Reg. ord. n. 144 del 2025 pubbl. su G.U. del 27/08/2025 n. 35

Ordinanza del Tribunale di Arezzo  del 29/04/2025

Tra: M. F.

Oggetto:

Reati e pene – Reati transnazionali ai sensi dell’art. 3 della legge n. 146 del 2006 – Confisca per equivalente – Denunciata applicazione della confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente al prodotto, profitto o prezzo del reato, con la sentenza di condanna e non anche a seguito di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti – Violazione del principio di legalità – Inosservanza del parametro della prevedibilità, come declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU in relazione all’art. 7 della CEDU.

Norme impugnate:

legge  del 16/03/2006  Num. 146  Art. 11



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art. 25   Co.

Costituzione  Art. 25   Co.

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.  Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 aprile 2025

Ordinanza del 29 aprile 2025 del Tribunale di Arezzo nel procedimento
penale a carico di M. F.. 
 
Reati e pene - Reati transnazionali ai sensi dell'art. 3 della  legge
  n.  146  del  2006  -  Confisca  per   equivalente   -   Denunciata
  applicazione della confisca di  somme  di  denaro,  beni  od  altre
  utilita' di cui il reo ha la disponibilita', anche  per  interposta
  persona  fisica  o  giuridica,  per  un  valore  corrispondente  al
  prodotto, profitto o prezzo del reato, con la sentenza di  condanna
  e non anche a seguito di sentenza di  applicazione  della  pena  su
  richiesta delle parti. 
- Legge  16  marzo  2006,  n.  146  (Ratifica  ed  esecuzione   della
  Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il  crimine
  organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il  15
  novembre 2000 ed il 31 maggio 2001), art. 11. 


(GU n. 35 del 27-08-2025)

 
                         TRIBUNALE DI AREZZO 
                        Ufficio G.I.P.\G.U.P. 
 
    Il giudice, dott.ssa  Giulia  Soldini,  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione; 
    Letta l'istanza ed  i  documenti  allegati  e  preso  atto  delle
argomentazioni sviluppate dalle parti; sciogliendo la riserva assunta
all'udienza del 6 febbraio 2025. 
 
                        Osserva quanto segue 
 
1. L'incidente di esecuzione. 
    L'avv. Benedetto Marzocchi Buratti del Foro  di  Roma  presentava
istanza nell'interesse di M... F... volta ad ottenere la revoca della
confisca per equivalente applicata con  la  sentenza  n.  340\2017  -
definitiva il 27 febbraio 20219 e, per l'effetto, la restituzione dei
beni di cui alla richiesta. 
    Le  ragioni  fondanti  la  tesi  difensiva  erano   plurime   ma,
prevalentemente, si sostanziavano sull'inapplicabilita'  di  siffatta
confisca  in  presenza  di  una  sentenza  di  applicazione  pena  su
richiesta delle parti. In particolare: 
        trattandosi di confisca per equivalente,  la  stessa  avrebbe
natura  di  sanzione  penale  e  non  di  misura  di  sicurezza.   Ne
deriverebbe la violazione del principio di legalita' e prevedibilita'
- cosi' come declinato dall'art. 7 della Convenzione europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  -
poiche' applicata a seguito di una sentenza ex art. 444 del codice di
procedura   penale   che   non   contiene   un   accertamento   sulla
responsabilita' penale; 
        la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti non
puo' essere equiparata ad una sentenza di condanna  e,  percio',  non
puo' comportare l'applicazione di tale particolare  confisca  a  meno
che non sia espressamente indicato dal  legislatore.  Diversamente  -
attesa la natura sostanziale di pena - si determinerebbe  un'analogia
in malam partem; 
        non  essendo  sufficientemente  chiara  la  base  legale,  la
confisca applicata a ...  determinava  un'illegittima  ingerenza  nel
godimento dei beni, in violazione dell'art. 1  del  Protocollo  n.  1
della CEDU; 
        oltre a questo, la misura  ablativa  si  rivelava  del  tutto
sproporzionata perche' parametrata al valore  del  negozio  giuridico
sotteso al delitto di ricettazione e non  al  profitto  concretamente
realizzato dal condannato. 
    Il pubblico ministero si opponeva alla richiesta  avanzata  dalla
difesa precisando come - dopo ben tredici udienze  celebrate  dinanzi
al  GUP  (di  cui  depositava  i  verbali),  nelle  quali  le   parti
discutevano proprio sull'applicabilita' o  meno  della  confisca  per
equivalente - non potesse porsi  un  problema  di  prevedibilita'  in
concreto. 
    Quanto poi alla  natura  sanzionatoria  assegnata  alla  confisca
dalle pronunce della Corte EDU, il pubblico ministero  rilevava  come
si trattasse di un orientamento giurisprudenziale che, come tale, era
inidoneo a travolgere il giudicato. 
    Oltre a questo, insisteva  sul  fatto  che  la  lettura  testuale
complessiva dell'art.  11  della  legge  n.  146\2006  non  limitasse
affatto l'applicazione della confisca per equivalente all'ipotesi  di
sentenza di condanna e che i beni sui quali si consolidava il vincolo
erano gia' tutti sottoposti a sequestro preventivo,  nel  momento  in
cui gli (allora) imputati avevano avanzato istanza di definizione  ai
sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale. 
    Le  argomentazioni  prospettate  dalle  parti  sono   plurime   e
complesse, pertanto richiedono una trattazione ordinata. 
2. Il giudicato. 
    In primo luogo, occorre rilevare quale sia l'ambito di formazione
del giudicato. 
    Con la sentenza n. 340\2017, il G.U.P.  presso  il  Tribunale  di
Arezzo applicava - tra gli altri - a M... F... la pena concordata con
il pubblico ministero titolare del fascicolo. In tale  pronuncia,  il
giudice: 
        escludeva la sussistenza di elementi rilevanti ai fini  della
pronuncia ex art. 129 del codice di procedura penale (pag. 36); 
        riteneva sussistenti i fatti nella loro storicita' (pag. 37); 
        affermava la correttezza della  qualificazione  giuridica  ad
essi ascritta  -  per  M...  F...  in  relazione  ai  capi  A)  e  B)
dell'imputazione (articoli 416 e 648 del codice penale) (pag. 38); 
        dichiarava la sussistenza del vincolo della continuazione tra
i reati ascritti agli imputati (pag. 38); 
        affermava    la    sussistenza    del     requisito     della
transnazionalita' (pag. 40), in relazione ai reati-fine (pag. 48); 
        equiparava la sentenza di  applicazione  della  pena  ad  una
sentenza di condanna, precisando che la pronuncia  ex  art.  444  del
codice di procedura penale comportasse  l'applicazione  di  tutte  le
conseguenze penali tipiche della condanna, salvo quelle espressamente
escluse (pag. 41); 
        aggiungeva  che  l'insussistenza   dei   requisiti   per   il
proscioglimento ex  art.  129  del  codice  di  procedura  penale  si
riverberasse sulla positiva  valutazione  in  ordine  ai  presupposti
applicativi della confisca ex art. 11 della legge n.  146\2006  (pag.
45); 
        rilevava come la Convenzione delle Nazioni Unite sul  crimine
transnazionale - ratificata con la legge n. 146\2006 - esprimesse una
volonta'  politico-criminale  chiara:  l'estensione   massima   della
confisca (pag. 46); 
        oltre  a  questo,  ricorreva  all'interpretazione   letterale
dell'art. 11 legge cit.: il terzo inciso era palesemente riferito  al
secondo, mentre il primo restava generico (pag. 47) - sembrando, piu'
che altro, che il terzo sancisse l'obbligo del  giudice  di  indicare
specificamente i beni da apprendere in  caso  di  condanna  in  senso
formale; 
        osservava come, trattandosi di reati-contratto,  il  profitto
fosse equivalente al valore economico dell'intero negozio -  pari  al
valore del metallo oggetto dei plurimi episodi di ricettazione  (pag.
52); 
        confermava l'applicabilita' del principio solidaristico; 
        prendeva, quale valore di  riferimento  per  il  calcolo  del
profitto, il valore medio dell'oro nel periodo di  riferimento  (euro
40,00 al grammo). 
    La Corte di Cassazione con sentenza n. 16100 del 27 febbraio 2019
respingeva  i  ricorsi  promossi  dai   difensori   degli   imputati,
determinando cosi' la formazione del giudicato.  In  particolare,  la
Corte di Cassazione: 
        confermava la sussistenza del reato transnazionale  (pag.  8)
in relazione ai reati-fine; 
        rappresentava come il G.U.P. avesse motivato sufficientemente
in merito alla  insussistenza  degli  elementi  per  giungere  ad  un
proscioglimento ex art. 129 del codice di procedura penale (pag. 9); 
        affermava che il terzo inciso  dell'art.  11  della legge  n.
146\2006 («in tali casi»), dovesse intendersi  riferito  a  tutta  la
norma e non solo al secondo inciso relativo al delitto di usura (pag.
12); 
        precisava, infatti, che la  norma  andasse  letta  alla  luce
dello  spirito  della  Convenzione  delle  Nazioni  Unite   che:   a)
richiedeva di prevenire e combattere il  crimine  transnazionale  nel
modo  piu'  efficace;  b)  parlava  genericamente   di   condanna   e
condannati, senza vincoli di modelli procedimentali; 
        confermava  la  congruita'  del  quantum  confiscato   e   la
correttezza del parametro di calcolo  preso  come  riferimento  (pag.
18); 
        ribadiva  la  correttezza  dell'applicazione  del   principio
solidaristico (pag. 19\20). 
    Su  tali  basi,  il  pubblico  ministero   sosteneva   fortemente
l'intangibilita' del giudicato, non ravvisandosi le ipotesi di  legge
che ne consentono la rimozione e trattandosi, al piu' di orientamenti
giurisprudenziali inidonei a metterlo in discussione,  anche  qualora
si faccia riferimento a pronunce  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo. 
3. L'argomentazione relativa all'intangibilita' del giudicato. 
    La giurisprudenza ha avuto modo di prendere posizione sul tema in
relazione a specifiche ipotesi, senza  pero'  arrivare  a  negare  in
maniera  netta  ed   indiscutibile   la   rilevanza   del   mutamento
giurisprudenziale. 
    In un caso, la Suprema Corte (Cassazione penale, Sez. 3, n. 32469
del 1° giugno 2023) affermava: «in tema di reati  edilizi,  non  puo'
essere revocata, ex art. 673  del  codice  di  procedura  penale,  la
sentenza  che  abbia   dichiarato   estinta   per   prescrizione   la
contravvenzione di lottizzazione abusiva e  disposto  contestualmente
la confisca delle opere ad essa relative nel caso in cui, in  assenza
di "abolitio criminis" derivante da abrogazione o da declaratoria  di
illegittimita' costituzionale della norma, si verifichi un  mutamento
dell'orientamento giurisprudenziale  affermato  dalle  Sezioni  Unite
della Corte di Cassazione o dalla Corte EDU». 
    Nel caso di specie, la Corte precisava  come  l'istituto  di  cui
all'art. 673 del codice di procedura penale - invocato dalla difesa -
fosse ancorato a parametri precisi (abrogazione  o  dichiarazione  di
illegittimita'  costituzionale  della  norma   incriminatrice),   non
suscettibili di interpretazione estensiva. La Corte,  richiamando  la
sentenza n. 230\2012 della Corte  costituzionale,  escludeva  che  la
retroattivita'  della  lex  mitior  potesse  riferirsi  ai  mutamenti
giurisprudenziali, come il principio di intangibilita' del  giudicato
garantisse la certezza dei rapporti  giuridici  e  come  le  pronunce
della  Suprema  Corte  a  Sezioni  Unite   avessero   una   efficacia
esclusivamente persuasiva e non cogente (pagine 5 e 6). 
    Concludeva, al paragrafo 2.2.2. (pag. 7) che, in  ogni  caso,  le
pronunce della Corte europea  dei  diritti  dell'uomo  non  producono
alcuna diretta conseguenza sulle fattispecie incriminatrici. 
    Vi e' da dire, pero', che in quel caso  il  parametro  richiamato
dal ricorrente era quello  dell'art.  673  del  codice  di  procedura
penale e, dunque, le  argomentazioni  svolte  dalla  Corte  risultano
ineccepibili. 
    Ma circoscritte a quella specifica norma  e  non  estendibili  al
caso di specie. 
    Analogamente, Cassazione penale, Sez. 6, n. 19429  del  3  maggio
2022: «non puo' essere fatta valere  come  ipotesi  di  revisione  la
inutilizzabilita'  sopravvenuta   delle   intercettazioni   poste   a
fondamento della decisione derivante dal mutamento  giurisprudenziale
di cui alle Sez.U. "..."  del  2019,  successivo  all'irrevocabilita'
della sentenza, trattandosi del risultato di un'evoluzione esegetica,
conducente ad una rivalutazione delle prove gia' assunte, inidoneo  a
travolgere il giudicato». 
    Nel caso in parola, la Corte  affermava  l'inapplicabilita',  nel
giudizio di revisione,  del  mutamento  giurisprudenziale  favorevole
successivo al giudicato, poiche'  coinvolgente  la  rivalutazione  di
prove la cui utilizzabilita' non era stata eccepita nel  giudizio  di
cognizione. 
    Anche in questo caso, pero', vengono in rilievo  le  peculiarita'
proprie del giudizio di revisione e la circostanza che  la  questione
non fosse mai stata eccepita prima di allora. 
    Nel procedimento che ha visto coinvolto  M...  F...,  invece,  la
questione  dell'applicabilita'  della  confisca  per  equivalente  in
presenza di una sentenza ex art. 444 del codice di  procedura  penale
e' stata  sollevata  e  trattata  in  molteplici  udienze,  sollevata
dinanzi ai giudici  di  legittimita'  e,  oggi,  con  l'incidente  di
esecuzione. 
    E proprio in tema  di  incidente  di  esecuzione,  si  registrava
un'apertura da parte della Corte di Cassazione. 
    Le Sezioni Unite, con sentenza  n.  18288  del  21  giugno  2010,
affermavano che il requisito dei «nuovi  elementi»  -  indispensabili
quali condizione di ammissibilita' ex art. 666, comma 2,  del  codice
di procedura penale - dovesse intendersi riferito: a)  sia  ai  nuovi
elementi di fatto; b) che ai nuovi elementi di diritto. 
    Tra i nuovi  elementi  di  diritto,  deve  annoverarsi  anche  il
mutamento giurisprudenziale a Sezioni Unite; cio' perche'  «s'impone,
invece, una interpretazione sistematica dell'art. 666 del  codice  di
procedura  penale,  comma  2,  alla  luce  delle  disposizioni  della
Convenzione europea dei diritti  dell'uomo  (CEDU),  con  particolare
riferimento al principio di legalita' penale di cui all'art. 7, cosi'
come  interpretato  dalla  giurisprudenza  comunitaria,  in  modo  da
soddisfare l'esigenza di  una  interazione  dialogica  tra  attivita'
ermeneutica  del  giudice  nazionale  e  di  quello  europeo,   nella
prospettiva della piu' completa tutela dei diritti fondamentali della
persona» (par. 5, ultimo capoverso). 
    A ben vedere, che l'orientamento giurisprudenziale consolidato  e
quello espresso dalla Suprema Corte a Sezioni  Unite  abbia  un  peso
sempre maggiore, si ricava non  solo  dagli  obblighi  internazionali
pattizi, ma anche dall'art. 618, comma 1-bis, del codice di procedura
penale. 
    Il diritto vivente e', infatti, espressione  dell'interpretazione
che il giudice da' alla norma e l'articolo citato pare assimilare  il
«diritto  giurisprudenziale»  a  quello  positivo;  anche  se,   come
precisato da Cassazione a Sezioni Unite n. 8052 del 26 ottobre  2023:
«un  consolidamento  della  funzione  nomofilattica  della  Corte  di
cassazione attraverso il ruolo rafforzato che  viene  assegnato  alle
Sezioni Unite, le  cui  sentenze  possono  avere  valore  formale  di
precedente nei confronti delle altre Sezioni  penali  della  Corte  a
determinate condizioni ed entro  certi  limiti;  un  precedente  che,
ancorche' fluido e superabile, produce  un  vincolo  ed  esprime  una
regola    di    stabilizzazione    rispetto    alla    quale    viene
procedimentalizzato l'eventuale dissenso della Sezione semplice». 
    Insomma, il vincolo del precedente opera per le sezioni  semplici
della Corte di Cassazione, ma non  per  il  giudice  di  merito.  Per
quest'ultimo,  resta  pero'  quella  nota  efficacia  persuasiva  dei
pronunciamenti a Sezioni Unite. 
    E proprio nelle S.U. ..., la Corte  aggiunge:  «il  rispetto  dei
requisiti qualitativi di accessibilita' e prevedibilita' della  norma
e' conseguente al grado di precisione non solo del testo di legge, ma
anche alla stabilizzazione dell'orientamento ermeneutico interno  che
quella disposizione scolpisce nella sua portata.  Non  si  tratta  di
equiparare il diritto vivente  alla  legge,  quanto,  piuttosto,  di'
riconoscere al primo un ruolo, una funzione che interferisce  con  la
ragionevole prevedibilita' delle decisioni future»  (Cassazione  S.U.
n. 8052 del 26 ottobre 2023). 
    A tale conclusione, la  Suprema  Corte  giunge  proprio  in  base
all'interpretazione data dalla Corte europea  dei  diritti  dell'uomo
all'art. 7 della Convenzione: «per effetto dell'esplicito riferimento
al "diritto" ("law") -  e  non  soltanto  alla  "legge"  -  contenuto
nell'art. 7, la giurisprudenza di Strasburgo, infatti,  ha  inglobato
nel concetto di legalita' sia il diritto  di  produzione  legislativa
che quello di derivazione giurisprudenziale, riconoscendo al  giudice
un ruolo fondamentale nella individuazione dell'esatta portata  della
norma penale, il cui significato e' reso esplicito dalla combinazione
di  due  dati;  quello  legislativo  e  quello  interpretativo  (cfr.
sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo  24  aprile  1990,
caso Kruslin c/ Francia; 12 febbraio 2008, caso Kafkaris c/ Cipro; 15
novembre  1996,  caso  Cantoni  c/  Francia;  25  maggio  1993,  caso
Kokkinakis c/ Grecia). Tale  visione  sostanziale  del  principio  di
legalita' si confronta  peraltro,  secondo  la  giurisprudenza  della
Corte di Strasburgo, con particolari  condizioni  qualitative,  quali
l'accessibilita' della norma penale e la  ragionevole  prevedibilita'
delle sue conseguenze (cfr. sentenze Corte europea Cantoni c/ Francia
succitata; 22 novembre 1995, caso S.W. e  C.R.  c/  Regno  Unito;  29
marzo 2006, caso Achour c/ Francia)» (Cassazione S.U. n. 18288 del 21
gennaio 2010). 
    Visione sostanziale del principio  di  legalita'.  Questo  e'  il
punto. 
    E proprio le norme della Convenzione europea per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - nel significato
loro  attribuito  dalla  Corte   europea   dei   diritti   dell'uomo,
specificamente  istituita  per  dare  ad  esse   interpretazione   ed
applicazione  -  integrano  quali  norme  interposte   il   parametro
costituzionale espresso dall'art. 117, comma  1,  della  Costituzione
(Corte costituzionale n. 264\2012) e la  loro  peculiarita'  consiste
proprio nella soggezione a tale interpretazione, alla quale gli Stati
contraenti, salvo l'eventuale scrutinio  di  costituzionalita',  sono
vincolati ad uniformarsi (Corte costituzionale n. 39\2008). 
    E quanto alla rilevanza del mutamento giurisprudenziale: «quando,
nelle more di un giudizio incidentale, la giurisprudenza della  Corte
europea dei diritti dell'uomo attribuisce  alla  norma  convenzionale
interposta  un  nuovo  significato,  con   potenziale   effetto   sui
presupposti della questione di legittimita' costituzionale, gli  atti
devono essere restituiti al giudice a quo, affinche' proceda  ad  una
valutazione della perdurante rilevanza  della  questione,  alla  luce
della    giurisprudenza    costituzionale    sopravvenuta»     (Corte
costituzionale sentenza n. 43\2018). 
    Se dunque le pronunce della Corte europea dei  diritti  dell'uomo
non sono idonee a travolgere direttamente il giudicato, sono pero' in
grado - in presenza  di  orientamenti  consolidati  -  di  consentire
all'interprete di verificare la legalita' o meno di una misura. 
    Quindi, nel caso di specie, non si  tratta  di  affermare  se  un
successivo mutamento giurisprudenziale possa travolgere il giudicato.
Bensi' di capire se: 
        con specifico riferimento alla confisca di  cui  all'art.  11
della legge n. 146\2006, si sia in presenza di  una  pena  o  meno  -
secondo  i  parametri  stabiliti  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo e dalla giurisprudenza interna; 
        in base alla conclusione  raggiunta,  se  la  norma  invocata
rispetti il canone  della  prevedibilita'  e  della  legalita',  come
descritto nella Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali ed interpretato dalla Corte. 
    Non   si   tratta   quindi   dell'incidenza   di   pronunciamenti
giurisprudenziali, anche  successivi,  su  una  confisca  definitiva,
bensi' di  verificare  se  la  norma  invocata  e  su  cui  si  fonda
l'ablazione rispetti i parametri sovranazionali, conferendo legalita'
alla misura applicata al ricorrente. 
    Tale verifica passa  inevitabilmente  per  la  valutazione  sulla
natura della sentenza di applicazione pena ed il confronto tra questa
e quella di condanna pronunciata all'esito di un  dibattimento  o  di
rito abbreviato. 
Gli argomenti a  sostegno  della  non  manifesta  infondatezza  della
questione. 
4. La confisca ex art. 11 della legge n. 146\2006. 
    L'importanza di indagare sulla natura giuridica di un istituto e'
evidenziata dalla stessa Corte costituzionale, allorquando  sconfessa
l'assunto  per  il  quale  ogni   misura   limitativa   dei   diritti
fondamentali applicati da un giudice penale in connessione a un fatto
di reato ha natura punitiva; infatti, «la natura delle varie forme di
confisca deve essere valutata in relazione allo specifico  oggetto  e
alla relativa finalita'». 
    Il discrimine risiede, dunque, nella finalita': se  la  misura  -
per come concepita dal legislatore -  sia  tesa  a  neutralizzare  il
pericolo di commissione di nuovi  fatti  previsti  dalla  legge  come
reato o se sia tesa a  punire  per  il  fatto  gia'  commesso  (Corte
costituzionale n. 5\2023). 
    La Corte europea dei  diritti  dell'uomo  ha  fatto  propria  una
concezione autonomista  tanto  di  pena,  quanto  di  accusa  penale,
fornendo alcuni criteri (noti come «Engel criteria» - Engel v.  Paesi
Bassi  dell'8  giugno  1976):  in  partica,  indipendentemente  dalla
qualificazione ascritta  dal  diritto  interno,  l'interprete  dovra'
guardare alla natura dell'illecito, alla gravita'  della  sanzione  -
desumibile  dallo  scopo,  preventivo  o  repressivo  -  nonche'  dal
procedimento di applicazione della sanzione. 
    Se e' vero (in  base  a  quanto  argomentato  nel  paragrafo  che
precede) che l'ordinamento nazionale deve  accedere  ad  una  visione
sostanziale del principio di legalita' (come imposto  dalla  CEDU)  e
che tale visione presuppone che la prevedibilita' della norma dipenda
anche dalla giurisprudenza - che  definisce  l'esatta  portata  della
norma penale - occorre allora chiedersi quanto siano consolidati  gli
orientamenti in materia di confisca per equivalente. 
    Con la sentenza n. 10561 del 30 gennaio 2014 (Gubert),  la  Corte
di Cassazione a Sezioni Unite si pronunciava sul sequestro preventivo
finalizzato  alla  confisca  per  equivalente  in  materia  di  reati
tributari e, in particolare,  se  questa  potesse  estendersi,  oltre
all'imputato persona fisica, anche alla  persona  giuridica  (per  le
violazioni commesse dal legale rappresentante). 
    Nel   riconoscerne   la   natura   eminentemente    sanzionatoria
dell'istituto di cui all'art. 322-ter del codice  penale  -  gia'  in
vigore  nella  sua  attuale  formulazione  -  (come  del  resto  gia'
anticipato da Cassazione S.U. n. 18374 del 31  gennaio  2013,  ...  -
ultimo capoverso del par. 2.8. pag. 14) e delle ipotesi  di  confisca
che  espressamente  lo  richiamano,  la   Suprema   Corte   escludeva
l'applicazione di tale misura nei confronti della persona  giuridica,
sul presupposto che il decreto legislativo  n. 231\2001  contemplasse
solo  una  responsabilita'  amministrativa  dell'ente   e   non   una
responsabilita' penale; in sostanza,  la  societa'  non  essendo  mai
autore del reato - ne' concorrente nello stesso  -  non  puo'  essere
destinataria di una misura integrante una pena (secondo  i  parametri
offerti dalla CEDU). 
    Con la sentenza n. 31617 del 26 giugno  2015  (...),  le  Sezioni
Unite ribadivano la natura sanzionatoria dell'art. 322-ter del codice
penale - e di  conseguenza  di  tutte  le  norme  che  ne  richiamano
l'applicazione - perche' «connotata dal carattere afflittivo e da  un
rapporto consequenziale alla  commissione  del  reato  proprio  della
sanzione penale, mentre esula  dalla  stessa  qualsiasi  funzione  di
prevenzione che costituisce la principale finalita' delle  misure  di
sicurezza» (pag. 34). 
    Sulla scorta di tale ragionamento, la Suprema Corte escludeva che
si potesse applicare la confisca per equivalente in presenza  di  una
declaratoria di estinzione del reato  per  intervenuta  prescrizione,
anche qualora preceduta da una pronuncia di condanna (par.  12,  pag.
35, riservando tale possibilita' solo alla  confisca  del  prezzo  ex
art. 240, comma 2, n. 1,  del  codice  penale  o  del  prezzo  e  del
profitto del reato ex art. 322-ter del codice penale, sempre  che  si
trattasse di confisca diretta). 
    Venendo ai giorni  nostri,  con  la  sentenza  n.  13783  del  26
settembre 2024 (ricorrenti: ... e ...), le Sezioni Unite effettuavano
dei distinguo di rilievo: 
        in primo luogo, la confisca diretta  si  fonda  sull'idea  di
pericolosita' della cosa - intesa o come sua attitudine  a  cagionare
un danno,  o  come  incentivo  per  il  reo  a  commettere  ulteriori
illeciti. E' una pericolosita' di  relazione,  dunque  l'istituto  e'
teso a prevenire la commissione di ulteriori reati e non ha carattere
punitivo (pag. 14). 
        Il requisito del nesso di derivazione  diretta  del  profitto
dal reato, opera anche per  i  beni  costituenti  «provento»  (cioe',
quelli che rappresentano il primo reimpiego di quelli che derivano in
via immediata e diretta dal delitto), purche' siano  individuati  con
certezza tutti i passaggi e le trasformazioni del profitto originario
(pag. 15). 
        In tutti questi casi, si e' sempre in  presenza  di  confisca
diretta  (ndr:  prevista  dall'art.  445,  comma  1,  del  codice  di
procedura penale); 
        quanto alla confisca per equivalente, la Corte  precisava  la
necessita' di una base legale,  cioe'  di  una  specifica  norma  che
consenta di procedere con tale forma di ablazione. 
        Richiamava la Corte costituzionale (n. 97\2009) che ne  aveva
escluso l'applicazione retroattiva (alla  neo-introdotta  misura  per
certi reati tributari) sul presupposto della sua natura sanzionatoria
desumibile: a) dalla mancanza di pericolosita' dei beni  attinti;  b)
dall'assenza di un nesso di pertinenzialita' con il reato. A seguire,
la Corte menzionava le pronunce di rilievo della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo e i precedenti di legittimita' conformi (da ultimo,
Cassazione S.U. n. 4145 del 29 settembre 2022, ...); 
        la Corte aggiungeva: «la confisca, se diretta, sarebbe sempre
una misura di sicurezza, come  tale  sottratta  alle  garanzie  della
legalita' penale e, invece, se per equivalente,  sarebbe  sempre  una
sanzione, una pena, sottoposta, per tale ragione,  alle  fondamentali
garanzie derivanti dal principio di legalita'». Ebbene,  al  fine  di
evitare simili affermazioni perentorie, la Corte invitava  ad  alcune
riflessioni: 
          1) il carattere di  afflittivita'  della  misura  puo'  non
coincidere con quello della punizione, nel senso che se e'  vero  che
ogni pena e' afflittiva, non ogni misura afflittiva e' punizione. 
          Piu'  semplicemente:  punizione  e'   sofferenza   per   la
violazione di un precetto e, in  quanto  tale,  deve  avere  funzione
rieducativa; invece, «se  l'afflizione  che  consegue  alla  confisca
deriva solo dalla mera eliminazione dal patrimonio del reo di un bene
che non sarebbe stato acquisito se non fosse stato commesso il reato,
la misura mantiene un carattere afflittivo ma  non  assume  anche  un
contenuto punitivo» (pag. 20). 
          La  bonifica  dal  patrimonio  dell'agente   del   profitto
illecito - per ribadire che «il reato non paga» e che l'accrescimento
derivante  da  condotte  penalmente  rilevanti  e'  sempre  privo  di
legittima giustificazione -  spiega  il  carattere  di  affiittivita'
della misura  per  equivalente,  ma  non  anche  quello  strettamente
punitivo; 
          2) per spiegare il carattere  punitivo,  la  Suprema  Corte
richiamava la sentenza della Corte costituzionale n. 112\2019,  nella
quale  il  giudice  delle  leggi  operava  una  distinzione  in  base
all'oggetto della confisca: se si tratta del profitto o  del  prezzo,
anche se per equivalente, la confisca ha una funzione  essenzialmente
di riequilibrio, ripristinatoria; nel caso in cui invece  attenga  al
prodotto o ai beni utilizzati, puo' assumere carattere punitivo. 
          In pratica, «le confische assumono carattere punitivo, solo
quando infliggono all'autore dell'illecito una limitazione al diritto
di proprieta' di portata superiore a  quella  che  deriverebbe  dalla
mera ablazione  dell'ingiusto  vantaggio  economico.  Dunque,  se  la
confisca - diretta o per equivalente - non sottrae piu' di quanto sia
stato  conseguito  dall'illecito,  essa  ha   carattere   afilittivo,
ripristinatorio, ma non anche punitivo» (pag. 22). 
          La conseguenza che se  ne  trae  e'  che  per  le  sanzioni
para-penali a carattere solo afflittivo,  si  applicano  le  garanzie
connesse  al  principio   di   legalita',   quali   i   principi   di
irretroattivita' e di proporzionalita' delle pene; solo a quelle  che
si connotino anche per il carattere punitivo,  si  applica  anche  il
principio di rieducazione della pena; 
          3) se e' vero che la confisca  per  equivalente  ha  natura
sanzionatoria perche' rompe il nesso di pertinenzialita' tra il  bene
e il reato, e' anche vero che non incide sull'identita'  quantitativa
del  rapporto  tra  reato  e  reo  poiche',   con   l'ablazione   per
equivalente, si ribadisce la sua essenza recuperatoria. 
    Ne deriva che, in quanto sussidiaria e a chiusura del sistema, la
confisca per equivalente partecipa della  natura  di  quella  diretta
(pag. 23). 
    Nello stesso senso si esprimeva  anche  la  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 7\2025: «Come questa Corte ha gia' avuto  occasione
di rilevare nella sentenza n. 5 del 2023, non  tutte  le  misure  che
rientrano nella  competenza  del  giudice  penale  sono  soggette  al
medesimo statuto di garanzia. La Costituzione prevede, al  secondo  e
al terzo comma dell'art. 25, una diversa estensione del principio  di
legalita' in  materia,  rispettivamente,  di  pene  e  di  misure  di
sicurezza. E persino il principio di proporzionalita' - che  pure  e'
«requisito di sistema nell'ordinamento  costituzionale  italiano,  in
relazione a ogni atto dell'autorita'  suscettibile  di  incidere  sui
diritti fondamentali dell'individuo» (sentenza n. 24 del 2019,  punto
9.7.3.  del  Considerato  in  diritto)   -   si   declina   in   modo
necessariamente differente laddove sia riferito  a  misure  orientate
primariamente  a  punire  l'interessato  per  un  fatto   da   questi
colpevolmente commesso, oppure a prevenire un pericolo (come nel caso
delle misure di sicurezza e  delle  misure  cautelari),  o  ancora  a
ripristinare  semplicemente  la  situazione,  fattuale  e  giuridica,
preesistente  al  reato  [...]  Ora,  come  gia'  sottolineato  nella
sentenza n. 112 del 2019, la confisca del «profitto» di  un  illecito
ha  «mera  funzione  ripristinatoria  della  situazione  patrimoniale
precedente» alla commissione del fatto in capo all'autore.  Una  tale
osservazione vale,  allo  stesso  modo,  per  le  confische  disposte
dall'autorita' amministrativa  e  per  quelle  disposte  dal  giudice
penale. Anche in relazione a queste  ultime,  infatti,  la  finalita'
essenziale della misura  risiede  nel  sottrarre  al  reo  l'utilita'
economica acquisita mediante la violazione della legge penale, e  che
egli non ha il diritto di trattenere, proprio in  ragione  della  sua
origine  radicalmente  illecita.  Cio'  che   esclude   quell'effetto
peggiorativo della  sua  situazione  patrimoniale  preesistente,  che
necessariamente inerisce alle sanzioni dal contenuto  «punitivo».  Al
contrario,  la  confisca  dei   «beni   utilizzati   per   commettere
l'illecito» (o semplicemente «beni strumentali') incide su  beni  non
ottenuti attraverso un'attivita' criminosa, e che dunque, di  regola,
erano legittimamente posseduti dall'autore del reato al  momento  del
fatto;  sicche'  la  loro  ablazione  ad  opera  del  giudice  penale
determina  un  peggioramento  della   sua   situazione   patrimoniale
preesistente al reato. Il che  senz'altro  esclude  che  tale  misura
possa avere una natura meramente «ripristinatoria» dello  status  quo
ante [...] In linea generale, infatti, la  confisca  per  equivalente
mira a far si' che il reo subisca, nel suo patrimonio complessivo, la
medesima perdita -  in  termini  economici  -  che  avrebbe  sofferto
laddove fosse stato possibile eseguire, in via  diretta,  l'ablazione
degli specifici beni dei quali la legge dispone la confisca;  si'  da
evitare che egli possa continuare a godere delle  utilita'  derivanti
da tali beni, una volta che li abbia comunque messi al  riparo  dalla
pretesa ablatoria statale. Laddove, dunque, la confisca di un bene  o
di una somma di denaro abbia natura di pena, quella  medesima  natura
dovra' essere ascritta anche alla corrispondente ipotesi di  confisca
per equivalente». 
    C'e' da dire che gli attuali interventi  giurisprudenziali  hanno
una portata travolgente. Si e' passati dal sostenere che, 
        di  sicuro,   la   confisca   per   equivalente   ha   natura
eminentemente sanzionatoria (in quanto  i  beni  attinti  mancano  di
pericolosita' e vista l'assenza di un nesso di  pertinenzialita'  tra
questi ed il reato; 
        con  la  conseguente  piena   applicazione   delle   garanzie
costituzionali legate al concetto di pena), ad affermare che; 
        ha  certamente  natura  afflittiva  (per  l'eliminazione  dal
patrimonio del reo di un bene che non sarebbe stato acquisito se  non
fosse stato commesso il reato), ma non certamente punitiva. 
        Tale caratteristica deve essere valutata di volta  in  volta,
verificando se la misura  si  limiti  a  ripristinare  la  situazione
economica precedente al delitto o se sottragga al reo piu' di  quanto
acquisito con il crimine. 
    Le conseguenze non sono cosi' irrilevanti: 
        se la misura fosse valutata  come  afflittiva  ma  non  anche
punitiva, troveranno  applicazione  i  principi  di  irretroattivita'
(come declinato per le misure di sicurezza) e di proporzionalita'; 
        se  la  misura  fosse  valutata  come  afflittiva  ed   anche
punitiva, troveranno applicazione i principi di irretroattivita',  di
proporzionalita' e di rieducazione. 
    Per fortuna, tale distinzione non rileva nel caso di  specie  dal
momento che il tema centrale attiene alla prevedibilita' della misura
in  questione,  quale   corollario   del   principio   di   legalita'
disciplinante tanto le pene, quanto le misure di sicurezza. 
    Infatti,  il  principio  di  tassativita',  che   ha   fondamento
nell'art. 25 della Costituzione, pone l'obbligo  sul  legislatore  di
prevedere i  fatti  costituenti  reato  e  le  pene  conseguenti  con
sufficiente precisione, cosi' da rendere prevedibili  le  conseguenze
di un'azione\omissione  e  da  consentire  ai  singoli  di  orientare
liberamente  le  proprie  condotte.  Parimenti,  garantisce  che   la
previsione di qualunque misura di sicurezza, la pari della pena,  sia
demandata alla legge, la quale deve elencare tassativamente i casi in
cui il giudice puo' applicarla e determinarne il tipo. 
    Passando alla norma che qui viene in rilievo, questa recita: 
        «1. Per i reati di  cui  all'art.  3  della  presente  legge,
qualora la confisca delle cose  che  costituiscono  il  prodotto,  il
profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il  giudice  ordina
la confisca di somme di denaro, beni od altre utilita' di cui il  reo
ha  la  disponibilita',  anche  per  interposta  persona   fisica   o
giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto,  profitto  o
prezzo. In caso di usura e'  comunque  ordinata  la  confisca  di  un
importo pari al valore degli  interessi  o  degli  altri  vantaggi  o
compensi usurari. In tali  casi,  il  giudice,  con  la  sentenza  di
condanna, determina le somme di  danaro  o  individua  i  beni  o  le
utilita'  assoggettati  a  confisca  di  valore   corrispondente   al
prodotto, al profitto o al prezzo del reato». 
    Trattasi di norma a carattere sostanziale e non processuale. 
    Facendo applicazione  dei  nuovi  criteri  che  devono  orientare
l'interprete, alla luce della recente giurisprudenza di  legittimita'
e  costituzionale,  non  puo'  che  concludersi   per   la   funzione
ripristinatoria - e quindi per la natura afflittiva e non punitiva  -
della confisca prevista dall'art. 11 della legge n. 146\2006. 
    Essa: 
        e' applicata in relazione  ad  un  fatto  costituente  reato,
connotato dalla transnazionalita', ed e' obbligatoria; 
        i beni che colpisce non hanno alcun legame con il  reato,  ma
vengono attinti dal vincolo indipendentemente dal fatto che abbiano o
meno un'origine lecita; 
        non ha finalita' preventiva, posto che  non  e'  orientata  a
prevenire la commissione di futuri reati, ma a  colpire  il  reo  per
quelli gia' commessi con l'intento di eliminare  dal  suo  patrimonio
una posta economica  -  irrilevante  nella  sua  identificazione,  ma
rilevante solo nel quantum  -  di  valore  equivalente  al  prodotto,
profitto, prezzo del reato; 
        persegue lo scopo di eliminare una posta patrimoniale che  il
reo non avrebbe qualora non avesse commesso il reato. 
    Ad ogni modo, qualunque sia la natura che si  voglia  riconoscere
all'ablazione ex art. 11 cit., la stessa e' sottoposta  al  principio
di legalita'. 
    Sulla scorta di quanto ricostruito, si e' in presenza di pronunce
della Corte di Cassazione a  Sezioni  Unite  -  e,  in  quanto  tali,
vincolanti  per  le  Sezioni  semplici  e  ad  efficacia   fortemente
persuasiva  per  il   giudice   di   merito   -   non   perfettamente
sovrapponibili. 
    Se al momento della celebrazione del processo, gli imputati erano
certi che fosse loro applicata una misura a carattere punitivo,  oggi
questa certezza non c'e' piu'. 
    Il  confronto  tra  i  consolidati   principi   giurisprudenziali
pregressi ed i nuovi criteri fissati dalla stessa  giurisprudenza  di
legittimita' e costituzionale determina incertezza e,  pertanto,  non
e' in grado di integrare il  parametro  della  prevedibilita',  cosi'
come  declinato  dalla  giurisprudenza  di  Strasburgo  in  relazione
all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  e  recepito  nel  nostro
ordinamento  per  il  tramite   dell'art.   117,   comma   1,   della
Costituzione. 
5. La sentenza di condanna e la sentenza di applicazione pena. 
    A questo punto, occorre verificare se la confisca per equivalente
fosse misura  prevedibile  nella  sua  applicazione  per  coloro  che
definirono  la  posizione  ai  sensi  dell'art.  444  del  codice  di
procedura penale. 
    Deve  dirsi  sin  d'ora  che  la  questione  non   attiene   alla
prevedibilita' in concreto -  per  la  quale  il  pubblico  ministero
depositava tutti i verbali dell'udienza preliminare, ma a  quella  in
astratto. 
    Vale a dire se l'art.  11  della legge  n.  146\2006  rispetti  i
parametri di sufficiente prevedibilita', imposti  dagli  articoli  25
della Costituzione e 117 della Costituzione, in relazione all'art.  7
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali  come  interpretato  dalla   Corte   di
Strasburgo. 
    Si  ricorda  che  «il  rispetto  dei  requisiti  qualitativi   di
accessibilita' e prevedibilita' della norma e' conseguente  al  grado
di  precisione  non  solo  del  testo  di  legge,   ma   anche   alla
stabilizzazione  dell'orientamento  ermeneutico  interno  che  quella
disposizione scolpisce nella sua portata. Non si tratta di equiparare
il diritto vivente alla legge, quanto, piuttosto, di  riconoscere  al
primo un ruolo, una finzione  che  interferisce  con  la  ragionevole
prevedibilita' delle decisioni future» (Cassazione S.U. n.  8052  del
26 ottobre 2023). 
    Del resto, la stessa Corte europea dei diritti dell'uomo -  nella
sentenza ... c. Italia del 14 aprile 2015 - faceva riferimento ad  un
concetto di prevedibilita' oggettiva, vale a dire non  ancorata  alle
caratteristiche personali e professionali del singolo agente,  bensi'
all'esistenza oggettiva di contrasti o poca chiarezza in merito  alla
portata applicativa della disposizione penale. 
    La valutazione sull'accessibilita' e prevedibilita' dell'art.  11
della  legge  n.  146\2006  passa  inevitabilmente  dall'analisi  del
concetto di sentenza «condanna»  e  sulla  sua  sovrapponibilita'  (o
meno) alla sentenza di applicazione pena  su  richiesta  delle  parti
(non contemplata testualmente). 
    In passato, l'art. 444 del codice di procedura penale sanciva  un
generale principio di equiparazione della  sentenza  di  applicazione
pena alla sentenza di condanna, ad eccezione  di  quelle  conseguenze
espressamente  escluse  dal  legislatore  (ad  esempio,  se  la  pena
irrogata non supera i due anni, non comporta il pagamento delle spese
processuali, ne' l'applicazione di pene accessorie  o  di  misure  di
sicurezza ad eccezione della confisca ex art. 240 del codice penale). 
    Tale argomento era valorizzato sia dal giudice di I° grado  (pag.
41, laddove affermava che l'accordo comporta l'applicazione di  tutte
le conseguenze penali della sentenza di  condanna  non  espressamente
escluse), sia dalla Corte di Cassazione n. 16100 del 27 febbraio 2019
- che determinava il passaggio in  giudicato  nel  presente  processo
(pag.  16,  laddove  precisava  che,  in   tema   di   confisca,   la
discrezionalita' del  giudice  si  ri-espande  come  in  una  normale
sentenza di condanna, non essendo questa parte dell'accordo). 
    Gia' oggi l'affermazione della Corte di  Cassazione  non  sarebbe
piu' sostenibile: con il decreto legislativo  n.  150\2022  e'  stato
modificato l'art. 444, comma  1,  del  codice  di  procedura  penale,
consentendo all'imputato  ed  al  pubblico  ministero  di  accordarsi
(ferma  la  successiva  ratifica  del  giudice)  anche   sulle   pene
accessorie, sulla loro durata ed altresi' sulla confisca facoltativa. 
    E' vero che la Corte costituzionale, nella sentenza  n.  336\2009
(richiamata anche dalla Corte di Cassazione n. 16100 del 27  febbraio
2019), affermava la piena equiparazione tra i due tipi  di  sentenza,
ma tale sovrapposizione era relativa ai  rapporti  fra  giurisdizioni
diverse  e  connessa  alla  necessita'  di  evitare   contrasti   tra
giudicati. 
    Non si avventurava ad equiparare i due tipi  di  accertamento  di
responsabilita' penale sottesi all'inflizione della pena. 
    Del resto, quanto alla natura dell'accordo di  cui  all'art.  444
del codice di procedura penale, deve riconoscersi non  il  valore  di
ammissione di responsabilita'  (tesi  minoritaria),  bensi'  la  mera
scelta dell'imputato di rinunciare a difendersi (tesi maggioritaria). 
    Tale  impostazione,  in  aggiunta,  parrebbe   confermata   dalle
modifiche introdotte con la c.d. riforma Cartabia all'art. 445, comma
1-bis, del codice di procedura penale -  riforma  che  ha  introdotto
ipotesi espresse di inefficacia della sentenza ex art. 444 del codice
di procedura penale in altri giudizi (compresi  quelli  disciplinari,
ai quali ineriva la sentenza n. 336\2009 della Corte  costituzionale,
appena citata). 
    Oltretutto, testualmente, l'art. 445,  comma  1,  del  codice  di
procedura penale richiama in maniera espressa  solo  la  confisca  ex
art. 240 del codice penale - quindi diretta, sia essa  facoltativa  o
obbligatoria - non anche equivalente. 
    E, a ben vedere, quando il legislatore ha inteso  far  discendere
l'applicazione della confisca per equivalente a fronte di sentenze di
applicazione pena, lo ha  chiaramente  positivizzato  nelle  relative
disposizioni di legge. 
    Anche tale osservazione, sembrerebbe  condurre  alla  conclusione
della  diversa  natura  tra  sentenza  di  condanna  e  sentenza   di
applicazione pena. 
    Vi sono pero' altre argomentazioni idonee  a  confutare  la  tesi
sopra esposta. 
    In primo luogo, proprio la relazione  del  Massimario  alla  c.d.
riforma Cartabia: «dalla formulazione  della  norma  contenuta  nella
prima parte dell'art 445, comma 1-bis, del codice di procedura penale
sembrano esclusi i procedimenti penali. Ne dovrebbe discendere che il
divieto di utilizzabilita', anche a fini probatori, della sentenza di
patteggiamento, sia limitata ai giudizi diversi da quello  penale.  A
mero  titolo  di  esempio,   si   segnalano   il   caso   del   reato
plurisoggettivo  rispetto  al  quale  solo  alcuni  imputati  abbiano
patteggiato o di reati connessi probatoriamente.  In  tal  senso,  va
ricordato il  costante  orientamento  secondo  cui  «la  sentenza  di
patteggiamento puo' essere  utilizzata  a  fini  probatori  in  altro
procedimento  penale,  ai  sensi  dell'art.  238-bis  del  codice  di
procedura penale, stante la  sua  equiparazione  legislativa  ad  una
sentenza di condanna, quanto al "fatto" ed alla sua  attribuibilita'»
(fra le molte Sez. 5, n. 12344 del 5 dicembre 2017, dep. 2018,  ...).
Essendo  rimasta  sostanzialmente   immutata   l'affermazione   della
equiparazione della sentenza di patteggiamento  ad  una  sentenza  di
condanna, salvo quanto previsto  dal  primo  e  dal  secondo  periodo
dell'art. 445, comma 1-bis, del  codice  di  procedura  penale  o  da
diverse disposizioni di legge, non vi e' motivo per  ritenere  venuto
meno il predetto orientamento della giurisprudenza  di  legittimita'.
Per il resto, la norma in esame si segnala per la sua novita'  e  per
la  portata  effettivamente  innovativa  rispetto   ad   orientamenti
giurisprudenziali consolidati che in  materia  civile,  tributaria  e
disciplinare prevedevano la piena utilizzabilita'  a  fini  di  prova
della sentenza di patteggiamento» (pag. 111 della relazione). 
    A questo si aggiunga che, anche a voler negare la natura  propria
di sentenza di condanna, la pronuncia  ex  art.  444  del  codice  di
procedura penale determina l'inflizione di una pena e  presuppone  un
difetto di convincimento  in  ordine  all'innocenza  dell'imputato  o
all'esistenza di  una  causa  di  estinzione  del  reato.  Di  fatto,
capovolgendo la valutazione che sta alla base dell'art. 530, comma 2,
del codice di procedura penale. 
    Anche il fatto  che  il  giudice  sia  tenuto  ad  effettuare  la
verifica sulla correttezza della qualificazione giuridica ascritta al
fatto, presuppone un accertamento: questo consiste  nel  valutare  la
riconducibilita' del fatto concreto -  per  come  emerge  dagli  atti
trasmessi  -  rispetto  alla  fattispecie  astratta  contestata;   in
sostanza, la pronuncia ex art. 444 del codice di procedura penale, se
accolta la richiesta delle parti, presuppone un accertamento concreto
del fatto nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, al pari di  un
eventuale rigetto dell'accordo ex art. 444 del  codice  di  procedura
penale (in questo caso  esteso  anche  alla  possibile  inadeguatezza
della pena concordata). A ben vedere su tale presupposto,  si  basano
le pronunce della Corte costituzionale in  tema  di  incompatibilita'
(«non la mera conoscenza degli atti, ma  una  valutazione  di  merito
circa l'idoneita'  delle  risultanze  delle  indagini  preliminari  a
fondare un giudizio di responsabilita' dell'imputato, vale a radicare
l'incompatibilita'; e che questa deve riconoscersi sussistente  nelle
ipotesi (non di inammissibilita', ma) di rigetto della  richiesta  di
applicazione di pena concordata, dato che essa comporta, quanto meno,
una  valutazione  negativa   circa   l'esistenza   delle   condizioni
legittimanti il proscioglimento ex art. 129 del codice  di  procedura
penale  e  circa  la  congruenza  alle  suddette   risultanze   della
qualificazione giuridica del fatto  e/o  delle  circostanze  ritenute
nella richiesta» - n. 186 del 22 aprile 1992; conf.  n.  439  del  16
dicembre 1993). 
    E'  chiaro  che,  a  fronte,  di  fattispecie  che  espressamente
prevedono l'applicazione della confisca per equivalente  in  presenza
di  una  sentenza  di  applicazione  pena,  diviene  pero'  complesso
sostenere che l'equiparazione genericamente sancita dall'art. 444 del
codice di procedura  penale  possa  automaticamente  riespandersi  in
tutte quelle ipotesi di confisca di valore in cui - seppur  prevista,
come nell'art. 11 della legge n. 146\2006 - sia positivizzata solo  a
fronte di una sentenza di condanna. 
    Dunque il caos legislativo, non puo' aiutare l'interprete. 
    A cio' si aggiunga che, anche la giurisprudenza di legittimita' e
quella internazionale,  attualmente  forniscono  una  definizione  di
«condanna» che  mal  consente  la  piena  equiparazione  tra  le  due
ipotesi. 
    Con la sentenza del 29 ottobre 2013 (...  c.  Italia),  la  Corte
europea dei diritti  dell'uomo  affermava,  per  la  prima  volta  in
maniera  esplicita,  che  e'  la  «condanna»   il   presupposto   per
l'applicabilita'  della  confisca   urbanistica   e   non   il   mero
accertamento incidentale di responsabilita'. 
    Ogni volta in cui manchi  la  prima,  concludendosi  il  giudizio
penale  con   la   declaratoria   di   estinzione   per   intervenuta
prescrizione, difetterebbero i presupposti per  l'applicazione  della
misura (1) . 
    La giurisprudenza di legittimita', ponendosi  il  problema  della
compatibilita' di tale principio con altri di  rango  costituzionale,
interpellava il giudice delle leggi. 
    Con  sentenza  n.  49\2015,  nel  dichiarare   inammissibili   le
questioni  poste,  la  Corte  costituzionale  evidenziava   come   la
«sentenza ...» non  fosse  inequivoca,  prestandosi  ad  una  lettura
orientata ad un approccio sostanziale:  il  mero  accertamento  della
responsabilita'. 
    Tale pronuncia prestava il fianco a critiche:  la  dottrina  piu'
illuminata rappresentava la difficolta'  di  conciliare  l'essenziale
accertamento di responsabilita' con l'obbligo  legale  di  dichiarare
l'estinzione del reato, in ogni stato e grado del  processo  ex  art.
129 del codice di procedura penale, con effetto  preclusivo  di  ogni
ulteriore attivita' processuale (art. 129  del  codice  di  procedura
penale  richiamato  peraltro  anche  dall'art.  444  del  codice   di
procedura penale). 
    In proposito, si fa di nuovo riferimento alla sentenza  n.  31617
del 26 giugno 2015 ..., nella quale le Sezioni Unite della  Corte  di
Cassazione precisavano che: 
        laddove si tratti di confisca diretta  -  del  prezzo  o  del
profitto - la misura di sicurezza  puo'  essere  applicata  anche  in
presenza di sentenza dichiarativa della prescrizione, purche' vi  sia
stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto  alla  quale  il
giudizio di merito permanga inalterato quanto  alla  sussistenza  del
reato, alla responsabilita' dell'imputato ed alla qualificazione  del
bene da confiscare come profitto o prezzo del reato. 
    Infatti,  «l'accertamento  della  responsabilita'  deve  comunque
confluire in una pronuncia che, non solo  sostanzialmente,  ma  anche
formalmente, la dichiari, con  la  conseguenza  che  l'esistenza  del
reato, la circostanza che l'autore dello stesso abbia  percepito  una
somma e che questa abbia rappresentato il prezzo  del  reato  stesso,
devono aver formato oggetto di una condanna, i cui termini essenziali
non abbiano, nel corso del giudizio,  subito  mutazioni  quanto  alla
sussistenza di un accertamento al di la' di ogni ragionevole  dubbio.
L'intervento della prescrizione,  dunque,  per  poter  consentire  il
mantenimento della confisca, deve rivelarsi quale formula terminativa
del giudizio, anodina in punto di  responsabilita',  finendo  in  tal
modo per confermare  la  preesistente  (e  necessaria)  pronuncia  di
condanna» (pagine 31 e 32); 
        analogo ragionamento non puo' operare  per  la  confisca  per
equivalente posto che, in questa, l'ablazione colpisce beni  che  non
presentano alcun collegamento con il reato. E, vista  la  sua  natura
sanzionatoria \ punitiva,  in  presenza  di  prescrizione,  non  puo'
applicarsi una «pena» (pag. 34, sentenza «...»). 
    In sostanza, le Sezioni Unite affermavano che - in quanto pena  -
la confisca per equivalente dovesse avere come presupposto necessario
ed irrinunciabile l'accertamento formale della responsabilita' penale
del reo. 
    In questo senso anche Cassazione penale, Sez. 3, n. 32469 del  1°
giugno 2023: «3.1. La giurisprudenza della Corte europea dei  diritti
dell'uomo richiede, come  condizione  necessaria  per  l'applicazione
della confisca relativa al reato di lottizzazione  abusiva,  non  una
sentenza  di  condanna,  anche   solo   in   primo   grado,   bensi',
diversamente, un accertamento completo ed  in  contraddittorio  della
sussistenza di "tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva
pur pervenendo a un non luogo a procedere,  soltanto  a  causa  della
prescrizione [...] In particolare,  per  quanto  attiene  al  profilo
"procedurale", precise sono le indicazioni fornite da Corte EDU,  GC,
28 giugno 2018, ... s.r.l. ed altri c. Italia,  segnatamente  nei  §§
252, 255, 258,  259,  260  e  261,  relativi  alle  doglianze  di  un
ricorrente, il sig. Gironda, nei cui confronti era  stata  dichiarata
sentenza di non doversi procedere  per  prescrizione  gia'  in  primo
grado [...] E, nel § 261, si conclude: «La Corte  non  puo'  ignorare
tali considerazioni nell'applicazione dell'art. 7 nel caso di specie,
a condizione che i tribunali in questione  abbiano  agito  nel  pieno
rispetto  dei  diritti  della  difesa  sanciti  dall'art.   6   della
Convenzione. Per questo motivo,  la  Corte  ritiene  che,  qualora  i
tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi  del
reato di lottizzazione abusiva  pur  pervenendo  a  un  non  luogo  a
procedere, soltanto a causa della prescrizione,  tali  constatazioni,
in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell'art. 7, che in
questo caso non e' violato». 
    Pare, dunque, affermarsi il principio per il quale  sia  comunque
necessario un accertamento pieno della sussistenza del reato e  della
riconducibilita' all'autore - indipendentemente che  il  decorso  del
tempo porti ad  una  pronuncia  di  estinzione  per  prescrizione  in
appello o nel giudizio di legittimita'. 
    Ancora,  la  Corte  costituzionale,  con  sentenza  n.   83\2024,
affermava:  «5.2.-  Che  il  patteggiamento  consenta,  in  linea  di
principio, una economia  di  tempi  e  di  energie  processuali  piu'
marcata di quella conseguente  al  giudizio  abbreviato  non  e',  in
effetti, contestabile. Di la'  dal  tratto  comune,  di  essere  riti
alternativi  che  "evitano"  il   dibattimento,   il   patteggiamento
semplifica, pero', radicalmente, il dibattito processuale, rimettendo
al giudice il solo compito di verificare che non  sussistano  ragioni
di proscioglimento dell'imputato gia' risultanti  ex  actis,  che  la
qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la  comparazione
delle circostanze prospettate dalle parti siano  corrette  e  che  la
pena richiesta  sia  congrua  (art.  444,  comma  2,  del  codice  di
procedura penale). Laddove,  per  converso,  il  giudizio  abbreviato
lascia inalterato il  potere-dovere  del  giudice  di  accertare  nei
termini ordinari - sia pure sulla base degli  elementi  raccolti  dal
pubblico ministero nel corso  delle  indagini,  e  dunque  fuori  del
contradditorio (peraltro,  eventualmente  arricchiti  dalle  indagini
difensive) - se l'imputato sia colpevole o no  e  di  determinare  il
trattamento sanzionatorio  adeguato  [...  ]  Come  questa  Corte  ha
rilevato, il patteggiamento consente all'imputato di sottoporsi a una
pena  certa,  preventivamente  concordata,  non  potendo  il  giudice
modificare i contenuti del "patto" intercorso fra le parti: pena  che
gli verra' inflitta - in applicazione di una  particolare  regola  di
giudizio  (l'insussistenza  dei  presupposti  per  una  pronuncia  di
proscioglimento ai sensi dell'art 129 del codice di procedura penale)
- con una sentenza che  e'  solo  "equiparata"  a  una  pronuncia  di
condanna e che resta priva di efficacia nei giudizi extrapenali  (art
445, comma 1-bis, del codice di procedura penale). Per contro, con il
giudizio abbreviato, l'imputato, accettando di essere giudicato sulla
base degli atti, lascia inalterati  i  poteri  decisori  del  giudice
[...] Il patteggiamento  offre  all'imputato,  al  tempo  stesso,  un
complesso di vantaggi ulteriori, rispetto allo sconto di pena,  privo
di  equivalenti  nel  giudizio  abbreviato.  Avendo   riguardo   alla
disciplina vigente  alla  data  dell'ordinanza  di  rimessione,  alla
sentenza di patteggiamento non e' attribuita,  come  gia'  accennato,
natura di vera e propria sentenza di condanna, venendo ad  essa  solo
"equiparata";  ne  e'  fortemente  limitata,  altresi',   l'efficacia
extrapenale (art. 445, comma 1-bis, del codice di procedura  penale).
La  richiesta  di  patteggiamento   puo'   essere,   d'altro   canto,
subordinata alla concessione  della  sospensione  condizionale  della
pena (art 444, comma 3, del codice di procedura penale); inoltre,  se
vi e' costituzione di parte  civile,  il  giudice  non  decide  sulla
relativa domanda (art. 444, comma 2, del codice di procedura penale).
Quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva, sola
o congiunta a pena pecuniaria - come generalmente avviene  quando  si
procede per contravvenzioni -, la sentenza non comporta  la  condanna
al pagamento delle spese del procedimento, ne' l'applicazione di pene
accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione per la  confisca
nei casi previsti dall'art. 240 del codice penale (art 445, comma  1,
del codice di procedura penale). In tale  ipotesi,  inoltre,  decorsi
cinque anni, se la sentenza riguarda  un  delitto,  o  due  anni,  se
riguarda una contravvenzione, senza che l'imputato abbia commesso  un
delitto o una  contravvenzione  della  stessa  indole,  il  reato  e'
estinto e viene meno ogni effetto penale. Se e' stata  applicata  una
pena pecuniaria o una pena sostitutiva, la pronuncia non e'  comunque
di  ostacolo  alla  concessione   di   una   successiva   sospensione
condizionale della pena (art. 445, comma 2, del codice  di  procedura
penale). L'insieme dei  vantaggi  annessi  al  patteggiamento  si  e'
ulteriormente arricchito,  come  gia'  segnalato,  con  l'entrata  in
vigore, dopo l'ordinanza di rimessione, del  decreto  legislativo  n.
150 del 2022, il quale, con l'art. 25, comma 1, lettera b), ha esteso
l'esclusione    dell'efficacia    extrapenale     della     sentenza,
precedentemente circoscritta  ai  giudizi  civili  e  amministrativi,
anche ai giudizi disciplinari,  tributari  e  di  accertamento  della
responsabilita' contabile, con la previsione, altresi', che  in  tali
giudizi  la  sentenza  di  patteggiamento  non  puo'  essere  neppure
utilizzata a fini di prova  (nuovo  comma  1-bis  dell'art.  445  del
codice di procedura penale). Si e' previsto, poi,  che  nel  caso  di
patteggiamento cosiddetto allargato - per pene, cioe',  superiori  ai
due anni - le parti possano chiedere al giudice di non  applicare  le
pene accessorie o di applicarle per una durata determinata, e di  non
ordinare la confisca facoltativa o di  ordinarla  con  riferimento  a
specifici beni o a un importo determinato (art.  444,  comma  1,  del
codice di procedura penale, come novellato)». 
    Il  giudice  delle  leggi  parrebbe  sostenere  che,  ben   lungi
dall'accertare compiutamente la responsabilita' penale,  la  sentenza
ex art. 444 del codice di procedura  penale  sia  solo  equiparata  a
quella  di  condanna  (in  dibattimento  o  all'esito   di   giudizio
abbreviato)  per  gli   eventuali   effetti   extra-penali   (laddove
consentiti dalla legge e, oggi, ampiamente ridotti dalla c.d. riforma
Cartabia). 
    Tale affermazione sembra  essere  sottesa  anche  alla  pronuncia
della Corte di Cassazione, Sez. 5,  n.  43631  del  5  ottobre  2023,
laddove afferma: «il Collegio ritiene di aderire  all'orientamento  -
accolto anche dalla sentenza  impugnata  e  senz'altro  maggioritario
nella giurisprudenza di legittimita' - secondo cui e' ammissibile  la
richiesta  di  revisione  di  una  sentenza  di  patteggiamento   per
inconciliabilita'  con  l'accertamento  compiuto  in   giudizio   nei
confronti  di  altro  imputato  per  il  quale   si   sia   proceduto
separatamente, ma e' necessario che l'inconciliabilita' si  riferisca
ai fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna e non gia'
alla loro valutazione [...]  e'  proprio  la  natura  ontologicamente
"debole" dell'accertamento  sotteso  alla  sentenza  di  applicazione
della pena a rendere piu' acuta  l'istanza  di  garanzia  assecondata
dalla revisione, sicche' dato normativo e considerazione  sistematica
convergono  nel  far   ritenere   la   sentenza   di   patteggiamento
suscettibile di revisione per inconciliabilita' dei giudicati». 
    Infine, la Corte europea dei diritti dell'uomo, con  la  sentenza
... e ... c. Italia resa in data 19  dicembre  2024,  affermava:  «la
Corte ribadisce  che  una  decisione  giudiziaria  puo'  rispecchiare
l'opinione che il ricorrente sia colpevole anche in  assenza  di  una
formale constatazione della colpevolezza; e' sufficiente che  vi  sia
qualche  ragionamento  che  indichi  che   il   tribunale   considera
l'imputato colpevole (si vedano Beihmer c. Germania, n.  37568/97,  §
54, 3 ottobre 2002; Baars c. Paesi  Bassi,  n.  44320/98,  §  26,  28
ottobre 2003; e Cleve, sopra citata, § 53) (par. 124)  [...]  A  tale
riguardo, la Corte e' consapevole del  crescente  ricorso  -  sia  ai
sensi dell'ordinamento giuridico interno che a livello internazionale
- a forme di confisca non basate su una condanna, in base alle  quali
i giudici possono essere chiamati a disporre la confisca di  beni  di
origine illecita anche in assenza di una condanna. A  tale  riguardo,
la Corte ritiene  che  la  protezione  offerta  dal  secondo  aspetto
dell'art.  6  §  2  non  dovrebbe  essere  interpretata  in  modo  da
precludere ai tribunali nazionali di  occuparsi  degli  stessi  fatti
decisi nei procedimenti penali al  fine  di  disporre  una  forma  di
confisca non basata su una  condanna,  purche'  nel  farlo  essi  non
attribuiscano all'interessato la  responsabilita'  penale  (si  veda,
mutatis mutandis, Nealon e Hallam, sopra citata, §  169)  (par.  129)
[...] La Corte osserva che  e'  un  requisito  formale  che  per  una
confisca ai sensi dell'art. 322-ter del codice  penale debba  esservi
una «condanna» (par. 131) [...] la Corte  ha  gia'  chiarito  di  non
distinguere i casi in cui le accuse sono  estinte  (perche'  si  sono
prescritte) precedentemente al compimento di qualsiasi determinazione
penale, da quelli in  cui  sono  estinte  (per  il  medesimo  motivo)
successivamente a un'iniziale constatazione della colpevolezza. Segue
che le conclusioni di primo  grado,  che  non  sono  definitive,  non
possono inficiare le successive determinazioni (si veda  Pasquini  c.
San Marino, sopra citata, § 63, in cui  -  analogamente  al  caso  di
specie - il ricorrente era stato condannato in primo grado e la Corte
ha constatato la violazione dell'art. 6 § 2 in  quanto  la  Corte  di
appello, pur archiviando il procedimento per la scadenza del  termine
di prescrizione, aveva attribuito al  ricorrente  la  responsabilita'
penale) (par. 137)». 
    Quindi,  alla  fine  del  2024,  la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo sembrerebbe  essersi  orientata  sulla  necessita'  di  una
sentenza intesa in  senso  formale,  ritenendo  insufficiente  -  per
l'applicazione della confisca ex art.  322-ter  del codice  penale  -
l'accertamento  di  responsabilita'  effettuato  in   I°   grado   ed
implicitamente  confermato  dal  giudice  del  II°   grado   che   si
pronunciava per la prescrizione del reato, in quanto statuizioni  non
definitive. 
    Ebbene,  se  l'accertamento  non  definitivo  di  responsabilita'
penale e' stato ritenuto dalla Corte europea  dei  diritti  dell'uomo
insufficiente ad applicare una confisca che presuppone una condanna -
in un processo terminato con sentenza di  estinzione  del  reato  per
prescrizione - ci si chiede come un istituto a  natura  afflittiva  o
punitiva possa trovare applicazione in presenza di  una  sentenza  di
patteggiamento - il cui accertamento ha natura ontologicamente debole
- laddove non espressamente previsto dalla norma. 
    Cio' perche', come sopra anticipato, la sentenza ex art. 444  del
codice di procedura penale presuppone un difetto di convincimento  in
ordine  all'innocenza  dell'imputato   o   all'esistenza   di   cause
estintive. Di fatto, capovolgendo la valutazione che  sta  alla  base
dell'art. 530, comma 2, del codice di procedura penale 
    Ritiene, percio' questo giudice che le  due  sentenze  non  siano
equiparabili - quanto alla  natura,  al  genere  e  alla  profondita'
dell'accertamento di responsabilita' penale. 
        Se dunque e' vero, come sembra, che il rispetto dei requisiti
di accessibilita' e prevedibilita'  della  norma  e'  conseguente  al
grado di precisione, non solo del testo  di  legge,  ma  anche  della
stabilizzazione  dell'orientamento  ermeneutico  interno  che  quella
disposizione scolpisce nella sua portata, ex art. 7 CEDU; 
        Se e' vero, come sembra, che attualmente: 
          la natura di pena o meno della confisca per equivalente  e'
oggetto di diversita' di vedute tra piu' pronunce adottate nel  corso
degli anni dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; 
          e' in  discussione,  in  giurisprudenza,  la  natura  della
sentenza di patteggiamento e, di conseguenza, la sua equiparazione ad
una di condanna pronunciata all'esito del dibattimento o di  giudizio
abbreviato; 
          a livello normativo, vi sono disposizioni che espressamente
prevedono tale tipologia di confisca  a  seguito  di  condanna  e  di
sentenza   di   applicazione   pena   su   richiesta   delle    parti
(implicitamente ritenendole diverse)  ed  altre  disposizioni  (quale
quella oggetto della presente ordinanza) che tacciono sul punto; 
          sulla   base   dei   successivi   interventi   legislativi,
l'equiparazione di cui all'art. 445 del codice di procedura penale  -
visti gli incisi che lo precedono - sembrerebbe limitata agli effetti
extra-penali  (e  tale  non  puo'   considerarsi   il   giudizio   di
colpevolezza), oltre al fatto che per talune  ipotesi  di  reato,  la
misura ablativa per equivalente e'  stata  espressamente  prevista  a
fronte di sentenza ex art. 444 del codice di procedura penale; 
          che in seguito alla modifica legislativa del 2022,  laddove
non siano applicate pene accessorie e' esclusa l'equiparazione tra le
due sentenze; 
        ecco che, allora, si puo' fondatamente ritenere che l'art. 11
legge n. 146\2006 non rispetti del tutto i canoni di accessibilita' e
prevedibilita', come declinati dall'art. 7 della Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali - interpretato dalla giurisprudenza della Corte  europea
dei diritti  dell'uomo  -  potendo  integrare  una  violazione  degli
articoli 25 e 117 della Costituzione. 
    Questo giudice reputa la questione non manifestamente infondata. 
La rilevanza della questione nel caso concreto. 
6. I beni sottoposti a confisca definitiva. 
    Con l'istanza, M... F... chiedeva la restituzione degli  immobili
ivi indicati e dei saldi attivi rinvenuti sui conti  correnti  accesi
presso le banche ... e ..., per un importo complessivo parti ad  euro
... 
    Per quanto concerne i beni immobili, e' evidente che non sussista
alcun collegamento diretto con il reato. Proprio leggendo il capo  b)
dell'imputazione, emergeva il ruolo di collettore di  M...  F...,  ma
non altro, ne' che l'attivita' illecita fosse  compiuta  in  uno  dei
luoghi di  cui  alla  confisca.  Ma  non  solo:  nella  sentenza  di'
patteggiamento, il G.U.P. non faceva alcun  riferimento  a  forme  di
confisca diretta, disponendo solo la confisca del profitto - indicato
con precisi  importi  a  seconda  del  valore  delle  transazioni  di
riferimento - e per equivalente «sui beni gia'  in  sequestro».  Cio'
porta a ritenere che, per giudicato, la  confisca  degli  stessi  sia
stata ritenuta e definita per equivalente. Ne' consegue che,  ove  la
questione di legittimita' costituzionale fosse accolta, gli  immobili
dovrebbero essere restituito a M... F.... 
    Per quanto concerne le somme di cui  all'istanza,  prima  del  26
settembre 2024 la giurisprudenza  -  anche  a  Sezioni  Unite  -  era
consolidata nel senso di ritenere la confisca  del  denaro  sempre  e
comunque diretta. Dopo  la  pronuncia  della  Sezioni  Unite  del  26
settembre 2024 cosi' non  e'  piu':  il  mutamento  di  orientamento,
ancorche' recente e per il momento isolato, e' radicale ed a  sezioni
unite. 
    Ne' nella sentenza, ne' dagli atti e' espressamente  indicato  il
nesso di derivazione diretto delle somme  (prima  sequestrate  e  poi
confiscate  in  via  definitiva)  rispetto  alla  commissione   delle
specifiche transazioni illecite. 
    Anche in questo caso, salvo che  la  giurisprudenza  si  pronunci
diversamente e in linea con il precedente orientamento  e  salvo  che
sul punto voglia pronunciarsi la Corte costituzionale,  la  questione
si pone come rilevante: se all'esito di un'attenta rilettura di tutti
gli atti di indagine non risultasse un collegamento  diretto  tra  le
somme ed i reati, le stesse dovranno essere restituite. 
    In aggiunta si ricorda che  «in  conformita'  a  quanto  previsto
dall'art. 53 CEDU, il rispetto degli obblighi convenzionali,  imposto
dall'art 117, comma 1, della Costituzione, non puo'  determinare  una
minore tutela dei diritti fondamentali rispetto  a  quella  garantita
dall'ordinamento  interno,  ma  deve  costituire  uno  strumento   di
ampliamento della stessa. Il confronto  tra  tutela  convenzionale  e
tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato
mirando  alla  massima  espansione  delle  garanzie  e  quindi  anche
operando   il   necessario   bilanciamento   con   altri    interessi
costituzionalmente   protetti   che    potrebbero    essere    incisi
dall'espansione   della   tutela   oggetto   di   confronto»   (Corte
costituzionale n. 317\2009). 

(1) Di seguito si riportano alcuni dei passaggi  piu'  significativi:
    «55.  La  nozione  di  "diritto"  ("law")   usata   nell'art.   7
    corrisponde a quella di "legge"  che  figura  in  altri  articoli
    della  Convenzione;  essa  comprende  il  diritto  d'origine  sia
    legislativa sia  giurisprudenziale  e  implica  delle  condizioni
    qualitative,  tra  cui   quella   dell'accessibilita'   e   della
    prevedibilita' (Cantoni c.  Francia,  15  novembre  1996,  §  29,
    Recueil des arrets et des decisions 1996 V; S.W, sopra citata,  §
    35; Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, §§ 40-42,  serie  A  n.
    260 A). Per quanto chiara possa essere  la  formulazione  di  una
    norma legale, in qualunque sistema giuridico, compreso il diritto
    penale, esiste immancabilmente  un  elemento  di  interpretazione
    giuridica. Sara' sempre necessario delucidare  i  punti  dubbi  e
    adattarsi alle mutate  situazioni.  Tra  l'altro,  e'  saldamente
    stabilito nella  tradizione  giuridica  degli  Stati  parte  alla
    Convenzione che la giurisprudenza, in quanto fonte  del  diritto,
    contribuisce  necessariamente  alla  progressiva  evoluzione  del
    diritto  penale.  Non  si  puo'  interpretare  l'art.   7   della
    Convenzione come una norma  che  vieta  il  graduale  chiarimento
    delle   norme    della    responsabilita'    penale    attraverso
    l'interpretazione giuridica da una causa all'altra, a  condizione
    che il risultato  sia  coerente  con  la  sostanza  del  reato  e
    ragionevolmente  prevedibile  (Streletz,  Kessler  e   Krenz   c.
    Germania  [GC],  nn.  34044/96,  35532/97  e  44801/98,   §   50,
    Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e
    delle  liberta'  fondamentali  2001   II).   69.   L'accostamento
    dell'art. 5 § 1 a) agli articoli 6 § 2 e 7 § 1 mostra che ai fini
    della Convenzione non si puo'  avere  «condanna»  senza  che  sia
    legalmente accertato  un  illecito  -  penale  o,  eventualmente,
    disciplinare (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, §  68,
    serie A n. 22; ... c. Italia, 6 novembre 1980, § 100, serie A  n.
    39), cosi' come non si puo' avere una pena  senza  l'accertamento
    di una responsabilita' personale. 71. La logica  della  «pena»  e
    della «punizione», e  la  nozione  di  «guilty»  (nella  versione
    inglese) e  la  corrispondente  nozione  di  «persona  colpevole»
    (nella   versione    francese),    depongono    a    favore    di
    un'interpretazione  dell'art.  7  che  esige,  per  punire,   una
    dichiarazione di responsabilita' da parte dei giudici  nazionali,
    che possa permettere di addebitare il reato  e  di  comminare  la
    pena al suo autore. In mancanza di cio', la punizione non avrebbe
    senso (...  e  altri,  sopra  citata,  §  116).  Sarebbe  infatti
    incoerente esigere, da una parte, una base legale  accessibile  e
    prevedibile e permettere, dall'altra, una punizione quando,  come
    nel  caso  di  specie,  la  persona  interessata  non  e'   stata
    condannata». 

 
                               P.Q.M. 
 
    Pertanto, il G.U.P. presso il Tribunale di Arezzo -  in  funzione
di giudice dell'esecuzione - solleva, in  riferimento  agli  articoli
25, comma 2 e comma  3,  e  117,  comma  1,  della  Costituzione,  in
relazione all'art. 7 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali come interpretato
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 11 della legge n. 146\2006, nella  parte  in
cui dispone l'applicazione della confisca di somme di denaro, beni  o
altre utilita'  di  cui  il  reo  ha  la  disponibilita',  anche  per
interposta persona fisica o giuridica, per un  valore  corrispondente
al prodotto, profitto o prezzo del reato con la sentenza di  condanna
e non anche con sentenza di  applicazione  pena  su  richiesta  delle
parti ex art. 444 e seguenti del codice di procedura penale. 
    Per  l'effetto,  sospende  il  giudizio  in   corso   e   dispone
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale a  cura
della cancelleria. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  a  cura  della
cancelleria: 
        a M... F... presso il difensore di fiducia; 
        al difensore di fiducia in proprio; 
        al pubblico ministero in sede (dott. Marco Dioni); 
        al Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Oltre alla comunicazione, a cura della cancelleria, ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
        Arezzo, 29 aprile 2025. 
 
                         Il giudice: Soldini