Reg. ord. n. 139 del 2025 pubbl. su G.U. del 16/07/2025 n. 29

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  del 13/05/2025

Tra: Frv Italia srl  C/ Ministero della cultura, Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste ed altri 2



Oggetto:

Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Modifiche al decreto legislativo n. 199 del 2021 – Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo – Previsione che l'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a) limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c) incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Previsione che il primo periodo del comma 1-bis dell’art. 20 di tale decreto legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR – Previsione che l’art. 20, comma 1-bis, primo periodo, del decreto legislativo n. 199 del 2021, introdotto dal comma 1 dell’art. 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, come convertito, non si applica ai progetti per i quali, alla relativa data di entrata in vigore, sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi – Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Denunciata disciplina che, prevedendo il divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, confligge con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e in particolare con il principio di massima diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, come declinato dalla normativa europea – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Introduzione di un divieto che si inserisce nel complesso delle previsioni dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 quale corpo estraneo, dato che le relative previsioni non risultano coordinate con il resto dell’articolato – Norma che non istituisce nessuna forma di bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo una prevalenza dell’interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni agricoli, senza considerare una loro possibile utilizzabilità finanche a fini agricoli – Conflitto con l’obiettivo del decreto succitato di promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili – Violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza – Assenza di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo costituzionale, che contrasta con la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.

Norme impugnate:

decreto-legge  del 15/05/2024  Num. 63  Art. 5  Co. 1

legge  del 12/07/2024  Num. 101

decreto legislativo  del 08/11/2021  Num. 199  Art. 20  Co. 1

decreto-legge  del 15/05/2024  Num. 63  Art. 5  Co. 2

legge  del 12/07/2024  Num. 101

decreto legislativo  del 25/11/2024  Num. 190  Art. 2  Co. 2



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 11   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

direttiva UE  Art.    Co.  

direttiva UE  Art.    Co.  

regolamento UE  Art.    Co.  

regolamento UE  Art.    Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 139 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2025

Ordinanza del 13 maggio 2025 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio  sul  ricorso  proposto  da  Frv  Italia  S.r.l.  contro
Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri. 
 
Energia - Impianti alimentati da fonti  rinnovabili  -  Modifiche  al
  decreto legislativo n. 199 del 2021 -  Disposizioni  finalizzate  a
  limitare l'uso del suolo agricolo - Previsione che  l'installazione
  degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra,  in  zone
  classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, e'  consentita
  esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a) limitatamente agli
  interventi per modifica,  rifacimento,  potenziamento  o  integrale
  ricostruzione degli impianti gia' installati, a condizione che  non
  comportino incremento dell'area occupata, c) incluse le  cave  gia'
  oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione
  terminato ancora non ripristinate, nonche' le discariche o i  lotti
  di  discarica  chiusi  ovvero  ripristinati,  c-bis),  c-bis.1),  e
  c-ter), numeri 2) e 3),  del  comma  8  dell'art.  20  del  decreto
  legislativo n. 199 del 2021 - Previsione che il primo  periodo  del
  comma 1-bis dell'art. 20 di tale decreto legislativo non si applica
  nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli
  collocati a terra finalizzati alla costituzione  di  una  comunita'
  energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del  predetto  decreto
  nonche' in  caso  di  progetti  attuativi  delle  altre  misure  di
  investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza  (PNRR)  e
  del Piano nazionale per  gli  investimenti  complementari  al  PNRR
  (PNC) ovvero di  progetti  necessari  per  il  conseguimento  degli
  obiettivi del PNRR - Previsione che l'art. 20, comma  1-bis,  primo
  periodo, del decreto legislativo n. 199 del  2021,  introdotto  dal
  comma 1  dell'art.  5  del  decreto-legge  n.  63  del  2024,  come
  convertito, non si applica ai progetti per i quali,  alla  relativa
  data di entrata in vigore,  sia  stata  avviata  almeno  una  delle
  procedure   amministrative,   comprese   quelle   di    valutazione
  ambientale,  necessarie   all'ottenimento   dei   titoli   per   la
  costruzione e l'esercizio degli impianti  e  delle  relative  opere
  connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi
  - Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia
  da fonti  rinnovabili  -  Previsione  che  gli  interventi  di  cui
  all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del  2024  sono
  considerati di pubblica utilita', indifferibili e urgenti e possono
  essere ubicati anche in  zone  classificate  agricole  dai  vigenti
  piani urbanistici, nel rispetto di  quanto  previsto  all'art.  20,
  comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021. 
- Decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 (Disposizioni  urgenti  per  le
  imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura, nonche'  per  le
  imprese  di  interesse  strategico  nazionale),   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n. 101, art. 5, commi  1
  e 2; decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190  (Disciplina  dei
  regimi  amministrativi  per  la  produzione  di  energia  da  fonti
  rinnovabili, in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e  5,  lettera
  b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118), art. 2, comma 2, primo
  periodo. 


(GU n. 29 del 16-07-2025)

 
          IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                            Sezione Terza 
 
    ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro generale 8724 del 2024, proposto da: 
        Frv Italia S.r.l., in persona del legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo  Comande',  Enzo
Puccio, Serena Caradonna, con  domicilio  digitale  come  da  PEC  da
Registri di giustizia; 
    contro Ministero della cultura, Ministero dell'ambiente  e  della
sicurezza energetica,  Ministero  dell'agricoltura  della  sovranita'
alimentare e delle foreste, in persona del legale rappresentante  pro
tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    nei confronti della Regione Puglia e della Regione  Toscana,  non
costituite in giudizio; 
    per l'annullamento: 
        degli articoli 1, 3 e 7 del decreto  ministeriale  21  giugno
2024, recante «Disciplina per l'individuazione di  superfici  e  aree
idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili», adottato
dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica di  concerto
con il Ministero della cultura e il Ministero dell'agricoltura, della
sovranita' alimentare e delle foreste  e  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale - n. 153  del  2
luglio 2024, nonche' i relativi allegati; 
        di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  del  Ministero  della
cultura, del Ministero dell'ambiente e della sicurezza  energetica  e
di Ministero dell'agricoltura, della sovranita'  alimentare  e  delle
foreste; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  5  febbraio  2025  il
dott. Marco Savi e uditi per le parti i  difensori  come  specificato
nel verbale; 
    Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    1. La ricorrente e' una societa' operante nel campo delle energie
rinnovabili, che e' passata dall'essere un semplice  sviluppatore  di
soluzioni a diventare un produttore di energia indipendente. 
    2. In Italia FRV ha presentato diverse  iniziative,  prediligendo
la progettazione  in  aree  definite  ope  legis  «idonee»  ai  sensi
dell'art. 20, comma 8, del decreto legislativo 8  novembre  2021,  n.
199. Tra queste, in particolare: 
        «Genzano», Regione Puglia, agrivoltaico non avanzato, potenza
120,8 MW; 
        «Barbaruta», Regione Toscana, agrivoltaico avanzato,  potenza
21 MW; 
        «Ginosa», Regione Puglia, agrivoltaico non avanzato,  potenza
144 MW; 
        «Lanuvio», Regione Toscana, agrivoltaico avanzato, potenza 86
MW; 
        «Campli Bellante», Regione  Toscana,  agrivoltaico  avanzato,
potenza 24 MW; 
        «Poggiale», Regione  Puglia,  agrivoltaico  -  non  avanzato,
potenza 66 MW. 
    3. Con il presente ricorso FRV sostiene che il decreto  impugnato
rechi  previsioni  idonee  a  pregiudicarne  l'autorizzazione  e   ha
sollevato a tale riguardo plurimi profili di violazione di  legge  ed
eccesso di potere. Piu' in  particolare,  le  censure  possono  cosi'
essere riassunte: 
        violazione e falsa applicazione dell'art.  20,  comma  3  del
decreto legislativo n. 199/2021 e dell'art. 5 della legge n. 53/2021:
il decreto impugnato avrebbe mancato di definire i  criteri  omogenei
per l'individuazione delle aree idonee all'installazione di  impianti
FER, essendosi limitato a riprodurre principi di massima che,  a  ben
vedere, sarebbero esattamente e testualmente quelli individuati dalla
norma delegante (art. 20, comma 3, decreto legislativo n.  199/2021).
Ne  deriverebbe  il  conferimento  alle   regioni   di   una   delega
sostanzialmente in bianco,  in  contrasto  con  l'insegnamento  della
Corte costituzionale, che  avrebbe  sempre  rivendicato  l'importanza
della uniformita' della «materia energia»  sul  territorio  nazionale
(motivo I.1); 
        violazione e falsa applicazione dell'art. 20,  comma  1,  del
decreto legislativo n. 199/2021: il decreto, chiamato  a  «dettare  i
criteri per  l'individuazione  delle  aree  idonee  all'installazione
della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le
modalita' per minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima
porzione di suolo occupabile dai  suddetti  impianti  per  unita'  di
superficie, nonche' dagli impianti a fonti rinnovabili di  produzione
di energia elettrica gia'  installati  e  le  superfici  tecnicamente
disponibili», si sarebbe limitato a prevedere la mera  «possibilita'»
di classificare le superfici o le aree come  idonee  differenziandole
sulla base della fonte, della taglia e della tipologia  di  impianto,
con indicazione generica e priva  di  indirizzi  idonei  a  orientare
l'esercizio della potesta' regionale (motivo I.2); 
        violazione e falsa applicazione dell'art. 20,  comma  8,  del
decreto legislativo n. 199/2021: illegittimita' della previsione  che
assegna una mera «possibilita'» alle regioni, in sede  di  emanazione
delle leggi, di fare salve le aree idonee di cui all'art.  20,  comma
8, decreto  legislativo  n.  199/2021.  Tale  norma  si  porrebbe  in
contrasto con il dato normativo ed  equivarrebbe  a  consentire  alle
regioni di non tener conto, in sede di normazione, delle aree  idonee
individuate al legislatore nazionale, rimettendosi  alle  regioni  la
potesta' di  prevedere  che  aree  che,  fino  ad  oggi,  sono  state
indiscussamente  idonee,  ai  sensi  del  comma  8,  diventino  «aree
ordinarie» o addirittura «aree non idonee», con impatti in termini di
affidamento degli investimenti ed incertezza del quadro giuridico  di
riferimento (motivo I.3); 
        violazione e falsa applicazione dell'art.  20,  comma  4  del
decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto legislativo
n.  387/2003,  delle  Linee  guida  e  del  principio  della  massima
diffusione  degli  impianti  FER:  l'art.  20,   comma   4,   decreto
legislativo n. 199/2021  prevedrebbe  una  competenza  regionale,  da
esercitare mediante legge, unicamente per la  disciplina  delle  aree
idonee. Il decreto, invece, richiedendo alle regioni  di  individuare
con legge anche le aree non idonee, si porrebbe in  contrasto,  oltre
che con tale norma primaria, anche  con  l'art.  12,  comma  10,  del
decreto legislativo n. 387/2003 e con le successive Linee guida,  che
prevedono l'individuazione delle «aree non idonee»  all'esito  di  un
apposito procedimento amministrativo, operando  un  bilanciamento  in
concreto degli interessi strettamente aderenti alla specificita'  dei
luoghi, senza poter imporre in via legislativa vincoli  generali  non
previsti dalla disciplina statale (motivo II.1); 
        violazione e falsa applicazione dell'art.  20,  comma  4  del
decreto legislativo n. 199/2004, dell'art. 12 del decreto legislativo
n.  387/2003,  delle  Linee  guida  e  del  principio  della  massima
diffusione degli impianti FER: nel definire le aree non  idonee  come
aree «incompatibili con l'installazione di  specifiche  tipologie  di
impianti», il decreto introdurrebbe un  vero  e  proprio  divieto  di
installazione di impianti FER in  dette  aree,  in  contrasto  con  i
principi  dettati  dalle  Linee  guida,  che   pure   vengono   dalla
disposizione  in   questione   richiamati,   in   base   alle   quali
«L'individuazione  delle  aree  e  dei  siti  non  idonei  non   deve
configurarsi  come  divieto  preliminare»   all'installazione   degli
impianti (motivo II.2); 
        violazione e falsa applicazione dell'art. 20, commi 1, 7 e  8
del  decreto  legislativo  n.  199/2021,  dell'art.  12  del  decreto
legislativo n. 387/2003, delle Linee  guida  e  del  principio  della
massima diffusione degli impianti FER nonche' del decreto legislativo
n. 42/2004 e dell'art. 117, comma 2, lettera s) Cost.: nel  prevedere
che «Sono considerate non idonee le superfici  e  le  aree  che  sono
ricomprese nel perimetro  dei  beni  sottoposti  a  tutela  ai  sensi
dell'art. 10 e dell'art. 136, comma 1, lettere a) e  b)  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004,  n.  42»,  il  decreto  si  porrebbe  in
contrasto con la normativa europea e nazionale,  nonche'  con  quella
prevista per i beni soggetti  a  tutela  paesaggistica  e  culturale,
introducendo un divieto esorbitante e  del  tutto  irragionevole,  in
quanto  di  fatto  inibirebbe  in  tutte   le   aree   vincolate   la
realizzazione degli impianti, a prescindere  da  qualsiasi  specifica
valutazione in ordine alle effettive e concrete esigenze di tutela di
ciascun bene vincolato e, correlativamente, da qualsiasi verifica  in
ordine   alla   sussistenza   di   una   effettiva   incompatibilita'
dell'intervento  con  la  tutela   paesaggistica   o   culturale   da
assicurare. Del pari illegittima sarebbe la  previsione  secondo  cui
«Le regioni possono individuare come non idonee  le  superfici  e  le
aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti  a
tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004,  n.
42», nonche' «stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni
sottoposti  a  tutela  di  ampiezza  differenziata  a  seconda  della
tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela,  fino
a un massimo di 7 chilometri», in  quanto  assegnerebbe  poteri  alle
regioni  in  contrasto  con  la  competenza  statale  in  materia  di
paesaggio e beni culturali, che impone uniformi livelli di tutela  in
tutto il territorio nazionale (motivo II.3); 
        violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  20,  comma  1,
decreto legislativo n. 199/2021: nell'individuare, come aree  in  cui
e'  vietata  l'installazione  di  impianti  fotovoltaici  con  moduli
collocati a terra, le aree agricole per le quali vige il  divieto  di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli a  terra  ai  sensi
dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo  n.  199/2021,  il
decreto contravverrebbe alla delega, che non avrebbe  contemplato  la
possibilita' di individuare aree «in cui e' vietata» la installazione
di impianti fotovoltaici a terra, sicche' il decreto ministeriale non
avrebbe potuto essere utilizzato per dare attuazione al citato  comma
1-bis (motivo III.1); 
        manifesta  irragionevolezza  -  violazione  della   direttiva
2009/28/Ce,   della   direttiva   2001/77/Ce   e   della    direttiva
2018/2001/Ue: la delega di cui all'art. 1, comma 2,  lettera  d)  del
decreto ministeriale impugnato sarebbe assolutamente irragionevole ed
illegittima  anche  in  ragione  del  fatto  che,  nel   vietare   la
collocazione di impianti FTV a terra in aree  agricole,  non  precisa
che da tale divieto sono sottratti tutti gli  impianti  agrivoltaici.
Invero, sia gli FTV con moduli a terra che gli agrivoltaici hanno  in
comune  la  collocazione  sul  suolo  di  moduli   recanti   pannelli
fotovoltaici. Tuttavia, la giurisprudenza ne avrebbe  evidenziato  la
differenza, in quanto nei primi la crescita  della  vegetazione  puo'
ostare con la produzione di energia e quindi e' oggetto di interventi
volti a controllarla o impedirla, mentre, nel caso dell'agrivoltaico,
l'impianto (sia avanzato che base) sarebbe  strutturato  in  modo  da
consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola ovvero il
pascolo degli animali, di talche' la  superficie  del  terreno  resta
permeabile e quindi raggiungibile dal sole e  dalla  pioggia,  dunque
pienamente utilizzabile per le normali  esigenze  della  coltivazione
agricola. La previsione in esame, non operando alcuna distinzione  in
merito,  introdurrebbe  un   divieto   concreto,   indiscriminato   e
generalizzato ad ogni tipo  di  impianto  che  usa  tale  tecnologia,
inclusi gli agrivoltaici base o avanzati che siano (motivo III.2). 
    4. Per l'ipotesi in  cui  non  sia  possibile  un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  dell'art.  20,  comma  1-bis,  decreto
legislativo   n.   199/2021,    la    ricorrente    ha    prospettato
l'illegittimita' costituzionale della  disposizione  per  i  seguenti
profili: 
        violazione e falsa applicazione dell'art. 77, comma  secondo,
della Costituzione: dalla disamina del «Preambolo»  al  decreto-legge
Agricoltura si evincerebbe che l'iniziativa  governativa  da  cui  ha
preso le mosse l'approvazione dell'art. 5, comma  1,  del  menzionato
decreto-legge, che  ha  introdotto  la  norma  contestata,  e'  stata
motivata in ragione della ritenuta straordinaria necessita' e urgenza
di  contrastare  il  fenomeno  del  consumo  del  suolo  a  vocazione
agricola. Tale presupposto, tuttavia,  non  sarebbe  sussistente,  in
quanto nel territorio italiano la Superficie agricola totale (SAT) e'
pari a 16 milioni di ettari, mentre la Superficie agricola utilizzata
(SAU) e' pari a 12,5 milioni di ettari. Inoltre, 4 milioni di  ettari
di terreni agricoli sono attualmente abbandonati. Al 2023 sono  stati
installati impianti pari a una potenza di 30,3 GW. 
        Di questi, secondo il GSE, 9,2 GW sono impianti FTV  a  terra
che utilizzano 16.400 ettari, che equivalgono  solo  allo  0,05%  del
territorio nazionale oppure allo 0,13% della SAU. Installare  gli  84
GW di cui al Piano  elettrico  2030/REPowerEU  richiederebbe  fino  a
70.000 ettari - considerando l'ipotesi  piu'  estensiva  secondo  cui
l'intero obiettivo fosse perseguito mediante  l'utilizzo  della  sola
tecnologia che utilizza pannelli fotovoltaici  collocati  a  terra  e
senza considerare la quota installabile su edifici - che  equivalgono
allo 0,2% del territorio italiano ovvero  allo  0,4%  della  SAT.  Si
tratterebbe di una porzione marginale  di  suoli  agricoli  anche  se
paragonata ai 4 milioni di ettari di terreni agricoli  abbandonati  e
ai 12,5 milioni di ettari  di  SAU.  Sarebbero  stati,  pertanto,  in
origine carenti i requisiti di necessita' e urgenza di  cui  all'art.
77  Cost.  che  avrebbero  giustificato  il  ricorso  allo  strumento
eccezionale della decretazione d'urgenza (motivo IV); 
        violazione e falsa applicazione  degli  articoli  117,  commi
primo e terzo, della  Costituzione,  in  relazione,  rispettivamente,
alla direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del  Consiglio
dell'11 dicembre 2018,  sulla  promozione  dell'uso  dell'energia  da
fonti rinnovabili e all'art. 12 del decreto legislativo  29  dicembre
2003, n.  387  (attuazione  della  direttiva  2001/77/CE):  la  norma
contestata, nel  prevedere  il  divieto  di  installazione  di  nuovi
impianti FTV con moduli collocati a terra e il divieto  di  aumentare
l'estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe  in
contrasto con i vincoli  derivanti  dall'ordinamento  europeo  e,  in
particolare, con l'obiettivo di garantire la massima diffusione degli
impianti FER, perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla  direttiva
2001/77/CE, nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della
quale e' stato emanato il  decreto  legislativo  n.  199/2021.  Sotto
altro profilo, la norma si  porrebbe  in  contrasto  con  i  principi
generali dettati in materia  dallo  stesso  Legislatore  statale,  in
attuazione delle direttive europee, e in particolare con  l'art.  12,
comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli
impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma
1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate
agricole dai vigenti piani urbanistici», e con  le  Linee  guida  del
2010, introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo  le  quali
le zone classificate  agricole  dai  vigenti  piani  urbanistici  non
possono essere genericamente considerate aree e  siti  non  idonei  e
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio.  Per  contro,  una  norma  che
introduce un divieto generalizzato  a  realizzare  una  tipologia  di
impianto FER su qualsiasi area agricola - a prescindere anche da  una
previa indagine in merito alle tecnologie utilizzate, alle specifiche
qualita' del sito agricolo ovvero alle  colture  ivi  condotte  -  si
porrebbe in conflitto con i summenzionati  principi  fondamentali  di
cui all'art. 117, comma 1, Cost. ed all'art. 12, comma 7, del decreto
legislativo n. 387/2003, attuativi di direttive dell'Unione europea e
che  riflettono  anche  impegni  internazionali  volti   a   favorire
l'energia prodotta da fonti rinnovabili (motivo V); 
        violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.   9   Cost.   -
violazione e falsa applicazione dell'art.  15  della  direttiva  (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e  del  Consiglio  dell'11  dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti  rinnovabili  -
violazione del principio di proporzionalita' -  violazione  dell'art.
11 del TFUE- violazione dell'art. 41 Cost.: la scelta  di  introdurre
un generale e indiscriminato divieto a realizzare  impianti  FTV  con
moduli a terra  su  aree  urbanisticamente  campite  come  «agricole»
risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione  delle
fonti rinnovabili in modo  da  incidere  sugli  obiettivi  di  tutela
dell'ambiente  perseguiti.  Sul  punto,  l'art.  15  della  direttiva
2018/2001 prevede che «Gli Stati membri prendono  in  particolare  le
misure appropriate per assicurare che: b)  le  norme  in  materia  di
autorizzazione,  certificazione  e  concessione  di   licenze   siano
oggettive, trasparenti  e  proporzionate  ...».  La  norma  censurata
sarebbe tutt'altro che una forma di esercizio  «proporzionato»  della
potesta' legislativa. La norma, inoltre, violerebbe il  principio  di
integrazione delle tutele - riconosciuto, sia a livello europeo (art.
11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del decreto legislativo n.
152 del  2006,  sia  pure  con  una  formulazione  ellittica  che  lo
sottintende)  -  in  virtu'  del  quale   le   esigenze   di   tutela
dell'ambiente   devono   essere   integrate   nella   definizione   e
nell'attuazione  delle  altre  pertinenti  politiche  pubbliche,   in
particolare al fine di promuovere  lo  sviluppo  sostenibile.  Se  il
principio di proporzionalita' rappresenta il  criterio  alla  stregua
del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i due valori
costituzionali all'interno di un quadro argomentativo  razionale,  il
principio di integrazione costituisce  la  direttiva  di  metodo.  La
tutela dell'ambiente e del paesaggio (nello specifico dell'ambiente e
del contesto agricolo)  non  potrebbero  essere  visti  quali  valori
contrapposti rispetto alla diffusione delle  fonti  rinnovabili,  sia
sotto il profilo della tutela dell'ambiente che  sotto  quello  della
tutela dell'iniziativa economica privata.  Lo  stesso  art.  9  della
Costituzione sancisce che la tutela dei valori ambientali deve essere
perseguita  «anche  nell'interesse  delle  future  generazioni».   Al
contrario, la disposizione in esame  muoverebbe  dall'assunto  di  un
aprioristico conflitto tra la conservazione  delle  aree  agricole  e
l'autorizzazione di impianti per la produzione  di  energia  mediante
collocazione di pannelli fotovoltaici a terra, come se  le  descritte
finalita'  non  fossero   tra   loro   contemperabili   mediante   la
introduzione di parametri di valutazione idonei a stabilire, caso per
caso, quando e dove consentire o meno la collocazione di impianti che
utilizzano  la  tecnologia  fotovoltaica   a   terra   (inclusi   gli
agrivoltaici base o avanzati) in area agricola (motivo VI). 
    5. Si sono costituite le amministrazioni intimate, rilevando  che
i presupposti  su  cui  la  ricorrente  fonda  le  proprie  deduzioni
sarebbero smentiti dalla lettura della normativa di riferimento. 
    6. In primo luogo, la necessita' di individuare criteri  omogenei
per la definizione delle superfici e delle aree idonee e  non  idonee
per l'installazione di impianti a  fonti  rinnovabili  sarebbe  stata
introdotta dall'art. 5, comma 1, lettera a)  della  legge  22  aprile
2021, n. 53, «Delega al Governo per il  recepimento  delle  direttive
europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea»  (legge  di
delegazione europea 2019-2020), che dettava criteri di delega per  il
recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione  dell'uso
dell'energia da  fonti  rinnovabili  (RED  II).  Successivamente,  il
decreto legislativo n. 199 del 2021, con l'art. 20, ha individuato il
percorso per l'individuazione delle superfici e  aree  idonee  e  non
idonee alla realizzazione di impianti a fonti rinnovabili, prevedendo
un coinvolgimento, in prima battuta, del MASE, del MIC  e  del  MASAF
d'intesa con le regioni, al  fine  di  definire  criteri  e  principi
omogenei   e   rinviando   a   successive   leggi    regionali    per
l'individuazione su ciascun territorio delle superfici e  delle  aree
idonee e non idonee. Nello specifico, la disciplina prevedrebbe: 
        al comma 5, che nel percorso  di  individuazione  delle  aree
idonee sono rispettati i principi della minimizzazione degli  impatti
sull'ambiente,  sul  territorio,  sul  patrimonio  culturale  e   sul
paesaggio,  fermo  restando  il  vincolo  del  raggiungimento   degli
obiettivi di decarbonizzazione al 2030; 
        ai  commi  6   e   7,   rispettivamente,   che   nelle   more
dell'individuazione delle aree idonee  non  possono  essere  disposte
moratorie  ovvero  sospensioni  dei  termini  dei   procedimenti   di
autorizzazione e che le aree non incluse nel novero delle aree idonee
non possono essere dichiarate non idonee in  sede  di  pianificazione
territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti,  in  ragione
della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee; 
        al comma 8 che «nelle  more  dell'individuazione  delle  aree
idonee sulla base dei criteri e delle modalita' stabiliti dai decreti
di cui al comma 1, sono considerate aree idonee, ai fini  di  cui  al
comma 1 del presente articolo [...]»  una  lista  specifica  di  aree
immediatamente idonee (c.d. aree idonee ex-lege). 
    7. In secondo  luogo,  il  decreto  impugnato,  lungi  dal  voler
costituire una barriera alla realizzazione di impianti di  produzione
di  energia  elettrica  da  fonte  rinnovabile,  sarebbe  finalizzato
all'individuazione di quelle aree o superfici ove poter usufruire  di
procedimenti piu'  veloci  e  snelli  ai  fini  dell'ottenimento  del
relativo titolo autorizzativo, ovvero delle  zone  dove  invece  tali
accelerazioni non sono presenti o che richiederanno  una  valutazione
piu' attenta in ragione di specifiche tutele che  interessano  l'area
dell'intervento. La definizione  di  «area  idonea»  e  «non  idonea»
contenuta nel suddetto decreto, infatti, sarebbe strettamente  legata
alla individuazione delle semplificazioni di cui poter beneficiare ai
fini autorizzativi, fermo restando che anche nelle «aree non  idonee»
nulla vieterebbe agli  operatori  di  poter  realizzare  impianti  di
produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile. D'altra  parte,
l'art.  20,  comma   7,   del   decreto   legislativo   n.   199/2021
esplicitamente vieterebbe alle regioni, in sede di pianificazione, di
considerare  le  aree  non  idonee  come  inibite  in  assoluto  alla
realizzazione di impianti FER, mentre l'art. 1, comma 2, lettera  b),
del decreto ministeriale, nel richiamare  le  modalita'  delle  linee
guida di cui al paragrafo 17 del decreto  ministeriale  10  settembre
2010, le identificherebbe come quelle  aree  in  cui  si  individuano
obiettivi  di  protezione  non  compatibili  con  l'insediamento   di
specifiche  tipologie  e/o   dimensioni   di   impianti,   «i   quali
determinerebbero, pertanto, una elevata probabilita'  (non  certezza)
di esito negativo delle valutazioni in sede di autorizzazione». 
    8. Quanto all'individuazione tramite legge delle aree idonee,  la
competenza normativa  in  materia  sarebbe  gia'  riconosciuta  dalla
Costituzione  (art.  117,  terzo  comma,  in  tema  di   «produzione,
trasporto e  distribuzione  nazionale  dell'energia»),  per  cui  non
sarebbe necessaria alcuna espressa «delega» alle regioni, nel momento
in cui il decreto legislativo n. 199 del  2021,  base  giuridica  del
decreto  in  esame,  costituirebbe  una   chiara   «legge   cornice»,
individuando principi e criteri omogenei per  l'individuazione  anche
delle aree non idonee. Per poter legiferare anche su  tali  aree  non
sarebbe  stato  necessario,   pertanto,   alcun   espresso   «mandato
normativo» statale. 
    9. Sarebbe, altresi', infondata la  contestazione  dell'esistenza
di un c.d. «delega in  bianco»:  il  decreto  ministeriale,  infatti,
indicherebbe all'art. 7 i principi e criteri omogenei (in  linea  con
l'art. 20, commi 1 e 2 del  decreto  legislativo  n.  199  del  2021)
lasciando alle regioni, tramite le  proprie  leggi,  l'individuazione
delle aree idonee e non idonee al fine di garantire il rispetto delle
competenze legislative nella materia concorrente  della  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» ai sensi  dell'art.
117, comma 3, della Costituzione. 
    10. Con riferimento alla previsione per cui «Sono considerate non
idonee le superficie e le aree che sono ricomprese nel perimetro  dei
beni sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 10 e dell'art. 136, comma
1, lettere a) e b) del decreto legislativo 22 gennaio 2004,  n.  42»,
si tratterebbe di parametro non  irragionevole,  ne'  indiscriminato,
posto che la inidoneita' concernerebbe unicamente le aree  ricomprese
nel perimetro di  beni  di  interesse  pubblico  che  richiedono  una
protezione forte da parte dell'ordinamento. 
    11. In merito all'art. 7,  comma  3,  del  decreto  ministeriale,
laddove e' previsto che «Le  regioni  possono  individuare  come  non
idonee le superficie le aree che sono ricomprese nel perimetro  degli
altri beni sottoposti a  tutela  ai  sensi  del  8  medesimo  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Le regioni possono stabilire  una
fascia di rispetto dal perimetro dei  beni  sottoposti  a  tutela  di
ampiezza  differenziata  a  seconda  della  tipologia  di   impianto,
proporzionata al bene oggetto di tutela,  fino  a  un  massimo  di  7
chilometri», la previsione sarebbe  in  linea  con  quanto  contenuto
nelle Linee guida  (decreto  ministeriale  10  settembre  2010),  che
all'Allegato 3 chiariscono che le «regioni, con le modalita'  di  cui
al paragrafo 17, possono procedere ad indicare come aree e  siti  non
idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree
particolarmente  sensibili  e/o   vulnerabili   alle   trasformazioni
territoriali o del paesaggio», quali, tra l'altro, «le aree ed i beni
di notevole interesse culturale di cui alla Parte seconda del decreto
legislativo n. 42 del 2004, nonche' gli immobili e le aree dichiarati
di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art.  136  dello  stesso
decreto legislativo» ovvero le «zone individuate ai  sensi  dell'art.
142 del decreto legislativo n. 42 del 2004 valutando  la  sussistenza
di particolari caratteristiche che le rendano  incompatibili  con  la
realizzazione degli impianti». 
    12. Con riguardo all'art. 1, comma 2,  lettera  d),  del  decreto
ministeriale, secondo cui le regioni individuano, tra  le  altre,  le
«aree in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici  con
moduli collocati a terra: le aree  agricole  per  le  quali  vige  il
divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a  terra
ai sensi  dell'art.  20,  comma  1-bis,  del  decreto  legislativo  8
novembre 2021, n.  199»,  la  previsione  non  sarebbe  strumento  di
«attuazione» dell'art. 20, comma 1-bis, perche' gli effetti  di  tale
disposizione, di rango  primario  e  introdotta  successivamente  con
legge ordinaria, verrebbero gia' spiegati  autonomamente  all'interno
del decreto legislativo n. 199 del 2021. Piuttosto il rimando operato
nel decreto ministeriale Aree idonee, lungi dal volere introdurre  un
divieto generalizzato di portata innovativa,  troverebbe  ragione  in
forza della ratio del  medesimo  provvedimento  impugnato  diretto  a
voler  fornire,  tra  l'altro,  agli  operatori  del  settore  chiare
indicazioni sulla individuazione delle superfici  e  aree  ove  poter
ubicare i progetti di impianti  FER  e  di  quelle  in  cui  cio'  e'
precluso. 
    13. All'udienza pubblica del  5  febbraio  2025  il  Collegio  ha
prospettato alle parti, ai sensi dell'art. 73, comma  3,  c.p.a.,  la
sussistenza di possibili profili di inammissibilita' del ricorso  per
carenza d'interesse, come riportato a verbale.  La  causa  e'  stata,
quindi, trattenuta in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    14. Il ricorso puo' essere definito solo parzialmente,  reputando
il Collegio rilevanti e non manifestamente infondate le questioni  di
costituzionalita' sollevate da parte ricorrente con i motivi V e VI. 
    15.  Preliminarmente,  occorre  tuttavia  esaminare   i   profili
riguardanti la consistenza  dell'interesse  posto  a  fondamento  del
ricorso, la cui mancanza e' stata oggetto  di  rilievo  officioso  in
udienza e il cui scrutinio richiede che siano chiariti i  termini  in
cui debba essere declinato, nel regime introdotto dalla disciplina di
cui all'art.  20,  comma  1,  decreto  legislativo  n.  199/2021,  il
concetto di area non idonea all'installazione di impianti  FER.  Tale
esigenza, invero, risulta intrinsecamente  correlata  con  il  tenore
delle censure ricorsuali articolate con il secondo motivo di ricorso,
con le quali, come esposto in narrativa, la societa' ricorrente ha in
sostanza contestato: 
        l'indebita contemplazione, nell'ambito della disciplina posta
dal decreto ministeriale, della materia delle aree non idonee; 
        la  configurazione  delle  aree   non   idonee   quali   aree
incompatibili e, quindi,  sostanzialmente  preclusive  rispetto  alla
installazione di impianti FER; 
        la genericita' dei criteri posti dal decreto  ministeriale  a
fini di indirizzo della successiva attivita' regionale; 
        l'abnorme   estensione    del    perimetro    di    possibile
individuazione delle aree non idonee; 
        l'individuazione delle aree non idonee con legge regionale, e
non piu' in sede procedimentale; 
        la  mancanza  di  una  disciplina  di  salvaguardia  per   le
iniziative gia' avviate. 
    16. Il presupposto comune alle censure e' che, avendo il  gravato
decreto  ministeriale  qualificato  le  aree  non  idonee  come  aree
incompatibili con l'installazione di impianti  FER,  il  concetto  di
«area non idonea» sarebbe stato completamente  stravolto  rispetto  a
quello operante nel regime previgente (i.e.,  a  quello  delle  Linee
guida). In  particolare,  prima  dell'adozione  del  gravato  decreto
ministeriale la conseguenza correlata al carattere di  non  idoneita'
di un'area era circoscritta al fatto che il soggetto  proponente  non
potesse  accedere   alla   accelerazione   procedimentale   dell'iter
autorizzativo   propedeutico   alla   realizzazione   ed    esercizio
dell'impianto FER - accelerazione che, viceversa, avrebbe operato nel
caso di localizzazione dell'impianto in area idonea -. Per  converso,
nessuna preclusione, aprioristica e assoluta, alla  realizzazione  di
tali impianti risultava discendere dalla loro localizzazione in  aree
non  idonee.  Orbene,  secondo  la  prospettazione   della   societa'
ricorrente, siccome con l'adozione del gravato  decreto  ministeriale
le amministrazioni resistenti avrebbero introdotto una preclusione di
tal guisa, lo stesso risulterebbe illegittimo. 
    17. Il Collegio ritiene che  la  tesi  sostenuta  dalla  societa'
ricorrente non possa essere condivisa per le ragioni  di  diritto  di
seguito esposte. 
    18. Come noto, l'art. 12  del  decreto  legislativo  29  dicembre
2003, n. 387, ha introdotto disposizioni per la  razionalizzazione  e
la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. A  tal  fine,  l'art.
12, comma 10, del decreto  legislativo  n.  387/2003  ha  inter  alia
previsto che «In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle
attivita' produttive, di concerto con  il  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le  attivita'
culturali, si  approvano  le  linee  guida  per  lo  svolgimento  del
procedimento di cui al comma 3 [la c.d. procedura  di  autorizzazione
unica, n. d.r.]. Tali linee guida  sono  volte,  in  particolare,  ad
assicurare un corretto  inserimento  degli  impianti,  con  specifico
riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione  di  tali
linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree  e
siti  non  idonei  alla  installazione  di  specifiche  tipologie  di
impianti». 
    19. Le Linee guida indicate dall'art. 12, comma 10,  del  decreto
legislativo n. 387/2003 sono state adottate con decreto del Ministero
dello sviluppo economico del 10 settembre 2010, e con esse  e'  stato
stabilito che: 
        paragrafo 17: «Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione
alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati  da  fonti
rinnovabili, in attuazione delle disposizioni  delle  presenti  linee
guida, le regioni e  le  Province  autonome  possono  procedere  alla
indicazione  di  aree  e  siti  non  idonei  alla  installazione   di
specifiche tipologie di impianti  secondo  le  modalita'  di  cui  al
presente punto e sulla  base  dei  criteri  di  cui  all'Allegato  3.
L'individuazione della  non  idoneita'  dell'area  e'  operata  dalle
regioni attraverso  un'apposita  istruttoria  avente  ad  oggetto  la
ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente,  del
paesaggio, del  patrimonio  storico  e  artistico,  delle  tradizioni
agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che
identificano   obiettivi   di   protezione   non   compatibili    con
l'insediamento, in determinate  aree,  di  specifiche  tipologie  e/o
dimensioni di  impianti,  i  quali  determinerebbero,  pertanto,  una
elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede  di
autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria, da  richiamare  nell'atto
di cui al punto 17.2, dovranno contenere,  in  relazione  a  ciascuna
area individuata come non idonea in relazione a specifiche  tipologie
e/o dimensioni di impianti,  la  descrizione  delle  incompatibilita'
riscontrate  con  gli  obiettivi  di  protezione  individuati   nelle
disposizioni  esaminate  [...].  Le  aree  non  idonee   sono   [...]
individuate dalle regioni nell'ambito dell'atto di programmazione con
cui  sono  definite  le  misure  e  gli   interventi   necessari   al
raggiungimento  degli  obiettivi  di  burden   sharing   fissati   in
attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione  individua
le aree  non  idonee  tenendo  conto  di  quanto  eventualmente  gia'
previsto dal piano paesaggistico e in  congruenza  con  lo  specifico
obiettivo assegnatole»; 
        allegato 3: «L'individuazione  delle  aree  e  dei  siti  non
idonei mira non gia' a rallentare la  realizzazione  degli  impianti,
bensi' ad  offrire  agli  operatori  un  quadro  certo  e  chiaro  di
riferimento  e  orientamento  per  la  localizzazione  dei  progetti.
L'individuazione delle aree non idonee dovra' essere effettuata dalle
regioni  con  propri  provvedimenti  tenendo  conto  dei   pertinenti
strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica,
secondo le modalita' indicate al paragrafo 17», nonche' sulla base di
principi e criteri, individuati dal medesimo allegato, in ragione dei
quali, tra l'altro: «a) l'individuazione delle aree non  idonee  deve
essere basata esclusivamente su criteri tecnici oggettivi  legati  ad
aspetti di tutela  dell'ambiente,  del  paesaggio  e  del  patrimonio
artistico-culturale, connessi alle  caratteristiche  intrinseche  del
territorio e del sito; b) l'individuazione delle aree e dei siti  non
idonei deve essere differenziata con specifico riguardo alle  diverse
fonti rinnovabili  e  alle  diverse  taglie  di  impianto;  [...]  d)
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a
tutela   dell'ambiente,    del    paesaggio    e    del    patrimonio
storico-artistico, ne'  tradursi  nell'identificazione  di  fasce  di
rispetto di dimensioni non  giustificate  da  specifiche  e  motivate
esigenze  di  tutela.  La  tutela  di  tali  interessi   e'   infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed  affidate,
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche,  alle
regioni, agli enti  locali  ed  alle  autonomie  funzionali  all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno  del  procedimento
unico e della procedura di Valutazione  dell'impatto  ambientale  nei
casi previsti. L'individuazione delle aree e dei siti non idonei  non
deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto  di
accelerazione e  semplificazione  dell'iter  di  autorizzazione  alla
costruzione  e  all'esercizio,  anche  in  termini  di   opportunita'
localizzative offerte dalle specifiche  caratteristiche  e  vocazioni
del territorio». 
    20. Nel contesto del sistema delineato dall'art.  12,  comma  10,
del decreto  legislativo  n.  387/2003,  come  risulta  dai  pacifici
orientamenti pretori formatisi  in  seno  alla  giurisprudenza  della
Corte costituzionale, le Linee  guida  sono  «poste  a  completamento
della normativa primaria "in settori squisitamente tecnici" (sentenze
n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 en.
86 del 2019, nonche' n. 69 del 2018) e connotate dal carattere  della
inderogabilita' a garanzia di una disciplina "uniforme  in  tutto  il
territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del  2019,  n.  69  del
2018)" (sentenza n. 106 del 2020; nello  stesso  senso,  sentenze  n.
221, n. 216, n. 77 e n. 11 del 2022, n. 177 e n. 46 del 2021)»  (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023). 
    21. Va, poi, evidenziato che la Corte costituzionale ha  chiarito
che con le disposizioni normative introdotte dal decreto  legislativo
n. 199/2921 «il legislatore statale ha  inteso  superare  il  sistema
dettato dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo  29  dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') e dal  conseguente
decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10  settembre  2010
(Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da  fonti
rinnovabili), contenenti i principi e  i  criteri  di  individuazione
delle aree non idonee. Le regioni,  pertanto,  sono  ora  chiamate  a
individuare le aree "idonee" all'installazione degli impianti,  sulla
scorta dei principi e dei  criteri  stabiliti  con  appositi  decreti
interministeriali, previsti dal comma 1 del  citato  art.  20  [...].
Inoltre, l'individuazione delle aree idonee dovra' avvenire non  piu'
in sede amministrativa, come prevedeva la  disciplina  precedente  in
relazione a quelle non idonee, bensi' "con legge" regionale,  secondo
quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello  stesso  art.  20»
(cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 103/2024). 
    22.  Sulla  scorta  di  quanto  chiarito   ed   affermato   negli
orientamenti  giurisprudenziali  teste'  richiamati,   discende   che
nell'applicazione del rinnovato quadro normativo che  ha  interessato
la materia della realizzazione degli impianti FER non possano sic  et
simpliciter essere trasposti, in  maniera  acritica  e  meccanica,  i
principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale  in  relazione
al pregresso assetto normativo e  regolatorio.  Infatti,  laddove  si
aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica - che  e',  poi,  quella
sostanzialmente prospettata dalla societa' ricorrente - si  finirebbe
per obliterare indebitamente il  vigente  contesto  normativo,  avuto
specifico riguardo alla circostanza per cui, de iure condito,  l'art.
20, comma  1,  del  decreto  legislativo  n.  199/2021  espressamente
dispone che sia il MASE, di  concerto  con  il  MIC  e  il  MASAF,  a
stabilire con decreto i principi e  i  criteri  omogenei  strumentali
all'individuazione delle aree idonee e non idonee. 
    23. Invero, proprio sulla  scorta  delle  scelte  compiute  dalle
amministrazioni  resistenti  con  l'adozione  del   gravato   decreto
ministeriale - e condivise  con  gli  enti  territoriali  tramite  lo
strumento dell'intesa in sede di Conferenza unificata - emerge  come,
contrariamente a quanto  sostenuto  dalla  societa'  ricorrente,  nel
complessivo   nuovo   impianto   normativo   e   regolamentare    sia
sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e  finalita',  la
portata precettiva del concetto di «area non idonea». 
    24.  Infatti,  l'art.  1,  comma  2,  lettera  b),  del   decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 ha definito le «superfici e aree  non
idonee» come «aree e siti le cui caratteristiche  sono  incompatibili
con l'installazione di specifiche tipologie di  impianti  secondo  le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato  3  delle  linee
guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo  economico  10
settembre 2010, pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  18  settembre
2010, n. 219 e successive modifiche e integrazioni». 
    25. A dispetto di quanto asserito  dalla  societa'  ricorrente  -
secondo la  quale  la  definizione  di  area  non  idonea  come  area
incompatibile equivarrebbe alla introduzione di un  divieto  assoluto
alla installazione  di  impianti  FER  -  occorre  ricordare  che  il
paragrafo 17 delle Linee guida gia' per il passato specificava che il
processo di ricognizione  delle  aree  non  idonee  dovesse  avvenire
prendendo  in  considerazione  gli  «obiettivi  di   protezione   non
compatibili con l'insediamento, in determinate  aree,  di  specifiche
tipologie e/o dimensioni di impianti». 
    26.  Emerge,  quindi,   come   gia'   nel   contesto   previgente
all'adozione del gravato decreto ministeriale le aree non  idonee  si
caratterizzassero   per   essere   aree    incompatibili    con    il
soddisfacimento  degli  obiettivi  di  protezione  che  l'ordinamento
intende perseguire. Tale  forma  di  incompatibilita',  quale  tratto
caratterizzante delle aree  non  idonee,  non  si  traduceva  in  una
preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo
ad indicare la sussistenza di  «una  elevata  probabilita'  di  esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione». 
    27.  L'analisi  diacronica  sinteticamente  svolta  consente   di
affermare che, sotto l'esaminato profilo della «incompatibilita'», la
definizione di «aree non idonee»  contenuta  nell'art.  1,  comma  2,
lettera  b),  del  gravato  decreto  ministeriale  non  possiede   un
carattere innovativo,  risultando  sostanzialmente  invariata,  quoad
effectum, la portata del concetto di  «area  non  idonea»,  per  come
declinato dal decreto ministeriale del 21  giugno  2024,  rispetto  a
quella scaturente dalle Linee guida. 
    28. A sostegno di tale conclusione, d'altronde, milita  anche  il
fatto che lo stesso art. 1, comma 2, lettera b), del gravato  decreto
ministeriale  declini  la  dichiarata  incompatibilita'  «secondo  le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato  3  delle  linee
guida».  Ordunque,  benche'  l'ordito  normativo,  con  il   previsto
aggiornamento delle Linee guida «A  seguito  dell'entrata  in  vigore
della  disciplina  statale  e  regionale  per   l'individuazione   di
superfici e aree idonee ai  sensi  dell'art.  20»,  presenti  indubbi
elementi di circolarita' che rendono non del tutto  chiaro  il  ruolo
che le medesime Linee guida sono  ad  oggi  chiamate  a  svolgere  in
subiecta materia,  e'  preferibile  ritenere  che  il  richiamo  alle
modalita' stabilite dalle Linee guida sia da intendersi nel senso che
il legislatore abbia optato per il consolidamento, anche rispetto  al
nuovo  regime,  delle  acquisizioni,  in  termini  di  significato  e
declinazione delle aree non idonee,  gia'  raggiunte  nel  previgente
assetto normativo in  applicazione  delle  previsioni  dettate  dalle
Linee guida. 
    29. Tale opzione esegetica puo' essere legittimamente percorsa in
ossequio al canone ermeneutico dell'interpretazione  conservativa  di
cui all'art. 1367 cod civ. -  pacificamente  applicabile  anche  agli
atti   amministrativi,    come    chiarito    dalla    giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n.  5358  del  4
settembre  2020  e  riferimenti  ivi  citati)  -.  Infatti,  mediante
l'impiego di  tale  legittimo  criterio  interpretativo,  nel  nostro
ordinamento giuridico e' possibile preservare atti e valori giuridici
non affetti da  vizi  di  legittimita'  (ut  res  magis  valeat  quam
pereat),  risultando  cio'  confacente,  peraltro,  ai  principi   di
economicita'  ed  efficacia  dell'attivita'  amministrativa   sanciti
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241  (cfr.  Cons.
Stato, sez. III, sentenza n. 3488 del 10 luglio 2015)  e  di  cui  il
criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione. 
    30. Se e' vero che non puo' essere sottaciuto il fatto che l'art.
3, comma 1, del gravato decreto ministeriale disponga che le  regioni
provvedono con legge  alla  individuazione  (anche)  delle  aree  non
idonee  -  e  non  piu'  nell'ambito  di  un  apposito   procedimento
amministrativo, come previsto dalle Linee guida - e'  del  pari  vero
che, in disparte gli eventuali  profili  di  illegittimita'  di  tale
scelta, non v'e' alcun indice normativo che  faccia  ritenere  che  a
tale cambiamento  sia  correlata  la  conseguenza  prospettata  dalla
societa' ricorrente. 
    31. Infatti, il mutamento normativo che ha interessato il veicolo
giuridico  di   approvazione   della   classificazione   delle   aree
potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e
messa in esercizio di un impianto FER, non  risulta  accompagnato  da
alcuna radicale  trasfigurazione  del  significato  che  il  concetto
giuridico  di   «aree   non   idonee»   esprime   nell'ambito   della
pianificazione del  territorio  necessaria  al  raggiungimento  degli
obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili. 
    32. Ad avviso del Collegio, l'interpretazione  sin  qui  proposta
trova anche il conforto della giurisprudenza  costituzionale  che  ha
riconosciuto la "necessita' di garantire la «massima diffusione degli
impianti da fonti di energia rinnovabili» (sentenza n. 286 del  2019,
in senso analogo, ex multis, sentenze n. 221, n.  216  e  n.  77  del
2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 69 del  2018,  n.  13  del
2014 e n. 44 del 2011) «nel comune intento 'di ridurre  le  emissioni
di gas ad effetto serra' (sentenza n.  275  del  2012;  nello  stesso
senso, sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n.
85  del  2012),  onde  contrastare  il  riscaldamento  globale  e   i
cambiamenti climatici  (sentenza  n.  77  del  2022)"  (Corte  cost.,
sentenza n. 27/2023). Va, quindi, radicalmente escluso che  le  "aree
non idonee" possano essere considerate aree del tutto interdette alla
installazione di impianti FER, poiche' opinando diversamente potrebbe
essere  seriamente  pregiudicato  il  conseguimento  degli  obiettivi
energetici strumentali al rispetto degli impegni assunti  dall'Italia
a livello sovranazionale  -  tenuto  anche  conto  della  particolare
ampiezza dei margini di manovra consentiti alle regioni  dal  decreto
ministeriale impugnato -. 
    33. Viceversa, l'interpretazione dell'art. 1,  comma  2,  lettera
b), del gravato decreto ministeriale del 21 giugno 2024, al quale  il
Collegio intende aderire - partendo dall'assunto che il carattere  di
non idoneita' di un'area non precluda in radice la  realizzazione  di
impianti FER - e' atta a porre in rilievo come  l'individuazione  con
legge  regionale  delle  aree  non  idonee   non   esclude   che   le
amministrazioni,    nell'ambito    degli    specifici    procedimenti
amministrativi di valutazione delle istanze  di  autorizzazione  alla
realizzazione  di  impianti  FER,  siano  necessariamente  tenute  ad
apprezzare in concreto l'impatto dei progetti proposti sulle esigenze
di  tutela  ambientale,   paesaggistico-territoriale   e   dei   beni
culturali,  anche  laddove  l'area  interessata  rientri  tra  quelle
classificate come non idonee. 
    34. Il Collegio, chiariti i termini nei quali debba essere inteso
il concetto giuridico di "aree non idonee" alla  realizzazione  degli
impianti FER, ritiene di poter esaustivamente procedere all'esame dei
profili di attualita' e concretezza dell'interesse a ricorrere la cui
sussistenza costituisce condizione  di  ammissibilita'  del  presente
gravame. 
    35. Si evidenzia sin da ora, e salvo quanto piu' avanti si  dira'
quanto ai dedotti profili sollevati con il III, IV, V  e  VI  motivo,
che non si reputa sussistente in capo  alla  societa'  ricorrente  il
necessario interesse a ricorrere richiesto dalla legge per conseguire
l'annullamento giudiziale del gravato  decreto  ministeriale  del  21
giugno 2024. 
    36.  In  proposito,   giova   preliminarmente   evidenziare   che
l'interesse a ricorrere, quale condizione dell'azione concettualmente
autonoma dalla legittimazione  ad  agire,  trova  il  suo  fondamento
nell'art. 100 del codice di procedura civile, rubricato «Interesse ad
agire» e applicabile al processo amministrativo in virtu' del  rinvio
esterno disposto dall'art. 39 c.p.a. 
    37. In particolare, atteso che l'art.  100  codice  di  procedura
civile stabilisce che «Per proporre una  domanda  o  per  contraddire
alla stessa essa  e'  necessario  avervi  interesse»,  l'interesse  a
ricorrere si caratterizza  per  la  «prospettazione  di  una  lesione
concreta  ed  attuale  della  sfera  giuridica   del   ricorrente   e
dall'effettiva  utilita'  che  potrebbe   derivare   a   quest'ultimo
dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato» (cfr.  Cons.  Stato,
Ad. plen. , 26 aprile 2018, n. 4). 
    38. Cio', invero, risulta coerente con la funzione  svolta  dalle
condizioni dell'azione nei processi di parte, innervati dal principio
della domanda e dal  principio  dispositivo  (cfr.  Cassazione  civ.,
SS.UU., 22 aprile 2013 n. 9685; Cassazione civ., sez.  III,  3  marzo
2015, n. 4228; Cassazione civ., sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542). 
    39.  L'interesse  a  ricorrere,  inoltre,  e'  espressione  della
concezione soggettiva della tutela giurisdizionale, propria anche del
processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. , sentenza n.  4
del 7 aprile 2011) e ad esso e' attribuita  una  funzione  di  filtro
processuale, fino a divenire strumento di selezione  degli  interessi
meritevoli di tutela (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. ,  sentenza  n.  22
del 9 dicembre 2021). 
    40. L'Adunanza plenaria  del  Consiglio  di  Stato,  proprio  con
riferimento a tale condizione dell'azione, ha ulteriormente  chiarito
che «Il codice del processo amministrativo fa piu' volte riferimento,
direttamente o indirettamente, all'interesse  a  ricorrere:  all'art.
35, primo comma, lettera b) e c), all'art. 34, comma 3, all'art.  13,
comma 4-bis e, in  modo  piu'  sfumato,  all'art.  31,  primo  comma,
sembrando   confermare,   con   l'accentuazione   della    dimensione
sostanziale dell'interesse legittimo e l'arricchimento delle tecniche
di tutela, la necessita' di una verifica delle condizioni dell'azione
(piu') rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla  base
degli elementi desumibili dal ricorso,  e  al  lume  delle  eventuali
eccezioni di controparte  o  dei  rilievi  ex  officio,  prescindendo
dall'accertamento  effettivo  della  (sussistenza  della   situazione
giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver  subito.
Nel senso che,  come  e'  stato  osservato,  va  verificato  che  "la
situazione giuridica  soggettiva  affermata  possa  aver  subito  una
lesione" ma non anche che "abbia subito" una lesione, poiche'  questo
secondo accertamento attiene al merito della lite» (cfr. Cons. Stato,
Ad. plen. , sentenza n. 22/2021, cit.). 
    41. Ordunque, nel caso in esame viene in rilievo una  fattispecie
controversa rispetto alla quale l'interesse al bene (i.e., l'utilita'
finale  o  petitum  mediato)  correlato  alla  situazione   giuridica
soggettiva dedotta in  giudizio  dalla  societa'  ricorrente  non  e'
costituito da specifici provvedimenti di autorizzazione,  in  ipotesi
negati   dalla   amministrazione   competente,   bensi'   da   futuri
provvedimenti di  autorizzazione  il  cui  rilascio  potrebbe  essere
precluso  per  effetto   delle   gravate   previsioni   del   decreto
ministeriale del 21 giugno 2024.  Nel  caso  di  specie,  invero,  le
amministrazioni competenti ad assentire i progetti  che  la  societa'
ricorrente sta elaborando non hanno ancora avuto modo di pronunciarsi
sugli stessi. 
    42. La  valutazione  inerente  alla  sussistenza  del  necessario
interesse  a  ricorrere,  pertanto,  non   puo'   prescindere   dalla
considerazione della  maggiore  distanza  esistente  tra  l'attivita'
amministrativa  contestata  e  l'utilita'  giuridica  finale  che  la
societa'  ricorrente  intende  conseguire.   In   proposito   occorre
evidenziare che le impugnate prescrizioni  del  decreto  ministeriale
del 21 giugno 2024 sono destinate ad assumere,  rispetto  ai  singoli
procedimenti di  autorizzazione  degli  impianti  FER,  il  ruolo  di
parametri   di   legittimita'   dell'agere   delle    amministrazioni
procedenti, atteso che con le stesse sono stati  fissati  principi  e
criteri generali e  sono  state  enucleate  definizioni  di  istituti
giuridici e non,  invece,  comandi  e  divieti  inderogabili,  ex  se
ostativi  all'esercizio  dell'attivita'  imprenditoriale  che   parte
ricorrente intende svolgere. 
    43. Posto che l'interesse a ricorrere che  sorregge  la  presente
iniziativa  giudiziale  deve  essere  traguardato  alla  luce   della
possibilita' di lesione che la societa'  ricorrente  potrebbe  subire
per effetto della applicazione delle gravate previsioni ministeriali,
assume rilievo centrale la circostanza per cui  dette  previsioni  si
collocano a monte  dell'attivita'  amministrativa  di  autorizzazione
che, essa si', e' destinata ad impattare  concretamente  nella  sfera
giuridica della  parte  ricorrente,  in  quanto,  in  caso  di  esito
negativo, suscettibile di arrecare alla stessa un pregiudizio in  via
immediata e diretta. 
    44. Lo iato esistente  tra  l'agere  ministeriale  e  l'attivita'
amministrativa    di    autorizzazione    si     ripercuote     anche
sull'apprezzamento  dell'interesse   a   ricorrere,   rendendo   piu'
rarefatta  e   remota   la   possibilita'   di   incisione   negativa
dell'interesse  al  bene  finale   laddove   si   controverta   della
legittimita' del parametro (di legittimita') che concorre  a  formare
la cornice di legalita' dell'azione amministrativa  finalizzata  alla
rimozione degli ostacoli ordinamentali allo svolgimento di  attivita'
economiche  non  liberalizzate,  come  quelle  che   rilevano   nella
fattispecie in esame. 
    45. Sulla scorta delle pregresse considerazioni discende che  per
valutare la  sussistenza  dell'interesse  della  parte  ricorrente  a
contestare le previsioni del decreto ministeriale del 21 giugno  2024
non  possa  essere  preso  in  considerazione   il   concreto   esito
procedimentale dell'iter di autorizzazione - che, nel caso di specie,
non risulta essere stato avviato ovvero e' ancora in  corso.  Plurime
sono le ragioni a cio' ostative, tra le quali  la  piu'  evidente  e'
quella che  risiede  nel  fatto  che,  ad  opinare  diversamente,  si
finirebbe per violare il  divieto  sancito  dall'art.  34,  comma  2,
c.p.a. 
    46. Ad avviso del Collegio, quindi, per  poter  riconoscere  alle
contestate previsioni del decreto ministeriale del 21 giugno 2024  la
prospettata, diretta, immediata e  concreta  valenza  pregiudizievole
predicata dalla  societa'  ricorrente,  occorrerebbe  che  le  stesse
siano, ex se, automaticamente preclusive delle iniziative  economiche
che quest'ultima, quale operatore attivo nel mercato della produzione
di energia da fonti rinnovabili, intende intraprendere. 
    47. Il Collegio non reputa che gli articoli 1, 3 e 7 del  gravato
decreto  ministeriale  siano  immediatamente   lesivi   della   sfera
giuridica della societa' ricorrente, donde  l'inammissibilita'  delle
relative censure. 
    48. Invero,  siccome  il  fulcro  delle  censure  proposte  dalla
ricorrente ruota intorno alla prospettata lesivita' del nuovo assetto
regolamentare per effetto della rivisitazione del previgente  sistema
e del ruolo che l'istituto delle «aree non  idonee»  e'  destinato  a
giocare, anche per  cio'  che  concerne  gli  aspetti  inerenti  alle
modalita'  della  loro   determinazione,   dall'analisi   svolta   in
precedenza, e  che  deve  intendersi  qui  integralmente  richiamata,
emerge come la qualificazione di determinate porzioni  di  territorio
in termini di  «aree  non  idonee»  non  costituisce  un  impedimento
assoluto alla realizzazione  di  progetti  tesi  alla  costruzione  e
all'esercizio  di  impianti  FER,  dal  che  discende   la   radicale
insussistenza, anche  in  una  prospettiva  valutativa  di  carattere
prognostico, della lesione lamentata dalla societa' ricorrente. 
    49. A tale riguardo, giova evidenziare che la  localizzazione  di
un impianto FER in un'area non idonea non osta a  che  gli  operatori
economici proponenti possano in ogni caso dimostrare, nell'ambito dei
singoli procedimenti autorizzatori, che il progetto da realizzare sia
compatibile  con  il  complessivo  assetto  dei  valori   in   gioco,
ovverosia, da un lato, con la tutela dei beni sottoposti a tutela  ai
sensi del decreto  legislativo  n.  42/2004  e,  dall'altro,  con  il
raggiungimento degli obiettivi di potenza complessiva da  traguardare
al 2030 in base a quanto previsto dalla Tabella  A  dell'art.  2  del
decreto ministeriale del 21 giugno 2024. 
    50.  Tali  considerazioni   trovano   espresso   conforto   nelle
previsioni del gravato decreto  ministeriale,  laddove,  all'art.  7,
comma 3, in fine, si  dispone  che  «Nell'applicazione  del  presente
comma deve essere contemperata la necessita' di tutela dei  beni  con
la garanzia di raggiungimento degli obiettivi di cui alla  Tabella  A
dell'art. 2 del presente decreto». 
    51. Il pregiudizio lamentato dalla societa' ricorrente, peraltro,
neppure puo' farsi discendere dal fatto che, in base al nuovo assetto
normativo  e  regolamentare  culminato  con  l'adozione  del  gravato
decreto ministeriale, anche l'individuazione delle «aree non  idonee»
debba essere determinata mediante legge regionale e non invece,  come
avveniva con il previgente  regime,  con  atti  di  programmazione  e
all'esito di una precipua istruttoria procedimentale (cfr.  paragrafo
17 delle Linee guida). 
    52.  A  tal  proposito,  infatti,  vale  considerare  che   anche
ipotizzando che l'individuazione delle  aree  non  idonee  possa,  in
alcuni casi, scontare in sede di legislazione regionale  una  carente
caratterizzazione in  ragione  del  diverso  atteggiarsi  dei  lavori
preparatori  di  un  provvedimento  legislativo  rispetto  alla  fase
istruttoria di un procedimento amministrativo, cio' non  risulterebbe
di per se' suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto e attuale
agli interessi degli operatori  economici  che  intendono  realizzare
impianti FER in siti classificati come «aree non idonee». 
    53. Infatti, la conseguenza giuridica che puo'  farsi  discendere
dalla concretizzazione dell'ipotesi innanzi prospettata, consiste  in
un   mero   aggravamento   dell'onere    motivazionale    a    carico
dell'amministrazione  competente  a  pronunciarsi  sulle  istanze  di
autorizzazione alla realizzazione ed esercizio di  impianti  FER.  In
particolare, l'amministrazione  procedente,  all'esito  dell'iter  di
autorizzazione,  non   potra'   giustificare   l'eventuale   ritenuta
incompatibilita' del progetto solo in virtu' del fatto che l'impianto
sia  localizzato  in  un'area  classificata   come   non   idonea   -
motivazione, peraltro, che risulterebbe insufficiente anche nel  caso
in  cui  la  caratterizzazione  delle  aree  non  idonee  sia   stata
puntualmente  svolta  dal  legislatore  regionale,   in   quanto   la
qualificazione di non idoneita' non si traduce in un divieto assoluto
di installazione di impianti FER, come gia' accennato in precedenza -
ma dovra' necessariamente fondare il proprio diniego dando  conto  in
maniera adeguata, ancorche' in ipotesi sintetica,  delle  intrinseche
caratteristiche del progetto e delle  aree  interessate,  traguardate
alla luce della comparazione dei contrapposti interessi in giuoco. 
    54. Pertanto, contrariamente a quanto  sostenuto  dalla  societa'
ricorrente,  nessun  pregiudizio  attuale  e  concreto   puo'   farsi
discendere dal fatto che  sia  stato  previsto  che  l'individuazione
delle «aree non idonee»  debba  avvenire  con  legge  regionale.  Per
converso, un  siffatto  pregiudizio  e'  suscettibile  di  venire  ad
esistenza  solo  in  caso  di  esito  negativo  del  procedimento  di
autorizzazione   e   solo   nella   misura   in   cui   risulti   che
l'amministrazione procedente non abbia  esercitato  correttamente  il
potere amministrativo  di  carattere  tecnico-discrezionale  ad  essa
attribuito dalla legge. 
    55. Ad avviso del Collegio, sempre sulla  scorta  della  chiarita
portata normativa ed effettuale del concetto giuridico di  «aree  non
idonee» nell'ambito dell'attuale contesto normativo e  regolamentare,
il gravato decreto ministeriale si  appalesa  privo  di  immediata  e
concreta lesivita' anche relativamente alle prescrizioni con le quali
esso stesso classifica determinate aree come non idonee,  cosi'  come
nella  parte  in  cui  non  prevede  alcun  regime   transitorio   di
salvaguardia delle iniziative in corso. 
    56. Per cio' che concerne il primo profilo  di  doglianza  teste'
menzionato, la circostanza per cui il  gravato  decreto  ministeriale
qualifichi come non idonee le aree ricomprese nel perimetro dei  beni
sottoposti  a  tutela  ai  sensi  di  quanto  previsto  dal   decreto
legislativo n. 42/2004 (art. 7,  comma  3),  non  vale  a  mutare  la
portata generale del concetto di «aree non idonee», convertendolo  in
un istituto a geometrie variabili  che,  ove  direttamente  applicato
dall'amministrazione  ministeriale,  sia  tale  da  determinare   una
aprioristica e radicale sottrazione, ex  voluntate  administrationis,
dell'area non idonea alla realizzazione degli impianti FER. 
    57. Invero, sia  in  tal  caso,  sia  nell'altro  (cioe',  quando
l'individuazione  delle  «aree  non   idonee»   avviene   con   legge
regionale), la localizzazione dell'impianto all'interno  di  un  sito
ritenuto  non  idoneo  non  costituisce  mai  ragione  di   per   se'
sufficiente a precludere in  radice  la  realizzazione  del  progetto
proposto dall'operatore economico istante, potendosi giungere a  tale
esito procedimentale solo nel  caso  in  cui  il  progetto  venga  in
concreto reputato incompatibile, dall'amministrazione procedente, con
gli altri obiettivi di tutela rilevanti nelle singole fattispecie. 
    58. La parte ricorrente, viceversa, con  l'impostazione  impressa
al ricorso in esame ha tentato di far retrocedere una  siffatta  -  e
meramente eventuale - lesione ad una fase  prodromica  rispetto  alla
valutazione in concreto  dei  progetti  tesi  alla  realizzazione  di
impianti FER, tale in quanto unicamente riservata alla determinazione
dei criteri e  alle  modalita'  di  individuazione  delle  «aree  non
idonee». 
    59. Tuttavia, sulla scorta delle regole che governano il processo
amministrativo e in considerazione del  fatto  che  la  giurisdizione
amministrativa   di   legittimita'   costituisce   pur   sempre   una
giurisdizione di diritto soggettivo, non e' possibile accordare  alla
parte ricorrente una tutela anticipata di merito,  ossia  una  tutela
giudiziale del tutto sganciata dalla  sussistenza  di  una  possibile
incisione negativa della sua sfera  giuridica  che,  per  le  ragioni
innanzi esposte e alla  luce  della  effettiva  portata  prescrittiva
delle gravate disposizioni del decreto  ministeriale  del  21  giugno
2024,  puo'  predicarsi  solo  rispetto  ad  un  esito  negativo  dei
procedimenti autorizzativi e solo laddove cio'  consegua  al  cattivo
esercizio del potere da parte dell'amministrazione procedente. 
    60. In relazione  al  secondo  profilo  in  contestazione,  sulla
scorta  delle  considerazioni  svolte  in  precedenza  e  alle  quali
integralmente si rimanda in ossequio  al  principio  di  sinteticita'
degli atti processuali sancito dal codice  di  rito,  e'  sufficiente
porre in rilievo che l'eventuale mutamento della  classificazione  di
un'area, in precedenza non qualificata come non idonea, non e' ex  se
atto a condizionare, in maniera indefettibile e in senso  sicuramente
negativo, l'iter procedimentale di autorizzazione all'installazione e
all'esercizio  di  impianti  FER.  Pertanto,   neppure   la   mancata
previsione di un regime transitorio di salvaguardia delle  iniziative
in corso vale a dimostrare che  le  previsioni  del  gravato  decreto
ministeriale possano arrecare alla societa' ricorrente il pregiudizio
da essa lamentato. 
    61. Ad avviso  del  Collegio,  l'iniziativa  giudiziale  promossa
dalla societa' ricorrente risulta sguarnita del necessario  interesse
a ricorrere anche in relazione alle censure articolate con  il  primo
motivo di ricorso, ossia quelle tese a contestare le  previsioni  del
d.m del 21 giugno 2024 con le quali sono stati fissati i criteri  per
la individuazione delle aree idonee ed e' stata concessa alle regioni
la mera facolta' di far salve le aree considerate idonee ope legis ai
sensi dell'art. 20, comma 8, del decreto legislativo n. 199/2021. 
    62. In proposito, e'  sufficiente  rinviare  alle  considerazioni
gia' espresse in precedenza in quanto,  anche  in  relazione  a  tali
censure, l'interesse a ricorrere potrebbe dirsi sussistente solo  nel
caso in cui le gravate prescrizioni sulle «aree idonee» fossero  tali
da arrecare, ex se e immediatamente,  un  pregiudizio  alla  societa'
ricorrente. 
    63. Il Collegio, tuttavia, non ritiene  che  la  possibilita'  di
lesione prospettata dalla societa' ricorrente  sia  riscontrabile  ex
ante  in  un'ottica  prognostica,  in  quanto   l'effetto   giuridico
discendente dalla qualificazione di una superficie come «area idonea»
alla realizzazione ed esercizio di un impianto FER delle aree  idonee
e' essenzialmente limitato al solo  riconoscimento  di  un  vantaggio
procedimentale. Pertanto, la  societa'  ricorrente  non  possiede  il
necessario interesse ad azionare in giudizio una posizione  giuridica
sostanzialmente consistente nell'interesse a  non  vedersi  aggravato
l'iter procedimentale  di  autorizzazione  (laddove,  in  futuro,  si
determini a presentare la dovuta istanza all'amministrazione), a  che
venga mantenuto il precedente impianto  normativo  e  a  che  vengano
considerate come «aree idonee» ex lege, superfici che tali sono state
considerate dal  legislatore,  expressis  verbis,  solo  «nelle  more
dell'individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e  delle
modalita' stabiliti dai decreti di cui al comma 1 [dell'art.  20  del
decreto legislativo n. 199/2021, n. d.r.]». 
    64.  Al  pari  di  quanto  rilevato  in  relazione  alle  gravate
previsioni sulle «aree non idonee», anche con  riferimento  a  questo
ulteriore gruppo di censure proposte dalla societa'  ricorrente,  non
risulta   che   le   amministrazioni   resistenti   abbiano   dettato
prescrizioni cogenti e introdotto divieti  assoluti  e  aprioristici,
dalla cui applicazione discenda con  assoluta  certezza  la  radicale
preclusione alla realizzazione, miglioria ed  esercizio  di  impianti
FER. In definitiva, non venendo in rilievo prescrizioni  suscettibili
di impedire alla societa' ricorrente, in via immediata e diretta,  lo
svolgimento della propria attivita' di produzione di energia da fonti
rinnovabili, deve  ritenersi  insussistente  l'interesse  processuale
richiesto dalla legge per conseguire  l'annullamento  giudiziale  del
gravato decreto ministeriale. 
    65. A ben vedere, e fermo restando il carattere assorbente  delle
anzidette considerazioni, la decidibilita' nel  merito  del  presente
gravame risulterebbe preclusa  anche  dalla  natura  della  posizione
dedotta in giudizio dalla societa'  ricorrente.  Infatti,  ad  essere
stata azionata risulta  essere  una  mera  aspettativa  di  fatto  al
corretto esercizio  sia  della  funzione  amministrativa,  sia  della
funzione legislativa delle regioni, ossia una  situazione  del  tutto
priva  della  specifica  connessione  a  un  bene  della   vita   che
costituisce il proprium delle situazioni  giuridiche  soggettive  che
l'ordinamento reputa meritevoli di tutela. 
    66. Ad abundantiam, vale anche osservare  che,  alla  luce  della
natura della posizione azionata, la circostanza per cui  la  societa'
ricorrente sia un operatore attivo nel settore  della  produzione  di
energia da fonti rinnovabili non costituisce elemento  sufficiente  a
rendere differenziata e normativamente qualificata la sua  posizione,
la quale, pertanto, non risulta distinguibile da quella  del  quisque
de populo. 
    67. D'altronde, anche volendo attribuire alla posizione  azionata
dalla societa' ricorrente la consistenza di interesse diffuso e meta'
individuale, il ricorso in  esame  non  risulterebbe  decidibile  nel
merito per carenza di legittimazione attiva, atteso che una  siffatta
situazione giuridica soggettiva puo' essere fatta valere in  giudizio
esclusivamente   dai    soggetti    giuridici    statutariamente    o
istituzionalmente preposti  a  rappresentare  interessi  omogenei  di
specifiche categorie, attribuzione, questa,  che  esula  dalla  sfera
giuridica del singolo individuo o, come nel caso di specie, operatore
economico attivo nel mercato. 
    68. Ne consegue che «in se' considerata, la semplice possibilita'
di ricavare  dall'invocata  decisione  di  accoglimento  una  qualche
utilita'  pratica,  indiretta  ed  eventuale,  ricollegabile  in  via
meramente contingente ed  occasionale  al  corretto  esercizio  della
funzione  pubblica  censurata,  non  dimostra  la  sussistenza  della
posizione legittimante, nel senso che  siffatto  possibile  vantaggio
ottenibile dalla pronuncia  di  annullamento  non  risulta  idoneo  a
determinare,  da  solo,   il   riconoscimento   di   una   situazione
differenziata,  fondante  la  legittimazione  al  ricorso;   occorre,
invece, una ulteriore condizione-elemento che valga  a  differenziare
il soggetto, cui essa condizione-elemento si riferisce, da coloro che
avrebbero  un   generico   interesse   alla   legalita'   dell'azione
amministrativa, essendo quest'ultimo interesse  riconosciuto  non  al
quisque de populo,  ma  solamente  a  quel  soggetto  che  si  trovi,
rispetto   alla   generalita',   in   una   posizione    legittimante
differenziata» (cfr. Cons. Stato, sez. V,  sentenza  n.  265  del  27
gennaio 2016). 
    69.  Tale  condizione-elemento  non  puo'   essere   rintracciata
nell'aspirazione a una determinata  configurazione  del  procedimento
amministrativo per effetto della qualificazione  attribuita  all'area
di  localizzazione  degli  impianti   FER,   il   che   implica   una
inammissibile conformazione dei poteri pubblici per mano dei soggetti
privati, strumentale ad asservire le scelte dell'amministrazione  (e,
nel caso di specie, anche del legislatore regionale) ad interessi  di
natura egoistica - come tali  slegati  dalle  esigenze  di  carattere
pubblicistico che l'amministrazione deve curare -  e  ai  desiderata,
modali e metodologici, degli operatori del settore. 
    70. La prospettazione della societa' ricorrente, anche sotto tale
ultimo divisato profilo, non merita di essere condivisa, in quanto il
giudice amministrativo non puo' accordare  tutela  a  situazioni  del
tutto sui generis rispetto a quelle di interesse  legittimo,  nonche'
di diritto soggettivo nei soli casi di giurisdizione esclusiva. 
    71. La situazione dedotta in giudizio dalla societa'  ricorrente,
invero, non possiede la consistenza di interesse legittimo, il  quale
come noto sottende «un rapporto diretto ed immediato tra  l'esercizio
del potere amministrativo (e cio' in cui esso si sostanzia, cioe'  il
provvedimento  amministrativo)  e  l'interessato  all'esercizio   del
potere medesimo», che «si concretizza nel fatto che il  provvedimento
amministrativo  ed  suoi   effetti   interessano   direttamente   (ed
univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto,  in
senso compressivo o ampliativo» (cfr. Cons. Stato, sez. IV,  sentenza
n. 1403 del 7 marzo 2013). 
    72. Nel  caso  di  specie,  le  gravate  previsioni  del  decreto
ministeriale in materia di aree idonee e non idonee, non sono atte ad
arrecare alcun  pregiudizio  nella  sfera  giuridica  della  societa'
ricorrente, le cui aspettative in relazione ai progetti proposti o in
fase di proposizione si conservano integre sino alla definizione  del
procedimento  autorizzativo  che  verra'  avviato  al  momento  della
presentazione dell'istanza all'amministrazione  competente.  Da  cio'
deriva  l'inammissibilita'  del  ricorso,  per  carenza  d'interesse,
quanto ai motivi dal I al II.3. 
    73. A diverse conclusioni  deve  giungersi  quanto  alle  censure
formulate nel III motivo, che  vanno  esaminate  congiuntamente  alle
questioni sollevate con il IV, V  e  VI  motivo,  con  cui  la  parte
ricorrente solleva questioni di costituzionalita' dell'art. 5,  comma
1,  del  decreto-legge  15  maggio  2024,  n.  63,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 2024, n. 101. 
    74. Il citato art.  5,  comma  1,  decreto-legge  n.  63/2024  ha
introdotto il comma 1-bis all'art.  20  del  decreto  legislativo  n.
199/2021, il quale stabilisce  che  «L'installazione  degli  impianti
fotovoltaici con moduli  collocati  a  terra,  in  zone  classificate
agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita  esclusivamente
nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi  per
modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione  degli
impianti gia' installati, a condizione che non comportino  incremento
dell'area occupata, c), incluse le cave gia'  oggetto  di  ripristino
ambientale e quelle con piano di coltivazione  terminato  ancora  non
ripristinate, nonche' le discariche o i  lotti  di  discarica  chiusi
ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter), numeri 2) e  3),  del
comma 8 del presente articolo. Il primo periodo non  si  applica  nel
caso di progetti  che  prevedano  impianti  fotovoltaici  con  moduli
collocati a terra finalizzati  alla  costituzione  di  una  comunita'
energetica rinnovabile ai sensi dell'art.  31  del  presente  decreto
nonche'  in  caso  di  progetti  attuativi  delle  altre  misure   di
investimento del Piano nazionale  di  ripresa  e  resilienza  (PNRR),
approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come
modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e
del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR  (PNC)
di cui all'art. 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito,
con modificazioni, dalla legge 1° luglio  2021,  n.  101,  ovvero  di
progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR». 
    75. Il successivo comma 2 ha previsto che tale disciplina non  si
applichi «ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore del
presente decreto [16 maggio 2024], sia stata avviata almeno una delle
procedure amministrative, comprese quelle di valutazione  ambientale,
necessarie  all'ottenimento  dei  titoli   per   la   costruzione   e
l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia
stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi». 
    76. Parte ricorrente allega di aver presentato diverse iniziative
relative a progetti di impianti c.d. agrivoltaici  (avanzati  e  non)
che   sarebbero   incisi   dalla   richiamata    disciplina.    Dalla
documentazione agli atti risulta che soltanto per  uno  dei  suddetti
progetti e' stata avviata almeno una delle  procedure  amministrative
necessarie all'ottenimento dei titoli autorizzativi entro il  termine
di cui all'art. 5, comma 2,  decreto-legge  n.  63/2024.  I  restanti
progetti resterebbero,  pertanto,  assoggettati  al  divieto  di  cui
all'art. 20, comma 1-bis, decreto legislativo n. 199/2021. 
    77. Il decreto impugnato prevede, all'art. 1,  comma  2,  che  le
regioni individuino sul rispettivo territorio, tra l'altro, le  «aree
in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra», definite come «le aree agricole per le quali vige
il divieto di installazione di impianti  fotovoltaici  con  moduli  a
terra ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto  legislativo  8
novembre 2021, n. 199». 
    78. Diversamente da quanto ritenuto dalla difesa  erariale,  tale
previsione costituisce senz'altro strumento di attuazione, per quanto
del tutto vincolato nel contenuto, della norma primaria. Va rilevato,
infatti, che il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto  legislativo  n.
199/2021 definisce  il  perimetro  delle  aree  agricole  in  cui  e'
consentita  l'installazione  di  impianti  fotovoltaici  con   moduli
collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree
idonee come prevista dal comma 8 del  medesimo  art.  20  nelle  more
dell'adozione della disciplina di cui al comma 1. In  tale  contesto,
il decreto ministeriale ribadisce che il divieto previsto  dal  comma
1-bis si applica anche nel nuovo  quadro  regolatorio  e  vincola  la
potesta' legislativa  regionale:  ai  sensi  dell'art.  3,  comma  1,
infatti, le regioni sono chiamate  a  individuare  con  legge,  entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore  del  decreto,  le
aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle  in  cui  e'
vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati
a terra. 
    79.  Il  decreto  impugnato  costituisce   anche   l'unico   atto
amministrativo che interviene nel  processo  di  implementazione  del
divieto, atteso che: 
        esso e' stabilito direttamente dalla legge statale; 
        secondo quanto previsto dal decreto,  l'individuazione  delle
aree in questione avviene con legge regionale; 
        le  aree  cosi'  individuate  non  sono  «non   idonee»,   ma
assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la
valutazione,   nel   singolo   procedimento,   della   compatibilita'
dell'intervento con i valori confliggenti. 
    80.   Va   allora   richiamato   il   consolidato    orientamento
giurisprudenziale  secondo  il  quale  «un  atto  generale  [...]  e'
immediatamente  impugnabile  quando  incide  senz'altro  -  senza  la
necessaria  intermediazione  di  provvedimenti  applicativi   -   sui
comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV, 17
marzo  2022,  n.  1937).  Nel  caso   di   specie   l'incidenza   sui
comportamenti degli operatori  e'  indubbia,  derivando  dal  divieto
cosi' previsto l'incondizionata preclusione agli interventi di  nuova
installazione sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis,  decreto
legislativo n. 199/2021, come  pure  degli  interventi  di  modifica,
rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione  degli  impianti
gia' installati che non  siano  collocati  nelle  aree  di  cui  alla
lettera dell'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021 e  che
comportino un incremento dell'area occupata. 
    81.  Cio'  detto  quanto  all'ammissibilita'  delle  censure,  e'
infondata la doglianza secondo la quale,  concernendo  la  disciplina
rimessa alla determinazione ministeriale  l'adozione  di  principi  e
criteri omogenei per l'individuazione delle superfici  e  delle  aree
idonee e non idonee, non  sarebbe  stata  prevista  alcuna  delega  a
individuare le aree «in cui e' vietata» la installazione di  impianti
fotovoltaici a terra (di seguito «FTV»). 
    82. Per effetto della  sopravvenienza  normativa  costituita  dal
disposto dell'art.  5  del  decreto-legge  n.  63/2024,  infatti,  il
decreto di cui al comma 1 dell'art. 20  del  decreto  legislativo  n.
199/2021 non avrebbe potuto  che  prendere  atto  dei  divieti  cosi'
introdotti e ribadire, anche nel contesto della  disciplina  da  esso
posta, le relative preclusioni. Nel momento in cui il legislatore  ha
inteso vietare ulteriori interventi concernenti impianti fotovoltaici
con moduli collocati a terra nelle aree classificate  agricole,  tale
rinnovata  valutazione  si  e'   inevitabilmente   sovrapposta   alle
previgenti direttive normative in  materia  di  individuazione  delle
aree idonee, sicche' ai fini della relativa implementazione  non  era
necessaria alcuna espressa e specifica delega, potendone  l'Autorita'
amministrativa soltanto prendere atto. 
    83. Con una seconda censura  la  ricorrente  contesta  l'art.  1,
comma 2, lettera d), del decreto nella parte in cui non  precisa  che
da tale divieto sono sottratti tutti gli impianti agrivoltaici. Anche
tale doglianza e' infondata. 
    84.  In  merito,  e'  sufficiente  rilevare   che   l'ambito   di
applicazione del divieto  posto  dall'art.  5  del  decreto-legge  n.
63/2024 e' definito direttamente dalla norma primaria e  la  relativa
individuazione  appartiene  all'attivita'  di  interpretazione  degli
enunciati  normativi:  la  mancata,  ulteriore   specificazione   del
medesimo da parte di un atto applicativo non integra, pertanto, sotto
alcun profilo un vizio di legittimita' di quest'ultimo. 
    85. Occorre allora procedere all'esame dei profili di rilevanza e
non  manifesta   infondatezza   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate dalla parte ricorrente in relazione all'art.
5 del decreto-legge n. 63/2024, procedendo dapprima a  verificare  se
sia possibile fornire di tale norma  un'interpretazione  suscettibile
di risolvere, gia'  sul  piano  della  corretta  delimitazione  della
portata   della   norma   censurata,   i   denunciati   sospetti   di
incostituzionalita'. 
Sull'impossibilita' di interpretare l'art.  5  del  decreto-legge  n.
63/2024 in modo conforme a Costituzione 
    86. La parte ricorrente ha condizionato l'interesse  a  sollevare
l'incidente  di  costituzionalita'  all'impossibilita'   di   fornire
un'interpretazione della norma in base alla quale ogni  tipologia  di
impianto agrivoltaico sarebbe escluso dal divieto da  essa  previsto,
in quanto la giurisprudenza avrebbe gia' riconosciuto  la  differenza
esistente  tra  la  tecnologia   agrivoltaica   e   il   tradizionale
fotovoltaico. Cio', tuttavia, come di seguito si passa ad illustrare,
non e' possibile se non in parte, e comunque in modo  non  del  tutto
satisfattivo dell'interesse di parte ricorrente. 
    87. L'ambito del regime  preclusivo  introdotto  dalla  norma  va
ricostruito a partire dal «significato proprio delle  parole  secondo
la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore» (art. 12,
comma 1, disp. prel. c.c.). 
    88. L'oggetto della previsione normativa riguarda  specificamente
l'installazione degli impianti fotovoltaici «con moduli  collocati  a
terra [...] in zone classificate agricole» e si colloca  in  funzione
servente rispetto alla dichiarata «straordinaria necessita' e urgenza
di  contrastare  il  fenomeno  del  consumo  del  suolo  a  vocazione
agricola». 
    89. Dalle richiamate coordinate normative  si  ricava,  pertanto,
che  l'oggetto  del  divieto  riguarda  gli   impianti   fotovoltaici
caratterizzati  da  una  ben  determinata   caratteristica   -   i.e.
l'installazione  dei  moduli  a  terra  -  in  quanto  ritenuta   dal
legislatore incompatibile con l'utilizzo del suolo per  l'agricoltura
e, quindi, con la finalita' di contrastare il  fenomeno  del  consumo
del suolo a vocazione agricola. 
    90.  Le  linee  guida  MITE  del  2022  in  materia  di  impianti
agrivoltaici individuano come segue i  requisiti  che  tali  impianti
debbono  possedere  per  rispondere  alla  finalita'  per  cui   sono
realizzati: 
        «Requisito A: Il sistema e' progettato e realizzato  in  modo
da  adottare  una  configurazione  spaziale   ed   opportune   scelte
tecnologiche,  tali  da  consentire  l'integrazione   fra   attivita'
agricola  e  produzione  elettrica  e   valorizzare   il   potenziale
produttivo di entrambi i sottosistemi; 
        Requisito B: Il sistema agrivoltaico e' esercito,  nel  corso
della vita tecnica, in maniera da garantire la  produzione  sinergica
di energia elettrica e  prodotti  agricoli  e  non  compromettere  la
continuita' dell'attivita' agricola e pastorale; 
        Requisito  C:  L'impianto   agrivoltaico   adotta   soluzioni
integrate innovative con moduli elevati da terra, volte a ottimizzare
le prestazioni del sistema agrivoltaico sia in termini energetici che
agricoli; 
        Requisito D: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un  sistema
di monitoraggio che consenta di verificare l'impatto  sulle  colture,
il  risparmio  idrico,  la  produttivita'  agricola  per  le  diverse
tipologie di colture e la continuita' delle attivita'  delle  aziende
agricole interessate; 
        Requisito E: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un  sistema
di monitoraggio che, oltre a rispettare il requisito D,  consenta  di
verificare il recupero della fertilita' del suolo, il microclima,  la
resilienza ai cambiamenti climatici». 
    91. Le medesime linee guida chiariscono, poi,  che  «Il  rispetto
dei  requisiti  A,  B  e'  necessario  per   definire   un   impianto
fotovoltaico realizzato in area  agricola  come  "agrivoltaico".  Per
tali impianti dovrebbe inoltre previsto  il  rispetto  del  requisito
D.2», mentre il rispetto «dei requisiti A, B, C e D e' necessario per
soddisfare la definizione di "impianto agrivoltaico avanzato"  e,  in
conformita'  a  quanto  stabilito  dall'art.  65,  comma  1-quater  e
1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012,  n.  1,  classificare
l'impianto come meritevole  dell'accesso  agli  incentivi  statali  a
valere sulle tariffe elettriche». 
    92. Dalla classificazione tipologica degli impianti  agrivoltaici
contenuta nelle linee guida risulta, pertanto, che soltanto  per  gli
impianti agrivoltaici di tipo avanzato e' senz'altro  soddisfatto  il
requisito C, consistente nell'utilizzo di moduli elevati da terra. Il
suddetto utilizzo, secondo le linee guida, puo'  assumere  una  delle
due seguenti configurazioni: 
        «l'altezza  minima  dei  moduli  e'  studiata  in   modo   da
consentire la continuita' delle attivita'  agricole  (o  zootecniche)
anche sotto ai moduli fotovoltaici. Si configura una condizione nella
quale esiste un doppio uso del suolo, ed una integrazione massima tra
l'impianto agrivoltaico e la coltura, e cioe' i  moduli  fotovoltaici
svolgono una funzione sinergica alla coltura, che si  puo'  esplicare
nella  prestazione  di  protezione  della   coltura   (da   eccessivo
soleggiamento, grandine, etc.) compiuta dai moduli  fotovoltaici.  In
questa condizione la superficie occupata dalle colture e  quella  del
sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi
dell'impianto che poggiano a terra e che  inibiscono  l'attivita'  in
zone circoscritte del suolo»; 
        «i moduli fotovoltaici sono disposti in  posizione  verticale
[...].  L'altezza   minima   dei   moduli   da   terra   non   incide
significativamente sulle possibilita' di  coltivazione  (se  non  per
l'ombreggiamento in determinate ore del giorno), ma puo'  influenzare
il grado di connessione dell'area, e  cioe'  il  possibile  passaggio
degli animali, con  implicazioni  sull'uso  dell'area  per  attivita'
legate alla zootecnia.  Per  contro,  l'integrazione  tra  l'impianto
agrivoltaico e la coltura si puo' esplicare  nella  protezione  della
coltura compiuta dai moduli fotovoltaici che  operano  come  barriere
frangivento». 
    93. In considerazione del  tenore  letterale  e  della  finalita'
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, e' possibile  ritenere  che
il divieto ivi previsto non si applichi agli impianti agrivoltaici di
tipo avanzato, in quanto  in  relazione  ai  suddetti  impianti,  non
realizzandosi l'installazione di moduli collocati  a  terra,  non  si
verifica la sottrazione di suolo agricolo nei termini  che  la  norma
intende contrastare. 
    94.  Tale  conclusione  e'  peraltro  confermata   dallo   stesso
orientamento assunto in sede ministeriale nell'interpretazione  della
norma censurata (si veda la risposta del  Ministro  dell'agricoltura,
della  sovranita'  alimentare  e  delle  foreste   all'interrogazione
parlamentare n. 3-01225, laddove e' stato precisato che «Sara'  [...]
possibile installare pannelli  sospesi,  il  cosiddetto  agrivoltaico
avanzato, sotto il quale si puo' coltivare e portare a termine  tutti
i progetti legati al PNRR» - cfr. il resoconto della  seduta  n.  297
del 22 maggio 2024 presso la Camera dei deputati),  oltre  che  dalle
attivita' in corso di implementazione  delle  misure  introdotte  dal
decreto impugnato (cfr. il disegno di legge della Regione  Puglia  n.
222/2024, depositato agli atti, che all'art. 8, comma  4,  stabilisce
che «nel caso di utilizzo della tecnologia fotovoltaica,  nelle  zone
classificate agricole dai piani urbanistici possono essere realizzati
esclusivamente impianti agrivoltaici di natura sperimentale»). 
    95. Se puo' residuare un margine di  incertezza  in  ordine  agli
impianti che, in quanto rispondenti ai requisiti di cui alle  lettera
a), b) e c) delle linee guida, ma non a tutti quelli richiesti  dalla
lettera  d),  non  sono  qualificabili  come  impianti   agrivoltaici
avanzati, sebbene utilizzino moduli  sollevati  da  terra,  cio'  che
rileva in questa sede e' che parte ricorrente ha allegato, in  ordine
a tre dei progetti ai quali ha fatto riferimento onde  dimostrare  il
proprio interesse  alle  censure,  che  detti  interventi  possiedono
soltanto le caratteristiche di cui alle lettere a), b) e  d.2)  delle
linee guida. 
    96. Tipologie di  impianti  come  quelle  di  cui  ai  richiamati
progetti rientrano senz'altro nel divieto previsto  dalla  norma.  In
primo luogo, infatti, essi si caratterizzano per l'installazione  dei
moduli a terra; in secondo luogo, essi in ogni  caso  determinano  il
consumo di suolo a  vocazione  agricola,  sia  pure  in  misura  piu'
limitata rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici. Soltanto nel
caso degli impianti con  moduli  sollevati  da  terra,  infatti,  «la
superficie occupata dalle colture e quella del  sistema  agrivoltaico
coincidono, fatti salvi gli elementi  costruttivi  dell'impianto  che
poggiano a terra e che inibiscono l'attivita'  in  zone  circoscritte
del suolo» (cfr. le linee guida, pag. 24). 
    97. Un'interpretazione diversa, quale quella  volta  a  escludere
qualsivoglia tipologia di impianto agrivoltaico dall'applicazione del
divieto, sfiderebbe, oltre al dato letterale della  norma,  anche  le
sue  finalita'  e  si  porrebbe  in  inammissibile  contrasto  con  i
tradizionali e inderogabili criteri di ermeneutica giuridica. 
    98. Al riguardo, non si puo' fare a meno di osservare che: 
        «la lettera  della  norma  costituisce  il  limite  cui  deve
arrestarsi  anche  l'interpretazione   costituzionalmente   orientata
dovendo, infatti, essere sollevato l'incidente  di  costituzionalita'
ogni  qual  volta   l'opzione   ermeneutica   supposta   conforme   a
Costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale  della  norma
stessa» (Cass., S.U., 1° giugno 2021, n. 15177). Nel caso di  specie,
non c'e' dubbio che gli impianti agrivoltaici di  tipo  tradizionale,
in quanto si risolvano nell'installazione  di  pannelli  collocati  a
terra,  rientrino  nella  previsione  che   vieta,   per   l'appunto,
l'installazione di impianti «con moduli collocati a terra»; 
        l'ampiezza  del  divieto  introdotto   con   l'art.   5   del
decreto-legge n. 63/2024, che si risolve nella  preclusione  assoluta
di realizzare impianti  con  moduli  collocati  a  terra  sull'intero
territorio nazionale, induce a ritenere  che  l'obiettivo  perseguito
dal legislatore  fosse  quello  di  contrastare  la  sia  pur  minima
riduzione  del  territorio  a  vocazione   agricola   per   l'effetto
dell'installazione di impianti fotovoltaici.  Un'interpretazione  che
escludesse tutte le tipologie di impianti agrivoltaici dall'ambito di
applicazione della norma in questione, anche a dispetto  di  un  (pur
ridotto) consumo di suolo agricolo, si porrebbe in frontale contrasto
con tale obiettivo, quale chiaramente  emergente  dai  presupposti  e
dall'oggetto dell'enunciato normativo, operazione  che  non  puo'  in
alcun modo ritenersi consentita all'interprete. 
    99.  Per  le  ragioni  sopra  indicate   neppure   e'   possibile
interpretare l'art. 5, comma 1, decreto-legge n.  63/2024  nel  senso
che il divieto opererebbe soltanto all'esito di specifica istruttoria
nel  rispetto  delle  linee  guida.  Una  siffatta   interpretazione,
infatti, si risolverebbe in un'interpretatio abrogans della norma  e,
in ogni caso, contrasta con il chiaro tenore letterale e la finalita'
perseguita dal legislatore, che ha inteso consentire l'utilizzo delle
aree agricole per gli impianti fotovoltaici con  moduli  collocati  a
terra esclusivamente nei limiti di cui al citato art.  5:  l'avverbio
«esclusivamente» non lascia spazio a dubbi circa la portata  assoluta
del divieto che caratterizza che i progetti e le  aree  agricole  non
contemplati  quali  eccezioni  dall'art.  20,  comma  1-bis,  decreto
legislativo n. 199/2021. 
Sulla rilevanza delle questioni 
    100.  Dall'acclarata  impercorribilita'   di   un'interpretazione
dell'enunciato normativo  integralmente  satisfattivo  per  la  parte
ricorrente  deriva  la  rilevanza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale prospettate nei motivi IV, V e VI. 
    101. Si e'  gia'  osservato,  nell'argomentare  l'interesse  alle
censure, che il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto  legislativo  n.
199/2021 definisce  il  perimetro  delle  aree  agricole  in  cui  e'
consentita  l'installazione  di  impianti  fotovoltaici  con   moduli
collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree
idonee come prevista dal comma 8 del  medesimo  art.  20  nelle  more
dell'adozione della disciplina di cui al comma 1. In  tale  contesto,
il decreto ministeriale ribadisce che il divieto previsto  dal  comma
1-bis si applica anche nel nuovo  quadro  regolatorio  e  vincola  la
potesta' legislativa  regionale:  ai  sensi  dell'art.  3,  comma  1,
infatti, le regioni sono chiamate a individuare con legge, entro  180
giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, le  aree  di  cui
all'art. 1, comma 2, e,  quindi,  anche  quelle  in  cui  e'  vietata
l'installazione di  impianti  fotovoltaici  con  moduli  collocati  a
terra. 
    102. Si e' anche osservato che il decreto  impugnato  costituisce
l'unico  atto  amministrativo  che   interviene   nel   processo   di
implementazione del divieto, atteso che: 
        esso e' stabilito direttamente dalla legge statale; 
        secondo quanto previsto dal decreto,  l'individuazione  delle
aree in questione avviene con legge regionale; 
        le  aree  cosi'  individuate  non  sono  «non   idonee»,   ma
assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la
valutazione,   nel   singolo   procedimento,   della   compatibilita'
dell'intervento con i valori confliggenti. 
    103. E'  stato  quindi  richiamato  il  consolidato  orientamento
giurisprudenziale  secondo  il  quale  «un  atto  generale  [...]  e'
immediatamente  impugnabile  quando  incide  senz'altro  -  senza  la
necessaria  intermediazione  di  provvedimenti  applicativi   -   sui
comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV, 17
marzo 2022, n. 1937), rilevandosi che nel caso di specie  l'incidenza
sui comportamenti degli operatori e' indubbia, derivando dal  divieto
cosi' previsto l'incondizionata preclusione agli interventi di  nuova
installazione sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis,  decreto
legislativo n. 199/2021, come  pure  degli  interventi  di  modifica,
rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione  degli  impianti
gia' installati che non  siano  collocati  nelle  aree  di  cui  alla
lettera dell'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021 e  che
comportino un incremento dell'area occupata. 
    104. Il decreto impugnato replica,  quindi,  il  divieto  sancito
dalla  norma  primaria,  demandando  alla  legge  regionale  la   sua
pedissequa trasposizione, che determina  ex  se  l'impossibilita'  di
condurre in porto i progetti  menzionati.  La  perdurante  vigenza  e
validita' della  norma  primaria  impedisce  qualsivoglia  intervento
demolitorio da parte del Collegio, recando il decreto una  previsione
del tutto conforme a legge. 
    105.  In  mancanza  della  declaratoria  di   incostituzionalita'
dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n.  63/2024,  la  domanda  di
annullamento dell'art. 1 del decreto ministeriale, per  la  parte  di
interesse, dovrebbe essere rigettata. 
    106. Viceversa, laddove la  norma  incriminata  fosse  dichiarata
incostituzionale, l'art. 1, comma 2, lettera d), del decreto dovrebbe
essere annullato, ponendo a quel punto un divieto  generalizzato  che
nessuna norma primaria contemplerebbe o autorizzerebbe e che, per  le
ragioni che saranno illustrate, collide con il principio  di  massima
diffusione delle energie rinnovabili, quale  desumibile  dal  diritto
dell'Unione, dando peraltro luogo a una disciplina che non supera  lo
scrutinio di proporzionalita' e ragionevolezza. 
Sulla  manifesta  infondatezza  della   questione   di   legittimita'
costituzionale posta con il IV motivo 
    107. Con la questione sollevata  nell'ambito  del  IV  motivo  la
parte ricorrente contesta la norma censurata per violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 77,  comma  secondo,  della  Costituzione.  La
ricorrente  intende,  in  particolare,   censurare   la   sussistenza
dell'addotta  ragione  di  straordinaria  necessita'  e  urgenza   di
contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola in
ragione del fatto che, posta l'esistenza di una  superficie  agricola
totale di 16 milioni di ettari (di cui solo 12,5  utilizzati),  anche
nell'ipotesi in cui gli obiettivi energetici nel territorio  italiano
dovessero  essere  soddisfatti  esclusivamente   mediante   la   sola
tecnologia che utilizza pannelli fotovoltaici collocati a  terra,  si
perverrebbe  a  un  utilizzo  di  appena  lo  0,4%  della  superficie
agricola, del tutto  marginale  rispetto  ai  4  milioni  di  terreni
agricoli abbandonati. 
    108. L'esame della pertinente giurisprudenza  costituzionale  non
autorizza, tuttavia, l'operazione compiuta dalla parte ricorrente. 
    109. Dall'esame dell'ampia casistica  sottoposta  alla  Corte  si
ricava, in primo luogo, che il sindacato  relativo  alla  sussistenza
dei requisiti di necessita' e urgenza  e'  circoscritto  ai  casi  di
evidente   mancanza   dei    presupposti    ovvero    di    manifesta
irragionevolezza  o  arbitrarieta'  della  relativa  valutazione  (ex
plurimis, Corte costituzionale n. 170/2017, n. 287 del  2016,  n.  72
del 2015, n. 22 del 2012, n. 93 del 2011, n. 355 del 2010; n. 128 del
2008; n. 171 del 2007). 
    110. Tale verifica viene, inoltre, condotta, non dissimilmente da
quanto accade per il sindacato del giudice amministrativo in  materia
di eccesso di potere, a partire da profili sintomatici, tra  i  quali
assume preminente rilievo il riscontro (o  meno)  di  una  intrinseca
coerenza delle norme contenute nel decreto-legge dal punto  di  vista
oggettivo e/o funzionale. Il presupposto del  caso  straordinario  di
necessita'  e  urgenza,  infatti,  «inerisce  sempre  e  soltanto  al
provvedimento inteso come un tutto unitario, atto  normativo  fornito
di intrinseca coerenza, anche se articolato e  differenziato  al  suo
interno. La scomposizione atomistica della  condizione  di  validita'
prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il  necessario
legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il caso che lo  ha
reso necessario, trasformando il decreto-legge  in  una  congerie  di
norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale» (Corte cost.,
sentenza n. 22/2012). 
    111.  L'art.   5   del   decreto-legge   n.   63/2024   introduce
«Disposizioni finalizzate a limitare l'uso del suolo agricolo» ed  e'
inserito in un provvedimento normativo adottato considerando che  «la
concomitanza di congiunture avverse, quali il perdurare del conflitto
in Ucraina e la  diffusione  di  fitopatie,  ha  indotto  il  settore
primario in una persistente situazione di crisi,  determinando  gravi
ripercussioni sul tessuto economico  e  sociale»,  onde  la  ritenuta
necessita' e urgenza di «emanare disposizioni finalizzate a garantire
l'approvvigionamento delle materie prime agricole e,  in  specie,  di
quelle  funzionali  all'esercizio  delle  attivita'   di   produzione
primaria, a sostenere il lavoro agricolo e le filiere produttive,  in
particolare quella cerealicola, quella del kiwi, quella della pesca e
dell'acquacoltura», nonche' di «contrastare il fenomeno  del  consumo
del suolo a vocazione agricola». 
    112. Rispetto  a  tali  enunciati  presupposti  e  finalita',  la
disposizione   intesa   a   vietare   l'installazione   di   impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra in  aree  agricole  non  si
pone in termini di manifesta estraneita',  presentando  un'intrinseca
coerenza nell'ambito di un complesso di disposizioni  finalizzate  al
sostegno del settore agricolo. 
    113. Gli elementi  addotti  dalla  ricorrente  a  sostegno  della
ritenuta insussistenza delle ragioni di  urgenza,  in  ragione  della
limitata porzione di territorio  che  potrebbe  essere  occupata  per
effetto della realizzazione degli impianti oggetto del  divieto,  non
consentono di giungere  a  conclusioni  diverse,  essendo  un  chiaro
obiettivo dell'intervento contestato contrastare la  sia  pur  minima
riduzione  del  suolo  a  vocazione  agricola:  la  misura   adottata
costituisce, dunque, senz'altro  sviluppo  delle  premesse,  che  non
risultano in alcun  modo  smentite  dalle  argomentazioni  spese  nel
ricorso. 
    114. La questione di legittimita' costituzionale sollevata nel IV
motivo risulta, pertanto, manifestamente infondata. 
Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita'
sollevate con il V e il VI motivo 
    115. A conclusioni diverse occorre giungere quanto agli ulteriori
dubbi di costituzionalita' sollevati  nell'ambito  del  V  e  del  VI
motivo, con i quali la parte ricorrente ha in sostanza lamentato: 
        la violazione dell'art.  117,  commi  primo  e  terzo,  della
Costituzione, in  relazione,  rispettivamente,  alla  direttiva  (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e  del  Consiglio  dell'11  dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti  rinnovabili  e
all'art.  12  del  decreto  legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387
(attuazione della direttiva 2001/77/CE):  la  norma  contestata,  nel
prevedere il divieto di  installazione  di  nuovi  impianti  FTV  con
moduli collocati a terra e il divieto di  aumentare  l'estensione  di
quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in contrasto con  i
vincoli derivanti dall'ordinamento europeo  e,  in  particolare,  con
l'obiettivo di garantire la massima diffusione  degli  impianti  FER,
perseguito dalla direttiva 2009/28/CE,  dalla  direttiva  2001/77/CE,
nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione  della  quale  e'
stato  emanato  il  decreto  legislativo  n.  199/2021.  Sotto  altro
profilo, la norma si porrebbe in contrasto con  i  principi  generali
dettati in materia dallo stesso Legislatore  statale,  in  attuazione
delle direttive europee, e in particolare con l'art. 12, comma 7, del
decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli impianti  di
produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma 1,  lettere
b) e c), possono essere ubicati anche in zone  classificate  agricole
dai vigenti piani urbanistici»,  e  con  le  Linee  guida  del  2010,
introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo le quali le zone
classificate agricole  dai  vigenti  piani  urbanistici  non  possono
essere  genericamente  considerate  aree  e   siti   non   idonei   e
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio; 
        la  violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  9   Cost.,
dell'art. 15 della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo  e
del  Consiglio  dell'11  dicembre  2018,  sulla  promozione  dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili, del principio di proporzionalita',
dell'art. 11 del TFUE, dell' art. 41 Cost.: la scelta  di  introdurre
un generale e indiscriminato divieto a realizzare  impianti  FTV  con
moduli a terra  su  aree  urbanisticamente  campite  come  «agricole»
risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione  delle
fonti rinnovabili in modo  da  incidere  sugli  obiettivi  di  tutela
dell'ambiente   perseguiti,   dando   luogo    a    una    disciplina
sproporzionata, in contrasto con il principio di  integrazione  delle
tutele e con la stessa tutela dei valori ambientali. 
    116. In primo  luogo,  il  Collegio  ritiene  che  la  disciplina
censurata presenti profili di contrasto con gli articoli  11  e  117,
comma 1, Cost., sotto il profilo del mancato  rispetto  «dei  vincoli
derivanti  dall'ordinamento  comunitario»  e,  in  particolare,   del
principio di massima diffusione delle fonti di  energia  rinnovabili,
derivante dalla normativa europea. 
    117. Occorre al  riguardo  ricordare,  anzitutto,  che  ai  sensi
dell'art. 3, par. 5, TUE, «Nelle relazioni con  il  resto  del  mondo
l'Unione afferma e promuove i suoi valori e  interessi,  contribuendo
alla protezione dei suoi cittadini» A  tal  fine  essa  «Contribuisce
[...] allo sviluppo sostenibile della Terra». 
    118. L'art. 6, par. 1, Trattato sull'Unione europea  precisa  che
«L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea  del  7  dicembre
2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo,  che  ha  lo  stesso
valore giuridico dei trattati». Ai sensi dell'art.  37  della  Carta,
«Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento  della
sua qualita' devono essere integrati nelle  politiche  dell'Unione  e
garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile». 
    119. L'art. 11 Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea
esprime la medesima esigenza sancendo che «Le esigenze  connesse  con
la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella  definizione  e
nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in  particolare
nella  prospettiva  di  promuovere  lo  sviluppo  sostenibile»  (c.d.
principio di integrazione). 
    120. Secondo l'art. 191 TFUE, «La politica dell'Unione in materia
ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: 
        salvaguardia,   tutela   e   miglioramento   della   qualita'
dell'ambiente; 
        protezione della salute umana; 
        utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; 
        promozione sul piano internazionale  di  misure  destinate  a
risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale  e,
in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. 
        2. La politica dell'Unione in materia ambientale  mira  a  un
elevato livello di  tutela,  tenendo  conto  della  diversita'  delle
situazioni nelle varie  regioni  dell'Unione.  Essa  e'  fondata  sui
principi della precauzione e dell'azione  preventiva,  sul  principio
della correzione, in via prioritaria alla fonte,  dei  danni  causati
all'ambiente, nonche' sul principio "chi inquina paga"». 
    121. Ai sensi dell'art. 192, par. 1, TFUE, «Il Parlamento europeo
e  il  Consiglio,  deliberando  secondo  la   procedura   legislativa
ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e  sociale  e
del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono
essere intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi  dell'art.
191». 
    122. L'art. 194 Trattato sul  funzionamento  dell'Unione  europea
stabilisce, a sua volta, che «Nel  quadro  dell'instaurazione  o  del
funzionamento del mercato interno e tenendo  conto  dell'esigenza  di
preservare e  migliorare  l'ambiente,  la  politica  dell'Unione  nel
settore dell'energia e' intesa, in uno spirito  di  solidarieta'  tra
Stati  membri,  a   [...]   promuovere   il   risparmio   energetico,
l'efficienza  energetica  e  lo   sviluppo   di   energie   nuove   e
rinnovabili». 
    123. Protezione dell'ambiente e  promozione  delle  c.d.  energie
rinnovabili costituiscono, pertanto, politiche interdipendenti.  Come
si ricava dalla giurisprudenza della Corte  di  giustizia,  l'uso  di
fonti di energia rinnovabili per la  produzione  di  elettricita'  e'
utile alla tutela dell'ambiente in quanto contribuisce alla riduzione
delle  emissioni  di  gas  a  effetto  serra  che  compaiono  tra  le
principali cause dei cambiamenti climatici che l'Unione europea  e  i
suoi Stati membri si sono impegnati a contrastare. L'incremento della
quota di rinnovabili costituisce, in particolare, uno degli  elementi
portanti del pacchetto di misure richieste per ridurre tali emissioni
e conformarsi al protocollo di Kyoto, alla convenzione  quadro  delle
Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nonche' agli  altri  impegni
assunti a livello comunitario e internazionale per la riduzione delle
emissioni dei gas a effetto  serra.  Cio',  peraltro,  e'  funzionale
anche alla tutela della salute e della vita  delle  persone  e  degli
animali, nonche' alla preservazione dei vegetali (cfr. le sentenze 1°
luglio 2014, C- 573/12, 78 ss., e 13 marzo 2001, C-379/98, 73 ss.). 
    124. La Corte di giustizia ha peraltro precisato che  l'art.  191
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea si limita  a  definire
gli obiettivi generali  dell'Unione  in  materia  ambientale,  mentre
l'art. 192 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea  affida  al
Parlamento europeo e al Consiglio dell'Unione europea il  compito  di
decidere le azioni da avviare al fine  del  raggiungimento  di  detti
obiettivi. Di conseguenza,  l'art.  191  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea non puo'  essere  invocato  in  quanto  tale  dai
privati  al  fine  di  escludere  l'applicazione  di  una   normativa
nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale
quando non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione adottata  in
base  all'art.  192  TFUE;  viceversa,  l'art.   191   Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea assume rilevanza  allorquando  esso
trovi attuazione nel diritto derivato (cfr. CGUE,  sentenza  4  marzo
2015, C-534/13, 39 ss.). 
    125. Disposizioni  sulla  promozione  dell'energia  elettrica  da
fonti energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell'art. 175  TCE
(ora  192  TFUE),  sono  state  introdotte  gia'  con  la   direttiva
2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio  del  27  settembre
2001 e, successivamente, con la direttiva 2009/28/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009. 
    126. Con la direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del
Consiglio dell'11 dicembre 2018 si e' proceduto alla rifusione e alla
modifica delle disposizioni contenute nella direttiva 2009/28/CE. Nel
dettare la relativa disciplina e'  stato  considerato,  tra  l'altro,
che: 
    «[...] 
        (2) Ai sensi dell'art. 194, paragrafo  1,  del  trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la promozione  delle  forme
di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi della
politica energetica dell'Unione. Tale obiettivo e'  perseguito  dalla
presente  direttiva.  Il  maggiore  ricorso  all'energia   da   fonti
rinnovabili  o  all'energia   rinnovabile   costituisce   una   parte
importante  del  pacchetto  di  misure  necessarie  per  ridurre   le
emissioni di gas  a  effetto  serra  e  per  rispettare  gli  impegni
dell'Unione  nel  quadro  dell'accordo  di  Parigi   del   2015   sui
cambiamenti climatici, a seguito della  21a  Conferenza  delle  parti
della  Convenzione  quadro  delle  Nazioni  Unite   sui   cambiamenti
climatici ("accordo  di  Parigi"),  e  il  quadro  per  le  politiche
dell'energia e del clima  all'orizzonte  2030,  compreso  l'obiettivo
vincolante dell'Unione di ridurre le emissioni  di  almeno  il  40  %
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L'obiettivo vincolante in
materia di energie rinnovabili a livello dell'Unione per il 2030 e  i
contributi degli Stati membri a tale obiettivo, comprese le quote  di
riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi  nazionali  generali
per il 2020, figurano tra gli elementi di importanza fondamentale per
la politica energetica e ambientale dell'Unione [...]. 
        (3) Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili puo'
svolgere  una  funzione  indispensabile  anche  nel   promuovere   la
sicurezza  degli   approvvigionamenti   energetici,   nel   garantire
un'energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo
tecnologico e l'innovazione,  oltre  alla  leadership  tecnologica  e
industriale, offrendo nel contempo  vantaggi  ambientali,  sociali  e
sanitari, come pure nel creare numerosi posti di  lavoro  e  sviluppo
regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o
nei territori a bassa densita'  demografica  o  soggetti  a  parziale
deindustrializzazione. 
        (4) In particolare, la riduzione del  consumo  energetico,  i
maggiori  progressi  tecnologici,  gli  incentivi  all'uso   e   alla
diffusione  dei  trasporti  pubblici,   il   ricorso   a   tecnologie
energeticamente efficienti e la promozione dell'utilizzo  di  energia
rinnovabile nei settori dell'energia elettrica, del  riscaldamento  e
del raffrescamento, cosi' come in quello dei trasporti sono strumenti
molto efficaci, assieme alle  misure  di  efficienza  energetica  per
ridurre le emissioni a effetto serra nell'Unione e la sua  dipendenza
energetica. 
        (5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro  normativo
per la promozione dell'utilizzo di energia da fonti  rinnovabili  che
fissa obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota  di  energia
rinnovabile nel consumo energetico e nel  settore  dei  trasporti  da
raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del  22
gennaio 2014, intitolata «Quadro per le politiche dell'energia e  del
clima per il periodo dal 2020 al 2030» ha definito un quadro  per  le
future politiche dell'Unione nei settori dell'energia e del  clima  e
ha promosso un'intesa comune sulle  modalita'  per  sviluppare  dette
politiche dopo il 2020. La Commissione  ha  proposto  come  obiettivo
dell'Unione una quota di energie  rinnovabili  consumate  nell'Unione
pari ad almeno il  27  %  entro  il  2030.  Tale  proposta  e'  stata
sostenuta dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre
2014, le quali indicano che gli Stati membri dovrebbero poter fissare
i  propri  obiettivi  nazionali  piu'  ambiziosi,  per  realizzare  i
contributi all'obiettivo dell'Unione per il 2030 da essi  pianificati
e andare oltre. 
        (6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del  5  febbraio
2014,  «Un  quadro  per  le  politiche  dell'energia  e   del   clima
all'orizzonte 2030», e del 23  giugno  2016,  «I  progressi  compiuti
nell'ambito  delle  energie  rinnovabili»,  si  e'  spinto  oltre  la
proposta  della  Commissione  o   le   conclusioni   del   Consiglio,
sottolineando che, alla luce dell'accordo di Parigi e  delle  recenti
riduzioni del costo delle  tecnologie  rinnovabili,  era  auspicabile
essere molto piu' ambiziosi. 
        [...] 
        (8)  Appare  pertanto  opportuno   stabilire   un   obiettivo
vincolante dell'Unione in relazione alla quota di  energia  da  fonti
rinnovabili pari almeno al  32%.  Inoltre,  la  Commissione  dovrebbe
valutare se tale obiettivo debba essere rivisto al rialzo  alla  luce
di sostanziali  riduzioni  del  costo  della  produzione  di  energia
rinnovabile, degli impegni internazionali dell'Unione a favore  della
decarbonizzazione o in caso di  un  significativo  calo  del  consumo
energetico nell'Unione. Gli Stati membri dovrebbero stabilire il loro
contributo  al  conseguimento  di  tale  obiettivo  nell'ambito   dei
rispettivi piani nazionali integrati per  l'energia  e  il  clima  in
applicazione del processo di governance definito nel regolamento (UE)
2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio. 
        [...] 
        (10) Al fine di garantire  il  consolidamento  dei  risultati
conseguiti  ai  sensi  della  direttiva  2009/28/CE,  gli   obiettivi
nazionali  stabiliti  per  il  2020   dovrebbero   rappresentare   il
contributo minimo degli Stati membri al nuovo quadro per il 2030.  In
nessun caso le quote nazionali delle energie  rinnovabili  dovrebbero
scendere al di sotto di tali contributi. [...]. 
        (11) Gli Stati membri dovrebbero  adottare  ulteriori  misure
qualora la quota di energie  rinnovabili  a  livello  di  Unione  non
permettesse di mantenere la traiettoria dell'Unione verso l'obiettivo
di almeno  il  32  %  di  energie  rinnovabili.  Come  stabilito  nel
regolamento (UE)  2018/1999,  se,  nel  valutare  i  piani  nazionali
integrati in materia di energia e  clima,  ravvisa  un  insufficiente
livello di ambizione, la Commissione puo' adottare misure  a  livello
dell'Unione per assicurare il conseguimento dell'obiettivo.  Se,  nel
valutare le relazioni intermedie nazionali integrate  sull'energia  e
il clima, la Commissione ravvisa  progressi  insufficienti  verso  la
realizzazione degli obiettivi, gli Stati membri dovrebbero  applicare
le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare  tale
lacuna». 
    127. Le richiamate rationes  hanno  condotto  a  introdurre,  tra
l'altro, un obiettivo vincolante complessivo dell'Unione per il  2030
(art. 3), per cui «Gli Stati membri provvedono collettivamente a  far
si' che la quota di energia da fonti rinnovabili nel  consumo  finale
lordo di energia dell'Unione nel 2030 sia  almeno  pari  al  32%.  La
Commissione valuta tale obiettivo al fine  di  presentare,  entro  il
2023, una  proposta  legislativa  intesa  a  rialzarlo  nel  caso  di
ulteriori sostanziali riduzioni dei costi della produzione di energia
rinnovabile,  se  risulta  necessario  per  rispettare  gli   impegni
internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o  se  il
rialzo  e'  giustificato  da  un  significativo  calo   del   consumo
energetico nell'Unione», con la  precisazione  che  «Se,  sulla  base
della valutazione delle proposte dei piani  nazionali  integrati  per
l'energia e il clima, presentati ai sensi dell'art. 9 del regolamento
(UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che  i  contributi  nazionali
degli Stati membri sono insufficienti per conseguire  collettivamente
l'obiettivo vincolante complessivo dell'Unione, la Commissione  segue
la procedura di cui agli articoli 9 e 31 di tale regolamento». 
    128. Il regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo  e  del
Consiglio del 30.6.2021, adottato in forza  dell'art.  192  TFUE,  ha
istituito un quadro per il conseguimento della neutralita' climatica,
nel presupposto che: 
        «(1) La minaccia esistenziale posta dai cambiamenti climatici
richiede una maggiore ambizione e un'intensificazione dell'azione per
il clima da parte dell'Unione e degli Stati membri.  L'Unione  si  e'
impegnata a potenziare gli  sforzi  per  far  fronte  ai  cambiamenti
climatici  e  a  dare  attuazione  all'accordo  di  Parigi   adottato
nell'ambito  della  Convenzione  quadro  delle  Nazioni   Unite   sui
cambiamenti  climatici  ("accordo  di  Parigi"),  guidata  dai   suoi
principi  e  sulla  base  delle  migliori   conoscenze   scientifiche
disponibili, nel contesto dell'obiettivo  a  lungo  termine  relativo
alla temperatura previsto dall'accordo di Parigi. 
        [...] 
        (4) Un obiettivo stabile a lungo termine e' fondamentale  per
contribuire alla trasformazione economica e sociale,  alla  creazione
di posti di lavoro di alta qualita', alla crescita sostenibile  e  al
conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile  delle  Nazioni
Unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto
di vista sociale, equo e in  modo  efficiente  in  termini  di  costi
l'obiettivo  a  lungo  termine  relativo  alla  temperatura  di   cui
all'accordo di Parigi. [...] 
        (9) L'azione per il clima dell'Unione e  degli  Stati  membri
mira  a  tutelare  le  persone  e  il  pianeta,  il   benessere,   la
prosperita',   l'economia,   la   salute,   i   sistemi   alimentari,
l'integrita' degli ecosistemi e la biodiversita' contro  la  minaccia
dei  cambiamenti  climatici,  nel  contesto  dell'agenda  2030  delle
Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e nel  perseguimento  degli
obiettivi dell'accordo di Parigi;  mira  inoltre  a  massimizzare  la
prosperita' entro i limiti del pianeta, incrementare la resilienza  e
ridurre la vulnerabilita' della societa' ai cambiamenti climatici. In
quest'ottica, le azioni dell'Unione e degli Stati  membri  dovrebbero
essere guidate dal principio di  precauzione  e  dal  principio  «chi
inquina paga», istituiti dal trattato sul  funzionamento  dell'Unione
europea, e dovrebbero anche tener conto del principio dell'efficienza
energetica al primo posto e del principio del «non nuocere» del Green
Deal europeo. 
        [...] 
        (11) Vista l'importanza della produzione  e  del  consumo  di
energia per il livello di  emissioni  di  gas  a  effetto  serra,  e'
indispensabile realizzare la transizione verso un sistema  energetico
sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato  sulla  diffusione
delle energie rinnovabili, su un  mercato  interno  dell'energia  ben
funzionante e sul miglioramento dell'efficienza energetica, riducendo
nel  contempo  la  poverta'  energetica.  Anche   la   trasformazione
digitale, l'innovazione tecnologica, la ricerca e  lo  sviluppo  sono
fattori  importanti  per  conseguire  l'obiettivo  della  neutralita'
climatica. 
        [...] 
        (20) L'Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro  il  2050,
un equilibrio all'interno dell'Unione tra le emissioni antropogeniche
dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici  dai  pozzi  dei  gas  a
effetto  serra  di  tutti  i  settori  economici  e,  ove  opportuno,
raggiungere emissioni negative in seguito.  Tale  obiettivo  dovrebbe
comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a
livello dell'Unione regolamentati nel diritto dell'Unione. [...] 
        [...] 
        (25) La transizione verso la neutralita' climatica presuppone
cambiamenti  nell'intero  spettro  delle  politiche  e   uno   sforzo
collettivo di tutti i settori dell'economia e  della  societa',  come
evidenziato nel Green  Deal  europeo.  Il  Consiglio  europeo,  nelle
conclusioni  del  12  dicembre  2019,  ha  dichiarato  che  tutte  le
normative e politiche pertinenti dell'Unione devono  essere  coerenti
con il conseguimento dell'obiettivo  della  neutralita'  climatica  e
contribuirvi, nel rispetto della parita' di condizioni, e ha invitato
la Commissione a valutare se cio' richieda un adeguamento delle norme
vigenti. 
        [...] 
        (36) Al fine di garantire che l'Unione  e  gli  Stati  membri
restino  sulla  buona  strada  per   conseguire   l'obiettivo   della
neutralita' climatica e  registrino  progressi  nell'adattamento,  e'
opportuno  che  la  Commissione  valuti  periodicamente  i  progressi
compiuti,  sulla  base  delle  informazioni  di   cui   al   presente
regolamento, comprese le informazioni presentate e comunicate a norma
del regolamento (UE) 2018/1999. [...] Nel caso  in  cui  i  progressi
collettivi compiuti dagli Stati membri rispetto  all'obiettivo  della
neutralita' climatica o all'adattamento siano insufficienti o che  le
misure dell'Unione siano incoerenti con l'obiettivo della neutralita'
climatica o inadeguate per migliorare la  capacita'  di  adattamento,
rafforzare la resilienza o ridurre la vulnerabilita', la  Commissione
dovrebbe adottare le misure  necessarie  conformemente  ai  trattati.
[...] 
        96. Il regolamento ha quindi sancito  (art.  1)  "l'obiettivo
vincolante della neutralita' climatica nell'Unione entro il 2050,  in
vista dell'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'art.  2,  paragrafo  1,  lettera  a),  dell'accordo  di  Parigi",
precisando  che,  onde  conseguire  tale  obiettivo,  "il   traguardo
vincolante dell'Unione in materia di clima per il  2030  consiste  in
una riduzione interna netta delle emissioni di gas  a  effetto  serra
(emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55% rispetto  ai
livelli del 1990 entro il 2030" (art. 4). 
    129. Ai  sensi  dell'art.  5  del  Regolamento,  "Le  istituzioni
competenti dell'Unione e gli  Stati  membri  assicurano  il  costante
progresso nel  miglioramento  della  capacita'  di  adattamento,  nel
rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita'
ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7  dell'accordo  di
Parigi",  garantendo  inoltre  che  "le  politiche  in   materia   di
adattamento nell'Unione e  negli  Stati  membri  siano  coerenti,  si
sostengano reciprocamente, comportino  benefici  collaterali  per  le
politiche  settoriali   e   si   adoperino   per   integrare   meglio
l'adattamento  ai  cambiamenti  climatici  in  tutti  i  settori   di
intervento, comprese le  pertinenti  politiche  e  azioni  in  ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione". A tal  fine,  "Gli  Stati  membri  adottano  e  attuano
strategie e piani  nazionali  di  adattamento,  tenendo  conto  della
strategia dell'Unione sull'adattamento ai cambiamenti climatici [...]
e fondati su analisi rigorose in materia di cambiamenti  climatici  e
di vulnerabilita', sulle valutazioni dei progressi compiuti  e  sugli
indicatori, e  basandosi  sulle  migliori  e  piu'  recenti  evidenze
scientifiche  disponibili.  Nelle   loro   strategie   nazionali   di
adattamento,  gli  Stati  membri  tengono  conto  della   particolare
vulnerabilita' dei pertinenti settori, tra cui l'agricoltura,  e  dei
sistemi idrici e alimentari nonche'  della  sicurezza  alimentare,  e
promuovono soluzioni basate sulla natura e l'adattamento basato sugli
ecosistemi. Gli Stati membri aggiornano periodicamente le strategie e
includono informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono
tenuti  a  presentare  a  norma  dell'art.  19,  paragrafo   1,   del
regolamento (UE) 2018/1999". 
    130. La direttiva (UE) 2023/2413 del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio  del  18  ottobre  2023   ha   introdotto,   tra   l'altro,
disposizioni volte a  modificare  la  direttiva  (UE)  2018/2001,  il
regolamento (UE) 2018/1999 e la  direttiva  n.  98/70/CE  per  quanto
riguarda   la   promozione   dell'energia   da   fonti   rinnovabili,
evidenziando che: «[...] 
        (2) Le energie rinnovabili svolgono un ruolo fondamentale nel
conseguimento di tali  obiettivi,  dato  che  il  settore  energetico
contribuisce attualmente per oltre il 75% alle  emissioni  totali  di
gas a effetto serra nell'Unione. Riducendo tali emissioni  di  gas  a
effetto serra, le energie rinnovabili possono  anche  contribuire  ad
affrontare sfide ambientali come la perdita  di  biodiversita',  e  a
ridurre l'inquinamento in linea con gli obiettivi della comunicazione
della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo «Un percorso  verso
un pianeta piu' sano  per  tutti  -  Piano  d'azione  dell'UE:  Verso
l'inquinamento zero per l'aria, l'acqua e il suolo».  La  transizione
verde verso un'economia basata sulle  energie  da  fonti  rinnovabili
contribuira' a conseguire gli obiettivi della decisione (UE) 2022/591
del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  che  mira  altresi'   a
proteggere,  ripristinare  e  migliorare  lo   stato   dell'ambiente,
mediante, tra l'altro, l'interruzione e l'inversione del processo  di
perdita di biodiversita'. [...]. 
        (4)   Il   contesto   generale   determinato   dall'invasione
dell'Ucraina da parte della Russia e dagli effetti della pandemia  di
COVID-19  ha   provocato   un'impennata   dei   prezzi   dell'energia
nell'intera  Unione,  evidenziando  in  tal  modo  la  necessita'  di
accelerare l'efficienza energetica e accrescere l'uso  delle  energie
da fonti rinnovabili nell'Unione. Al fine di conseguire l'obiettivo a
lungo termine di un sistema energetico indipendente dai paesi  terzi,
l'Unione dovrebbe concentrarsi sull'accelerazione  della  transizione
verde e sulla garanzia di una politica energetica di riduzione  delle
emissioni che limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili
fossili e che favorisca prezzi equi e accessibili per i  cittadini  e
le imprese dell'Unione in tutti i settori dell'economia. 
        (5) Il piano REPowerEU stabilito  nella  comunicazione  della
Commissione del 18 maggio 2022 («piano  REPowerEU»)  mira  a  rendere
l'Unione indipendente dai combustibili fossili russi  ben  prima  del
2030. Tale  comunicazione  prevede  l'anticipazione  delle  capacita'
eolica e solare, un aumento del tasso medio  di  diffusione  di  tale
energia e capacita' supplementari di  energia  da  fonti  rinnovabili
entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili
rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i  colegislatori
a valutare la possibilita' di innalzare o  anticipare  gli  obiettivi
fissati per l'aumento della quota  di  energia  rinnovabile  nel  mix
energetico. [...] Al di la' di tale livello obbligatorio,  gli  Stati
membri   dovrebbero   adoperarsi   per   conseguire   collettivamente
l'obiettivo complessivo dell'Unione  del  45%  di  energia  da  fonti
rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU. 
        (6)  [...]  E'  auspicabile  che  gli  Stati  membri  possano
combinare diverse fonti di energia non fossili al fine di  conseguire
l'obiettivo dell'Unione di raggiungere la neutralita' climatica entro
il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze  nazionali  e
della  struttura  delle  loro  forniture  energetiche.  Al  fine   di
realizzare tale obiettivo, la diffusione dell'energia rinnovabile nel
quadro del piu' elevato  obiettivo  generale  vincolante  dell'Unione
dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari  di  decarbonizzazione
che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili  che
gli Stati membri decidono di perseguire. 
        [...] 
        (25) Gli Stati membri dovrebbero sostenere  una  piu'  rapida
diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile  effettuando
una mappatura coordinata per la diffusione delle energie  rinnovabili
e per le relative  infrastrutture,  in  coordinamento  con  gli  enti
locali e regionali. Gli Stati membri dovrebbero individuare  le  zone
terrestri, le superfici, le zone  sotterranee,  le  acque  interne  e
marine necessarie per l'installazione degli impianti di produzione di
energia rinnovabile e per  le  relative  infrastrutture  al  fine  di
apportare almeno  i  rispettivi  contributi  nazionali  all'obiettivo
complessivo riveduto in materia di energia da fonti  rinnovabili  per
il 2030  di  cui  all'art.  3,  paragrafo  1,  della  direttiva  (UE)
2018/2001  e  a  sostegno  del  conseguimento  dell'obiettivo   della
neutralita' climatica entro e non oltre il 2050, in  conformita'  del
regolamento  (UE)  2021/1119.  [...].  Gli  Stati  membri  dovrebbero
garantire  che  le  zone  in  questione  riflettano   le   rispettive
traiettorie stimate e la  potenza  totale  installata  pianificata  e
dovrebbero individuare le zone  specifiche  per  i  diversi  tipi  di
tecnologia di produzione di energia rinnovabile  stabilite  nei  loro
piani nazionali integrati per l'energia e il clima presentati a norma
degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999. [...]. 
        (26) Gli Stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme
di  tali  aree,  specifiche  zone  terrestri  (comprese  superfici  e
sottosuperfici)  e  marine  o  delle  acque  interne  come  zone   di
accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere
particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in  materia
di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi  di  tecnologia,
sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di  energia
da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare  un  impatto  ambientale
significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per  le
energie rinnovabili, gli Stati  membri  dovrebbero  evitare  le  zone
protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune
misure di attenuazione. Gli Stati membri dovrebbero  poter  designare
zone di accelerazione specificamente per le energie  rinnovabili  per
uno o piu' tipi di impianti di produzione di  energia  rinnovabile  e
dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti  rinnovabili
adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Gli Stati  membri  dovrebbero  designare  tali  zone  di
accelerazione per le  energie  rinnovabili  per  almeno  un  tipo  di
tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per
le energie rinnovabili, alla luce delle specificita' e dei  requisiti
del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono  zone  di
accelerazione per le energie rinnovabili. Cosi'  facendo,  gli  Stati
membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni  combinate
di tali zone siano  sostanziali  e  contribuiscano  al  conseguimento
degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001. 
        (27) L'uso polivalente dello  spazio  per  la  produzione  di
energia rinnovabile e per  altre  attivita'  terrestri,  delle  acque
interne e marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il
ripristino della natura, allentano i vincoli d'uso del  suolo,  delle
acque  interne  e  del  mare.  In  tale  contesto  la  pianificazione
territoriale  rappresenta  uno  strumento  indispensabile   con   cui
individuare e orientare precocemente le sinergie per l'uso del suolo,
delle  acque  interne  e  del  mare.  Gli  Stati  membri   dovrebbero
esplorare,  consentire  e  favorire  l'uso  polivalente  delle   zone
individuate a seguito delle  misure  di  pianificazione  territoriali
adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli Stati membri  agevolino,
ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare,  purche'
i diversi usi e attivita' siano compatibili tra  di  loro  e  possano
coesistere. 
        [...] 
        (36) In considerazione  della  necessita'  di  accelerare  la
diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione  delle
zone  di  accelerazione  per  le  energie  rinnovabili  non  dovrebbe
impedire la realizzazione in corso e futura di  progetti  di  energia
rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione.  Questi
progetti  dovrebbero   continuare   a   sottostare   all'obbligo   di
valutazione specifica dell'impatto ambientale a norma della direttiva
2011/92/UE, ed essere  soggetti  alle  procedure  di  rilascio  delle
autorizzazioni  applicabili  ai  progetti  in  materia   di   energia
rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le  energie
rinnovabili.  Per  accelerare  le   procedure   di   rilascio   delle
autorizzazioni nella misura necessaria a  conseguire  l'obiettivo  di
energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE)  2018/2001,  anche
le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti
fuori  dalle  zone  di  accelerazione  per  le  energie   rinnovabili
dovrebbero   essere   semplificate   e   razionalizzate    attraverso
l'introduzione di scadenze massime chiare per  tutte  le  fasi  della
procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese  le  valutazioni
ambientali specifiche per ciascun progetto. 
    131.  In  ragione  delle  considerazioni  sopra  richiamate,   la
direttiva ha introdotto, tra  l'altro,  disposizioni  in  materia  di
mappatura  delle  zone  necessarie   per   i   contributi   nazionali
all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile  per  il
2030, di zone di accelerazione per le energie rinnovabili, nonche' di
procedure   amministrative   per   il   rilascio    delle    relative
autorizzazioni. 
    132. Il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo  e  del
Consiglio dell'11.12.2018, adottato sulla base degli articoli  192  e
194  TFUE,  stabilisce  la  necessaria  base  legislativa   per   una
governance  dell'Unione  dell'energia  e  dell'azione  per  il  clima
affidabile,  inclusiva,  efficace  sotto  il   profilo   dei   costi,
trasparente e  prevedibile  che  garantisca  il  conseguimento  degli
obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino  al  2030  dell'Unione
dell'energia,  in  linea  con  l'accordo  di  Parigi  del  2015   sui
cambiamenti climatici derivante dalla 21a Conferenza delle parti alla
Convenzione quadro delle Nazioni  Unite  sui  cambiamenti  climatici,
attraverso  sforzi  complementari,  coerenti  e  ambiziosi  da  parte
dell'Unione  e  degli  Stati  membri,   limitando   la   complessita'
amministrativa. 
    133. Nel configurare tale meccanismo  e'  stato  considerato,  in
particolare, che: 
        (2) L'Unione dell'energia dovrebbe coprire cinque dimensioni:
la   sicurezza   energetica;   il   mercato   interno   dell'energia;
l'efficienza  energetica;  il  processo  di   decarbonizzazione;   la
ricerca, l'innovazione e la competitivita'. 
        (3)  L'obiettivo  di  un'Unione  dell'energia  resiliente   e
articolata intorno a una  politica  ambiziosa  per  il  clima  e'  di
fornire ai consumatori  dell'UE  -  comprese  famiglie  e  imprese  -
energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e  di
promuovere la ricerca e l'innovazione  attraendo  investimenti;  cio'
richiede una radicale trasformazione del sistema energetico  europeo.
Tale trasformazione e' inoltre strettamente connessa alla  necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere  l'utilizzazione  accorta  e   razionale   delle   risorse
naturali, in particolare  promuovendo  l'efficienza  energetica  e  i
risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia  rinnovabile
[...]. 
        [...] 
        (7) L'obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno  il
40 % delle emissioni di gas a effetto  serra  nel  sistema  economico
entro il 2030, rispetto ai livelli del  1990,  e'  stato  formalmente
approvato in occasione del Consiglio «Ambiente»  del  6  marzo  2015,
quale  contributo   previsto   determinato   a   livello   nazionale,
dell'Unione e dei suoi Stati membri all'accordo di Parigi.  L'accordo
di Parigi e' stato ratificato dall'Unione il 5 ottobre 2016 (6) ed e'
entrato  in  vigore  il  4  novembre  2016;  sostituisce  l'approccio
adottato nell'ambito del protocollo di Kyoto del 1997, che  e'  stato
approvato dall'Unione mediante la decisione 2002/358/CE del Consiglio
(7) e che non sara' prorogato dopo il 2020. E'  opportuno  aggiornare
di conseguenza il  sistema  dell'Unione  per  il  monitoraggio  e  la
comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti di gas  a  effetto
serra. 
        (8) L'accordo di Parigi ha innalzato il livello di  ambizione
globale  relativo  alla  mitigazione  dei  cambiamenti  climatici   e
stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con  l'obiettivo  di
mantenere l'aumento della temperatura mondiale media ben al di  sotto
di 2 °C  rispetto  ai  livelli  preindustriali  e  di  continuare  ad
adoperarsi per limitare tale  aumento  della  temperatura  a  1,5  °C
rispetto ai livelli preindustriali. [...] 
        (12) Nelle conclusioni del 23  e  del  24  ottobre  2014,  il
Consiglio europeo ha inoltre convenuto di sviluppare  un  sistema  di
governance affidabile, trasparente,  privo  di  oneri  amministrativi
superflui e con una sufficiente flessibilita' per  gli  Stati  membri
per contribuire a garantire che l'Unione rispetti i suoi obiettivi di
politica energetica, nel pieno rispetto della  liberta'  degli  Stati
membri di stabilire il proprio mix energetico [...] 
        [...] 
        (18) Il principale obiettivo  del  meccanismo  di  governance
dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento  degli
obiettivi dell'Unione dell'energia, in particolare gli obiettivi  del
quadro 2030 per il clima e l'energia,  nei  settori  della  riduzione
delle emissioni dei gas a  effetto  serra,  delle  fonti  di  energia
rinnovabili e dell'efficienza  energetica.  Tali  obiettivi  derivano
dalla politica dell'Unione in materia di energia e  dalla  necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere  l'utilizzazione  accorta  e   razionale   delle   risorse
naturali, come previsto nei trattati. Nessuno  di  questi  obiettivi,
tra loro inscindibili, puo' essere  considerato  secondario  rispetto
all'altro. Il presente regolamento e' quindi legato alla legislazione
settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di  energia
e  di  clima.  Gli  Stati  membri  devono  poter  scegliere  in  modo
flessibile le  politiche  che  meglio  si  adattano  alle  preferenze
nazionali e al loro mix energetico, purche'  tale  flessibilita'  sia
compatibile    con    l'ulteriore    integrazione    del     mercato,
l'intensificazione  della   concorrenza,   il   conseguimento   degli
obiettivi in materia di clima ed energia e il  passaggio  graduale  a
un'economia sostenibile a basse emissioni di carbonio. 
        [...] 
        (36) Gli Stati membri dovrebbero elaborare strategie a  lungo
termine con una prospettiva di almeno  30  anni  per  contribuire  al
conseguimento degli impegni da loro assunti ai  sensi  dell'UNFCCC  e
all'accordo di Parigi, nel contesto  dell'obiettivo  dell'accordo  di
Parigi di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al
di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per
limitare tale aumento a 1,5 °C  rispetto  ai  livelli  preindustriali
nonche' delle riduzioni a lungo termine  delle  emissioni  di  gas  a
effetto serra e dell'aumento dell'assorbimento dai pozzi in  tutti  i
settori in linea con l'obiettivo dell'Unione [...]. 
        (56)  Se  l'ambizione  dei  piani  nazionali  integrati   per
l'energia e il clima, o dei loro aggiornamenti,  fosse  insufficiente
per  il  raggiungimento  collettivo   degli   obiettivi   dell'Unione
dell'energia  e,  nel  primo   periodo,   in   particolare   per   il
raggiungimento degli obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile
e di efficienza energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a
livello unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo  di
tali obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali  «divari  di
ambizione»). Qualora i progressi dell'Unione verso tali  obiettivi  e
traguardi fossero insufficienti a garantirne  il  raggiungimento,  la
Commissione dovrebbe, oltre  a  formulare  raccomandazioni,  proporre
misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure
gli Stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per  garantire
il  raggiungimento  di  detti  obiettivi,  colmando  cosi'  eventuali
«divari nel raggiungimento». Tali misure dovrebbero  altresi'  tenere
conto degli sforzi  pregressi  dagli  Stati  membri  per  raggiungere
l'obiettivo 2030 relativo all'energia rinnovabile ottenendo, nel 2020
o prima di tale anno, una  quota  di  energia  da  fonti  rinnovabili
superiore al loro obiettivo nazionale vincolante  oppure  realizzando
progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per  il
2020 o nell'attuazione del loro contributo  all'obiettivo  vincolante
dell'Unione di almeno il 32 % di energia  rinnovabile  nel  2030.  In
materia di energia rinnovabile, le  misure  possono  includere  anche
contributi finanziari volontari degli Stati membri indirizzati  a  un
meccanismo  di  finanziamento  dell'energia  rinnovabile  nell'Unione
gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire  ai  progetti
sull'energia rinnovabile piu' efficienti in termini di costi in tutta
l'Unione,  offrendo  cosi'  agli  Stati  membri  la  possibilita'  di
contribuire al  conseguimento  dell'obiettivo  dell'Unione  al  minor
costo possibile. Gli obiettivi  degli  Stati  membri  in  materia  di
rinnovabili per  il  2020  dovrebbero  servire  come  quota  base  di
riferimento di energia rinnovabile a partire dal  2021  e  dovrebbero
essere mantenuti per tutto  il  periodo.  In  materia  di  efficienza
energetica,  le  misure  aggiuntive  possono  mirare  soprattutto   a
migliorare l'efficienza di prodotti, edifici e trasporti. 
        (57) Gli obiettivi nazionali degli Stati membri in materia di
energia  rinnovabile  per  il  2020,  di  cui  all'allegato  I  della
direttiva (UE) 2018/2001 del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,
dovrebbero servire come punto di partenza  per  la  loro  traiettoria
indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che  uno
Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza
piu' elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo,  una
quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente  parte  della
direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo,  la  quota
di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo  di  energia
di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota
base di riferimento. 
        (58) Se uno Stato  membro  non  mantiene  la  quota  base  di
riferimento  misurata  in  un  periodo  di  un  anno,  esso  dovrebbe
adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il  divario
rispetto allo scenario di riferimento. Qualora  abbia  effettivamente
adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare
il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato  conforme  ai
requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal  momento
in cui il divario in questione si e' verificato,  sia  ai  sensi  del
presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 [...]". 
    134. Il meccanismo di governance si  e'  tradotto,  tra  l'altro,
nelle seguenti previsioni (come  aggiornate  con  la  direttiva  (UE)
2023/2413): 
        "Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029 e
successivamente ogni dieci anni, ciascuno Stato membro notifica  alla
Commissione un piano nazionale integrato per  l'energia  e  il  clima
[...]" (art. 3): 
        "Ciascuno Stato membro  definisce  nel  suo  piano  nazionale
integrato per l'energia e il clima i principali obiettivi,  traguardi
e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all'allegato  I,
sezione A, punto 2: 
          a) dimensione «decarbonizzazione»: 
        [...] 
          2) per quanto riguarda l'energia rinnovabile: 
al fine di conseguire l'obiettivo vincolante dell'Unione per la quota
di energia rinnovabile per il 2030 di cui all'art.  3,  paragrafo  1,
della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo  in  termini  di  quota
dello Stato membro di energia da fonti rinnovabili nel consumo  lordo
di energia finale nel 2030; a partire dal 2021 tale contributo  segue
una traiettoria indicativa. Entro il 2022, la traiettoria  indicativa
raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 18 % dell'aumento
totale della quota di energia da fonti  rinnovabili  tra  l'obiettivo
nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e  il
suo contributo all'obiettivo 2030.  Entro  il  2025,  la  traiettoria
indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il  43  %
dell'aumento totale della quota di energia da fonti  rinnovabili  tra
l'obiettivo nazionale vincolante  per  il  2020  dello  Stato  membro
interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2027, la
traiettoria indicativa raggiunge un  punto  di  riferimento  pari  ad
almeno il 65 % dell'aumento totale della quota di  energia  da  fonti
rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per  il  2020  dello
Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. 
        Entro il 2030  la  traiettoria  indicativa  deve  raggiungere
almeno il contributo previsto dello Stato membro. Se uno Stato membro
prevede di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per  il
2020, la sua traiettoria indicativa puo' iniziare al livello  che  si
aspetta di raggiungere. Le traiettorie indicative degli Stati membri,
nel  loro  insieme,  concorrono  al  raggiungimento  dei   punti   di
riferimento  dell'Unione  nel  2022,  2025  e  2027  e  all'obiettivo
vincolante dell'Unione per la quota di  energia  rinnovabile  per  il
2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE)  2018/2001.
Indipendentemente dal  suo  contributo  all'obiettivo  dell'Unione  e
dalla sua traiettoria indicativa ai fini  del  presente  regolamento,
uno Stato membro e' libero di stabilire obiettivi piu' ambiziosi  per
finalita' di politica nazionale" (art. 4); 
        "Nel proprio contributo alla  propria  quota  di  energia  da
fonti rinnovabili nel consumo finale lordo  di  energia  del  2030  e
dell'ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi
di cui all'art. 4, lettera a), punto 2), ciascuno Stato membro  tiene
conto degli elementi seguenti: 
          a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001; 
          b)  misure  adottate  per  conseguire   il   traguardo   di
efficienza energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE; 
          c) altre misure  esistenti  volte  a  promuovere  l'energia
rinnovabile nello Stato  membro  e,  ove  pertinente,  a  livello  di
Unione; 
          d) l'obiettivo nazionale  vincolante  2020  di  energia  da
fonti  rinnovabili  nel  consumo  finale  lordo  di  energia  di  cui
all'allegato I della direttiva (EU) 2018/2001; 
          e) le circostanze pertinenti che incidono sulla  diffusione
dell'energia rinnovabile, quali: 
          i) l'equa distribuzione della diffusione nell'Unione; 
ii) le condizioni economiche e il potenziale,  compreso  il  PIL  pro
capite; 
iii) il potenziale  per  una  diffusione  delle  energie  rinnovabili
efficace sul piano dei costi; 
iv) i vincoli geografici,  ambientali  e  naturali,  compresi  quelli
delle zone e regioni non interconnesse; 
v) il livello di interconnessione elettrica tra gli Stati membri; 
vi)  altre  circostanze  pertinenti,  in   particolare   gli   sforzi
pregressi. 
        [...] 
        2. Gli Stati membri assicurano collettivamente che  la  somma
dei rispettivi contributi  ammonti  almeno  all'obiettivo  vincolante
dell'Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il  2030
di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001" (art.
5); 
        "Se  nel  settore  dell'energia  rinnovabile,  in  base  alla
valutazione di cui all'art. 29,  paragrafi  1  e  2,  la  Commissione
conclude che uno  o  piu'  punti  di  riferimento  della  traiettoria
indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027,  di  cui  all'art.  29,
paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022,
2025 e2027 sono al di sotto di uno o piu'  dei  rispettivi  punti  di
riferimento nazionali  di  cui  all'art.  4,  lettera  a),  punto  2,
provvedono all'attuazione di misure supplementari entro un  anno  dal
ricevimento della valutazione della Commissione, volte a  colmare  il
divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali: 
          a)  misure  nazionali  volte  ad  aumentare  la  diffusione
dell'energia rinnovabile; 
          b)  l'adeguamento  della  quota   di   energia   da   fonti
rinnovabili nel settore del riscaldamento  e  raffreddamento  di  cui
all'art. 23, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001; 
          c)  l'adeguamento  della  quota   di   energia   da   fonti
rinnovabili nel settore dei trasporti di cui all'art.  25,  paragrafo
1, della direttiva (UE) 2018/2001; 
          d) un pagamento finanziario  volontario  al  meccanismo  di
finanziamento  dell'Unione  per  l'energia  rinnovabile  istituito  a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia  da
fonti  rinnovabili  gestiti  direttamente  o   indirettamente   dalla
Commissione, come indicato all'art. 33; 
          e) l'utilizzo dei meccanismi di cooperazione previsti dalla
direttiva (UE) 2018/2001" (art. 32). 
    135. Il decreto legislativo n. 199/2021  costituisce  «Attuazione
della  direttiva  (UE)  2018/2001  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio,  dell'11  dicembre   2018,   sulla   promozione   dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili" e si pone (art. 1) "l'obiettivo di
accelerare il percorso di crescita  sostenibile  del  Paese,  recando
disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in  coerenza
con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico
al 2030 e di completa  decarbonizzazione  al  2050",  definendo  "gli
strumenti, i meccanismi, gli incentivi  e  il  quadro  istituzionale,
finanziario  e  giuridico,  necessari  per  il  raggiungimento  degli
obiettivi di incremento della quota di energia da  fonti  rinnovabili
al 2030, in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 e nel  rispetto
dei criteri fissati dalla legge  22  aprile  2021,  n.  53",  recando
"disposizioni necessarie  all'  attuazione  delle  misure  del  Piano
nazionale di ripresa e resilienza (di seguito anche: PNRR) in materia
di energia da fonti rinnovabili,  conformemente  al  Piano  nazionale
integrato per l'energia e il clima (di seguito anche: PNIEC), con  la
finalita' di individuare un insieme di misure e strumenti coordinati,
gia'  orientati  all'aggiornamento  degli  obiettivi   nazionali   da
stabilire ai sensi del regolamento (UE) n. 2021/1119, con il quale si
prevede, per l'Unione europea, un obiettivo vincolante  di  riduzione
delle emissioni di gas a effetto  serra  di  almeno  il  55  percento
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030». 
    136.   Come   ripetutamente   rilevato    dalla    giurisprudenza
costituzionale (ex multis, sentenze n. 121 del 2022, n. 77 del  2022,
n. 106 del 2020, n. 286 del 2019, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n.
44 del 2011), la normativa eurounitaria (nonche' quella nazionale) e'
ispirata  nel  suo  insieme  al  principio  fondamentale  di  massima
diffusione delle fonti di energia rinnovabili, che tra l'altro «trova
attuazione nella generale utilizzabilita'  di  tutti  i  terreni  per
l'inserimento di tali impianti, con le eccezioni [...] ispirate  alla
tutela di altri interessi costituzionalmente protetti» (Corte  cost.,
sentenza n. 13 del 2014). 
    137. La disciplina originariamente  contenuta  nell'art.  20  del
decreto legislativo n. 199/2021,  relativa  all'individuazione  delle
aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti  alimentati
da fonti rinnovabili, non prevedeva alcuna preclusione indiscriminata
rispetto all'utilizzo di terreni classificati agricoli. 
    138. Il comma 3 stabilisce, in effetti,  che  «nella  definizione
della disciplina inerente le aree idonee, i decreti di cui  al  comma
1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale  e
del paesaggio,  delle  aree  agricole  e  forestali,  della  qualita'
dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando l'utilizzo  di  superfici
di strutture edificate,  quali  capannoni  industriali  e  parcheggi,
nonche' di aree a destinazione industriale, artigianale, per  servizi
e logistica, e verificando l'idoneita' di aree non  utilizzabili  per
altri scopi, ivi incluse le  superfici  agricole  non  utilizzabili».
Tale disposizione contempla bensi' un'esigenza di tutela  delle  aree
agricole, ma da un lato  non  pone  alcuna  preclusione  assoluta  e,
dall'altro, stabilisce chiaramente  che  le  superfici  agricole  non
utilizzabile costituiscono,  tra  le  altre,  aree  privilegiate  per
l'installazione degli impianti. 
    139. Il comma 7 prevede, a sua volta, che «Le  aree  non  incluse
tra  le  aree  idonee  non  possono  essere  dichiarate  non   idonee
all'installazione di impianti di produzione di  energia  rinnovabile,
in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di  singoli
procedimenti, in ragione della sola  mancata  inclusione  nel  novero
delle aree idonee». 
    140. Il comma 8, inoltre,  nell'individuare  transitoriamente  le
aree idonee sino all'entrata in vigore della disciplina prevista  dal
comma 1, vi include, «fatto salvo quanto previsto  alle  lettere  a),
b), c), c-bis)  e  c-ter),  le  aree  che  non  sono  ricomprese  nel
perimetro  dei  beni  sottoposti  a  tutela  ai  sensi  del   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone  gravate  da  usi
civici di cui  all'art.  142,  comma  1,  lettera  h),  del  medesimo
decreto, ne' ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti  a
tutela ai sensi della parte seconda oppure dell'art. 136 del medesimo
decreto legislativo». 
    141. Il  nuovo  comma  1-bis  stravolge  completamente  l'assetto
previgente,   prevedendo   che   «L'installazione   degli    impianti
fotovoltaici con moduli  collocati  a  terra,  in  zone  classificate
agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita  esclusivamente
nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi  per
modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione  degli
impianti gia' installati, a condizione che non comportino  incremento
dell'area occupata, c), incluse le cave gia'  oggetto  di  ripristino
ambientale e quelle con piano di coltivazione  terminato  ancora  non
ripristinate, nonche' le discariche o i  lotti  di  discarica  chiusi
ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter, numeri 2)  e  3),  del
comma 8 del presente articolo. Il primo periodo non  si  applica  nel
caso di progetti  che  prevedano  impianti  fotovoltaici  con  moduli
collocati a terra finalizzati  alla  costituzione  di  una  comunita'
energetica rinnovabile ai sensi dell'art.  31  del  presente  decreto
nonche'  in  caso  di  progetti  attuativi  delle  altre  misure   di
investimento del Piano nazionale  di  ripresa  e  resilienza  (PNRR),
approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come
modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e
del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR  (PNC)
di  cui  all'art.  1  del  decreto-  legge  6  maggio  2021,  n.  59,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio  2021,  n.  101,
ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del
PNRR». 
    142. In definitiva, in base alla norma introdotta dall'art. 5 del
decreto-legge  n.  63/2024,  gli  impianti  fotovoltaici  con  moduli
collocati a terra possono essere realizzati soltanto: 
        a) nei siti ove sono gia' installati  impianti  della  stessa
fonte,  nei  limiti  degli  interventi  di   modifica,   rifacimento,
potenziamento o ricostruzione, senza incremento dell'area occupata; 
        b)  presso  cave  e  miniere  cessate,   non   recuperate   o
abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, o le  porzioni  di
cave e miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento; 
        c) presso i siti e gli impianti  nelle  disponibilita'  delle
societa' del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e  dei  gestori  di
infrastrutture  ferroviarie  nonche'  delle  societa'  concessionarie
autostradali; 
        d) presso i siti e gli impianti  nella  disponibilita'  delle
societa'   di   gestione   aeroportuale   all'interno   dei    sedimi
aeroportuale; 
        e) nelle  aree  interne  agli  impianti  industriali  e  agli
stabilimenti e  in  quelle  classificate  agricole  racchiuse  in  un
perimetro i cui punti distino non piu'  di  500  metri  dal  medesimo
impianto o stabilimento; 
        f) nelle aree adiacenti  alla  rete  autostradale  entro  una
distanza non superiore a 300 metri. 
    143. Dalla richiamata elencazione si desume che, in sostanza,  la
generalita' dei terreni classificati agricoli (circa la  meta'  della
superficie  del  Paese)  e'  preclusa  a  qualsiasi   intervento   di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati  a  terra
che non che non consista nel mero rifacimento/modifica/ricostruzione,
con conseguente preclusione all'utilizzo di nuovo terreno agricolo. 
    144. Il divieto non  riguarda  i  progetti  attuativi  di  misure
finanziate con il PNRR o il PNC, che tuttavia non comprendono tutti i
progetti necessari al raggiungimento dei target previsti  dal  PNIEC,
che  e'  lo  strumento  previsto  dalla  normativa  eurounitaria  per
conseguire gli obiettivi  vincolanti  dell'Unione  per  la  quota  di
energia rinnovabile. Gia' tale circostanza evidenzia che  un  divieto
di  tale  portata  rischia  di  mettere  seriamente  a   rischio   il
conseguimento di tali obiettivi, nella  misura  in  cui  sottrae  una
larga  porzione  del  territorio  a  ogni  possibile  utilizzo  della
tecnologia fotovoltaica senza che ne siano prevedibili gli effetti in
ordine alla possibilita' di rispettare le  traiettorie  stabilite  in
merito alla quota di energia da fonti rinnovabili. Tenuto conto dello
stato di attuazione della disciplina di cui  all'art.  20,  comma  1,
decreto legislativo  n.  199/2021,  nonche'  degli  ampi  margini  di
flessibilita' che il decreto 21 giugno 2024 lascia alle  regioni  per
l'individuazione delle aree non idonee, l'impatto di tale divieto  e'
del tutto incerto e, in ogni caso, si risolve  in  un  severo  limite
all'individuazione delle zone disponibili per  l'installazione  degli
impianti che, a termini dell'art. 15-ter, par.  1,  secondo  periodo,
della direttiva  (UE)  2018/2001,  devono  essere  commisurate  «alle
traiettorie stimate e  alla  potenza  totale  installata  pianificata
delle tecnologie per  le  energie  rinnovabili  stabilite  nei  piani
nazionali per l'energia e il clima presentati a norma degli  articoli
3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999». 
    145. Peraltro, si e' gia' visto che, in forza  dell'art.  32  del
regolamento (UE) 2018/1999, se la Commissione conclude che uno o piu'
punti di riferimento della traiettoria  indicativa  unionale  per  il
2022, 2025 e 2027 non sono stati raggiunti, gli Stati membri che  nel
2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti
di riferimento nazionali possono essere tenuti all'adozione di misure
supplementari, ivi incluso un  pagamento  finanziario  volontario  al
meccanismo di finanziamento  dell'Unione  per  l'energia  rinnovabile
istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di
energia da fonti rinnovabili gestiti  direttamente  o  indirettamente
dalla Commissione. La sottrazione indiscriminata di larga  parte  del
territorio  nazionale  all'utilizzo  della  tecnologia   fotovoltaica
potrebbe,  pertanto,   implicare   l'obbligo   di   adottare   misure
supplementari,  con  impatti  anche  sulle  finanze  pubbliche,   ove
ostacoli il raggiungimento degli obiettivi. 
    146. La preclusione generalizzata all'installazione  di  impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra sembra inoltre  contrastare
con il principio per cui, nell'ambito del processo di  individuazione
delle  zone  necessarie  per  i  contributi  nazionali  all'obiettivo
complessivo dell'Unione di energia rinnovabile per il 2030  ai  sensi
del paragrafo 1 dell'art. 15-ter della direttiva (UE) 2018/2001, «Gli
Stati membri favoriscono l'uso  polivalente  delle  zone  di  cui  al
paragrafo 1. I  progetti  in  materia  di  energia  rinnovabile  sono
compatibili con gli usi preesistenti di tali zone» (art. 15-ter, par.
3). Come gia' rilevato, il considerando (27) della direttiva  precisa
che «Gli Stati membri dovrebbero  esplorare,  consentire  e  favorire
l'uso polivalente delle zone individuate a seguito  delle  misure  di
pianificazione territoriali adottate. A tal fine, e' auspicabile  che
gli Stati membri agevolino, ove necessario,  i  cambiamenti  nell'uso
del suolo e del  mare,  purche'  i  diversi  usi  e  attivita'  siano
compatibili tra di loro e possano coesistere». Il divieto  introdotto
dall'art. 5 del  decreto-legge  n.  63/2024  istituisce,  invece,  un
insanabile conflitto tra l'utilizzo della tecnologia fotovoltaica con
moduli collocati a terra e l'uso  del  suolo  a  fini  agricoli  che,
tuttavia, non sussiste (o sussiste solo in parte) quantomeno  per  la
tecnologia agrivoltaica (anche non avanzata). 
    147. Nella misura in cui puo' ostacolare il raggiungimento  degli
obiettivi di potenza  installata  delle  tecnologie  per  le  energie
rinnovabili, il divieto in  questione  si  pone  anche  in  posizione
critica  rispetto  alla  strategia  di  adattamento  ai   cambiamenti
climatici  dell'Unione.  Come  precedentemente  ricordato,  ai  sensi
dell'art.  5  del  regolamento  (UE)   2021/1119,   «Le   istituzioni
competenti dell'Unione e gli  Stati  membri  assicurano  il  costante
progresso nel  miglioramento  della  capacita'  di  adattamento,  nel
rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita'
ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7  dell'accordo  di
Parigi". Essi, inoltre,  "garantiscono  [...]  che  le  politiche  in
materia  di  adattamento  nell'Unione  e  negli  Stati  membri  siano
coerenti,   si   sostengano   reciprocamente,   comportino   benefici
collaterali per le politiche settoriali e si adoperino per  integrare
meglio l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i  settori  di
intervento, comprese le  pertinenti  politiche  e  azioni  in  ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione». 
    148. Come precisato dalla Commissione europea nella comunicazione
COM(2021)82 final sulla nuova Strategia dell'UE per l'adattamento  ai
cambiamenti climatici,  «Il  Green  Deal  europeo,  la  strategia  di
crescita  dell'UE  per  un  futuro   sostenibile,   si   basa   sulla
consapevolezza che la trasformazione verde e' un'opportunita'  e  che
la mancata azione ha un costo enorme. Con esso l'UE  ha  mostrato  la
propria  leadership  per   scongiurare   lo   scenario   peggiore   -
impegnandosi a raggiungere la neutralita' climatica - e prepararsi al
meglio - puntando ad azioni di  adattamento  piu'  ambiziose  che  si
fondano sulla strategia dell'UE di adattamento del 2013. La visione a
lungo termine prevede che nel 2050 l'UE sara' una societa' resiliente
ai cambiamenti climatici, del tutto adeguata agli inevitabili impatti
dei cambiamenti climatici. Cio' significa che entro il 2050, anno  in
cui l'Unione aspira  ad  aver  raggiunto  la  neutralita'  climatica,
avremo rafforzato la capacita' di adattamento e ridotto al minimo  la
vulnerabilita' agli effetti dei cambiamenti climatici, in  linea  con
l'accordo di Parigi e con la proposta di legge europea sul clima». Il
raggiungimento dei target  di  potenza  installata  delle  tecnologie
rinnovabili  costituisce,  all'evidenza,  un  elemento  centrale  per
conseguire nel lungo termine l'obiettivo della neutralita' climatica,
che potrebbe essere posto seriamente a  rischio  da  una  disciplina,
come quella censurata, che vieta sul tutto il territorio nazionale la
tecnologia fotovoltaica con pannelli collocati a  terra  su  tutti  i
terreni classificati agricoli, corrispondenti a oltre la meta'  della
superficie nazionale. 
    149. Il divieto sembra anche  contrastare  con  il  principio  di
integrazione  di  cui  all'art.   11   Trattato   sul   funzionamento
dell'Unione europea e all'art. 37 della Carta di Nizza,  secondo  cui
«Le esigenze connesse  con  la  tutela  dell'ambiente  devono  essere
integrate nella  definizione  e  nell'attuazione  delle  politiche  e
azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo
sviluppo sostenibile». L'integrazione ambientale in tutti  i  settori
politici pertinenti (agricoltura, energia, pesca, trasporti, ecc.) e'
funzionale a  ridurre  le  pressioni  sull'ambiente  derivanti  dalle
politiche e dalle attivita' di altri settori e  per  raggiungere  gli
obiettivi ambientali e climatici. Il divieto introdotto  dall'art.  5
del decreto-legge n. 63/2024,  nel  contesto  di  una  disciplina  di
attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 sulla  promozione  dell'uso
dell'energia da fonti  rinnovabili  quale  obiettivo  della  politica
energetica dell'Unione, solleva sul punto notevoli perplessita': 
        da  un  lato,  infatti,  si  inserisce  nel  complesso  delle
previsioni dell'art. 20 del decreto  legislativo  n.  199/2021  quale
corpo tendenzialmente estraneo, tant'e' che  le  relative  previsioni
non  risultano  neppure  adeguatamente  coordinate   con   il   resto
dell'articolato (v., ad esempio, il comma 3  del  medesimo  art.  20,
laddove prevede che i decreti di cui  al  comma  1  verifichino,  tra
l'altro, «l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri  scopi,  ivi
incluse le superfici agricole non utilizzabili»); 
        dall'altro lato, la norma  non  istituisce  alcuna  forma  di
possibile   bilanciamento   tra   i   valori   in   gioco,   sancendo
un'indefettibile prevalenza dell'interesse alla  conservazione  dello
stato dei luoghi  dei  terreni  classificati  agricoli  senza  alcuna
considerazione    finanche    della    loro    possibile,    concreta
utilizzabilita' a fini agricoli, in  contrasto  con  l'obiettivo  del
decreto stesso di promuovere l'uso dell'energia da fonti rinnovabili. 
    150. Da quanto precede risulta anche che la disciplina  censurata
confligge con il principio di proporzionalita', con violazione  anche
dell'art. 3 Cost. Come la Corte di giustizia ha piu' volte  ribadito,
«il principio  di  proporzionalita'  e'  un  principio  generale  del
diritto comunitario che dev'essere rispettato tanto  dal  legislatore
comunitario quanto dai legislatori e dai giudici nazionali» (sentenza
11 giugno 2009, C- 170/08,  41).  Il  sindacato  di  proporzionalita'
costituisce, inoltre, un  aspetto  del  controllo  di  ragionevolezza
delle  leggi  condotto  dalla  giurisprudenza  costituzionale,   onde
verificare che il bilanciamento  degli  interessi  costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da  determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva  e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Come la  stessa
Corte  ha  precisato,  "Tale  giudizio  deve  svolgersi   «attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi  prescelti  dal
legislatore nella sua insindacabile  discrezionalita'  rispetto  alle
esigenze  obiettive  da  soddisfare  o  alle  finalita'  che  intende
perseguire,  tenuto  conto  delle  circostanze  e  delle  limitazioni
concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988).  Il  test  di
proporzionalita' utilizzato da  questa  Corte  come  da  molte  delle
giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme  con  quello  di
ragionevolezza, ed essenziale  strumento  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di  legittimita'
degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare  se
la norma oggetto di scrutinio,  con  la  misura  e  le  modalita'  di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al  conseguimento  di
obiettivi legittimamente  perseguiti,  in  quanto,  tra  piu'  misure
appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei   diritti   a
confronto  e  stabilisca  oneri  non   sproporzionati   rispetto   al
perseguimento di detti obiettivi" (Corte cost.,  sentenza  n.  1  del
2014). 
    151. Innanzitutto, la misura censurata  consiste  in  un  divieto
generalizzato  e  assoluto  all'utilizzo,  su  un'ampia   parte   del
territorio  nazionale,  di  una  determinata   tecnologia   a   fonti
rinnovabili. Si tratta di una soluzione del tutto diversa rispetto  a
quella adottata in funzione di tutela di tutti gli altri  valori  che
entrano in bilanciamento con il principio di massima diffusione delle
fonti  rinnovabili:  le  esigenze  di  tutela  dell'ambiente,   della
biodiversita', dei beni culturali e  del  paesaggio  passa,  infatti,
attraverso  l'individuazione  di  aree  non  idonee  che,   come   in
precedenza chiarito, non rappresentano aree vietate, bensi'  zone  in
cui, in ragione delle esigenze di protezione in  concreto  esistenti,
e' altamente  verosimile  un  esito  negativo  della  valutazione  di
compatibilita'  dei  progetti.  Cio',   peraltro,   non   osta   alla
possibilita' di verificare, in concreto  e  nell'ambito  dei  singoli
procedimenti autorizzativi, eventuali margini di compatibilita' degli
interventi  proposti.  L'art.  5   del   decreto-legge   n.   63/2024
stabilisce,  invece,  una  prevalenza   assoluta   e   incondizionata
dell'interesse alla conservazione dei  suoli  classificati  agricoli,
valutata in astratto dal legislatore e che non consente la pur minima
possibilita' di contemperamento con gli  altri  interessi  in  gioco,
anche di rilievo costituzionale. 
    152. Sotto tale profilo, occorre rilevare,  in  disparte  i  gia'
evidenziati profili di contrasto con  il  diritto  unionale,  che  ai
sensi  dell'art.  9  Cost.  la  Repubblica  tutela   l'ambiente,   la
biodiversita' e gli ecosistemi  «anche  nell'interesse  delle  future
generazioni»,  con  cio'  incorporando  il  principio   di   sviluppo
sostenibile nell'ambito  dei  principi  fondamentali  in  materia  di
tutela ambientale. L'incondizionato  sacrificio  di  tale  principio,
quale sotteso al divieto in esame, contrasta, pertanto, con l'art.  3
Cost.,  nonche'  con  l'art.  9   citato   e   con   la   consolidata
giurisprudenza  costituzionale   secondo   cui   «Tutti   i   diritti
fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano  in  rapporto  di
integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di
essi che abbia la prevalenza assoluta sugli  altri.  La  tutela  deve
essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di  norme  non
coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264  del
2012). Se cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata  espansione
di uno dei diritti, che  diverrebbe  «tiranno»  nei  confronti  delle
altre  situazioni  giuridiche   costituzionalmente   riconosciute   e
protette [...]. La Costituzione italiana, come le altre  Costituzioni
democratiche e  pluraliste  contemporanee,  richiede  un  continuo  e
vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali,  senza
pretese di assolutezza  per  nessuno  di  essi.  [...]  Il  punto  di
equilibrio, proprio perche' dinamico e non  prefissato  in  anticipo,
deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle  norme
e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo  criteri  di
proporzionalita' e di  ragionevolezza,  tali  da  non  consentire  un
sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte cost., sentenza  n.  85
del 2013). 
    153.  Sotto  altro  profilo,  il  divieto  cosi'  introdotto   e'
operativo  a  partire  dalla  mera  classificazione  dell'area   come
agricola in base ai piani urbanistici,  senza  che  alcuna  rilevanza
assumano il suo concreto utilizzo o la  sua  utilizzabilita'  a  tali
fini. Anche per tale riguardo la disposizione si mostra irragionevole
e sproporzionata, in quanto la dichiarata finalita' di contrastare il
consumo di suolo agricolo non e' riscontrabile (o quantomeno non  nei
termini incondizionati e assoluti previsti dalla norma) in  relazione
alle superfici agricole non utilizzabili o degradate. Manca, inoltre,
qualsivoglia considerazione della qualita'  e  dell'importanza  delle
colture. 
    154. In raffronto, le attuali  linee  guida  di  cui  al  decreto
ministeriale 10 settembre 2010 prevedono che: 
        le zone classificate agricole dai vigenti  piani  urbanistici
non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei; 
        l'individuazione delle aree e dei siti non  idonei  non  puo'
riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente
soggette a tutela  dell'ambiente,  del  paesaggio  e  del  patrimonio
storico-artistico, ne'  tradursi  nell'identificazione  di  fasce  di
rispetto di dimensioni non  giustificate  da  specifiche  e  motivate
esigenze  di  tutela.  La  tutela  di  tali  interessi   e'   infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore  ed  affidate
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche,  alle
regioni, agli enti  locali  ed  alle  autonomie  funzionali  all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno  del  procedimento
unico e della procedura di Valutazione  dell'Impatto  Ambientale  nei
casi previsti; 
        le regioni possono procedere ad indicare come aree e siti non
idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree
particolarmente  sensibili  e/o   vulnerabili   alle   trasformazioni
territoriali o del paesaggio, tra cui le aree agricole interessate da
produzioni agricolo-alimentari di  qualita'  (produzioni  biologiche,
produzioni  D.O.P.,  I.G.P.,  S.T.G.,  D.O.C.,  D.O.C.G.,  produzioni
tradizionali)  e/o  di  particolare  pregio  rispetto   al   contesto
paesaggistico-culturale, anche con riferimento alle aree, se previste
dalla  programmazione   regionale,   caratterizzate   da   un'elevata
capacita' d'uso del suolo. 
    155. Una siffatta, contestualizzata disciplina  risulta  conforme
alle indicazioni emergenti in sede europea, per cui «Gli Stati membri
dovrebbero limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui
non  puo'  essere  sviluppata   l'energia   rinnovabile   ("zone   di
esclusione").  Essi  dovrebbero   fornire   informazioni   chiare   e
trasparenti,  corredate  di  una  giustificazione   motivata,   sulle
restrizioni  dovute  alla  distanza  dagli  abitati  e   dalle   zone
dell'aeronautica militare o civile. Le restrizioni dovrebbero  essere
basate su dati concreti e concepite in modo da rispondere allo  scopo
perseguito massimizzando la disponibilita' di spazio per lo  sviluppo
dei progetti di energia rinnovabile, tenuto conto degli altri vincoli
di  pianificazione  territoriale»  (cfr.  la   Raccomandazione   (UE)
2024/1343 della Commissione del  13  maggio  2024  sull'accelerazione
delle procedure autorizzative per l'energia da fonti rinnovabili e  i
progetti infrastrutturali correlati). La disciplina posta dall'art. 5
del decreto-legge n. 63/2024 si traduce, invece, nell'esatto opposto,
ponendo un divieto che massimizza le zone di esclusione, non  fondato
su  dati  concreti  e  certamente  non  rispondente  all'obietto   di
massimizzare la disponibilita' di spazio per lo sviluppo dei progetti
di energia rinnovabile. 
    156.  Occorre  solo  aggiungere  che  i   rilevati   profili   di
incostituzionalita' vanno del pari riferiti all'art. 5, comma 2,  del
decreto-legge n. 63/2024, laddove pone una disciplina di salvaguardia
che ha quale presupposto il  divieto  di  cui  al  comma  1,  nonche'
all'art. 2, comma  2,  primo  periodo,  del  decreto  legislativo  25
novembre 2024, n. 190, recante «Disciplina dei regimi  amministrativi
per la produzione di energia da fonti rinnovabili», ove  prevede  che
«Gli interventi di cui all'art.  1,  comma  1,  sono  considerati  di
pubblica utilita', indifferibili e urgenti e possono  essere  ubicati
anche in zone classificate agricole dai  vigenti  piani  urbanistici,
nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo 8 novembre 2021, n.  199».  Tale  disposizione,  infatti,
riproduce il divieto di cui al citato comma 1-bis  dell'art.  20  del
decreto legislativo n. 199/2021. 
Questioni da sottoporre alla Corte costituzionale 
    157. In ragione di tutto quanto sopra, sono rilevanti (per quanto
illustrato  ai  punti  100  ss.  della  presente  sentenza)   e   non
manifestamente infondate (secondo quanto  evidenziato  ai  punti  115
ss.) le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 1
e 2, decreto-legge n. 63/2024, convertito, con  modificazioni,  dalla
legge n. 101/2024, nonche'  dell'art.  2,  comma  2,  primo  periodo,
decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190,  per  violazione  degli
articoli 3, 9, 11 e 117,  comma  1,  Cost.,  anche  in  relazione  ai
principi espressi dalla direttiva (UE) 2018/2001  e  dal  regolamento
(UE) 2018/1999,  come  modificati  dalla  direttiva  (UE)  2023/2413,
nonche' dal regolamento (UE) 2021/1119. 
    158. Le predette questioni  vengono  sollevate  con  la  presente
sentenza non definitiva, anziche' con  ordinanza,  in  ragione  della
stretta connessione delle statuizioni che definiscono parzialmente in
giudizio con i profili oggetto di rimessione, nonche' in  conformita'
alla giurisprudenza costituzionale secondo la  quale  «Alla  sentenza
non definitiva puo' essere [...] riconosciuto, sul piano sostanziale,
il carattere dell'ordinanza di rimessione, sempre che  il  giudice  a
quo - come nel caso in esame  -  abbia  disposto,  in  conformita'  a
quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
la sospensione del procedimento  principale  e  la  trasmissione  del
fascicolo alla cancelleria di questa Corte,  dopo  aver  valutato  la
rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione (in  questi
termini, tra le altre, sentenze n. 112 del 2021 e n. 153  del  2020)»
(Corte cost., sentenza n. 218/2021). 
Conclusioni 
    159. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile,  per
carenza d'interesse, in relazione ai motivi dal I al II.3, mentre  va
rigettato  quanto  ai   motivi   III.1   e   III.2;   va   dichiarata
manifestamente infondata la questione di costituzionalita'  dell'art.
5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024, convertito, con  modificazioni,
dalla legge n. 101/2024, per violazione dell'art.  77  Cost.,  mentre
sono  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate  le  questioni  di
costituzionalita' del  richiamato  art.  5,  comma  1  e  2,  nonche'
dell'art. 2, comma 2,  primo  periodo,  del  decreto  legislativo  n.
190/2024, per violazione degli articoli 3, 9,  11  e  117,  comma  1,
Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla  direttiva  (UE)
2018/2001 e dal regolamento (UE)  2018/1999,  come  modificati  dalla
direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal regolamento (UE) 2021/1119.  Il
giudizio va quindi sospeso per  le  determinazioni  conseguenti  alla
definizione dell'incidente di costituzionalita'. 
    160.  Il  regolamento  delle  spese  va  rinviato  all'esito  del
giudizio. 

 
                               P. Q. M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  (Sezione
Terza), parzialmente e non definitivamente pronunciando sul  ricorso,
come in epigrafe proposto, cosi' dispone: 
        a) lo dichiara inammissibile, per carenza d'interesse, quanto
ai motivi dal I al II.3; 
        b) lo rigetta, nei sensi di cui  in  motivazione,  quanto  ai
motivi III.1 e III.2; 
        c)  dichiara  manifestamente  infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma  1,  decreto-legge  n.
63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024,  per
violazione dell'art. 77 Cost.; 
        d) dichiara rilevanti e  non  manifestamente  infondate,  nei
termini  espressi  in  motivazione,  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale del richiamato art. 5, comma 1 e 2,  decreto-legge  n.
63/2024,  nonche'  dell'art.  2,  comma  2,  primo  periodo,  decreto
legislativo n. 190/2024, per violazione degli articoli  3,  9,  11  e
117, comma 1, Cost., anche in relazione ai  principi  espressi  dalla
direttiva (UE) 2018/2001  e  dal  regolamento  (UE)  2018/1999,  come
modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413,  nonche'  dal  regolamento
(UE) 2021/1119; 
        e) sospende il giudizio  per  le  determinazioni  conseguenti
alla definizione dell'incidente  di  costituzionalita'  e,  ai  sensi
dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,   dispone   la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        f) dispone la  comunicazione  della  presente  sentenza  alle
parti in causa,  nonche'  la  sua  notificazione  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della  Repubblica  e
al Presidente della Camera dei deputati; 
        g) rinvia ogni ulteriore statuizione all'esito  del  giudizio
incidentale promosso con la presente sentenza. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Cosi' deciso in Roma nella  Camera  di  consiglio  del  giorno  5
febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati: 
        Elena Stanizzi, Presidente; 
        Luca Biffaro, referendario; 
        Marco Savi, referendario, estensore. 
 
                       Il Presidente: Stanizzi 
 
 
                                                    L'estensore: Savi