonoma dalla legittimazione  ad  agire,  trova  il  suo  fondamento
nell'art. 100 del codice di procedura civile, rubricato «Interesse ad
agire» e applicabile al processo amministrativo in virtu' del  rinvio
esterno disposto dall'articolo 39 c.p.a. 
    In particolare, atteso che l'articolo 100 c.p.c.  stabilisce  che
«Per proporre una domanda o  per  contraddire  alla  stessa  essa  e'
necessario avervi interesse», l'interesse a ricorrere si caratterizza
per la «prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera
giuridica del  ricorrente  e  dall'effettiva  utilita'  che  potrebbe
derivare  a  quest'ultimo   dall'eventuale   annullamento   dell'atto
impugnato» (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4). 
    Cio', invero, risulta  coerente  con  la  funzione  svolta  dalle
condizioni dell'azione nei processi di parte, innervati dal principio
della domanda e dal principio dispositivo (cfr. Cass.  civ.,  SS.UU.,
22 aprile 2013, n. 9685; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2015, n. 4228;
Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542). 
    L'interesse a ricorrere, inoltre, e' espressione della concezione
soggettiva della tutela giurisdizionale, propria anche  del  processo
amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 4 del 7  aprile
2011) e ad esso e' attribuita una  funzione  di  filtro  processuale,
fino a divenire strumento di selezione degli interessi meritevoli  di
tutela (cfr. Cons. Stato, Ad. plen.,  sent.  n.  22  del  9  dicembre
2021). 
    3.2 - L'Adunanza plenaria del Consiglio  di  Stato,  proprio  con
riferimento a tale condizione dell'azione, ha ulteriormente  chiarito
che «Il codice del processo amministrativo fa piu' volte riferimento,
direttamente o indirettamente, all'interesse  a  ricorrere:  all'art.
35, primo comma, lettere b) e c), all'art. 34, comma 3, all'art.  13,
comma 4-bis e, in  modo  piu'  sfumato,  all'art.  31,  primo  comma,
sembrando   confermare,   con   l'accentuazione   della    dimensione
sostanziale dell'interesse legittimo e l'arricchimento delle tecniche
di tutela, la necessita' di una verifica delle condizioni dell'azione
(piu') rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla  base
degli elementi desumibili dal ricorso,  e  al  lume  delle  eventuali
eccezioni di controparte  o  dei  rilievi  ex  officio,  prescindendo
dall'accertamento  effettivo  della  (sussistenza  della   situazione
giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver  subito.
Nel senso che,  come  e'  stato  osservato,  va  verificato  che  "la
situazione giuridica  soggettiva  affermata  possa  aver  subito  una
lesione" ma non anche che "abbia subito" una lesione, poiche'  questo
secondo accertamento attiene al merito della lite» (cfr. Cons. Stato,
Ad. plen., sent. n. 22/2021, cit.). 
    3.3 - Poste tali premesse, osserva il Collegio come nel  caso  in
esame venga  in  rilievo  una  controversia  in  cui  sono  censurate
previsioni normative generali e rispetto alla  quale  l'interesse  al
bene (i.e., l'utilita'  finale  o  petitum  mediato)  correlato  alla
situazione giuridica soggettiva dedotta in  giudizio  dalla  societa'
ricorrente non e' riconducibile  a  provvedimenti  di  autorizzazione
alla realizzazione dei  propri  impianti  o  interventi,  in  ipotesi
negati   dalla   amministrazione   competente,   bensi'   da   futuri
provvedimenti di  autorizzazione  il  cui  rilascio  potrebbe  essere
precluso  per  effetto   delle   gravate   previsioni   del   decreto
ministeriale del 21 giugno 2024. 
    Nel caso di specie,  invero,  le  amministrazioni  competenti  ad
assentire i progetti che la societa' ricorrente  sta  elaborando  non
hanno ancora avuto modo di pronunciarsi sugli stessi, atteso che,  al
momento  della  proposizione  del  presente  ricorso,  non  risultava
proposta alcuna istanza di autorizzazione, per come  affermato  dalla
stessa societa' ricorrente. 
    La valutazione inerente la sussistenza del necessario interesse a
ricorrere, pertanto, non puo' prescindere dalla considerazione  della
assenza di correlazione tra l'attivita' amministrativa  contestata  e
l'utilita'  giuridica  finale  che  la  societa'  ricorrente  intende
conseguire. 
    In proposito occorre evidenziare che  le  impugnate  prescrizioni
del decreto  ministeriale  del  21  giugno  2024  sono  destinate  ad
assumere, rispetto ai singoli procedimenti  di  autorizzazione  degli
impianti FER, il ruolo di parametri di legittimita' dell'agere  delle
amministrazioni procedenti, atteso  che  con  le  stesse  sono  stati
fissati  principi  e  criteri  generali  e   sono   state   enucleate
definizioni di istituti giuridici e non, invece,  comandi  e  divieti
inderogabili,   ex   se   ostativi    all'esercizio    dell'attivita'
imprenditoriale che parte ricorrente intende svolgere. 
    Posto che  l'interesse  a  ricorrere  che  sorregge  la  presente
iniziativa  giudiziale  deve  essere  traguardato  alla  luce   della
possibilita' di lesione che la societa'  ricorrente  potrebbe  subire
per effetto della applicazione delle gravate previsioni ministeriali,
assume rilievo centrale la circostanza per cui  dette  previsioni  si
collocano a monte  dell'attivita'  amministrativa  di  autorizzazione
ancora non esercitata,  la  quale  sola  e'  destinata  ad  impattare
concretamente  nella  sfera  giuridica  della  parte  ricorrente,  in
quanto, in caso di esito  negativo,  suscettibile  di  arrecare  alla
stessa un pregiudizio in via immediata e diretta. 
    Lo  iato  esistente  tra  l'agere  ministeriale   e   l'attivita'
amministrativa di  autorizzazione  si  ripercuote  sull'apprezzamento
dell'interesse a ricorrere,  rendendo  piu'  rarefatta  e  remota  la
possibilita' di incisione  negativa  dell'interesse  al  bene  finale
laddove  si  controverta  della  legittimita'   del   parametro   (di
legittimita')  che  concorre  a  formare  la  cornice  di   legalita'
dell'azione amministrativa finalizzata alla rimozione degli  ostacoli
ordinamentali  allo   svolgimento   di   attivita'   economiche   non
liberalizzate, come quelle che rilevano nella fattispecie in esame. 
    Sulla scorta delle  pregresse  considerazioni  discende  che  per
valutare la  sussistenza  dell'interesse  della  parte  ricorrente  a
contestare le previsioni del decreto ministeriale del 21 giugno  2024
manca la lesione discendente  da  un  concreto  esito  procedimentale
dell'iter di autorizzazione che, nel  caso  di  specie,  non  risulta
essere  stato  avviato  per   nessuna   iniziativa   della   societa'
ricorrente, stante la mancata presentazione delle relative istanze. 
    Plurime sono le ragioni  ostative  al  positivo  riscontro  della
sussistenza dell'interesse ad  agire  conseguente  ad  una  specifica
lesione, tra le quali la piu' evidente  e'  quella  che  risiede  nel
fatto che, ad opinare  diversamente,  si  finirebbe  per  violare  il
divieto sancito dall'articolo 34, comma 2, c.p.a. 
    Ad avviso  del  Collegio,  quindi,  per  poter  riconoscere  alle
contestate previsioni del decreto  ministeriale  21  giugno  2024  la
prospettata, diretta, immediata e  concreta  valenza  pregiudizievole
predicata dalla  societa'  ricorrente,  occorrerebbe  che  le  stesse
siano, ex se, automaticamente preclusive delle iniziative  economiche
che quest'ultima, quale operatore attivo nel mercato della produzione
di energia da fonti rinnovabili, intende  intraprendere  (condizione,
questa, che sussiste solo con riferimento al divieto inerente le aree
agricole, di cui i trattera' piu' avanti). 
    Ne discende che, sulla  base  della  prospettata  interpretazione
della portata delle previsioni dettate dagli articoli 1, 3  e  7  del
gravato decreto ministeriale,  le  stesse  non  siano  immediatamente
lesive  della  sfera  giuridica  della  societa'  ricorrente,   donde
l'inammissibilita' del presente ricorso. 
    3.4 - Invero, siccome il  fulcro  delle  censure  proposte  dalla
societa' ricorrente ruota  intorno  alla  prospettata  lesivita'  del
nuovo assetto  regolamentare  per  effetto  della  rivisitazione  del
previgente sistema e del ruolo che l'istituto delle «aree non idonee»
e' destinato a giocare, anche  per  cio'  che  concerne  gli  aspetti
inerenti  alle  modalita'  della  loro  determinazione,  dall'analisi
svolta  in  precedenza,  e  che  deve  intendersi  qui  integralmente
richiamata, emerge come la qualificazione di determinate porzioni  di
territorio in  termini  di  «aree  non  idonee»  non  costituisce  un
impedimento  assoluto  alla  realizzazione  di  progetti  tesi   alla
costruzione e all'esercizio di impianti  FER,  dal  che  discende  la
radicale  insussistenza,  anche  in  una  prospettiva  valutativa  di
carattere  prognostico,  della  lesione  lamentata   dalla   societa'
ricorrente. 
    A tale riguardo, giova evidenziare che la  localizzazione  di  un
impianto FER in un'area non idonea  non  osta  a  che  gli  operatori
economici proponenti possano in ogni caso dimostrare, nell'ambito dei
singoli procedimenti autorizzatori, che il progetto da realizzare sia
compatibile con il complessivo  assetto  degli  interessi  coinvolti,
ovverosia, da un lato, con la tutela dei beni sottoposti a tutela  ai
sensi del decreto  legislativo  n.  42/2004  e,  dall'altro,  con  il
raggiungimento degli obiettivi di potenza complessiva da  traguardare
al 2030 in base a quanto previsto dalla tabella A dell'articolo 2 del
decreto ministeriale del 21 giugno 2024. 
    Tali considerazioni trovano espresso  conforto  nelle  previsioni
del gravato decreto ministeriale, laddove, all'articolo 7,  comma  3,
in fine, si dispone che «Nell'applicazione del  presente  comma  deve
essere contemperata la necessita' di tutela dei beni con la  garanzia
di raggiungimento degli obiettivi di cui alla tabella A  dell'art.  2
del presente decreto». 
    3.5  -  Il  pregiudizio  lamentato  dalla  societa'   ricorrente,
peraltro, neppure puo' farsi discendere dal fatto  che,  in  base  al
nuovo assetto normativo e regolamentare culminato con l'adozione  del
gravato decreto ministeriale, anche l'individuazione delle «aree  non
idonee» debba essere  determinata  mediante  legge  regionale  e  non
invece,  come  avveniva  con  il  previgente  regime,  con  atti   di
programmazione e all'esito di una precipua istruttoria procedimentale
(cfr. paragrafo 17 delle Linee guida). 
    A tal proposito, infatti, vale considerare che anche  ipotizzando
che l'individuazione delle aree non idonee  possa,  in  alcuni  casi,
scontare   in   sede   di   legislazione   regionale   una    carente
caratterizzazione in  ragione  del  diverso  atteggiarsi  dei  lavori
preparatori  di  un  provvedimento  legislativo  rispetto  alla  fase
istruttoria di un procedimento amministrativo, cio' non  risulterebbe
di per se' suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto e attuale
agli interessi degli operatori  economici  che  intendono  realizzare
impianti FER in siti classificati come «aree non idonee». 
    Infatti, la conseguenza giuridica che puo' farsi discendere dalla
concretizzazione dell'ipotesi innanzi  prospettata,  consiste  in  un
mero    aggravamento    dell'onere     motivazionale     a     carico
dell'amministrazione  competente  a  pronunciarsi  sulle  istanze  di
autorizzazione alla realizzazione ed esercizio di impianti FER. 
    In particolare, l'amministrazione procedente, all'esito dell'iter
di  autorizzazione,  non  potra'  giustificare  l'eventuale  ritenuta
incompatibilita' del progetto solo in virtu' del fatto che l'impianto
sia  localizzato  in  un'area  classificata   come   non   idonea   -
motivazione, peraltro, che risulterebbe insufficiente anche nel  caso
in  cui  la  caratterizzazione  delle  aree  non  idonee  sia   stata
puntualmente  svolta  dal  legislatore  regionale,   in   quanto   la
qualificazione di non idoneita' non si traduce in un divieto assoluto
di installazione di impianti FER, come gia' accennato in precedenza -
ma dovra' necessariamente fondare il proprio diniego dando  conto  in
maniera adeguata, ancorche' in ipotesi sintetica,  delle  intrinseche
caratteristiche del progetto e delle  aree  interessate,  traguardate
alla luce della comparazione dei contrapposti interessi in giuoco. 
    Pertanto,  contrariamente  a  quanto  sostenuto  dalla   societa'
ricorrente,  nessun  pregiudizio  attuale  e  concreto   puo'   farsi
discendere dal fatto che  sia  stato  previsto  che  l'individuazione
delle «aree non idonee»  debba  avvenire  con  legge  regionale.  Per
converso, un  siffatto  pregiudizio  e'  suscettibile  di  venire  ad
esistenza  solo  in  caso  di  esito  negativo  del  procedimento  di
autorizzazione   e   solo   nella   misura   in   cui   risulti   che
l'amministrazione procedente non abbia  esercitato  correttamente  il
potere amministrativo  di  carattere  tecnico-discrezionale  ad  essa
attribuito dalla legge. 
    3.6 - Ad avviso del Collegio, sempre sulla scorta della  chiarita
portata normativa ed effettuale del concetto giuridico di  «aree  non
idonee» nell'ambito dell'attuale contesto normativo e  regolamentare,
il gravato decreto ministeriale si  appalesa  privo  di  immediata  e
concreta lesivita' anche relativamente alle prescrizioni con le quali
esso stesso classifica determinate aree come non idonee,  cosi'  come
nella  parte  in  cui  non  prevede  alcun  regime   transitorio   di
salvaguardia delle iniziative in corso. 
    3.6.1 - Per cio' che  concerne  il  primo  profilo  di  doglianza
teste'  menzionato,  la  circostanza  per  cui  il  gravato   decreto
ministeriale qualifichi  come  non  idonee  le  aree  ricomprese  nel
perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi  di  quanto  previsto
dal decreto legislativo n. 42/2004 (articolo 7, comma 3), non vale  a
mutare la  portata  generale  del  concetto  di  «aree  non  idonee»,
convertendolo  in  un  istituto  a  geometrie  variabili   che,   ove
direttamente applicato dall'amministrazione ministeriale, sia tale da
determinare una aprioristica e  radicale  sottrazione,  ex  voluntate
administrationis,  dell'area  non  idonea  alla  realizzazione  degli
impianti FER. 
    Invero,  sia  in  tal  caso,  sia   nell'altro   (cioe',   quando
l'individuazione  delle  «aree  non   idonee»   avviene   con   legge
regionale), la localizzazione dell'impianto all'interno  di  un  sito
ritenuto  non  idoneo  non  costituisce  mai  ragione  di   per   se'
sufficiente a precludere in  radice  la  realizzazione  del  progetto
proposto dall'operatore economico istante, potendosi giungere a  tale
esito procedimentale solo nel  caso  in  cui  il  progetto  venga  in
concreto reputato incompatibile, dall'amministrazione procedente, con
gli altri obiettivi di tutela rilevanti nelle singole fattispecie. 
    La parte ricorrente, viceversa, con  l'impostazione  impressa  al
ricorso in esame ha tentato di  far  retrocedere  una  siffatta  -  e
meramente eventuale - lesione ad una fase  prodromica  rispetto  alla
valutazione in concreto  dei  progetti  tesi  alla  realizzazione  di
impianti FER, tale in quanto unicamente riservata alla determinazione
dei criteri e  alle  modalita'  di  individuazione  delle  «aree  non
idonee». 
    Tuttavia, sulla scorta delle regole  che  governano  il  processo
amministrativo e in considerazione del  fatto  che  la  giurisdizione
amministrativa   di   legittimita'   costituisce   pur   sempre   una
giurisdizione di diritto soggettivo, non e' possibile accordare  alla
parte ricorrente una tutela anticipata di merito,  ossia  una  tutela
giudiziale del tutto sganciata dalla  sussistenza  di  una  possibile
incisione negativa della sua sfera  giuridica  che,  per  le  ragioni
innanzi esposte e alla  luce  della  effettiva  portata  prescrittiva
delle gravate disposizioni del decreto  ministeriale  del  21  giugno
2024,  puo'  predicarsi  solo  rispetto  ad  un  esito  negativo  dei
procedimenti autorizzativi e solo laddove cio'  consegua  al  cattivo
esercizio del potere da parte dell'amministrazione procedente. 
    3.6.2 - In relazione al secondo profilo in  contestazione,  sulla
scorta  delle  considerazioni  svolte  in  precedenza  e  alle  quali
integralmente si rimanda in ossequio  al  principio  di  sinteticita'
degli atti processuali sancito dal codice  di  rito,  e'  sufficiente
porre in rilievo che l'eventuale mutamento della  classificazione  di
un'area, in precedenza non qualificata come non idonea, non e' ex  se
atto a condizionare, in maniera indefettibile e in senso  sicuramente
negativo, l'iter procedimentale di autorizzazione all'installazione e
all'esercizio  di  impianti  FER.  Pertanto,   neppure   la   mancata
previsione di un regime transitorio di salvaguardia delle  iniziative
in corso vale a dimostrare che  le  previsioni  del  gravato  decreto
ministeriale possano arrecare alla societa' ricorrente il pregiudizio
da essa lamentato. 
    Peraltro, rispetto a tale profilo di  doglianza,  la  carenza  di
interesse  al  ricorso  sussisterebbe  anche  per  un   ulteriore   e
concorrente profilo,  dato  dal  fatto  che  la  mera  intenzione  di
presentare una istanza di  autorizzazione  per  la  realizzazione  di
impianti FER non puo' considerarsi sufficiente a qualificare la  fase
di elaborazione progettuale come iniziativa in corso, ragione per cui
la  societa'  ricorrente  non  potrebbe  validamente  dolersi   della
mancanza di un regime transitorio, non potendo  essa  accedere  a  un
siffatto regime ove in ipotesi previsto. 
    4 - Ad avviso  del  Collegio,  l'iniziativa  giudiziale  promossa
dalla  societa'  ricorrente  non  risulta  sorretta  dal   necessario
interesse a ricorrere anche in relazione alle censure articolate  con
il primo motivo  di  ricorso,  ossia  quelle  tese  a  contestare  le
previsioni del decreto ministeriale 21 giugno 2024 con le quali  sono
stati fissati i criteri per la individuazione delle aree idonee ed e'
stata concessa alle regioni la mera facolta' di  far  salve  le  aree
considerate idonee ope legis ai sensi dell'articolo 20, comma 8,  del
decreto legislativo n. 199/2021. 
    4.1 - In proposito, e' sufficiente rinviare  alle  considerazioni
gia' espresse in precedenza in quanto,  anche  in  relazione  a  tali
censure, l'interesse a ricorrere potrebbe dirsi sussistente solo  nel
caso in cui le gravate prescrizioni sulle «aree idonee» fossero  tali
da arrecare, ex se e immediatamente,  un  pregiudizio  alla  societa'
ricorrente. 
    Il Collegio, tuttavia, non ritiene che la possibilita' di lesione
prospettata dalla societa' ricorrente sia riscontrabile  ex  ante  in
un'ottica prognostica,  in  quanto  l'effetto  giuridico  discendente
dalla qualificazione  di  una  superficie  come  «area  idonea»  alla
realizzazione ed esercizio di un impianto FER delle aree  idonee,  e'
essenzialmente  limitato  al  solo  riconoscimento  di  un  vantaggio
procedimentale. 
    Pertanto, la  societa'  ricorrente  non  possiede  il  necessario
interesse  ad  azionare   in   giudizio   una   posizione   giuridica
sostanzialmente consistente nell'interesse a  non  vedersi  aggravato
l'iter procedimentale  di  autorizzazione  (laddove,  in  futuro,  si
determini a presentare la dovuta istanza all'amministrazione), a  che
venga mantenuto il precedente impianto  normativo  e  a  che  vengano
considerate come «aree idonee» ex lege, superfici che tali sono state
considerate dal legislatore, «nelle  more  dell'individuazione  delle
aree idonee sulla base dei criteri e delle  modalita'  stabiliti  dai
decreti di cui al comma 1 (dell'articolo 20 del  decreto  legislativo
n. 199/2021, n.d.r.)». 
    Al pari di quanto rilevato in relazione alle  gravate  previsioni
sulle «aree non idonee», anche con  riferimento  a  questo  ulteriore
gruppo di censure proposte dalla societa' ricorrente, non risulta che
le amministrazioni resistenti abbiano dettato prescrizioni cogenti  e
introdotto divieti assoluti e aprioristici,  dalla  cui  applicazione
discenda  con  assoluta  certezza  la   radicale   preclusione   alla
realizzazione ed esercizio di impianti FER. 
    In definitiva, non venendo in rilievo  prescrizioni  suscettibili
di impedire alla societa' ricorrente, in via immediata e diretta,  lo
svolgimento della propria attivita' di realizzazione di  impianti  di
produzione  di  energia  da   fonti   rinnovabili,   deve   ritenersi
insussistente  l'interesse  processuale  richiesto  dalla  legge  per
conseguire   l'annullamento   giudiziale    del    gravato    decreto
ministeriale. 
    5 - A ben vedere, e fermo restando il carattere assorbente  delle
anzidette considerazioni, la decidibilita' nel  merito  del  presente
gravame risulterebbe preclusa  anche  dalla  natura  della  posizione
dedotta in giudizio dalla societa'  ricorrente.  Infatti,  ad  essere
stata azionata risulta  essere  una  mera  aspettativa  di  fatto  al
corretto esercizio  sia  della  funzione  amministrativa,  sia  della
funzione legislativa delle regioni, ossia una  situazione  del  tutto
priva  della  specifica  connessione  a  un  bene  della   vita   che
costituisce il proprium delle situazioni  giuridiche  soggettive  che
l'ordinamento reputa meritevoli di tutela. 
    6 - Ad abundantiam, vale anche osservare  che,  alla  luce  della
natura della posizione azionata, la circostanza per cui  la  societa'
ricorrente sia un operatore attivo nel settore  della  produzione  di
energia da fonti rinnovabili non costituisce elemento  sufficiente  a
rendere differenziata e normativamente qualificata la sua  posizione,
la quale, pertanto, non risulta distinguibile da quella  del  quisque
de populo. 
    D'altronde, anche  volendo  attribuire  alla  posizione  azionata
dalla societa' ricorrente  la  consistenza  di  interesse  diffuso  e
metaindividuale, il ricorso in esame non risulterebbe esaminabile nel
merito per carenza di legittimazione attiva, atteso che una  siffatta
situazione giuridica soggettiva puo' essere fatta valere in  giudizio
esclusivamente   dai    soggetti    giuridici    statutariamente    o
istituzionalmente preposti  a  rappresentare  interessi  omogenei  di
specifiche categorie, attribuzione, questa,  che  esula  dalla  sfera
giuridica del singolo individuo o, come nel caso di specie, operatore
economico attivo nel mercato. 
    6.1  -  Ne  consegue  che  «in  se'  considerata,   la   semplice
possibilita' di ricavare dall'invocata decisione di accoglimento  una
qualche utilita' pratica, indiretta ed  eventuale,  ricollegabile  in
via meramente contingente ed occasionale al corretto esercizio  della
funzione  pubblica  censurata,  non  dimostra  la  sussistenza  della
posizione legittimante, nel senso che  siffatto  possibile  vantaggio
ottenibile dalla pronuncia  di  annullamento  non  risulta  idoneo  a
determinare,  da  solo,   il   riconoscimento   di   una   situazione
differenziata,  fondante  la  legittimazione  al  ricorso;   occorre,
invece, una ulteriore condizione-elemento che valga  a  differenziare
il soggetto, cui essa condizione-elemento si riferisce, da coloro che
avrebbero  un   generico   interesse   alla   legalita'   dell'azione
amministrativa, essendo quest'ultimo interesse  riconosciuto  non  al
quisque de populo,  ma  solamente  a  quel  soggetto  che  si  trovi,
rispetto   alla   generalita',   in   una   posizione    legittimante
differenziata» (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 265 del 27 gennaio
2016). 
    6.2 -  Tale  condizione-elemento  non  puo'  essere  rintracciata
nell'aspirazione a una determinata  configurazione  del  procedimento
amministrativo  per  effetto  della  qualificazione  delle  aree   di
localizzazione degli impianti FER, che si traduce  nella  pretesa  ad
una inammissibile conformazione dei  poteri  pubblici  per  mano  dei
soggetti   privati,    strumentale    ad    asservire    le    scelte
dell'amministrazione (e, nel caso di specie,  anche  del  legislatore
regionale) ad interessi di natura egoistica - come tali slegati dalle
esigenze di carattere pubblicistico che l'amministrazione deve curare
- e  ai  desiderata,  modali  e  metodologici,  degli  operatori  del
settore. 
    6.3 - La prospettazione della societa'  ricorrente,  anche  sotto
tale ultimo divisato profilo, non  merita  di  essere  condivisa,  in
quanto  il  giudice  amministrativo  non  puo'  accordare  tutela   a
situazioni del tutto sui  generis  rispetto  a  quelle  di  interesse
legittimo,  nonche'  di  diritto  soggettivo   nei   soli   casi   di
giurisdizione esclusiva. 
    La situazione dedotta  in  giudizio  dalla  societa'  ricorrente,
invero, non possiede la consistenza di interesse legittimo, il  quale
come noto sottende «un rapporto diretto ed immediato tra  l'esercizio
del potere amministrativo (e cio' in cui esso si sostanzia, cioe'  il
provvedimento  amministrativo)  e  l'interessato  all'esercizio   del
potere medesimo», che «si concretizza nel fatto che il  provvedimento
amministrativo  ed  suoi   effetti   interessano   direttamente   (ed
univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto,  in
senso compressivo o ampliativo» (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent.  n.
1403 del 7 marzo 2013). 
    Nel  caso  di  specie,  le   gravate   previsioni   del   decreto
ministeriale in materia di aree idonee e non idonee, non sono atte ad
arrecare alcun pregiudizio immediato e diretto nella sfera  giuridica
della societa' ricorrente, le cui aspettative in relazione a progetti
di realizzazione di  impianti  di  produzione  di  energia  da  fonti
rinnovabili -  ancora  in  fase  di  elaborazione  al  momento  della
proposizione del presente gravame - si conservano integre  sino  alla
definizione del procedimento  autorizzativo  che  verra'  avviato  al
momento   della   presentazione   dell'istanza    all'amministrazione
competente. 
    7 - In definitiva, sulla scorta delle  anzidette  considerazioni,
il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile per  carenza
originaria di interesse alla sua proposizione. 
    8 - A diverse conclusioni  deve  giungersi  quanto  alle  censure
formulate nel III motivo, che  vanno  esaminate  congiuntamente  alle
questioni sollevate con il IV, V  e  VI  motivo,  con  cui  la  parte
ricorrente solleva questioni di costituzionalita' dell'art. 5,  comma
1, del decreto legge 15 maggio 2024, n. 63 - c.d. decreto Agricoltura
- convertito, con modificazioni, con legge 12 luglio 2024, n. 101. 
    Il citato art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024 ha introdotto
il comma 1-bis all'art. 20 del Decreto legislativo  n.  199/2021,  il
quale stabilisce che «L'installazione degli impianti fotovoltaici con
moduli collocati a terra, in zone  classificate  agricole  dai  piani
urbanistici vigenti, e' consentita esclusivamente nelle aree  di  cui
alle  lettere  a),  limitatamente  agli  interventi   per   modifica,
rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione  degli  impianti
gia' installati, a condizione che non comportino incremento dell'area
occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino ambientale e
quelle con piano di coltivazione terminato ancora  non  ripristinate,
nonche'  le  discariche  o  i  lotti  di  discarica   chiusi   ovvero
ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter), numeri 2) e 3), del comma  8
del presente articolo. Il primo periodo non si applica  nel  caso  di
progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli  collocati  a
terra finalizzati  alla  costituzione  di  una  comunita'  energetica
rinnovabile ai sensi dell'articolo 31 del presente decreto nonche' in
caso di progetti attuativi delle altre  misure  di  investimento  del
Piano  nazionale  di  ripresa  e  resilienza  (PNRR),  approvato  con
decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio  2021,  come  modificato
con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e del  Piano
nazionale per gli investimenti complementari al  PNRR  (PNC)  di  cui
all'articolo 1 del decreto-legge 6 maggio 2021,  n.  59,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 1° luglio  2021,  n.  101,  ovvero  di
progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR». 
    Il successivo comma 2 ha previsto  che  tale  disciplina  non  si
applichi «ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore del
presente decreto (16 maggio 2024), sia stata avviata almeno una delle
procedure amministrative, comprese quelle di valutazione  ambientale,
necessarie  all'ottenimento  dei  titoli   per   la   costruzione   e
l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia
stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi». 
    8.1 - Parte ricorrente allega di  aver  elaborato  una  specifica
iniziativa relativa ad un progetto di impianto c.d. agrivoltaico  che
sarebbe inciso dalla richiamata disciplina, non essendo stato  ancora
avviato il relativo iter  autorizzatorio  -  non  ricadendo,  quindi,
nella clausola di salvezza prevista per i progetti  per  i  quali  e'
stata avviata almeno una delle  procedure  amministrative  necessarie
all'ottenimento dei titoli autorizzativi  entro  il  termine  di  cui
all'art.  5,  comma  2,  decreto-legge  n.  63/2024  -   ed   essendo
conseguentemente soggetto al sopravvenuto divieto di installazione di
zona agricola di cui all'art. 20, comma 1-bis, decreto legislativo n.
199/2021. 
    8.2 - Il decreto impugnato prevede, all'art. 1, comma 2,  che  le
regioni individuino sul rispettivo territorio, tra l'altro, le  «aree
in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra», definite come «le aree agricole per le quali vige
il divieto di installazione di impianti  fotovoltaici  con  moduli  a
terra ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto  legislativo  8
novembre 2021, n. 199», in tal  modo  dando  pedissequa  applicazione
alla fonte sovraordinata di cui costituisce mero recepimento. 
    Trattasi, quindi,  di  previsione  che,  diversamente  da  quanto
ritenuto dalla difesa erariale, introduce uno  specifico  divieto  di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati  a  terra
in  zone  classificate  agricole  dai  piani   urbanistici   vigenti,
costituendo strumento di attuazione, per quanto del  tutto  vincolato
nel contenuto, della norma primaria. 
    Va rilevato, infatti, che il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto
legislativo n. 199/2021 definisce il perimetro delle aree agricole in
cui e' consentita l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree
idonee come prevista dal comma 8 del medesimo articolo 20 nelle  more
dell'adozione della disciplina di cui al comma 1. 
    In tale contesto, il decreto ministeriale impugnato ribadisce che
il divieto previsto dal comma 1-bis si applica anche nel nuovo quadro
regolatorio e vincola la potesta'  legislativa  regionale:  ai  sensi
dell'art. 3, comma 1, infatti, le regioni sono chiamate a individuare
con legge, entro 180 giorni dalla  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto, le aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche  quelle
in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra. 
    Il   decreto   impugnato   costituisce   anche    l'unico    atto
amministrativo che interviene nel  processo  di  implementazione  del
divieto, atteso che: 
        - esso e' stabilito direttamente dalla legge statale; 
        - secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle
aree in questione avviene con legge regionale; 
        - le  aree  cosi'  individuate  non  sono  «non  idonee»,  ma
assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la
valutazione,   nel   singolo   procedimento,   della   compatibilita'
dell'intervento con i valori confliggenti. 
    8.3  -  Va,  pertanto,  richiamato  il  consolidato  orientamento
giurisprudenziale  secondo  il  quale  «un  atto  generale  [...]  e'
immediatamente  impugnabile  quando  incide  senz'altro  -  senza  la
necessaria  intermediazione  di  provvedimenti  applicativi   -   sui
comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari»  (Cons.  St.,  IV,
17.3.2022, n. 1937). Nel caso di specie l'incidenza sui comportamenti
degli operatori e' indubbia, derivando  dal  divieto  cosi'  previsto
l'incondizionata preclusione agli interventi di  nuova  installazione
sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis, decreto legislativo n.
199/2021,  come  pure  degli  interventi  di  modifica,  rifacimento,
potenziamento  o  integrale   ricostruzione   degli   impianti   gia'
installati che non siano collocati nelle aree  di  cui  alla  lettera
dell'art.  20,  comma  8,  decreto  legislativo  n.  199/2021  e  che
comportino un incremento dell'area occupata. 
    Deriva da cio'  la  sussistenza  dell'interesse  ad  agire  e  la
legittimazione   all'impugnazione   immediata   della    disposizione
normativa generale. 
    9  -  Premessa,  quindi,  l'ammissibilita'  delle  censure,  deve
innanzitutto reputarsi  infondata  la  doglianza  secondo  la  quale,
concernendo la disciplina rimessa  alla  determinazione  ministeriale
l'adozione di principi e criteri omogenei per l'individuazione  delle
superfici e delle  aree  idonee  e  non  idonee,  non  sarebbe  stata
prevista alcuna delega a individuare le aree «in cui e'  vietata»  la
installazione di impianti fotovoltaici a terra (di seguito «FTV»). 
    Al riguardo, deve rilevarsi che per effetto della  sopravvenienza
normativa costituita dal disposto dell'art. 5  del  decreto-legge  n.
63/2024, il decreto adottato ai sensi del comma 1  dell'art.  20  del
decreto legislativo n. 199/2021 non avrebbe potuto che prendere  atto
dei divieti cosi' introdotti e ribadire,  anche  nel  contesto  della
disciplina secondaria da esso dettata, le relative preclusioni. 
    Nel momento in cui il legislatore  ha  inteso  vietare  ulteriori
interventi concernenti impianti fotovoltaici con moduli  collocati  a
terra nelle aree classificate agricole,  tale  innovativa  previsione
primaria si e' inevitabilmente sovrapposta alle previgenti  norme  in
materia di individuazione delle aree idonee, sicche'  ai  fini  della
relativa  implementazione  non  era  necessaria  alcuna  espressa   e
specifica delega, potendone e  dovendone  l'Autorita'  amministrativa
soltanto prendere atto. 
    10 - Con una seconda  censura  la  societa'  ricorrente  contesta
l'art. 1, comma 2, lett. d), del decreto impugnato nella parte in cui
non esclude dall'applicazione del divieto di  installazione  su  aree
agricole gli impianti agrivoltaici, sostenendo, al riguardo, che tale
tipologia di impianti - avanzati o di  base  -  sarebbero  pienamente
compatibili con la destinazione e l'uso  agricolo  delle  aree  sulle
quali  andrebbero  ad  insistere,  risultando  quindi  ingiustificata
l'applicazione del divieto di  installazione  su  aree  agricole  per
siffatta tipologia di impianti. 
    Anche tale doglianza deve ritenersi infondata. 
    10.1 - Al riguardo,  e'  sufficiente  rilevare  che  l'ambito  di
applicazione del divieto  posto  dall'art.  5  del  decreto-legge  n.
63/2024 e' definito direttamente dalla norma primaria - genericamente
ed estensivamente riferita a  tutti  gli  impianti  fotovoltaici  con
moduli collocati a terra - e la  relativa  individuazione  appartiene
all'ordinaria attivita' di interpretazione degli enunciati normativi. 
    Con la conseguenza che la mancata, ulteriore  specificazione  del
medesimo da parte di un atto applicativo  non  integra,  sotto  alcun
profilo,  un  vizio  di  legittimita'  di  quest'ultimo  laddove  sia
conforme, come nel caso  in  esame,  alla  norma  primaria,  che  non
demanda alla  fonte  secondaria  alcuna  ulteriore  individuazione  e
specificazione, venendo  in  rilievo  una  norma  autoapplicativa  ed
autosufficiente. 
    11 - Occorre allora procedere all'esame dei profili di  rilevanza
e  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate dalla parte ricorrente in relazione all'art.
5 del decreto legge n. 63/2024, procedendo dapprima a  verificare  se
sia possibile fornire di tale norma  un'interpretazione  suscettibile
di risolvere, gia'  sul  piano  della  corretta  delimitazione  della
portata   della   norma   censurata,   i   denunciati   sospetti   di
incostituzionalita'. 
    12 -   Sull'impossibilita'   di   interpretare   l'art.   5   del
decreto-legge n. 63/2024 in modo conforme a Costituzione. 
    12.1 - Parte ricorrente ha condizionato l'interesse  a  sollevare
l'incidente  di  costituzionalita'  all'impossibilita'   di   fornire
un'interpretazione della norma in base alla quale ogni  tipologia  di
impianto agrivoltaico sarebbe esclusa dal divieto da  essa  previsto,
in quanto la giurisprudenza avrebbe gia' riconosciuto  la  differenza
esistente  tra  la  tecnologia   agrivoltaica   e   il   tradizionale
fotovoltaico. Cio', tuttavia, come di seguito si passa ad illustrare,
non e' possibile se non in parte, e comunque in modo  non  del  tutto
satisfattivo dell'interesse di parte ricorrente. 
    12.2 - L'ambito del regime preclusivo introdotto dalla  norma  va
ricostruito a partire dal «significato proprio delle  parole  secondo
la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore» (art. 12,
comma 1, disp. prel. c.c.). 
    L'oggetto  della  previsione  normativa  riguarda  specificamente
l'installazione degli impianti fotovoltaici «con moduli  collocati  a
terra [...] in zone classificate agricole»  e  si  pone  in  funzione
servente rispetto alla dichiarata «straordinaria necessita' e urgenza
di  contrastare  il  fenomeno  del  consumo  del  suolo  a  vocazione
agricola». 
    Dalle richiamate coordinate normative si  ricava,  pertanto,  che
l'oggetto   del   divieto   riguarda   gli   impianti    fotovoltaici
caratterizzati  da  una  ben  determinata  caratteristica  -   ovvero
l'installazione  dei  moduli  a  terra  -  in  quanto  ritenuta   dal
legislatore incompatibile con l'utilizzo del suolo per  l'agricoltura
e, quindi, con la finalita' di contrastare il  fenomeno  del  consumo
del suolo a vocazione agricola. 
    12.3 - Le linee guida  MITE  del  2022  in  materia  di  impianti
agrivoltaici individuano come segue i  requisiti  che  tali  impianti
debbono  possedere  per  rispondere  alla  finalita'  per  cui   sono
realizzati: 
        «- requisito A: Il sistema e' progettato e realizzato in modo
da  adottare  una  configurazione  spaziale   ed   opportune   scelte
tecnologiche,  tali  da  consentire  l'integrazione   fra   attivita'
agricola  e  produzione  elettrica  e   valorizzare   il   potenziale
produttivo di entrambi i sottosistemi; 
        - requisito B: Il sistema agrivoltaico e' esercito, nel corso
della vita tecnica, in maniera da garantire la  produzione  sinergica
di energia elettrica e  prodotti  agricoli  e  non  compromettere  la
continuita' dell'attivita' agricola e pastorale; 
        -  requisito  C:  L'impianto  agrivoltaico  adotta  soluzioni
integrate innovative con moduli elevati da terra, volte a ottimizzare
le prestazioni del sistema agrivoltaico sia in termini energetici che
agricoli; 
        - requisito D:  Il  sistema  agrivoltaico  e'  dotato  di  un
sistema di monitoraggio che consenta di  verificare  l'impatto  sulle
colture, il  risparmio  idrico,  la  produttivita'  agricola  per  le
diverse tipologie di colture e la continuita' delle  attivita'  delle
aziende agricole interessate; 
        - requisito E:  Il  sistema  agrivoltaico  e'  dotato  di  un
sistema di monitoraggio che,  oltre  a  rispettare  il  requisito  D,
consenta di verificare il recupero della  fertilita'  del  suolo,  il
microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici». 
    Le medesime linee guida chiariscono, poi, che  «Il  rispetto  dei
requisiti A, B e' necessario per definire  un  impianto  fotovoltaico
realizzato in area agricola come «agrivoltaico».  Per  tali  impianti
dovrebbe inoltre previsto il rispetto del requisito D.2»,  mentre  il
rispetto «dei requisiti A, B, C e D e' necessario per  soddisfare  la
definizione di «impianto agrivoltaico avanzato» e, in  conformita'  a
quanto stabilito dall'articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies,  del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1,  classificare  l'impianto  come
meritevole dell'accesso agli incentivi statali a valere sulle tariffe
elettriche». 
    Dalla  classificazione  tipologica  degli  impianti  agrivoltaici
contenuta nelle linee guida risulta, pertanto, che soltanto  per  gli
impianti agrivoltaici di tipo avanzato e' senz'altro  soddisfatto  il
requisito C, consistente nell'utilizzo di moduli elevati da terra. Il
suddetto utilizzo, secondo le linee guida, puo'  assumere  una  delle
due seguenti configurazioni: 
    - «l'altezza minima dei moduli e' studiata in modo da  consentire
la continuita' delle attivita' agricole (o zootecniche)  anche  sotto
ai moduli fotovoltaici.  Si  configura  una  condizione  nella  quale
esiste un doppio uso del  suolo,  ed  una  integrazione  massima  tra
l'impianto agrivoltaico e la coltura, e cioe' i  moduli  fotovoltaici
svolgono una funzione sinergica alla coltura, che si  puo'  esplicare
nella  prestazione  di  protezione  della   coltura   (da   eccessivo
soleggiamento, grandine, etc.) compiuta dai moduli  fotovoltaici.  In
questa condizione la superficie occupata dalle colture e  quella  del
sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi
dell'impianto che poggiano a terra e che  inibiscono  l'attivita'  in
zone circoscritte del suolo»; 
    - «i moduli fotovoltaici sono  disposti  in  posizione  verticale
[...].  L'altezza   minima   dei   moduli   da   terra   non   incide
significativamente sulle possibilita' di  coltivazione  (se  non  per
l'ombreggiamento in determinate ore del giorno), ma puo'  influenzare
il grado di connessione dell'area, e  cioe'  il  possibile  passaggio
degli animali, con  implicazioni  sull'uso  dell'area  per  attivita'
legate alla zootecnia.  Per  contro,  l'integrazione  tra  l'impianto
agrivoltaico e la coltura si puo' esplicare  nella  protezione  della
coltura compiuta dai moduli fotovoltaici che  operano  come  barriere
frangivento». 
    12.4 - In considerazione del tenore letterale e  della  finalita'
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, e' possibile  ritenere  che
il divieto ivi previsto non si applichi agli impianti agrivoltaici di
tipo avanzato, in quanto  in  relazione  ai  suddetti  impianti,  non
realizzandosi l'installazione di moduli collocati  a  terra,  non  si
verifica la sottrazione di suolo agricolo nei termini  che  la  norma
intende contrastare. 
    Tale conclusione e' peraltro confermata dallo stesso orientamento
assunto  in  sede  ministeriale  nell'interpretazione   della   norma
censurata (si veda la risposta del Ministro  dell'agricoltura,  della
sovranita' alimentare e delle foreste all'interrogazione parlamentare
n. 3-01225, laddove e' stato precisato  che  «Sara'  [...]  possibile
installare pannelli sospesi,  il  cosiddetto  agrivoltaico  avanzato,
sotto il quale si puo' coltivare e portare a termine tutti i progetti
legati al PNRR» - cfr. il resoconto della seduta n. 297 del 22 maggio
2024 presso la Camera dei deputati), oltre  che  dalle  attivita'  in
corso  di  implementazione  delle  misure  introdotte   dal   decreto
impugnato (cfr. il disegno di legge della Regione Puglia n. 222/2024,
depositato agli atti, che all'art. 8, comma 4,  stabilisce  che  «nel
caso  di  utilizzo  della   tecnologia   fotovoltaica,   nelle   zone
classificate agricole dai piani urbanistici possono essere realizzati
esclusivamente impianti agrivoltaici di natura sperimentale»). 
    12.5 - Se puo' residuare un margine di incertezza in ordine  agli
impianti che, in quanto rispondenti ai requisiti di cui alle  lettere
a), b) e c) delle linee guida, ma non a tutti quelli richiesti  dalla
lettera  d),  non  sono  qualificabili  come  impianti   agrivoltaici
avanzati, sebbene utilizzino moduli  sollevati  da  terra,  cio'  che
rileva in questa sede e' che parte ricorrente ha allegato  agli  atti
un progetto di agrivoltaico non avanzato, che rientra senz'altro  nel
divieto previsto dalla norma. 
    Gli impianti riconducibili a tale tipologia si caratterizzano per
l'installazione dei moduli a terra e determinano, in  ogni  caso,  il
consumo di suolo a  vocazione  agricola,  sia  pure  in  misura  piu'
limitata rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici. Soltanto nel
caso degli impianti con  moduli  sollevati  da  terra,  infatti,  «la
superficie occupata dalle colture e quella del  sistema  agrivoltaico
coincidono, fatti salvi gli elementi  costruttivi  dell'impianto  che
poggiano a terra e che inibiscono l'attivita'  in  zone  circoscritte
del suolo» (cfr. le linee guida, pag. 24). 
    12.6 - Un'interpretazione diversa, quale quella volta a escludere
qualsivoglia tipologia di impianto agrivoltaico dall'applicazione del
divieto, si porrebbe in contrasto, oltre che con  il  dato  letterale
della  norma,  anche  con  le  sue  finalita'  e   si   porrebbe   in
inammissibile contrasto con i tradizionali e inderogabili criteri  di
ermeneutica giuridica. 
    Al riguardo, si deve osservare che: 
        - «la lettera della norma  costituisce  il  limite  cui  deve
arrestarsi  anche  l'interpretazione   costituzionalmente   orientata
dovendo, infatti, essere sollevato l'incidente  di  costituzionalita'
ogni  qual  volta   l'opzione   ermeneutica   supposta   conforme   a
Costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale  della  norma
stessa» (Cass., S.U., 1.6.2021, n. 15177). Nel caso di specie, non vi
e' dubbio che gli impianti  agrivoltaici  di  tipo  tradizionale,  in
quanto si risolvano nell'installazione di pannelli collocati a terra,
rientrino nella previsione che vieta, per l'appunto,  l'installazione
di impianti «con moduli collocati a terra»; 
        -  l'ampiezza  del  divieto  introdotto  con  l'art.  5   del
decreto-legge n. 63/2024, che si risolve nella  preclusione  assoluta
di realizzare impianti  con  moduli  collocati  a  terra  sull'intero
territorio nazionale, induce a ritenere  che  l'obiettivo  perseguito
dal legislatore  fosse  quello  di  contrastare  la  sia  pur  minima
riduzione  del  territorio  a  vocazione   agricola   per   l'effetto
dell'installazione di impianti fotovoltaici.  Un'interpretazione  che
escludesse tutte le tipologie di impianti agrivoltaici dall'ambito di
applicazione della norma in questione, anche a dispetto  di  un  (pur
ridotto) consumo di suolo agricolo, si porrebbe in frontale contrasto
con tale obiettivo, quale chiaramente  emergente  dai  presupposti  e
dall'oggetto dell'enunciato normativo, operazione  che  non  puo'  in
alcun modo ritenersi consentita all'interprete. 
    Per le ragioni sopra indicate neppure e'  possibile  interpretare
l'art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024 nel senso che il  divieto
opererebbe soltanto all'esito di specifica istruttoria  nel  rispetto
delle  linee  guida.  Una  siffatta  interpretazione,   infatti,   si
risolverebbe in un'interpretatio abrogans  della  norma  e,  in  ogni
caso, contrasta  con  il  chiaro  tenore  letterale  e  la  finalita'
perseguita dal legislatore, che ha inteso consentire l'utilizzo delle
aree agricole per gli impianti fotovoltaici con  moduli  collocati  a
terra esclusivamente nei limiti di cui al citato art.  5:  l'avverbio
«esclusivamente» non lascia spazio a dubbi circa la portata  assoluta
del divieto che caratterizza  i  progetti  e  le  aree  agricole  non
contemplati  quali  eccezioni  dall'art.  20,  comma  1-bis,  decreto
legislativo n. 199/2021. 
    13 - Sulla rilevanza delle questioni. 
    13.1 - Dall'acclarata non percorribilita'  di  un'interpretazione
dell'enunciato normativo  integralmente  satisfattivo  per  la  parte
ricorrente  deriva  la  rilevanza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale prospettate nei  motivi  IV,  V  e  VI,  ponendosi  il
divieto previsto dall'art. 5, comma  1,  decreto  legge.  n.  63/2024
quale fattore  preclusivo  alla  realizzabilita'  del  progetto  gia'
elaborato  da  parte  ricorrente  in  ragione  della   sua   concreta
localizzazione. 
    13.2 - Si e' gia' osservato, nell'argomentare sull'interesse alle
censure, che il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto  legislativo  n.
199/2021 definisce  il  perimetro  delle  aree  agricole  in  cui  e'
consentita  l'installazione  di  impianti  fotovoltaici  con   moduli
collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree
idonee come prevista dal comma 8 del medesimo articolo 20 nelle  more
dell'adozione della disciplina di cui al comma 1. 
    In tale  contesto,  il  decreto  ministeriale  ribadisce  che  il
divieto previsto dal comma 1-bis si applica anche  nel  nuovo  quadro
regolatorio e vincola la potesta'  legislativa  regionale:  ai  sensi
dell'art. 3, comma 1, infatti, le regioni sono chiamate a individuare
con legge, entro 180 giorni dalla  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto, le aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche  quelle
in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra. 
    Si e'  anche  osservato  che  il  decreto  impugnato  costituisce
l'unico  atto  amministrativo  che   interviene   nel   processo   di
implementazione del divieto, atteso che: 
        - esso e' stabilito direttamente dalla legge statale; 
        - secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle
aree in questione avviene con legge regionale; 
        - le  aree  cosi'  individuate  non  sono  «non  idonee»,  ma
assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la
valutazione,   nel   singolo   procedimento,   della   compatibilita'
dell'intervento con i valori confliggenti. 
    E'  stato   quindi   richiamato   il   consolidato   orientamento
giurisprudenziale  secondo  il  quale  «un  atto  generale  [...]  e'
immediatamente  impugnabile  quando  incide  senz'altro  -  senza  la
necessaria  intermediazione  di  provvedimenti  applicativi   -   sui
comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari»  (Cons.  St.,  IV,
17.3.2022, n. 1937), rilevandosi che nel caso di  specie  l'incidenza
sui comportamenti degli operatori e' indubbia, derivando dal  divieto
cosi' previsto l'incondizionata preclusione agli interventi di  nuova
installazione sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis,  decreto
legislativo n. 199/2021, come  pure  degli  interventi  di  modifica,
rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione  degli  impianti
gia' installati che non  siano  collocati  nelle  aree  di  cui  alla
lettera dell'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021 e  che
comportino un incremento dell'area occupata. 
    Il decreto impugnato replica, quindi, il  divieto  sancito  dalla
norma primaria, demandando alla legge  regionale  la  sua  pedissequa
trasposizione, che determina ex se l'impossibilita' di realizzare  il
progetto di parte ricorrente. 
    La perdurante vigenza e validita' della norma primaria  impedisce
qualsivoglia intervento demolitorio da parte del Collegio, recando il
decreto una previsione del tutto conforme a legge. 
    13.3 - In  mancanza  della  declaratoria  di  incostituzionalita'
dell'art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 63/2024, la  domanda
di annullamento dell'art. 1 del decreto ministeriale  impugnato,  per
la parte di interesse, dovrebbe essere rigettata. 
    Viceversa,  laddove  la  norma   incriminata   fosse   dichiarata
incostituzionale, l'art. 1, comma 2, lettera d), del decreto dovrebbe
essere annullato, ponendo a quel punto un divieto  generalizzato  che
nessuna norma primaria contemplerebbe o autorizzerebbe e che, per  le
ragioni che saranno illustrate, collide con il principio  di  massima
diffusione delle energie rinnovabili, quale  desumibile  dal  diritto
dell'Unione, dando peraltro luogo a una disciplina che non supera  lo
scrutinio di proporzionalita' e ragionevolezza. 
    14 - Sulla manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale posta con il IV motivo. 
    14.1 - Con la questione sollevata nell'ambito del  IV  motivo  la
parte ricorrente contesta la norma censurata per violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 77,  comma  secondo,  della  Costituzione.  La
ricorrente contesta,  in  particolare,  la  sussistenza  dell'addotta
ragione di straordinaria  necessita'  e  urgenza  di  contrastare  il
fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola  in  ragione  del
fatto  che,  posta  l'esistenza  sul  territorio  nazionale  di   una
superficie agricola totale di 16 milioni di ettari (di cui solo  12,5
ettari  utilizzati),  anche  nell'ipotesi  in   cui   gli   obiettivi
energetici  nel  territorio  italiano  dovessero  essere  soddisfatti
esclusivamente mediante la  sola  tecnologia  che  utilizza  pannelli
fotovoltaici collocati a terra,  si  perverrebbe  a  un  utilizzo  di
appena  lo  0,4%  della  superficie  agricola,  del  tutto  marginale
rispetto ai 4 milioni di terreni agricoli abbandonati. 
    14.2 - L'esame della pertinente giurisprudenza costituzionale non
autorizza, tuttavia, l'operazione compiuta dalla parte ricorrente. 
    Dall'esame dell'ampia casistica sottoposta alla Corte si  ricava,
in primo luogo,  che  il  sindacato  relativo  alla  sussistenza  dei
requisiti di necessita' e urgenza e' circoscritto ai casi di evidente
mancanza dei  presupposti  ovvero  di  manifesta  irragionevolezza  o
arbitrarieta' della relativa valutazione (ex plurimis, Corte Cost. n.
170/2017, n. 287 del 2016, n. 72 del 2015, n. 22 del 2012, n. 93  del
2011, n. 355 del 2010; n. 128 del 2008; n. 171 del 2007). 
    Tale verifica viene,  inoltre,  condotta,  non  dissimilmente  da
quanto accade per il sindacato del giudice amministrativo in  materia
di eccesso di potere, a partire da profili sintomatici, tra  i  quali
assume preminente rilievo il riscontro (o  meno)  di  una  intrinseca
coerenza delle norme contenute nel decreto-legge dal punto  di  vista
oggettivo e/o funzionale. 
    Il presupposto del caso straordinario di  necessita'  e  urgenza,
infatti, «inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come  un
tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza,  anche
se articolato  e  differenziato  al  suo  interno.  La  scomposizione
atomistica   della   condizione   di   validita'   prescritta   dalla
Costituzione si pone in contrasto con il  necessario  legame  tra  il
provvedimento  legislativo  urgente  ed  il  caso  che  lo  ha   reso
necessario, trasformando il decreto-legge in una  congerie  di  norme
assemblate soltanto  da  mera  casualita'  temporale»  (Corte  Cost.,
sentenza n. 22/2012). 
    14.3  -  L'art.  5  del  decreto  legge  n.   63/2024   introduce
«Disposizioni finalizzate a limitare l'uso del suolo agricolo» ed  e'
inserito in un provvedimento normativo adottato considerando che  «la
concomitanza di congiunture avverse, quali il perdurare del conflitto
in Ucraina e la  diffusione  di  fitopatie,  ha  indotto  il  settore
primario in una persistente situazione di crisi,  determinando  gravi
ripercussioni sul tessuto economico  e  sociale»,  onde  la  ritenuta
necessita' e urgenza di «emanare disposizioni finalizzate a garantire
l'approvvigionamento delle materie prime agricole e,  in  specie,  di
quelle  funzionali  all'esercizio  delle  attivita'   di   produzione
primaria, a sostenere il lavoro agricolo e le filiere produttive,  in
particolare quella cerealicola, quella del kiwi, quella della pesca e
dell'acquacoltura», nonche' di «contrastare il fenomeno  del  consumo
del suolo a vocazione agricola». 
    Rispetto  a  tali   enunciati   presupposti   e   finalita',   la
disposizione   intesa   a   vietare   l'installazione   di   impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra in  aree  agricole  non  si
pone  in  termini  di  manifesta  estraneita',   presentando   invece
un'intrinseca coerenza nell'ambito di un  complesso  di  disposizioni
finalizzate al sostegno del settore agricolo. 
    14.4 - Gli elementi addotti dalla  ricorrente  a  sostegno  della
ritenuta insussistenza delle ragioni di  urgenza,  in  ragione  della
limitata porzione di territorio  che  potrebbe  essere  occupata  per
effetto della realizzazione degli impianti oggetto del  divieto,  non
consentono di giungere  a  conclusioni  diverse,  costituendo  chiaro
obiettivo dell'intervento contestato quello di contrastare la sia pur
minima riduzione del suolo a vocazione agricola: la  misura  adottata
costituisce, dunque, senz'altro  sviluppo  delle  premesse,  che  non
risultano in alcun  modo  smentite  dalle  argomentazioni  spese  nel
ricorso. 
    14.5 - La questione di  illegittimita'  costituzionale  sollevata
nel IV motivo risulta, pertanto, manifestamente infondata. 
    15 -  Sulla  non  manifesta  infondatezza  delle   questioni   di
costituzionalita' sollevate con il V e il VI motivo. 
    15.1 -  A  conclusioni  diverse  occorre  giungere  quanto   agli
ulteriori dubbi di costituzionalita' sollevati nell'ambito  del  V  e
del VI motivo, con  i  quali  la  parte  ricorrente  ha  in  sostanza
lamentato: 
        - la violazione dell'art. 117, commi  primo  e  terzo,  della
Costituzione, in  relazione,  rispettivamente,  alla  Direttiva  (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e  del  Consiglio  dell'11  dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti  rinnovabili  e
all'art.  12  del  decreto  legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387
(attuazione della direttiva 2001/77/CE):  la  norma  contestata,  nel
prevedere il divieto di  installazione  di  nuovi  impianti  FTV  con
moduli collocati a terra e il divieto di  aumentare  l'estensione  di
quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in contrasto con  i
vincoli derivanti dall'ordinamento europeo  e,  in  particolare,  con
l'obiettivo di garantire la massima diffusione  degli  impianti  FER,
perseguito dalla direttiva 2009/28/CE,  dalla  direttiva  2001/77/CE,
nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione  della  quale  e'
stato emanato il decreto legislativo n. 199/2021. 
        Sotto altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con  i
principi  generali  dettati  in  materia  dallo  stesso   Legislatore
statale, in attuazione delle direttive europee, e in particolare  con
l'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del
quale «Gli impianti  di  produzione  di  energia  elettrica,  di  cui
all'articolo 2, comma 1, lettere b)  e  c),  possono  essere  ubicati
anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici», e
con le Linee guida del 2010, introdotte in attuazione del citato art.
12, secondo le quali le zone classificate agricole dai vigenti  piani
urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e  siti
non idonei e l'individuazione delle aree e dei siti  non  idonei  non
puo' riguardare porzioni significative del territorio; 
        - la violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  9  Cost.,
dell'art. 15 della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo  e
del  Consiglio  dell'11  dicembre  2018,  sulla  promozione  dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili, del principio di proporzionalita',
dell'art. 11 del TFUE, dell'art. 41 Cost.: la scelta di introdurre un
generale e indiscriminato  divieto  a  realizzare  impianti  FTV  con
moduli a terra  su  aree  urbanisticamente  campite  come  «agricole»
risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione  delle
fonti rinnovabili in modo  da  incidere  sugli  obiettivi  di  tutela
dell'ambiente   perseguiti,   dando   luogo    a    una    disciplina
sproporzionata, in contrasto con il principio di  integrazione  delle
tutele e con la stessa tutela dei valori ambientali. 
    15.2 - In primo luogo, il  Collegio  ritiene  che  la  disciplina
censurata presenti profili di contrasto con gli artt. 11 e 117, comma
1,  Cost.,  sotto  il  profilo  del  mancato  rispetto  «dei  vincoli
derivanti  dall'ordinamento  comunitario»  e,  in  particolare,   del
principio di massima diffusione delle fonti di  energia  rinnovabili,
derivante dalla normativa europea. 
    15.3 - Occorre al riguardo ricordare,  anzitutto,  che  ai  sensi
dell'art. 3, par. 5, TUE, «Nelle relazioni con  il  resto  del  mondo
l'Unione afferma e promuove i suoi valori e  interessi,  contribuendo
alla protezione dei suoi cittadini», A tal  fine  essa  «Contribuisce
[...] allo sviluppo sostenibile della Terra». 
    L'art. 6, par. 1, TUE precisa che «L'Unione riconosce i  diritti,
le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007
a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati». 
    Ai sensi dell'art. 37 della Carta, «Un livello elevato di  tutela
dell'ambiente e il miglioramento della  sua  qualita'  devono  essere
integrati nelle politiche dell'Unione e  garantiti  conformemente  al
principio dello sviluppo sostenibile». 
    L'art. 11 TFUE esprime la  medesima  esigenza  sancendo  che  «Le
esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate
nella  definizione  e  nell'attuazione  delle  politiche   e   azioni
dell'Unione,  in  particolare  nella  prospettiva  di  promuovere  lo
sviluppo sostenibile» (c.d. principio di integrazione). 
    Secondo l'art. 191 TFUE,  «La  politica  dell'Unione  in  materia
ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: 
        -  salvaguardia,  tutela  e  miglioramento   della   qualita'
dell'ambiente; 
        - protezione della salute umana; 
        - utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; 
        - promozione sul piano internazionale di misure  destinate  a
risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale  e,
in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. 
    2. La politica  dell'Unione  in  materia  ambientale  mira  a  un
elevato livello di  tutela,  tenendo  conto  della  diversita'  delle
situazioni nelle varie  regioni  dell'Unione.  Essa  e'  fondata  sui
principi della precauzione e dell'azione  preventiva,  sul  principio
della correzione, in via prioritaria alla fonte,  dei  danni  causati
all'ambiente, nonche' sul principio "chi inquina paga"». 
    Ai sensi dell'art. 192, par. 1, TFUE, «Il Parlamento europeo e il
Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa  ordinaria  e
previa consultazione del Comitato economico e sociale e del  Comitato
delle regioni, decidono in  merito  alle  azioni  che  devono  essere
intraprese dall'Unione per  realizzare  gli  obiettivi  dell'articolo
191». 
    L'art.  194  TFUE  stabilisce,  a  sua  volta,  che  «Nel  quadro
dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno e  tenendo
conto  dell'esigenza  di  preservare  e  migliorare  l'ambiente,   la
politica dell'Unione nel  settore  dell'energia  e'  intesa,  in  uno
spirito di solidarieta' tra  Stati  membri,  a  [...]  promuovere  il
risparmio  energetico,  l'efficienza  energetica  e  lo  sviluppo  di
energie nuove e rinnovabili». 
    15.4 - Protezione dell'ambiente e promozione delle  c.d.  energie
rinnovabili  costituiscono,  pertanto,  politiche  interdipendenti  e
connesse. 
    Come si ricava dalla giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia,
l'uso  di  fonti  di  energia  rinnovabili  per  la   produzione   di
elettricita'  e'  utile   alla   tutela   dell'ambiente   in   quanto
contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas  a  effetto  serra
che compaiono tra le principali cause dei cambiamenti  climatici  che
l'Unione  europea  e  i  suoi  Stati  membri  si  sono  impegnati   a
contrastare. 
    L'incremento  della  quota   di   rinnovabili   costituisce,   in
particolare, uno degli elementi  portanti  del  pacchetto  di  misure
richieste per ridurre tali emissioni e conformarsi al  protocollo  di
Kyoto, alla convenzione quadro delle Nazioni  Unite  sui  cambiamenti
climatici, nonche' agli altri impegni assunti a livello comunitario e
internazionale per la riduzione delle emissioni  dei  gas  a  effetto
serra. Cio', peraltro, e' funzionale anche alla tutela della salute e
della vita delle persone e degli animali, nonche' alla  preservazione
dei vegetali (cfr. le sentenze 1.7.2014, C-573/12, 78 ss., e 13 marzo
2001, C-379/98, 73 ss.). 
    15.5 - La Corte di giustizia ha peraltro precisato che l'art. 191
TFUE si limita a  definire  gli  obiettivi  generali  dell'Unione  in
materia ambientale, mentre l'articolo 192 TFUE affida  al  Parlamento
europeo e al Consiglio dell'Unione europea il compito di decidere  le
azioni da avviare al fine del raggiungimento di detti obiettivi. 
    Di conseguenza, l'art. 191  TFUE  non  puo'  essere  invocato  in
quanto tale dai privati al fine di escludere  l'applicazione  di  una
normativa nazionale emanata in una materia rientrante nella  politica
ambientale quando non sia applicabile nessuna  normativa  dell'Unione
adottata in base all'articolo 192 TFUE; viceversa,  l'art.  191  TFUE
assume  rilevanza  allorquando  esso  trovi  attuazione  nel  diritto
derivato (cfr. CGUE, sentenza 4.3.2015, C-534/13, 39 ss.). 
    15.6 - Disposizioni sulla promozione  dell'energia  elettrica  da
fonti energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell'art. 175  TCE
(ora  192  TFUE),  sono  state  introdotte  gia'  con  la   direttiva
2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio  del  27  settembre
2001 e, successivamente, con la Direttiva 2009/28/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009. 
    15.7 - Con la direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento  europeo  e
del Consiglio dell'11 dicembre 2018 si e' proceduto alla rifusione  e
alla  modifica   delle   disposizioni   contenute   nella   direttiva
2009/28/CE. 
    Nel dettare la relativa  disciplina  e'  stato  considerato,  tra
l'altro, che: 
        «[...] 
        (2) Ai sensi dell'articolo 194, paragrafo 1, del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la promozione  delle  forme
di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi della
politica energetica dell'Unione. Tale obiettivo e'  perseguito  dalla
presente  direttiva.  Il  maggiore  ricorso  all'energia   da   fonti
rinnovabili  o  all'energia   rinnovabile   costituisce   una   parte
importante  del  pacchetto  di  misure  necessarie  per  ridurre   le
emissioni di gas  a  effetto  serra  e  per  rispettare  gli  impegni
dell'Unione  nel  quadro  dell'accordo  di  Parigi   del   2015   sui
cambiamenti climatici, a seguito della  21ª  Conferenza  delle  parti
della  Convenzione  quadro  delle  Nazioni  unite   sui   cambiamenti
climatici ("accordo  di  Parigi"),  e  il  quadro  per  le  politiche
dell'energia e del clima  all'orizzonte  2030,  compreso  l'obiettivo
vincolante dell'Unione di ridurre  le  emissioni  di  almeno  il  40%
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L'obiettivo vincolante in
materia di energie rinnovabili a livello dell'Unione per il 2030 e  i
contributi degli Stati membri a tale obiettivo, comprese le quote  di
riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi  nazionali  generali
per il 2020, figurano tra gli elementi di importanza fondamentale per
la politica energetica e ambientale dell'Unione [...]. 
        (3) Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili puo'
svolgere  una  funzione  indispensabile  anche  nel   promuovere   la
sicurezza  degli   approvvigionamenti   energetici,   nel   garantire
un'energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo
tecnologico e l'innovazione,  oltre  alla  leadership  tecnologica  e
industriale, offrendo nel contempo  vantaggi  ambientali,  sociali  e
sanitari, come pure nel creare numerosi posti di  lavoro  e  sviluppo
regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o
nei territori a bassa densita'  demografica  o  soggetti  a  parziale
deindustrializzazione. 
        (4) In particolare, la riduzione del  consumo  energetico,  i
maggiori  progressi  tecnologici,  gli  incentivi  all'uso   e   alla
diffusione  dei  trasporti  pubblici,   il   ricorso   a   tecnologie
energeticamente efficienti e la promozione dell'utilizzo  di  energia
rinnovabile nei settori dell'energia elettrica, del  riscaldamento  e
del raffrescamento, cosi' come in quello dei trasporti sono strumenti
molto efficaci, assieme alle  misure  di  efficienza  energetica  per
ridurre le emissioni a effetto serra nell'Unione e la sua  dipendenza
energetica. 
        (5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro  normativo
per la promozione dell'utilizzo di energia da fonti  rinnovabili  che
fissa obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota  di  energia
rinnovabile nel consumo energetico e nel  settore  dei  trasporti  da
raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del  22
gennaio 2014, intitolata "Quadro per le politiche dell'energia e  del
clima per il periodo dal 2020 al 2030" ha definito un quadro  per  le
future politiche dell'Unione nei settori dell'energia e del  clima  e
ha promosso un'intesa comune sulle  modalita'  per  sviluppare  dette
politiche dopo il 2020. La Commissione  ha  proposto  come  obiettivo
dell'Unione una quota di energie  rinnovabili  consumate  nell'Unione
pari ad almeno il  27  %  entro  il  2030.  Tale  proposta  e'  stata
sostenuta dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre
2014, le quali indicano che gli Stati membri dovrebbero poter fissare
i  propri  obiettivi  nazionali  piu'  ambiziosi,  per  realizzare  i
contributi all'obiettivo dell'Unione per il 2030 da essi  pianificati
e andare oltre. 
        (6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del  5  febbraio
2014,  "Un  quadro  per  le  politiche  dell'energia  e   del   clima
all'orizzonte 2030", e del 23  giugno  2016,  "I  progressi  compiuti
nell'ambito  delle  energie  rinnovabili",  si  e'  spinto  oltre  la
proposta  della  Commissione  o   le   conclusioni   del   Consiglio,
sottolineando che, alla luce dell'accordo di Parigi e  delle  recenti
riduzioni del costo delle  tecnologie  rinnovabili,  era  auspicabile
essere molto piu' ambiziosi. 
        [...]. 
        (8)  Appare  pertanto  opportuno   stabilire   un   obiettivo
vincolante dell'Unione in relazione alla quota di  energia  da  fonti
rinnovabili pari almeno al  32%.  Inoltre,  la  Commissione  dovrebbe
valutare se tale obiettivo debba essere rivisto al rialzo  alla  luce
di sostanziali  riduzioni  del  costo  della  produzione  di  energia
rinnovabile, degli impegni internazionali dell'Unione a favore  della
decarbonizzazione o in caso di  un  significativo  calo  del  consumo
energetico nell'Unione. Gli Stati membri dovrebbero stabilire il loro
contributo  al  conseguimento  di  tale  obiettivo  nell'ambito   dei
rispettivi piani nazionali integrati per  l'energia  e  il  clima  in
applicazione del processo di governance definito nel regolamento (UE)
2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio. 
        [...]. 
        (10) Al fine di garantire  il  consolidamento  dei  risultati
conseguiti  ai  sensi  della  direttiva  2009/28/CE,  gli   obiettivi
nazionali  stabiliti  per  il  2020   dovrebbero   rappresentare   il
contributo minimo degli Stati membri al nuovo quadro per il 2030.  In
nessun caso le quote nazionali delle energie  rinnovabili  dovrebbero
scendere al di sotto di tali contributi. [...]. 
        (11) Gli Stati membri dovrebbero  adottare  ulteriori  misure
qualora la quota di energie  rinnovabili  a  livello  di  Unione  non
permettesse di mantenere la traiettoria dell'Unione verso l'obiettivo
di  almeno  il  32%  di  energie  rinnovabili.  Come  stabilito   nel
regolamento (UE)  2018/1999,  se,  nel  valutare  i  piani  nazionali
integrati in materia di energia e  clima,  ravvisa  un  insufficiente
livello di ambizione, la Commissione puo' adottare misure  a  livello
dell'Unione per assicurare il conseguimento dell'obiettivo.  Se,  nel
valutare le relazioni intermedie nazionali integrate  sull'energia  e
il clima, la Commissione ravvisa  progressi  insufficienti  verso  la
realizzazione degli obiettivi, gli Stati membri dovrebbero  applicare
le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare  tale
lacuna». 
    Le richiamate rationes hanno condotto a introdurre, tra  l'altro,
un obiettivo vincolante complessivo dell'Unione per il 2030 (art. 3),
per cui «Gli Stati membri provvedono collettivamente a far si' che la
quota di energia da fonti rinnovabili nel  consumo  finale  lordo  di
energia dell'Unione nel 2030 sia almeno pari al 32%.  La  Commissione
valuta tale obiettivo al fine  di  presentare,  entro  il  2023,  una
proposta  legislativa  intesa  a  rialzarlo  nel  caso  di  ulteriori
sostanziali  riduzioni  dei  costi  della   produzione   di   energia
rinnovabile,  se  risulta  necessario  per  rispettare  gli   impegni
internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o  se  il
rialzo  e'  giustificato  da  un  significativo  calo   del   consumo
energetico nell'Unione», con la  precisazione  che  «Se,  sulla  base
della valutazione delle proposte dei piani  nazionali  integrati  per
l'energia e  il  clima,  presentati  ai  sensi  dell'articolo  9  del
regolamento (UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che i  contributi
nazionali  degli  Stati  membri  sono  insufficienti  per  conseguire
collettivamente l'obiettivo vincolante  complessivo  dell'Unione,  la
Commissione segue la procedura di cui agli articoli 9 e  31  di  tale
regolamento.». 
    15.8 - Il regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 30 giugno 2021, adottato in forza dell'art.  192  TFUE,
ha  istituito  un  quadro  per  il  conseguimento  della  neutralita'
climatica, nel presupposto che: 
        «(1) La minaccia esistenziale posta dai cambiamenti climatici
richiede una maggiore ambizione e un'intensificazione dell'azione per
il clima da parte dell'Unione e degli Stati membri.  L'Unione  si  e'
impegnata a potenziare gli  sforzi  per  far  fronte  ai  cambiamenti
climatici  e  a  dare  attuazione  all'accordo  di  Parigi   adottato
nell'ambito  della  Convenzione  quadro  delle  Nazioni   unite   sui
cambiamenti  climatici  ("accordo  di  Parigi"),  guidata  dai   suoi
principi  e  sulla  base  delle  migliori   conoscenze   scientifiche
disponibili, nel contesto dell'obiettivo  a  lungo  termine  relativo
alla temperatura previsto dall'accordo di Parigi. 
        [...]. 
        (4) Un obiettivo stabile a lungo termine e' fondamentale  per
contribuire alla trasformazione economica e sociale,  alla  creazione
di posti di lavoro di alta qualita', alla crescita sostenibile  e  al
conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile  delle  Nazioni
unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto
di vista sociale, equo e in  modo  efficiente  in  termini  di  costi
l'obiettivo  a  lungo  termine  relativo  alla  temperatura  di   cui
all'accordo di Parigi. [...]. 
        (9) L'azione per il clima dell'Unione e  degli  Stati  membri
mira  a  tutelare  le  persone  e  il  pianeta,  il   benessere,   la
prosperita',   l'economia,   la   salute,   i   sistemi   alimentari,
l'integrita' degli ecosistemi e la biodiversita' contro  la  minaccia
dei  cambiamenti  climatici,  nel  contesto  dell'agenda  2030  delle
Nazioni unite per lo sviluppo sostenibile e nel  perseguimento  degli
obiettivi dell'accordo di Parigi;  mira  inoltre  a  massimizzare  la
prosperita' entro i limiti del pianeta, incrementare la resilienza  e
ridurre la vulnerabilita' della societa' ai cambiamenti climatici. In
quest'ottica, le azioni dell'Unione e degli Stati  membri  dovrebbero
essere guidate dal principio di  precauzione  e  dal  principio  "chi
inquina paga", istituiti dal trattato sul  funzionamento  dell'Unione
europea, e dovrebbero anche tener conto del principio dell'efficienza
energetica al primo posto e del principio del "non nuocere" del Green
Deal europeo. 
        [...]. 
        (11) Vista l'importanza della produzione  e  del  consumo  di
energia per il livello di  emissioni  di  gas  a  effetto  serra,  e'
indispensabile realizzare la transizione verso un sistema  energetico
sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato  sulla  diffusione
delle energie rinnovabili, su un  mercato  interno  dell'energia  ben
funzionante e sul miglioramento dell'efficienza energetica, riducendo
nel  contempo  la  poverta'  energetica.  Anche   la   trasformazione
digitale, l'innovazione tecnologica, la ricerca e  lo  sviluppo  sono
fattori  importanti  per  conseguire  l'obiettivo  della  neutralita'
climatica. 
        [...]. 
        (20) L'Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro  il  2050,
un equilibrio all'interno dell'Unione tra le emissioni antropogeniche
dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici  dai  pozzi  dei  gas  a
effetto  serra  di  tutti  i  settori  economici  e,  ove  opportuno,
raggiungere emissioni negative in seguito.  Tale  obiettivo  dovrebbe
comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a
livello dell'Unione regolamentati nel diritto dell'Unione. [...]. 
        [...]. 
        (25) La transizione verso la neutralita' climatica presuppone
cambiamenti  nell'intero  spettro  delle  politiche  e   uno   sforzo
collettivo di tutti i settori dell'economia e  della  societa',  come
evidenziato nel Green  Deal  europeo.  Il  Consiglio  europeo,  nelle
conclusioni  del  12  dicembre  2019,  ha  dichiarato  che  tutte  le
normative e politiche pertinenti dell'Unione devono  essere  coerenti
con il conseguimento dell'obiettivo  della  neutralita'  climatica  e
contribuirvi, nel rispetto della parita' di condizioni, e ha invitato
la Commissione a valutare se cio' richieda un adeguamento delle norme
vigenti. 
        [...]. 
        (36) Al fine di garantire che l'Unione  e  gli  Stati  membri
restino  sulla  buona  strada  per   conseguire   l'obiettivo   della
neutralita' climatica e  registrino  progressi  nell'adattamento,  e'
opportuno  che  la  Commissione  valuti  periodicamente  i  progressi
compiuti,  sulla  base  delle  informazioni  di   cui   al   presente
regolamento, comprese le informazioni presentate e comunicate a norma
del regolamento (UE) 2018/1999. [...]. Nel caso in  cui  i  progressi
collettivi compiuti dagli Stati membri rispetto  all'obiettivo  della
neutralita' climatica o all'adattamento siano insufficienti o che  le
misure dell'Unione siano incoerenti con l'obiettivo della neutralita'
climatica o inadeguate per migliorare la  capacita'  di  adattamento,
rafforzare la resilienza o ridurre la vulnerabilita', la  Commissione
dovrebbe adottare le misure necessarie conformemente ai trattati. 
        [...].». 
    Il regolamento ha quindi sancito (art. 1) «l'obiettivo vincolante
della neutralita' climatica  nell'Unione  entro  il  2050,  in  vista
dell'obiettivo a lungo  termine  relativo  alla  temperatura  di  cui
all'articolo 2, paragrafo 1, lettera  a),  dell'accordo  di  Parigi»,
precisando  che,  onde  conseguire  tale  obiettivo,  «il   traguardo
vincolante dell'Unione in materia di clima per il  2030  consiste  in
una riduzione interna netta delle emissioni di gas  a  effetto  serra
(emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55% rispetto  ai
livelli del 1990 entro il 2030» (art. 4). 
    Ai sensi dell'art. 5 del regolamento «Le  istituzioni  competenti
dell'Unione e gli Stati membri assicurano il costante  progresso  nel
miglioramento della capacita' di adattamento, nel rafforzamento della
resilienza e nella  riduzione  della  vulnerabilita'  ai  cambiamenti
climatici in conformita' dell'articolo  7  dell'accordo  di  Parigi»,
garantendo inoltre  che  «le  politiche  in  materia  di  adattamento
nell'Unione e  negli  Stati  membri  siano  coerenti,  si  sostengano
reciprocamente, comportino  benefici  collaterali  per  le  politiche
settoriali e si  adoperino  per  integrare  meglio  l'adattamento  ai
cambiamenti climatici in tutti i settori di intervento,  comprese  le
pertinenti politiche e azioni in ambito socioeconomico e  ambientale,
se del caso, nonche' nell'azione esterna dell'Unione».  A  tal  fine,
«Gli Stati membri adottano e attuano strategie e piani  nazionali  di
adattamento,    tenendo    conto    della    strategia    dell'Unione
sull'adattamento ai cambiamenti climatici [...] e fondati su  analisi
rigorose in materia di cambiamenti  climatici  e  di  vulnerabilita',
sulle valutazioni  dei  progressi  compiuti  e  sugli  indicatori,  e
basandosi  sulle  migliori  e  piu'  recenti  evidenze   scientifiche
disponibili. Nelle loro strategie nazionali di adattamento, gli Stati
membri tengono conto della particolare vulnerabilita' dei  pertinenti
settori, tra cui l'agricoltura, e dei  sistemi  idrici  e  alimentari
nonche' della sicurezza alimentare,  e  promuovono  soluzioni  basate
sulla natura e  l'adattamento  basato  sugli  ecosistemi.  Gli  Stati
membri   aggiornano   periodicamente   le   strategie   e   includono
informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono tenuti  a
presentare a norma dell'articolo 19,  paragrafo  1,  del  regolamento
(UE) 2018/1999.». 
    15.9 - La direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo  e  del
Consiglio  del  18  ottobre  2023   ha   introdotto,   tra   l'altro,
disposizioni volte a  modificare  la  direttiva  (UE)  2018/2001,  il
regolamento (UE) 2018/1999 e la  direttiva  n.  98/70/CE  per  quanto
riguarda   la   promozione   dell'energia   da   fonti   rinnovabili,
evidenziando che: 
        «[...]. 
        (2) Le energie rinnovabili svolgono un ruolo fondamentale nel
conseguimento di tali  obiettivi,  dato  che  il  settore  energetico
contribuisce attualmente per oltre il 75% alle  emissioni  totali  di
gas a effetto serra nell'Unione. Riducendo tali emissioni  di  gas  a
effetto serra, le energie rinnovabili possono  anche  contribuire  ad
affrontare sfide ambientali come la perdita  di  biodiversita',  e  a
ridurre l'inquinamento in linea con gli obiettivi della comunicazione
della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo "Un percorso  verso
un pianeta piu' sano  per  tutti  -  Piano  d'azione  dell'UE:  Verso
l'inquinamento zero per l'aria, l'acqua e il suolo».  La  transizione
verde verso un'economia basata sulle  energie  da  fonti  rinnovabili
contribuira' a conseguire gli obiettivi della decisione (UE) 2022/591
del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  che  mira  altresi'   a
proteggere,  ripristinare  e  migliorare  lo   stato   dell'ambiente,
mediante, tra l'altro, l'interruzione e l'inversione del processo  di
perdita di biodiversita'. 
        [...]. 
        (4)   Il   contesto   generale   determinato   dall'invasione
dell'Ucraina da parte della Russia e dagli effetti della pandemia  di
COVID-19  ha   provocato   un'impennata   dei   prezzi   dell'energia
nell'intera  Unione,  evidenziando  in  tal  modo  la  necessita'  di
accelerare l'efficienza energetica e accrescere l'uso  delle  energie
da fonti rinnovabili nell'Unione. Al fine di conseguire l'obiettivo a
lungo termine di un sistema energetico indipendente dai Paesi  terzi,
l'Unione dovrebbe concentrarsi sull'accelerazione  della  transizione
verde e sulla garanzia di una politica energetica di riduzione  delle
emissioni che limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili
fossili e che favorisca prezzi equi e accessibili per i  cittadini  e
le imprese dell'Unione in tutti i settori dell'economia. 
        (5) Il piano REPowerEU stabilito  nella  comunicazione  della
Commissione del 18 maggio 2022 ("piano  REPowerEU")  mira  a  rendere
l'Unione indipendente daicombustibili fossili  russi  ben  prima  del
2030. Tale  comunicazione  prevede  l'anticipazione  delle  capacita'
eolica e solare, un aumento del tasso medio  di  diffusione  di  tale
energia e capacita' supplementari di  energia  da  fonti  rinnovabili
entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili
rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i  colegislatori
a valutare la possibilita' di innalzare o  anticipare  gli  obiettivi
fissati per l'aumento della quota  di  energia  rinnovabile  nel  mix
energetico. [...]. Al di la' di tale livello obbligatorio, gli  Stati
membri   dovrebbero   adoperarsi   per   conseguire   collettivamente
l'obiettivo complessivo dell'Unione  del  45%  di  energia  da  fonti
rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU. 
        (6) [...].  E'  auspicabile  che  gli  Stati  membri  possano
combinare diverse fonti di energia non fossili al fine di  conseguire
l'obiettivo dell'Unione di raggiungere la neutralita' climatica entro
il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze  nazionali  e
della  struttura  delle  loro  forniture  energetiche.  Al  fine   di
realizzare tale obiettivo, la diffusione dell'energia rinnovabile nel
quadro del piu' elevato  obiettivo  generale  vincolante  dell'Unione
dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari  di  decarbonizzazione
che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili  che
gli Stati membri decidono di perseguire. 
        [...]. 
        (25) Gli Stati membri dovrebbero sostenere  una  piu'  rapida
diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile  effettuando
una mappatura coordinata per la diffusione delle energie  rinnovabili
e per le relative  infrastrutture,  in  coordinamento  con  gli  enti
locali e regionali. Gli Stati membri dovrebbero individuare  le  zone
terrestri, le superfici, le zone  sotterranee,  le  acque  interne  e
marine necessarie per l'installazione degli impianti di produzione di
energia rinnovabile e per  le  relative  infrastrutture  al  fine  di
apportare almeno  i  rispettivi  contributi  nazionali  all'obiettivo
complessivo riveduto in materia di energia da fonti  rinnovabili  per
il 2030 di cui all'articolo 3,  paragrafo  1,  della  direttiva  (UE)
2018/2001  e  a  sostegno  del  conseguimento  dell'obiettivo   della
neutralita' climatica entro e non oltre il 2050, in  conformita'  del
regolamento  (UE)  2021/1119.  [...].  Gli  Stati  membri  dovrebbero
garantire  che  le  zone  in  questione  riflettano   le   rispettive
traiettorie stimate e la  potenza  totale  installata  pianificata  e
dovrebbero individuare le zone  specifiche  per  i  diversi  tipi  di
tecnologia di produzione di energia rinnovabile  stabilite  nei  loro
piani nazionali integrati per l'energia e il clima presentati a norma
degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999. 
        [...]. 
        (26) Gli Stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme
di  tali  aree,  specifiche  zone  terrestri  (comprese  superfici  e
sottosuperfici)  e  marine  o  delle  acque  interne  come  zone   di
accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere
particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in  materia
di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi  di  tecnologia,
sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di  energia
da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare  un  impatto  ambientale
significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per  le
energie rinnovabili, gli Stati  membri  dovrebbero  evitare  le  zone
protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune
misure di attenuazione. Gli Stati membri dovrebbero  poter  designare
zone di accelerazione specificamente per le energie  rinnovabili  per
uno o piu' tipi di impianti di produzione di  energia  rinnovabile  e
dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti  rinnovabili
adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Gli Stati  membri  dovrebbero  designare  tali  zone  di
accelerazione per le  energie  rinnovabili  per  almeno  un  tipo  di
tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per
le energie rinnovabili, alla luce delle specificita' e dei  requisiti
del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono  zone  di
accelerazione per le energie rinnovabili. Cosi'  facendo,  gli  Stati
membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni  combinate
di tali zone siano  sostanziali  e  contribuiscano  al  conseguimento
degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001. 
        (27) L'uso polivalente dello  spazio  per  la  produzione  di
energia rinnovabile e per  altre  attivita'  terrestri,  delle  acque
interne e marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il
ripristino della natura, allentano i vincoli d'uso del  suolo,  delle
acque  interne  e  del  mare.  In  tale  contesto  la  pianificazione
territoriale  rappresenta  uno  strumento  indispensabile   con   cui
individuare e orientare precocemente le sinergie per l'uso del suolo,
delle  acque  interne  e  del  mare.  Gli  Stati  membri   dovrebbero
esplorare,  consentire  e  favorire  l'uso  polivalente  delle   zone
individuate a seguito delle  misure  di  pianificazione  territoriali
adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli Stati membri  agevolino,
ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare,  purche'
i diversi usi e attivita' siano compatibili tra  di  loro  e  possano
coesistere. 
        [...]. 
        (36) In considerazione  della  necessita'  di  accelerare  la
diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione  delle
zone  di  accelerazione  per  le  energie  rinnovabili  non  dovrebbe
impedire la realizzazione in corso e futura di  progetti  di  energia
rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione.  Questi
progetti  dovrebbero   continuare   a   sottostare   all'obbligo   di
valutazione specifica dell'impatto ambientale a norma della direttiva
2011/92/UE, ed essere  soggetti  alle  procedure  di  rilascio  delle
autorizzazioni  applicabili  ai  progetti  in  materia   di   energia
rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le  energie
rinnovabili.  Per  accelerare  le   procedure   di   rilascio   delle
autorizzazioni nella misura necessaria a  conseguire  l'obiettivo  di
energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE)  2018/2001,  anche
le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti
fuori  dalle  zone  di  accelerazione  per  le  energie   rinnovabili
dovrebbero   essere   semplificate   e   razionalizzate    attraverso
l'introduzione di scadenze massime chiare per  tutte  le  fasi  della
procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese  le  valutazioni
ambientali specifiche per ciascun progetto.». 
    15.10 - In ragione  delle  considerazioni  sopra  richiamate,  la
direttiva ha introdotto, tra  l'altro,  disposizioni  in  materia  di
mappatura  delle  zone  necessarie   per   i   contributi   nazionali
all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile  per  il
2030, di zone di accelerazione per le energie rinnovabili, nonche' di
procedure   amministrative   per   il   rilascio    delle    relative
autorizzazioni. 
    15.11 - Il regolamento (UE) 2018/1999 del  Parlamento  europeo  e
del Consiglio  dell'11  dicembre  2018,  adottato  sulla  base  degli
articoli 192 e 194 TFUE, stabilisce la  necessaria  base  legislativa
per una governance dell'Unione  dell'energia  e  dell'azione  per  il
clima affidabile, inclusiva, efficace sotto  il  profilo  dei  costi,
trasparente e  prevedibile  che  garantisca  il  conseguimento  degli
obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino  al  2030  dell'Unione
dell'energia,  in  linea  con  l'accordo  di  Parigi  del  2015   sui
cambiamenti climatici derivante dalla 21ª Conferenza delle parti alla
Convenzione quadro delle Nazioni  unite  sui  cambiamenti  climatici,
attraverso  sforzi  complementari,  coerenti  e  ambiziosi  da  parte
dell'Unione  e  degli  Stati  membri,   limitando   la   complessita'
amministrativa. 
    Nel  configurare  tale  meccanismo  e'  stato   considerato,   in
particolare, che: 
        «(2)   L'Unione   dell'energia   dovrebbe   coprire    cinque
dimensioni: la sicurezza energetica; il mercato interno dell'energia;
l'efficienza  energetica;  il  processo  di   decarbonizzazione;   la
ricerca, l'innovazione e la competitivita'. 
        (3)  L'obiettivo  di  un'Unione  dell'energia  resiliente   e
articolata intorno a una  politica  ambiziosa  per  il  clima  e'  di
fornire ai consumatori  dell'UE  -  comprese  famiglie  e  imprese  -
energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e  di
promuovere la ricerca e l'innovazione  attraendo  investimenti;  cio'
richiede una radicale trasformazione del sistema energetico  europeo.
Tale trasformazione e' inoltre strettamente connessa alla  necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere  l'utilizzazione  accorta  e   razionale   delle   risorse
naturali, in particolare  promuovendo  l'efficienza  energetica  e  i
risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia  rinnovabile
[...]. 
        [...]. 
        (7) L'obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno  il
40% delle emissioni di gas a  effetto  serra  nel  sistema  economico
entro il 2030, rispetto ai livelli del  1990,  e'  stato  formalmente
approvato in occasione del Consiglio "Ambiente"  del  6  marzo  2015,
quale  contributo   previsto   determinato   a   livello   nazionale,
dell'Unione e dei suoi Stati membri all'accordo di Parigi.  L'accordo
di Parigi e' stato ratificato dall'Unione il 5 ottobre 2016 (6) ed e'
entrato  in  vigore  il  4  novembre  2016;  sostituisce  l'approccio
adottato nell'ambito del protocollo di Kyoto del 1997, che  e'  stato
approvato dall'Unione mediante la decisione 2002/358/CE del Consiglio
(7) e che non sara' prorogato dopo il 2020. E'  opportuno  aggiornare
di conseguenza il  sistema  dell'Unione  per  il  monitoraggio  e  la
comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti di gas  a  effetto
serra. 
        (8) L'accordo di Parigi ha innalzato il livello di  ambizione
globale  relativo  alla  mitigazione  dei  cambiamenti  climatici   e
stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con  l'obiettivo  di
mantenere l'aumento della temperatura mondiale media ben al di  sotto
di 2 °C  rispetto  ai  livelli  preindustriali  e  di  continuare  ad
adoperarsi per limitare tale  aumento  della  temperatura  a  1,5  °C
rispetto ai livelli preindustriali. 
        [...]. 
        (12) Nelle conclusioni del 23  e  del  24  ottobre  2014,  il
Consiglio europeo ha inoltre convenuto di sviluppare  un  sistema  di
governance affidabile, trasparente,  privo  di  oneri  amministrativi
superflui e con una sufficiente flessibilita' per  gli  Stati  membri
per contribuire a garantire che l'Unione rispetti i suoi obiettivi di
politica energetica, nel pieno rispetto della  liberta'  degli  Stati
membri di stabilire il proprio mix energetico [...]. 
        [...]. 
        (18) Il principale obiettivo  del  meccanismo  di  governance
dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento  degli
obiettivi dell'Unione dell'energia, in particolare gli obiettivi  del
quadro 2030 per il clima e l'energia,  nei  settori  della  riduzione
delle emissioni dei gas a  effetto  serra,  delle  fonti  di  energia
rinnovabili e dell'efficienza  energetica.  Tali  obiettivi  derivano
dalla politica dell'Unione in materia di energia e  dalla  necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere  l'utilizzazione  accorta  e   razionale   delle   risorse
naturali, come previsto nei trattati. Nessuno  di  questi  obiettivi,
tra loro inscindibili, puo' essere  considerato  secondario  rispetto
all'altro. Il presente regolamento e' quindi legato alla legislazione
settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di  energia
e  di  clima.  Gli  Stati  membri  devono  poter  scegliere  in  modo
flessibile le  politiche  che  meglio  si  adattano  alle  preferenze
nazionali e al loro mix energetico, purche'  tale  flessibilita'  sia
compatibile    con    l'ulteriore    integrazione    del     mercato,
l'intensificazione  della   concorrenza,   il   conseguimento   degli
obiettivi in materia di clima ed energia e il  passaggio  graduale  a
un'economia sostenibile a basse emissioni di carbonio. 
        [...]. 
        (36) Gli Stati membri dovrebbero elaborare strategie a  lungo
termine con una prospettiva di almeno  30  anni  per  contribuire  al
conseguimento degli impegni da loro assunti ai  sensi  dell'UNFCCC  e
all'accordo di Parigi, nel contesto  dell'obiettivo  dell'accordo  di
Parigi di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al
di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per
limitare tale aumento a 1,5 °C  rispetto  ai  livelli  preindustriali
nonche' delle riduzioni a lungo termine  delle  emissioni  di  gas  a
effetto serra e dell'aumento dell'assorbimento dai pozzi in  tutti  i
settori in linea con l'obiettivo dell'Unione. 
        [...]. 
        (56)  Se  l'ambizione  dei  piani  nazionali  integrati   per
l'energia e il clima, o dei loro aggiornamenti,  fosse  insufficiente
per  il  raggiungimento  collettivo   degli   obiettivi   dell'Unione
dell'energia  e,  nel  primo   periodo,   in   particolare   per   il
raggiungimento degli obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile
e di efficienza energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a
livello unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo  di
tali obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali  "divari  di
ambizione"). Qualora i progressi dell'Unione verso tali  obiettivi  e
traguardi fossero insufficienti a garantirne  il  raggiungimento,  la
Commissione dovrebbe, oltre  a  formulare  raccomandazioni,  proporre
misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure
gli Stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per  garantire
il  raggiungimento  di  detti  obiettivi,  colmando  cosi'  eventuali
"divari nel raggiungimento". Tali misure dovrebbero  altresi'  tenere
conto degli sforzi  pregressi  dagli  Stati  membri  per  raggiungere
l'obiettivo 2030 relativo all'energia rinnovabile ottenendo, nel 2020
o prima di tale anno, una  quota  di  energia  da  fonti  rinnovabili
superiore al loro obiettivo nazionale vincolante  oppure  realizzando
progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per  il
2020 o nell'attuazione del loro contributo  all'obiettivo  vincolante
dell'Unione di almeno il 32% di  energia  rinnovabile  nel  2030.  In
materia di energia rinnovabile, le  misure  possono  includere  anche
contributi finanziari volontari degli Stati membri indirizzati  a  un
meccanismo  di  finanziamento  dell'energia  rinnovabile  nell'Unione
gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire  ai  progetti
sull'energia rinnovabile piu' efficienti in termini di costi in tutta
l'Unione,  offrendo  cosi'  agli  Stati  membri  la  possibilita'  di
contribuire al  conseguimento  dell'obiettivo  dell'Unione  al  minor
costo possibile. Gli obiettivi  degli  Stati  membri  in  materia  di
rinnovabili per  il  2020  dovrebbero  servire  come  quota  base  di
riferimento di energia rinnovabile a partire dal  2021  e  dovrebbero
essere mantenuti per tutto  il  periodo.  In  materia  di  efficienza
energetica,  le  misure  aggiuntive  possono  mirare  soprattutto   a
migliorare l'efficienza di prodotti, edifici e trasporti. 
        (57) Gli obiettivi nazionali degli Stati membri in materia di
energia  rinnovabile  per  il  2020,  di  cui  all'allegato  I  della
direttiva (UE) 2018/2001 del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,
dovrebbero servire come punto di partenza  per  la  loro  traiettoria
indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che  uno
Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza
piu' elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo,  una
quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente  parte  della
direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo,  la  quota
di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo  di  energia
di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota
base di riferimento. 
        (58) Se uno Stato  membro  non  mantiene  la  quota  base  di
riferimento  misurata  in  un  periodo  di  un  anno,  esso  dovrebbe
adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il  divario
rispetto allo scenario di riferimento. Qualora  abbia  effettivamente
adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare
il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato  conforme  ai
requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal  momento
in cui il divario in questione si e' verificato,  sia  ai  sensi  del
presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 [...]». 
    15.12 - Il meccanismo di governance si e' tradotto, tra  l'altro,
nelle seguenti previsioni (come  aggiornate  con  la  direttiva  (UE)
2023/2413): 
        - «Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029
e successivamente ogni dieci anni,  ciascuno  Stato  membro  notifica
alla Commissione un piano nazionale  integrato  per  l'energia  e  il
clima [...]» (art. 3): 
        - «Ciascuno Stato membro definisce nel  suo  piano  nazionale
integrato per l'energia e il clima i principali obiettivi,  traguardi
e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all'allegato  I,
sezione A, punto 2: 
          a) dimensione "decarbonizzazione": 
          [...]; 
    2) per quanto riguarda l'energia rinnovabile: 
        al fine di conseguire l'obiettivo vincolante dell'Unione  per
la quota di energia rinnovabile per il 2030 di  cui  all'articolo  3,
paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo in termini
di quota dello Stato membro  di  energia  da  fonti  rinnovabili  nel
consumo lordo di energia finale nel 2030; a  partire  dal  2021  tale
contributo segue  una  traiettoria  indicativa.  Entro  il  2022,  la
traiettoria indicativa raggiunge un  punto  di  riferimento  pari  ad
almeno il 18% dell'aumento totale della quota  di  energia  da  fonti
rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per  il  2020  dello
Stato membro interessato e  il  suo  contributo  all'obiettivo  2030.
Entro il 2025,  la  traiettoria  indicativa  raggiunge  un  punto  di
riferimento pari ad almeno il 43% dell'aumento totale della quota  di
energia da fonti rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per
il  2020  dello  Stato  membro  interessato  e  il   suo   contributo
all'obiettivo  2030.  Entro  il  2027,  la   traiettoria   indicativa
raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 65%  dell'aumento
totale della quota di energia da fonti  rinnovabili  tra  l'obiettivo
nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e  il
suo contributo all'obiettivo 2030. 
    Entro il 2030 la traiettoria indicativa deve  raggiungere  almeno
il contributo previsto  dello  Stato  membro.  Se  uno  Stato  membro
prevede di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per  il
2020, la sua traiettoria indicativa puo' iniziare al livello  che  si
aspetta di raggiungere. Le traiettorie indicative degli Stati membri,
nel  loro  insieme,  concorrono  al  raggiungimento  dei   punti   di
riferimento  dell'Unione  nel  2022,  2025  e  2027  e  all'obiettivo
vincolante dell'Unione per la quota di  energia  rinnovabile  per  il
2030 di  cui  all'articolo  3,  paragrafo  1,  della  direttiva  (UE)
2018/2001.  Indipendentemente  dal   suo   contributo   all'obiettivo
dell'Unione e dalla sua traiettoria indicativa ai fini  del  presente
regolamento, uno Stato membro e' libero di stabilire  obiettivi  piu'
ambiziosi per finalita' di politica nazionale» (art. 4); 
    «Nel proprio contributo alla propria quota di  energia  da  fonti
rinnovabili  nel  consumo  finale  lordo  di  energia  del   2030   e
dell'ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi
di cui all'articolo 4, lettera a), punto 2),  ciascuno  Stato  membro
tiene conto degli elementi seguenti: 
        a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001; 
        b) misure adottate per conseguire il traguardo di  efficienza
energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE; 
        c)  altre  misure  esistenti  volte  a  promuovere  l'energia
rinnovabile nello Stato  membro  e,  ove  pertinente,  a  livello  di
Unione; 
        d) l'obiettivo nazionale vincolante 2020 di energia da  fonti
rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di cui all'allegato I
della direttiva (EU) 2018/2001. 
        e) le circostanze pertinenti che  incidono  sulla  diffusione
dell'energia rinnovabile, quali: 
          i) l'equa distribuzione della diffusione nell'Unione; 
          ii) le condizioni economiche e il potenziale,  compreso  il
PIL pro capite; 
          iii)  il  potenziale  per  una  diffusione  delle   energie
rinnovabili efficace sul piano dei costi; 
          iv) i vincoli geografici, ambientali e  naturali,  compresi
quelli delle zone e regioni non interconnesse; 
          v) il livello di interconnessione elettrica tra  gli  Stati
membri; 
          vi) altre circostanze pertinenti, in particolare gli sforzi
pregressi. [...]. 
    2. Gli Stati membri assicurano collettivamente che la  somma  dei
rispettivi  contributi  ammonti   almeno   all'obiettivo   vincolante
dell'Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il  2030
di cui all'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva  (UE)  2018/2001»
(art. 5). 
    «Se  nel  settore  dell'energia   rinnovabile,   in   base   alla
valutazione di cui all'articolo 29, paragrafi 1 e 2,  la  Commissione
conclude che uno  o  piu'  punti  di  riferimento  della  traiettoria
indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027, di cui all'articolo 29,
paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022,
2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei  rispettivi  punti  di
riferimento nazionali di cui all'articolo 4,  lettera  a),  punto  2,
provvedono all'attuazione di misure supplementari entro un  anno  dal
ricevimento della valutazione della Commissione, volte a  colmare  il
divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali: 
        a)  misure  nazionali  volte  ad  aumentare   la   diffusione
dell'energia rinnovabile; 
        b) l'adeguamento della quota di energia da fonti  rinnovabili
nel settore del riscaldamento e raffreddamento  di  cui  all'articolo
23, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001; 
        c) l'adeguamento della quota di energia da fonti  rinnovabili
nel settore dei trasporti di cui all'articolo 25, paragrafo 1,  della
direttiva (UE) 2018/2001; 
        d) un  pagamento  finanziario  volontario  al  meccanismo  di
finanziamento  dell'Unione  per  l'energia  rinnovabile  istituito  a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia  da
fonti  rinnovabili  gestiti  direttamente  o   indirettamente   dalla
Commissione, come indicato all'articolo 33; 
        e) l'utilizzo dei meccanismi di cooperazione  previsti  dalla
direttiva (UE) 2018/2001» (art. 32). 
    103. Il decreto legislativo n. 199/2021  costituisce  «Attuazione
della  direttiva  (UE)  2018/2001  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio,  dell'11  dicembre   2018,   sulla   promozione   dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili» e si pone (art. 1) «l'obiettivo di
accelerare il percorso di crescita  sostenibile  del  Paese,  recando
disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in  coerenza
con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico
al 2030 e di completa  decarbonizzazione  al  2050»,  definendo  «gli
strumenti, i meccanismi, gli incentivi  e  il  quadro  istituzionale,
finanziario  e  giuridico,  necessari  per  il  raggiungimento  degli
obiettivi di incremento della quota di energia da  fonti  rinnovabili
al 2030, in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 e nel  rispetto
dei criteri fissati dalla legge  22  aprile  2021,  n.  53»,  recando
«disposizioni  necessarie  all'attuazione  delle  misure  del   Piano
nazionale di ripresa e resilienza (di seguito anche: PNRR) in materia
di energia da fonti rinnovabili,  conformemente  al  Piano  nazionale
integrato per l'energia e il clima (di seguito anche: PNIEC), con  la
finalita' di individuare un insieme di misure e strumenti coordinati,
gia'  orientati  all'aggiornamento  degli  obiettivi   nazionali   da
stabilire ai sensi del regolamento (UE) n. 2021/1119, con il quale si
prevede, per l'Unione europea, un obiettivo vincolante  di  riduzione
delle emissioni di gas a effetto  serra  di  almeno  il  55  percento
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030». 
    15.13  -  Come  ripetutamente   rilevato   dalla   giurisprudenza
costituzionale (ex multis, sentenze n. 121 del 2022, n. 77 del  2022,
n. 106 del 2020, n. 286 del 2019, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n.
44 del 2011), la normativa eurounitaria (nonche' quella nazionale) e'
ispirata  nel  suo  insieme  al  principio  fondamentale  di  massima
diffusione delle fonti di energia rinnovabili, che tra l'altro «trova
attuazione nella generale utilizzabilita'  di  tutti  i  terreni  per
l'inserimento di tali impianti, con le eccezioni [...] ispirate  alla
tutela di altri interessi costituzionalmente protetti  (Corte  cost.,
sentenza n. 13 del 2014). 
    15.14 - La disciplina originariamente contenuta nell'art. 20  del
decreto legislativo n. 199/2021,  relativa  all'individuazione  delle
aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti  alimentati
da fonti rinnovabili, non prevedeva alcuna preclusione indiscriminata
rispetto all'utilizzo di terreni classificati agricoli. 
    Il comma 3 del citato art. 20 stabilisce, in effetti, che  «nella
definizione della disciplina inerente le aree idonee,  i  decreti  di
cui al comma 1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio
culturale e del paesaggio, delle aree  agricole  e  forestali,  della
qualita' dell'aria e dei corpi idrici,  privilegiando  l'utilizzo  di
superfici di  strutture  edificate,  quali  capannoni  industriali  e
parcheggi, nonche' di aree a destinazione  industriale,  artigianale,
per servizi e  logistica,  e  verificando  l'idoneita'  di  aree  non
utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici  agricole  non
utilizzabili». Tale disposizione contempla indubbiamente  un'esigenza
di tutela delle  aree  agricole,  ma  da  un  lato  non  pone  alcuna
preclusione assoluta e, dall'altro,  stabilisce  chiaramente  che  le
superfici agricole non utilizzabile costituiscono, tra le altre, aree
privilegiate per l'installazione degli impianti. 
    Il comma 7 prevede, a sua volta, che «Le aree non incluse tra  le
aree   idonee   non   possono   essere    dichiarate    non    idonee
all'installazione di impianti di produzione di  energia  rinnovabile,
in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di  singoli
procedimenti, in ragione della sola  mancata  inclusione  nel  novero
delle aree idonee». 
    Il successivo comma 8, inoltre, nell'individuare transitoriamente
le aree idonee sino all'entrata in vigore della  disciplina  prevista
dal comma 1, vi include, «fatto salvo quanto  previsto  alle  lettere
a), b), c), c-bis) e c-ter), le aree  che  non  sono  ricomprese  nel
perimetro  dei  beni  sottoposti  a  tutela  ai  sensi  del   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone  gravate  da  usi
civici di cui all'articolo 142, comma 1,  lettera  h),  del  medesimo
decreto, ne' ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti  a
tutela ai sensi della parte  seconda  oppure  dell'articolo  136  del
medesimo decreto legislativo». 
    15.15 - Il nuovo comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo
n. 199/2021, come introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024
(decreto  legge  Agricoltura),  stravolge   completamente   l'assetto
previgente,   prevedendo   che   «L'installazione   degli    impianti
fotovoltaici con moduli  collocati  a  terra,  in  zone  classificate
agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita  esclusivamente
nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi  per
modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione  degli
impianti gia' installati, a condizione che non comportino  incremento
dell'area occupata, c), incluse le cave gia'  oggetto  di  ripristino
ambientale e quelle con piano di coltivazione  terminato  ancora  non
ripristinate, nonche' le discariche o i  lotti  di  discarica  chiusi
ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter, numeri 2)  e  3),  del
comma 8 del presente articolo. Il primo periodo non  si  applica  nel
caso di progetti  che  prevedano  impianti  fotovoltaici  con  moduli
collocati a terra finalizzati  alla  costituzione  di  una  comunita'
energetica rinnovabile ai sensi dell'articolo 31 del presente decreto
nonche'  in  caso  di  progetti  attuativi  delle  altre  misure   di
investimento del Piano nazionale  di  ripresa  e  resilienza  (PNRR),
approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come
modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e
del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR  (PNC)
di cui all'articolo 1 del  decreto-  legge  6  maggio  2021,  n.  59,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio  2021,  n.  101,
ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del
PNRR». 
    Sulla base di tale assetto normativo, introdotto dall'art. 5  del
decreto-legge  n.  63/2024,  gli  impianti  fotovoltaici  con  moduli
collocati a terra possono essere realizzati soltanto: 
        a) nei siti ove sono gia' installati  impianti  della  stessa
fonte,  nei  limiti  degli  interventi  di   modifica,   rifacimento,
potenziamento o ricostruzione, senza incremento dell'area occupata; 
        b)  presso  cave  e  miniere  cessate,   non   recuperate   o
abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, o le  porzioni  di
cave e miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento; 
        c) presso i siti e gli impianti  nelle  disponibilita'  delle
societa' del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e  dei  gestori  di
infrastrutture  ferroviarie  nonche'  delle  societa'  concessionarie
autostradali; 
        d) presso i siti e gli impianti  nella  disponibilita'  delle
societa'   di   gestione   aeroportuale   all'interno   dei    sedimi
aeroportuale; 
        e) nelle  aree  interne  agli  impianti  industriali  e  agli
stabilimenti e  in  quelle  classificate  agricole  racchiuse  in  un
perimetro i cui punti distino non piu'  di  500  metri  dal  medesimo
impianto o stabilimento; 
        f) nelle aree adiacenti  alla  rete  autostradale  entro  una
distanza non superiore a 300 metri. 
    Dalla richiamata elencazione  si  desume  che,  in  sostanza,  la
generalita' dei terreni classificati agricoli (circa la  meta'  della
superficie  del  Paese)  e'  preclusa  a  qualsiasi   intervento   di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati  a  terra
che non consista  nel  mero  rifacimento/modifica/ricostruzione,  con
conseguente preclusione all'utilizzo di nuovo terreno agricolo. 
    Il divieto non si estende - per espressa  previsione  -  ai  soli
progetti attuativi di misure finanziate con il PNRR  o  il  PNC,  che
tuttavia non comprendono tutti i progetti necessari al raggiungimento
dei target previsti dal PNIEC, che e'  lo  strumento  previsto  dalla
normativa  eurounitaria  per  conseguire  gli  obiettivi   vincolanti
dell'Unione per la quota di energia rinnovabile. 
    Gia' tale circostanza evidenzia che un divieto  di  tale  portata
rischia di mettere seriamente a  rischio  il  conseguimento  di  tali
obiettivi, nella  misura  in  cui  sottrae  una  larga  porzione  del
territorio a ogni possibile utilizzo  della  tecnologia  fotovoltaica
senza  che  ne  siano  prevedibili  gli  effetti   in   ordine   alla
possibilita' di rispettare le traiettorie stabilite  in  merito  alla
quota di energia da fonti rinnovabili. 
    Tenuto conto dello stato di attuazione della  disciplina  di  cui
all'art. 20, comma 1, decreto legislativo n. 199/2021, nonche'  degli
ampi margini di flessibilita' che il decreto ministeriale  21  giugno
2024 lascia alle regioni per l'individuazione delle aree non  idonee,
l'impatto di tale divieto e' del tutto incerto e, in  ogni  caso,  si
risolve in un severo limite all'individuazione delle zone disponibili
per l'installazione degli impianti che, a termini  dell'art.  15-ter,
par. 1, secondo  periodo,  della  direttiva  (UE)  2018/2001,  devono
essere commisurate «alle traiettorie stimate e  alla  potenza  totale
installata pianificata delle tecnologie per  le  energie  rinnovabili
stabilite nei piani nazionali per l'energia e il clima  presentati  a
norma degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999». 
    15.16 - Peraltro, si e' gia' visto che, in forza dell'art. 32 del
regolamento (UE) 2018/1999, se la Commissione conclude che uno o piu'
punti di riferimento della traiettoria  indicativa  unionale  per  il
2022, 2025 e 2027 non sono stati raggiunti, gli Stati membri che  nel
2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti
di riferimento nazionali possono essere tenuti all'adozione di misure
supplementari, ivi incluso un  pagamento  finanziario  volontario  al
meccanismo di finanziamento  dell'Unione  per  l'energia  rinnovabile
istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di
energia da fonti rinnovabili gestiti  direttamente  o  indirettamente
dalla Commissione. 
    La sottrazione  indiscriminata  di  larga  parte  del  territorio
nazionale  all'utilizzo  della  tecnologia   fotovoltaica   potrebbe,
pertanto, implicare l'obbligo di adottare misure  supplementari,  con
impatti anche sulle finanze pubbliche, ove ostacoli il raggiungimento
degli obiettivi. 
    15.17  -  La  preclusione  generalizzata   all'installazione   di
impianti fotovoltaici con moduli collocati  a  terra  sembra  inoltre
contrastare con il principio per cui,  nell'ambito  del  processo  di
individuazione delle  zone  necessarie  per  i  contributi  nazionali
all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile  per  il
2030 ai sensi del paragrafo 1 dell'art. 15-ter della  direttiva  (UE)
2018/2001, «Gli Stati membri favoriscono l'uso polivalente delle zone
di cui al paragrafo 1. I progetti in materia di  energia  rinnovabile
sono compatibili con gli usi preesistenti di tali zone» (art. 15-ter,
par. 3). 
    Come gia' rilevato, il considerando (27) della direttiva  precisa
che «Gli Stati membri dovrebbero  esplorare,  consentire  e  favorire
l'uso polivalente delle zone individuate a seguito  delle  misure  di
pianificazione territoriali adottate. A tal fine, e' auspicabile  che
gli Stati membri agevolino, ove necessario,  i  cambiamenti  nell'uso
del suolo e del  mare,  purche'  i  diversi  usi  e  attivita'  siano
compatibili tra di loro e possano coesistere». 
    Il divieto introdotto dall'art. 5 del  decreto-legge  n.  63/2024
istituisce, invece, un  insanabile  conflitto  tra  l'utilizzo  della
tecnologia fotovoltaica con moduli collocati  a  terra  e  l'uso  del
suolo a fini agricoli che, tuttavia, non sussiste (o sussiste solo in
parte)  quantomeno  per  la  tecnologia   agrivoltaica   (anche   non
avanzata). 
    15.18 - Nella misura in cui  puo'  ostacolare  il  raggiungimento
degli obiettivi di potenza installata delle tecnologie per le energie
rinnovabili, il divieto in questione  presenta  inoltre,  profili  di
criticita' rispetto alla  strategia  di  adattamento  ai  cambiamenti
climatici dell'Unione. 
    Come  precedentemente  ricordato,  ai  sensi  dell'art.   5   del
regolamento (UE) 2021/1119, «Le istituzioni competenti dell'Unione  e
gli Stati membri assicurano il costante progresso  nel  miglioramento
della capacita' di adattamento, nel rafforzamento della resilienza  e
nella riduzione della  vulnerabilita'  ai  cambiamenti  climatici  in
conformita' dell'articolo 7 dell'accordo di Parigi».  Essi,  inoltre,
«garantiscono [...]  che  le  politiche  in  materia  di  adattamento
nell'Unione e  negli  Stati  membri  siano  coerenti,  si  sostengano
reciprocamente, comportino  benefici  collaterali  per  le  politiche
settoriali e si  adoperino  per  integrare  meglio  l'adattamento  ai
cambiamenti climatici in tutti i settori di intervento,  comprese  le
pertinenti politiche e azioni in ambito socioeconomico e  ambientale,
se del caso, nonche' nell'azione esterna dell'Unione». 
    15.19 -  Come   precisato   dalla   Commissione   europea   nella
Comunicazione COM (2021) 82 final sulla nuova strategia  dell'UE  per
l'adattamento ai cambiamenti climatici, «Il Green  Deal  europeo,  la
strategia di crescita dell'UE per  un  futuro  sostenibile,  si  basa
sulla consapevolezza che la trasformazione verde e' un'opportunita' e
che la mancata azione ha un costo enorme. Con esso l'UE  ha  mostrato
la  propria  leadership  per  scongiurare  lo  scenario  peggiore   -
impegnandosi a raggiungere la neutralita' climatica - e prepararsi al
meglio puntando ad  azioni  di  adattamento  piu'  ambiziose  che  si
fondano sulla strategia dell'UE di adattamento del 2013. La visione a
lungo termine prevede che nel 2050 l'UE sara' una societa' resiliente
ai cambiamenti climatici, del tutto adeguata agli inevitabili impatti
dei cambiamenti climatici. Cio' significa che entro il 2050, anno  in
cui l'Unione aspira  ad  aver  raggiunto  la  neutralita'  climatica,
avremo rafforzato la capacita' di adattamento e ridotto al minimo  la
vulnerabilita' agli effetti dei cambiamenti climatici, in  linea  con
l'accordo di Parigi e con la proposta di legge europea sul clima». Il
raggiungimento dei target  di  potenza  installata  delle  tecnologie
rinnovabili  costituisce,  all'evidenza,  un  elemento  centrale  per
conseguire nel lungo termine l'obiettivo della neutralita' climatica,
che potrebbe essere posto seriamente a  rischio  da  una  disciplina,
come quella censurata, che vieta sul tutto il territorio nazionale la
tecnologia fotovoltaica con pannelli collocati a  terra  su  tutti  i
terreni classificati agricoli, corrispondenti a oltre la meta'  della
superficie nazionale. 
    15.20 - Il divieto sembra anche contrastare con il  principio  di
integrazione di cui all'art. 11 TFUE e all'art.  37  della  Carta  di
Nizza, secondo cui «Le esigenze connesse con la tutela  dell'ambiente
devono essere integrate nella  definizione  e  nell'attuazione  delle
politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella  prospettiva  di
promuovere lo sviluppo sostenibile». 
    L'integrazione ambientale in tutti i settori politici  pertinenti
(agricoltura,  energia,  pesca,  trasporti,  ecc.)  e'  funzionale  a
ridurre le pressioni sull'ambiente derivanti dalle politiche e  dalle
attivita' di altri settori e per raggiungere gli obiettivi ambientali
e climatici. 
    Il divieto introdotto dall'art. 5 del decreto-legge  n.  63/2024,
nel contesto di una disciplina di  attuazione  della  direttiva  (UE)
2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili
quale obiettivo della politica energetica  dell'Unione,  solleva  sul
punto notevoli perplessita': 
        - da un lato,  infatti,  si  inserisce  nel  complesso  delle
previsioni dell'art. 20 del decreto  legislativo  n.  199/2021  quale
corpo tendenzialmente estraneo, tant'e' che  le  relative  previsioni
non  risultano  neppure  adeguatamente  coordinate   con   il   resto
dell'articolato (v., ad esempio, il comma 3 del medesimo articolo 20,
laddove prevede che i decreti di cui  al  comma  1  verifichino,  tra
l'altro, «l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri  scopi,  ivi
incluse le superfici agricole non utilizzabili»); 
        - dall'altro lato, la norma non istituisce  alcuna  forma  di
possibile   bilanciamento   tra   i   valori   in   gioco,   sancendo
un'indefettibile prevalenza dell'interesse alla  conservazione  dello
stato dei luoghi  dei  terreni  classificati  agricoli  senza  alcuna
considerazione    finanche    della    loro    possibile,    concreta
utilizzabilita' a fini agricoli, in  contrasto  con  l'obiettivo  del
decreto stesso di promuovere l'uso dell'energia da fonti rinnovabili. 
    15.21 -  Da  quanto  precede  risulta  anche  che  la  disciplina
censurata  confligge  con  il  principio  di  proporzionalita',   con
violazione anche dell'art. 3 Cost. 
    Come la Corte di giustizia ha piu' volte ribadito, «il  principio
di proporzionalita' e' un principio generale del diritto  comunitario
che dev'essere rispettato tanto dal  legislatore  comunitario  quanto
dai legislatori e dai giudici nazionali» (sentenza  11  giugno  2009,
C-170/08, 41). 
    Il sindacato di proporzionalita' costituisce, inoltre, un aspetto
del  controllo  di  ragionevolezza   delle   leggi   condotto   dalla
giurisprudenza costituzionale, onde verificare che  il  bilanciamento
degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato
con modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione  di
uno di essi in misura  eccessiva  e  pertanto  incompatibile  con  il
dettato costituzionale. 
    Come la stessa Corte ha precisato, «Tale giudizio deve  svolgersi
"attraverso ponderazioni relative  alla  proporzionalita'  dei  mezzi
prescelti dal legislatore nella  sua  insindacabile  discrezionalita'
rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle  finalita'  che
intende  perseguire,  tenuto  conto   delle   circostanze   e   delle
limitazioni concretamente sussistenti" (sentenza n. 1130  del  1988).
Il test di proporzionalita' utilizzato da questa Corte come da  molte
delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello
di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte  di  giustizia
dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di  legittimita'
degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare  se
la norma oggetto di scrutinio,  con  la  misura  e  le  modalita'  di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al  conseguimento  di
obiettivi legittimamente  perseguiti,  in  quanto,  tra  piu'  misure
appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei   diritti   a
confronto  e  stabilisca  oneri  non   sproporzionati   rispetto   al
perseguimento di detti obiettivi» (Corte cost.,  sentenza  n.  1  del
2014). 
    15.22 - Innanzitutto, la misura censurata consiste in un  divieto
generalizzato  e  assoluto  all'utilizzo,  su  un'ampia   parte   del
territorio  nazionale,  di  una  determinata   tecnologia   a   fonti
rinnovabili. Si tratta di una soluzione del tutto diversa rispetto  a
quella adottata in funzione di tutela di tutti gli altri  valori  che
entrano in bilanciamento con il principio di massima diffusione delle
fonti  rinnovabili:  le  esigenze  di  tutela  dell'ambiente,   della
biodiversita', dei beni culturali e  del  paesaggio  passa,  infatti,
attraverso  l'individuazione  di  aree  non  idonee  che,   come   in
precedenza chiarito, non rappresentano aree vietate, bensi'  zone  in
cui, in ragione delle esigenze di protezione in  concreto  esistenti,
e' altamente  verosimile  un  esito  negativo  della  valutazione  di
compatibilita' dei progetti. 
    Cio', peraltro, non osta  alla  possibilita'  di  verificare,  in
concreto  e  nell'ambito  dei  singoli  procedimenti   autorizzativi,
eventuali margini di compatibilita' degli interventi proposti. 
    L'art. 5 del decreto-legge n.  63/2024  stabilisce,  invece,  una
prevalenza   assoluta   e    incondizionata    dell'interesse    alla
conservazione dei suoli classificati agricoli, valutata in astratto e
a monte dal Legislatore e che non consente la pur minima possibilita'
di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo
costituzionale. 
    Sotto  tale  profilo,  occorre  rilevare,  in  disparte  i   gia'
evidenziati profili di contrasto con  il  diritto  unionale,  che  ai
sensi  dell'art.  9  Cost.  la  Repubblica  tutela   l'ambiente,   la
biodiversita' e gli ecosistemi  «anche  nell'interesse  delle  future
generazioni»,  con  cio'  incorporando  il  principio   di   sviluppo
sostenibile nell'ambito  dei  principi  fondamentali  in  materia  di
tutela ambientale. 
    L'incondizionato sacrificio di tale principio, quale  sotteso  al
divieto in esame, contrasta, pertanto, con l'art.  3  Cost.,  nonche'
con  l'art.  9   citato   e   con   la   consolidata   giurisprudenza
costituzionale secondo cui «Tutti  i  diritti  fondamentali  tutelati
dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e
non e' possibile pertanto  individuare  uno  di  essi  che  abbia  la
prevalenza  assoluta  sugli  altri.  La  tutela  deve  essere  sempre
"sistemica e non frazionata in una serie di norme non  coordinate  ed
in potenziale conflitto tra loro" (sentenza  n.  264  del  2012).  Se
cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei
diritti,  che  diverrebbe  "tiranno"  nei   confronti   delle   altre
situazioni  giuridiche  costituzionalmente  riconosciute  e  protette
[...].  La  Costituzione  italiana,  come   le   altre   Costituzioni
democratiche e  pluraliste  contemporanee,  richiede  un  continuo  e
vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali,  senza
pretese di assolutezza per  nessuno  di  essi.  [...].  Il  punto  di
equilibrio, proprio perche' dinamico e non  prefissato  in  anticipo,
deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle  norme
e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo  criteri  di
proporzionalita' e di  ragionevolezza,  tali  da  non  consentire  un
sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte cost., sentenza  n.  85
del 2013). 
    15.23 - Sotto altro  profilo,  il  divieto  cosi'  introdotto  e'
operativo  sulla  base  della  mera  classificazione  dell'area  come
agricola secondo i piani  urbanistici,  senza  che  alcuna  rilevanza
assumano il suo concreto utilizzo o la  sua  utilizzabilita'  a  tali
fini. Anche per tale riguardo la disposizione si mostra irragionevole
e sproporzionata, in quanto la dichiarata finalita' di contrastare il
consumo di suolo agricolo non e' riscontrabile (o quantomeno non  nei
termini incondizionati e assoluti previsti dalla norma) in  relazione
alle superfici agricole non utilizzabili o degradate. 
    Manca, inoltre,  qualsivoglia  considerazione  della  qualita'  e
dell'importanza delle colture. 
    In  raffronto,  le  attuali  linee  guida  di  cui   al   decreto
ministeriale 10 settemre 2010 prevedono che: 
        - le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici
non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei; 
        - l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non  puo'
riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente
soggette a tutela  dell'ambiente,  del  paesaggio  e  del  patrimonio
storico-artistico, ne'  tradursi  nell'identificazione  di  fasce  di
rispetto di dimensioni non  giustificate  da  specifiche  e  motivate
esigenze  di  tutela.  La  tutela  di  tali  interessi   e'   infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore  ed  affidate
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche,  alle
regioni, agli enti  locali  ed  alle  autonomie  funzionali  all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno  del  procedimento
unico e della procedura di Valutazione  dell'impatto  ambientale  nei
casi previsti; 
        - le regioni possono procedere ad indicare come aree  e  siti
non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti  le
aree particolarmente sensibili e/o  vulnerabili  alle  trasformazioni
territoriali o del paesaggio, tra cui le aree agricole interessate da
produzioni agricolo-alimentari di  qualita'  (produzioni  biologiche,
produzioni  D.O.P.,  I.G.P.,  S.T.G.,  D.O.C.,  D.O.C.G.,  produzioni
tradizionali)  e/o  di  particolare  pregio  rispetto   al   contesto
paesaggistico-culturale, anche con riferimento alle aree, se previste
dalla  programmazione   regionale,   caratterizzate   da   un'elevata
capacita' d'uso del suolo. 
    Una siffatta, contestualizzata disciplina risulta  conforme  alle
indicazioni emergenti in sede europea,  per  cui  «Gli  Stati  membri
dovrebbero limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui
non  puo'  essere  sviluppata   l'energia   rinnovabile   ("zone   di
esclusione").  Essi  dovrebbero   fornire   informazioni   chiare   e
trasparenti,  corredate  di  una  giustificazione   motivata,   sulle
restrizioni  dovute  alla  distanza  dagli  abitati  e   dalle   zone
dell'aeronautica militare o civile. Le restrizioni dovrebbero  essere
basate su dati concreti e concepite in modo da rispondere allo  scopo
perseguito massimizzando la disponibilita' di spazio per lo  sviluppo
dei progetti di energia rinnovabile, tenuto conto degli altri vincoli
di  pianificazione  territoriale»  (cfr.  la   raccomandazione   (UE)
2024/1343 della Commissione del  13  maggio  2024  sull'accelerazione
delle procedure autorizzative per l'energia da fonti rinnovabili e  i
progetti infrastrutturali correlati). 

    La disciplina posta dall'art. 5 del decreto-legge n.  63/2024  si
traduce,  invece,  nell'esatto  opposto,  ponendo  un   divieto   che
massimizza le zone di esclusione, non  fondato  su  dati  concreti  e
certamente   non   rispondente   all'obietto   di   massimizzare   la
disponibilita' di spazio per lo  sviluppo  dei  progetti  di  energia
rinnovabile. 
    16 - I rilevati profili di  incostituzionalita'  vanno  del  pari
riferiti all'art. 5, comma 2, del decreto-legge n.  63/2024,  laddove
pone una disciplina di  salvaguardia  che  ha  quale  presupposto  il
divieto di cui al  comma  1,  nonche'  all'art.  2,  comma  2,  primo
periodo, del decreto legislativo 25 novembre 2024,  n.  190,  recante
«Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da
fonti  rinnovabili»,  ove  prevede  che  «Gli   interventi   di   cui
all'articolo 1, comma  1,  sono  considerati  di  pubblica  utilita',
indifferibili e urgenti  e  possono  essere  ubicati  anche  in  zone
classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto  di
quanto previsto all'articolo 20, comma 1-bis, del decreto legislativo
8 novembre 2021, n. 199». 
    Tale disposizione, infatti, riproduce il divieto di cui al citato
comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021. 
    17 - Questioni da sottoporre alla Corte costituzionale. 
    17.1 - In ragione di tutto  quanto  sopra,  sono  rilevanti  (per
quanto  illustrato  al  punto  13  della  presente  sentenza)  e  non
manifestamente infondate (secondo quanto evidenziato al punto 15)  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi  1  e  2,
del decreto legge n. 63/2024, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 101/2024, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo  periodo,  del
decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190,  per  violazione  degli
articoli 3, 9, 11 e 117,  comma  1,  Cost.,  anche  in  relazione  ai
principi espressi dalla direttiva (UE) 2018/2001  e  dal  regolamento
(UE) 2018/1999,  come  modificati  dalla  direttiva  (UE)  2023/2413,
nonche' dal regolamento (UE) 2021/1119. 
    17.2 - Le predette questioni vengono sollevate  con  la  presente
sentenza non definitiva, anziche' con  ordinanza,  in  ragione  della
stretta connessione delle statuizioni che definiscono parzialmente in
giudizio con i profili oggetto di rimessione, nonche' in  conformita'
alla giurisprudenza costituzionale secondo la  quale  «Alla  sentenza
non definitiva puo' essere [...] riconosciuto, sul piano sostanziale,
il carattere dell'ordinanza di rimessione, sempre che  il  giudice  a
quo - come nel caso in esame  -  abbia  disposto,  in  conformita'  a
quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
la sospensione del procedimento  principale  e  la  trasmissione  del
fascicolo alla cancelleria di questa Corte,  dopo  aver  valutato  la
rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione (in  questi
termini, tra le altre, sentenze n. 112 del 2021 e n. 153  del  2020)»
(Corte cost., sentenza n. 218/2021). 
    18 - Conclusioni. 
    18.1 - In conclusione, il  Collegio,  in  ordine  al  ricorso  in
esame, cosi' statuisce: 
        - dichiara il ricorso inammissibile, per carenza d'interesse,
in relazione ai motivi da I a II.3; 
        - rigetta il ricorso quanto ai motivi III.1 e III.2; 
        -  dichiara  manifestamente   infondata   la   questione   di
costituzionalita' dell'art. 5, comma 1, del decreto legge n. 63/2024,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge   n.   101/2024,   per
violazione dell'art. 77 Cost.; 
        -  dichiara  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate  le
questioni di costituzionalita' dell'art. 5, comma 1 e 2, del  decreto
legge n. 63/2024,  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  n.
101/2024, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo  periodo,  del  decreto
legislativo n. 190/2024, per violazione degli articoli  3,  9,  11  e
117, comma 1, Cost., anche in relazione ai  principi  espressi  dalla
direttiva (UE) 2018/2001  e  dal  regolamento  (UE)  2018/1999,  come
modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413,  nonche'  dal  regolamento
(UE) 2021/1119. Il giudizio va quindi sospeso per  le  determinazioni
conseguenti alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. 
    19 - Sospende il giudizio in attesa della pronuncia  della  Corte
costituzionale. 
    20 - Rinvia il regolamento delle  spese  di  lite  all'esito  del
giudizio. 

 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio  -  Roma  -
Sezione terza, parzialmente e non  definitivamente  pronunciando  sul
ricorso, come in epigrafe proposto, cosi' dispone: 
        a) lo dichiara inammissibile, per carenza d'interesse, quanto
ai motivi da I a II.3; 
        b) lo rigetta, nei sensi di cui  in  motivazione,  quanto  ai
motivi III.1 e III.2; 
        c)  dichiara  manifestamente  infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, del  decreto  legge
n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  101/2024,
per violazione dell'art. 77 della Costituzione; 
        d) dichiara rilevanti e  non  manifestamente  infondate,  nei
termini  espressi  in  motivazione,  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale del richiamato art. 5, commi 1 e 2, del decreto  legge
n. 63/2024, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo periodo, del  decreto
legislativo n. 190/2024, per violazione degli articoli  3,  9,  11  e
117, comma 1, della Costituzione,  anche  in  relazione  ai  principi
espressi dalla  direttiva  (UE)  2018/2001  e  dal  regolamento  (UE)
2018/1999, come modificati dalla direttiva  (UE)  2023/2413,  nonche'
dal regolamento (UE) 2021/1119; 
        e) sospende il giudizio  per  le  determinazioni  conseguenti
alla definizione dell'incidente  di  costituzionalita'  e,  ai  sensi
dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,   dispone   la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        f) dispone la  comunicazione  della  presente  sentenza  alle
parti in causa,  nonche'  la  sua  notificazione  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della  Repubblica  e
al Presidente della Camera dei deputati; 
        g) rinvia ogni ulteriore statuizione all'esito  del  giudizio
incidentale promosso con la presente sentenza. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Cosi' deciso in Roma nella  Camera  di  consiglio  del  giorno  5
febbraio 2025, con l'intervento dei magistrati: 
        Elena Stanizzi, Presidente, estensore; 
        Luca Biffaro, referendario; 
        Marco Savi, referendario. 
 
                 Il Presidente, estensore: Stanizzi