Reg. ord. n. 143 del 2025 pubbl. su G.U. del 27/08/2025 n. 35
Ordinanza del Tribunale di Arezzo del 28/04/2025
Tra: F. B.
Oggetto:
Reati e pene – Reati transnazionali ai sensi dell’art. 3 della legge n. 146 del 2006 – Confisca per equivalente – Denunciata applicazione della confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente al prodotto, profitto o prezzo del reato, con la sentenza di condanna e non anche a seguito di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti – Violazione del principio di legalità – Inosservanza del parametro della prevedibilità, come declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU in relazione all’art. 7 della CEDU.
Norme impugnate:
legge
del 16/03/2006
Num. 146
Art. 11
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 25
Co. 2
Costituzione
Art. 25
Co. 3
Costituzione
Art. 117
Co. 1
Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali
Art. 7
Co.
Testo dell'ordinanza
N. 143 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 2025
Ordinanza del 28 aprile 2025 del Tribunale di Arezzo nel procedimento
penale a carico di F. B..
Reati e pene - Reati transnazionali ai sensi dell'art. 3 della legge
n. 146 del 2006 - Confisca per equivalente - Denunciata
applicazione della confisca di somme di denaro, beni od altre
utilita' di cui il reo ha la disponibilita', anche per interposta
persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente al
prodotto, profitto o prezzo del reato, con la sentenza di condanna
e non anche a seguito di sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti.
- Legge 16 marzo 2006, n. 146 (Ratifica ed esecuzione della
Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine
organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15
novembre 2000 ed il 31 maggio 2001), art. 11.
(GU n. 35 del 27-08-2025)
TRIBUNALE DI AREZZO
ufficio gip \ g.u.p.
Il Giudice, dott.ssa Giulia Soldini, in funzione di giudice
dell'esecuzione;
Letta l'istanza ed i documenti allegati e preso atto delle
argomentazioni sviluppate dalle parti;
Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 6 febbraio 2025;
Osserva quanto segue
1. L'incidente di esecuzione.
L'avv. Benedetto Buratti del Foro di Roma presentava istanza
nell'interesse di F B , volta ad ottenere la revoca
della confisca per equivalente applicata con la sentenza n. 340\2017
- definitiva il 27 febbraio 20219 e, per l'effetto, la restituzione
dei beni di cui alla richiesta.
Le ragioni fondanti la tesi difensiva erano plurime ma,
prevalentemente, si sostanziavano sull'inapplicabilita' di siffatta
confisca in presenza di una sentenza di applicazione pena su
richiesta delle parti. In particolare:
trattandosi di confisca per equivalente, la stessa avrebbe
natura di sanzione penale e non di misura di sicurezza. Ne
deriverebbe la violazione del principio di legalita' e prevedibilita'
- cosi' come declinato dall'art. 7 CEDU - poiche' applicata a seguito
di una sentenza ex art. 444 codice di procedura penale che non
contiene un accertamento sulla responsabilita' penale;
la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti non
puo' essere equiparata ad una sentenza di condanna e, percio', non
puo' comportare l'applicazione di tale particolare confisca a meno
che non sia espressamente indicato dal legislatore. Diversamente -
attesa la natura sostanziale di pena - si determinerebbe un'analogia
in malam partem;
non essendo sufficientemente chiara la base legale, la confisca
applicata a B determinava un'illegittima ingerenza nel godimento dei
beni, in violazione dell'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU;
oltre a questo, la misura ablativa si rivelava del tutto
sproporzionata perche' parametrata al valore del negozio giuridico
sotteso al delitto di ricettazione e non al profitto concretamente
realizzato dal condannato.
Il pubblico ministero si opponeva alla richiesta avanzata dalla
Difesa precisando come - dopo ben tredici udienze celebrate dinanzi
al GUP (di cui depositava i verbali), nelle quali le parti
discutevano proprio sull'applicabilita' o meno della confisca per
equivalente - non potesse porsi un problema di prevedibilita' in
concreto.
Quanto poi alla natura sanzionatoria assegnata alla confisca
dalle pronunce della Corte EDU, il pubblico ministero rilevava come
si trattasse di un orientamento giurisprudenziale che, come tale, era
inidoneo a travolgere il giudicato.
Oltre a questo, insisteva sul fatto che la lettura testuale
complessiva dell'art. 11 legge n. 146\2006 non limitasse affatto
l'applicazione della confisca per equivalente all'ipotesi di sentenza
di condanna e che i beni sui quali si consolidava il vincolo erano
gia' tutti sottoposti a sequestro preventivo, nel momento in cui gli
(allora) imputati avevano avanzato istanza di definizione ai sensi
dell'art. 444 codice di procedura penale.
Le argomentazioni prospettate dalle parti sono plurime e
complesse, pertanto richiedono una trattazione ordinata.
2. Il giudicato.
In primo luogo, occorre rilevare quale sia l'ambito di formazione
del giudicato.
Con la sentenza n. 340\2017, il G.U.P; presso il Tribunale di
Arezzo applicava - tra gli altri - a F B la
pena concordata con il pubblico ministero titolare del fascicolo. In
tale pronuncia, il Giudice:
escludeva la sussistenza di elementi rilevanti ai fini della
pronuncia ex art. 129 codice di procedura penale (pag. 36);
riteneva sussistenti i fatti nella loro storicita' (pag. 37);
affermava la correttezza della qualificazione giuridica ad essi
ascritta - per F B in relazione ai capi A) e B)
dell'imputazione (artt. 416 e 648 c.p.) (pag. 38);
dichiarava la sussistenza del vincolo della continuazione tra i
reati ascritti agli imputati (pag. 38);
affermava la sussistenza del requisito della transnazionalita'
(pag. 40), in relazione ai reati-fine (pag. 48);
equiparava la sentenza di applicazione della pena ad una
sentenza di condanna, precisando che la pronuncia ex art. 444 codice
di procedura penale comportasse l'applicazione di tutte le
conseguenze penali tipiche della condanna, salvo quelle espressamente
escluse (pag. 41);
aggiungeva che l'insussistenza dei requisiti per il
proscioglimento ex art. 129 codice di procedura penale si
riverberasse sulla positiva valutazione in ordine ai presupposti
applicativi della confisca ex art. 11 legge n. 146\2006 (pag. 45);
rilevava come la Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine
transnazionale - ratificata con la legge n. 146\2006 - esprimesse una
volonta' politico-criminale chiara: l'estensione massima della
confisca (pag. 46);
oltre a questo, ricorreva all'interpretazione letterale
dell'art. 11 legge cit.: il terzo inciso era palesemente riferito al
secondo, mentre il primo restava generico (pag. 47) - sembrando, piu'
che altro, che il terzo sancisse l'obbligo del giudice di indicare
specificamente i beni da apprendere in caso di condanna in senso
formale;
osservava come, trattandosi di reati-contratto, il profitto
fosse equivalente al valore economico dell'intero negozio - pari al
valore del metallo oggetto dei plurimi episodi di ricettazione (pag.
52);
confermava l'applicabilita' del principio solidaristico;
prendeva, quale valore di riferimento per il calcolo del
profitto, il valore medio dell'oro nel periodo di riferimento (euro
40,00 al grammo).
La Corte di cassazione con sentenza n. 16100 del 27 febbraio 2019
respingeva i ricorsi promossi dai Difensori degli imputati,
determinando cosi' la formazione del giudicato. In particolare, la
Corte di cassazione:
confermava la sussistenza del reato transnazionale (pag. 8) in
relazione ai reati-fine;
rappresentava come il G.U.P., sebbene non obbligato, avesse
motivato sufficientemente in merito alla insussistenza degli elementi
per giungere ad un proscioglimento ex art. 129 codice di procedura
penale (pag. 9);
affermava che il terzo inciso dell'art. 11 legge n. 146\2006
("in tali casi"), dovesse intendersi riferito a tutta la norma e non
solo al secondo inciso relativo al delitto di usura (pag. 12);
precisava, infatti, che la norma andasse letta alla luce dello
spirito della Convenzione delle Nazioni Unite che: a) richiedeva di
prevenire e combattere il crimine transnazionale nel modo piu'
efficace; b) parlava genericamente di condanna e condannati, senza
vincoli di modelli procedimentali;
confermava la congruita' del quantum confiscato e la
correttezza del parametro di calcolo preso come riferimento (pag.
18);
ribadiva la correttezza dell'applicazione del principio
solidaristico (pag. 19\20).
Su tali basi, il pubblico ministero sosteneva fortemente
l'intangibilita' del giudicato, non ravvisandosi le ipotesi di legge
che ne consentono la rimozione e trattandosi, al piu' di orientamenti
giurisprudenziali inidonei a metterlo in discussione, anche qualora
si faccia riferimento a pronunce della Corte europea dei diritti
dell'uomo.
3. L'argomentazione relativa all'intangibilita' del giudicato.
La giurisprudenza ha avuto modo di prendere posizione sul tema in
relazione a specifiche ipotesi, senza pero' arrivare a negare in
maniera netta ed indiscutibile la rilevanza del mutamento
giurisprudenziale.
In un caso, la Suprema Corte (Cassazione Penale, Sez. 3, n. 32469
dell'1 giugno 2023) affermava: "in tema di reati edilizi, non puo'
essere revocata, ex art. 673 codice di procedura penale, la sentenza
che abbia dichiarato estinta per prescrizione la contravvenzione di
lottizzazione abusiva e disposto contestualmente la confisca delle
opere ad essa relative nel caso in cui, in assenza di "abolitio
criminis" derivante da abrogazione o da declaratoria di
illegittimita' costituzionale della norma, si verifichi un mutamento
dell'orientamento giurisprudenziale affermato dalle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione o dalla Corte EDU".
Nel caso di specie, la Corte precisava come l'istituto di cui
all'art. 673 codice di procedura penale - invocato dalla Difesa -
fosse ancorato a parametri precisi (abrogazione o dichiarazione di
illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice), non
suscettibili di interpretazione estensiva. La Corte, richiamando la
sentenza 230\2012 della Corte costituzionale, escludeva che la
retroattivita' della lex mitior potesse riferirsi ai mutamenti
giurisprudenziali, come il principio di intangibilita' del giudicato
garantisse la certezza dei rapporti giuridici e come le pronunce
della Suprema Corte a Sezioni Unite avessero una efficacia
esclusivamente persuasiva e non cogente (pagg. 5 e 6).
Concludeva, al paragrafo 2.2.2. (pag. 7) che, in ogni caso, le
pronunce della Corte EDU non producono alcuna diretta conseguenza
sulle fattispecie incriminatrici.
Vi e' da dire, pero', che in quel caso il parametro richiamato
dal ricorrente era quello dell'art. 673 codice di procedura penale e,
dunque, le argomentazioni svolte dalla Corte risultano ineccepibili.
Ma circoscritte a quella specifica norma e non estendibili al
caso di specie.
Analogamente, Cassazione Penale, Sez. 6, n. 19429 del 3 maggio
2022: "non puo' essere fatta valere come ipotesi di revisione la
inutilizzabilita' sopravvenuta delle intercettazioni poste a
fondamento della decisione derivante dal mutamento giurisprudenziale
di cui alle Sez. U " " del 2019, successivo
all'irrevocabilita' della sentenza, trattandosi del risultato di
un'evoluzione esegetica, conducente ad una rivalutazione delle prove
gia' assunte, inidoneo a travolgere il giudicato".
Nel caso in parola, la Corte affermava l'inapplicabilita', nel
giudizio di revisione, del mutamento giurisprudenziale favorevole
successivo al giudicato, poiche' coinvolgente la rivalutazione di
prove la cui utilizzabilita' non era stata eccepita nel giudizio di
cognizione.
Anche in questo caso, pero', vengono in rilievo le peculiarita'
proprie del giudizio di revisione e la circostanza che la questione
non fosse mai stata eccepita prima di allora.
Nel procedimento che ha visto coinvolto F B ,
invece, la questione dell'applicabilita' della confisca per
equivalente in presenza di una sentenza ex art. 444 codice di
procedura penale e' stata sollevata e trattata in molteplici udienze,
sollevata dinanzi ai Giudici di legittimita' e, oggi, con l'incidente
di esecuzione.
E proprio in tema di incidente di esecuzione, si registrava
un'apertura da parte della Corte di Cassazione.
Le Sezioni Unite, con sentenza n. 18288 del 21 gennaio 2010,
affermavano che il requisito dei "nuovi elementi" - indispensabili
quali condizione di ammissibilita' ex art. 666 comma 2 codice di
procedura penale - dovesse intendersi riferito: a) sia ai nuovi
elementi di fatto; b) che ai nuovi elementi di diritto.
Tra i nuovi elementi di diritto, deve annoverarsi anche il
mutamento giurisprudenziale a Sezioni Unite; cio' perche' "s'impone,
invece, una interpretazione sistematica dell'art. 666 codice di
procedura penale, comma 2 alla luce delle disposizioni della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), con particolare
riferimento al principio di legalita' penale di cui all'art. 7, cosi'
come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria, in modo da
soddisfare l'esigenza di una interazione dialogica tra attivita'
ermeneutica del giudice nazionale e di quello europeo, nella
prospettiva della piu' completa tutela dei diritti fondamentali della
persona" (par 5, ultimo capoverso).
A ben vedere, che l'orientamento giurisprudenziale consolidato e
quello espresso dalla Suprema Corte a Sezioni Unite abbia un peso
sempre maggiore, si ricava non solo dagli obblighi internazionali
pattizi, ma anche dall'art. 618 comma 1-bis codice di procedura
penale.
Il diritto vivente e', infatti, espressione dell'interpretazione
che il giudice da' alla norma e l'articolo citato pare assimilare il
"diritto giurisprudenziale" a quello positivo; anche se, come
precisato da Cassazione a Sezioni Unite n. 8052 del 26 ottobre 2023:
"un consolidamento della funzione nomofilattica della Corte di
cassazione attraverso il ruolo rafforzato che viene assegnato alle
Sezioni Unite, le cui sentenze possono avere valore formale di
precedente nei confronti delle altre Sezioni penali della Corte a
determinate condizioni ed entro certi limiti, un precedente che,
ancorche' fluido e superabile, produce un vincolo ed esprime una
regola di stabilizzazione rispetto alla quale viene
procedimentalizzato l'eventuale dissenso della Sezione semplice".
Insomma, il vincolo del precedente opera per le sezioni semplici
della Corte di cassazione, ma non per il giudice di merito. Per
quest'ultimo, resta pero' quella nota efficacia persuasiva dei
pronunciamenti a Sezioni Unite.
E proprio nelle S.U. , la Corte aggiunge: "il rispetto
dei requisiti qualitativi di accessibilita' e prevedibilita' della
norma e' conseguente al grado di precisione non solo del testo di
legge, ma anche alla stabilizzazione dell'orientamento ermeneutico
interno che quella disposizione scolpisce nella sua portata. Non si
tratta di equiparare il diritto vivente alla legge, quanto,
piuttosto, di riconoscere al primo un ruolo, una funzione che
interferisce con la ragionevole prevedibilita' delle decisioni
future" (Cassazione S.U. n. 8052 del 26 ottobre 2023).
A tale conclusione, la Suprema Corte giunge proprio in base
all'interpretazione data dalla Corte EDU all'art. 7 della
Convenzione: "per effetto dell'esplicito riferimento al "diritto"
("law'') - e non soltanto alla "legge" - contenuto nell'art. 7, la
giurisprudenza di Strasburgo, infatti, ha inglobato nel concetto di
legalita' sia il diritto di produzione legislativa che quello di
derivazione giurisprudenziale, riconoscendo al giudice un ruolo
fondamentale nella individuazione dell'esatta portata della norma
penale, il cui significato e' reso esplicito dalla combinazione di
due dati, quello legislativo e quello interpretativo (cfr. sentenze
della Corte EDU 24 aprile 1990, caso Kruslin c/ Francia, 12 febbraio
2008, caso Kajkaris c/ Cipro; 15 novembre 1996, caso Cantoni c/
Francia; 25 maggio 1993, caso Kokkinakis c/ Grecia). Tale visione
sostanziale del principio di legalita' si confronta peraltro, secondo
la giurisprudenza della Corte EDU, con particolari condizioni
qualitative, quali l'accessibilita' della norma penale e la
ragionevole prevedibilita' delle sue conseguenze (cfr. sentenze Corte
europea Cantoni c/ Francia succitata; 22 novembre 1995, caso S.W. e
C.R. c/ Regno Unito; 29 marzo 2006, caso Achour c/ Francia)"
(Cassazione S.U. n. 18288 del 21 gennaio 2010).
Visione sostanziale del principio di legalita'. Questo e' il
punto.
E proprio le norme della CEDU - nel significato loro attribuito
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita
per dare ad esse interpretazione ed applicazione - integrano quali
norme interposte il parametro costituzionale espresso dall'art. 117,
comma 1 Cost. (Corte Cost. n. 264\2012) e la loro peculiarita'
consiste proprio nella soggezione a tale interpretazione, alla quale
gli Stati contraenti, salvo l'eventuale scrutinio di
costituzionalita', sono vincolati ad uniformarsi (Corte Cost. n.
39\2008).
E quanto alla rilevanza del mutamento giurisprudenziale: "quando,
nelle more di un giudizio incidentale, la giurisprudenza della Corte
EDU attribuisce alla norma convenzionale interposta un nuovo
significato, con potenziale effetto sui presupposti della questione
di legittimita' costituzionale, gli atti devono essere restituiti al
giudice a quo, affinche' proceda ad una valutazione della perdurante
rilevanza della questione, alla luce della giurisprudenza
costituzionale sopravvenuta" (Corte Cost. sentenza n. 43\2018).
Se dunque le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo
non sono idonee a travolgere direttamente il giudicato, sono pero' in
grado - in presenza di orientamenti consolidati - di consentire
all'interprete di verificare la legalita' o meno di una misura.
Quindi, nel caso di specie, non si tratta di affermare se un
successivo mutamento giurisprudenziale possa travolgere il giudicato.
Bensi' di capire se:
con specifico riferimento alla confisca di cui all'art. 11
legge n. 146\2006, si sia in presenza di una pena o meno - secondo i
parametri stabiliti dalla Corte EDU e dalla giurisprudenza interna;
in base alla conclusione raggiunta, se la norma invocata
rispetti il canone della prevedibilita' e della legalita', come
descritto nella CEDU ed interpretato dalla Corte.
Non si tratta quindi dell'incidenza di pronunciamenti
giurisprudenziali, anche successivi, su una confisca definitiva,
bensi' di verificare se la norma invocata e su cui si fonda
l'ablazione rispetti i parametri sovranazionali, conferendo legalita'
alla misura applicata al ricorrente.
Tale verifica passa inevitabilmente per la valutazione sulla
natura della sentenza di applicazione pena ed il confronto tra questa
e quella di condanna pronunciata all'esito di un dibattimento o di
rito abbreviato.
*Gli argomenti a sostegno della non manifesta infondatezza della
questione.
4. La confisca ex art. 11 legge n. 146\2006.
L'importanza di indagare sulla natura giuridica di un istituto e'
evidenziata dalla stessa Corte costituzionale, allorquando sconfessa
l'assunto per il quale ogni misura limitativa dei diritti
fondamentali applicati da un giudice penale in connessione a un fatto
di reato ha natura punitiva; infatti, "la natura delle varie forme di
confisca deve essere valutata in relazione allo specifico oggetto e
alla relativa finalita'".
Il discrimine risiede, dunque, nella finalita': se la misura -
per come concepita dal legislatore - sia tesa a neutralizzare il
pericolo di commissione di nuovi fatti previsti dalla legge come
reato o se sia tesa a punire per il fatto gia' commesso (Corte Cost.
n. 5\2023).
La Corte di Strasburgo ha fatto propria una concezione
autonomista tanto di pena, quanto di accusa penale, fornendo alcuni
criteri (noti come "Engel criteria" - Engel v. Pesi Bassi dell'8
giugno 1976): in partica, indipendentemente dalla qualificazione
ascritta dal diritto interno, l'interprete dovra' guardare alla
natura dell'illecito, alla gravita' della sanzione - desumibile dallo
scopo, preventivo o repressivo - nonche' dal procedimento di
applicazione della sanzione.
Se e' vero (in base a quanto argomentato nel paragrafo che
precede) che l'ordinamento nazionale deve accedere ad una visione
sostanziale del principio di legalita' (come imposto dalla CEDU) e
che tale visione presuppone che la prevedibilita' della norma dipenda
anche dalla giurisprudenza - che definisce l'esatta portata della
norma penale - occorre allora chiedersi quanto siano consolidati gli
orientamenti in materia di confisca per equivalente.
Con la sentenza n. 10561 del 30 gennaio 2014 (Gubert), la Corte
di Cassazione a Sezioni Unite si pronunciava sul sequestro preventivo
finalizzato alla confisca per equivalente in materia di reati
tributari e, in particolare, se questa potesse estendersi, oltre
all'imputato persona fisica, anche alla persona giuridica (per le
violazioni commesse dal legale rappresentante).
Nel riconoscerne la natura eminentemente sanzionatoria
dell'istituto di cui all'art. 322-ter codice penale - gia' in vigore
nella sua attuale formulazione - (come del resto gia' anticipato da
Cassazione S.U. n. 18374 del 31 gennaio 2013, - ultimo
capoverso del par. 2.8. pag. 14) e delle ipotesi di confisca che
espressamente lo richiamano, la Suprema Corte escludeva
l'applicazione di tale misura nei confronti della persona giuridica,
sul presupposto che il decreto legislativo 231\2001 contemplasse solo
una responsabilita' amministrativa dell'ente e non una
responsabilita' penale; in sostanza, la societa' non essendo mai
autore del reato - ne' concorrente nello stesso - non puo' essere
destinataria di una misura integrante una pena (secondo i parametri
offerti dalla CEDU).
Con la sentenza n. 31617 del 26 giugno 2015 ( ), le
Sezioni Unite ribadivano la natura sanzionatoria dell'art. 322-ter
codice penale - e di conseguenza di tutte le norme che ne richiamano
l'applicazione - perche' "connotata dal carattere afflittivo e da un
rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della
sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di
prevenzione che costituisce la principale finalita' delle misure di
sicurezza" (pag. 34).
Sulla scorta di tale ragionamento, la Suprema Corte escludeva che
si potesse applicare la confisca per equivalente in presenza di una
declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione,
anche qualora preceduta da una pronuncia di condanna (par. 12, pag.
35, riservando tale possibilita' solo alla confisca del prezzo ex
art. 240 comma 2 n. 1 codice penale o del prezzo e del profitto del
reato ex art. 322-ter c.p., sempre-che si trattasse di confisca
diretta).
Venendo ai giorni nostri, con la sentenza n. 13783 del 26
settembre 2024 (ricorrenti: e ), le
Sezioni Unite effettuavano dei distinguo di rilievo:
in primo luogo, la confisca diretta si fonda sull'idea di
pericolosita' della cosa - intesa o come sua attitudine a cagionare
un danno, o come incentivo per il reo a commettere ulteriori
illeciti. E' una pericolosita' di relazione, dunque l'istituto e'
teso a prevenire la commissione di ulteriori reati e non ha carattere
punitivo (pag. 14).
Il requisito del nesso di derivazione diretta del profitto dal
reato, opera anche per i beni costituenti "provento" (cioe', quelli
che rappresentano il primo reimpiego di quelli che derivano in via
immediata e diretta dal delitto), purche' siano individuati con
certezza tutti i passaggi e le trasformazioni del profitto originario
(pag. 15).
In tutti questi casi, si e' sempre in presenza di confisca
diretta (ndr: prevista dall'art. 445 comma 1 codice di procedura
penale);
quanto alla confisca per equivalente, la Corte precisava la
necessita' di una base legale, cioe' di una specifica norma che
consenta di procedere con tale forma di ablazione.
Richiamava la Corte costituzionale (n. 97\2009) che ne aveva
escluso l'applicazione retroattiva (alla neo-introdotta misura per
certi reati tributari) sul presupposto della sua natura sanzionatoria
desumibile: a) dalla mancanza di pericolosita' dei beni attinti; b)
dall'assenza di un nesso di pertinenzialita' con il reato. A seguire,
la Corte menzionava le pronunce di rilievo della Corte europea dei
diritti dell'uomo e i precedenti di legittimita' conformi (da ultimo,
Cassazione S.U. n. 4145 del 29 settembre 2022, );
la Corte aggiungeva: "la confisca, se diretta, sarebbe sempre
una misura di sicurezza, come tale sottratta alle garanzie della
legalita' penale e, invece, se per equivalente, sarebbe sempre una
sanzione, una pena, sottoposta, per tale ragione, alle fondamentali
garanzie derivanti dal principio di legalita'". Ebbene, al fine di
evitare simili affermazioni perentorie, la Corte invitava ad alcune
riflessioni:
1) il carattere di afflittivita' della misura puo' non
coincidere con quello della punizione, nel senso che se e' vero che
ogni pena e' afflittiva, non ogni misura afflittiva e' punizione.
Piu' semplicemente: punizione e' sofferenza per la violazione
di un precetto e, in quanto tale, deve avere funzione rieducativa;
invece, "se l'afflizione che consegue alla confisca deriva solo dalla
mera eliminazione dal patrimonio del reo di un bene che non sarebbe
stato acquisito se non fosse stato commesso il reato, la misura
mantiene un carattere afflittivo ma non assume anche un contenuto
punitivo" (pag. 20).
La bonifica dal patrimonio dell'agente del profitto illecito
- per ribadire che "il reato non paga" e che l'accrescimento
derivante da condotte penalmente rilevanti e' sempre privo di
legittima giustificazione - spiega il carattere di afflittivita'
della misura per equivalente, ma non anche quello strettamente
punitivo;
2) per spiegare il carattere punitivo, la Suprema Corte
richiamava la sentenza della Corte costituzionale n. 112\2019, nella
quale il Giudice delle leggi operava una distinzione in base
all'oggetto della confisca: se si tratta del profitto o del prezzo,
anche se per equivalente, la confisca ha una funzione essenzialmente
di riequilibrio, ripristinatoria; nel caso in cui invece attenga al
prodotto o ai beni utilizzati, puo' assumere carattere punitivo.
In pratica, "le confische assumono carattere punitivo, solo
quando infliggono all'autore dell'illecito una limitazione al diritto
di proprieta' di portata superiore a quella che deriverebbe dalla
mera ablazione dell'ingiusto vantaggio economico. Dunque, se la
confisca - diretta o per equivalente - non sottrae piu' di quanto sia
stato conseguito dall'illecito, essa ha carattere afflittivo,
ripristinatorio, ma non anche punitivo" (pag. 22).
La conseguenza che se ne trae e' che per le sanzioni
para-penali a carattere solo afflittivo, si applicano le garanzie
connesse al principio di legalita', quali i principi di
irretroattivita' e di proporzionalita' delle pene; solo a quelle che
si connotino anche per il carattere punitivo, si applica anche il
principio di rieducazione della pena;
3) se e' vero che la confisca per equivalente ha natura
sanzionatoria perche' rompe il nesso di pertinenzialita' tra il bene
e il reato, e' anche vero che non incide sull'identita' quantitativa
del rapporto tra reato e reo poiche', con l'ablazione per
equivalente, si ribadisce la sua essenza recuperatoria.
Ne deriva che, in quanto sussidiaria e a chiusura del
sistema, la confisca per equivalente partecipa della natura di quella
diretta (pag. 23).
Nello stesso senso si esprimeva anche la Corte costituzionale
nella sentenza n. 7\2025: "Come questa Corte ha gia' avuto occasione
di rilevare nella sentenza n. 5 del 2023, non tutte le misure che
rientrano nella competenza del giudice penale sono soggette al
medesimo statuto di garanzia. La Costituzione prevede, al secondo e
al terzo comma dell'art. 25, una diversa estensione del principio di
legalita' in materia, rispettivamente, di pene e di misure di
sicurezza. E persino il principio di proporzionalita' - che pure e'
«requisito di sistema nell'ordinamento costituzionale italiano, in
relazione a ogni atto dell'autorita' suscettibile di incidere sui
diritti fondamentali dell'individuo» (sentenza n. 24 del 2019, punto
9.7.3. del Considerato in diritto) - si declina in modo
necessariamente differente laddove sia riferito a misure orientate
primariamente a punire l'interessato por un fatto da questi
colpevolmente commesso, oppure a prevenire un pericolo (come nel caso
delle misure di sicurezza e delle misure cautelari), o ancora a
ripristinare semplicemente la situazione, fattuale e giuridica,
preesistente al reato [. . .] Ora, come gia' sottolineato nella
sentenza n. 112 del 2019, la confisca del "profitto" di un illecito
ha «mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale
precedente» alla commissione del fatto in capo all'autore. Una tale
osservazione vale, allo stesso modo, per le confische disposte
dall'autorita' amministrativa e per quelle disposte dal giudice
penale. Anche in relazione a queste ultime, infatti, la finalita'
essenziale della misura risiede nel sottrarre al reo l'utilita'
economica acquisita mediante la violazione della legge penale, e che
egli non ha il diritto di trattenere, proprio in ragione della sua
origine radicalmente illecita. Cio' che esclude quell'effetto
peggiorativo della sua situazione patrimoniale preesistente, che
necessariamente inerisce alle sanzioni dal contenuto "punitivo". Al
contrario, la confisca dei "beni utilizzati per commettere
l'illecito" (o semplicemente "beni strumentali") incide su beni non
ottenuti attraverso un'attivita' criminosa, e che dunque, di regola,
erano legittimamente posseduti dall'autore del reato al momento del
fatto; sicche' la loro ablazione ad opera del giudice penale
determina un peggioramento della sua situazione patrimoniale
preesistente al reato. Il che senz'altro esclude che tale misura
possa avere una natura meramente "ripristinatoria" dello status quo
ante [. . .] In linea generale, infatti, la confisca per equivalente
mira a far si' che il reo subisca, nel suo patrimonio complessivo, la
medesima perdita - in termini economici - che avrebbe sofferto
laddove fosse stato possibile eseguire, in via diretta, l'ablazione
degli specifici beni dei quali la legge dispone la confisca; si' da
evitare che egli possa continuare a godere delle utilita' derivanti
da tali beni, una volta che li abbia comunque messi al riparo dalla
pretesa ablatoria statale. Laddove, dunque, la confisca di un bene o
di una somma di denaro abbia natura di pena, quella medesima natura
dovra' essere ascritta anche alla corrispondente ipotesi di confisca
per equivalente".
C'e' da dire che gli attuali interventi giurisprudenziali hanno
una portata travolgente. Si e' passati dal sostenere che,
di sicuro, la confisca per equivalente ha natura eminentemente
sanzionatoria (in quanto i beni attinti mancano di pericolosita' e
vista l'assenza di un nesso di pertinenzialita' tra questi ed il
reato con la conseguente piena applicazione delle garanzie
costituzionali legate al concetto di pena), ad affermare che
ha certamente natura afflittiva (per l'eliminazione dal
patrimonio del reo di un bene che non sarebbe stato acquisito se non
fosse stato commesso il reato), ma non certamente punitiva.
Tale caratteristica deve essere valutata di volta in volta,
verificando se la misura si limiti a ripristinare la situazione
economica precedente al delitto o se sottragga al reo piu' di quanto
acquisito con il crimine.
Le conseguenze non sono cosi' irrilevanti:
se la misura fosse valutata come afflittiva ma non anche
punitiva, troveranno applicazione i principi di irretroattivita'
(come declinato per le misure di sicurezza) e di proporzionalita';
se la misura fosse valutata come afflittiva ed anche punitiva,
troveranno applicazione i principi di irretroattivita', di'
proporzionalita' e di rieducazione.
Per fortuna, tale distinzione non rileva nel caso di specie dal
momento che il tema centrale attiene alla prevedibilita' della misura
in questione, quale corollario del principio di legalita'
disciplinante tanto le pene, quanto le misure di sicurezza.
Infatti, il principio di tassativita', che ha fondamento
nell'art. 25 Cost., pone l'obbligo sul legislatore di prevedere i
fatti costituenti reato e le pene conseguenti con sufficiente
precisione, cosi' da rendere prevedibili le conseguenze di
un'azione\omissione e da consentire ai singoli di orientare
liberamente le proprie condotte. Parimenti, garantisce che la
previsione di qualunque misura di sicurezza, la pari della pena, sia
demandata alla legge, la quale deve elencare tassativamente i casi in
cui il giudice puo' applicarla e determinarne il tipo.
Passando alla norma che qui viene in rilievo, questa recita:
"1. Per i reati di cui all'art. 3 della presente legge, qualora
la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o
il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca
di somme di denaro, beni od altre utilita' di cui il reo ha la
disponibilita', anche per interposta persona fisica o giuridica, per
un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo. In caso
di usura e' comunque ordinata la confisca di un importo pari al
valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari. In
tali casi, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le
somme di danaro o individua i beni o le utilita' assoggettati a
confisca di valore corrispondente al prodotto, al profitto o al
prezzo del reato".
Trattasi di norma a carattere sostanziale e non processuale.
Facendo applicazione dei nuovi criteri che devono orientare
l'interprete, alla luce della recente giurisprudenza di legittimita'
e costituzionale, non puo' che concludersi per la funzione
ripristinatoria - e quindi per la natura afflittiva e non punitiva -
della confisca prevista dall'art. 11 legge n. 146\2006. Essa:
e' applicata in relazione ad un fatto costituente reato,
connotato dalla transnazionalita', ed e' obbligatoria;
i beni che colpisce non hanno alcun legame con il reato, ma
vengono attinti dal vincolo indipendentemente dal fatto che abbiano o
meno un'origine lecita;
non ha finalita' preventiva, posto che non e' orientata a
prevenire la commissione di futuri reati, ma a colpire il reo per
quelli gia' commessi con l'intento di eliminare dal suo patrimonio
una posta economica - irrilevante nella sua identificazione, ma
rilevante solo nel quantum - di valore equivalente a1 prodotto,
profitto, prezzo del reato;
persegue lo scopo di eliminare una posta patrimoniale che il
reo non avrebbe qualora non avesse commesso il reato.
Ad ogni modo, qualunque sia la natura che si voglia riconoscere
all'ablazione ex art. 11, cit., la stessa e' sottoposta al principio
di legalita'.
Sulla scorta di quanto ricostruito, si e' in presenza di pronunce
della Corte di Cassazione a Sezioni Unite - e, in quanto tali,
vincolanti per le Sezioni semplici e ad efficacia fortemente
persuasiva per il giudice di merito - non perfettamente
sovrapponibili.
Se al momento della celebrazione del processo, gli imputati erano
certi che fosse loro applicata una misura a carattere punitivo, oggi
questa certezza non c'e' piu'.
Il confronto tra i consolidati principi giurisprudenziali
pregressi ed i nuovi criteri fissati dalla stessa giurisprudenza di
legittimita' e costituzionale determina incertezza e, pertanto, non
e' in grado di integrare il parametro della prevedibilita', cosi'
come declinato dalla giurisprudenza di Strasburgo in relazione
all'art. 7 CEDU e recepito nel nostro ordinamento per il tramite
dell'art. 117 comma 1 Cost.
5. La sentenza di condanna e la sentenza di applicazione pena.
A questo punto, occorre verificare se la confisca per equivalente
fosse misura prevedibile nella sua applicazione per coloro che
definirono la posizione ai sensi dell'art. 444 codice di procedura
penale
Deve dirsi sin d'ora che la questione non attiene alla
prevedibilita' in concreto - per la quale il Pubblico Ministero
depositava tutti i verbali dell'udienza preliminare, ma a quella in
astratto.
Vale a dire se l'art. 11 legge n. 146\2006 rispetti i parametri
di sufficiente prevedibilita', imposti dagli articoli 25 Cost. e 117
Cost., in relazione all'art. 7 CEDU come interpretato dalla Corte di
Strasburgo.
Si ricorda che "il rispetto dei requisiti qualitativi di
accessibilita' e prevedibilita' della norma e' conseguente al grado
di precisione non solo del testo di legge, ma anche alla
stabilizzazione dell'orientamento ermeneutico interno che quella
disposizione scolpisce nella sua portata. Non si tratta di equiparare
il diritto vivente alla legge, quanto, piuttosto, di riconoscere al
primo un ruolo, una funzione che interferisce con la ragionevole
prevedibilita' delle decisioni future" (Cassazione S.U. n. 8052 del
26 ottobre 2023).
Del resto, la stessa Corte EDU - nella sentenza c.
Italia del 14 aprile 2015 - faceva riferimento ad un concetto di
prevedibilita' oggettiva, vale a dire non ancorata alle
caratteristiche personali e professionali del singolo agente, bensi'
all'esistenza oggettiva di contrasti o poca chiarezza in merito alla
portata applicativa della disposizione penale.
La valutazione sull'accessibilita' e prevedibilita' dell'art. 11
legge n. 146/2006 passa inevitabilmente dall'analisi del concetto di
sentenza "condanna" e sulla sua sovrapponibilita' (o meno) alla
sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti (non
contemplata testualmente).
In passato, l'art. 444 codice di procedura penale sanciva un
generale principio di equiparazione della sentenza di applicazione
pena alla sentenza di condanna, ad eccezione di quelle conseguenze
espressamente escluse dal legislatore (ad esempio, se la pena
irrogata non supera i due anni, non comporta il pagamento delle spese
processuali, ne' l'applicazione di pene accessorie o di misure di
sicurezza ad eccezione della confisca ex art. 240 c.p.).
Tale argomento era valorizzato sia dal Giudice di I° grado (pag.
41, laddove affermava che l'accordo comporta l'applicazione di tutte
le conseguenze penali della sentenza di condanna non espressamente
escluse), sia dalla Corte di Cassazione n. 16100 del 27 febbraio 2019
- che determinava il passaggio in giudicato nel presente processo
(pag. 16, laddove precisava che, in tema di confisca, la
discrezionalita' del Giudice si ri-espande come in una normale
sentenza di condanna, non essendo questa parte dell'accordo).
Gia' oggi tale affermazione non sarebbe piu' sostenibile: con il
decreto legislativo n. 150\2022 e' stato modificato l'art. 444 comma
1 codice di procedura penale, consentendo all'imputato ed al Pubblico
Ministero di accordarsi (ferma la successiva ratifica del Giudice)
anche sulle pene accessorie, sulla loro durata ed altresi' sulla
confisca facoltativa.
E' vero che la Corte costituzionale, nella sentenza 336\2009
(richiamata anche dalla Corte di Cassazione 16100 del 27 febbraio
2019), affermava la piena equiparazione tra i due tipi di sentenza,
ma tale sovrapposizione era relativa ai rapporti fra giurisdizioni
diverse e connessa alla necessita' di evitare contrasti tra
giudicati.
Non si avventurava ad equiparare 1 due tipi di accertamento di
responsabilita' penale sottesi all'inflizione della pena.
Del resto, quanto alla natura dell'accordo di cui all'art. 444
codice di procedura penale, deve riconoscersi non il valore di
ammissione di responsabilita' (tesi minoritaria), bensi' la mera
scelta dell'imputato di rinunciare a difendersi (tesi maggioritaria,
a cui aderisce anche questo Giudice).
Tale impostazione, in aggiunta, parrebbe confermata dalle
modifiche introdotte con la c.d. riforma Cartabia all'art. 445 comma.
1-bis codice di procedura penale - riforma che ha introdotto ipotesi
espresse di inefficacia della sentenza ex art. 444 codice di
procedura penale in altri giudizi ( compresi quelli disciplinari, ai
quali ineriva la sentenza n. 336\2009 della Corte costituzionale,
appena citata).
Oltretutto, testualmente, l'art. 445 comma 1 codice di procedura
penale richiama in maniera espressa solo la confisca ex art. 240 c.p.
- quindi diretta, sia essa facoltativa o obbligatoria - non anche
equivalente.
E, a ben vedere, quando il legislatore ha inteso far discendere
l'applicazione della confisca per equivalente a fronte di sentenze di
applicazione pena, lo ha chiaramente positivizzato nelle relative
disposizioni di legge.
Anche tale osservazione, sembrerebbe condurre alla conclusione
della diversa natura tra sentenza di condanna e sentenza di
applicazione pena.
Vi sono pero' altre argomentazioni idonee a confutare la tesi
sopra esposta.
In primo luogo, proprio la relazione del Massimario alla c.d.
riforma Cartabia: "dalla formulazione della norma contenuta nella
prima parte dell'art. 445, comma 1-bis, codice di procedura penale
sembrano esclusi i procedimenti penali. Ne dovrebbe discendere che il
divieto di utilizzabilita', anche a fini probatori, della sentenza di
patteggiamento, sia limitata ai giudizi diversi da quello penale. A
mero titolo di esempio, si segnalano il caso del reato
plurisoggettivo rispetto al quale solo alcuni imputati abbiano
patteggiato o di reati connessi probatoriamente. In tal senso, va
ricordato il costante orientamento secondo cui «la sentenza di
patteggiamento puo' essere utilizzata a fini probatori in altro
procedimento penale, ai sensi dell'art. 238-bis codice di procedura
penale, stante la sua equiparazione legislativa ad una sentenza di
condanna, quanto al "fatto" ed alla sua attribuibilita'» (fra le
molte Sez. 5, n. 12344 del 5 dicembre 2017, dep.
2018, ). Essendo rimasta sostanzialmente immutata
l'affermazione della equiparazione della sentenza di patteggiamento
ad una sentenza di condanna, salvo quanto previsto dal primo e dal
secondo periodo dell'art. 445, comma 1-bis codice di procedura penale
o da diverse disposizioni di legge, non vi e' motivo per ritenere
venuto meno il predetto orientamento della giurisprudenza di
legittimita'. Per il resto, la norma in esame si segnala per la sua
novita' e per la portata effettivamente innovativa rispetto ad
orientamenti giurisprudenziali consolidati che in materia civile,
tributaria e disciplinare prevedevano la piena utilizzabilita' a fini
di prova della sentenza di patteggiamento" (pagg. 111 della
relazione).
A questo si aggiunga che, anche a voler negare la natura propria
di sentenza di condanna, la pronuncia ex art. 444 codice di procedura
penale determina l'inflizione di una pena e presuppone un difetto di
convincimento in ordine all'innocenza dell'imputato o all'esistenza
di una causa di estinzione del reato. Di fatto, capovolgendo la
valutazione che sta alla base dell'art. 530 comma 2 codice di
procedura penale.
Anche il fatto che il Giudice sia tenuto ad effettuare la
verifica sulla correttezza della qualificazione giuridica ascritta al
fatto, presuppone un accertamento: questo consiste nel valutare la
riconducibilita' del fatto concreto - per come emerge dagli atti
trasmessi - rispetto alla fattispecie astratta contestata; in
sostanza, la pronuncia ex art. 444 codice di procedura penale, se
accolta la richiesta delle parti, presuppone un accertamento concreto
del fatto nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, al pari di un
eventuale rigetto dell'accordo ex art. 444 codice di procedura penale
(in questo caso esteso anche alla possibile inadeguatezza della pena
concordata). A ben vedere su tale presupposto, si basano le pronunce
della Corte costituzionale in tema di incompatibilita' ("non la mera
conoscenza degli atti, ma una valutazione di merito circa l'idoneita'
delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio di
responsabilita' dell'imputato, vale a radicare l'incompatibilita'; e
che questa deve riconoscersi sussistente nelle ipotesi (non di
inammissibilita', ma) di rigetto della richiesta di applicazione di
pena concordata, dato che essa comporta, quanto meno, una valutazione
negativa circa l'esistenza delle condizioni legittimanti il
proscioglimento ex art.129 codice di procedura penale e circa la
congruenza alle suddette risultanze della qualificazione giuridica
del fatto e/o delle circostanze ritenute nella richiesta" - n. 186
del 22 aprile 1992; conf. n. 439 del 16 dicembre 1993).
E' chiaro che a fronte di fattispecie che espressamente prevedono
l'applicazione della confisca per equivalente in presenza di una
sentenza di applicazione pena, diviene pero' complesso sostenere che
l'equiparazione genericamente sancita dall'art. 444 codice di
procedura penale possa automaticamente riespandersi in tutte quelle
ipotesi di confisca di valore in cui - seppur prevista, come
nell'art. 11 legge n. 146\2006 - sia positivizzata solo a fronte di
una sentenza di condanna.
Dunque, il caos legislativo, non puo' aiutare l'interprete.
A cio' si aggiunga che, anche la giurisprudenza di legittimita' e
quella internazionale, attualmente forniscono una definizione di
"condanna" che mal consente la piena equiparazione tra le due
ipotesi.
Con la sentenza del 29 ottobre 2013 ( c.
Italia), la Corte EDU affermava, per la prima volta in maniera
esplicita, che e' la "condanna" il presupposto per l'applicabilita'
della confisca urbanistica e non il mero accertamento incidentale di
responsabilita'.
Ogni volta in cui manchi la prima, concludendosi il giudizio
penale con la declaratoria di estinzione per intervenuta
prescrizione, difetterebbero i presupposti per l'applicazione della
misura (1) .
La giurisprudenza di legittimita', ponendosi il problema della
compatibilita' di tale principio con altri di rango costituzionale,
interpellava il Giudice delle leggi.
Con sentenza n. 49\2015, nel dichiarare inammissibili le
questioni poste, la Corte costituzionale evidenziava come la
"sentenza " non fosse inequivoca, prestandosi ad una
lettura orientata ad un approccio sostanziale: il mero accertamento
della responsabilita'.
Tale pronuncia prestava il fianco a critiche: la dottrina piu'
illuminata rappresentava la difficolta' di conciliare l'essenziale
accertamento di responsabilita' con l'obbligo legale di dichiarare
l'estinzione del reato, in ogni stato e grado del processo ex art.
129 codice di procedura penale, con effetto preclusivo di ogni
ulteriore attivita' processuale (art. 129 codice di procedura penale
richiamato peraltro anche dall'art. 444 codice di procedura penale).
In proposito, si fa di nuovo riferimento alla sentenza n. 31617
del 26 giugno 2015 ( ), nella quale le Sezioni Unite
della Corte di Cassazione precisavano che:
laddove si tratti di confisca diretta - del prezzo o del
profitto - la misura di sicurezza puo' essere applicata anche in
presenza di sentenza dichiarativa della prescrizione, purche' vi sia
stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il
giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del
reato, alla responsabilita' dell'imputato ed alla qualificazione del
bene da confiscare come profitto o prezzo del reato.
Infatti, "l'accertamento della responsabilita' deve comunque
confluire in una pronuncia che, non solo sostanzialmente, ma anche
formalmente, la dichiari, con la conseguenza che l'esistenza del
reato, la circostanza che l'autore dello stesso abbia percepito una
somma e che questa abbia rappresentato il prezzo del reato stesso, ,
devono aver formato oggetto di una condanna, i cui termini essenziali
non abbiano, nel corso del giudizio, subito mutazioni quanto alla
sussistenza di un accertamento al di la' di ogni ragionevole dubbio.
L'intervento della prescrizione, dunque, per poter consentire il
mantenimento della confisca, deve rivelarsi quale formula terminativa
del giudizio, anodina in punto di responsabilita', finendo in tal
modo per confermare la preesistente (e necessaria) pronuncia di
condanna" (pagg. 31 e 32);
analogo ragionamento non puo' operare per la confisca per
equivalente posto che, in questa, l'ablazione colpisce beni che non
presentano alcun collegamento con il reato. E, vista la sua natura
sanzionatoria \ punitiva, in presenza di prescrizione, non puo'
applicarsi una "pena" (pag. 34, sentenza " ").
In sostanza, le Sezioni Unite affermavano che - in quanto pena
- la confisca per equivalente dovesse avere come presupposto
necessario ed irrinunciabile l'accertamento formale della
responsabilita' penale del reo.
In questo senso anche Cassazione Penale, Sez. 3, n. 32469
dell'1 giugno 2023: "3.1. La giurisprudenza della Corte EDU richiede,
come condizione necessaria per l'applicazione della confisca relativa
al reato di lottizzazione abusiva, non una sentenza di condanna,
anche solo in primo grado, bensi', diversamente, un accertamento
completo ed in contraddittorio della sussistenza di «tutti gli
elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non
luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione [ ... ] In
particolare, per quanto attiene al profilo "procedurale", precise
sono le indicazioni fornite da Corte EDU, GC, 28 giugno 2018, s.r.l.
ed altri c. Italia, segnatamente nei §§ 252, 255, 258, 259, 260 e
261, relativi alle doglianze di un ricorrente, il sig. Gironda, nei
cui confronti era stata dichiarata sentenza di non doversi procedere
per prescrizione gia' in primo grado [ ... ] E, nel § 261, si
conclude: «La Corte non puo' ignorare tali considerazioni
nell'applicazione dell'art. 7 nel caso di specie, a condizione che i
tribunali in questione abbiano agito nel pieno rispetto dei diritti
della difesa sanciti dall'art. 6 della Convenzione. Per questo
motivo, la Corte ritiene che, qualora i tribunali investiti
constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di
lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere,
soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza,
costituiscono una condanna nel senso dell'art. 7, che in questo caso
non e' violato".
Pare, dunque, affermarsi il principio per il quale sia comunque
necessario un accertamento pieno della sussistenza del reato e della
riconducibilita' all'autore - indipendentemente che il decorso del
tempo porti ad una pronuncia di estinzione per prescrizione in
appello o nel giudizio di legittimita'. Ancora, la Corte
costituzionale, con sentenza n. 83\2024, affermava: "5.2.- Che il
patteggiamento consenta, in linea di principio, una economia di tempi
e di energie processuali piu' marcata di quella conseguente al
giudizio abbreviato non e', in effetti, contestabile. Di la' dal
tratto comune, di essere riti alternativi che "evitano" il
dibattimento, il patteggiamento semplifica, pero', radicalmente, il
dibattito processuale, rimettendo al giudice il solo compito di
verificare che non sussistano ragioni di proscioglimento
dell'imputato gia' risultanti ex actis, che la qualificazione
giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle
circostanze prospettate dalle parti siano corrette e che la pena
richiesta sia congrua (art. 444, comma 2, codice di procedura
penale). Laddove, per converso, il giudizio abbreviato lascia
inalterato il potere-dovere del giudice di accertare nei termini
ordinari - sia pure sulla base degli elementi raccolti dal pubblico
ministero nel corso delle indagini, e dunque fuori del contradditorio
(peraltro, eventualmente arricchiti dalle indagini difensive) - se
l'imputato sia colpevole o no e di determinare il trattamento
sanzionatorio adeguato [ ... ] Come questa Corte ha rilevato, il
patteggiamento consente all'imputato di sottoporsi a una pena certa,
preventivamente concordata, non potendo il giudice modificare i
contenuti del "patto" intercorso fra le parti: pena che gli verra'
inflitta - in applicazione di una particolare regola di giudizio
(l'insussistenza dei presupposti per una pronuncia di proscioglimento
ai sensi dell'art. 129 codice di procedura penale) - con una sentenza
che e' solo «equiparata» a una pronuncia di condanna e che resta
priva di efficacia nei giudizi extrapenali (art. 445, comma 1-bis,
codice di procedura penale). Per contro, con il giudizio abbreviato,
l'imputato, accettando di essere giudicato sulla base degli atti,
lascia inalterati i poteri decisori del giudice [ ... ] Il
patteggiamento offre all'imputato, al tempo stesso, un complesso di
vantaggi ulteriori, rispetto allo sconto di pena, privo di
equivalenti nel giudizio abbreviato. Avendo riguardo alla disciplina
vigente alla data dell'ordinanza di rimessione, alla sentenza di
patteggiamento non e' attribuita, come gia' accennato, natura di vera
e propria sentenza di condanna, venendo ad essa solo «equiparata»; ne
e' fortemente limitata, altresi', l'efficacia extrapenale (art. 445,
comma 1-bis, codice di procedura penale). La richiesta di
patteggiamento puo' essere, d'altro canto, subordinata alla
concessione della sospensione condizionale della pena (art. 444,
comma 3, codice di procedura penale), inoltre, se vi e' costituzione
di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda (art.
444, comma 2, codice di procedura penale). Quando la pena irrogata
non superi i due anni di pena detentiva, sola o congiunta a pena
pecuniaria - come generalmente avviene quando si procede per
contravvenzioni -, la sentenza non comporta la condanna al pagamento
delle spese del procedimento, ne' l'applicazione di pene accessorie e
di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca nei casi
previsti dall'art. 240 del codice penale (art. 445, comma 1, codice
di procedura penale). In tale ipotesi, inoltre, decorsi cinque anni,
se la sentenza riguarda un delitto, o due anni, se riguarda una
contravvenzione, senza che l'imputato abbia commesso un delitto o una
contravvenzione della stessa indole, il reato e' estinto e viene meno
ogni effetto penale. Se e' stata applicata una pena pecuniaria o una
pena sostitutiva, la pronuncia non e' comunque di ostacolo alla
concessione di una successiva sospensione condizionale della pena
(art. 445, comma 2, codice di procedura penale). L'insieme dei
vantaggi annessi al patteggiamento si e' ulteriormente arricchito,
come gia' segnalato, con l'entrata in vigore, dopo l'ordinanza di
rimessione, del decreto legislativo n. 150 del 2022, il quale, con
l'art. 25, comma 1, lettera b), ha esteso l'esclusione dell'efficacia
extrapenale della sentenza, precedentemente circoscritta ai giudizi
civili e amministrativi, anche ai giudizi disciplinari, tributari e
di accertamento della responsabilita' contabile, con la previsione,
altresi' che in tali giudizi la sentenza di patteggiamento non puo'
essere neppure utilizzata a fini di prova (nuovo comma 1-bis
dell'art. 445 codice di procedura penale). Si e' previsto, poi, che
nel caso di patteggiamento cosiddetto allargato - per pene, cioe',
superiori ai due anni - le parti possano chiedere al giudice di non
applicare le pene accessorie o di applicarle per una durata
determinata, e di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla
con riferimento a specifici beni o a un importo determinato (art.
444, comma 1, codice di procedura penale, come novellato)".
Il Giudice delle leggi parrebbe sostenere che, ben lungi
dall'accertare compiutamente la responsabilita' penale, la sentenza
ex art. 444 codice di procedura penale sia solo equiparata a quella
di condanna (in dibattimento o all'esito di giudizio abbreviato) per
gli eventuali effetti extra-penali (laddove consentiti dalla legge e,
oggi, ampiamente ridotti dalla c.d. riforma Cartabia).
Tale affermazione sembra essere sottesa anche alla pronuncia
della Corte di Cassazione, Sez. 5, n. 43631 del 5 ottobre 2023,
laddove afferma: "il Collegio ritiene di aderire all'orientamento -
accolto anche dalla sentenza impugnata e senz'altro maggioritario
nella giurisprudenza di legittimita' - secondo cui e' ammissibile la
richiesta di revisione di una sentenza di patteggiamento per
inconciliabilita' con l'accertamento compiuto in giudizio nei
confronti di altro imputato per il quale si sia proceduto
separatamente, ma e' necessario che l'inconciliabilita' si riferisca
ai fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna e non gia'
alla loro valutazione [ ... ] e' proprio la natura ontologicamente
"debole" dell'accertamento sotteso alla sentenza di applicazione
della pena a rendere piu' acuta l'istanza di garanzia assecondata
dalla revisione, sicche' dato normativo e considerazione sistematica
convergono nel far ritenere la sentenza di patteggiamento
suscettibile di revisione per inconciliabilita' dei giudicati".
Infine, la Corte europea dei diritti dell'uomo, con la
sentenza e c. Italia resa in data
19 dicembre 2024, affermava: "la Corte ribadisce che una decisione
giudiziaria puo' rispecchiare l'opinione che il ricorrente sia
colpevole anche in assenza di una formale constatazione della
colpevolezza; e' sufficiente che vi sia qualche ragionamento che
indichi che il tribunale considera l'imputato colpevole (si vedano
Böhmer c. Germania, n. 37568/97, § 54, 3 ottobre 2002, Baars c. Paesi
Bassi, n. 44320/98, § 26, 28 ottobre 2003; e Cleve, sopra citata, §
53) (par. 124) [ ... ] A tale riguardo, la Corte e' consapevole del
crescente ricorso - sia ai sensi del! 'ordinamento giuridico interno
che a livello internazionale - a forme di confisca non basate su una
condanna, in base alle quali i giudici possono essere chiamati a
disporre la confisca di beni di origine illecita anche in assenza di
una condanna. A tale riguardo, la Corte ritiene che la protezione
offerta dal secondo aspetto dell'art. 6 § 2 non dovrebbe essere
interpretata in modo da precludere ai tribunali nazionali di
occuparsi degli stessi fatti decisi nei procedimenti penali al fine
di disporre una forma di confisca non basata su una condanna, purche'
nel farlo essi non attribuiscano all'interessato la responsabilita'
penale (si veda, mutatis mutandis, Nealon e Hallam, sopra citata, §
169) (par. 129) [ ... ] La Corte osserva che e' un requisito formale
che per una confisca ai sensi dell'art. 322-ter del CP debba esservi
una "condanna" (par. 131) [ ... ] la Corte ha gia' chiarito di non
distinguere i casi in cui le accuse sono estinte (perche' si sono
prescritte) precedentemente al compimento di qualsiasi determinazione
penale, da quelli in cui sono estinte (per il medesimo motivo)
successivamente a un 'iniziale constatazione della colpevolezza.
Segue che le conclusioni di primo grado, che non sono definitive, non
possono inficiare le successive determinazioni (si veda Pasquini c.
San Marino, sopra citata, § 63, in cui - analogamente al caso di
specie - il ricorrente era stato condannato in primo grado e la Corte
ha constatato la violazione dell'art. 6 § 2 in quanto la Corte di
appello, pur archiviando il procedimento per la scadenza del termine
di prescrizione, aveva attribuito al ricorrente la responsabilita'
penale) (par. 137)".
Quindi, alla fine del 2024, la Corte di Strasburgo sembrerebbe
essersi orientata sulla necessita' di una sentenza intesa in senso
formale, ritenendo insufficiente - per l'applicazione della confisca
ex art. 322-ter codice penale - l'accertamento di responsabilita'
effettuato in I° grado ed implicitamente confermato dal Giudice del
II° grado che si pronunciava per la prescrizione del reato, in quanto
statuizioni non definitive.
Ebbene, se l'accertamento non definitivo di responsabilita'
penale e' stato ritenuto dalla Corte EDU insufficiente ad applicare
una confisca che presuppone una condanna - in un processo terminato
con sentenza di estinzione del reato per prescrizione - ci si chiede
come un istituto a natura afflittiva o punitiva possa trovare
applicazione in presenza di una sentenza di patteggiamento - il cui
accertamento ha natura ontologicamente debole - laddove non
espressamente previsto dalla norma.
Cio' perche', come sopra anticipato, la sentenza ex art. 444
codice di procedura penale presuppone un difetto di convincimento in
ordine all'innocenza dell'imputato o all'esistenza di cause
estintive. Di fatto, capovolgendo la valutazione che sta alla base
dell'art. 530 comma 2 codice di procedura penale.
Ritiene, percio' questo Giudice che le due sentenze non siano
equiparabili - quanto alla natura, al genere e alla profondita'
dell'accertamento di responsabilita' penale.
Se dunque e' vero, come sembra, che il rispetto dei requisiti di
accessibilita' e prevedibilita' della norma e' conseguente al grado
di precisione, non solo del testo di legge, ma anche della
stabilizzazione dell'orientamento ermeneutico interno che quella
disposizione scolpisce nella sua portata, ex art. 7 CEDU;
se e' vero, come sembra, che attualmente:
la natura di pena o meno della confisca per equivalente e'
oggetto di diversita' di vedute tra piu' pronunce adottate nel corso
degli anni dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione;
e' in discussione, in giurisprudenza, la natura della sentenza
di patteggiamento e, di conseguenza, la sua equiparazione ad una di
condanna pronunciata all'esito del dibattimento o di giudizio
abbreviato;
a livello normativo, vi sono disposizioni che espressamente
prevedono tale tipologia di confisca a seguito di applicazione pena
su richiesta delle parti ed altre disposizioni (quale quella oggetto
della presente ordinanza) che tacciono sul punto;
sulla base dei successivi interventi legislativi,
l'equiparazione di cui all'art. 445 codice di procedura penale -
visti gli incisi che lo precedono - sembrerebbe limitata agli effetti
extra-penali (e tale non puo' considerarsi il giudizio di
colpevolezza), oltre al fatto che per talune ipotesi di reato, la
misura ablativa per equivalente e' stata espressamente prevista a
fronte di sentenza ex art. 444 codice di procedura penale;
ecco che, allora, si puo' fondatamente ritenere che l'art. 11
legge n. 146\2006 non rispetti del tutto i canoni di accessibilita' e
prevedibilita', come declinati dall'art. 7 CEDU - interpretato dalla
giurisprudenza della Corte EDU - potendo integrare una violazione
degli articoli 25 e 117 Cost.
Questo Giudice reputa la questione non manifestamente infondata.
*La rilevanza della questione nel caso concreto.
6. I beni sottoposti a confisca definitiva.
Con l'istanza, F B chiedeva la restituzione
dell'autovettura , di colore bianco, tg. e
dei saldi attivi rinvenuti sui conti correnti accesi presso le
banche s.r.l.,
e , per un importo complessivo pari ad
euro .
Per quanto riguarda la confisca dell'autovettura (pag. 11610 -
1802 del P.m.), F B in sede di interrogatorio
(pagg. 16203 e seg.) ammetteva di aver fatto numerosi viaggi per
portare il metallo preziosi fuori dall'Italia, salvo - in un momento
successivo - occuparsi anche dei fissaggi. Tuttavia, dagli atti e
dalla lettura della sentenza definitiva non e' possibile affermarne
la natura di vincolo in forma diretta: infatti. nel capo b
dell'imputazione, solo era indicato quale
corriere. Ma non solo: nella sentenza di patteggiamento, il G.U.P.
non faceva alcun riferimento a forme di confisca diretta, disponendo
solo la confisca del profitto - indicato con precisi importi a
secondo del valore delle transazioni di riferimento - e per
equivalente "sui beni gia' in sequestro".
Cio' porta a ritenere che, per giudicato, la confisca
dell'autovettura sia stata ritenuta e definita per equivalente e non
come vincolo diretto.
Ne' consegue che, ove la questione di legittimita' costituzionale
fosse accolta, il mezzo dovrebbe essere restituito a F
B .
Per quanto concerne le somme di cui all'istanza, prima del 26
settembre 2024 la giurisprudenza - anche a Sezioni Unite - era
consolidata nel senso di ritenere la confisca del denaro sempre e
comunque diretta. Dopo la pronuncia della Sezioni Unite del 26
settembre 2024 cosi' non e' piu': il mutamento di orientamento,
ancorche' recente e per il momento isolato, e' radicale ed a sezioni
unite.
Ne' nella sentenza, ne' dagli atti e' espressamente indicato il
nesso di derivazione diretto delle somme (prima sequestrate e poi
confiscate in via definitiva) rispetto alla commissione delle
specifiche transazioni illecite.
Anche in questo caso, salvo che la giurisprudenza si pronunci
diversamente e in linea con il precedente orientamento e salvo che
sul punto voglia pronunciarsi la Corte costituzionale, la questione
si pone come rilevante: se all'esito di un'attenta rilettura di tutti
gli atti di indagine non risultasse un collegamento diretto tra le
somme ed i reati, le stesse dovranno essere restituite.
In aggiunta si ricorda che "in conformita' a quanto previsto
dall'art. 53 CEDU, il rispetto degli obblighi convenzionali, imposto
dall'art. 117 comma 1 Cost., non puo' determinare una minore tutela
dei diritti fondamentali rispetto a quella garantita dall'ordinamento
interno, ma deve costituire uno strumento di ampliamento della
stessa. Il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale
dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima
espansione delle garanzie e quindi anche operando il necessario
bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti che
potrebbero essere incisi dall'espansione della tutela oggetto di
confronto" (Corte costituzionale n. 317\2009).
(1) Di seguito si riportano alcuni dei passaggi piu' significativi:
"55. La nozione di «diritto» («law») usata nell'art. 7
corrisponde a quella di «legge» che figura in altri articoli
della Convenzione; essa comprende il diritto d'origine sia
legislativa sia giurisprudenziale e implica delle condizioni
qualitative, tra cui quella dell'accessibilita' e della
prevedibilita' (Cantoni c. Francia, 15 novembre 1996, § 29,
Recueil des arrets et des decisions 1996 V; S. W, sopra citata, §
35; Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, §§ 40-42, serie A n.
260 A). Per quanto chiara possa essere la formulazione di una
norma legale, in qualunque sistema giuridico, compreso il diritto
penale, esiste immancabilmente un elemento di interpretazione
giuridica. Sara' sempre necessario delucidare i punti dubbi e
adattarsi alle mutate situazioni. Tra l'altro, e' saldamente
stabilito nella tradizione giuridica degli Stati parte alla
Convenzione che la giurisprudenza, in quanto fonte del diritto,
contribuisce necessariamente alla progressiva evoluzione del
diritto penale. Non si puo' interpretare l'art. 7 della
Convenzione come una norma che vieta il graduale chiarimento
delle norme della responsabilita' penale attraverso
l'interpretazione giuridica da una causa all'altra, a condizione
che il risultato sia coerente con la sostanza del reato e
ragionevolmente prevedibile (Streletz, Kessler e Krenz c.
Germania [GC], nn. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 50, CEDU 2001
II). 69. L'accostamento dell'art. 5 § 1 a) agli articoli 6 § 2 e
7 § 1 mostra che ai fini della Convenzione non si puo' avere
«condanna» senza che sia legalmente accertato un illecito -
penale o, eventualmente, disciplinare (Engel e altri c. Paesi
Bassi, 8 giugno 1976, § 68, serie A n. 22 ; c. Italia, 6 novembre
1980, § 100, serie A n. 39), cosi' come non si puo' avere una
pena senza l'accertamento di una responsabilita' personale. 71,
La logica della «pena» o della «punizione», o la nozione di
«guilty» (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di
«persona colpevole» (nella versione francese), depongono a favore
di un'interpretazione dell'art. 7 che esige, per punire, una
dichiarazione di responsabilita' da parte dei giudici nazionali,
che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la
pena al suo autore. In mancanza di cio', la punizione non avrebbe
senso ( e altri, sopra citata, § 116). Sarebbe infatti incoerente
esigere, da una parte, una base legale accessibile e prevedibile
e permettere, dall'altra, una punizione quando, come nel caso di
specie, la persona interessata non e' stata condannata".
P.Q.M.
Pertanto. il G.U.P. presso il Tribunale di Arezzo - in funzione
di Giudice dell'esecuzione - solleva, in riferimento agli articoli 25
comma 2 e comma 3 e 117 comma 1 Cost.. in relazione all'art. 7 CEDU
come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 11 legge n. 146\2006. nella
parte in cui dispone l'applicazione della confisca di somme di
denaro. Beni o altre utilita' di cui il reo ha la disponibilita',
anche per interposta persona fisica o giuridica per un valore
corrispondente al prodotto. profitto o prezzo del reato con la
sentenza di condanna e non anche a seguito di sentenza di
applicazione pena su richiesta delle parti ex art. 444 e seg. codice
di procedura penale.
Per l'effetto, Sospende il giudizio in corso e Dispone
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale a cura
della cancelleria.
Dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della
cancelleria:
a F B presso il Difensore di fiducia;
al Difensore di fiducia in proprio;
al pubblico ministero in sede (Dott. Marco Dioni);
al Presidente del Consiglio dei ministri;
oltre alla comunicazione, a cura della cancelleria, ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento. Arezzo, 28 aprile 2025.
Il Giudice: Soldini
Oggetto:
Reati e pene – Reati transnazionali ai sensi dell’art. 3 della legge n. 146 del 2006 – Confisca per equivalente – Denunciata applicazione della confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente al prodotto, profitto o prezzo del reato, con la sentenza di condanna e non anche a seguito di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti – Violazione del principio di legalità – Inosservanza del parametro della prevedibilità, come declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU in relazione all’art. 7 della CEDU.
Norme impugnate:
legge del 16/03/2006 Num. 146 Art. 11
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 25 Co. 2
Costituzione Art. 25 Co. 3
Costituzione Art. 117 Co. 1
Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali Art. 7 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 143 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 2025 Ordinanza del 28 aprile 2025 del Tribunale di Arezzo nel procedimento penale a carico di F. B.. Reati e pene - Reati transnazionali ai sensi dell'art. 3 della legge n. 146 del 2006 - Confisca per equivalente - Denunciata applicazione della confisca di somme di denaro, beni od altre utilita' di cui il reo ha la disponibilita', anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente al prodotto, profitto o prezzo del reato, con la sentenza di condanna e non anche a seguito di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. - Legge 16 marzo 2006, n. 146 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001), art. 11. (GU n. 35 del 27-08-2025) TRIBUNALE DI AREZZO ufficio gip \ g.u.p. Il Giudice, dott.ssa Giulia Soldini, in funzione di giudice dell'esecuzione; Letta l'istanza ed i documenti allegati e preso atto delle argomentazioni sviluppate dalle parti; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 6 febbraio 2025; Osserva quanto segue 1. L'incidente di esecuzione. L'avv. Benedetto Buratti del Foro di Roma presentava istanza nell'interesse di F B , volta ad ottenere la revoca della confisca per equivalente applicata con la sentenza n. 340\2017 - definitiva il 27 febbraio 20219 e, per l'effetto, la restituzione dei beni di cui alla richiesta. Le ragioni fondanti la tesi difensiva erano plurime ma, prevalentemente, si sostanziavano sull'inapplicabilita' di siffatta confisca in presenza di una sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti. In particolare: trattandosi di confisca per equivalente, la stessa avrebbe natura di sanzione penale e non di misura di sicurezza. Ne deriverebbe la violazione del principio di legalita' e prevedibilita' - cosi' come declinato dall'art. 7 CEDU - poiche' applicata a seguito di una sentenza ex art. 444 codice di procedura penale che non contiene un accertamento sulla responsabilita' penale; la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti non puo' essere equiparata ad una sentenza di condanna e, percio', non puo' comportare l'applicazione di tale particolare confisca a meno che non sia espressamente indicato dal legislatore. Diversamente - attesa la natura sostanziale di pena - si determinerebbe un'analogia in malam partem; non essendo sufficientemente chiara la base legale, la confisca applicata a B determinava un'illegittima ingerenza nel godimento dei beni, in violazione dell'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU; oltre a questo, la misura ablativa si rivelava del tutto sproporzionata perche' parametrata al valore del negozio giuridico sotteso al delitto di ricettazione e non al profitto concretamente realizzato dal condannato. Il pubblico ministero si opponeva alla richiesta avanzata dalla Difesa precisando come - dopo ben tredici udienze celebrate dinanzi al GUP (di cui depositava i verbali), nelle quali le parti discutevano proprio sull'applicabilita' o meno della confisca per equivalente - non potesse porsi un problema di prevedibilita' in concreto. Quanto poi alla natura sanzionatoria assegnata alla confisca dalle pronunce della Corte EDU, il pubblico ministero rilevava come si trattasse di un orientamento giurisprudenziale che, come tale, era inidoneo a travolgere il giudicato. Oltre a questo, insisteva sul fatto che la lettura testuale complessiva dell'art. 11 legge n. 146\2006 non limitasse affatto l'applicazione della confisca per equivalente all'ipotesi di sentenza di condanna e che i beni sui quali si consolidava il vincolo erano gia' tutti sottoposti a sequestro preventivo, nel momento in cui gli (allora) imputati avevano avanzato istanza di definizione ai sensi dell'art. 444 codice di procedura penale. Le argomentazioni prospettate dalle parti sono plurime e complesse, pertanto richiedono una trattazione ordinata. 2. Il giudicato. In primo luogo, occorre rilevare quale sia l'ambito di formazione del giudicato. Con la sentenza n. 340\2017, il G.U.P; presso il Tribunale di Arezzo applicava - tra gli altri - a F B la pena concordata con il pubblico ministero titolare del fascicolo. In tale pronuncia, il Giudice: escludeva la sussistenza di elementi rilevanti ai fini della pronuncia ex art. 129 codice di procedura penale (pag. 36); riteneva sussistenti i fatti nella loro storicita' (pag. 37); affermava la correttezza della qualificazione giuridica ad essi ascritta - per F B in relazione ai capi A) e B) dell'imputazione (artt. 416 e 648 c.p.) (pag. 38); dichiarava la sussistenza del vincolo della continuazione tra i reati ascritti agli imputati (pag. 38); affermava la sussistenza del requisito della transnazionalita' (pag. 40), in relazione ai reati-fine (pag. 48); equiparava la sentenza di applicazione della pena ad una sentenza di condanna, precisando che la pronuncia ex art. 444 codice di procedura penale comportasse l'applicazione di tutte le conseguenze penali tipiche della condanna, salvo quelle espressamente escluse (pag. 41); aggiungeva che l'insussistenza dei requisiti per il proscioglimento ex art. 129 codice di procedura penale si riverberasse sulla positiva valutazione in ordine ai presupposti applicativi della confisca ex art. 11 legge n. 146\2006 (pag. 45); rilevava come la Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine transnazionale - ratificata con la legge n. 146\2006 - esprimesse una volonta' politico-criminale chiara: l'estensione massima della confisca (pag. 46); oltre a questo, ricorreva all'interpretazione letterale dell'art. 11 legge cit.: il terzo inciso era palesemente riferito al secondo, mentre il primo restava generico (pag. 47) - sembrando, piu' che altro, che il terzo sancisse l'obbligo del giudice di indicare specificamente i beni da apprendere in caso di condanna in senso formale; osservava come, trattandosi di reati-contratto, il profitto fosse equivalente al valore economico dell'intero negozio - pari al valore del metallo oggetto dei plurimi episodi di ricettazione (pag. 52); confermava l'applicabilita' del principio solidaristico; prendeva, quale valore di riferimento per il calcolo del profitto, il valore medio dell'oro nel periodo di riferimento (euro 40,00 al grammo). La Corte di cassazione con sentenza n. 16100 del 27 febbraio 2019 respingeva i ricorsi promossi dai Difensori degli imputati, determinando cosi' la formazione del giudicato. In particolare, la Corte di cassazione: confermava la sussistenza del reato transnazionale (pag. 8) in relazione ai reati-fine; rappresentava come il G.U.P., sebbene non obbligato, avesse motivato sufficientemente in merito alla insussistenza degli elementi per giungere ad un proscioglimento ex art. 129 codice di procedura penale (pag. 9); affermava che il terzo inciso dell'art. 11 legge n. 146\2006 ("in tali casi"), dovesse intendersi riferito a tutta la norma e non solo al secondo inciso relativo al delitto di usura (pag. 12); precisava, infatti, che la norma andasse letta alla luce dello spirito della Convenzione delle Nazioni Unite che: a) richiedeva di prevenire e combattere il crimine transnazionale nel modo piu' efficace; b) parlava genericamente di condanna e condannati, senza vincoli di modelli procedimentali; confermava la congruita' del quantum confiscato e la correttezza del parametro di calcolo preso come riferimento (pag. 18); ribadiva la correttezza dell'applicazione del principio solidaristico (pag. 19\20). Su tali basi, il pubblico ministero sosteneva fortemente l'intangibilita' del giudicato, non ravvisandosi le ipotesi di legge che ne consentono la rimozione e trattandosi, al piu' di orientamenti giurisprudenziali inidonei a metterlo in discussione, anche qualora si faccia riferimento a pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo. 3. L'argomentazione relativa all'intangibilita' del giudicato. La giurisprudenza ha avuto modo di prendere posizione sul tema in relazione a specifiche ipotesi, senza pero' arrivare a negare in maniera netta ed indiscutibile la rilevanza del mutamento giurisprudenziale. In un caso, la Suprema Corte (Cassazione Penale, Sez. 3, n. 32469 dell'1 giugno 2023) affermava: "in tema di reati edilizi, non puo' essere revocata, ex art. 673 codice di procedura penale, la sentenza che abbia dichiarato estinta per prescrizione la contravvenzione di lottizzazione abusiva e disposto contestualmente la confisca delle opere ad essa relative nel caso in cui, in assenza di "abolitio criminis" derivante da abrogazione o da declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma, si verifichi un mutamento dell'orientamento giurisprudenziale affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione o dalla Corte EDU". Nel caso di specie, la Corte precisava come l'istituto di cui all'art. 673 codice di procedura penale - invocato dalla Difesa - fosse ancorato a parametri precisi (abrogazione o dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice), non suscettibili di interpretazione estensiva. La Corte, richiamando la sentenza 230\2012 della Corte costituzionale, escludeva che la retroattivita' della lex mitior potesse riferirsi ai mutamenti giurisprudenziali, come il principio di intangibilita' del giudicato garantisse la certezza dei rapporti giuridici e come le pronunce della Suprema Corte a Sezioni Unite avessero una efficacia esclusivamente persuasiva e non cogente (pagg. 5 e 6). Concludeva, al paragrafo 2.2.2. (pag. 7) che, in ogni caso, le pronunce della Corte EDU non producono alcuna diretta conseguenza sulle fattispecie incriminatrici. Vi e' da dire, pero', che in quel caso il parametro richiamato dal ricorrente era quello dell'art. 673 codice di procedura penale e, dunque, le argomentazioni svolte dalla Corte risultano ineccepibili. Ma circoscritte a quella specifica norma e non estendibili al caso di specie. Analogamente, Cassazione Penale, Sez. 6, n. 19429 del 3 maggio 2022: "non puo' essere fatta valere come ipotesi di revisione la inutilizzabilita' sopravvenuta delle intercettazioni poste a fondamento della decisione derivante dal mutamento giurisprudenziale di cui alle Sez. U " " del 2019, successivo all'irrevocabilita' della sentenza, trattandosi del risultato di un'evoluzione esegetica, conducente ad una rivalutazione delle prove gia' assunte, inidoneo a travolgere il giudicato". Nel caso in parola, la Corte affermava l'inapplicabilita', nel giudizio di revisione, del mutamento giurisprudenziale favorevole successivo al giudicato, poiche' coinvolgente la rivalutazione di prove la cui utilizzabilita' non era stata eccepita nel giudizio di cognizione. Anche in questo caso, pero', vengono in rilievo le peculiarita' proprie del giudizio di revisione e la circostanza che la questione non fosse mai stata eccepita prima di allora. Nel procedimento che ha visto coinvolto F B , invece, la questione dell'applicabilita' della confisca per equivalente in presenza di una sentenza ex art. 444 codice di procedura penale e' stata sollevata e trattata in molteplici udienze, sollevata dinanzi ai Giudici di legittimita' e, oggi, con l'incidente di esecuzione. E proprio in tema di incidente di esecuzione, si registrava un'apertura da parte della Corte di Cassazione. Le Sezioni Unite, con sentenza n. 18288 del 21 gennaio 2010, affermavano che il requisito dei "nuovi elementi" - indispensabili quali condizione di ammissibilita' ex art. 666 comma 2 codice di procedura penale - dovesse intendersi riferito: a) sia ai nuovi elementi di fatto; b) che ai nuovi elementi di diritto. Tra i nuovi elementi di diritto, deve annoverarsi anche il mutamento giurisprudenziale a Sezioni Unite; cio' perche' "s'impone, invece, una interpretazione sistematica dell'art. 666 codice di procedura penale, comma 2 alla luce delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), con particolare riferimento al principio di legalita' penale di cui all'art. 7, cosi' come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria, in modo da soddisfare l'esigenza di una interazione dialogica tra attivita' ermeneutica del giudice nazionale e di quello europeo, nella prospettiva della piu' completa tutela dei diritti fondamentali della persona" (par 5, ultimo capoverso). A ben vedere, che l'orientamento giurisprudenziale consolidato e quello espresso dalla Suprema Corte a Sezioni Unite abbia un peso sempre maggiore, si ricava non solo dagli obblighi internazionali pattizi, ma anche dall'art. 618 comma 1-bis codice di procedura penale. Il diritto vivente e', infatti, espressione dell'interpretazione che il giudice da' alla norma e l'articolo citato pare assimilare il "diritto giurisprudenziale" a quello positivo; anche se, come precisato da Cassazione a Sezioni Unite n. 8052 del 26 ottobre 2023: "un consolidamento della funzione nomofilattica della Corte di cassazione attraverso il ruolo rafforzato che viene assegnato alle Sezioni Unite, le cui sentenze possono avere valore formale di precedente nei confronti delle altre Sezioni penali della Corte a determinate condizioni ed entro certi limiti, un precedente che, ancorche' fluido e superabile, produce un vincolo ed esprime una regola di stabilizzazione rispetto alla quale viene procedimentalizzato l'eventuale dissenso della Sezione semplice". Insomma, il vincolo del precedente opera per le sezioni semplici della Corte di cassazione, ma non per il giudice di merito. Per quest'ultimo, resta pero' quella nota efficacia persuasiva dei pronunciamenti a Sezioni Unite. E proprio nelle S.U. , la Corte aggiunge: "il rispetto dei requisiti qualitativi di accessibilita' e prevedibilita' della norma e' conseguente al grado di precisione non solo del testo di legge, ma anche alla stabilizzazione dell'orientamento ermeneutico interno che quella disposizione scolpisce nella sua portata. Non si tratta di equiparare il diritto vivente alla legge, quanto, piuttosto, di riconoscere al primo un ruolo, una funzione che interferisce con la ragionevole prevedibilita' delle decisioni future" (Cassazione S.U. n. 8052 del 26 ottobre 2023). A tale conclusione, la Suprema Corte giunge proprio in base all'interpretazione data dalla Corte EDU all'art. 7 della Convenzione: "per effetto dell'esplicito riferimento al "diritto" ("law'') - e non soltanto alla "legge" - contenuto nell'art. 7, la giurisprudenza di Strasburgo, infatti, ha inglobato nel concetto di legalita' sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale, riconoscendo al giudice un ruolo fondamentale nella individuazione dell'esatta portata della norma penale, il cui significato e' reso esplicito dalla combinazione di due dati, quello legislativo e quello interpretativo (cfr. sentenze della Corte EDU 24 aprile 1990, caso Kruslin c/ Francia, 12 febbraio 2008, caso Kajkaris c/ Cipro; 15 novembre 1996, caso Cantoni c/ Francia; 25 maggio 1993, caso Kokkinakis c/ Grecia). Tale visione sostanziale del principio di legalita' si confronta peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, con particolari condizioni qualitative, quali l'accessibilita' della norma penale e la ragionevole prevedibilita' delle sue conseguenze (cfr. sentenze Corte europea Cantoni c/ Francia succitata; 22 novembre 1995, caso S.W. e C.R. c/ Regno Unito; 29 marzo 2006, caso Achour c/ Francia)" (Cassazione S.U. n. 18288 del 21 gennaio 2010). Visione sostanziale del principio di legalita'. Questo e' il punto. E proprio le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione - integrano quali norme interposte il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, comma 1 Cost. (Corte Cost. n. 264\2012) e la loro peculiarita' consiste proprio nella soggezione a tale interpretazione, alla quale gli Stati contraenti, salvo l'eventuale scrutinio di costituzionalita', sono vincolati ad uniformarsi (Corte Cost. n. 39\2008). E quanto alla rilevanza del mutamento giurisprudenziale: "quando, nelle more di un giudizio incidentale, la giurisprudenza della Corte EDU attribuisce alla norma convenzionale interposta un nuovo significato, con potenziale effetto sui presupposti della questione di legittimita' costituzionale, gli atti devono essere restituiti al giudice a quo, affinche' proceda ad una valutazione della perdurante rilevanza della questione, alla luce della giurisprudenza costituzionale sopravvenuta" (Corte Cost. sentenza n. 43\2018). Se dunque le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo non sono idonee a travolgere direttamente il giudicato, sono pero' in grado - in presenza di orientamenti consolidati - di consentire all'interprete di verificare la legalita' o meno di una misura. Quindi, nel caso di specie, non si tratta di affermare se un successivo mutamento giurisprudenziale possa travolgere il giudicato. Bensi' di capire se: con specifico riferimento alla confisca di cui all'art. 11 legge n. 146\2006, si sia in presenza di una pena o meno - secondo i parametri stabiliti dalla Corte EDU e dalla giurisprudenza interna; in base alla conclusione raggiunta, se la norma invocata rispetti il canone della prevedibilita' e della legalita', come descritto nella CEDU ed interpretato dalla Corte. Non si tratta quindi dell'incidenza di pronunciamenti giurisprudenziali, anche successivi, su una confisca definitiva, bensi' di verificare se la norma invocata e su cui si fonda l'ablazione rispetti i parametri sovranazionali, conferendo legalita' alla misura applicata al ricorrente. Tale verifica passa inevitabilmente per la valutazione sulla natura della sentenza di applicazione pena ed il confronto tra questa e quella di condanna pronunciata all'esito di un dibattimento o di rito abbreviato. *Gli argomenti a sostegno della non manifesta infondatezza della questione. 4. La confisca ex art. 11 legge n. 146\2006. L'importanza di indagare sulla natura giuridica di un istituto e' evidenziata dalla stessa Corte costituzionale, allorquando sconfessa l'assunto per il quale ogni misura limitativa dei diritti fondamentali applicati da un giudice penale in connessione a un fatto di reato ha natura punitiva; infatti, "la natura delle varie forme di confisca deve essere valutata in relazione allo specifico oggetto e alla relativa finalita'". Il discrimine risiede, dunque, nella finalita': se la misura - per come concepita dal legislatore - sia tesa a neutralizzare il pericolo di commissione di nuovi fatti previsti dalla legge come reato o se sia tesa a punire per il fatto gia' commesso (Corte Cost. n. 5\2023). La Corte di Strasburgo ha fatto propria una concezione autonomista tanto di pena, quanto di accusa penale, fornendo alcuni criteri (noti come "Engel criteria" - Engel v. Pesi Bassi dell'8 giugno 1976): in partica, indipendentemente dalla qualificazione ascritta dal diritto interno, l'interprete dovra' guardare alla natura dell'illecito, alla gravita' della sanzione - desumibile dallo scopo, preventivo o repressivo - nonche' dal procedimento di applicazione della sanzione. Se e' vero (in base a quanto argomentato nel paragrafo che precede) che l'ordinamento nazionale deve accedere ad una visione sostanziale del principio di legalita' (come imposto dalla CEDU) e che tale visione presuppone che la prevedibilita' della norma dipenda anche dalla giurisprudenza - che definisce l'esatta portata della norma penale - occorre allora chiedersi quanto siano consolidati gli orientamenti in materia di confisca per equivalente. Con la sentenza n. 10561 del 30 gennaio 2014 (Gubert), la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si pronunciava sul sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in materia di reati tributari e, in particolare, se questa potesse estendersi, oltre all'imputato persona fisica, anche alla persona giuridica (per le violazioni commesse dal legale rappresentante). Nel riconoscerne la natura eminentemente sanzionatoria dell'istituto di cui all'art. 322-ter codice penale - gia' in vigore nella sua attuale formulazione - (come del resto gia' anticipato da Cassazione S.U. n. 18374 del 31 gennaio 2013, - ultimo capoverso del par. 2.8. pag. 14) e delle ipotesi di confisca che espressamente lo richiamano, la Suprema Corte escludeva l'applicazione di tale misura nei confronti della persona giuridica, sul presupposto che il decreto legislativo 231\2001 contemplasse solo una responsabilita' amministrativa dell'ente e non una responsabilita' penale; in sostanza, la societa' non essendo mai autore del reato - ne' concorrente nello stesso - non puo' essere destinataria di una misura integrante una pena (secondo i parametri offerti dalla CEDU). Con la sentenza n. 31617 del 26 giugno 2015 ( ), le Sezioni Unite ribadivano la natura sanzionatoria dell'art. 322-ter codice penale - e di conseguenza di tutte le norme che ne richiamano l'applicazione - perche' "connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la principale finalita' delle misure di sicurezza" (pag. 34). Sulla scorta di tale ragionamento, la Suprema Corte escludeva che si potesse applicare la confisca per equivalente in presenza di una declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, anche qualora preceduta da una pronuncia di condanna (par. 12, pag. 35, riservando tale possibilita' solo alla confisca del prezzo ex art. 240 comma 2 n. 1 codice penale o del prezzo e del profitto del reato ex art. 322-ter c.p., sempre-che si trattasse di confisca diretta). Venendo ai giorni nostri, con la sentenza n. 13783 del 26 settembre 2024 (ricorrenti: e ), le Sezioni Unite effettuavano dei distinguo di rilievo: in primo luogo, la confisca diretta si fonda sull'idea di pericolosita' della cosa - intesa o come sua attitudine a cagionare un danno, o come incentivo per il reo a commettere ulteriori illeciti. E' una pericolosita' di relazione, dunque l'istituto e' teso a prevenire la commissione di ulteriori reati e non ha carattere punitivo (pag. 14). Il requisito del nesso di derivazione diretta del profitto dal reato, opera anche per i beni costituenti "provento" (cioe', quelli che rappresentano il primo reimpiego di quelli che derivano in via immediata e diretta dal delitto), purche' siano individuati con certezza tutti i passaggi e le trasformazioni del profitto originario (pag. 15). In tutti questi casi, si e' sempre in presenza di confisca diretta (ndr: prevista dall'art. 445 comma 1 codice di procedura penale); quanto alla confisca per equivalente, la Corte precisava la necessita' di una base legale, cioe' di una specifica norma che consenta di procedere con tale forma di ablazione. Richiamava la Corte costituzionale (n. 97\2009) che ne aveva escluso l'applicazione retroattiva (alla neo-introdotta misura per certi reati tributari) sul presupposto della sua natura sanzionatoria desumibile: a) dalla mancanza di pericolosita' dei beni attinti; b) dall'assenza di un nesso di pertinenzialita' con il reato. A seguire, la Corte menzionava le pronunce di rilievo della Corte europea dei diritti dell'uomo e i precedenti di legittimita' conformi (da ultimo, Cassazione S.U. n. 4145 del 29 settembre 2022, ); la Corte aggiungeva: "la confisca, se diretta, sarebbe sempre una misura di sicurezza, come tale sottratta alle garanzie della legalita' penale e, invece, se per equivalente, sarebbe sempre una sanzione, una pena, sottoposta, per tale ragione, alle fondamentali garanzie derivanti dal principio di legalita'". Ebbene, al fine di evitare simili affermazioni perentorie, la Corte invitava ad alcune riflessioni: 1) il carattere di afflittivita' della misura puo' non coincidere con quello della punizione, nel senso che se e' vero che ogni pena e' afflittiva, non ogni misura afflittiva e' punizione. Piu' semplicemente: punizione e' sofferenza per la violazione di un precetto e, in quanto tale, deve avere funzione rieducativa; invece, "se l'afflizione che consegue alla confisca deriva solo dalla mera eliminazione dal patrimonio del reo di un bene che non sarebbe stato acquisito se non fosse stato commesso il reato, la misura mantiene un carattere afflittivo ma non assume anche un contenuto punitivo" (pag. 20). La bonifica dal patrimonio dell'agente del profitto illecito - per ribadire che "il reato non paga" e che l'accrescimento derivante da condotte penalmente rilevanti e' sempre privo di legittima giustificazione - spiega il carattere di afflittivita' della misura per equivalente, ma non anche quello strettamente punitivo; 2) per spiegare il carattere punitivo, la Suprema Corte richiamava la sentenza della Corte costituzionale n. 112\2019, nella quale il Giudice delle leggi operava una distinzione in base all'oggetto della confisca: se si tratta del profitto o del prezzo, anche se per equivalente, la confisca ha una funzione essenzialmente di riequilibrio, ripristinatoria; nel caso in cui invece attenga al prodotto o ai beni utilizzati, puo' assumere carattere punitivo. In pratica, "le confische assumono carattere punitivo, solo quando infliggono all'autore dell'illecito una limitazione al diritto di proprieta' di portata superiore a quella che deriverebbe dalla mera ablazione dell'ingiusto vantaggio economico. Dunque, se la confisca - diretta o per equivalente - non sottrae piu' di quanto sia stato conseguito dall'illecito, essa ha carattere afflittivo, ripristinatorio, ma non anche punitivo" (pag. 22). La conseguenza che se ne trae e' che per le sanzioni para-penali a carattere solo afflittivo, si applicano le garanzie connesse al principio di legalita', quali i principi di irretroattivita' e di proporzionalita' delle pene; solo a quelle che si connotino anche per il carattere punitivo, si applica anche il principio di rieducazione della pena; 3) se e' vero che la confisca per equivalente ha natura sanzionatoria perche' rompe il nesso di pertinenzialita' tra il bene e il reato, e' anche vero che non incide sull'identita' quantitativa del rapporto tra reato e reo poiche', con l'ablazione per equivalente, si ribadisce la sua essenza recuperatoria. Ne deriva che, in quanto sussidiaria e a chiusura del sistema, la confisca per equivalente partecipa della natura di quella diretta (pag. 23). Nello stesso senso si esprimeva anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 7\2025: "Come questa Corte ha gia' avuto occasione di rilevare nella sentenza n. 5 del 2023, non tutte le misure che rientrano nella competenza del giudice penale sono soggette al medesimo statuto di garanzia. La Costituzione prevede, al secondo e al terzo comma dell'art. 25, una diversa estensione del principio di legalita' in materia, rispettivamente, di pene e di misure di sicurezza. E persino il principio di proporzionalita' - che pure e' «requisito di sistema nell'ordinamento costituzionale italiano, in relazione a ogni atto dell'autorita' suscettibile di incidere sui diritti fondamentali dell'individuo» (sentenza n. 24 del 2019, punto 9.7.3. del Considerato in diritto) - si declina in modo necessariamente differente laddove sia riferito a misure orientate primariamente a punire l'interessato por un fatto da questi colpevolmente commesso, oppure a prevenire un pericolo (come nel caso delle misure di sicurezza e delle misure cautelari), o ancora a ripristinare semplicemente la situazione, fattuale e giuridica, preesistente al reato [. . .] Ora, come gia' sottolineato nella sentenza n. 112 del 2019, la confisca del "profitto" di un illecito ha «mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente» alla commissione del fatto in capo all'autore. Una tale osservazione vale, allo stesso modo, per le confische disposte dall'autorita' amministrativa e per quelle disposte dal giudice penale. Anche in relazione a queste ultime, infatti, la finalita' essenziale della misura risiede nel sottrarre al reo l'utilita' economica acquisita mediante la violazione della legge penale, e che egli non ha il diritto di trattenere, proprio in ragione della sua origine radicalmente illecita. Cio' che esclude quell'effetto peggiorativo della sua situazione patrimoniale preesistente, che necessariamente inerisce alle sanzioni dal contenuto "punitivo". Al contrario, la confisca dei "beni utilizzati per commettere l'illecito" (o semplicemente "beni strumentali") incide su beni non ottenuti attraverso un'attivita' criminosa, e che dunque, di regola, erano legittimamente posseduti dall'autore del reato al momento del fatto; sicche' la loro ablazione ad opera del giudice penale determina un peggioramento della sua situazione patrimoniale preesistente al reato. Il che senz'altro esclude che tale misura possa avere una natura meramente "ripristinatoria" dello status quo ante [. . .] In linea generale, infatti, la confisca per equivalente mira a far si' che il reo subisca, nel suo patrimonio complessivo, la medesima perdita - in termini economici - che avrebbe sofferto laddove fosse stato possibile eseguire, in via diretta, l'ablazione degli specifici beni dei quali la legge dispone la confisca; si' da evitare che egli possa continuare a godere delle utilita' derivanti da tali beni, una volta che li abbia comunque messi al riparo dalla pretesa ablatoria statale. Laddove, dunque, la confisca di un bene o di una somma di denaro abbia natura di pena, quella medesima natura dovra' essere ascritta anche alla corrispondente ipotesi di confisca per equivalente". C'e' da dire che gli attuali interventi giurisprudenziali hanno una portata travolgente. Si e' passati dal sostenere che, di sicuro, la confisca per equivalente ha natura eminentemente sanzionatoria (in quanto i beni attinti mancano di pericolosita' e vista l'assenza di un nesso di pertinenzialita' tra questi ed il reato con la conseguente piena applicazione delle garanzie costituzionali legate al concetto di pena), ad affermare che ha certamente natura afflittiva (per l'eliminazione dal patrimonio del reo di un bene che non sarebbe stato acquisito se non fosse stato commesso il reato), ma non certamente punitiva. Tale caratteristica deve essere valutata di volta in volta, verificando se la misura si limiti a ripristinare la situazione economica precedente al delitto o se sottragga al reo piu' di quanto acquisito con il crimine. Le conseguenze non sono cosi' irrilevanti: se la misura fosse valutata come afflittiva ma non anche punitiva, troveranno applicazione i principi di irretroattivita' (come declinato per le misure di sicurezza) e di proporzionalita'; se la misura fosse valutata come afflittiva ed anche punitiva, troveranno applicazione i principi di irretroattivita', di' proporzionalita' e di rieducazione. Per fortuna, tale distinzione non rileva nel caso di specie dal momento che il tema centrale attiene alla prevedibilita' della misura in questione, quale corollario del principio di legalita' disciplinante tanto le pene, quanto le misure di sicurezza. Infatti, il principio di tassativita', che ha fondamento nell'art. 25 Cost., pone l'obbligo sul legislatore di prevedere i fatti costituenti reato e le pene conseguenti con sufficiente precisione, cosi' da rendere prevedibili le conseguenze di un'azione\omissione e da consentire ai singoli di orientare liberamente le proprie condotte. Parimenti, garantisce che la previsione di qualunque misura di sicurezza, la pari della pena, sia demandata alla legge, la quale deve elencare tassativamente i casi in cui il giudice puo' applicarla e determinarne il tipo. Passando alla norma che qui viene in rilievo, questa recita: "1. Per i reati di cui all'art. 3 della presente legge, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilita' di cui il reo ha la disponibilita', anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo. In caso di usura e' comunque ordinata la confisca di un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari. In tali casi, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di danaro o individua i beni o le utilita' assoggettati a confisca di valore corrispondente al prodotto, al profitto o al prezzo del reato". Trattasi di norma a carattere sostanziale e non processuale. Facendo applicazione dei nuovi criteri che devono orientare l'interprete, alla luce della recente giurisprudenza di legittimita' e costituzionale, non puo' che concludersi per la funzione ripristinatoria - e quindi per la natura afflittiva e non punitiva - della confisca prevista dall'art. 11 legge n. 146\2006. Essa: e' applicata in relazione ad un fatto costituente reato, connotato dalla transnazionalita', ed e' obbligatoria; i beni che colpisce non hanno alcun legame con il reato, ma vengono attinti dal vincolo indipendentemente dal fatto che abbiano o meno un'origine lecita; non ha finalita' preventiva, posto che non e' orientata a prevenire la commissione di futuri reati, ma a colpire il reo per quelli gia' commessi con l'intento di eliminare dal suo patrimonio una posta economica - irrilevante nella sua identificazione, ma rilevante solo nel quantum - di valore equivalente a1 prodotto, profitto, prezzo del reato; persegue lo scopo di eliminare una posta patrimoniale che il reo non avrebbe qualora non avesse commesso il reato. Ad ogni modo, qualunque sia la natura che si voglia riconoscere all'ablazione ex art. 11, cit., la stessa e' sottoposta al principio di legalita'. Sulla scorta di quanto ricostruito, si e' in presenza di pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite - e, in quanto tali, vincolanti per le Sezioni semplici e ad efficacia fortemente persuasiva per il giudice di merito - non perfettamente sovrapponibili. Se al momento della celebrazione del processo, gli imputati erano certi che fosse loro applicata una misura a carattere punitivo, oggi questa certezza non c'e' piu'. Il confronto tra i consolidati principi giurisprudenziali pregressi ed i nuovi criteri fissati dalla stessa giurisprudenza di legittimita' e costituzionale determina incertezza e, pertanto, non e' in grado di integrare il parametro della prevedibilita', cosi' come declinato dalla giurisprudenza di Strasburgo in relazione all'art. 7 CEDU e recepito nel nostro ordinamento per il tramite dell'art. 117 comma 1 Cost. 5. La sentenza di condanna e la sentenza di applicazione pena. A questo punto, occorre verificare se la confisca per equivalente fosse misura prevedibile nella sua applicazione per coloro che definirono la posizione ai sensi dell'art. 444 codice di procedura penale Deve dirsi sin d'ora che la questione non attiene alla prevedibilita' in concreto - per la quale il Pubblico Ministero depositava tutti i verbali dell'udienza preliminare, ma a quella in astratto. Vale a dire se l'art. 11 legge n. 146\2006 rispetti i parametri di sufficiente prevedibilita', imposti dagli articoli 25 Cost. e 117 Cost., in relazione all'art. 7 CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo. Si ricorda che "il rispetto dei requisiti qualitativi di accessibilita' e prevedibilita' della norma e' conseguente al grado di precisione non solo del testo di legge, ma anche alla stabilizzazione dell'orientamento ermeneutico interno che quella disposizione scolpisce nella sua portata. Non si tratta di equiparare il diritto vivente alla legge, quanto, piuttosto, di riconoscere al primo un ruolo, una funzione che interferisce con la ragionevole prevedibilita' delle decisioni future" (Cassazione S.U. n. 8052 del 26 ottobre 2023). Del resto, la stessa Corte EDU - nella sentenza c. Italia del 14 aprile 2015 - faceva riferimento ad un concetto di prevedibilita' oggettiva, vale a dire non ancorata alle caratteristiche personali e professionali del singolo agente, bensi' all'esistenza oggettiva di contrasti o poca chiarezza in merito alla portata applicativa della disposizione penale. La valutazione sull'accessibilita' e prevedibilita' dell'art. 11 legge n. 146/2006 passa inevitabilmente dall'analisi del concetto di sentenza "condanna" e sulla sua sovrapponibilita' (o meno) alla sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti (non contemplata testualmente). In passato, l'art. 444 codice di procedura penale sanciva un generale principio di equiparazione della sentenza di applicazione pena alla sentenza di condanna, ad eccezione di quelle conseguenze espressamente escluse dal legislatore (ad esempio, se la pena irrogata non supera i due anni, non comporta il pagamento delle spese processuali, ne' l'applicazione di pene accessorie o di misure di sicurezza ad eccezione della confisca ex art. 240 c.p.). Tale argomento era valorizzato sia dal Giudice di I° grado (pag. 41, laddove affermava che l'accordo comporta l'applicazione di tutte le conseguenze penali della sentenza di condanna non espressamente escluse), sia dalla Corte di Cassazione n. 16100 del 27 febbraio 2019 - che determinava il passaggio in giudicato nel presente processo (pag. 16, laddove precisava che, in tema di confisca, la discrezionalita' del Giudice si ri-espande come in una normale sentenza di condanna, non essendo questa parte dell'accordo). Gia' oggi tale affermazione non sarebbe piu' sostenibile: con il decreto legislativo n. 150\2022 e' stato modificato l'art. 444 comma 1 codice di procedura penale, consentendo all'imputato ed al Pubblico Ministero di accordarsi (ferma la successiva ratifica del Giudice) anche sulle pene accessorie, sulla loro durata ed altresi' sulla confisca facoltativa. E' vero che la Corte costituzionale, nella sentenza 336\2009 (richiamata anche dalla Corte di Cassazione 16100 del 27 febbraio 2019), affermava la piena equiparazione tra i due tipi di sentenza, ma tale sovrapposizione era relativa ai rapporti fra giurisdizioni diverse e connessa alla necessita' di evitare contrasti tra giudicati. Non si avventurava ad equiparare 1 due tipi di accertamento di responsabilita' penale sottesi all'inflizione della pena. Del resto, quanto alla natura dell'accordo di cui all'art. 444 codice di procedura penale, deve riconoscersi non il valore di ammissione di responsabilita' (tesi minoritaria), bensi' la mera scelta dell'imputato di rinunciare a difendersi (tesi maggioritaria, a cui aderisce anche questo Giudice). Tale impostazione, in aggiunta, parrebbe confermata dalle modifiche introdotte con la c.d. riforma Cartabia all'art. 445 comma. 1-bis codice di procedura penale - riforma che ha introdotto ipotesi espresse di inefficacia della sentenza ex art. 444 codice di procedura penale in altri giudizi ( compresi quelli disciplinari, ai quali ineriva la sentenza n. 336\2009 della Corte costituzionale, appena citata). Oltretutto, testualmente, l'art. 445 comma 1 codice di procedura penale richiama in maniera espressa solo la confisca ex art. 240 c.p. - quindi diretta, sia essa facoltativa o obbligatoria - non anche equivalente. E, a ben vedere, quando il legislatore ha inteso far discendere l'applicazione della confisca per equivalente a fronte di sentenze di applicazione pena, lo ha chiaramente positivizzato nelle relative disposizioni di legge. Anche tale osservazione, sembrerebbe condurre alla conclusione della diversa natura tra sentenza di condanna e sentenza di applicazione pena. Vi sono pero' altre argomentazioni idonee a confutare la tesi sopra esposta. In primo luogo, proprio la relazione del Massimario alla c.d. riforma Cartabia: "dalla formulazione della norma contenuta nella prima parte dell'art. 445, comma 1-bis, codice di procedura penale sembrano esclusi i procedimenti penali. Ne dovrebbe discendere che il divieto di utilizzabilita', anche a fini probatori, della sentenza di patteggiamento, sia limitata ai giudizi diversi da quello penale. A mero titolo di esempio, si segnalano il caso del reato plurisoggettivo rispetto al quale solo alcuni imputati abbiano patteggiato o di reati connessi probatoriamente. In tal senso, va ricordato il costante orientamento secondo cui «la sentenza di patteggiamento puo' essere utilizzata a fini probatori in altro procedimento penale, ai sensi dell'art. 238-bis codice di procedura penale, stante la sua equiparazione legislativa ad una sentenza di condanna, quanto al "fatto" ed alla sua attribuibilita'» (fra le molte Sez. 5, n. 12344 del 5 dicembre 2017, dep. 2018, ). Essendo rimasta sostanzialmente immutata l'affermazione della equiparazione della sentenza di patteggiamento ad una sentenza di condanna, salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo dell'art. 445, comma 1-bis codice di procedura penale o da diverse disposizioni di legge, non vi e' motivo per ritenere venuto meno il predetto orientamento della giurisprudenza di legittimita'. Per il resto, la norma in esame si segnala per la sua novita' e per la portata effettivamente innovativa rispetto ad orientamenti giurisprudenziali consolidati che in materia civile, tributaria e disciplinare prevedevano la piena utilizzabilita' a fini di prova della sentenza di patteggiamento" (pagg. 111 della relazione). A questo si aggiunga che, anche a voler negare la natura propria di sentenza di condanna, la pronuncia ex art. 444 codice di procedura penale determina l'inflizione di una pena e presuppone un difetto di convincimento in ordine all'innocenza dell'imputato o all'esistenza di una causa di estinzione del reato. Di fatto, capovolgendo la valutazione che sta alla base dell'art. 530 comma 2 codice di procedura penale. Anche il fatto che il Giudice sia tenuto ad effettuare la verifica sulla correttezza della qualificazione giuridica ascritta al fatto, presuppone un accertamento: questo consiste nel valutare la riconducibilita' del fatto concreto - per come emerge dagli atti trasmessi - rispetto alla fattispecie astratta contestata; in sostanza, la pronuncia ex art. 444 codice di procedura penale, se accolta la richiesta delle parti, presuppone un accertamento concreto del fatto nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, al pari di un eventuale rigetto dell'accordo ex art. 444 codice di procedura penale (in questo caso esteso anche alla possibile inadeguatezza della pena concordata). A ben vedere su tale presupposto, si basano le pronunce della Corte costituzionale in tema di incompatibilita' ("non la mera conoscenza degli atti, ma una valutazione di merito circa l'idoneita' delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un giudizio di responsabilita' dell'imputato, vale a radicare l'incompatibilita'; e che questa deve riconoscersi sussistente nelle ipotesi (non di inammissibilita', ma) di rigetto della richiesta di applicazione di pena concordata, dato che essa comporta, quanto meno, una valutazione negativa circa l'esistenza delle condizioni legittimanti il proscioglimento ex art.129 codice di procedura penale e circa la congruenza alle suddette risultanze della qualificazione giuridica del fatto e/o delle circostanze ritenute nella richiesta" - n. 186 del 22 aprile 1992; conf. n. 439 del 16 dicembre 1993). E' chiaro che a fronte di fattispecie che espressamente prevedono l'applicazione della confisca per equivalente in presenza di una sentenza di applicazione pena, diviene pero' complesso sostenere che l'equiparazione genericamente sancita dall'art. 444 codice di procedura penale possa automaticamente riespandersi in tutte quelle ipotesi di confisca di valore in cui - seppur prevista, come nell'art. 11 legge n. 146\2006 - sia positivizzata solo a fronte di una sentenza di condanna. Dunque, il caos legislativo, non puo' aiutare l'interprete. A cio' si aggiunga che, anche la giurisprudenza di legittimita' e quella internazionale, attualmente forniscono una definizione di "condanna" che mal consente la piena equiparazione tra le due ipotesi. Con la sentenza del 29 ottobre 2013 ( c. Italia), la Corte EDU affermava, per la prima volta in maniera esplicita, che e' la "condanna" il presupposto per l'applicabilita' della confisca urbanistica e non il mero accertamento incidentale di responsabilita'. Ogni volta in cui manchi la prima, concludendosi il giudizio penale con la declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione, difetterebbero i presupposti per l'applicazione della misura (1) . La giurisprudenza di legittimita', ponendosi il problema della compatibilita' di tale principio con altri di rango costituzionale, interpellava il Giudice delle leggi. Con sentenza n. 49\2015, nel dichiarare inammissibili le questioni poste, la Corte costituzionale evidenziava come la "sentenza " non fosse inequivoca, prestandosi ad una lettura orientata ad un approccio sostanziale: il mero accertamento della responsabilita'. Tale pronuncia prestava il fianco a critiche: la dottrina piu' illuminata rappresentava la difficolta' di conciliare l'essenziale accertamento di responsabilita' con l'obbligo legale di dichiarare l'estinzione del reato, in ogni stato e grado del processo ex art. 129 codice di procedura penale, con effetto preclusivo di ogni ulteriore attivita' processuale (art. 129 codice di procedura penale richiamato peraltro anche dall'art. 444 codice di procedura penale). In proposito, si fa di nuovo riferimento alla sentenza n. 31617 del 26 giugno 2015 ( ), nella quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione precisavano che: laddove si tratti di confisca diretta - del prezzo o del profitto - la misura di sicurezza puo' essere applicata anche in presenza di sentenza dichiarativa della prescrizione, purche' vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilita' dell'imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato. Infatti, "l'accertamento della responsabilita' deve comunque confluire in una pronuncia che, non solo sostanzialmente, ma anche formalmente, la dichiari, con la conseguenza che l'esistenza del reato, la circostanza che l'autore dello stesso abbia percepito una somma e che questa abbia rappresentato il prezzo del reato stesso, , devono aver formato oggetto di una condanna, i cui termini essenziali non abbiano, nel corso del giudizio, subito mutazioni quanto alla sussistenza di un accertamento al di la' di ogni ragionevole dubbio. L'intervento della prescrizione, dunque, per poter consentire il mantenimento della confisca, deve rivelarsi quale formula terminativa del giudizio, anodina in punto di responsabilita', finendo in tal modo per confermare la preesistente (e necessaria) pronuncia di condanna" (pagg. 31 e 32); analogo ragionamento non puo' operare per la confisca per equivalente posto che, in questa, l'ablazione colpisce beni che non presentano alcun collegamento con il reato. E, vista la sua natura sanzionatoria \ punitiva, in presenza di prescrizione, non puo' applicarsi una "pena" (pag. 34, sentenza " "). In sostanza, le Sezioni Unite affermavano che - in quanto pena - la confisca per equivalente dovesse avere come presupposto necessario ed irrinunciabile l'accertamento formale della responsabilita' penale del reo. In questo senso anche Cassazione Penale, Sez. 3, n. 32469 dell'1 giugno 2023: "3.1. La giurisprudenza della Corte EDU richiede, come condizione necessaria per l'applicazione della confisca relativa al reato di lottizzazione abusiva, non una sentenza di condanna, anche solo in primo grado, bensi', diversamente, un accertamento completo ed in contraddittorio della sussistenza di «tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione [ ... ] In particolare, per quanto attiene al profilo "procedurale", precise sono le indicazioni fornite da Corte EDU, GC, 28 giugno 2018, s.r.l. ed altri c. Italia, segnatamente nei §§ 252, 255, 258, 259, 260 e 261, relativi alle doglianze di un ricorrente, il sig. Gironda, nei cui confronti era stata dichiarata sentenza di non doversi procedere per prescrizione gia' in primo grado [ ... ] E, nel § 261, si conclude: «La Corte non puo' ignorare tali considerazioni nell'applicazione dell'art. 7 nel caso di specie, a condizione che i tribunali in questione abbiano agito nel pieno rispetto dei diritti della difesa sanciti dall'art. 6 della Convenzione. Per questo motivo, la Corte ritiene che, qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell'art. 7, che in questo caso non e' violato". Pare, dunque, affermarsi il principio per il quale sia comunque necessario un accertamento pieno della sussistenza del reato e della riconducibilita' all'autore - indipendentemente che il decorso del tempo porti ad una pronuncia di estinzione per prescrizione in appello o nel giudizio di legittimita'. Ancora, la Corte costituzionale, con sentenza n. 83\2024, affermava: "5.2.- Che il patteggiamento consenta, in linea di principio, una economia di tempi e di energie processuali piu' marcata di quella conseguente al giudizio abbreviato non e', in effetti, contestabile. Di la' dal tratto comune, di essere riti alternativi che "evitano" il dibattimento, il patteggiamento semplifica, pero', radicalmente, il dibattito processuale, rimettendo al giudice il solo compito di verificare che non sussistano ragioni di proscioglimento dell'imputato gia' risultanti ex actis, che la qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti siano corrette e che la pena richiesta sia congrua (art. 444, comma 2, codice di procedura penale). Laddove, per converso, il giudizio abbreviato lascia inalterato il potere-dovere del giudice di accertare nei termini ordinari - sia pure sulla base degli elementi raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini, e dunque fuori del contradditorio (peraltro, eventualmente arricchiti dalle indagini difensive) - se l'imputato sia colpevole o no e di determinare il trattamento sanzionatorio adeguato [ ... ] Come questa Corte ha rilevato, il patteggiamento consente all'imputato di sottoporsi a una pena certa, preventivamente concordata, non potendo il giudice modificare i contenuti del "patto" intercorso fra le parti: pena che gli verra' inflitta - in applicazione di una particolare regola di giudizio (l'insussistenza dei presupposti per una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 codice di procedura penale) - con una sentenza che e' solo «equiparata» a una pronuncia di condanna e che resta priva di efficacia nei giudizi extrapenali (art. 445, comma 1-bis, codice di procedura penale). Per contro, con il giudizio abbreviato, l'imputato, accettando di essere giudicato sulla base degli atti, lascia inalterati i poteri decisori del giudice [ ... ] Il patteggiamento offre all'imputato, al tempo stesso, un complesso di vantaggi ulteriori, rispetto allo sconto di pena, privo di equivalenti nel giudizio abbreviato. Avendo riguardo alla disciplina vigente alla data dell'ordinanza di rimessione, alla sentenza di patteggiamento non e' attribuita, come gia' accennato, natura di vera e propria sentenza di condanna, venendo ad essa solo «equiparata»; ne e' fortemente limitata, altresi', l'efficacia extrapenale (art. 445, comma 1-bis, codice di procedura penale). La richiesta di patteggiamento puo' essere, d'altro canto, subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena (art. 444, comma 3, codice di procedura penale), inoltre, se vi e' costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda (art. 444, comma 2, codice di procedura penale). Quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria - come generalmente avviene quando si procede per contravvenzioni -, la sentenza non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, ne' l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca nei casi previsti dall'art. 240 del codice penale (art. 445, comma 1, codice di procedura penale). In tale ipotesi, inoltre, decorsi cinque anni, se la sentenza riguarda un delitto, o due anni, se riguarda una contravvenzione, senza che l'imputato abbia commesso un delitto o una contravvenzione della stessa indole, il reato e' estinto e viene meno ogni effetto penale. Se e' stata applicata una pena pecuniaria o una pena sostitutiva, la pronuncia non e' comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena (art. 445, comma 2, codice di procedura penale). L'insieme dei vantaggi annessi al patteggiamento si e' ulteriormente arricchito, come gia' segnalato, con l'entrata in vigore, dopo l'ordinanza di rimessione, del decreto legislativo n. 150 del 2022, il quale, con l'art. 25, comma 1, lettera b), ha esteso l'esclusione dell'efficacia extrapenale della sentenza, precedentemente circoscritta ai giudizi civili e amministrativi, anche ai giudizi disciplinari, tributari e di accertamento della responsabilita' contabile, con la previsione, altresi' che in tali giudizi la sentenza di patteggiamento non puo' essere neppure utilizzata a fini di prova (nuovo comma 1-bis dell'art. 445 codice di procedura penale). Si e' previsto, poi, che nel caso di patteggiamento cosiddetto allargato - per pene, cioe', superiori ai due anni - le parti possano chiedere al giudice di non applicare le pene accessorie o di applicarle per una durata determinata, e di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato (art. 444, comma 1, codice di procedura penale, come novellato)". Il Giudice delle leggi parrebbe sostenere che, ben lungi dall'accertare compiutamente la responsabilita' penale, la sentenza ex art. 444 codice di procedura penale sia solo equiparata a quella di condanna (in dibattimento o all'esito di giudizio abbreviato) per gli eventuali effetti extra-penali (laddove consentiti dalla legge e, oggi, ampiamente ridotti dalla c.d. riforma Cartabia). Tale affermazione sembra essere sottesa anche alla pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. 5, n. 43631 del 5 ottobre 2023, laddove afferma: "il Collegio ritiene di aderire all'orientamento - accolto anche dalla sentenza impugnata e senz'altro maggioritario nella giurisprudenza di legittimita' - secondo cui e' ammissibile la richiesta di revisione di una sentenza di patteggiamento per inconciliabilita' con l'accertamento compiuto in giudizio nei confronti di altro imputato per il quale si sia proceduto separatamente, ma e' necessario che l'inconciliabilita' si riferisca ai fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna e non gia' alla loro valutazione [ ... ] e' proprio la natura ontologicamente "debole" dell'accertamento sotteso alla sentenza di applicazione della pena a rendere piu' acuta l'istanza di garanzia assecondata dalla revisione, sicche' dato normativo e considerazione sistematica convergono nel far ritenere la sentenza di patteggiamento suscettibile di revisione per inconciliabilita' dei giudicati". Infine, la Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza e c. Italia resa in data 19 dicembre 2024, affermava: "la Corte ribadisce che una decisione giudiziaria puo' rispecchiare l'opinione che il ricorrente sia colpevole anche in assenza di una formale constatazione della colpevolezza; e' sufficiente che vi sia qualche ragionamento che indichi che il tribunale considera l'imputato colpevole (si vedano Böhmer c. Germania, n. 37568/97, § 54, 3 ottobre 2002, Baars c. Paesi Bassi, n. 44320/98, § 26, 28 ottobre 2003; e Cleve, sopra citata, § 53) (par. 124) [ ... ] A tale riguardo, la Corte e' consapevole del crescente ricorso - sia ai sensi del! 'ordinamento giuridico interno che a livello internazionale - a forme di confisca non basate su una condanna, in base alle quali i giudici possono essere chiamati a disporre la confisca di beni di origine illecita anche in assenza di una condanna. A tale riguardo, la Corte ritiene che la protezione offerta dal secondo aspetto dell'art. 6 § 2 non dovrebbe essere interpretata in modo da precludere ai tribunali nazionali di occuparsi degli stessi fatti decisi nei procedimenti penali al fine di disporre una forma di confisca non basata su una condanna, purche' nel farlo essi non attribuiscano all'interessato la responsabilita' penale (si veda, mutatis mutandis, Nealon e Hallam, sopra citata, § 169) (par. 129) [ ... ] La Corte osserva che e' un requisito formale che per una confisca ai sensi dell'art. 322-ter del CP debba esservi una "condanna" (par. 131) [ ... ] la Corte ha gia' chiarito di non distinguere i casi in cui le accuse sono estinte (perche' si sono prescritte) precedentemente al compimento di qualsiasi determinazione penale, da quelli in cui sono estinte (per il medesimo motivo) successivamente a un 'iniziale constatazione della colpevolezza. Segue che le conclusioni di primo grado, che non sono definitive, non possono inficiare le successive determinazioni (si veda Pasquini c. San Marino, sopra citata, § 63, in cui - analogamente al caso di specie - il ricorrente era stato condannato in primo grado e la Corte ha constatato la violazione dell'art. 6 § 2 in quanto la Corte di appello, pur archiviando il procedimento per la scadenza del termine di prescrizione, aveva attribuito al ricorrente la responsabilita' penale) (par. 137)". Quindi, alla fine del 2024, la Corte di Strasburgo sembrerebbe essersi orientata sulla necessita' di una sentenza intesa in senso formale, ritenendo insufficiente - per l'applicazione della confisca ex art. 322-ter codice penale - l'accertamento di responsabilita' effettuato in I° grado ed implicitamente confermato dal Giudice del II° grado che si pronunciava per la prescrizione del reato, in quanto statuizioni non definitive. Ebbene, se l'accertamento non definitivo di responsabilita' penale e' stato ritenuto dalla Corte EDU insufficiente ad applicare una confisca che presuppone una condanna - in un processo terminato con sentenza di estinzione del reato per prescrizione - ci si chiede come un istituto a natura afflittiva o punitiva possa trovare applicazione in presenza di una sentenza di patteggiamento - il cui accertamento ha natura ontologicamente debole - laddove non espressamente previsto dalla norma. Cio' perche', come sopra anticipato, la sentenza ex art. 444 codice di procedura penale presuppone un difetto di convincimento in ordine all'innocenza dell'imputato o all'esistenza di cause estintive. Di fatto, capovolgendo la valutazione che sta alla base dell'art. 530 comma 2 codice di procedura penale. Ritiene, percio' questo Giudice che le due sentenze non siano equiparabili - quanto alla natura, al genere e alla profondita' dell'accertamento di responsabilita' penale. Se dunque e' vero, come sembra, che il rispetto dei requisiti di accessibilita' e prevedibilita' della norma e' conseguente al grado di precisione, non solo del testo di legge, ma anche della stabilizzazione dell'orientamento ermeneutico interno che quella disposizione scolpisce nella sua portata, ex art. 7 CEDU; se e' vero, come sembra, che attualmente: la natura di pena o meno della confisca per equivalente e' oggetto di diversita' di vedute tra piu' pronunce adottate nel corso degli anni dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione; e' in discussione, in giurisprudenza, la natura della sentenza di patteggiamento e, di conseguenza, la sua equiparazione ad una di condanna pronunciata all'esito del dibattimento o di giudizio abbreviato; a livello normativo, vi sono disposizioni che espressamente prevedono tale tipologia di confisca a seguito di applicazione pena su richiesta delle parti ed altre disposizioni (quale quella oggetto della presente ordinanza) che tacciono sul punto; sulla base dei successivi interventi legislativi, l'equiparazione di cui all'art. 445 codice di procedura penale - visti gli incisi che lo precedono - sembrerebbe limitata agli effetti extra-penali (e tale non puo' considerarsi il giudizio di colpevolezza), oltre al fatto che per talune ipotesi di reato, la misura ablativa per equivalente e' stata espressamente prevista a fronte di sentenza ex art. 444 codice di procedura penale; ecco che, allora, si puo' fondatamente ritenere che l'art. 11 legge n. 146\2006 non rispetti del tutto i canoni di accessibilita' e prevedibilita', come declinati dall'art. 7 CEDU - interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU - potendo integrare una violazione degli articoli 25 e 117 Cost. Questo Giudice reputa la questione non manifestamente infondata. *La rilevanza della questione nel caso concreto. 6. I beni sottoposti a confisca definitiva. Con l'istanza, F B chiedeva la restituzione dell'autovettura , di colore bianco, tg. e dei saldi attivi rinvenuti sui conti correnti accesi presso le banche s.r.l., e , per un importo complessivo pari ad euro . Per quanto riguarda la confisca dell'autovettura (pag. 11610 - 1802 del P.m.), F B in sede di interrogatorio (pagg. 16203 e seg.) ammetteva di aver fatto numerosi viaggi per portare il metallo preziosi fuori dall'Italia, salvo - in un momento successivo - occuparsi anche dei fissaggi. Tuttavia, dagli atti e dalla lettura della sentenza definitiva non e' possibile affermarne la natura di vincolo in forma diretta: infatti. nel capo b dell'imputazione, solo era indicato quale corriere. Ma non solo: nella sentenza di patteggiamento, il G.U.P. non faceva alcun riferimento a forme di confisca diretta, disponendo solo la confisca del profitto - indicato con precisi importi a secondo del valore delle transazioni di riferimento - e per equivalente "sui beni gia' in sequestro". Cio' porta a ritenere che, per giudicato, la confisca dell'autovettura sia stata ritenuta e definita per equivalente e non come vincolo diretto. Ne' consegue che, ove la questione di legittimita' costituzionale fosse accolta, il mezzo dovrebbe essere restituito a F B . Per quanto concerne le somme di cui all'istanza, prima del 26 settembre 2024 la giurisprudenza - anche a Sezioni Unite - era consolidata nel senso di ritenere la confisca del denaro sempre e comunque diretta. Dopo la pronuncia della Sezioni Unite del 26 settembre 2024 cosi' non e' piu': il mutamento di orientamento, ancorche' recente e per il momento isolato, e' radicale ed a sezioni unite. Ne' nella sentenza, ne' dagli atti e' espressamente indicato il nesso di derivazione diretto delle somme (prima sequestrate e poi confiscate in via definitiva) rispetto alla commissione delle specifiche transazioni illecite. Anche in questo caso, salvo che la giurisprudenza si pronunci diversamente e in linea con il precedente orientamento e salvo che sul punto voglia pronunciarsi la Corte costituzionale, la questione si pone come rilevante: se all'esito di un'attenta rilettura di tutti gli atti di indagine non risultasse un collegamento diretto tra le somme ed i reati, le stesse dovranno essere restituite. In aggiunta si ricorda che "in conformita' a quanto previsto dall'art. 53 CEDU, il rispetto degli obblighi convenzionali, imposto dall'art. 117 comma 1 Cost., non puo' determinare una minore tutela dei diritti fondamentali rispetto a quella garantita dall'ordinamento interno, ma deve costituire uno strumento di ampliamento della stessa. Il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie e quindi anche operando il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti che potrebbero essere incisi dall'espansione della tutela oggetto di confronto" (Corte costituzionale n. 317\2009). (1) Di seguito si riportano alcuni dei passaggi piu' significativi: "55. La nozione di «diritto» («law») usata nell'art. 7 corrisponde a quella di «legge» che figura in altri articoli della Convenzione; essa comprende il diritto d'origine sia legislativa sia giurisprudenziale e implica delle condizioni qualitative, tra cui quella dell'accessibilita' e della prevedibilita' (Cantoni c. Francia, 15 novembre 1996, § 29, Recueil des arrets et des decisions 1996 V; S. W, sopra citata, § 35; Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, §§ 40-42, serie A n. 260 A). Per quanto chiara possa essere la formulazione di una norma legale, in qualunque sistema giuridico, compreso il diritto penale, esiste immancabilmente un elemento di interpretazione giuridica. Sara' sempre necessario delucidare i punti dubbi e adattarsi alle mutate situazioni. Tra l'altro, e' saldamente stabilito nella tradizione giuridica degli Stati parte alla Convenzione che la giurisprudenza, in quanto fonte del diritto, contribuisce necessariamente alla progressiva evoluzione del diritto penale. Non si puo' interpretare l'art. 7 della Convenzione come una norma che vieta il graduale chiarimento delle norme della responsabilita' penale attraverso l'interpretazione giuridica da una causa all'altra, a condizione che il risultato sia coerente con la sostanza del reato e ragionevolmente prevedibile (Streletz, Kessler e Krenz c. Germania [GC], nn. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 50, CEDU 2001 II). 69. L'accostamento dell'art. 5 § 1 a) agli articoli 6 § 2 e 7 § 1 mostra che ai fini della Convenzione non si puo' avere «condanna» senza che sia legalmente accertato un illecito - penale o, eventualmente, disciplinare (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 68, serie A n. 22 ; c. Italia, 6 novembre 1980, § 100, serie A n. 39), cosi' come non si puo' avere una pena senza l'accertamento di una responsabilita' personale. 71, La logica della «pena» o della «punizione», o la nozione di «guilty» (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di «persona colpevole» (nella versione francese), depongono a favore di un'interpretazione dell'art. 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilita' da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore. In mancanza di cio', la punizione non avrebbe senso ( e altri, sopra citata, § 116). Sarebbe infatti incoerente esigere, da una parte, una base legale accessibile e prevedibile e permettere, dall'altra, una punizione quando, come nel caso di specie, la persona interessata non e' stata condannata". P.Q.M. Pertanto. il G.U.P. presso il Tribunale di Arezzo - in funzione di Giudice dell'esecuzione - solleva, in riferimento agli articoli 25 comma 2 e comma 3 e 117 comma 1 Cost.. in relazione all'art. 7 CEDU come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 legge n. 146\2006. nella parte in cui dispone l'applicazione della confisca di somme di denaro. Beni o altre utilita' di cui il reo ha la disponibilita', anche per interposta persona fisica o giuridica per un valore corrispondente al prodotto. profitto o prezzo del reato con la sentenza di condanna e non anche a seguito di sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti ex art. 444 e seg. codice di procedura penale. Per l'effetto, Sospende il giudizio in corso e Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale a cura della cancelleria. Dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria: a F B presso il Difensore di fiducia; al Difensore di fiducia in proprio; al pubblico ministero in sede (Dott. Marco Dioni); al Presidente del Consiglio dei ministri; oltre alla comunicazione, a cura della cancelleria, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Arezzo, 28 aprile 2025. Il Giudice: Soldini