Reg. ord. n. 141 del 2025 pubbl. su G.U. del 20/08/2025 n. 34
Ordinanza del Tribunale di Firenze del 26/05/2025
Tra: D. K.
Oggetto:
Ordinamento penitenziario – Sanzioni disciplinari – Previsione della sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune e applicazione dell’isolamento continuo - Violazione del principio della finalità rieducativa della pena intesa anche come finalità di risocializzazione del condannato – Incidenza sulla salute psicofisica del detenuto – Lesione della tutela della salute – Limitazione della libertà della comunicazione ad opera del Consiglio di disciplina e non per provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria – Violazione del principio di riserva di giurisdizione.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 33, comma 1, lettera b), e 39, comma 1, numero 5.
- Costituzione, artt. 3, 15, 27, terzo comma, e 32.
In subordine: Ordinamento penitenziario – Sanzioni disciplinari – Autorità competente a deliberare le sanzioni – Sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune - Previsione che a deliberare tale sanzione disciplinare sia il Consiglio di disciplina anziché, su proposta del direttore dell’istituto, il magistrato di sorveglianza nei confronti dei condannati e degli internati e il giudice indicato nell’art. 279 cod. proc. pen. nei confronti degli imputati - Violazione del principio di riserva di giurisdizione.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 40.
- Costituzione, art. 15.
Norme impugnate:
legge
del 26/07/1975
Num. 354
Art. 33
Co. 1
legge
del 26/07/1975
Num. 354
Art. 39
Co. 1
legge
del 26/07/1975
Num. 354
Art. 40
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 15
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Costituzione
Art. 32
Co.
Testo dell'ordinanza
N. 141 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 maggio 2025
Ordinanza del 26 maggio 2025 del Tribunale di Firenze nel
procedimento penale a carico di D. K..
Ordinamento penitenziario - Sanzioni disciplinari - Previsione della
sanzione disciplinare della esclusione dalle attivita' in comune e
applicazione dell'isolamento continuo.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario
e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della
liberta'), artt. 33, comma 1, lettera b), e 39, comma 1, numero 5.
In subordine: Ordinamento penitenziario - Sanzioni disciplinari -
Autorita' competente a deliberare le sanzioni - Sanzione
disciplinare della esclusione dalle attivita' in
comune - Previsione che a deliberare tale sanzione disciplinare sia
il Consiglio di disciplina anziche', su proposta del direttore
dell'istituto, il magistrato di sorveglianza nei confronti dei
condannati e degli internati e il giudice indicato nell'art. 279
cod. proc. pen. nei confronti degli imputati.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario
e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della
liberta'), art. 40.
(GU n. 34 del 20-08-2025)
TRIBUNALE DI FIRENZE
Prima Sezione penale
Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di D. K., nato in ... il ...; elettiv. domiciliato presso
l'avv. Costanza Malaerba, del Foro di Prato; detenuto per altra
causa, rinunciante a comparire; difeso dall'avv. di fiducia Costanza
Malerba del Foro di Prato; imputato in ordine al seguente reato:
delitto previsto e punito dall'art. 99, 424, comma 1 del
codice penale perche', al fine di danneggiare la cosa altrui,
all'interno della Casa circondariale di ..., facendo sorgere un
concreto pericolo di incendio, appiccava il fuoco ad un materasso e
ad un cuscino.
Con l'aggravante della recidiva infraquinquennale.
Fatti commessi in ..., in data ...
sentite le parti;
premesso che:
con decreto del pubblico ministero emesso il 15 novembre 2023
D. K. era citato a giudizio per il delitto di danneggiamento seguito
da pericolo d'incendio di cui all'art. 424, comma 1, c.p.;
all'udienza predibattimentale odierna le parti illustravano
le rispettive conclusioni. In particolare, il pubblico ministero
chiedeva la prosecuzione del giudizio; il difensore chiedeva sentenza
di non luogo a procedere;
rilevato che:
A) in base agli atti d'indagine, in data ... verso le ore
..., mentre era detenuto a titolo definitivo presso la Casa
circondariale di ... - e precisamente mentre si trovava nella camera
... del ..., in regime di isolamento in esecuzione della sanzione
dell'esclusione dalle attivita' comuni - l'imputato appiccava il
fuoco al materasso e al cuscino in dotazione della sua camera di
detenzione.
Gli agenti ... e ... della Polizia penitenziaria spegnevano le
fiamme con l'uso di un idrante.
Successivamente, alle ore ... circa, il prevenuto tentava il
suicidio, cercando di impiccarsi: creava una corda con un lenzuolo e
legava un'estremita' intorno al proprio collo e l'altra estremita'
alla base del supporto del televisore. L'evento letale era
scongiurato grazie al pronto intervento dei citati agenti della
Polizia penitenziaria, che sorreggevano e liberavano il detenuto dal
cappio; lo poggiavano poi per terra in attesa dell'intervento dei
sanitari. Il predetto era accompagnato in infermeria.
Terminata la visita, gli operatori riaccompagnavano D. in cella;
in tale frangente, alla presenza anche dell'ispettore ..., egli
insultava gli operatori e affermava di voler andare via
dall'isolamento («Voglio andare via dall'isolamento voglio ritornare
al penale»).
Il medico dott.ssa ..., alle ore ..., cosi sintetizzava anamnesi
e diagnosi: «Si visita il pz in quanto mi riferiscono che ha messo in
atto un gesto autolesivo. Infatti mi riferiscono che avrebbe creato
una corda con le lenzuola, l'avrebbe avvolta intorno al collo e
avrebbe tentato di impiccarsi. Mi riferiscono che prontamente hanno
tagliato la corda e sarebbero intervenuti per arreggerlo. Si visita
il pz che presenta una parziale barriera linguistica, si presenta
vigile, orientato e collaborante, PV in ordine. Riferisce di aver
messo in atto tale gesto a scopo dimostrativo in quanto soffre del
fatto che il blindo della cella rimanga chiuso giorno e notte.
Infatti il pz si trova attualmente allocato presso questo reparto per
isolamento disciplinare ed e' previsto dal regolamento penitenziario
che il blindo resti chiuso. Il pz chiede che venga tenuto socchiuso
quantomeno per un po' di tempo durante il giorno. Alla visita il pz
presenta lieve rossore al livello della base del collo anteriormente,
no altre lesioni a livello del collo posteriormente. Non presenta
altre lesioni acute obiettivabili e riferisce attualmente benessere».
Lo stesso giorno il medico di cure primarie dott.ssa ... - in
sede di valutazione del rischio suicidiario - disponeva la
convocazione dello staff multidisciplinare e l'attenzionamento con
urgenza del detenuto. Certificava infine la non idoneita' al
mantenimento dell'isolamento.
Lo staff multidisciplinare, infine, confermava la non idoneita'
all'isolamento e decideva di interrompere lo stesso e di riassociare
il D. al reparto di provenienza.
Per i fatti del ... all'imputato in data ... era applicata la
sanzione disciplinare dell'ammonizione.
B) in base ai citati atti d'indagine, i fatti ora ascritti
all'imputato dovrebbero riqualificarsi piu' correttamente come
danneggiamento di beni destinati a pubblico servizio ex art. 635,
comma 2 c.p.
Si deve infatti escludere la qualificazione come danneggiamento
seguito da (pericolo di) incendio, che «richiede come elemento
costitutivo, il sorgere di un pericolo di incendio, sicche' non e'
ravvisabile qualora il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che
da esso non possa sorgere detto pericolo» (cosi' Cassazione Sez. 2,
sentenza n. 47415 del 17 ottobre 2014 Rv. 260832 - 01, richiamata
anche da Cassazione Sez. 2, sentenza n. 4183 del 2022).
Nel caso di specie, per l'appunto, in ragione delle modalita' e
dell'oggetto della condotta e del relativo contesto spaziale, non vi
era pericolo che potesse sorgere un incendio: gli oggetti cui il
fuoco era appiccato erano di dimensioni modeste; nell'ambiente
circostante non vi erano verosimilmente oggetti o materiali cui il
fuoco potesse propagarsi facilmente (i materiali maggiormente
presenti nelle camere detentive sono il cemento e il metallo; in ogni
caso, in atti non vi e' una descrizione degli elementi cui il fuoco
avrebbe potuto propagarsi); il fuoco e' stato spento agevolmente e
velocemente dagli agenti della Polizia penitenziaria; quand'anche non
vi fosse stato l'intervento tempestivo della Polizia penitenziaria
(comunque prevedibile e non integrante un fattore eccezionale
sopravvenuto), si deve ritenere probabile che le fiamme - all'esito
della combustione degli oggetti cui il fuoco era stato appiccato - si
sarebbero estinte da sole, senza alcun rischio che le stesse si
diffondessero.
Rispetto ai citati beni di proprieta' dell'amministrazione,
esistenti in uno stabilimento pubblico (la Casa circondariale) e
destinati a pubblico servizio (il corredo della cella necessario per
renderla concretamente fruibile), il fatto dovrebbe percio' essere
riqualificato come danneggiamento ai sensi dell'art. 635, comma 2
codice penale (piu' precisamente art. 635, comma 2, n. 1 codice
penale in relazione all'art. 625, n. 7 c.p.).
C) ai fini della decisione circa la prosecuzione del giudizio
o, viceversa, l'adozione di una sentenza di non luogo a procedere per
la sussistenza di una causa di giustificazione o di una causa di non
punibilita', pare necessario il pronunciamento della Corte
costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale degli
articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1, n. 5, legge n.
354/1975 (e in subordine dell'art. 40, legge n. 354/1975);
Cio' premesso, osserva
1. Rilevanza della questione.
1.1 La questione che s'intende portare all'attenzione della Corte
costituzionale concerne la legittimita' costituzionale della sanzione
disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune di cui agli
articoli 33, comma 1, lettera b) e 39 comma 1, n. 5, legge n.
354/1975.
1.2 Nel momento in cui ha posto in essere la condotta delittuosa
in contestazione. Al momento dei fatti oggetto del presente giudizio
l'imputato - detenuto in carcere a titolo definitivo - era per
l'appunto sottoposto alla sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune.
1.3 Dagli atti d'indagine non emerge ne' da quanto tempo ne' in
ragione di quale illecito disciplinare il predetto fosse sottoposto
alla citata sanzione disciplinare.
Le peculiarita' della presente fase processuale - l'udienza
predibattimentale, nel corso della quale ai sensi dell'art. 554-ter
codice di procedura penale il giudice non dispone di poteri
istruttori e, in assenza di richiesta di riti alternativi, puo'
pronunciare sentenza di non luogo a procedere oppure fissare per la
prosecuzione del giudizio la data dell'udienza dibattimentale davanti
ad un giudice diverso - non consentono a questo giudice di acquisire
ulteriori elementi al riguardo.
D'altro canto, ad avviso dello scrivente, non si tratta di
elementi decisivi ai fini della presente questione di legittimita'
costituzionale.
1.4 Da un lato, infatti, dagli atti del fascicolo non emergono
elementi che inducano anche solo a sospettare che la citata sanzione
disciplinare fosse stata applicata all'imputato in violazione di
legge ordinaria o di regolamento, ne' le parti hanno dedotto
alcunche' in proposito.
Dall'altro, e' la stessa disciplina della legge ordinaria che
s'intende qui censurare, per violazione di plurimi parametri
costituzionali.
1.5 Dagli atti emerge che l'imputato ha posto in essere i fatti
di danneggiamento (mediante il fuoco) in contestazione in stretta
correlazione con la condizione d'isolamento - per effetto della
citata sanzione disciplinare - cui era sottoposto.
Piu' precisamente, dalla condotta autolesionistica posta in
essere nell'immediatezza, dalle frasi pronunciate subito dopo e dal
contenuto del colloquio con il medico (come da quest'ultimo
sintetizzato), emerge chiaramente che il predetto ha posto in essere
sia i fatti di danneggiamento sia il successivo tentato suicidio per
sottrarsi alla condizione d'isolamento che riteneva insopportabile.
1.6 Tale ricostruzione conduce a ritenere essenziale ai fini del
decidere la questione circa la legittimita' (costituzionale) della
citata sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in
comune.
Ove infatti la disciplina dell'esclusione dalle attivita' in
comune fosse dichiarata incostituzionale, si dovrebbe ritenere
illegittima la restrizione in regime d'isolamento del prevenuto e,
conseguentemente, che i diritti soggettivi del medesimo (in
particolare alla liberta' di comunicazione con gli altri detenuti e
alla fruizione dell'ordinario regime trattamentale) fossero
illecitamente compressi.
In tale situazione, si dovrebbe ritenere che il medesimo - nel
danneggiare i beni dell'amministrazione penitenziaria per reagire e
porre fine all'offesa ingiusta in essere, il regime d'isolamento
applicatogli - abbia agito in condizione di legittima difesa, quanto
meno putativa.
1.7 Detta causa di giustificazione normalmente viene in rilievo
in relazione ad offese ingiuste poste in essere da singoli individui
o da gruppi di individui. Il dato normativo non pare pero' di per se'
ostare alla relativa applicazione anche in relazione ad offese
ingiuste realizzate dalle istituzioni, ivi comprese le istituzioni
statali nell'esercizio di poteri autoritativi.
Quanto alla valutazione circa la sussistenza dei requisiti della
citata causa di giustificazione, si deve rilevare che concretamente -
e per quanto poteva apprezzare l'imputato, cittadino straniero privo
(a quanto risulta) di competenze giuridiche - egli non aveva a
disposizione altri strumenti per porre fine alla condizione
d'isolamento. Anche il ricorso alla Magistratura di sorveglianza (che
pur avrebbe potuto sollevare una questione di legittimita'
costituzionale) non avrebbe portato ad un risultato a breve termine,
laddove l'esasperazione del predetto era tale da indurlo prima a
compiere i fatti in contestazione e poi a compiere un grave atto di
autolesionismo.
Se e' vero poi che il semplice danneggiamento di per se' non era
strettamente idoneo a porre termine alla condizione d'isolamento e
quindi all'offesa (in ipotesi) ingiusta, si deve ritenere che agli
occhi del medesimo - nella peculiare prospettiva legata alla
situazione in cui si trovava - apparisse idonea.
Sussiste inoltre il requisito della proporzione tra offesa e
difesa, confrontando con giudizio ex ante i mezzi usati e quelli a
disposizione dell'aggredito nonche' i beni giuridici in conflitto
(cfr. Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 32414 del 24 settembre 2020 Rv.
279777 - 01): da un lato egli non aveva altri strumenti utili a
disposizione nell'immediatezza; dall'altro ad essere compressi erano
beni giuridici strettamente personali, laddove la condotta posta in
essere ledeva in minima parte il patrimonio e turbava in misura
modesta le funzioni dell'amministrazione penitenziaria.
1.8 Si profila anche un ulteriore motivo di rilevanza.
Quand'anche si dovesse ritenere non sussistente la scriminante
della legittima difesa, neppure in termini putativi, la
illegittimita' della sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune e quindi del connesso regime di isolamento
potrebbe rilevare ai fini della particolare tenuita' del fatto ex
art. 131-bis c.p.
In proposito, il danneggiamento in contestazione - avulso dal
particolare contesto in cui si e' consumato - non integrerebbe
un'offesa al bene giuridico protetto di particolare tenuita': non
tanto per l'esiguo valore dei beni materiali danneggiati (materasso e
cuscino), quanto per il disordine creato all'interno della sezione
della Casa circondariale e il necessario utilizzo dell'idrante, con
il successivo dispiego di risorse anche per ripristinare le
condizioni della camera di detenzione.
Considerando tuttavia il peculiare contesto della sottoposizione
ad un regime di isolamento continuo disciplinare e le motivazioni
sottostanti alla condotta delittuosa (la volonta' di porre fine a
quel regime oppressivo), tali aspetti - ove quel regime fosse
dichiarato costituzionalmente illegittimo - assumerebbero un peso
preponderante nell'ambito della valutazione complessiva della
fattispecie concreta al fine di valutare la gravita' dell'offesa,
rendendo l'offesa di particolare tenuita'. Nell'ambito della citata
valutazione complessiva il disservizio cagionato assumerebbe infatti
un importanza minimale se comparato alla sottoposizione del detenuto
ad un regime di isolamento continuo illegittimo e alla necessita' che
lo stesso avesse termine.
Sussisterebbero anche gli ulteriori requisiti della causa di non
punibilita' ex art. 131-bis codice penale.
Il reato di danneggiamento (ma anche quello contestato ex art.
424, comma 1 c.p.) rientra infatti in ragione della cornice edittale
nell'ambito di applicazione del citato istituto.
Il comportamento non e' abituale: il certificato penale
dell'imputato evidenzia soltanto un precedente per rapina e
resistenza a pubblico ufficiale, reati commessi entrambi l'8 maggio
2022, data anche dell'arresto del prevenuto, a partire dalla quale
egli e' stato ininterrottamente detenuto (in base al certificato del
D.A.P. in atti). Poiche' trattasi di un unico precedente e poiche' il
fatto ora in esame sarebbe per il contesto molto particolare - del
tutto occasionale, il comportamento non potrebbe ritenersi abituale.
Non sussistono altre ragioni ostative all'applicazione della
causa di non punibilita'.
2. La sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune
2.1 Le norme di cui agli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39,
comma 1, n. 5, legge n. 354/1975, nel prevedere la sanzione
disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune, paiono
contrastare con i principi di cui agli articoli 3, 27 comma 3, 32 e
15 della Costituzione.
Pare opportuno premettere una sintetica ricostruzione della
disciplina dell'istituto.
2.2 Il trattamento penitenziario - la legge n. 354/1975 lo
afferma fin dall'art. 1, comma 2 - «tende, anche attraverso i
contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale ed e'
attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle
specifiche condizioni degli interessati».
Numerose sono poi le disposizioni della medesima legge che
riguardano lo svolgimento di attivita' in comune tra i detenuti,
aspetto centrale del trattamento penitenziario proprio in funzione
della risocializzazione cui deve mirare la pena.
Cosi' l'art. 6, comma 2, legge n. 354/1975 stabilisce che «le
aree residenziali devono essere dotate di spazi comuni al fine di
consentire ai detenuti e agli internati una gestione cooperativa
della vita quotidiana nella sfera domestica». Il successivo terzo
comma prevede che «I locali destinati al pernottamento consistono in
camere dotate di uno o piu' posti».
L'art. 10, comma 4, prevede che «La permanenza all'aria aperta e'
effettuata in gruppi a meno che non ricorrano i casi indicati
nell'art. 33, e nei numeri 4) e 5) dell'art. 39 [...]».
Ai sensi dell'art. 12, comma 1 «Negli istituti penitenziari,
secondo le esigenze del trattamento, sono approntate attrezzature per
lo svolgimento di attivita' lavorative, di istruzione scolastica e
professionale, ricreative, culturali e di ogni altra attivita' in
comune.».
L'art. 14, comma 3, stabilisce che «L'assegnazione dei condannati
e degli internati ai singoli istituti e il raggruppamento nelle
sezioni di ciascun istituto sono disposti con particolare riguardo
alla possibilita' di procedere a trattamento rieducativo comune
[...]».
L'art. 15, comma 1, prevede che «Il trattamento del condannato e
dell'internato e' svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione,
della formazione professionale, del lavoro, della partecipazione a
progetti di pubblica utilita', della religione, delle attivita'
culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con
il mondo esterno e i rapporti con la famiglia».
Ai sensi dell'art. 17, comma 1 «La finalita' del reinserimento
sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche
sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di
istituzioni o associazioni pubbliche o private all'azione
rieducativa.».
L'art. 18, comma 1 stabilisce che «I detenuti e gli internati
sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con
altre persone, anche al fine di compiere atti giuridici».
2.3 Nel suddetto quadro l'art. 33 (Isolamento) della legge n.
354/1975 prevede:
«1. Negli istituti penitenziari l'isolamento continuo e'
ammesso: a) quando e' prescritto per ragioni sanitarie; b) durante
l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attivita' in
comune; c) per gli indagati e imputati se vi sono ragioni di cautela
processuale; il provvedimento dell'autorita' giudiziaria competente
indica la durata e le ragioni dell'isolamento.
2. Il regolamento specifica le modalita' di esecuzione
dell'isolamento.
3. Durante la sottoposizione all'isolamento non sono ammesse
limitazioni alle normali condizioni di vita, ad eccezione di quelle
funzionali alle ragioni che lo hanno determinato.
4. L'isolamento non preclude l'esercizio del diritto di
effettuare colloqui visivi con i soggetti autorizzati.»
Il successivo art. 38 (Infrazioni disciplinari) stabilisce che «I
detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto che
non sia espressamente previsto come infrazione dal regolamento».
L'art. 39 (Sanzioni disciplinari) al primo comma elenca le
sanzioni disciplinari, tra cui al n. 5 quella, piu' grave, della
esclusione dalle attivita' in comune per non piu' di quindici giorni;
il successivo secondo comma prevede: «La sanzione della esclusione
dalle attivita' in comune non puo' essere eseguita senza la
certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il
soggetto puo' sopportarla. Il soggetto escluso dalle attivita' in
comune e' sottoposto a costante controllo sanitario».
L'art. 40 infine stabilisce che - ad eccezione delle sanzioni del
richiamo e dell'ammonizione (di competenza del direttore) - «Le altre
sanzioni sono deliberate dal consiglio di disciplina [...]».
2.4 A livello di normazione secondaria, l'art. 73 (Isolamento)
del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000 al secondo comma prevede: «L'isolamento continuo durante
l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attivita' in
comune e' eseguito in una camera ordinaria, a meno che il
comportamento del detenuto o dell'internato sia tale da arrecare
disturbo o da costituire pregiudizio per l'ordine e la disciplina.
Anche in tal caso, l'isolamento si esegue in locali con le
caratteristiche di cui all'art. 6 della legge». Il successivo terzo
comma prevede che «Ai detenuti e gli internati, nel periodo di
esclusione dalle attivita' in comune, di cui al comma 2, e' precluso
di comunicare con i compagni».
L'art. 77 (Infrazioni disciplinari e sanzioni) al primo comma
individua 21 diverse infrazioni disciplinari. Il terzo comma prevede
che «La sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune non puo'
essere inflitta per le infrazioni previste nei numeri da 1) a 8) del
comma 1, salvo che l'infrazione sia stata commessa nel termine di tre
mesi dalla commissione di una precedente infrazione della stessa
natura.».
I successivi articoli disciplinano l'applicazione in via
cautelare dei provvedimenti disciplinari, il procedimento
disciplinare, i rapporti con l'eventuale procedimento penale.
2.4 Dunque, in termini generali le norme sul trattamento
penitenziario prevedono come regola l'ammissione dei detenuti alla
vita in comune. Come ha rilevato la Corte di cassazione,
«l'isolamento del detenuto dal resto della popolazione carceraria
deve intendersi potenzialmente non ricompresa nell'ordinario
trattamento penitenziario, dovendo intendersi che la regola generale
sia quella dell'ammissione del condannato alla vita in comune onde
consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e il suo
recupero al contesto sociale ai sensi dell'art. 27 Cost., comma 3»
(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9300 del 2014).
Rispetto a tale regime generale la legge ha previsto alcune
eccezioni, tra cui - per quanto qui rileva - l'isolamento continuo
(diurno e notturno) connesso alla sanzione disciplinare
dell'esclusione dalle attivita' in comune ai sensi degli articoli 33,
comma 1, lettera b) e 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975.
Tale sanzione, prevista in relazione ad illeciti disciplinari
individuati dal regolamento. e' deliberata dal Consiglio di
disciplina.
In ragione delle possibili conseguenze negative sulla salute e
sul benessere dell'individuo, la legge prevede poi particolari
cautele da adottare e in particolare verifiche sanitarie circa la
sopportabilita' della misura, sia preventivamente sia in corso di
applicazione.
3. Non manifesta infondatezza. La violazione degli articoli 3 e 27,
comma 3, Cost.
3.1 La sanzione disciplinare della esclusione dalle attivita' in
comune - nella misura in cui isola il detenuto dalla comunita' degli
altri detenuti - pare contrastare con la funzione rieducativa della
pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione.
3.2 La Corte costituzionale ha in piu' pronunce sottolineato che
quella rieducativa non e' l'unica funzione cui deve assolvere la
pena, dovendo la stessa coesistere con altre funzioni. Ha pero'
affermato che «tale principio di armonica coesistenza deve ispirare
l'esercizio della discrezionalita' che in materia compete al
legislatore, le cui scelte risulteranno non irragionevoli e
rispettose del precetto dell'art. 27, terzo comma, della
Costituzione, allorquando, pur privilegiando l'una o l'altra delle
suddette finalita', il sacrificio che si arreca ad una di esse
risulti assolutamente necessario per il soddisfacimento dell'altra e,
comunque, purche' nessuna ne risulti obliterata (sentenze n. 257 del
2006 e n. 306 del 1993)» (sentenza n. 78 del 2007).
3.3 Con riguardo all'istituto in esame, benche' l'art. 36, legge
n. 354/1975 proclami che «Il regime disciplinare e' attuato in modo
da stimolare il senso di responsabilita' e la capacita' di
autocontrollo» e che «Nell'applicazione della sanzione si tiene conto
del programma di trattamento in corso», in realta' il contenuto della
sanzione in questione pare andare in direzione diametralmente opposta
rispetto alla finalita' rieducativa.
Posto che la rieducazione di cui al principio costituzionale non
e' la mera emenda interiore, ma anche e soprattutto la
risocializzazione, intesa come acquisizione (o riappropriazione) da
parte del condannato della capacita' di vivere in societa' nel
rispetto delle sue norme fondamentali, il legislatore ha
coerentemente previsto che il trattamento penitenziario abbia come
connotato di base l'ammissione del detenuto alla vita in comune,
volta a «consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e
il suo recupero al contesto sociale ai sensi dell'art. 27 Cost.,
comma 3» (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9300 del 2014).
3.4 In tale quadro l'isolamento a scopo disciplinare del
detenuto, sia pur temporaneo, realizzando una separazione coattiva
del medesimo dalla comunita' di cui fa parte, risulta contrastare con
la citata finalita' della pena e inserirsi in modo incoerente e
irragionevole nella disciplina del trattamento penitenziario.
Oltre a comportare seri rischi per la salute psicofisica del
detenuto - motivo per cui i vari organismi internazionali (tra cui
l'Organizzazione delle Nazioni Unite e il Consiglio d'Europa) hanno
formulato raccomandazioni in cui invitano gli Stati membri a fare uso
dell'isolamento penitenziario solo in casi eccezionali, per brevi
periodi e comunque monitorando lo stato di salute del detenuto
(analoghe indicazioni si rinvengono nella giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell'uomo) - l'isolamento nuoce alla
risocializzazione, pregiudicandola, dal momento che non consente ne'
i contatti con gli altri detenuti ne' la possibilita' di fruire di
quegli strumenti del trattamento penitenziario che implicano il
contatto con gli altri detenuti.
3.5 L'art. 33, legge n. 354/1975 fa salvo per il soggetto in
isolamento il diritto ad effettuare i colloqui visivi con i soggetti
autorizzati.
L'art. 73, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica
n. 230/2000 prevede inoltre espressamente contatti tra il detenuto in
isolamento e il personale penitenziario (medico, componente del
gruppo di osservazione e trattamento e personale del Corpo di polizia
penitenziaria).
Le norme di legge e regolamentari nulla prevedono espressamente
circa altri istituti del diritto penitenziario, come la
corrispondenza epistolare e i colloqui telefonici.
Trattandosi di istituti afferenti a diritti fondamentali, in
assenza di uno specifico divieto le norme possono interpretarsi in
modo costituzionalmente orientato, e cioe' nel senso che il diritto a
tali forme di comunicazione non sia inciso dall'isolamento continuo
disciplinare.
3.6 Tratto essenziale della sanzione dell'esclusione dalle
attivita' in comune, non suscettibile d'interpretazione conforme, e'
viceversa l'isolamento - materiale e coattivo - del sottoposto dal
resto dei detenuti (e cioe' dai suoi «pari», il rapporto coi quali e'
fondamentale per la risocializzazione).
In tal senso e' chiaro il termine «isolamento», che costituisce
il titolo dell'art. 33 della legge e dell'art. 73 del regolamento e
che ricorre piu' volte nel corpo degli stessi articoli, accompagnato
anche dal termine «continuo», cioe' sia diurno sia notturno (cosi'
differenziandosi da quello solo diurno previsto dall'art. 72 codice
penale).
Il regolamento, cui l'art. 33 della legge demanda la
specificazione delle modalita' di esecuzione dell'isolamento,
all'art. 73, comma 3 prevede che «Ai detenuti e gli internati, nel
periodo di esclusione dalle attivita' in comune, di cui al comma 2,
e' precluso di comunicare con i compagni».
3.7 Tale isolamento continuo dal resto dei detenuti non e' volto
ad assolvere ad una delle funzioni della pena costituzionalmente
ammesse.
Risponde viceversa ad una finalita' disciplinare, si' da
garantire - quale sanzione piu' grave tra quelle previste dall'art.
39, legge n. 354/1975 - il rispetto delle disposizioni che regolano
la vita penitenziaria.
Occorre tuttavia rilevare che il citato art. 39 prevede anche
altre sanzioni disciplinari sufficientemente afflittive e quindi tali
da poter assolvere adeguatamente alla funzione deterrente che e' loro
propria, senza incidere cosi' pesantemente su quel residuo di
liberta' che permane in capo a chi e' detenuto e che «e' tanto piu'
prezioso in quanto costituisce l'ultimo ambito nel quale puo'
espandersi la sua personalita' individuale» (sentenza della Corte
costituzionale n. 349 del 1993). Inoltre le stesse sanzioni
disciplinari possono esplicare un'efficacia dissuasiva, oltre che per
il contenuto loro proprio, anche per i relativi effetti riflessi
nell'ambito dei procedimenti per la concessione di licenze e permessi
e per l'ammissione a misure alternative (senza considerare che i
medesimi fatti che costituiscono infrazioni disciplinari spesso
integrano anche dei reati, perseguiti e puniti penalmente, e che la
giurisprudenza costante di legittimita' - sia che riconosca la natura
sostanzialmente penale della sanzione disciplinare, sia che la neghi
- esclude comunque che cio' comporti una violazione del principio del
ne bis in idem).
Ma oltre ad essere non necessaria (ben potendo le altre sanzioni
disciplinari assolvere adeguatamente alla funzione
dissuasiva/regolatoria), la sanzione dell'esclusione dalle attivita'
in comune pare scontare un vizio di base. Pare cioe' concepire la
partecipazione del detenuto alla vita in comune come un surplus
nell'interesse solo del detenuto stesso, che quindi puo' essere
(provvisoriamente) soppresso per sanzionare l'infrazione
disciplinare; detta partecipazione viceversa - in quanto componente
essenziale del trattamento rieducativo - risponde si' all'interesse
del detenuto, ma anche alla funzione istituzionale della pena e in
generale all'interesse dell'ordinamento a che il soggetto sia
effettivamente reinserito socialmente (affinche' non commetta nuovi
reati).
4. Non manifesta infondatezza. La violazione degli articoli 32 e 3
Cost.
4.1 Gli studi scientifici ormai da parecchio tempo hanno
evidenziato i rischi che l'isolamento carcerario comporta per la
salute psicofisica del detenuto che vi sia sottoposto.
Cio' ha portato varie istituzioni internazionali ad elaborare
standards, raccomandazioni, linee guida in cui il ricorso
all'isolamento e' sconsigliato e comunque limitato a casi
eccezionali: in tal senso le c.d. Mandela rules elaborate nell'ambito
delle Nazioni Unite, ma anche le c.d. regole penitenziarie europee,
che prevedono una pluralita' di cautele a tutela della salute umana
(la previsione una durata massima di quindici giorni, la non
applicazione del regime d'isolamento a donne in stato di gravidanza e
minori, il monitoraggio costante delle condizioni di salute del
detenuto sottoposto all'isolamento, la sospensione dell'isolamento in
caso di deterioramento delle condizioni di salute mentali o fisiche
del detenuto. ecc.).
4.2 Lo stesso legislatore italiano ha implicitamente riconosciuto
l'esistenza di un rischio significativo per la salute del detenuto
allorche' all'art. 39, legge n. 354/1975 ha previsto che «La sanzione
della esclusione dalle attivita' in comune non puo' essere eseguita
senza la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante
che il soggetto puo' sopportarla» e che «Il soggetto escluso dalle
attivita' in comune e' sottoposto a costante controllo sanitario» (ha
inoltre disposto che «L'esecuzione della sanzione della esclusione
dalle attivita' in comune e' sospesa nei confronti delle donne
gestanti e delle puerpere fino a sei mesi, e delle madri che
allattino la propria prole fino ad un anno».
Vi e' allora da chiedersi se sia costituzionalmente legittimo
esporre un detenuto per fini disciplinari ad un rischio apprezzabile
per la relativa salute.
Ad avviso di questo scrivente, la disciplina censurata contrasta
con la norma di cui all'art. 32 della Costituzione.
4.3 Premesso che la censura concerne unicamente l'isolamento
quale sanzione disciplinare, la consapevole esposizione di un
soggetto (della cui custodia e del cui stato di salute
l'amministrazione penitenziaria ha la responsabilita') ad un rischio
per la relativa salute non pare potersi giustificare con una
finalita' disciplinare, essendo la misura eccessiva rispetto a tale
finalita'.
4.4 Ne' la circostanza che l'esecuzione della sanzione
disciplinare sia accompagnata da talune cautele vale a scongiurare il
rischio in questione: il monitoraggio sulla salute psichica del
detenuto proprio per la natura del disagio non consente infatti una
rilevazione immediata dell'insorgere della criticita' o del
deterioramento delle condizioni, spesso emergendo questi dati solo a
seguito delle manifestazioni esteriori, che talora hanno modalita'
drammatiche quando non tragiche.
4.5 A maggior ragione la finalita' disciplinare non pare poter
giustificare l'esposizione ad un rischio per la salute ove si
consideri, da un lato, che la sanzione disciplinare in questione non
e' priva di alternative, gia' prevedendo l'ordinamento ulteriori
sanzioni disciplinari che non mettono in pericolo la salute del
detenuto, e, dall'altro, che per i fatti piu' gravi vi e' comunque
l'ulteriore presidio del diritto penale.
5. Non manifesta infondatezza. La violazione dell'art. 15 Cost.
5.1 L'art. 15 della Costituzione al primo comma prevede che «La
liberta' e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma
di comunicazione sono inviolabili».
Oggetto dell'attenzione della Corte costituzionale sono state
spesso la corrispondenza epistolare, le comunicazioni telefoniche e -
piu' recentemente - anche le forme di comunicazione cui hanno dato
accesso le piu' moderne innovazioni tecnologiche (posta elettronica,
messaggistica istantanea, ecc.).
Il principio affermato dall'art. 15 Cost. ha pero' riguardo ad
ogni forma di comunicazione: come anche recentemente affermato dalla
Corte costituzionale «la tutela accordata dall'art. 15 Cost. - che
assicura a tutti i consociati la liberta' e la segretezza "della
corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione", consentendone
la limitazione "soltanto per atto motivato dell'autorita' giudiziaria
con le garanzie stabilite dalla legge" - prescinde dalle
caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della
trasmissione del pensiero [...]. La garanzia si estende, quindi, ad
ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a
fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti
al momento del varo della Carta costituzionale» (sentenza n. 170 del
2023).
In particolare, qui rileva la liberta' di comunicazione in
presenza, cioe' la forma piu' basilare di comunicazione tra esseri
umani: sia quella verbale, sia quella attraverso comportamenti di
tipo comunicativo (cui ha fatto riferimento la Corte costituzionale,
ad esempio, nella sentenza n. 135 del 2002).
5.2 L'art. 15, comma 2 della Costituzione prevede che la
limitazione della liberta' e della segretezza della corrispondenza e
di ogni altra forma di comunicazione «puo' avvenire soltanto per atto
motivato dell'autorita' giudiziaria con le garanzie stabilite dalla
legge».
Rileva qui la limitazione della liberta' di comunicazione in
presenza del detenuto che si determina con la sanzione disciplinare
della esclusione dalle attivita' in comune.
In particolare, le norme qui censurate non paiono rispettare ne'
la riserva di giurisdizione, ne' la riserva di legge.
5.3 La citata sanzione disciplinare realizza una limitazione
della liberta' di comunicazione.
E' bene rilevare in proposito che non si tratta di una
limitazione normalmente conseguente alla restrizione della liberta'
personale implicita nell'esecuzione della pena detentiva (come, ad
esempio, l'impossibilita' di una comunicazione gestuale coi detenuti
ristretti in una diversa camera di detenzione dopo l'orario di
chiusura delle camere), ne' di una limitazione conseguente alle
normali regole di una vita in comunita' (come, ad esempio, il divieto
di fare rumore in orario notturno).
Al contrario, la limitazione (o meglio soppressione) della
liberta' di comunicazione con gli altri detenuti costituisce lo scopo
precipuo e il contenuto principale della sanzione disciplinare in
questione.
Lo stesso concetto di isolamento (continuo) postula la
segregazione di chi vi sia sottoposto rispetto agli altri membri
della comunita'.
Il divieto di comunicazione e' poi espressamente previsto
dall'art. 73, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000 («Ai detenuti e gli internati, nel periodo di esclusione
dalle attivita' in comune, di cui al comma 2, e' precluso di
comunicare con i compagni») e, tra l'altro, la violazione di tale
divieto ai sensi dell'art. 77, comma 1, n. 9 dello stesso decreto del
Presidente della Repubblica n. 230/2000 costituisce un'infrazione
disciplinare anch'essa suscettibile di essere sanzionata con
l'esclusione dalle attivita' in comune (ai sensi dell'art. 77, comma
3).
E' bene peraltro sottolineare che non viene qui in esame un caso
di illiceita' del regolamento per contrasto con le previsioni di
legge. Al contrario la norma regolamentare e' coerentemente attuativa
della norma di legge (di cui si censura la legittimita'
costituzionale) che prevede l'isolamento continuo del detenuto cui
sia applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune, demandando al regolamento (senza peraltro
prevedere criteri precisi) la specificazione delle modalita' di
esecuzione dell'isolamento.
Del resto, la Corte - nel valutare la legittimita' costituzionale
di una norma di legge - ha in talune occasioni avuto riguardo alle
«specificazioni espresse dalla normativa regolamentare, i cui
contenuti integrano il precetto della norma primaria», in quanto «il
rapporto che cosi' si determina tra la legge e la fonte secondaria,
che ne concretizza un preciso significato, consente lo scrutinio di
costituzionalita'» della norma di legge (sentenza n. 456 del 1994,
poi richiamata dalle sentenze n. 34 del 2011, n. 242 del 2014 e n.
224 del 2018).
Infine, occorre rilevare che la limitazione della liberta' di
comunicazione del detenuto sottoposto all'isolamento continuo e'
perseguita dall'amministrazione penitenziaria - in attuazione della
norma di legge e della norma regolamentare - anche attraverso
appositi accorgimenti materiali, quali in particolare la chiusura del
«blindo» (che invano l'attuale imputato chiedeva fosse lasciato
«socchiuso quantomeno per un po' di tempo durante il giorno»). La
Corte di cassazione nella sentenza n. 9300 del 2014 - sia pur con
riferimento all'isolamento diurno previsto dall'art. 72 codice penale
come sanzione penale aggiuntiva rispetto all'ergastolo - ha affermato
che l'apertura del «blindo» svuoterebbe di contenuto la norma che
prevede l'isolamento.
5.4 Non risulta rispettata la riserva di giurisdizione prevista
dall'art. 15 Cost., in ragione della quale la liberta' di
comunicazione puo' essere limitata solo in presenza di un
provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria.
Il provvedimento applicativo della sanzione non e' infatti
adottato dall'autorita' giudiziaria, ma dal Consiglio di disciplina
(composto, ai sensi dell'art. 40, legge n. 354/1975, dal direttore,
dall'educatore e da un professionista esperto in psicologia,
pedagogia, ecc.).
Ne', perche' sia rispettata la riserva di giurisdizione, e'
sufficiente la possibilita' di impugnare il provvedimento del
Consiglio di disciplina dinanzi alla Magistratura di sorveglianza: la
Corte costituzionale nella sentenza n. 2 del 2023, richiamando il
proprio precedente di cui alla sentenza n. 419 del 1994, ha infatti
affermato che gia' quella sentenza di accoglimento «ha avuto cura di
precisare l'ininfluenza, ai fini del rispetto della riserva di
giurisdizione, dell'eventuale previsione di un riesame del giudice,
su iniziativa dell'interessato. Gia' in quell'occasione, fu osservata
la natura meramente eventuale di questo vaglio, attivabile su impulso
del destinatario della misura. Cio' va ribadito nell'odierna
questione: quel che conta, ai fini del rispetto della riserva di
giurisdizione costituzionalmente imposta, e' la titolarita' del
potere di decidere, direttamente e definitivamente, la misura stessa.
Se tale potere e' conferito ad un'autorita' non giudiziaria, nessun
riferimento ad una "fattispecie a formazione progressiva", sulla base
della previsione di un eventuale, successivo intervento del giudice,
puo' emendare il vizio di legittimita' costituzionale».
5.5 Ad avviso di chi scrive, la violazione della riserva di
giurisdizione (cosi' come le altre violazioni parimenti denunciate)
rende costituzionalmente illegittimo l'intero istituto
dell'esclusione dalle attivita' in comune.
In subordine, si chiede alla Corte costituzionale di dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 40, legge n. 354/1975 nella
parte in cui, in relazione alla sanzione disciplinare dell'esclusione
dalle attivita' in comune prevede che a deliberarla sia il Consiglio
di disciplina anziche' prevedere che a deliberarla sia, su proposta
del direttore dell'istituto: (a) nei confronti dei condannati e degli
internati, il magistrato di sorveglianza; b) nei confronti degli
imputati, il giudice indicato nell'articolo 279 del codice di
procedura penale; cio' secondo la disciplina adeguata gia'
rinvenibile nell'ordinamento a proposito della limitazione alla
liberta' di comunicazione prevista dall'art. 18-ter, legge n.
354/1975.
5.6 La disciplina di cui agli articoli 33, 38 e 39, legge n.
354/1975 pare violare altresi' la riserva di legge prevista dall'art.
15 della Costituzione.
In piu' pronunce la Corte costituzionale ha affermato il
carattere assoluto della riserva di legge di cui all'art. 15 della
Costituzione: recentemente nelle sentenze n. 20 del 2017 e n. 2 del
2023.
In violazione di tale riserva, nel caso di specie la legge si
limita all'art. 39 a prevedere la sanzione disciplinare
dell'esclusione dalle attivita' in comune, demandando viceversa (art.
38, comma 1) interamente al regolamento l'individuazione delle
infrazioni disciplinari e cioe' dei casi in cui la sanzione in
questione puo' essere deliberata, cio' che dovrebbe costituire la
prima garanzia ad essere individuata dalla legge. Si deve peraltro
incidentalmente rilevare che le previsioni del regolamento in
proposito sono anche in taluni casi molto generiche (ad esempio
l'art. 77, comma 1 del regolamento al n. 16 prevede come infrazione
l'«inosservanza di ordini o prescrizioni o ingiustificato ritardo
nell'esecuzione di essi»).
Anche il procedimento per l'applicazione della sanzione e'
disciplinato nei dettagli non dalla legge - che all'art. 38, comma 2
si limita a fissare i principi dell'obbligo di motivazione, della
previa contestazione dell'addebito e del diritto di difesa - ma dagli
articoli 78 e ss. del regolamento.
6. Ulteriori rilievi
6.1 Considerato il dato testuale delle norme censurate, non
paiono percorribili interpretazioni conformi delle norme ora
censurate agli articoli 3, 27 comma 3 e 15 della Costituzione, chiaro
e univoco essendo il dato normativo.
6.2 Qualora fosse accolta la questione qui sollevata in via
principale, ad avviso di questo giudice occorrerebbe in via
consequenziale dichiarare l'illegittimita' costituzionale altresi'
degli articoli 39, commi 2 e 3, dell'art. 10, comma 4 e dell'art. 69,
comma 6, legge n. 354/1975, nella parte in cui fanno riferimento alla
sanzione della esclusione dalle attivita' in comune.
P. Q. M.
Visti gli articoli 134 Cost., 23 ss. legge n. 87/1953,
ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata,
Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale delle
norme di cui agli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1, n.
5, legge n. 354/1975,
per violazione degli articoli 3, 27 comma 3, 32 e 15 della
Costituzione;
e in subordine
Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale della
norma di cui all'art. 40, legge n. 354/1975 nella parte in cui, in
relazione alla sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita'
in comune, prevede che a deliberarla sia il Consiglio di disciplina
anziche' prevedere che a deliberarla sia, su proposta del direttore
dell'istituto: (a) nei confronti dei condannati e degli internati, il
magistrato di sorveglianza; b) nei confronti degli imputati, il
giudice indicato nell'art. 279 del codice di procedura penale,
per violazione dell'art. 15 della Costituzione.
Sospende il giudizio in corso, ed i relativi termini di
prescrizione giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della
presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della
documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso.
Manda alla cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo
processuale alla Corte costituzionale.
Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23, comma 4, legge n.
87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e che,
pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono
considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5 del codice di porcedura
penale.
Firenze, 26 maggio 2025
Il Giudice: Attina'
Oggetto:
Ordinamento penitenziario – Sanzioni disciplinari – Previsione della sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune e applicazione dell’isolamento continuo - Violazione del principio della finalità rieducativa della pena intesa anche come finalità di risocializzazione del condannato – Incidenza sulla salute psicofisica del detenuto – Lesione della tutela della salute – Limitazione della libertà della comunicazione ad opera del Consiglio di disciplina e non per provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria – Violazione del principio di riserva di giurisdizione.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 33, comma 1, lettera b), e 39, comma 1, numero 5.
- Costituzione, artt. 3, 15, 27, terzo comma, e 32.
In subordine: Ordinamento penitenziario – Sanzioni disciplinari – Autorità competente a deliberare le sanzioni – Sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune - Previsione che a deliberare tale sanzione disciplinare sia il Consiglio di disciplina anziché, su proposta del direttore dell’istituto, il magistrato di sorveglianza nei confronti dei condannati e degli internati e il giudice indicato nell’art. 279 cod. proc. pen. nei confronti degli imputati - Violazione del principio di riserva di giurisdizione.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 40.
- Costituzione, art. 15.
Norme impugnate:
legge del 26/07/1975 Num. 354 Art. 33 Co. 1
legge del 26/07/1975 Num. 354 Art. 39 Co. 1
legge del 26/07/1975 Num. 354 Art. 40
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 15 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 3
Costituzione Art. 32 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 141 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 maggio 2025 Ordinanza del 26 maggio 2025 del Tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di D. K.. Ordinamento penitenziario - Sanzioni disciplinari - Previsione della sanzione disciplinare della esclusione dalle attivita' in comune e applicazione dell'isolamento continuo. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), artt. 33, comma 1, lettera b), e 39, comma 1, numero 5. In subordine: Ordinamento penitenziario - Sanzioni disciplinari - Autorita' competente a deliberare le sanzioni - Sanzione disciplinare della esclusione dalle attivita' in comune - Previsione che a deliberare tale sanzione disciplinare sia il Consiglio di disciplina anziche', su proposta del direttore dell'istituto, il magistrato di sorveglianza nei confronti dei condannati e degli internati e il giudice indicato nell'art. 279 cod. proc. pen. nei confronti degli imputati. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 40. (GU n. 34 del 20-08-2025) TRIBUNALE DI FIRENZE Prima Sezione penale Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di D. K., nato in ... il ...; elettiv. domiciliato presso l'avv. Costanza Malaerba, del Foro di Prato; detenuto per altra causa, rinunciante a comparire; difeso dall'avv. di fiducia Costanza Malerba del Foro di Prato; imputato in ordine al seguente reato: delitto previsto e punito dall'art. 99, 424, comma 1 del codice penale perche', al fine di danneggiare la cosa altrui, all'interno della Casa circondariale di ..., facendo sorgere un concreto pericolo di incendio, appiccava il fuoco ad un materasso e ad un cuscino. Con l'aggravante della recidiva infraquinquennale. Fatti commessi in ..., in data ... sentite le parti; premesso che: con decreto del pubblico ministero emesso il 15 novembre 2023 D. K. era citato a giudizio per il delitto di danneggiamento seguito da pericolo d'incendio di cui all'art. 424, comma 1, c.p.; all'udienza predibattimentale odierna le parti illustravano le rispettive conclusioni. In particolare, il pubblico ministero chiedeva la prosecuzione del giudizio; il difensore chiedeva sentenza di non luogo a procedere; rilevato che: A) in base agli atti d'indagine, in data ... verso le ore ..., mentre era detenuto a titolo definitivo presso la Casa circondariale di ... - e precisamente mentre si trovava nella camera ... del ..., in regime di isolamento in esecuzione della sanzione dell'esclusione dalle attivita' comuni - l'imputato appiccava il fuoco al materasso e al cuscino in dotazione della sua camera di detenzione. Gli agenti ... e ... della Polizia penitenziaria spegnevano le fiamme con l'uso di un idrante. Successivamente, alle ore ... circa, il prevenuto tentava il suicidio, cercando di impiccarsi: creava una corda con un lenzuolo e legava un'estremita' intorno al proprio collo e l'altra estremita' alla base del supporto del televisore. L'evento letale era scongiurato grazie al pronto intervento dei citati agenti della Polizia penitenziaria, che sorreggevano e liberavano il detenuto dal cappio; lo poggiavano poi per terra in attesa dell'intervento dei sanitari. Il predetto era accompagnato in infermeria. Terminata la visita, gli operatori riaccompagnavano D. in cella; in tale frangente, alla presenza anche dell'ispettore ..., egli insultava gli operatori e affermava di voler andare via dall'isolamento («Voglio andare via dall'isolamento voglio ritornare al penale»). Il medico dott.ssa ..., alle ore ..., cosi sintetizzava anamnesi e diagnosi: «Si visita il pz in quanto mi riferiscono che ha messo in atto un gesto autolesivo. Infatti mi riferiscono che avrebbe creato una corda con le lenzuola, l'avrebbe avvolta intorno al collo e avrebbe tentato di impiccarsi. Mi riferiscono che prontamente hanno tagliato la corda e sarebbero intervenuti per arreggerlo. Si visita il pz che presenta una parziale barriera linguistica, si presenta vigile, orientato e collaborante, PV in ordine. Riferisce di aver messo in atto tale gesto a scopo dimostrativo in quanto soffre del fatto che il blindo della cella rimanga chiuso giorno e notte. Infatti il pz si trova attualmente allocato presso questo reparto per isolamento disciplinare ed e' previsto dal regolamento penitenziario che il blindo resti chiuso. Il pz chiede che venga tenuto socchiuso quantomeno per un po' di tempo durante il giorno. Alla visita il pz presenta lieve rossore al livello della base del collo anteriormente, no altre lesioni a livello del collo posteriormente. Non presenta altre lesioni acute obiettivabili e riferisce attualmente benessere». Lo stesso giorno il medico di cure primarie dott.ssa ... - in sede di valutazione del rischio suicidiario - disponeva la convocazione dello staff multidisciplinare e l'attenzionamento con urgenza del detenuto. Certificava infine la non idoneita' al mantenimento dell'isolamento. Lo staff multidisciplinare, infine, confermava la non idoneita' all'isolamento e decideva di interrompere lo stesso e di riassociare il D. al reparto di provenienza. Per i fatti del ... all'imputato in data ... era applicata la sanzione disciplinare dell'ammonizione. B) in base ai citati atti d'indagine, i fatti ora ascritti all'imputato dovrebbero riqualificarsi piu' correttamente come danneggiamento di beni destinati a pubblico servizio ex art. 635, comma 2 c.p. Si deve infatti escludere la qualificazione come danneggiamento seguito da (pericolo di) incendio, che «richiede come elemento costitutivo, il sorgere di un pericolo di incendio, sicche' non e' ravvisabile qualora il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che da esso non possa sorgere detto pericolo» (cosi' Cassazione Sez. 2, sentenza n. 47415 del 17 ottobre 2014 Rv. 260832 - 01, richiamata anche da Cassazione Sez. 2, sentenza n. 4183 del 2022). Nel caso di specie, per l'appunto, in ragione delle modalita' e dell'oggetto della condotta e del relativo contesto spaziale, non vi era pericolo che potesse sorgere un incendio: gli oggetti cui il fuoco era appiccato erano di dimensioni modeste; nell'ambiente circostante non vi erano verosimilmente oggetti o materiali cui il fuoco potesse propagarsi facilmente (i materiali maggiormente presenti nelle camere detentive sono il cemento e il metallo; in ogni caso, in atti non vi e' una descrizione degli elementi cui il fuoco avrebbe potuto propagarsi); il fuoco e' stato spento agevolmente e velocemente dagli agenti della Polizia penitenziaria; quand'anche non vi fosse stato l'intervento tempestivo della Polizia penitenziaria (comunque prevedibile e non integrante un fattore eccezionale sopravvenuto), si deve ritenere probabile che le fiamme - all'esito della combustione degli oggetti cui il fuoco era stato appiccato - si sarebbero estinte da sole, senza alcun rischio che le stesse si diffondessero. Rispetto ai citati beni di proprieta' dell'amministrazione, esistenti in uno stabilimento pubblico (la Casa circondariale) e destinati a pubblico servizio (il corredo della cella necessario per renderla concretamente fruibile), il fatto dovrebbe percio' essere riqualificato come danneggiamento ai sensi dell'art. 635, comma 2 codice penale (piu' precisamente art. 635, comma 2, n. 1 codice penale in relazione all'art. 625, n. 7 c.p.). C) ai fini della decisione circa la prosecuzione del giudizio o, viceversa, l'adozione di una sentenza di non luogo a procedere per la sussistenza di una causa di giustificazione o di una causa di non punibilita', pare necessario il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale degli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975 (e in subordine dell'art. 40, legge n. 354/1975); Cio' premesso, osserva 1. Rilevanza della questione. 1.1 La questione che s'intende portare all'attenzione della Corte costituzionale concerne la legittimita' costituzionale della sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune di cui agli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39 comma 1, n. 5, legge n. 354/1975. 1.2 Nel momento in cui ha posto in essere la condotta delittuosa in contestazione. Al momento dei fatti oggetto del presente giudizio l'imputato - detenuto in carcere a titolo definitivo - era per l'appunto sottoposto alla sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune. 1.3 Dagli atti d'indagine non emerge ne' da quanto tempo ne' in ragione di quale illecito disciplinare il predetto fosse sottoposto alla citata sanzione disciplinare. Le peculiarita' della presente fase processuale - l'udienza predibattimentale, nel corso della quale ai sensi dell'art. 554-ter codice di procedura penale il giudice non dispone di poteri istruttori e, in assenza di richiesta di riti alternativi, puo' pronunciare sentenza di non luogo a procedere oppure fissare per la prosecuzione del giudizio la data dell'udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso - non consentono a questo giudice di acquisire ulteriori elementi al riguardo. D'altro canto, ad avviso dello scrivente, non si tratta di elementi decisivi ai fini della presente questione di legittimita' costituzionale. 1.4 Da un lato, infatti, dagli atti del fascicolo non emergono elementi che inducano anche solo a sospettare che la citata sanzione disciplinare fosse stata applicata all'imputato in violazione di legge ordinaria o di regolamento, ne' le parti hanno dedotto alcunche' in proposito. Dall'altro, e' la stessa disciplina della legge ordinaria che s'intende qui censurare, per violazione di plurimi parametri costituzionali. 1.5 Dagli atti emerge che l'imputato ha posto in essere i fatti di danneggiamento (mediante il fuoco) in contestazione in stretta correlazione con la condizione d'isolamento - per effetto della citata sanzione disciplinare - cui era sottoposto. Piu' precisamente, dalla condotta autolesionistica posta in essere nell'immediatezza, dalle frasi pronunciate subito dopo e dal contenuto del colloquio con il medico (come da quest'ultimo sintetizzato), emerge chiaramente che il predetto ha posto in essere sia i fatti di danneggiamento sia il successivo tentato suicidio per sottrarsi alla condizione d'isolamento che riteneva insopportabile. 1.6 Tale ricostruzione conduce a ritenere essenziale ai fini del decidere la questione circa la legittimita' (costituzionale) della citata sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune. Ove infatti la disciplina dell'esclusione dalle attivita' in comune fosse dichiarata incostituzionale, si dovrebbe ritenere illegittima la restrizione in regime d'isolamento del prevenuto e, conseguentemente, che i diritti soggettivi del medesimo (in particolare alla liberta' di comunicazione con gli altri detenuti e alla fruizione dell'ordinario regime trattamentale) fossero illecitamente compressi. In tale situazione, si dovrebbe ritenere che il medesimo - nel danneggiare i beni dell'amministrazione penitenziaria per reagire e porre fine all'offesa ingiusta in essere, il regime d'isolamento applicatogli - abbia agito in condizione di legittima difesa, quanto meno putativa. 1.7 Detta causa di giustificazione normalmente viene in rilievo in relazione ad offese ingiuste poste in essere da singoli individui o da gruppi di individui. Il dato normativo non pare pero' di per se' ostare alla relativa applicazione anche in relazione ad offese ingiuste realizzate dalle istituzioni, ivi comprese le istituzioni statali nell'esercizio di poteri autoritativi. Quanto alla valutazione circa la sussistenza dei requisiti della citata causa di giustificazione, si deve rilevare che concretamente - e per quanto poteva apprezzare l'imputato, cittadino straniero privo (a quanto risulta) di competenze giuridiche - egli non aveva a disposizione altri strumenti per porre fine alla condizione d'isolamento. Anche il ricorso alla Magistratura di sorveglianza (che pur avrebbe potuto sollevare una questione di legittimita' costituzionale) non avrebbe portato ad un risultato a breve termine, laddove l'esasperazione del predetto era tale da indurlo prima a compiere i fatti in contestazione e poi a compiere un grave atto di autolesionismo. Se e' vero poi che il semplice danneggiamento di per se' non era strettamente idoneo a porre termine alla condizione d'isolamento e quindi all'offesa (in ipotesi) ingiusta, si deve ritenere che agli occhi del medesimo - nella peculiare prospettiva legata alla situazione in cui si trovava - apparisse idonea. Sussiste inoltre il requisito della proporzione tra offesa e difesa, confrontando con giudizio ex ante i mezzi usati e quelli a disposizione dell'aggredito nonche' i beni giuridici in conflitto (cfr. Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 32414 del 24 settembre 2020 Rv. 279777 - 01): da un lato egli non aveva altri strumenti utili a disposizione nell'immediatezza; dall'altro ad essere compressi erano beni giuridici strettamente personali, laddove la condotta posta in essere ledeva in minima parte il patrimonio e turbava in misura modesta le funzioni dell'amministrazione penitenziaria. 1.8 Si profila anche un ulteriore motivo di rilevanza. Quand'anche si dovesse ritenere non sussistente la scriminante della legittima difesa, neppure in termini putativi, la illegittimita' della sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune e quindi del connesso regime di isolamento potrebbe rilevare ai fini della particolare tenuita' del fatto ex art. 131-bis c.p. In proposito, il danneggiamento in contestazione - avulso dal particolare contesto in cui si e' consumato - non integrerebbe un'offesa al bene giuridico protetto di particolare tenuita': non tanto per l'esiguo valore dei beni materiali danneggiati (materasso e cuscino), quanto per il disordine creato all'interno della sezione della Casa circondariale e il necessario utilizzo dell'idrante, con il successivo dispiego di risorse anche per ripristinare le condizioni della camera di detenzione. Considerando tuttavia il peculiare contesto della sottoposizione ad un regime di isolamento continuo disciplinare e le motivazioni sottostanti alla condotta delittuosa (la volonta' di porre fine a quel regime oppressivo), tali aspetti - ove quel regime fosse dichiarato costituzionalmente illegittimo - assumerebbero un peso preponderante nell'ambito della valutazione complessiva della fattispecie concreta al fine di valutare la gravita' dell'offesa, rendendo l'offesa di particolare tenuita'. Nell'ambito della citata valutazione complessiva il disservizio cagionato assumerebbe infatti un importanza minimale se comparato alla sottoposizione del detenuto ad un regime di isolamento continuo illegittimo e alla necessita' che lo stesso avesse termine. Sussisterebbero anche gli ulteriori requisiti della causa di non punibilita' ex art. 131-bis codice penale. Il reato di danneggiamento (ma anche quello contestato ex art. 424, comma 1 c.p.) rientra infatti in ragione della cornice edittale nell'ambito di applicazione del citato istituto. Il comportamento non e' abituale: il certificato penale dell'imputato evidenzia soltanto un precedente per rapina e resistenza a pubblico ufficiale, reati commessi entrambi l'8 maggio 2022, data anche dell'arresto del prevenuto, a partire dalla quale egli e' stato ininterrottamente detenuto (in base al certificato del D.A.P. in atti). Poiche' trattasi di un unico precedente e poiche' il fatto ora in esame sarebbe per il contesto molto particolare - del tutto occasionale, il comportamento non potrebbe ritenersi abituale. Non sussistono altre ragioni ostative all'applicazione della causa di non punibilita'. 2. La sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune 2.1 Le norme di cui agli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975, nel prevedere la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune, paiono contrastare con i principi di cui agli articoli 3, 27 comma 3, 32 e 15 della Costituzione. Pare opportuno premettere una sintetica ricostruzione della disciplina dell'istituto. 2.2 Il trattamento penitenziario - la legge n. 354/1975 lo afferma fin dall'art. 1, comma 2 - «tende, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale ed e' attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni degli interessati». Numerose sono poi le disposizioni della medesima legge che riguardano lo svolgimento di attivita' in comune tra i detenuti, aspetto centrale del trattamento penitenziario proprio in funzione della risocializzazione cui deve mirare la pena. Cosi' l'art. 6, comma 2, legge n. 354/1975 stabilisce che «le aree residenziali devono essere dotate di spazi comuni al fine di consentire ai detenuti e agli internati una gestione cooperativa della vita quotidiana nella sfera domestica». Il successivo terzo comma prevede che «I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o piu' posti». L'art. 10, comma 4, prevede che «La permanenza all'aria aperta e' effettuata in gruppi a meno che non ricorrano i casi indicati nell'art. 33, e nei numeri 4) e 5) dell'art. 39 [...]». Ai sensi dell'art. 12, comma 1 «Negli istituti penitenziari, secondo le esigenze del trattamento, sono approntate attrezzature per lo svolgimento di attivita' lavorative, di istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali e di ogni altra attivita' in comune.». L'art. 14, comma 3, stabilisce che «L'assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli istituti e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto sono disposti con particolare riguardo alla possibilita' di procedere a trattamento rieducativo comune [...]». L'art. 15, comma 1, prevede che «Il trattamento del condannato e dell'internato e' svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, della formazione professionale, del lavoro, della partecipazione a progetti di pubblica utilita', della religione, delle attivita' culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia». Ai sensi dell'art. 17, comma 1 «La finalita' del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all'azione rieducativa.». L'art. 18, comma 1 stabilisce che «I detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, anche al fine di compiere atti giuridici». 2.3 Nel suddetto quadro l'art. 33 (Isolamento) della legge n. 354/1975 prevede: «1. Negli istituti penitenziari l'isolamento continuo e' ammesso: a) quando e' prescritto per ragioni sanitarie; b) durante l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attivita' in comune; c) per gli indagati e imputati se vi sono ragioni di cautela processuale; il provvedimento dell'autorita' giudiziaria competente indica la durata e le ragioni dell'isolamento. 2. Il regolamento specifica le modalita' di esecuzione dell'isolamento. 3. Durante la sottoposizione all'isolamento non sono ammesse limitazioni alle normali condizioni di vita, ad eccezione di quelle funzionali alle ragioni che lo hanno determinato. 4. L'isolamento non preclude l'esercizio del diritto di effettuare colloqui visivi con i soggetti autorizzati.» Il successivo art. 38 (Infrazioni disciplinari) stabilisce che «I detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto che non sia espressamente previsto come infrazione dal regolamento». L'art. 39 (Sanzioni disciplinari) al primo comma elenca le sanzioni disciplinari, tra cui al n. 5 quella, piu' grave, della esclusione dalle attivita' in comune per non piu' di quindici giorni; il successivo secondo comma prevede: «La sanzione della esclusione dalle attivita' in comune non puo' essere eseguita senza la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il soggetto puo' sopportarla. Il soggetto escluso dalle attivita' in comune e' sottoposto a costante controllo sanitario». L'art. 40 infine stabilisce che - ad eccezione delle sanzioni del richiamo e dell'ammonizione (di competenza del direttore) - «Le altre sanzioni sono deliberate dal consiglio di disciplina [...]». 2.4 A livello di normazione secondaria, l'art. 73 (Isolamento) del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 al secondo comma prevede: «L'isolamento continuo durante l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attivita' in comune e' eseguito in una camera ordinaria, a meno che il comportamento del detenuto o dell'internato sia tale da arrecare disturbo o da costituire pregiudizio per l'ordine e la disciplina. Anche in tal caso, l'isolamento si esegue in locali con le caratteristiche di cui all'art. 6 della legge». Il successivo terzo comma prevede che «Ai detenuti e gli internati, nel periodo di esclusione dalle attivita' in comune, di cui al comma 2, e' precluso di comunicare con i compagni». L'art. 77 (Infrazioni disciplinari e sanzioni) al primo comma individua 21 diverse infrazioni disciplinari. Il terzo comma prevede che «La sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune non puo' essere inflitta per le infrazioni previste nei numeri da 1) a 8) del comma 1, salvo che l'infrazione sia stata commessa nel termine di tre mesi dalla commissione di una precedente infrazione della stessa natura.». I successivi articoli disciplinano l'applicazione in via cautelare dei provvedimenti disciplinari, il procedimento disciplinare, i rapporti con l'eventuale procedimento penale. 2.4 Dunque, in termini generali le norme sul trattamento penitenziario prevedono come regola l'ammissione dei detenuti alla vita in comune. Come ha rilevato la Corte di cassazione, «l'isolamento del detenuto dal resto della popolazione carceraria deve intendersi potenzialmente non ricompresa nell'ordinario trattamento penitenziario, dovendo intendersi che la regola generale sia quella dell'ammissione del condannato alla vita in comune onde consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e il suo recupero al contesto sociale ai sensi dell'art. 27 Cost., comma 3» (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9300 del 2014). Rispetto a tale regime generale la legge ha previsto alcune eccezioni, tra cui - per quanto qui rileva - l'isolamento continuo (diurno e notturno) connesso alla sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune ai sensi degli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975. Tale sanzione, prevista in relazione ad illeciti disciplinari individuati dal regolamento. e' deliberata dal Consiglio di disciplina. In ragione delle possibili conseguenze negative sulla salute e sul benessere dell'individuo, la legge prevede poi particolari cautele da adottare e in particolare verifiche sanitarie circa la sopportabilita' della misura, sia preventivamente sia in corso di applicazione. 3. Non manifesta infondatezza. La violazione degli articoli 3 e 27, comma 3, Cost. 3.1 La sanzione disciplinare della esclusione dalle attivita' in comune - nella misura in cui isola il detenuto dalla comunita' degli altri detenuti - pare contrastare con la funzione rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione. 3.2 La Corte costituzionale ha in piu' pronunce sottolineato che quella rieducativa non e' l'unica funzione cui deve assolvere la pena, dovendo la stessa coesistere con altre funzioni. Ha pero' affermato che «tale principio di armonica coesistenza deve ispirare l'esercizio della discrezionalita' che in materia compete al legislatore, le cui scelte risulteranno non irragionevoli e rispettose del precetto dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, allorquando, pur privilegiando l'una o l'altra delle suddette finalita', il sacrificio che si arreca ad una di esse risulti assolutamente necessario per il soddisfacimento dell'altra e, comunque, purche' nessuna ne risulti obliterata (sentenze n. 257 del 2006 e n. 306 del 1993)» (sentenza n. 78 del 2007). 3.3 Con riguardo all'istituto in esame, benche' l'art. 36, legge n. 354/1975 proclami che «Il regime disciplinare e' attuato in modo da stimolare il senso di responsabilita' e la capacita' di autocontrollo» e che «Nell'applicazione della sanzione si tiene conto del programma di trattamento in corso», in realta' il contenuto della sanzione in questione pare andare in direzione diametralmente opposta rispetto alla finalita' rieducativa. Posto che la rieducazione di cui al principio costituzionale non e' la mera emenda interiore, ma anche e soprattutto la risocializzazione, intesa come acquisizione (o riappropriazione) da parte del condannato della capacita' di vivere in societa' nel rispetto delle sue norme fondamentali, il legislatore ha coerentemente previsto che il trattamento penitenziario abbia come connotato di base l'ammissione del detenuto alla vita in comune, volta a «consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e il suo recupero al contesto sociale ai sensi dell'art. 27 Cost., comma 3» (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9300 del 2014). 3.4 In tale quadro l'isolamento a scopo disciplinare del detenuto, sia pur temporaneo, realizzando una separazione coattiva del medesimo dalla comunita' di cui fa parte, risulta contrastare con la citata finalita' della pena e inserirsi in modo incoerente e irragionevole nella disciplina del trattamento penitenziario. Oltre a comportare seri rischi per la salute psicofisica del detenuto - motivo per cui i vari organismi internazionali (tra cui l'Organizzazione delle Nazioni Unite e il Consiglio d'Europa) hanno formulato raccomandazioni in cui invitano gli Stati membri a fare uso dell'isolamento penitenziario solo in casi eccezionali, per brevi periodi e comunque monitorando lo stato di salute del detenuto (analoghe indicazioni si rinvengono nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo) - l'isolamento nuoce alla risocializzazione, pregiudicandola, dal momento che non consente ne' i contatti con gli altri detenuti ne' la possibilita' di fruire di quegli strumenti del trattamento penitenziario che implicano il contatto con gli altri detenuti. 3.5 L'art. 33, legge n. 354/1975 fa salvo per il soggetto in isolamento il diritto ad effettuare i colloqui visivi con i soggetti autorizzati. L'art. 73, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 prevede inoltre espressamente contatti tra il detenuto in isolamento e il personale penitenziario (medico, componente del gruppo di osservazione e trattamento e personale del Corpo di polizia penitenziaria). Le norme di legge e regolamentari nulla prevedono espressamente circa altri istituti del diritto penitenziario, come la corrispondenza epistolare e i colloqui telefonici. Trattandosi di istituti afferenti a diritti fondamentali, in assenza di uno specifico divieto le norme possono interpretarsi in modo costituzionalmente orientato, e cioe' nel senso che il diritto a tali forme di comunicazione non sia inciso dall'isolamento continuo disciplinare. 3.6 Tratto essenziale della sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune, non suscettibile d'interpretazione conforme, e' viceversa l'isolamento - materiale e coattivo - del sottoposto dal resto dei detenuti (e cioe' dai suoi «pari», il rapporto coi quali e' fondamentale per la risocializzazione). In tal senso e' chiaro il termine «isolamento», che costituisce il titolo dell'art. 33 della legge e dell'art. 73 del regolamento e che ricorre piu' volte nel corpo degli stessi articoli, accompagnato anche dal termine «continuo», cioe' sia diurno sia notturno (cosi' differenziandosi da quello solo diurno previsto dall'art. 72 codice penale). Il regolamento, cui l'art. 33 della legge demanda la specificazione delle modalita' di esecuzione dell'isolamento, all'art. 73, comma 3 prevede che «Ai detenuti e gli internati, nel periodo di esclusione dalle attivita' in comune, di cui al comma 2, e' precluso di comunicare con i compagni». 3.7 Tale isolamento continuo dal resto dei detenuti non e' volto ad assolvere ad una delle funzioni della pena costituzionalmente ammesse. Risponde viceversa ad una finalita' disciplinare, si' da garantire - quale sanzione piu' grave tra quelle previste dall'art. 39, legge n. 354/1975 - il rispetto delle disposizioni che regolano la vita penitenziaria. Occorre tuttavia rilevare che il citato art. 39 prevede anche altre sanzioni disciplinari sufficientemente afflittive e quindi tali da poter assolvere adeguatamente alla funzione deterrente che e' loro propria, senza incidere cosi' pesantemente su quel residuo di liberta' che permane in capo a chi e' detenuto e che «e' tanto piu' prezioso in quanto costituisce l'ultimo ambito nel quale puo' espandersi la sua personalita' individuale» (sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 1993). Inoltre le stesse sanzioni disciplinari possono esplicare un'efficacia dissuasiva, oltre che per il contenuto loro proprio, anche per i relativi effetti riflessi nell'ambito dei procedimenti per la concessione di licenze e permessi e per l'ammissione a misure alternative (senza considerare che i medesimi fatti che costituiscono infrazioni disciplinari spesso integrano anche dei reati, perseguiti e puniti penalmente, e che la giurisprudenza costante di legittimita' - sia che riconosca la natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare, sia che la neghi - esclude comunque che cio' comporti una violazione del principio del ne bis in idem). Ma oltre ad essere non necessaria (ben potendo le altre sanzioni disciplinari assolvere adeguatamente alla funzione dissuasiva/regolatoria), la sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune pare scontare un vizio di base. Pare cioe' concepire la partecipazione del detenuto alla vita in comune come un surplus nell'interesse solo del detenuto stesso, che quindi puo' essere (provvisoriamente) soppresso per sanzionare l'infrazione disciplinare; detta partecipazione viceversa - in quanto componente essenziale del trattamento rieducativo - risponde si' all'interesse del detenuto, ma anche alla funzione istituzionale della pena e in generale all'interesse dell'ordinamento a che il soggetto sia effettivamente reinserito socialmente (affinche' non commetta nuovi reati). 4. Non manifesta infondatezza. La violazione degli articoli 32 e 3 Cost. 4.1 Gli studi scientifici ormai da parecchio tempo hanno evidenziato i rischi che l'isolamento carcerario comporta per la salute psicofisica del detenuto che vi sia sottoposto. Cio' ha portato varie istituzioni internazionali ad elaborare standards, raccomandazioni, linee guida in cui il ricorso all'isolamento e' sconsigliato e comunque limitato a casi eccezionali: in tal senso le c.d. Mandela rules elaborate nell'ambito delle Nazioni Unite, ma anche le c.d. regole penitenziarie europee, che prevedono una pluralita' di cautele a tutela della salute umana (la previsione una durata massima di quindici giorni, la non applicazione del regime d'isolamento a donne in stato di gravidanza e minori, il monitoraggio costante delle condizioni di salute del detenuto sottoposto all'isolamento, la sospensione dell'isolamento in caso di deterioramento delle condizioni di salute mentali o fisiche del detenuto. ecc.). 4.2 Lo stesso legislatore italiano ha implicitamente riconosciuto l'esistenza di un rischio significativo per la salute del detenuto allorche' all'art. 39, legge n. 354/1975 ha previsto che «La sanzione della esclusione dalle attivita' in comune non puo' essere eseguita senza la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il soggetto puo' sopportarla» e che «Il soggetto escluso dalle attivita' in comune e' sottoposto a costante controllo sanitario» (ha inoltre disposto che «L'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attivita' in comune e' sospesa nei confronti delle donne gestanti e delle puerpere fino a sei mesi, e delle madri che allattino la propria prole fino ad un anno». Vi e' allora da chiedersi se sia costituzionalmente legittimo esporre un detenuto per fini disciplinari ad un rischio apprezzabile per la relativa salute. Ad avviso di questo scrivente, la disciplina censurata contrasta con la norma di cui all'art. 32 della Costituzione. 4.3 Premesso che la censura concerne unicamente l'isolamento quale sanzione disciplinare, la consapevole esposizione di un soggetto (della cui custodia e del cui stato di salute l'amministrazione penitenziaria ha la responsabilita') ad un rischio per la relativa salute non pare potersi giustificare con una finalita' disciplinare, essendo la misura eccessiva rispetto a tale finalita'. 4.4 Ne' la circostanza che l'esecuzione della sanzione disciplinare sia accompagnata da talune cautele vale a scongiurare il rischio in questione: il monitoraggio sulla salute psichica del detenuto proprio per la natura del disagio non consente infatti una rilevazione immediata dell'insorgere della criticita' o del deterioramento delle condizioni, spesso emergendo questi dati solo a seguito delle manifestazioni esteriori, che talora hanno modalita' drammatiche quando non tragiche. 4.5 A maggior ragione la finalita' disciplinare non pare poter giustificare l'esposizione ad un rischio per la salute ove si consideri, da un lato, che la sanzione disciplinare in questione non e' priva di alternative, gia' prevedendo l'ordinamento ulteriori sanzioni disciplinari che non mettono in pericolo la salute del detenuto, e, dall'altro, che per i fatti piu' gravi vi e' comunque l'ulteriore presidio del diritto penale. 5. Non manifesta infondatezza. La violazione dell'art. 15 Cost. 5.1 L'art. 15 della Costituzione al primo comma prevede che «La liberta' e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili». Oggetto dell'attenzione della Corte costituzionale sono state spesso la corrispondenza epistolare, le comunicazioni telefoniche e - piu' recentemente - anche le forme di comunicazione cui hanno dato accesso le piu' moderne innovazioni tecnologiche (posta elettronica, messaggistica istantanea, ecc.). Il principio affermato dall'art. 15 Cost. ha pero' riguardo ad ogni forma di comunicazione: come anche recentemente affermato dalla Corte costituzionale «la tutela accordata dall'art. 15 Cost. - che assicura a tutti i consociati la liberta' e la segretezza "della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione", consentendone la limitazione "soltanto per atto motivato dell'autorita' giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge" - prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero [...]. La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale» (sentenza n. 170 del 2023). In particolare, qui rileva la liberta' di comunicazione in presenza, cioe' la forma piu' basilare di comunicazione tra esseri umani: sia quella verbale, sia quella attraverso comportamenti di tipo comunicativo (cui ha fatto riferimento la Corte costituzionale, ad esempio, nella sentenza n. 135 del 2002). 5.2 L'art. 15, comma 2 della Costituzione prevede che la limitazione della liberta' e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione «puo' avvenire soltanto per atto motivato dell'autorita' giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». Rileva qui la limitazione della liberta' di comunicazione in presenza del detenuto che si determina con la sanzione disciplinare della esclusione dalle attivita' in comune. In particolare, le norme qui censurate non paiono rispettare ne' la riserva di giurisdizione, ne' la riserva di legge. 5.3 La citata sanzione disciplinare realizza una limitazione della liberta' di comunicazione. E' bene rilevare in proposito che non si tratta di una limitazione normalmente conseguente alla restrizione della liberta' personale implicita nell'esecuzione della pena detentiva (come, ad esempio, l'impossibilita' di una comunicazione gestuale coi detenuti ristretti in una diversa camera di detenzione dopo l'orario di chiusura delle camere), ne' di una limitazione conseguente alle normali regole di una vita in comunita' (come, ad esempio, il divieto di fare rumore in orario notturno). Al contrario, la limitazione (o meglio soppressione) della liberta' di comunicazione con gli altri detenuti costituisce lo scopo precipuo e il contenuto principale della sanzione disciplinare in questione. Lo stesso concetto di isolamento (continuo) postula la segregazione di chi vi sia sottoposto rispetto agli altri membri della comunita'. Il divieto di comunicazione e' poi espressamente previsto dall'art. 73, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 («Ai detenuti e gli internati, nel periodo di esclusione dalle attivita' in comune, di cui al comma 2, e' precluso di comunicare con i compagni») e, tra l'altro, la violazione di tale divieto ai sensi dell'art. 77, comma 1, n. 9 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 costituisce un'infrazione disciplinare anch'essa suscettibile di essere sanzionata con l'esclusione dalle attivita' in comune (ai sensi dell'art. 77, comma 3). E' bene peraltro sottolineare che non viene qui in esame un caso di illiceita' del regolamento per contrasto con le previsioni di legge. Al contrario la norma regolamentare e' coerentemente attuativa della norma di legge (di cui si censura la legittimita' costituzionale) che prevede l'isolamento continuo del detenuto cui sia applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune, demandando al regolamento (senza peraltro prevedere criteri precisi) la specificazione delle modalita' di esecuzione dell'isolamento. Del resto, la Corte - nel valutare la legittimita' costituzionale di una norma di legge - ha in talune occasioni avuto riguardo alle «specificazioni espresse dalla normativa regolamentare, i cui contenuti integrano il precetto della norma primaria», in quanto «il rapporto che cosi' si determina tra la legge e la fonte secondaria, che ne concretizza un preciso significato, consente lo scrutinio di costituzionalita'» della norma di legge (sentenza n. 456 del 1994, poi richiamata dalle sentenze n. 34 del 2011, n. 242 del 2014 e n. 224 del 2018). Infine, occorre rilevare che la limitazione della liberta' di comunicazione del detenuto sottoposto all'isolamento continuo e' perseguita dall'amministrazione penitenziaria - in attuazione della norma di legge e della norma regolamentare - anche attraverso appositi accorgimenti materiali, quali in particolare la chiusura del «blindo» (che invano l'attuale imputato chiedeva fosse lasciato «socchiuso quantomeno per un po' di tempo durante il giorno»). La Corte di cassazione nella sentenza n. 9300 del 2014 - sia pur con riferimento all'isolamento diurno previsto dall'art. 72 codice penale come sanzione penale aggiuntiva rispetto all'ergastolo - ha affermato che l'apertura del «blindo» svuoterebbe di contenuto la norma che prevede l'isolamento. 5.4 Non risulta rispettata la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 15 Cost., in ragione della quale la liberta' di comunicazione puo' essere limitata solo in presenza di un provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria. Il provvedimento applicativo della sanzione non e' infatti adottato dall'autorita' giudiziaria, ma dal Consiglio di disciplina (composto, ai sensi dell'art. 40, legge n. 354/1975, dal direttore, dall'educatore e da un professionista esperto in psicologia, pedagogia, ecc.). Ne', perche' sia rispettata la riserva di giurisdizione, e' sufficiente la possibilita' di impugnare il provvedimento del Consiglio di disciplina dinanzi alla Magistratura di sorveglianza: la Corte costituzionale nella sentenza n. 2 del 2023, richiamando il proprio precedente di cui alla sentenza n. 419 del 1994, ha infatti affermato che gia' quella sentenza di accoglimento «ha avuto cura di precisare l'ininfluenza, ai fini del rispetto della riserva di giurisdizione, dell'eventuale previsione di un riesame del giudice, su iniziativa dell'interessato. Gia' in quell'occasione, fu osservata la natura meramente eventuale di questo vaglio, attivabile su impulso del destinatario della misura. Cio' va ribadito nell'odierna questione: quel che conta, ai fini del rispetto della riserva di giurisdizione costituzionalmente imposta, e' la titolarita' del potere di decidere, direttamente e definitivamente, la misura stessa. Se tale potere e' conferito ad un'autorita' non giudiziaria, nessun riferimento ad una "fattispecie a formazione progressiva", sulla base della previsione di un eventuale, successivo intervento del giudice, puo' emendare il vizio di legittimita' costituzionale». 5.5 Ad avviso di chi scrive, la violazione della riserva di giurisdizione (cosi' come le altre violazioni parimenti denunciate) rende costituzionalmente illegittimo l'intero istituto dell'esclusione dalle attivita' in comune. In subordine, si chiede alla Corte costituzionale di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 40, legge n. 354/1975 nella parte in cui, in relazione alla sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune prevede che a deliberarla sia il Consiglio di disciplina anziche' prevedere che a deliberarla sia, su proposta del direttore dell'istituto: (a) nei confronti dei condannati e degli internati, il magistrato di sorveglianza; b) nei confronti degli imputati, il giudice indicato nell'articolo 279 del codice di procedura penale; cio' secondo la disciplina adeguata gia' rinvenibile nell'ordinamento a proposito della limitazione alla liberta' di comunicazione prevista dall'art. 18-ter, legge n. 354/1975. 5.6 La disciplina di cui agli articoli 33, 38 e 39, legge n. 354/1975 pare violare altresi' la riserva di legge prevista dall'art. 15 della Costituzione. In piu' pronunce la Corte costituzionale ha affermato il carattere assoluto della riserva di legge di cui all'art. 15 della Costituzione: recentemente nelle sentenze n. 20 del 2017 e n. 2 del 2023. In violazione di tale riserva, nel caso di specie la legge si limita all'art. 39 a prevedere la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune, demandando viceversa (art. 38, comma 1) interamente al regolamento l'individuazione delle infrazioni disciplinari e cioe' dei casi in cui la sanzione in questione puo' essere deliberata, cio' che dovrebbe costituire la prima garanzia ad essere individuata dalla legge. Si deve peraltro incidentalmente rilevare che le previsioni del regolamento in proposito sono anche in taluni casi molto generiche (ad esempio l'art. 77, comma 1 del regolamento al n. 16 prevede come infrazione l'«inosservanza di ordini o prescrizioni o ingiustificato ritardo nell'esecuzione di essi»). Anche il procedimento per l'applicazione della sanzione e' disciplinato nei dettagli non dalla legge - che all'art. 38, comma 2 si limita a fissare i principi dell'obbligo di motivazione, della previa contestazione dell'addebito e del diritto di difesa - ma dagli articoli 78 e ss. del regolamento. 6. Ulteriori rilievi 6.1 Considerato il dato testuale delle norme censurate, non paiono percorribili interpretazioni conformi delle norme ora censurate agli articoli 3, 27 comma 3 e 15 della Costituzione, chiaro e univoco essendo il dato normativo. 6.2 Qualora fosse accolta la questione qui sollevata in via principale, ad avviso di questo giudice occorrerebbe in via consequenziale dichiarare l'illegittimita' costituzionale altresi' degli articoli 39, commi 2 e 3, dell'art. 10, comma 4 e dell'art. 69, comma 6, legge n. 354/1975, nella parte in cui fanno riferimento alla sanzione della esclusione dalle attivita' in comune. P. Q. M. Visti gli articoli 134 Cost., 23 ss. legge n. 87/1953, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata, Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale delle norme di cui agli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975, per violazione degli articoli 3, 27 comma 3, 32 e 15 della Costituzione; e in subordine Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 40, legge n. 354/1975 nella parte in cui, in relazione alla sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune, prevede che a deliberarla sia il Consiglio di disciplina anziche' prevedere che a deliberarla sia, su proposta del direttore dell'istituto: (a) nei confronti dei condannati e degli internati, il magistrato di sorveglianza; b) nei confronti degli imputati, il giudice indicato nell'art. 279 del codice di procedura penale, per violazione dell'art. 15 della Costituzione. Sospende il giudizio in corso, ed i relativi termini di prescrizione giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte costituzionale. Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23, comma 4, legge n. 87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5 del codice di porcedura penale. Firenze, 26 maggio 2025 Il Giudice: Attina'