Reg. ord. n. 141 del 2025 pubbl. su G.U. del 20/08/2025 n. 34

Ordinanza del Tribunale di Firenze  del 26/05/2025

Tra: D. K.

Oggetto:

Ordinamento penitenziario – Sanzioni disciplinari – Previsione della sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune e applicazione dell’isolamento continuo - Violazione del principio della finalità rieducativa della pena intesa anche come finalità di risocializzazione del condannato – Incidenza sulla salute psicofisica del detenuto – Lesione della tutela della salute – Limitazione della libertà della comunicazione ad opera del Consiglio di disciplina e non per provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria – Violazione del principio di riserva di giurisdizione.

- Legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 33, comma 1, lettera b), e 39, comma 1, numero 5.

- Costituzione, artt. 3, 15, 27, terzo comma, e 32.

In subordine: Ordinamento penitenziario – Sanzioni disciplinari – Autorità competente a deliberare le sanzioni – Sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune - Previsione che a deliberare tale sanzione disciplinare sia il Consiglio di disciplina anziché, su proposta del direttore dell’istituto, il magistrato di sorveglianza nei confronti dei condannati e degli internati e il giudice indicato nell’art. 279 cod. proc. pen. nei confronti degli imputati - Violazione del principio di riserva di giurisdizione.

- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 40.

- Costituzione, art. 15.

Norme impugnate:

legge  del 26/07/1975  Num. 354  Art. 33  Co. 1

legge  del 26/07/1975  Num. 354  Art. 39  Co. 1

legge  del 26/07/1975  Num. 354  Art. 40



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 15   Co.  

Costituzione  Art. 27   Co.

Costituzione  Art. 32   Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 141 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 maggio 2025

Ordinanza  del  26  maggio  2025  del  Tribunale   di   Firenze   nel
procedimento penale a carico di D. K.. 
 
Ordinamento penitenziario - Sanzioni disciplinari - Previsione  della
  sanzione disciplinare della esclusione dalle attivita' in comune  e
  applicazione dell'isolamento continuo. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), artt. 33, comma 1, lettera b), e 39, comma 1, numero 5. 
In subordine: Ordinamento penitenziario  -  Sanzioni  disciplinari  -
  Autorita'  competente  a  deliberare   le   sanzioni   -   Sanzione
  disciplinare    della     esclusione     dalle     attivita'     in
  comune - Previsione che a deliberare tale sanzione disciplinare sia
  il Consiglio di disciplina  anziche',  su  proposta  del  direttore
  dell'istituto, il magistrato  di  sorveglianza  nei  confronti  dei
  condannati e degli internati e il giudice  indicato  nell'art.  279
  cod. proc. pen. nei confronti degli imputati. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 40. 


(GU n. 34 del 20-08-2025)

 
                        TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima Sezione penale 
 
    Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di D. K., nato in ... il  ...; elettiv.  domiciliato  presso
l'avv. Costanza Malaerba, del  Foro  di  Prato;  detenuto  per  altra
causa, rinunciante a comparire; difeso dall'avv. di fiducia  Costanza
Malerba del Foro di Prato; imputato in ordine al seguente reato: 
        delitto previsto e punito dall'art.  99,  424,  comma  1  del
codice penale  perche',  al  fine  di  danneggiare  la  cosa  altrui,
all'interno della Casa  circondariale  di  ...,  facendo  sorgere  un
concreto pericolo di incendio, appiccava il fuoco ad un  materasso  e
ad un cuscino. 
    Con l'aggravante della recidiva infraquinquennale. 
    Fatti commessi in ..., in data ... 
    sentite le parti; 
    premesso che: 
        con decreto del pubblico ministero emesso il 15 novembre 2023
D. K. era citato a giudizio per il delitto di danneggiamento  seguito
da pericolo d'incendio di cui all'art. 424, comma 1, c.p.; 
        all'udienza predibattimentale odierna le  parti  illustravano
le rispettive conclusioni.  In  particolare,  il  pubblico  ministero
chiedeva la prosecuzione del giudizio; il difensore chiedeva sentenza
di non luogo a procedere; 
    rilevato che: 
        A) in base agli atti d'indagine, in data  ...  verso  le  ore
...,  mentre  era  detenuto  a  titolo  definitivo  presso  la   Casa
circondariale di ... - e precisamente mentre si trovava nella  camera
... del ..., in regime di isolamento  in  esecuzione  della  sanzione
dell'esclusione dalle attivita'  comuni  -  l'imputato  appiccava  il
fuoco al materasso e al cuscino in  dotazione  della  sua  camera  di
detenzione. 
    Gli agenti ... e ... della Polizia  penitenziaria  spegnevano  le
fiamme con l'uso di un idrante. 
    Successivamente, alle ore ...  circa,  il  prevenuto  tentava  il
suicidio, cercando di impiccarsi: creava una corda con un lenzuolo  e
legava un'estremita' intorno al proprio collo  e  l'altra  estremita'
alla  base  del  supporto  del  televisore.   L'evento   letale   era
scongiurato grazie al  pronto  intervento  dei  citati  agenti  della
Polizia penitenziaria, che sorreggevano e liberavano il detenuto  dal
cappio; lo poggiavano poi per terra  in  attesa  dell'intervento  dei
sanitari. Il predetto era accompagnato in infermeria. 
    Terminata la visita, gli operatori riaccompagnavano D. in  cella;
in tale frangente,  alla  presenza  anche  dell'ispettore  ...,  egli
insultava  gli  operatori   e   affermava   di   voler   andare   via
dall'isolamento («Voglio andare via dall'isolamento voglio  ritornare
al penale»). 
    Il medico dott.ssa ..., alle ore ..., cosi sintetizzava  anamnesi
e diagnosi: «Si visita il pz in quanto mi riferiscono che ha messo in
atto un gesto autolesivo. Infatti mi riferiscono che  avrebbe  creato
una corda con le lenzuola,  l'avrebbe  avvolta  intorno  al  collo  e
avrebbe tentato di impiccarsi. Mi riferiscono che  prontamente  hanno
tagliato la corda e sarebbero intervenuti per arreggerlo.  Si  visita
il pz che presenta una parziale  barriera  linguistica,  si  presenta
vigile, orientato e collaborante, PV in  ordine.  Riferisce  di  aver
messo in atto tale gesto a scopo dimostrativo in  quanto  soffre  del
fatto che il blindo  della  cella  rimanga  chiuso  giorno  e  notte.
Infatti il pz si trova attualmente allocato presso questo reparto per
isolamento disciplinare ed e' previsto dal regolamento  penitenziario
che il blindo resti chiuso. Il pz chiede che venga  tenuto  socchiuso
quantomeno per un po' di tempo durante il giorno. Alla visita  il  pz
presenta lieve rossore al livello della base del collo anteriormente,
no altre lesioni a livello del  collo  posteriormente.  Non  presenta
altre lesioni acute obiettivabili e riferisce attualmente benessere». 
    Lo stesso giorno il medico di cure primarie  dott.ssa  ...  -  in
sede  di  valutazione  del  rischio  suicidiario   -   disponeva   la
convocazione dello staff multidisciplinare  e  l'attenzionamento  con
urgenza  del  detenuto.  Certificava  infine  la  non  idoneita'   al
mantenimento dell'isolamento. 
    Lo staff multidisciplinare, infine, confermava la  non  idoneita'
all'isolamento e decideva di interrompere lo stesso e di  riassociare
il D. al reparto di provenienza. 
    Per i fatti del ... all'imputato in data  ...  era  applicata  la
sanzione disciplinare dell'ammonizione. 
        B) in base ai citati atti d'indagine, i  fatti  ora  ascritti
all'imputato  dovrebbero  riqualificarsi  piu'   correttamente   come
danneggiamento di beni destinati a pubblico  servizio  ex  art.  635,
comma 2 c.p. 
    Si deve infatti escludere la qualificazione  come  danneggiamento
seguito da  (pericolo  di)  incendio,  che  «richiede  come  elemento
costitutivo, il sorgere di un pericolo di incendio,  sicche'  non  e'
ravvisabile qualora il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che
da esso non possa sorgere detto pericolo» (cosi' Cassazione  Sez.  2,
sentenza n. 47415 del 17 ottobre 2014 Rv.  260832  -  01,  richiamata
anche da Cassazione Sez. 2, sentenza n. 4183 del 2022). 
    Nel caso di specie, per l'appunto, in ragione delle  modalita'  e
dell'oggetto della condotta e del relativo contesto spaziale, non  vi
era pericolo che potesse sorgere un  incendio:  gli  oggetti  cui  il
fuoco  era  appiccato  erano  di  dimensioni  modeste;  nell'ambiente
circostante non vi erano verosimilmente oggetti o  materiali  cui  il
fuoco  potesse  propagarsi  facilmente  (i   materiali   maggiormente
presenti nelle camere detentive sono il cemento e il metallo; in ogni
caso, in atti non vi e' una descrizione degli elementi cui  il  fuoco
avrebbe potuto propagarsi); il fuoco e' stato  spento  agevolmente  e
velocemente dagli agenti della Polizia penitenziaria; quand'anche non
vi fosse stato l'intervento tempestivo  della  Polizia  penitenziaria
(comunque  prevedibile  e  non  integrante  un  fattore   eccezionale
sopravvenuto), si deve ritenere probabile che le fiamme  -  all'esito
della combustione degli oggetti cui il fuoco era stato appiccato - si
sarebbero estinte da sole, senza  alcun  rischio  che  le  stesse  si
diffondessero. 
    Rispetto  ai  citati  beni  di  proprieta'  dell'amministrazione,
esistenti in uno stabilimento  pubblico  (la  Casa  circondariale)  e
destinati a pubblico servizio (il corredo della cella necessario  per
renderla concretamente fruibile), il fatto  dovrebbe  percio'  essere
riqualificato come danneggiamento ai sensi  dell'art.  635,  comma  2
codice penale (piu' precisamente art.  635,  comma  2,  n.  1  codice
penale in relazione all'art. 625, n. 7 c.p.). 
        C) ai fini della decisione circa la prosecuzione del giudizio
o, viceversa, l'adozione di una sentenza di non luogo a procedere per
la sussistenza di una causa di giustificazione o di una causa di  non
punibilita',  pare   necessario   il   pronunciamento   della   Corte
costituzionale  in  ordine  alla  legittimita'  costituzionale  degli
articoli 33, comma 1, lettera b) e  39,  comma  1,  n.  5,  legge  n.
354/1975 (e in subordine dell'art. 40, legge n. 354/1975); 
    Cio' premesso, osserva 
1. Rilevanza della questione. 
    1.1 La questione che s'intende portare all'attenzione della Corte
costituzionale concerne la legittimita' costituzionale della sanzione
disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune  di  cui  agli
articoli 33, comma 1, lettera b)  e  39  comma  1,  n.  5,  legge  n.
354/1975. 
    1.2 Nel momento in cui ha posto in essere la condotta  delittuosa
in contestazione. Al momento dei fatti oggetto del presente  giudizio
l'imputato - detenuto in  carcere  a  titolo  definitivo  -  era  per
l'appunto sottoposto alla sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune. 
    1.3 Dagli atti d'indagine non emerge ne' da quanto tempo  ne'  in
ragione di quale illecito disciplinare il predetto  fosse  sottoposto
alla citata sanzione disciplinare. 
    Le peculiarita'  della  presente  fase  processuale  -  l'udienza
predibattimentale, nel corso della quale ai sensi  dell'art.  554-ter
codice  di  procedura  penale  il  giudice  non  dispone  di   poteri
istruttori e, in assenza  di  richiesta  di  riti  alternativi,  puo'
pronunciare sentenza di non luogo a procedere oppure fissare  per  la
prosecuzione del giudizio la data dell'udienza dibattimentale davanti
ad un giudice diverso - non consentono a questo giudice di  acquisire
ulteriori elementi al riguardo. 
    D'altro canto, ad  avviso  dello  scrivente,  non  si  tratta  di
elementi decisivi ai fini della presente  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    1.4 Da un lato, infatti, dagli atti del  fascicolo  non  emergono
elementi che inducano anche solo a sospettare che la citata  sanzione
disciplinare fosse stata  applicata  all'imputato  in  violazione  di
legge  ordinaria  o  di  regolamento,  ne'  le  parti  hanno  dedotto
alcunche' in proposito. 
    Dall'altro, e' la stessa disciplina  della  legge  ordinaria  che
s'intende  qui  censurare,  per  violazione  di   plurimi   parametri
costituzionali. 
    1.5 Dagli atti emerge che l'imputato ha posto in essere  i  fatti
di danneggiamento (mediante il fuoco)  in  contestazione  in  stretta
correlazione con la  condizione  d'isolamento  -  per  effetto  della
citata sanzione disciplinare - cui era sottoposto. 
    Piu'  precisamente,  dalla  condotta  autolesionistica  posta  in
essere nell'immediatezza, dalle frasi pronunciate subito dopo  e  dal
contenuto  del  colloquio  con  il  medico  (come   da   quest'ultimo
sintetizzato), emerge chiaramente che il predetto ha posto in  essere
sia i fatti di danneggiamento sia il successivo tentato suicidio  per
sottrarsi alla condizione d'isolamento che riteneva insopportabile. 
    1.6 Tale ricostruzione conduce a ritenere essenziale ai fini  del
decidere la questione circa la  legittimita'  (costituzionale)  della
citata  sanzione  disciplinare  dell'esclusione  dalle  attivita'  in
comune. 
    Ove infatti la  disciplina  dell'esclusione  dalle  attivita'  in
comune  fosse  dichiarata  incostituzionale,  si  dovrebbe   ritenere
illegittima la restrizione in regime d'isolamento  del  prevenuto  e,
conseguentemente,  che  i  diritti  soggettivi   del   medesimo   (in
particolare alla liberta' di comunicazione con gli altri  detenuti  e
alla   fruizione   dell'ordinario   regime   trattamentale)   fossero
illecitamente compressi. 
    In tale situazione, si dovrebbe ritenere che il  medesimo  -  nel
danneggiare i beni dell'amministrazione penitenziaria per  reagire  e
porre fine all'offesa ingiusta  in  essere,  il  regime  d'isolamento
applicatogli - abbia agito in condizione di legittima difesa,  quanto
meno putativa. 
    1.7 Detta causa di giustificazione normalmente viene  in  rilievo
in relazione ad offese ingiuste poste in essere da singoli  individui
o da gruppi di individui. Il dato normativo non pare pero' di per se'
ostare alla  relativa  applicazione  anche  in  relazione  ad  offese
ingiuste realizzate dalle istituzioni, ivi  comprese  le  istituzioni
statali nell'esercizio di poteri autoritativi. 
    Quanto alla valutazione circa la sussistenza dei requisiti  della
citata causa di giustificazione, si deve rilevare che concretamente -
e per quanto poteva apprezzare l'imputato, cittadino straniero  privo
(a quanto risulta) di  competenze  giuridiche  -  egli  non  aveva  a
disposizione  altri  strumenti  per  porre   fine   alla   condizione
d'isolamento. Anche il ricorso alla Magistratura di sorveglianza (che
pur  avrebbe  potuto  sollevare   una   questione   di   legittimita'
costituzionale) non avrebbe portato ad un risultato a breve  termine,
laddove l'esasperazione del predetto era  tale  da  indurlo  prima  a
compiere i fatti in contestazione e poi a compiere un grave  atto  di
autolesionismo. 
    Se e' vero poi che il semplice danneggiamento di per se' non  era
strettamente idoneo a porre termine alla  condizione  d'isolamento  e
quindi all'offesa (in ipotesi) ingiusta, si deve  ritenere  che  agli
occhi  del  medesimo  -  nella  peculiare  prospettiva  legata   alla
situazione in cui si trovava - apparisse idonea. 
    Sussiste inoltre il requisito  della  proporzione  tra  offesa  e
difesa, confrontando con giudizio ex ante i mezzi usati  e  quelli  a
disposizione dell'aggredito nonche' i  beni  giuridici  in  conflitto
(cfr. Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 32414 del 24 settembre 2020  Rv.
279777 - 01): da un lato egli  non  aveva  altri  strumenti  utili  a
disposizione nell'immediatezza; dall'altro ad essere compressi  erano
beni giuridici strettamente personali, laddove la condotta  posta  in
essere ledeva in minima parte  il  patrimonio  e  turbava  in  misura
modesta le funzioni dell'amministrazione penitenziaria. 
    1.8 Si profila anche un ulteriore motivo di rilevanza. 
    Quand'anche si dovesse ritenere non  sussistente  la  scriminante
della   legittima   difesa,   neppure   in   termini   putativi,   la
illegittimita'  della  sanzione  disciplinare  dell'esclusione  dalle
attivita' in comune  e  quindi  del  connesso  regime  di  isolamento
potrebbe rilevare ai fini della particolare  tenuita'  del  fatto  ex
art. 131-bis c.p. 
    In proposito, il danneggiamento in  contestazione  -  avulso  dal
particolare contesto in  cui  si  e'  consumato  -  non  integrerebbe
un'offesa al bene giuridico protetto  di  particolare  tenuita':  non
tanto per l'esiguo valore dei beni materiali danneggiati (materasso e
cuscino), quanto per il disordine creato  all'interno  della  sezione
della Casa circondariale e il necessario utilizzo  dell'idrante,  con
il  successivo  dispiego  di  risorse  anche  per   ripristinare   le
condizioni della camera di detenzione. 
    Considerando tuttavia il peculiare contesto della  sottoposizione
ad un regime di isolamento continuo  disciplinare  e  le  motivazioni
sottostanti alla condotta delittuosa (la volonta'  di  porre  fine  a
quel regime  oppressivo),  tali  aspetti  -  ove  quel  regime  fosse
dichiarato costituzionalmente illegittimo  -  assumerebbero  un  peso
preponderante  nell'ambito  della   valutazione   complessiva   della
fattispecie concreta al fine di  valutare  la  gravita'  dell'offesa,
rendendo l'offesa di particolare tenuita'. Nell'ambito  della  citata
valutazione complessiva il disservizio cagionato assumerebbe  infatti
un importanza minimale se comparato alla sottoposizione del  detenuto
ad un regime di isolamento continuo illegittimo e alla necessita' che
lo stesso avesse termine. 
    Sussisterebbero anche gli ulteriori requisiti della causa di  non
punibilita' ex art. 131-bis codice penale. 
    Il reato di danneggiamento (ma anche quello  contestato  ex  art.
424, comma 1 c.p.) rientra infatti in ragione della cornice  edittale
nell'ambito di applicazione del citato istituto. 
    Il  comportamento  non  e'  abituale:   il   certificato   penale
dell'imputato  evidenzia  soltanto  un  precedente   per   rapina   e
resistenza a pubblico ufficiale, reati commessi entrambi  l'8  maggio
2022, data anche dell'arresto del prevenuto, a  partire  dalla  quale
egli e' stato ininterrottamente detenuto (in base al certificato  del
D.A.P. in atti). Poiche' trattasi di un unico precedente e poiche' il
fatto ora in esame sarebbe per il contesto molto  particolare  -  del
tutto occasionale, il comportamento non potrebbe ritenersi abituale. 
    Non sussistono  altre  ragioni  ostative  all'applicazione  della
causa di non punibilita'. 
2. La sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune 
    2.1 Le norme di cui agli articoli 33, comma 1, lettera b)  e  39,
comma  1,  n.  5,  legge  n.  354/1975,  nel  prevedere  la  sanzione
disciplinare  dell'esclusione  dalle  attivita'  in  comune,   paiono
contrastare con i principi di cui agli articoli 3, 27 comma 3,  32  e
15 della Costituzione. 
    Pare  opportuno  premettere  una  sintetica  ricostruzione  della
disciplina dell'istituto. 
    2.2 Il trattamento  penitenziario  -  la  legge  n.  354/1975  lo
afferma fin dall'art.  1,  comma  2  -  «tende,  anche  attraverso  i
contatti con l'ambiente  esterno,  al  reinserimento  sociale  ed  e'
attuato secondo un criterio di individualizzazione in  rapporto  alle
specifiche condizioni degli interessati». 
    Numerose sono  poi  le  disposizioni  della  medesima  legge  che
riguardano lo svolgimento di attivita'  in  comune  tra  i  detenuti,
aspetto centrale del trattamento penitenziario  proprio  in  funzione
della risocializzazione cui deve mirare la pena. 
    Cosi' l'art. 6, comma 2, legge n.  354/1975  stabilisce  che  «le
aree residenziali devono essere dotate di spazi  comuni  al  fine  di
consentire ai detenuti e  agli  internati  una  gestione  cooperativa
della vita quotidiana nella sfera  domestica».  Il  successivo  terzo
comma prevede che «I locali destinati al pernottamento consistono  in
camere dotate di uno o piu' posti». 
    L'art. 10, comma 4, prevede che «La permanenza all'aria aperta e'
effettuata in gruppi  a  meno  che  non  ricorrano  i  casi  indicati
nell'art. 33, e nei numeri 4) e 5) dell'art. 39 [...]». 
    Ai sensi dell'art. 12,  comma  1  «Negli  istituti  penitenziari,
secondo le esigenze del trattamento, sono approntate attrezzature per
lo svolgimento di attivita' lavorative, di  istruzione  scolastica  e
professionale, ricreative, culturali e di  ogni  altra  attivita'  in
comune.». 
    L'art. 14, comma 3, stabilisce che «L'assegnazione dei condannati
e degli internati ai  singoli  istituti  e  il  raggruppamento  nelle
sezioni di ciascun istituto sono disposti  con  particolare  riguardo
alla possibilita'  di  procedere  a  trattamento  rieducativo  comune
[...]». 
    L'art. 15, comma 1, prevede che «Il trattamento del condannato  e
dell'internato e' svolto avvalendosi principalmente  dell'istruzione,
della formazione professionale, del lavoro,  della  partecipazione  a
progetti di  pubblica  utilita',  della  religione,  delle  attivita'
culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti  con
il mondo esterno e i rapporti con la famiglia». 
    Ai sensi dell'art. 17, comma 1 «La  finalita'  del  reinserimento
sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche
sollecitando ed  organizzando  la  partecipazione  di  privati  e  di
istituzioni   o   associazioni   pubbliche   o   private   all'azione
rieducativa.». 
    L'art. 18, comma 1 stabilisce che «I  detenuti  e  gli  internati
sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con
altre persone, anche al fine di compiere atti giuridici». 
    2.3 Nel suddetto quadro l'art. 33  (Isolamento)  della  legge  n.
354/1975 prevede: 
        «1. Negli  istituti  penitenziari  l'isolamento  continuo  e'
ammesso: a) quando e' prescritto per ragioni  sanitarie;  b)  durante
l'esecuzione della  sanzione  della  esclusione  dalle  attivita'  in
comune; c) per gli indagati e imputati se vi sono ragioni di  cautela
processuale; il provvedimento dell'autorita'  giudiziaria  competente
indica la durata e le ragioni dell'isolamento. 
        2.  Il  regolamento  specifica  le  modalita'  di  esecuzione
dell'isolamento. 
        3. Durante la sottoposizione all'isolamento non sono  ammesse
limitazioni alle normali condizioni di vita, ad eccezione  di  quelle
funzionali alle ragioni che lo hanno determinato. 
        4. L'isolamento  non  preclude  l'esercizio  del  diritto  di
effettuare colloqui visivi con i soggetti autorizzati.» 
    Il successivo art. 38 (Infrazioni disciplinari) stabilisce che «I
detenuti e gli internati non possono essere puniti per un  fatto  che
non sia espressamente previsto come infrazione dal regolamento». 
    L'art. 39  (Sanzioni  disciplinari)  al  primo  comma  elenca  le
sanzioni disciplinari, tra cui al n.  5  quella,  piu'  grave,  della
esclusione dalle attivita' in comune per non piu' di quindici giorni;
il successivo secondo comma prevede: «La  sanzione  della  esclusione
dalle  attivita'  in  comune  non  puo'  essere  eseguita  senza   la
certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante  che  il
soggetto puo' sopportarla. Il soggetto  escluso  dalle  attivita'  in
comune e' sottoposto a costante controllo sanitario». 
    L'art. 40 infine stabilisce che - ad eccezione delle sanzioni del
richiamo e dell'ammonizione (di competenza del direttore) - «Le altre
sanzioni sono deliberate dal consiglio di disciplina [...]». 
    2.4 A livello di normazione secondaria,  l'art.  73  (Isolamento)
del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica  n.
230/2000 al secondo comma  prevede:  «L'isolamento  continuo  durante
l'esecuzione della  sanzione  della  esclusione  dalle  attivita'  in
comune  e'  eseguito  in  una  camera  ordinaria,  a  meno   che   il
comportamento del detenuto o  dell'internato  sia  tale  da  arrecare
disturbo o da costituire pregiudizio per l'ordine  e  la  disciplina.
Anche  in  tal  caso,  l'isolamento  si  esegue  in  locali  con   le
caratteristiche di cui all'art. 6 della legge». Il  successivo  terzo
comma prevede che «Ai  detenuti  e  gli  internati,  nel  periodo  di
esclusione dalle attivita' in comune, di cui al comma 2, e'  precluso
di comunicare con i compagni». 
    L'art. 77 (Infrazioni disciplinari e  sanzioni)  al  primo  comma
individua 21 diverse infrazioni disciplinari. Il terzo comma  prevede
che «La sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune  non  puo'
essere inflitta per le infrazioni previste nei numeri da 1) a 8)  del
comma 1, salvo che l'infrazione sia stata commessa nel termine di tre
mesi dalla commissione di  una  precedente  infrazione  della  stessa
natura.». 
    I  successivi  articoli  disciplinano   l'applicazione   in   via
cautelare   dei   provvedimenti   disciplinari,    il    procedimento
disciplinare, i rapporti con l'eventuale procedimento penale. 
    2.4  Dunque,  in  termini  generali  le  norme  sul   trattamento
penitenziario prevedono come regola l'ammissione  dei  detenuti  alla
vita  in  comune.  Come  ha  rilevato   la   Corte   di   cassazione,
«l'isolamento del detenuto dal  resto  della  popolazione  carceraria
deve  intendersi   potenzialmente   non   ricompresa   nell'ordinario
trattamento penitenziario, dovendo intendersi che la regola  generale
sia quella dell'ammissione del condannato alla vita  in  comune  onde
consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e  il  suo
recupero al contesto sociale ai sensi dell'art. 27  Cost.,  comma  3»
(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9300 del 2014). 
    Rispetto a tale regime  generale  la  legge  ha  previsto  alcune
eccezioni, tra cui - per quanto qui rileva  -  l'isolamento  continuo
(diurno   e   notturno)   connesso   alla    sanzione    disciplinare
dell'esclusione dalle attivita' in comune ai sensi degli articoli 33,
comma 1, lettera b) e 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975. 
    Tale sanzione, prevista in  relazione  ad  illeciti  disciplinari
individuati  dal  regolamento.  e'  deliberata   dal   Consiglio   di
disciplina. 
    In ragione delle possibili conseguenze negative  sulla  salute  e
sul  benessere  dell'individuo,  la  legge  prevede  poi  particolari
cautele da adottare e in particolare  verifiche  sanitarie  circa  la
sopportabilita' della misura, sia preventivamente  sia  in  corso  di
applicazione. 
3. Non manifesta infondatezza. La violazione degli articoli 3  e  27,
comma 3, Cost. 
    3.1 La sanzione disciplinare della esclusione dalle attivita'  in
comune - nella misura in cui isola il detenuto dalla comunita'  degli
altri detenuti - pare contrastare con la funzione  rieducativa  della
pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione. 
    3.2 La Corte costituzionale ha in piu' pronunce sottolineato  che
quella rieducativa non e' l'unica  funzione  cui  deve  assolvere  la
pena, dovendo la stessa  coesistere  con  altre  funzioni.  Ha  pero'
affermato che «tale principio di armonica coesistenza  deve  ispirare
l'esercizio  della  discrezionalita'  che  in  materia   compete   al
legislatore,  le  cui  scelte  risulteranno   non   irragionevoli   e
rispettose  del   precetto   dell'art.   27,   terzo   comma,   della
Costituzione, allorquando, pur privilegiando l'una  o  l'altra  delle
suddette finalita', il sacrificio  che  si  arreca  ad  una  di  esse
risulti assolutamente necessario per il soddisfacimento dell'altra e,
comunque, purche' nessuna ne risulti obliterata (sentenze n. 257  del
2006 e n. 306 del 1993)» (sentenza n. 78 del 2007). 
    3.3 Con riguardo all'istituto in esame, benche' l'art. 36,  legge
n. 354/1975 proclami che «Il regime disciplinare e' attuato  in  modo
da  stimolare  il  senso  di  responsabilita'  e  la   capacita'   di
autocontrollo» e che «Nell'applicazione della sanzione si tiene conto
del programma di trattamento in corso», in realta' il contenuto della
sanzione in questione pare andare in direzione diametralmente opposta
rispetto alla finalita' rieducativa. 
    Posto che la rieducazione di cui al principio costituzionale  non
e'  la  mera  emenda   interiore,   ma   anche   e   soprattutto   la
risocializzazione, intesa come acquisizione (o  riappropriazione)  da
parte del condannato  della  capacita'  di  vivere  in  societa'  nel
rispetto  delle   sue   norme   fondamentali,   il   legislatore   ha
coerentemente previsto che il trattamento  penitenziario  abbia  come
connotato di base l'ammissione del  detenuto  alla  vita  in  comune,
volta a «consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e
il suo recupero al contesto sociale  ai  sensi  dell'art.  27  Cost.,
comma 3» (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9300 del 2014). 
    3.4  In  tale  quadro  l'isolamento  a  scopo  disciplinare   del
detenuto, sia pur temporaneo, realizzando  una  separazione  coattiva
del medesimo dalla comunita' di cui fa parte, risulta contrastare con
la citata finalita' della pena  e  inserirsi  in  modo  incoerente  e
irragionevole nella disciplina del trattamento penitenziario. 
    Oltre a comportare seri rischi  per  la  salute  psicofisica  del
detenuto - motivo per cui i vari organismi  internazionali  (tra  cui
l'Organizzazione delle Nazioni Unite e il Consiglio  d'Europa)  hanno
formulato raccomandazioni in cui invitano gli Stati membri a fare uso
dell'isolamento penitenziario solo in  casi  eccezionali,  per  brevi
periodi e comunque  monitorando  lo  stato  di  salute  del  detenuto
(analoghe indicazioni si rinvengono nella giurisprudenza della  Corte
europea  dei   diritti   dell'uomo)   -   l'isolamento   nuoce   alla
risocializzazione, pregiudicandola, dal momento che non consente  ne'
i contatti con gli altri detenuti ne' la possibilita'  di  fruire  di
quegli strumenti  del  trattamento  penitenziario  che  implicano  il
contatto con gli altri detenuti. 
    3.5 L'art. 33, legge n. 354/1975 fa  salvo  per  il  soggetto  in
isolamento il diritto ad effettuare i colloqui visivi con i  soggetti
autorizzati. 
    L'art. 73, comma 7, del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 230/2000 prevede inoltre espressamente contatti tra il detenuto in
isolamento e  il  personale  penitenziario  (medico,  componente  del
gruppo di osservazione e trattamento e personale del Corpo di polizia
penitenziaria). 
    Le norme di legge e regolamentari nulla  prevedono  espressamente
circa   altri   istituti   del   diritto   penitenziario,   come   la
corrispondenza epistolare e i colloqui telefonici. 
    Trattandosi di istituti  afferenti  a  diritti  fondamentali,  in
assenza di uno specifico divieto le norme  possono  interpretarsi  in
modo costituzionalmente orientato, e cioe' nel senso che il diritto a
tali forme di comunicazione non sia inciso  dall'isolamento  continuo
disciplinare. 
    3.6  Tratto  essenziale  della  sanzione  dell'esclusione   dalle
attivita' in comune, non suscettibile d'interpretazione conforme,  e'
viceversa l'isolamento - materiale e coattivo -  del  sottoposto  dal
resto dei detenuti (e cioe' dai suoi «pari», il rapporto coi quali e'
fondamentale per la risocializzazione). 
    In tal senso e' chiaro il termine «isolamento»,  che  costituisce
il titolo dell'art. 33 della legge e dell'art. 73 del  regolamento  e
che ricorre piu' volte nel corpo degli stessi articoli,  accompagnato
anche dal termine «continuo», cioe' sia diurno  sia  notturno  (cosi'
differenziandosi da quello solo diurno previsto dall'art.  72  codice
penale). 
    Il  regolamento,  cui  l'art.   33   della   legge   demanda   la
specificazione  delle  modalita'   di   esecuzione   dell'isolamento,
all'art. 73, comma 3 prevede che «Ai detenuti e  gli  internati,  nel
periodo di esclusione dalle attivita' in comune, di cui al  comma  2,
e' precluso di comunicare con i compagni». 
    3.7 Tale isolamento continuo dal resto dei detenuti non e'  volto
ad assolvere ad una  delle  funzioni  della  pena  costituzionalmente
ammesse. 
    Risponde  viceversa  ad  una  finalita'  disciplinare,   si'   da
garantire - quale sanzione piu' grave tra quelle  previste  dall'art.
39, legge n. 354/1975 - il rispetto delle disposizioni  che  regolano
la vita penitenziaria. 
    Occorre tuttavia rilevare che il citato  art.  39  prevede  anche
altre sanzioni disciplinari sufficientemente afflittive e quindi tali
da poter assolvere adeguatamente alla funzione deterrente che e' loro
propria,  senza  incidere  cosi'  pesantemente  su  quel  residuo  di
liberta' che permane in capo a chi e' detenuto e che «e'  tanto  piu'
prezioso  in  quanto  costituisce  l'ultimo  ambito  nel  quale  puo'
espandersi la sua personalita'  individuale»  (sentenza  della  Corte
costituzionale  n.  349  del  1993).  Inoltre  le   stesse   sanzioni
disciplinari possono esplicare un'efficacia dissuasiva, oltre che per
il contenuto loro proprio, anche  per  i  relativi  effetti  riflessi
nell'ambito dei procedimenti per la concessione di licenze e permessi
e per l'ammissione a misure  alternative  (senza  considerare  che  i
medesimi  fatti  che  costituiscono  infrazioni  disciplinari  spesso
integrano anche dei reati, perseguiti e puniti penalmente, e  che  la
giurisprudenza costante di legittimita' - sia che riconosca la natura
sostanzialmente penale della sanzione disciplinare, sia che la  neghi
- esclude comunque che cio' comporti una violazione del principio del
ne bis in idem). 
    Ma oltre ad essere non necessaria (ben potendo le altre  sanzioni
disciplinari     assolvere      adeguatamente      alla      funzione
dissuasiva/regolatoria), la sanzione dell'esclusione dalle  attivita'
in comune pare scontare un vizio di base.  Pare  cioe'  concepire  la
partecipazione del detenuto alla  vita  in  comune  come  un  surplus
nell'interesse solo del  detenuto  stesso,  che  quindi  puo'  essere
(provvisoriamente)    soppresso    per    sanzionare     l'infrazione
disciplinare; detta partecipazione viceversa - in  quanto  componente
essenziale del trattamento rieducativo - risponde  si'  all'interesse
del detenuto, ma anche alla funzione istituzionale della  pena  e  in
generale  all'interesse  dell'ordinamento  a  che  il  soggetto   sia
effettivamente reinserito socialmente (affinche' non  commetta  nuovi
reati). 
4. Non manifesta infondatezza. La violazione degli articoli  32  e  3
Cost. 
    4.1  Gli  studi  scientifici  ormai  da  parecchio  tempo   hanno
evidenziato i rischi che  l'isolamento  carcerario  comporta  per  la
salute psicofisica del detenuto che vi sia sottoposto. 
    Cio' ha portato varie  istituzioni  internazionali  ad  elaborare
standards,  raccomandazioni,  linee   guida   in   cui   il   ricorso
all'isolamento  e'  sconsigliato   e   comunque   limitato   a   casi
eccezionali: in tal senso le c.d. Mandela rules elaborate nell'ambito
delle Nazioni Unite, ma anche le c.d. regole  penitenziarie  europee,
che prevedono una pluralita' di cautele a tutela della  salute  umana
(la  previsione  una  durata  massima  di  quindici  giorni,  la  non
applicazione del regime d'isolamento a donne in stato di gravidanza e
minori, il monitoraggio  costante  delle  condizioni  di  salute  del
detenuto sottoposto all'isolamento, la sospensione dell'isolamento in
caso di deterioramento delle condizioni di salute mentali  o  fisiche
del detenuto. ecc.). 
    4.2 Lo stesso legislatore italiano ha implicitamente riconosciuto
l'esistenza di un rischio significativo per la  salute  del  detenuto
allorche' all'art. 39, legge n. 354/1975 ha previsto che «La sanzione
della esclusione dalle attivita' in comune non puo'  essere  eseguita
senza la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante
che il soggetto puo' sopportarla» e che «Il  soggetto  escluso  dalle
attivita' in comune e' sottoposto a costante controllo sanitario» (ha
inoltre disposto che «L'esecuzione della  sanzione  della  esclusione
dalle attivita' in  comune  e'  sospesa  nei  confronti  delle  donne
gestanti e delle  puerpere  fino  a  sei  mesi,  e  delle  madri  che
allattino la propria prole fino ad un anno». 
    Vi e' allora da chiedersi  se  sia  costituzionalmente  legittimo
esporre un detenuto per fini disciplinari ad un rischio  apprezzabile
per la relativa salute. 
    Ad avviso di questo scrivente, la disciplina censurata  contrasta
con la norma di cui all'art. 32 della Costituzione. 
    4.3 Premesso che  la  censura  concerne  unicamente  l'isolamento
quale  sanzione  disciplinare,  la  consapevole  esposizione  di   un
soggetto  (della  cui  custodia   e   del   cui   stato   di   salute
l'amministrazione penitenziaria ha la responsabilita') ad un  rischio
per  la  relativa  salute  non  pare  potersi  giustificare  con  una
finalita' disciplinare, essendo la misura eccessiva rispetto  a  tale
finalita'. 
    4.4  Ne'  la  circostanza   che   l'esecuzione   della   sanzione
disciplinare sia accompagnata da talune cautele vale a scongiurare il
rischio in questione:  il  monitoraggio  sulla  salute  psichica  del
detenuto proprio per la natura del disagio non consente  infatti  una
rilevazione  immediata  dell'insorgere   della   criticita'   o   del
deterioramento delle condizioni, spesso emergendo questi dati solo  a
seguito delle manifestazioni esteriori, che  talora  hanno  modalita'
drammatiche quando non tragiche. 
    4.5 A maggior ragione la finalita' disciplinare  non  pare  poter
giustificare l'esposizione  ad  un  rischio  per  la  salute  ove  si
consideri, da un lato, che la sanzione disciplinare in questione  non
e' priva di  alternative,  gia'  prevedendo  l'ordinamento  ulteriori
sanzioni disciplinari che non  mettono  in  pericolo  la  salute  del
detenuto, e, dall'altro, che per i fatti piu' gravi  vi  e'  comunque
l'ulteriore presidio del diritto penale. 
5. Non manifesta infondatezza. La violazione dell'art. 15 Cost. 
    5.1 L'art. 15 della Costituzione al primo comma prevede  che  «La
liberta' e la segretezza della corrispondenza e di ogni  altra  forma
di comunicazione sono inviolabili». 
    Oggetto dell'attenzione della  Corte  costituzionale  sono  state
spesso la corrispondenza epistolare, le comunicazioni telefoniche e -
piu' recentemente - anche le forme di comunicazione  cui  hanno  dato
accesso le piu' moderne innovazioni tecnologiche (posta  elettronica,
messaggistica istantanea, ecc.). 
    Il principio affermato dall'art. 15 Cost. ha  pero'  riguardo  ad
ogni forma di comunicazione: come anche recentemente affermato  dalla
Corte costituzionale «la tutela accordata dall'art. 15  Cost.  -  che
assicura a tutti i consociati la  liberta'  e  la  segretezza  "della
corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione", consentendone
la limitazione "soltanto per atto motivato dell'autorita' giudiziaria
con  le  garanzie  stabilite   dalla   legge"   -   prescinde   dalle
caratteristiche  del  mezzo  tecnico   utilizzato   ai   fini   della
trasmissione del pensiero [...]. La garanzia si estende,  quindi,  ad
ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette  a  disposizione  a
fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici,  ignoti
al momento del varo della Carta costituzionale» (sentenza n. 170  del
2023). 
    In particolare,  qui  rileva  la  liberta'  di  comunicazione  in
presenza, cioe' la forma piu' basilare di  comunicazione  tra  esseri
umani: sia quella verbale, sia  quella  attraverso  comportamenti  di
tipo comunicativo (cui ha fatto riferimento la Corte  costituzionale,
ad esempio, nella sentenza n. 135 del 2002). 
    5.2  L'art.  15,  comma  2  della  Costituzione  prevede  che  la
limitazione della liberta' e della segretezza della corrispondenza  e
di ogni altra forma di comunicazione «puo' avvenire soltanto per atto
motivato dell'autorita' giudiziaria con le garanzie  stabilite  dalla
legge». 
    Rileva qui la limitazione  della  liberta'  di  comunicazione  in
presenza del detenuto che si determina con la  sanzione  disciplinare
della esclusione dalle attivita' in comune. 
    In particolare, le norme qui censurate non paiono rispettare  ne'
la riserva di giurisdizione, ne' la riserva di legge. 
    5.3 La citata  sanzione  disciplinare  realizza  una  limitazione
della liberta' di comunicazione. 
    E'  bene  rilevare  in  proposito  che  non  si  tratta  di   una
limitazione normalmente conseguente alla restrizione  della  liberta'
personale implicita nell'esecuzione della pena  detentiva  (come,  ad
esempio, l'impossibilita' di una comunicazione gestuale coi  detenuti
ristretti in una  diversa  camera  di  detenzione  dopo  l'orario  di
chiusura delle camere),  ne'  di  una  limitazione  conseguente  alle
normali regole di una vita in comunita' (come, ad esempio, il divieto
di fare rumore in orario notturno). 
    Al  contrario,  la  limitazione  (o  meglio  soppressione)  della
liberta' di comunicazione con gli altri detenuti costituisce lo scopo
precipuo e il contenuto principale  della  sanzione  disciplinare  in
questione. 
    Lo  stesso  concetto  di   isolamento   (continuo)   postula   la
segregazione di chi vi sia  sottoposto  rispetto  agli  altri  membri
della comunita'. 
    Il  divieto  di  comunicazione  e'  poi  espressamente   previsto
dall'art. 73, comma 3, decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
230/2000 («Ai detenuti e gli internati,  nel  periodo  di  esclusione
dalle attivita' in  comune,  di  cui  al  comma  2,  e'  precluso  di
comunicare con i compagni») e, tra l'altro,  la  violazione  di  tale
divieto ai sensi dell'art. 77, comma 1, n. 9 dello stesso decreto del
Presidente della Repubblica  n.  230/2000  costituisce  un'infrazione
disciplinare  anch'essa  suscettibile  di   essere   sanzionata   con
l'esclusione dalle attivita' in comune (ai sensi dell'art. 77,  comma
3). 
    E' bene peraltro sottolineare che non viene qui in esame un  caso
di illiceita' del regolamento per  contrasto  con  le  previsioni  di
legge. Al contrario la norma regolamentare e' coerentemente attuativa
della  norma  di  legge  (di   cui   si   censura   la   legittimita'
costituzionale) che prevede l'isolamento continuo  del  detenuto  cui
sia  applicata  la  sanzione   disciplinare   dell'esclusione   dalle
attivita'  in  comune,  demandando  al  regolamento  (senza  peraltro
prevedere criteri  precisi)  la  specificazione  delle  modalita'  di
esecuzione dell'isolamento. 
    Del resto, la Corte - nel valutare la legittimita' costituzionale
di una norma di legge - ha in talune occasioni  avuto  riguardo  alle
«specificazioni  espresse  dalla  normativa  regolamentare,   i   cui
contenuti integrano il precetto della norma primaria», in quanto  «il
rapporto che cosi' si determina tra la legge e la  fonte  secondaria,
che ne concretizza un preciso significato, consente lo  scrutinio  di
costituzionalita'» della norma di legge (sentenza n.  456  del  1994,
poi richiamata dalle sentenze n. 34 del 2011, n. 242 del  2014  e  n.
224 del 2018). 
    Infine, occorre rilevare che la  limitazione  della  liberta'  di
comunicazione del  detenuto  sottoposto  all'isolamento  continuo  e'
perseguita dall'amministrazione penitenziaria - in  attuazione  della
norma di  legge  e  della  norma  regolamentare  -  anche  attraverso
appositi accorgimenti materiali, quali in particolare la chiusura del
«blindo» (che  invano  l'attuale  imputato  chiedeva  fosse  lasciato
«socchiuso quantomeno per un po' di tempo  durante  il  giorno»).  La
Corte di cassazione nella sentenza n. 9300 del 2014  -  sia  pur  con
riferimento all'isolamento diurno previsto dall'art. 72 codice penale
come sanzione penale aggiuntiva rispetto all'ergastolo - ha affermato
che l'apertura del «blindo» svuoterebbe di  contenuto  la  norma  che
prevede l'isolamento. 
    5.4 Non risulta rispettata la riserva di  giurisdizione  prevista
dall'art.  15  Cost.,  in  ragione  della  quale   la   liberta'   di
comunicazione  puo'  essere  limitata  solo   in   presenza   di   un
provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria. 
    Il  provvedimento  applicativo  della  sanzione  non  e'  infatti
adottato dall'autorita' giudiziaria, ma dal Consiglio  di  disciplina
(composto, ai sensi dell'art. 40, legge n. 354/1975,  dal  direttore,
dall'educatore  e  da  un  professionista  esperto   in   psicologia,
pedagogia, ecc.). 
    Ne', perche' sia  rispettata  la  riserva  di  giurisdizione,  e'
sufficiente  la  possibilita'  di  impugnare  il  provvedimento   del
Consiglio di disciplina dinanzi alla Magistratura di sorveglianza: la
Corte costituzionale nella sentenza n. 2  del  2023,  richiamando  il
proprio precedente di cui alla sentenza n. 419 del 1994,  ha  infatti
affermato che gia' quella sentenza di accoglimento «ha avuto cura  di
precisare l'ininfluenza,  ai  fini  del  rispetto  della  riserva  di
giurisdizione, dell'eventuale previsione di un riesame  del  giudice,
su iniziativa dell'interessato. Gia' in quell'occasione, fu osservata
la natura meramente eventuale di questo vaglio, attivabile su impulso
del  destinatario  della  misura.  Cio'  va   ribadito   nell'odierna
questione: quel che conta, ai fini  del  rispetto  della  riserva  di
giurisdizione  costituzionalmente  imposta,  e'  la  titolarita'  del
potere di decidere, direttamente e definitivamente, la misura stessa.
Se tale potere e' conferito ad un'autorita' non  giudiziaria,  nessun
riferimento ad una "fattispecie a formazione progressiva", sulla base
della previsione di un eventuale, successivo intervento del  giudice,
puo' emendare il vizio di legittimita' costituzionale». 
    5.5 Ad avviso di chi  scrive,  la  violazione  della  riserva  di
giurisdizione (cosi' come le altre violazioni  parimenti  denunciate)
rende    costituzionalmente     illegittimo     l'intero     istituto
dell'esclusione dalle attivita' in comune. 
    In subordine, si chiede alla Corte costituzionale  di  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 40, legge n. 354/1975 nella
parte in cui, in relazione alla sanzione disciplinare dell'esclusione
dalle attivita' in comune prevede che a deliberarla sia il  Consiglio
di disciplina anziche' prevedere che a deliberarla sia,  su  proposta
del direttore dell'istituto: (a) nei confronti dei condannati e degli
internati, il magistrato di  sorveglianza;  b)  nei  confronti  degli
imputati,  il  giudice  indicato  nell'articolo  279  del  codice  di
procedura  penale;  cio'  secondo   la   disciplina   adeguata   gia'
rinvenibile  nell'ordinamento  a  proposito  della  limitazione  alla
liberta'  di  comunicazione  prevista  dall'art.  18-ter,  legge   n.
354/1975. 
    5.6 La disciplina di cui agli articoli 33,  38  e  39,  legge  n.
354/1975 pare violare altresi' la riserva di legge prevista dall'art.
15 della Costituzione. 
    In  piu'  pronunce  la  Corte  costituzionale  ha  affermato   il
carattere assoluto della riserva di legge di cui  all'art.  15  della
Costituzione: recentemente nelle sentenze n. 20 del 2017 e n.  2  del
2023. 
    In violazione di tale riserva, nel caso di  specie  la  legge  si
limita   all'art.   39   a   prevedere   la   sanzione   disciplinare
dell'esclusione dalle attivita' in comune, demandando viceversa (art.
38,  comma  1)  interamente  al  regolamento  l'individuazione  delle
infrazioni disciplinari e cioe'  dei  casi  in  cui  la  sanzione  in
questione puo' essere deliberata, cio'  che  dovrebbe  costituire  la
prima garanzia ad essere individuata dalla legge.  Si  deve  peraltro
incidentalmente  rilevare  che  le  previsioni  del  regolamento   in
proposito sono anche in  taluni  casi  molto  generiche  (ad  esempio
l'art. 77, comma 1 del regolamento al n. 16 prevede  come  infrazione
l'«inosservanza di ordini o  prescrizioni  o  ingiustificato  ritardo
nell'esecuzione di essi»). 
    Anche  il  procedimento  per  l'applicazione  della  sanzione  e'
disciplinato nei dettagli non dalla legge - che all'art. 38, comma  2
si limita a fissare i principi  dell'obbligo  di  motivazione,  della
previa contestazione dell'addebito e del diritto di difesa - ma dagli
articoli 78 e ss. del regolamento. 
6. Ulteriori rilievi 
    6.1 Considerato il  dato  testuale  delle  norme  censurate,  non
paiono  percorribili  interpretazioni  conformi   delle   norme   ora
censurate agli articoli 3, 27 comma 3 e 15 della Costituzione, chiaro
e univoco essendo il dato normativo. 
    6.2 Qualora fosse accolta  la  questione  qui  sollevata  in  via
principale,  ad  avviso  di  questo  giudice  occorrerebbe   in   via
consequenziale dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  altresi'
degli articoli 39, commi 2 e 3, dell'art. 10, comma 4 e dell'art. 69,
comma 6, legge n. 354/1975, nella parte in cui fanno riferimento alla
sanzione della esclusione dalle attivita' in comune. 

 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost., 23 ss. legge n. 87/1953, 
    ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata, 
    Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale  delle
norme di cui agli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1,  n.
5, legge n. 354/1975, 
    per violazione degli articoli 3,  27  comma  3,  32  e  15  della
Costituzione; 
    e in subordine 
    Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale  della
norma di cui all'art. 40, legge n. 354/1975 nella parte  in  cui,  in
relazione alla sanzione disciplinare dell'esclusione dalle  attivita'
in comune, prevede che a deliberarla sia il Consiglio  di  disciplina
anziche' prevedere che a deliberarla sia, su proposta  del  direttore
dell'istituto: (a) nei confronti dei condannati e degli internati, il
magistrato di sorveglianza;  b)  nei  confronti  degli  imputati,  il
giudice indicato nell'art. 279 del codice di procedura penale, 
    per violazione dell'art. 15 della Costituzione. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso,  ed  i  relativi  termini   di
prescrizione giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale  della
presente ordinanza e degli atti del procedimento,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri,  nonche'  per  la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica e  per  la  successiva  trasmissione  del  fascicolo
processuale alla Corte costituzionale. 
    Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23,  comma  4,  legge  n.
87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza  e  che,
pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o  devono
considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5 del codice  di  porcedura
penale. 
 
        Firenze, 26 maggio 2025 
 
                         Il Giudice: Attina'