Reg. ord. n. 146 del 2025 pubbl. su G.U. del 27/08/2025 n. 35
Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio del 13/05/2025
Tra: Iberdrola Renovables Italia spa C/ Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri
Oggetto:
Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Norme della Regione autonoma Sardegna – Disposizioni per l'individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) – Previsione che si applica a tutto il territorio della Regione, ivi comprese le aree e le superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi – Previsione che è vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non idonee come individuate dagli allegati A, B, C, D, E e dai commi 9 e 11 dell'art. 1 della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20 – Previsione che tale divieto si applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, è in corso al momento dell'entrata in vigore della medesima legge regionale – Previsione che non può essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell'entrata in vigore della legge regionale n. 20 del 2024, risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l'attuazione – Previsione che i provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque denominati già emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee, sono privi di efficacia – Previsione che sono fatti salvi i provvedimenti aventi ad oggetto impianti che hanno già comportato una modificazione irreversibile dello stato dei luoghi – Previsione che, qualora un progetto di impianto ricada su un areale ricompreso sia nelle aree definite idonee sia nelle aree definite non idonee, prevale il criterio di non idoneità – Interventi di rifacimento, integrale ricostruzione, potenziamento relativi ad impianti realizzati in data antecedente all'entrata in vigore della presente legge e in esercizio, nelle aree non idonee – Previsione che sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonché, nel caso di impianti eolici, un aumento dell'altezza totale dell'impianto, intesa come la somma delle altezze dei singoli aerogeneratori del relativo impianto, fermo restando quanto previsto dal secondo periodo del comma 6 dell'art. 1 della legge regionale n. 20 del 2024, ivi compreso il rispetto dell'art. 109 delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale – Raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e di contenimento dei costi energetici nel rispetto delle peculiarità storico-culturali, paesaggistico-ambientali e delle produzioni agricole – Previsione che i comuni hanno facoltà di proporre un'istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all'interno di un'area individuata come non idonea, finalizzata al raggiungimento di un'intesa con la Regione – Previsione che qualora l'istanza abbia ad oggetto un impianto FER ricadente in un'area mineraria dismessa di proprietà regionale o di enti interamente controllati dalla Regione, l'area medesima è trasferita in proprietà ai comuni che ne facciano richiesta ai sensi della legge regionale n. 35 del 1995 – Denunciate disposizioni che contrastano con i principi stabiliti dalla legge statale di riferimento e con le norme fondamentali di riforma economico–sociale che, per espressa previsione statutaria, si impongono anche alle Regioni ad autonomia speciale – Violazione dei principi fondamentali posti dallo stato nella materia di legislazione concorrente della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, applicabili in virtù della c.d. clausola di adeguamento automatico di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – Previsione di un divieto di realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree individuate dalla normativa regionale come non idonee, che confligge con la normativa interposta nonché con il principio di massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili, come dedotto dalla disciplina europea di riferimento – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Incidenza della normativa regionale sul raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione fissati a livello europeo – Contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario – Violazione del principio di proporzionalità, per mancato bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti che comporta il sacrificio di uno di essi in misura eccessiva – Incondizionato sacrificio del principio dello sviluppo sostenibile, lesivo della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi – Lesione del principio di ragionevolezza – Normativa regionale che ha imposto l’indiscriminata applicazione del nuovo regime a tutti gli operatori – Violazione dei principi di uguaglianza, certezza del diritto, del legittimo affidamento nonché del diritto di libertà di iniziativa economica – Lesione dei principi di imparzialità e buon andamento atteso l’impatto della suddetta normativa su procedimenti già definiti che osta a qualsiasi possibilità di realizzare in sede amministrativa l’opportuno bilanciamento degli interessi in gioco – Previsione che consente ai comuni interessati di proporre un’istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all’interno d un’area individuata come non idonea, dando luogo a una conferenza in conferenza di servizi nella quale è prevista l’unanimità ai fini della realizzazione dell’intervento e l’inapplicabilità del silenzio-assenso – Legge regionale che, recando un livello inferiore di tutela rispetto a quello garantito dalla legge statale, viola la competenza legislativa statale esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali – Istituzione di un procedimento diverso anche in aree soggette a tutela culturale o paesaggistica per le quali la normativa statale fissa un procedimento apposito da parte dell’apposita sopraintendenza – Lesione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali .
- Legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20, artt. 1, commi, 2, 5, 7, 8; 3, e Allegati A, B, C, D e E.
-Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; Statuto speciale per la Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, artt. 3, 4, [recte: lett. e)]; direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento e del Consiglio dell'11 dicembre 2018; direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023; regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018; regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 giugno 2021; Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), art. 11; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), art. 37; decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, art. 20, commi 1 e 7; decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 21 e 146; legge 8 agosto 1990, n. 241, art. 29, commi 2-ter e 2-quater; decreto del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica 21 giugno 2024.
Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Modifiche al decreto legislativo n. 199 del 2021 – Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo – Previsione che l'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c), incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 - Previsione che il primo periodo del comma 1-bis dell’art. 20 di tale decreto legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR – Previsione che l’art. 20, comma 1-bis primo periodo del decreto legislativo, n. 199 del 2021, introdotto dal comma 1 dell’art. 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, come convertito, non si applica ai progetti per i quali, alla relativa data di entrata in vigore, sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi – Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Denunciato divieto il cui impatto è del tutto incerto e si risolve in un severo limite all’individuazione delle zone disponibili per l’installazione degli impianti – Disciplina che, prevedendo il divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, confligge con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e in particolare con il principio di massima diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, come declinato dalla normativa europea – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Introduzione di un divieto che si inserisce nel complesso delle previsioni dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 quale corpo estraneo, dato che le relative previsioni non risultano coordinate con il resto dell’articolato – Norma che non istituisce nessuna forma di bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo una prevalenza dell’interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni agricoli, senza considerare una loro possibile utilizzabilità finanche a fini agricoli – Conflitto con l’obiettivo del decreto succitato di promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili – Violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza – Assenza di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo costituzionale, che contrasta con la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.
- Decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63, convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n. 101, art. 5, commi 1 e 2; decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, art. 2, comma 2, primo periodo.
- Costituzione, artt. 3, 9, 11 e 117, primo comma; direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento e del Consiglio dell'11 dicembre 2018; direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023; regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018; regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 giugno 2021.
Norme impugnate:
decreto-legge del 15/05/2024 Num. 63 Art. 5 Co. 1
legge del 12/07/2024 Num. 101
decreto legislativo del 25/11/2024 Num. 190 Art. 2 Co. 2
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 1 Co. 2
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 1 Co. 5
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 1 Co. 7
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 1 Co. 8
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 9 Co.
Costituzione Art. 11 Co.
Costituzione Art. 41 Co.
Costituzione Art. 97 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
Costituzione Art. 117 Co. 2
Costituzione Art. 117 Co. 2
Costituzione Art. 117 Co. 3
Statuto speciale per la Sardegna Art. 3 Co.
Statuto speciale per la Sardegna Art. 4 Co.
legge costituzionale Art. 10 Co.
legge Art. 29 Co. 2
legge Art. 29 Co. 2
decreto legislativo Art. 20 Co. 1
decreto legislativo Art. 20 Co. 7
decreto legislativo Art. 21 Co.
decreto legislativo Art. 146 Co.
decreto ministeriale Art. Co.
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea Art. 11 Co.
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea Art. 37 Co.
regolamento UE Art. Co.
regolamento UE Art. Co.
direttiva UE Art. Co.
direttiva UE Art. Co.
Testo dell'ordinanza
N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2025 Ordinanza del 13 maggio 2025 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Iberdrola Renovables Italia Spa e Elettricita' Futura - Unione delle imprese elettriche italiane contro il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri.. Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Norme della Regione autonoma Sardegna - Disposizioni per l'individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) - Previsione che si applica a tutto il territorio della Regione, ivi comprese le aree e le superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi - Previsione che e' vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non idonee come individuate dagli allegati A, B, C, D, E e dai commi 9 e 11 dell'art. 1 della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20 - Previsione che tale divieto si applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, e' in corso al momento dell'entrata in vigore della medesima legge regionale - Previsione che non puo' essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell'entrata in vigore della legge regionale n. 20 del 2024, risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l'attuazione - Previsione che i provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque denominati gia' emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee, sono privi di efficacia - Previsione che sono fatti salvi i provvedimenti aventi ad oggetto impianti che hanno gia' comportato una modificazione irreversibile dello stato dei luoghi - Previsione che, qualora un progetto di impianto ricada su un areale ricompreso, sia nelle aree definite idonee, sia nelle aree definite non idonee, prevale il criterio di non idoneita' - Interventi di rifacimento, integrale ricostruzione, potenziamento relativi ad impianti realizzati in data antecedente all'entrata in vigore della stessa legge e in esercizio, nelle aree non idonee - Previsione che sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonche', nel caso di impianti eolici, un aumento dell'altezza totale dell'impianto, intesa come la somma delle altezze dei singoli aerogeneratori del relativo impianto, fermo restando quanto previsto dal secondo periodo del comma 6 dell'art. 1 della legge regionale n. 20 del 2024, ivi compreso il rispetto dell'art. 109 delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale - Raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e di contenimento dei costi energetici nel rispetto delle peculiarita' storico-culturali, paesaggistico-ambientali e delle produzioni agricole - Previsione che i comuni hanno facolta' di proporre un'istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all'interno di un'area individuata come non idonea, finalizzata al raggiungimento di un'intesa con la Regione - Previsione che qualora l'istanza abbia ad oggetto un impianto FER ricadente in un'area mineraria dismessa di proprieta' regionale o di enti interamente controllati dalla Regione, l'area medesima e' trasferita in proprieta' ai comuni che ne facciano richiesta ai sensi della legge regionale n. 35 del 1995. - Legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20 (Misure urgenti per l'individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all'installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) e per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi) artt. 1, commi, 2, 5, 7, 8; 3 e Allegati A, B, C, D ed E. Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Modifiche al decreto legislativo n. 199 del 2021 - Disposizioni finalizzate a limitare l'uso del suolo agricolo - Previsione che l'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti gia' installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonche' le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 - Previsione che il primo periodo del comma 1-bis dell'art. 20 di tale decreto legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunita' energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto nonche' in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR - Previsione che l'art. 20, comma 1-bis, primo periodo, del decreto legislativo, n. 199 del 2021, introdotto dal comma 1 dell'art. 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, come convertito, non si applica ai progetti per i quali, alla relativa data di entrata in vigore, sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi - Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili - Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica utilita', indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021. - Decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 (Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura, nonche' per le imprese di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n. 101, art. 5, commi 1 e 2; decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190 (Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e 5, lettera b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118), art. 2, comma 2, primo periodo. (GU n. 35 del 27-08-2025) IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione Terza) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 8725 del 2024, proposto da Iberdrola Renovables Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Comande', Enzo Puccio, Serena Caradonna, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Cultura, Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Ministero dell'Agricoltura, della Sovranita' alimentare e delle Foreste, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; nei confronti della Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; della Regione Autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mattia Pani, Giovanni Parisi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; e con l'intervento di ad adiuvandum: Elettricita' Futura - Unione delle Imprese Elettriche Italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cristina Martorana, Andrea Sticchi Damiani, Pina Lombardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento degli articoli 1, 3 e 7 del decreto ministeriale 21 giugno 2024 recante «Disciplina per l'individuazione di superfici e aree idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili» adottato dal Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica di concerto con il Ministero della Cultura e il Ministero dell'Agricoltura, della Sovranita' Alimentare e delle Foreste e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale - n. 153 del 2 luglio 2024, nonche' i relativi allegati; di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale; visti il ricorso e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Cultura e di Regione Siciliana e di Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica e di Ministero dell'Agricoltura della Sovranita' Alimentare e delle Foreste e di Regione Autonoma della Sardegna; visti gli articoli 23, comma 3, legge 11 marzo 1953, n. 87, 79, comma 1, c.p.a., e 295 c.p.c.; Visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2025 il dott. Marco Savi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale. 1. La ricorrente fa parte del gruppo multinazionale Iberdrola, attivo nel campo della produzione di energia elettrica. 2. In Italia Iberdrola ha presentato diverse iniziative, tra le quali: «Piazza Armerina», Regione Siciliana, Agrivoltaico - non avanzato, potenza 65,67 MW; «Lentini 1», Regione Siciliana, Agrivoltaico in parte non avanzato, potenza 60 MW; «Uta Prangili», Regione Sardegna, Agrivoltaico -non avanzato, potenza 33,61 MW; «Benetutti Mercuria, Regione Sardegna, Agrivoltaico -non avanzato, potenza 37,02 MW; «Carbonia - Iglesias», Regione Sardegna, Eolico, potenza 66 MW; «Monreale», Regione Siciliana, Agrivoltaico - non avanzato, potenza 139,00 MW. 3. Con il presente ricorso Iberdrola sostiene che il decreto impugnato rechi previsioni idonee a pregiudicarne l'autorizzazione e ha sollevato a tale riguardo plurimi profili di violazione di legge ed eccesso di potere. Piu' in particolare, le censure possono cosi' essere riassunte: violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 3 del decreto legislativo n. 199/2021 e dell'art. 5, della legge n. 53/2021: il decreto impugnato avrebbe mancato di definire i criteri omogenei per l'individuazione delle aree idonee all'installazione di impianti FER, essendosi limitato a riprodurre principi di massima che, a ben vedere, sarebbero esattamente e testualmente quelli individuati dalla norma delegante (art. 20, comma 3, decreto legislativo n. 199/2021). Ne deriverebbe il conferimento alle regioni di una delega sostanzialmente in bianco, in contrasto con l'insegnamento della Corte Costituzionale, che avrebbe sempre rivendicato l'importanza della uniformita' della «materia energia» sul territorio nazionale (motivo I.1); violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1, del decreto legislativo n. 199/2021: il decreto, chiamato a «dettare i criteri per l'individuazione delle aree idonee all'installazione della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le modalita' per minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima porzione di suolo occupabile dai suddetti impianti per unita' di superficie, nonche' dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione di energia elettrica gia' installati e le superfici tecnicamente disponibili», si sarebbe limitato a prevedere la mera «possibilita'» di classificare le superfici o le aree come idonee differenziandole sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto, con indicazione generica e priva di indirizzi idonei a orientare l'esercizio della potesta' regionale (motivo I.2); violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 8, del decreto legislativo n. 199/2021: illegittimita' della previsione che assegna una mera «possibilita'» alle Regioni, in sede di emanazione delle leggi, di fare salve le aree idonee di cui all'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021. Tale norma si porrebbe in contrasto con il dato normativo ed equivarrebbe a consentire alle Regioni di non tener conto, in sede di normazione, delle aree idonee individuate al legislatore nazionale, rimettendosi alle Regioni la potesta' di prevedere che aree che, fino ad oggi, sono state indiscussamente idonee, ai sensi del comma 8, diventino «aree ordinarie» o addirittura «aree non idonee», con impatti in termini di affidamento degli investimenti ed incertezza del quadro giuridico di riferimento (motivo I.3); violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4 del decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003, delle linee guida e del principio della massima diffusione degli impianti FER: l'art. 20, comma 4, decreto legislativo n. 199/2021 prevedrebbe una competenza regionale, da esercitare mediante legge, unicamente per la disciplina delle aree idonee. Il decreto, invece, richiedendo alle regioni di individuare con legge anche le aree non idonee, si porrebbe in contrasto, oltre che con tale norma primaria, anche con l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003 e con le successive linee guida, che prevedono l'individuazione delle «aree non idonee» all'esito di un apposito procedimento amministrativo, operando un bilanciamento in concreto degli interessi strettamente aderenti alla specificita' dei luoghi, senza poter imporre in via legislativa vincoli generali non previsti dalla disciplina statale (motivo II.1); violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4 del decreto legislativo n. 199/2004, dell'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003, delle linee guida e del principio della massima diffusione degli impianti FER: nel definire le aree non idonee come aree «incompatibili con l'installazione di specifiche tipologie di impianti», il decreto introdurrebbe un vero e proprio divieto di installazione di impianti FER in dette aree, in contrasto con i principi dettati dalle linee guida, che pure vengono dalla disposizione in questione richiamati, in base alle quali L'individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve configurarsi come divieto preliminare» all'installazione degli impianti (motivo II.2); violazione e falsa applicazione dell'art. 20, commi 1, 7 e 8 del decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003, delle linee guida e del principio della massima diffusione degli impianti FER nonche' del decreto legislativo n. 42/2004 e dell'art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione: nel prevedere che «Sono considerate non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 10 e dell'art. 136, comma 1, lettere a) e b) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42», il decreto si porrebbe in contrasto con la normativa europea e nazionale, nonche' con quella prevista per i beni soggetti a tutela paesaggistica e culturale, introducendo un divieto esorbitante e del tutto irragionevole, in quanto di fatto inibirebbe in tutte le aree vincolate la realizzazione degli impianti, a prescindere da qualsiasi specifica valutazione in ordine alle effettive e concrete esigenze di tutela di ciascun bene vincolato e, correlativamente, da qualsiasi verifica in ordine alla sussistenza di una effettiva incompatibilita' dell'intervento con la tutela paesaggistica o culturale da assicurare. Del pari illegittima sarebbe la previsione secondo cui «Le regioni possono individuare come non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42», nonche' «stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino a un massimo di 7 chilometri», in quanto assegnerebbe poteri alle Regioni in contrasto con la competenza statale in materia di paesaggio e beni culturali, che impone uniformi livelli di tutela in tutto il territorio nazionale (motivo II.3); violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1, decreto legislativo n. 100/2021: nell'individuare, come aree in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, le aree agricole per le quali vige il divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a terra ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021, il decreto contravverrebbe alla delega, che non avrebbe contemplato la possibilita' di individuare aree «in cui e' vietata» la installazione di impianti fotovoltaici a terra, sicche' il decreto ministeriale non avrebbe potuto essere utilizzato per dare attuazione al citato comma 1-bis (motivo III.1)»; manifesta irragionevolezza - violazione della Direttiva 2009/28/CE, della Direttiva 2001/77/CE e della Direttiva 2018/2001/UE: la delega di cui all'art. 1, comma 2, lett. d) del decreto ministeriale impugnato sarebbe assolutamente irragionevole ed illegittima anche in ragione del fatto che, nel vietare la collocazione di impianti FTV a terra in aree agricole, non precisa che da tale divieto sono sottratti tutti gli impianti agrivoltaici. Invero, sia gli FTV con moduli a terra che gli agrivoltaici hanno in comune la collocazione sul suolo di moduli recanti pannelli fotovoltaici. Tuttavia, la giurisprudenza ne avrebbe evidenziato la differenza, in quanto nei primi la crescita della vegetazione puo' ostare con la produzione di energia e quindi e' oggetto di interventi volti a controllarla o impedirla, mentre, nel caso dell'agrivoltaico, l'impianto (sia avanzato che base) sarebbe strutturato in modo da consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola ovvero il pascolo degli animali, di talche' la superficie del terreno resta permeabile e quindi raggiungibile dal sole e dalla pioggia, dunque pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola. La previsione in esame, non operando alcuna distinzione in merito, introdurrebbe un divieto concreto, indiscriminato e generalizzato ad ogni tipo di impianto che usa tale tecnologia, inclusi gli agrivoltaici base o avanzati che siano (motivo III.2). 4. Per l'ipotesi in cui non sia possibile un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 20, comma 1-bis, decreto legislativo n. 199/2021, la ricorrente ha prospettato l'illegittimita' costituzionale della disposizione per i seguenti profili: violazione e falsa applicazione dell'art. 77, comma secondo, della Costituzione: dalla disamina del «Preambolo» al decreto-legge agricoltura si evincerebbe che l'iniziativa governativa da cui ha preso le mosse l'approvazione dell'art. 5, comma 1, del menzionato decreto-legge, che ha introdotto la norma contestata, e' stata motivata in ragione della ritenuta straordinaria necessita' e urgenza di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola. Tale presupposto, tuttavia, non sarebbe sussistente, in quanto nel territorio italiano la Superficie Agricola Totale (SAT) e' pari a 16 milioni di ettari, mentre la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) e' pari a 12,5 milioni di ettari. Inoltre, 4 milioni di ettari di terreni agricoli sono attualmente abbandonati. Al 2023 sono stati installati impianti pari a una potenza di 30,3 GW. Di questi, secondo il GSE, 9,2 GW sono impianti FTV a terra che utilizzano 16.400 ettari, che equivalgono solo allo 0,05% del territorio nazionale oppure allo 0,13% della SAU. Installare gli 84 GW di cui al Piano elettrico 2030/REPowerEU richiederebbe fino a 70.000 ettari - considerando l'ipotesi piu' estensiva secondo cui l'intero obiettivo fosse perseguito mediante l'utilizzo della sola tecnologia che utilizza pannelli fotovoltaici collocati a terra e senza considerare la quota installabile su edifici - che equivalgono allo 0,2% del territorio italiano ovvero allo 0,4% della SAT. Si tratterebbe di una porzione marginale di suoli agricoli anche se paragonata ai 4 milioni di ettari di terreni agricoli abbandonati e ai 12,5 milioni di ettari di SAU. Sarebbero stati, pertanto, in origine carenti i requisiti di necessita' e urgenza di cui all'art. 77 della Costituzione che avrebbero giustificato il ricorso allo strumento eccezionale della decretazione d'urgenza (motivo IV); violazione e falsa applicazione degli artt. 117, commi primo e terzo, della Costituzione, in relazione, rispettivamente, alla Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili e all'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (attuazione della Direttiva 2001/77/CE): la norma contestata, nel prevedere il divieto di installazione di nuovi impianti FTV con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l'estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e, in particolare, con l'obiettivo di garantire la massima diffusione degli impianti FER, perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla direttiva 2001/77/CE, nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della quale e' stato emanato il decreto legislativo n. 199/2021. Sotto altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i principi generali dettati in materia dallo stesso Legislatore statale, in attuazione delle direttive europee, e in particolare con l'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici», e con le linee guida del 2010, introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo le quali le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei e l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare porzioni significative del territorio. Per contro, una norma che introduce un divieto generalizzato a realizzare una tipologia di impianto FER su qualsiasi area agricola - a prescindere anche da una previa indagine in merito alle tecnologie utilizzate, alle specifiche qualita' del sito agricolo ovvero alle colture ivi condotte - si porrebbe in conflitto con i summenzionati principi fondamentali di cui all'art. 117, comma 1, della Costituzione ed all'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, attuativi di direttive dell'Unione europea e che riflettono anche impegni internazionali volti a favorire l'energia prodotta da fonti rinnovabili (motivo V); violazione e falsa applicazione dell'art. 9 della Costituzione - violazione e falsa applicazione dell'art. 15 della Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili - violazione del principio di proporzionalita' - violazione dell'art. 11 del TFUE-violazione dell'art. 41 della Costituzione: la scelta di introdurre un generale e indiscriminato divieto a realizzare impianti FTV con moduli a terra su aree urbanisticamente campite come «agricole» risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione delle fonti rinnovabili in modo da incidere sugli obiettivi di tutela dell'ambiente perseguiti. Sul punto, l'art. 15 della direttiva 2018/2001 prevede che «Gli Stati membri prendono in particolare le misure appropriate per assicurare che: b) le norme in materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze siano oggettive, trasparenti e proporzionate ...». La norma censurata sarebbe tutt'altro che una forma di esercizio "proporzionato» della potesta' legislativa. La norma, inoltre, violerebbe il principio di integrazione delle tutele riconosciuto, sia a livello europeo (art. 11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia pure con una formulazione ellittica che lo sottintende) - in virtu' del quale le esigenze di tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. Se il principio di proporzionalita' rappresenta il criterio alla stregua del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i due valori costituzionali all'interno di un quadro argomentativo razionale, il principio di integrazione costituisce la direttiva di metodo. La tutela dell'ambiente e del paesaggio (nello specifico dell'ambiente e del contesto agricolo) non potrebbero essere visti quali valori contrapposti rispetto alla diffusione delle fonti rinnovabili, sia sotto il profilo della tutela dell'ambiente che sotto quello della tutela dell'iniziativa economica privata. Lo stesso art. 9 della Costituzione sancisce che la tutela dei valori ambientali deve essere perseguita «anche nell'interesse delle future generazioni». Al contrario, la disposizione in esame muoverebbe dall'assunto di un aprioristico conflitto tra la conservazione delle aree agricole e la autorizzazione di impianti per la produzione di energia mediante collocazione di pannelli fotovoltaici a terra, come se le descritte finalita' non fossero tra loro contemperabili mediante la introduzione di parametri di valutazione idonei a stabilire, caso per caso, quando e dove consentire o meno la collocazione di impianti che utilizzano la tecnologia fotovoltaica a terra (inclusi gli agrivoltaici base o avanzati) in area agricola (motivo VI). 5. L'Associazione Elettricita' futura e' intervenuta ad adiuvandum, argomentando a sostegno delle censure formulate dalla parte ricorrente avverso il decreto ministeriale. 6. Si e' costituita la Regione Sardegna, rilevando in primo luogo la carenza di un interesse concreto e attuale alla base della doglianza circa la genericita' dei criteri di individuazione delle aree, non essendovi certezza che l'esercizio da parte delle regioni della suddetta delega porra' effettivamente «nel nulla» gli impianti per i quali la Societa' ha gia' avviato l'iter progettuale/realizzativo. 7. I parametri declinati dall'art. 7 del decreto, in ogni caso, non sarebbero affatto generici, ma soprattutto sarebbero funzionali perseguimento del vero obiettivo sotteso al medesimo decreto e al presupposto decreto legislativo N. 199/2021, ossia l'attuazione delle direttive dell'Unione Europea che impongono il raggiungimento da parte dell'Italia di una determinata soglia di produzione di energia da fonti rinnovabili. Ciascuna regione, infatti, si deve attenere alla «traiettoria di conseguimento dell'obiettivo di potenza complessiva da traguardare al 2030» (art. 2, comma 1, decreto ministeriale) di cui alla Tabella A del decreto ministeriale cosi' da garantire la primaria esigenza del rispetto degli obblighi eurounionali. Assicurato tale obiettivo, sarebbe piu' che legittimo che le stesse regioni dispongano di ampia autonomia nella mappatura delle aree idonee e non idonee, a tutela degli interessi pubblici afferenti, in particolare, alla tutela dell'ambiente e del paesaggio, all'utilizzo del territorio e all'agricoltura. 8. Infondata sarebbe anche la censura con la quale si sostiene che il decreto non dovrebbe occuparsi delle aree non idonee, in quanto il decreto legislativo n. 199/2021 prevede che con decreto ministeriale debbano essere «stabiliti principi e criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee». 9. Per cio' che attiene invece alla fonte con la quale le regioni opereranno tale «mappatura», il fatto che l'individuazione con legge e' prevista esplicitamente solo per le aree idonee (art. 20, comma 4, decreto legislativo n. 199/2021) non significherebbe necessariamente che con legge non possano essere identificate anche quelle non idonee. 10. In ordine invece all'asserita violazione da parte del decreto ministeriale del principio di massima diffusione degli impianti FER, il decreto definirebbe il percorso da seguire per il conseguimento dell'obiettivo imposto dall'Unione europea di produzione di energia da fonti rinnovabili. Risulterebbe, pertanto, correttamente bilanciata l'ulteriore, ma non recessiva, esigenza di tutela dei beni culturali e paesaggistici come enucleata dal comma 3 dell'art. 7 del decreto ministeriale, che fissa i criteri concernenti la non idoneita' proprio delle aree di interesse culturale e paesaggistico; cio' in linea con la delega concessa dall'art. 20, comma 3, del decreto legislativo n. 199/2021 (secondo il quale occorre tener conto anche delle esigenze di 6 tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e delle aree agricole e forestali). 11. Con memoria depositata il 30 dicembre 2024 la ricorrente ha evidenziato come la legge della Regione Autonoma della Sardegna n. 20/2024 integri la «plastica» dimostrazione del fatto che la disciplina delineata dal decreto ministeriale, laddove detta regole generiche ovvero che deviano dal tenore della delega di cui al decreto legislativo n. 199/2021. La Sardegna, infatti, avrebbe classificato la quasi totalita' del proprio territorio come «area non idonea» all'installazione di impianti FER, includendo in tale classificazione anche le aree che risultavano essere idonee ai sensi dell'art. 20, comma 8, del decreto legislativo n. 199/2021. Inoltre, la dedotta illegittimita' della mancanza di un regime transitorio dettato dal decreto ministeriale impugnato avrebbe consentito alla Regione Sardegna di prevedere che il divieto di realizzazione si applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, e' in corso al momento dell'entrata in vigore della presente legge, nonche' l'inefficacia dei provvedimenti autorizzatori e di tutti i titoli abilitativi comunque denominati gia' emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee. I disegni di legge in discussione in altre Regioni andrebbero, peraltro, in analoga direzione. 12. Con apposita produzione documentale in data 23 dicembre 2024 la ricorrente ha specificamente dedotto in ordine all'impatto che la legge della Regione Autonoma della Sardegna n. 20/2024 produce sui progetti indicati al punto 2 della presente ordinanza, evidenziando, in particolare, che le iniziative «Benetutti», «Carbonia-Iglesias» e «Prangili», risulterebbero situati in tutto o in parte in area non idonea. Ne conseguirebbe, nonostante le gia' avviate procedure amministrative per la valutazione di impatto ambientale e l'autorizzazione dei progetti, la preclusione al loro ulteriore sviluppo, in mancanza di criteri di salvezza delle iniziative gia' in corso e tenuto conto del fatto che, in base alla suddetta legge, «E' vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non idonee». 13. All'udienza pubblica del 5 febbraio 2025 la causa e' stata trattenuta in decisione. 14. Il Collegio reputa necessario sospendere il presente giudizio onde suscitare il controllo incidentale di costituzionalita' sulle questioni indicate nel prosieguo. 15. Preliminarmente, e' tuttavia opportuno chiarire i termini in cui debba essere declinato, nel regime introdotto dalla disciplina di cui all'art. 20, comma 1, decreto legislativo n. 199/2021, il concetto di area non idonea all'installazione di impianti FER. Tale esigenza, invero, risulta intrinsecamente correlata con il tenore delle censure ricorsuali, in particolare quelle articolate con il secondo motivo di ricorso, con le quali, come esposto in narrativa, la societa' ricorrente ha in sostanza contestato: l'indebita contemplazione, nell'ambito della disciplina posta dal decreto ministeriale, della materia delle aree non idonee; la configurazione delle aree non idonee quali aree incompatibili e, quindi, sostanzialmente preclusive rispetto all'installazione di impianti FER; la genericita' dei criteri posti dal decreto ministeriale a fini di indirizzo della successiva attivita' regionale; l'abnorme estensione del perimetro di possibile individuazione delle aree non idonee; l'individuazione delle aree non idonee con legge regionale, e non piu' in sede procedimentale; la mancanza di una disciplina di salvaguardia per le iniziative gia' avviate. 16. Il presupposto comune alle censure e' che, avendo il gravato decreto ministeriale qualificato le aree non idonee come aree incompatibili con l'installazione di impianti FER, il concetto di «area non idonea» sarebbe stato completamente stravolto rispetto a quello operante nel regime previgente (i.e., a quello delle linee guida). In particolare, prima dell'adozione del gravato decreto ministeriale la conseguenza correlata al carattere di non idoneita' di un'area era circoscritta al fatto che il soggetto proponente non potesse accedere alla accelerazione procedimentale dell'iter autorizzativo propedeutico alla realizzazione ed esercizio dell'impianto FER - accelerazione che, viceversa, avrebbe operato nel caso di localizzazione dell'impianto in area idonea -. Per converso, nessuna preclusione, aprioristica e assoluta, alla realizzazione di tali impianti risultava discendere dalla loro localizzazione in aree non idonee. Orbene, secondo la prospettazione della societa' ricorrente, siccome con l'adozione del gravato decreto ministeriale le amministrazioni resistenti avrebbero introdotto una preclusione di tal guisa, lo stesso risulterebbe illegittimo. 17. Il Collegio ritiene che la tesi sostenuta dalla societa' ricorrente non possa essere condivisa per le ragioni di diritto di seguito esposte. 18. Come noto, l'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, ha introdotto disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. A tal fine, l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003 ha inter alia previsto che "In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attivita' produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attivita' culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3 [la c.d. procedura di autorizzazione unica, n.d.r.]. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti». 19. Le linee guida indicate dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003 sono state adottate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010, e con esse e' stato stabilito che: paragrafo 17: «Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee guida, le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalita' di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all'allegato 3. L'individuazione della non idoneita' dell'area e' operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria, da richiamare nell'atto di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in relazione a ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilita' riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate [...]. Le aree non idonee sono [...] individuate dalle Regioni nell'ambito dell'atto di programmazione con cui sono definite le misure e gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing fissati in attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione individua le aree non idonee tenendo conto di quanto eventualmente gia' previsto dal piano paesaggistico e in congruenza con lo specifico obiettivo assegnatole»; allegato 3: «L'individuazione delle aree e dei siti non idonei mira non gia' a rallentare la realizzazione degli impianti, bensi' ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti. L'individuazione delle aree non idonee dovra' essere effettuata dalle Regioni con propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica, secondo le modalita' indicate al paragrafo 17», nonche' sulla base di principi e criteri, individuati dal medesimo allegato, in ragione dei quali, tra l'altro: «a) l'individuazione delle aree non idonee deve essere basata esclusivamente su criteri tecnici oggettivi legati ad aspetti di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale, connessi alle caratteristiche intrinseche del territorio e del sito; b) l'individuazione delle aree e dei siti non idonei deve essere differenziata con specifico riguardo alle diverse fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto; [...] d) l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate, nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle Regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento unico e della procedura di Valutazione dell'Impatto Ambientale nei casi previsti. L'individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di accelerazione e semplificazione dell'iter di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio, anche in termini di opportunita' localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni del territorio». 20. Nel contesto del sistema delineato dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003, come risulta dai pacifici orientamenti pretori formatisi in seno alla giurisprudenza della Corte costituzionale, le linee guida sono «poste a completamento della normativa primaria «in settori squisitamente tecnici» (sentenze n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 e n. 86 del 2019, nonche' n. 69 del 2018) e connotate dal carattere della inderogabilita' a garanzia di una disciplina «uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del 2018)» (sentenza n. 106 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 221, n. 216, n. 77 e n. 11 del 2022, n. 177 e n. 46 del 2021)» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023). 21. Va, poi, evidenziato che la Corte costituzionale ha chiarito che con le disposizioni normative introdotte dal decreto legislativo n. 199/2921 «il legislatore statale ha inteso superare il sistema dettato dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') e dal conseguente decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), contenenti i principi e i criteri di individuazione delle aree non idonee. Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a individuare le aree «idonee» all'installazione degli impianti, sulla scorta dei principi e dei criteri stabiliti con appositi decreti interministeriali, previsti dal comma 1 del citato art. 20 [...]. Inoltre, l'individuazione delle aree idonee dovra' avvenire non piu' in sede amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente in relazione a quelle non idonee, bensi' «con legge» regionale, secondo quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso art. 20» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 103/2024). 22. Sulla scorta di quanto chiarito ed affermato negli orientamenti giurisprudenziali teste' richiamati, discende che nell'applicazione del rinnovato quadro normativo che ha interessato la materia della realizzazione degli impianti FER non possano sic et simpliciter essere trasposti, in maniera acritica e meccanica, i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione al pregresso assetto normativo e regolatorio. Infatti, laddove si aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica - che e', poi, quella sostanzialmente prospettata dalla societa' ricorrente - si finirebbe per obliterare indebitamente il vigente contesto normativo, avuto specifico riguardo alla circostanza per cui, de iure condito, l'art. 20, comma 1, del decreto legislativo n. 199/2021 espressamente dispone che sia il MASE, di concerto con il MIC e il MASAF, a stabilire con decreto i principi e i criteri omogenei strumentali all'individuazione delle aree idonee e non idonee. 23. Invero, proprio sulla scorta delle scelte compiute dalle amministrazioni resistenti con l'adozione del gravato decreto ministeriale, e condivise con gli enti territoriali tramite lo strumento dell'intesa in sede di Conferenza unificata - emerge come, contrariamente a quanto sostenuto dalla societa' ricorrente, nel complessivo nuovo impianto normativo e regolamentare sia sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e finalita', la portata precettiva del concetto di «area non idonea». 24. Infatti, l'art. 1, comma 2, lett. b), del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 ha definito le «superfici e aree non idonee» come «aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili con l'installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 18 settembre 2010, n. 219 e successive modifiche e integrazioni». 25. A dispetto di quanto asserito dalla societa' ricorrente - secondo la quale la definizione di area non idonea come area incompatibile equivarrebbe alla introduzione di un divieto assoluto alla installazione di impianti FER - occorre ricordare che il paragrafo 17 delle Linee guida gia' per il passato specificava che il processo di ricognizione delle aree non idonee dovesse avvenire prendendo in considerazione gli «obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti». 26. Emerge, quindi, come gia' nel contesto previgente all'adozione del gravato decreto ministeriale le aree non idonee si caratterizzassero per essere aree incompatibili con il soddisfacimento degli obiettivi di protezione che l'ordinamento intende perseguire. Tale forma di incompatibilita', quale tratto caratterizzante delle aree non idonee, non si traduceva in una preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo ad indicare la sussistenza di «una elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione». 27. L'analisi diacronica sinteticamente svolta consente di affermare che, sotto l'esaminato profilo della «incompatibilita'», la definizione di «aree non idonee» contenuta nell'art. 1, comma 2, lett. b), del gravato decreto ministeriale non possiede un carattere innovativo, risultando sostanzialmente invariata, quoad effectum, la portata del concetto di «area non idonea», per come declinato dal decreto ministeriale del 21 giugno 2024, rispetto a quella scaturente dalle Linee guida. 28. A sostegno di tale conclusione, d'altronde, milita anche il fatto che lo stesso art. 1, comma 2, lett. b), del gravato decreto ministeriale declini la dichiarata incompatibilita' «secondo le modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle Linee guida». Ordunque, benche' l'ordito normativo, con il previsto aggiornamento delle Linee guida «A seguito dell'entrata in vigore della disciplina statale e regionale per l'individuazione di superfici e aree idonee ai sensi dell'art. 20», presenti indubbi elementi di circolarita' che rendono non del tutto chiaro il ruolo che le medesime Linee Guida sono ad oggi chiamate a svolgere in subiecta materia, e' preferibile ritenere che il richiamo alle modalita' stabilite dalle Linee Guida sia da intendersi nel senso che il legislatore abbia optato per il consolidamento, anche rispetto al nuovo regime, delle acquisizioni, in termini di significato e declinazione delle aree non idonee, gia' raggiunte nel previgente assetto normativo in applicazione delle previsioni dettate dalle Linee guida. 29. Tale opzione esegetica puo' essere legittimamente percorsa in ossequio al canone ermeneutico dell'interpretazione conservativa di cui all'art. 1367 del codice civile - pacificamente applicabile anche agli atti amministrativi, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 5358 del 4 settembre 2020 e riferimenti ivi citati) -. Infatti, mediante l'impiego di tale legittimo criterio interpretativo, nel nostro ordinamento giuridico e' possibile preservare atti e valori giuridici non affetti da vizi di legittimita' (ut res magis valeat quam pereat), risultando cio' confacente, peraltro, ai principi di economicita' ed efficacia dell'attivita' amministrativa sanciti dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 3488 del 10 luglio 2015) e di cui il criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione. 30. Se e' vero che non puo' essere sottaciuto il fatto che l'art. 3, comma 1, del gravato decreto ministeriale disponga che le Regioni provvedono con legge alla individuazione (anche) delle aree non idonee - e non piu' nell'ambito di un apposito procedimento amministrativo, come previsto dalle Linee Guida - e' del pari vero che, in disparte gli eventuali profili di illegittimita' di tale scelta, non v'e' alcun indice normativo che faccia ritenere che a tale cambiamento sia correlata la conseguenza prospettata dalla societa' ricorrente. 31. Infatti, il mutamento normativo che ha interessato il veicolo giuridico di approvazione della classificazione delle aree potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e messa in esercizio di un impianto FER, non risulta accompagnato da alcuna radicale trasfigurazione del significato che il concetto giuridico di «aree non idonee» esprime nell'ambito della pianificazione del territorio necessaria al raggiungimento degli obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili. 32. Ad avviso del Collegio, l'interpretazione sin qui proposta trova anche il conforto della giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la «necessita' di garantire la «massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili» (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex multis, sentenze n. 221, n. 216 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011) «nel comune intento di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra' (sentenza n. 275 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n. 85 del 2012), onde contrastare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici (sentenza n. 77 del 2022)» (Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023). 33. Va, quindi, radicalmente escluso che le «aree non idonee» possano essere considerate aree del tutto interdette alla installazione di impianti FER, poiche' opinando diversamente potrebbe essere seriamente pregiudicato il conseguimento degli obiettivi energetici strumentali al rispetto degli impegni assunti dall'Italia a livello sovranazionale - tenuto anche conto della particolare ampiezza dei margini di manovra consentiti alle Regioni dal decreto ministeriale impugnato. 34. Viceversa, l'interpretazione dell'art. 1, comma 2, lett. b), del gravato decreto ministeriale del 21 giugno 2024, al quale il Collegio intende aderire - partendo dall'assunto che il carattere di non idoneita' di un'area non precluda in radice la realizzazione di impianti FER - e' atta a porre in rilievo come l'individuazione con legge regionale delle aree non idonee non esclude che le amministrazioni, nell'ambito degli specifici procedimenti amministrativi di valutazione delle istanze di autorizzazione alla realizzazione di impianti FER, siano necessariamente tenute ad apprezzare in concreto l'impatto dei progetti proposti sulle esigenze di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali, anche laddove l'area interessata rientri tra quelle classificate come non idonee. 35. Nel caso di specie, tuttavia, la suesposta ricostruzione del concetto di area non idonea, nel nuovo regime introdotto dal decreto ministeriale, e' palesemente smentita dal tenore dispositivo della legge della Regione Autonoma della Sardegna n. 20/2024. 36. La predetta legge prevede, infatti, che: «E' vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non idonee cosi' come individuate dagli allegati A, B, C, D, E e dai commi 9 e 11. Il divieto di realizzazione si applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, e' in corso al momento dell'entrata in vigore della presente legge. Non puo' essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell'entrata in vigore della presente legge, risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l'attuazione. I provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque denominati gia' emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee, sono privi di efficacia» (art. 1, comma 5); «Qualora un progetto di impianto ricada su un areale ricompreso sia nelle aree definite idonee, di cui all'allegato F, sia nelle aree definite non idonee, di cui agli allegati A, B, C, D ed E, prevale il criterio di non idoneita'. Nei casi di cui al precedente periodo, limitatamente agli impianti fotovoltaici e agli impianti di accumulo, qualora i relativi progetti di realizzazione prevedano l'installazione presso aree rientranti nelle zone urbanistiche omogenee D e G, di cui al decreto dell'Assessore regionale degli enti locali, finanze e urbanistica, 20 dicembre 1983, n. 2266/U (Disciplina dei limiti e dei rapporti relativi alla formazione di nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei comuni della Sardegna), non si applicano le fasce di tutela di cui alle lettere s), x), w) e bb) dell'allegato A qualora l'area oggetto del rispettivo intervento sia infrastrutturata e urbanizzata in misura uguale o maggiore al 60 per cento. Limitatamente ai casi di cui al precedente periodo, qualora l'area non sia infrastrutturata e urbanizzata ed edificata almeno al 60 per cento, le fasce di tutela di cui al precedente periodo sono ridotte del 70 per cento. Qualora un progetto di impianto FER, ivi inclusi gli accumuli ad essi connessi, sia finalizzato all'autoconsumo o al servizio di una comunita' energetica e ricade in una delle condizioni di cui ai precedenti periodi, prevale il criterio di idoneita'» (art. 1, comma 7); «Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e di contenimento dei costi energetici nel rispetto delle peculiarita' storico-culturali, paesaggistico-ambientali e delle produzioni agricole, i comuni hanno facolta' di proporre un'istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all'interno di un'area individuata come non idonea ai sensi della presente legge. L'istanza e' finalizzata al raggiungimento di un'intesa con la Regione. Qualora l'istanza abbia ad oggetto un impianto FER ricadente in un'area mineraria dismessa di proprieta' regionale o di enti interamente controllati dalla Regione, l'area medesima e' trasferita in proprieta' ai comuni che ne facciano richiesta ai sensi della legge regionale 5 dicembre 1995, n. 35 (Alienazione dei beni patrimoniali)» (art. 3). 37. Dalle richiamate previsioni di desume, pertanto, che: le aree non idonee costituiscono vere e proprie aree vietate alla realizzazione degli impianti FER. Oltre che dal chiaro tenore letterale dell'art. 1, comma 5, cio' si desume anche dalla previsione, all'art. 3, di una speciale procedura da attivarsi su chiesta dei comuni per la realizzazione di interventi in aree non idonee, peraltro particolarmente rigoroso nella misura in cui richiede il raggiungimento del consenso unanime di tutti i soggetti interessati; la disciplina non soltanto non prevede una clausola di salvaguardia per le iniziative in corso, ma addirittura sancisce l'inefficacia dei provvedimenti autorizzatori e dei titoli abilitativi gia' emanati in caso di impianti ricadenti in aree non idonee in base alla legge. D'altra parte, cio' costituisce l'ovvio risvolto di quanto previsto dall'art. 1, comma 2, laddove si stabilisce che «La presente legge di governo del territorio, urbanistica e di tutela del patrimonio paesaggistico, si applica a tutto il territorio della Regione, ivi comprese le aree e le superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi», onde e' chiaro che l'unico limite all'operativita' delle nuove previsioni e' l'intervenuta modifica irreversibile dello stato dei luoghi, come anche chiarito dal successivo comma 5; la legge prevede, altresi', un principio di assoluta prevalenza del criterio della non idoneita' su quello dell'idoneita' in caso di progetti in zone promiscue, salve le limitate deroghe previste dall'art. 1, comma 7. 38. La suindicata disciplina solleva consistenti dubbi di compatibilita' con i canoni costituzionali, con particolare riferimento agli artt. 3, 9, 11, 41, 97, 117 della Costituzione, nonche' all'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 e agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948. 39. Occorre aggiungere che la ricorrente ha anche addotto di avere in corso di sviluppo un progetto agrivoltaico non avanzato per il quale non sono state ancora avviate le pratiche autorizzatorie e abilitative e che risulta, pertanto, inciso dalle previsioni dell'art. 5 del decreto legge 15 maggio 2024, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2024, n. 101. 40. Tale norma ha introdotto il comma 1-bis all'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021, il quale stabilisce che «L'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti gia' installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonche' le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 del presente art.. Il primo periodo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunita' energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del presente decreto nonche' in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) di cui all'art. 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR». 41. Il successivo comma 2 ha previsto che tale disciplina non si applichi «ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto [16 maggio 2024], sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi». 42. Il decreto impugnato prevede, all'art. 1, comma 2, che le Regioni individuino sul rispettivo territorio, tra l'altro, le «aree in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra», definite come «le aree agricole per le quali vige il divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a terra ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199». 43. Tale previsione costituisce senz'altro strumento di attuazione, per quanto del tutto vincolato nel contenuto, della norma primaria. Va rilevato, infatti, che il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 definisce il perimetro delle aree agricole in cui e' consentita l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree idonee come prevista dal comma 8 del medesimo art. 20 nelle more dell'adozione della disciplina di cui al comma 1. In tale contesto, il decreto ministeriale ribadisce che il divieto previsto dal comma 1-bis si applica anche nel nuovo quadro regolatorio e vincola la potesta' legislativa regionale: ai sensi dell'art. 3, comma 1, infatti, le Regioni sono chiamate a individuare con legge, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, le aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra. 44. Il decreto impugnato costituisce anche l'unico atto amministrativo che interviene nel processo di implementazione del divieto, atteso che: esso e' stabilito direttamente dalla legge statale; secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle aree in questione avviene con legge regionale; le aree cosi' individuate non sono «non idonee», ma assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la valutazione, nel singolo procedimento, della compatibilita' dell'intervento con i valori confliggenti. 45. La ricorrente ha contestato che la disciplina rimessa alla determinazione ministeriale concernente l'adozione di principi e criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee consentisse anche l'individuazione di aree «in cui e' vietata» la installazione di impianti fotovoltaici a terra. 46. Tuttavia, occorre ritenere che per effetto della sopravvenienza normativa costituita dal disposto dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, il decreto di cui al comma 1 dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 non avrebbe potuto che prendere atto dei divieti cosi' introdotti e ribadire, anche nel contesto della disciplina da esso posta, le relative preclusioni. Nel momento in cui il legislatore ha inteso vietare ulteriori interventi concernenti impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra nelle aree classificate agricole, tale rinnovata valutazione si e' inevitabilmente sovrapposta alle previgenti direttive normative in materia di individuazione delle aree idonee, sicche' ai fini della relativa implementazione non era necessaria alcuna espressa e specifica delega, potendone l'Autorita' amministrativa soltanto prendere atto. 47. Con una seconda censura la ricorrente contesta l'art. 1, comma 2, lett. d), del decreto nella parte in cui non precisa che da tale divieto sono sottratti tutti gli impianti agrivoltaici. Tuttavia, l'ambito di applicazione del divieto posto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 e' definito direttamente dalla norma primaria e la relativa individuazione appartiene all'attivita' di interpretazione degli enunciati normativi: la mancata, ulteriore specificazione del medesimo da parte di un atto applicativo non integra, pertanto, sotto alcun profilo un vizio di legittimita' di quest'ultimo. 48. Per l'ipotesi in cui non sia possibile procedere a un'interpretazione conforme a Costituzione, la ricorrente ha sollevato talune eccezioni di costituzionalita' della disciplina. Il Collegio ritiene, al riguardo, che un'interpretazione della norma satisfattiva dell'interesse di parte ricorrente non sia possibile. 49. L'ambito del regime preclusivo introdotto dalla norma va ricostruito a partire dal «significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore» (art. 12, comma 1, disp. prel. c.c.). 50. L'oggetto della previsione normativa riguarda specificamente l'installazione degli impianti fotovoltaici «con moduli collocati a terra [...] in zone classificate agricole» e si colloca in funzione servente rispetto alla dichiarata «straordinaria necessita' e urgenza di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola». 51. Dalle richiamate coordinate normative si ricava, pertanto, che l'oggetto del divieto riguarda gli impianti fotovoltaici caratterizzati da una ben determinata caratteristica - i.e. l'installazione dei moduli a terra - in quanto ritenuta dal legislatore incompatibile con l'utilizzo del suolo per l'agricoltura e, quindi, con la finalita' di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola. 52. Le Linee guida MITE del 2022 in materia di impianti agrivoltaici individuano come segue i requisiti che tali impianti debbono possedere per rispondere alla finalita' per cui sono realizzati: «Requisito A: Il sistema e' progettato e realizzato in modo da adottare una configurazione spaziale ed opportune scelte tecnologiche, tali da consentire l'integrazione fra attivita' agricola e produzione elettrica e valorizzare il potenziale produttivo di entrambi i sottosistemi; Requisito B: Il sistema agrivoltaico e' esercito, nel corso della vita tecnica, in maniera da garantire la produzione sinergica di energia elettrica e prodotti agricoli e non compromettere la continuita' dell'attivita' agricola e pastorale; Requisito C: L'impianto agrivoltaico adotta soluzioni integrate innovative con moduli elevati da terra, volte a ottimizzare le prestazioni del sistema agrivoltaico sia in termini energetici che agricoli; Requisito D: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un sistema di monitoraggio che consenta di verificare l'impatto sulle colture, il risparmio idrico, la produttivita' agricola per le diverse tipologie di colture e la continuita' delle attivita' delle aziende agricole interessate; Requisito E: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un sistema di monitoraggio che, oltre a rispettare il requisito D, consenta di verificare il recupero della fertilita' del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici». 53. Le medesime linee guida chiariscono, poi, che «Il rispetto dei requisiti A, B e' necessario per definire un impianto fotovoltaico realizzato in area agricola come «agrivoltaico». Per tali impianti dovrebbe inoltre previsto il rispetto del requisito D.2», mentre il rispetto «dei requisiti A, B, C e D e' necessario per soddisfare la definizione di «impianto agrivoltaico avanzato» e, in conformita' a quanto stabilito dall'art. 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, classificare l'impianto come meritevole dell'accesso agli incentivi statali a valere sulle tariffe elettriche». 54. Dalla classificazione tipologica degli impianti agrivoltaici contenuta nelle linee guida risulta, pertanto, che soltanto per gli impianti agrivoltaici di tipo avanzato e' senz'altro soddisfatto il requisito C, consistente nell'utilizzo di moduli elevati da terra. Il suddetto utilizzo, secondo le linee guida, puo' assumere una delle due seguenti configurazioni: «l'altezza minima dei moduli e' studiata in modo da consentire la continuita' delle attivita' agricole (o zootecniche) anche sotto ai moduli fotovoltaici. Si configura una condizione nella quale esiste un doppio uso del suolo, ed una integrazione massima tra l'impianto agrivoltaico e la coltura, e cioe' i moduli fotovoltaici svolgono una funzione sinergica alla coltura, che si puo' esplicare nella prestazione di protezione della coltura (da eccessivo soleggiamento, grandine, etc.) compiuta dai moduli fotovoltaici. In questa condizione la superficie occupata dalle colture e quella del sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi dell'impianto che poggiano a terra e che inibiscono l'attivita' in zone circoscritte del suolo»; «i moduli fotovoltaici sono disposti in posizione verticale [...]. L'altezza minima dei moduli da terra non incide significativamente sulle possibilita' di coltivazione (se non per l'ombreggiamento in determinate ore del giorno), ma puo' influenzare il grado di connessione dell'area, e cioe' il possibile passaggio degli animali, con implicazioni sull'uso dell'area per attivita' legate alla zootecnia. Per contro, l'integrazione tra l'impianto agrivoltaico e la coltura si puo' esplicare nella protezione della coltura compiuta dai moduli fotovoltaici che operano come barriere frangivento». 55. In considerazione del tenore letterale e della finalita' dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, e' possibile ritenere che il divieto ivi previsto non si applichi agli impianti agrivoltaici di tipo avanzato, in quanto in relazione ai suddetti impianti, non realizzandosi l'installazione di moduli collocati a terra, non si verifica la sottrazione di suolo agricolo nei termini che la norma intende contrastare. 56. Tale conclusione e' peraltro confermata dallo stesso orientamento assunto in sede ministeriale nell'interpretazione della norma censurata (si veda la risposta del Ministro dell'agricoltura, della sovranita' alimentare e delle foreste all'interrogazione parlamentare n. 3-01225, laddove e' stato precisato che «Sara' [...] possibile installare pannelli sospesi, il cosiddetto agrivoltaico avanzato, sotto il quale si puo' coltivare e portare a termine tutti i progetti legati al PNRR» - cfr. il resoconto della seduta n. 297 del 22 maggio 2024 presso la Camera dei Deputati), oltre che dalle attivita' in corso di implementazione delle misure introdotte dal decreto impugnato (cfr. il disegno di legge della Regione Puglia n. 222/2024, depositato agli atti, che all'art. 8, comma 4, stabilisce che «nel caso di utilizzo della tecnologia fotovoltaica, nelle zone classificate agricole dai piani urbanistici possono essere realizzati esclusivamente impianti agrivoltaici di natura sperimentale»). 57. Se puo' residuare un margine di incertezza in ordine agli impianti che, in quanto rispondenti ai requisiti di cui alle lettere a), b) e c) delle linee guida, ma non a tutti quelli richiesti dalla lett. d), non sono qualificabili come impianti agrivoltaici avanzati, sebbene utilizzino moduli sollevati da terra, cio' che rileva in questa sede e' che parte la ricorrente ha allegato, in ordine a uno dei progetti cui ha fatto riferimento per corroborare il proprio interesse all'impugnativa (progetto «Monreale»), che da un lato esso soddisfa i solo requisiti di cui alle lettere A), B) e D.2 delle linee guida e, dall'altro, non rientra nella norma di salvaguardia prevista dall'art. 5, comma 2, del decreto-legge n. 63/2024, in quanto per detto impianto non sono state avviate le procedure amministrative di autorizzazione e abilitazione. 58. Tipologie di impianti come quelle di cui ai richiamati progetti rientrano senz'altro nel divieto previsto dalla norma. In primo luogo, infatti, essi si caratterizzano per l'installazione dei moduli a terra; in secondo luogo, essi in ogni caso determinano il consumo di suolo a vocazione agricola, sia pure in misura piu' limitata rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici. Soltanto nel caso degli impianti con moduli sollevati da terra, infatti, «la superficie occupata dalle colture e quella del sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi dell'impianto che poggiano a terra e che inibiscono l'attivita' in zone circoscritte del suolo» (cfr. le linee guida, pag. 24). 59. Un'interpretazione diversa, quale quella volta a escludere qualsivoglia tipologia di impianto agrivoltaico dall'applicazione del divieto, sfiderebbe, oltre al dato letterale della norma, anche le sue finalita' e si porrebbe in inammissibile contrasto con i tradizionali e inderogabili criteri di ermeneutica giuridica. 60. Al riguardo, non si puo' fare a meno di osservare che: «la lettera della norma costituisce il limite cui deve arrestarsi anche l'interpretazione costituzionalmente orientata dovendo, infatti, essere sollevato l'incidente di costituzionalita' ogni qual volta l'opzione ermeneutica supposta conforme a Costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma stessa» (Cass., S.U., 1° giugno 2021, n. 15177). Nel caso di specie, non c'e' dubbio che gli impianti agrivoltaici di tipo tradizionale, in quanto si risolvano nell'installazione di pannelli collocati a terra, rientrino nella previsione che vieta, per l'appunto, l'installazione di impianti «con moduli collocati a terra»; -l'ampiezza del divieto introdotto con l'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, che si risolve nella preclusione assoluta di realizzare impianti con moduli collocati a terra sull'intero territorio nazionale, induce a ritenere che l'obiettivo perseguito dal legislatore fosse quello di contrastare la sia pur minima riduzione del territorio a vocazione agricola per l'effetto dell'installazione di impianti fotovoltaici. Un'interpretazione che escludesse tutte le tipologie di impianti agrivoltaici dall'ambito di applicazione della norma in questione, anche a dispetto di un (pur ridotto) consumo di suolo agricolo, si porrebbe in frontale contrasto con tale obiettivo, quale chiaramente emergente dai presupposti e dall'oggetto dell'enunciato normativo, operazione che non puo' in alcun modo ritenersi consentita all'interprete. 61. Per le ragioni sopra indicate neppure e' possibile interpretare l'art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024 nel senso che il divieto opererebbe soltanto all'esito di specifica istruttoria nel rispetto delle linee guida. Una siffatta interpretazione, infatti, si risolverebbe in un'interpretatio abrogans della norma e, in ogni caso, contrasta con il chiaro tenore letterale e la finalita' perseguita dal legislatore, che ha inteso consentire l'utilizzo delle aree agricole per gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra esclusivamente nei limiti di cui al citato art. 5: l'avverbio «esclusivamente» non lascia spazio a dubbi circa la portata assoluta del divieto che caratterizza che i progetti e le aree agricole non contemplati quali eccezioni dall'art. 20, comma 1-bis, decreto legislativo n. 199/2021. Occorre allora procedere all'esame dei profili di rilevanza e non manifesta infondatezza dei sopra citati profili di incostituzionalita' della legge della Regione Autonoma della Sardegna n. 20/2024 e dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024. Sulla rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 2, 5, 7 e 8, e 3, nonche' degli allegati A, B, C, D ed E della legge della Regione Autonoma della Sardegna n. 20/2024 con riferimento agli artt. 3, 9, 41, 11, 97, 117 della Costituzione, nonche' all'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 e agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948. 62. Come gia' rilevato, per taluni dei progetti sulla base dei quali la parte ricorrente ha argomentato il proprio interesse alla presente impugnativa ve ne sono alcuni («Benetutti», «Carbonia-Iglesias» e «Prangili») che risultano situati in tutto o in parte in area non idonea in base alla nuova disciplina regionale e per i quali sono state gia' avviate le pratiche per la valutazione d'impatto ambientale. Sulla base del combinato disposto dell'art. 1, commi 2, 5 e 7, i predetti progetti non potrebbero essere ulteriormente coltivati, in quanto la finanche parziale collocazione in area non idonea determinata, ai sensi del citato comma 7, l'applicazione del comma 5, secondo cui «E' vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non idonee». 63. A fronte di tale risultato, la disciplina prevista dall'art. 7, comma 2, lett. c), del decreto impugnato, laddove si limita a consentire alle regioni la mera «possibilita' di fare salve le aree idonee di cui all'art. 20, comma 8 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto», rivela tutta la sua insufficienza, nonche' il contrasto frontale con il criterio di delega di cui all'art. 5, comma 1, lett. a), n. 1), della legge delega n. 53/2021, ai sensi della quale la disciplina di cui al decreto ministeriale avrebbe dovuto «prevede misure di salvaguardia delle iniziative di sviluppo in corso che risultino coerenti con i criteri di localizzazione degli impianti preesistenti». Nella misura in cui la richiamata possibilita' di fare salve le aree idonee si e' tradotta, nelle disposizioni regionali di attuazione, nell'assenza di un qualsivoglia regime di salvaguardia e addirittura nell'inefficacia ex lege dei titoli gia' concessi, la violazione del criterio di delega di cui all'art. 5, comma 1, lett. a), n. 1), della legge n. 53/2021 ha assunto una portata immediatamente lesiva, trattandosi di previsione di un «un atto generale [che] incide senz'altro [...] sui comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV, 17.3.2022, n. 1937). 64. L'eventuale annullamento del decreto sul punto sarebbe peraltro, allo stato e in presenza delle disposizioni recate dalla legge regionale n. 20/2024, priva di ogni utilita' per la parte ricorrente. Essa, infatti, non potrebbe comunque ulteriormente coltivare i progetti sopra citati, in quanto la disciplina legislativa regionale costituirebbe a tal riguardo un ostacolo assoluto. 65. Laddove, invece, le disposizioni menzionate fossero dichiarate costituzionalmente illegittime, l'annullamento del decreto determinerebbe, medio tempore, l'applicazione della disciplina previgente, che consentirebbe la prosecuzione dell'iter autorizzatorio e, sul piano conformativo, l'obbligo per le autorita' ministeriali di predisporre una nuova e piu' confacente disciplina di salvaguardia per le iniziative in corso. 66. Deriva da quanto sopra l'indiscutibile rilevanza, ai fini del presente giudizio, delle questioni di costituzionalita' di seguito sollevate. Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, c. 2, 5, 7 e 8, e 3, nonche' degli allegati A, B, C, D ed E della legge della Regione Autonoma della Sardegna n. 20/2024 con riferimento agli artt. 3, 9, 11, 41, 97, 117 della Costituzione, nonche' all'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 e agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948. 67. La disciplina statutaria assegna alla Regione autonoma Sardegna la competenza primaria in materia di «edilizia e urbanistica» (art. 3, lettera f), nonche' la correlata «competenza paesaggistica» ai sensi dell'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del 1975. L'art. 4, lettera e), prevede la competenza concorrente nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia elettrica», da esercitarsi nel limite dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato. 68. La legge regionale n. 20/2024 costituisce «legge di governo del territorio, urbanistica e di tutela del patrimonio paesaggistico» (art. 1, comma 2). Tuttavia, nella misura in cui essa ha ad oggetto precipuo «l'individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all'installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER)», e' da ritenersi che afferisca prevalentemente alla competenza statutaria in materia di «produzione e distribuzione dell'energia elettrica» (art. 4, lettera e), dello statuto speciale). 69. Peraltro, pur al cospetto di un intreccio di competenze, esse - quella primaria di tutela del paesaggio e di edilizia ed urbanistica e quella concorrente in materia di energia elettrica - devono comunque esercitarsi «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica», oltreche', per quanto riguarda la competenza concorrente, nel limite «dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato», ai sensi dei medesimi artt. 3 e 4 dello Statuto. 70. Nel caso in esame, le disposizioni di cui alla legge regionale n. 20/2024 contrastano con i principi stabiliti dalla legge statale e dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale che si impongono anche alle Regione ad autonomia speciale per l'espressa previsione statutaria. 71. Occorre al riguardo previamente richiamare il quadro normativo unionale. 72. L'art. 3, par. 5, TUE, stabilisce che «Nelle relazioni con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini» A tal fine essa «Contribuisce [...] allo sviluppo sostenibile della Terra». 73. L'art. 6, par. 1, TUE precisa che «L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati». Ai sensi dell'art. 37 della Carta, «Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualita' devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile». 74. L'art. 11 TFUE esprime la medesima esigenza sancendo che «Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile» (c.d. principio di integrazione). 75. Secondo l'art. 191 TFUE, «La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualita' dell'ambiente; protezione della salute umana; utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. 2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversita' delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa e' fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonche' sul principio "chi inquina paga"». 76. Ai sensi dell'art. 192, par. 1, TFUE, «Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono essere intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi dell'art. 191». 77. L'art. 194 TFUE stabilisce, a sua volta, che «Nel quadro dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno e tenendo conto dell'esigenza di preservare e migliorare l'ambiente, la politica dell'Unione nel settore dell'energia e' intesa, in uno spirito di solidarieta' tra Stati membri, a [...] promuovere il risparmio energetico, l'efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili». 78. Protezione dell'ambiente e promozione delle c.d. energie rinnovabili costituiscono, pertanto, politiche interdipendenti. Come si ricava dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, l'uso di fonti di energia rinnovabili per la produzione di elettricita' e' utile alla tutela dell'ambiente in quanto contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che compaiono tra le principali cause dei cambiamenti climatici che l'Unione europea e i suoi Stati membri si sono impegnati a contrastare. L'incremento della quota di rinnovabili costituisce, in particolare, uno degli elementi portanti del pacchetto di misure richieste per ridurre tali emissioni e conformarsi al Protocollo di Kyoto, alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nonche' agli altri impegni assunti a livello comunitario e internazionale per la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra. Cio', peraltro, e' funzionale anche alla tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, nonche' alla preservazione dei vegetali (cfr. le sentenze 1.7.2014, C573/12, 78 ss., e 13 marzo 2001, C-379/98, 73 ss.). 79. La Corte di giustizia ha peraltro precisato che l'art. 191 TFUE si limita a definire gli obiettivi generali dell'Unione in materia ambientale, mentre l'art. 192 TFUE affida al Parlamento europeo e al Consiglio dell'Unione europea il compito di decidere le azioni da avviare al fine del raggiungimento di detti obiettivi. Di conseguenza, l'art. 191 TFUE non puo' essere invocato in quanto tale dai privati al fine di escludere l'applicazione di una normativa nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale quando non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione adottata in base all'art. 192 TFUE; viceversa, l'art. 191 TFUE assume rilevanza allorquando esso trovi attuazione nel diritto derivato (cfr. CGUE, sentenza 4 marzo 2015, C-534/13, 39 ss.). 80. Disposizioni sulla promozione dell'energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell'art. 175 TCE (ora 192 TFUE), sono state introdotte gia' con la Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.9.2001 e, successivamente, con la Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009. 81. Con la Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018 si e' proceduto alla rifusione e alla modifica delle disposizioni contenute nella Direttiva 2009/28/CE. Nel dettare la relativa disciplina e' stato considerato, tra l'altro, che: «[...] (2) Ai sensi dell'art. 194, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la promozione delle forme di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi della politica energetica dell'Unione. Tale obiettivo e' perseguito dalla presente direttiva. Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili o all'energia rinnovabile costituisce una parte importante del pacchetto di misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e per rispettare gli impegni dell'Unione nel quadro dell'accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, a seguito della 21ª Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici («accordo di Parigi»), e il quadro per le politiche dell'energia e del clima all'orizzonte 2030, compreso l'obiettivo vincolante dell'Unione di ridurre le emissioni di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L'obiettivo vincolante in materia di energie rinnovabili a livello dell'Unione per il 2030 e i contributi degli Stati membri a tale obiettivo, comprese le quote di riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi nazionali generali per il 2020, figurano tra gli elementi di importanza fondamentale per la politica energetica e ambientale dell'Unione [...]. (3) Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili puo' svolgere una funzione indispensabile anche nel promuovere la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, nel garantire un'energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo tecnologico e l'innovazione, oltre alla leadership tecnologica e industriale, offrendo nel contempo vantaggi ambientali, sociali e sanitari, come pure nel creare numerosi posti di lavoro e sviluppo regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o nei territori a bassa densita' demografica o soggetti a parziale deindustrializzazione. (4) In particolare, la riduzione del consumo energetico, i maggiori progressi tecnologici, gli incentivi all'uso e alla diffusione dei trasporti pubblici, il ricorso a tecnologie energeticamente efficienti e la promozione dell'utilizzo di energia rinnovabile nei settori dell'energia elettrica, del riscaldamento e del raffrescamento, cosi' come in quello dei trasporti sono strumenti molto efficaci, assieme alle misure di efficienza energetica per ridurre le emissioni a effetto serra nell'Unione e la sua dipendenza energetica. (5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro normativo per la promozione dell'utilizzo di energia da fonti rinnovabili che fissa obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota di energia rinnovabile nel consumo energetico e nel settore dei trasporti da raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del 22 gennaio 2014, intitolata «Quadro per le politiche dell'energia e del clima per il periodo dal 2020 al 2030» ha definito un quadro per le future politiche dell'Unione nei settori dell'energia e del clima e ha promosso un'intesa comune sulle modalita' per sviluppare dette politiche dopo il 2020. La Commissione ha proposto come obiettivo dell'Unione una quota di energie rinnovabili consumate nell'Unione pari ad almeno il 27% entro il 2030. Tale proposta e' stata sostenuta dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre 2014, le quali indicano che gli Stati membri dovrebbero poter fissare i propri obiettivi nazionali piu' ambiziosi, per realizzare i contributi all'obiettivo dell'Unione per il 2030 da essi pianificati e andare oltre. (6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del 5 febbraio 2014, «Un quadro per le politiche dell'energia e del clima all'orizzonte 2030», e del 23 giugno 2016, «I progressi compiuti nell'ambito delle energie rinnovabili», si e' spinto oltre la proposta della Commissione o le conclusioni del Consiglio, sottolineando che, alla luce dell'accordo di Parigi e delle recenti riduzioni del costo delle tecnologie rinnovabili, era auspicabile essere molto piu' ambiziosi. [...]. (8) Appare pertanto opportuno stabilire un obiettivo vincolante dell'Unione in relazione alla quota di energia da fonti rinnovabili pari almeno al 32%. Inoltre, la Commissione dovrebbe valutare se tale obiettivo debba essere rivisto al rialzo alla luce di sostanziali riduzioni del costo della produzione di energia rinnovabile, degli impegni internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o in caso di un significativo calo del consumo energetico nell'Unione. Gli Stati membri dovrebbero stabilire il loro contributo al conseguimento di tale obiettivo nell'ambito dei rispettivi piani nazionali integrati per l'energia e il clima in applicazione del processo di governance definito nel regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio. [...]. (10) Al fine di garantire il consolidamento dei risultati conseguiti ai sensi della direttiva 2009/28/CE, gli obiettivi nazionali stabiliti per il 2020 dovrebbero rappresentare il contributo minimo degli Stati membri al nuovo quadro per il 2030. In nessun caso le quote nazionali delle energie rinnovabili dovrebbero scendere al di sotto di tali contributi. [...]. (11) Gli Stati membri dovrebbero adottare ulteriori misure qualora la quota di energie rinnovabili a livello di Unione non permettesse di mantenere la traiettoria dell'Unione verso l'obiettivo di almeno il 32 % di energie rinnovabili. Come stabilito nel regolamento (UE) 2018/1999, se, nel valutare i piani nazionali integrati in materia di energia e clima, ravvisa un insufficiente livello di ambizione, la Commissione puo' adottare misure a livello dell'Unione per assicurare il conseguimento dell'obiettivo. Se, nel valutare le relazioni intermedie nazionali integrate sull'energia e il clima, la Commissione ravvisa progressi insufficienti verso la realizzazione degli obiettivi, gli Stati membri dovrebbero applicare le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare tale lacuna». 82. Le richiamate rationes hanno condotto a introdurre, tra l'altro, un obiettivo vincolante complessivo dell'Unione per il 2030 (art. 3), per cui «Gli Stati membri provvedono collettivamente a far si' che la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell'Unione nel 2030 sia almeno pari al 32%. La Commissione valuta tale obiettivo al fine di presentare, entro il 2023, una proposta legislativa intesa a rialzarlo nel caso di ulteriori sostanziali riduzioni dei costi della produzione di energia rinnovabile, se risulta necessario per rispettare gli impegni internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o se il rialzo e' giustificato da un significativo calo del consumo energetico nell'Unione», con la precisazione che «Se, sulla base della valutazione delle proposte dei piani nazionali integrati per l'energia e il clima, presentati ai sensi dell'art. 9 del regolamento (UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che i contributi nazionali degli Stati membri sono insufficienti per conseguire collettivamente l'obiettivo vincolante complessivo dell'Unione, la Commissione segue la procedura di cui agli artt. 9 e 31 di tale regolamento». 83. Il Regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30.6.2021, adottato in forza dell'art. 192 TFUE, ha istituito un quadro per il conseguimento della neutralita' climatica, nel presupposto che: "(1) La minaccia esistenziale posta dai cambiamenti climatici richiede una maggiore ambizione e un'intensificazione dell'azione per il clima da parte dell'Unione e degli Stati membri. L'Unione si e' impegnata a potenziare gli sforzi per far fronte ai cambiamenti climatici e a dare attuazione all'accordo di Parigi adottato nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici («accordo di Parigi»), guidata dai suoi principi e sulla base delle migliori conoscenze scientifiche disponibili, nel contesto dell'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura previsto dall'accordo di Parigi. [...]. (4) Un obiettivo stabile a lungo termine e' fondamentale per contribuire alla trasformazione economica e sociale, alla creazione di posti di lavoro di alta qualita', alla crescita sostenibile e al conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto di vista sociale, equo e in modo efficiente in termini di costi l'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui all'accordo di Parigi. [...]. (9) L'azione per il clima dell'Unione e degli Stati membri mira a tutelare le persone e il pianeta, il benessere, la prosperita', l'economia, la salute, i sistemi alimentari, l'integrita' degli ecosistemi e la biodiversita' contro la minaccia dei cambiamenti climatici, nel contesto dell'agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e nel perseguimento degli obiettivi dell'accordo di Parigi; mira inoltre a massimizzare la prosperita' entro i limiti del pianeta, incrementare la resilienza e ridurre la vulnerabilita' della societa' ai cambiamenti climatici. In quest'ottica, le azioni dell'Unione e degli Stati membri dovrebbero essere guidate dal principio di precauzione e dal principio «chi inquina paga», istituiti dal trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e dovrebbero anche tener conto del principio dell'efficienza energetica al primo posto e del principio del «non nuocere» del Green Deal europeo. [...]. (11) Vista l'importanza della produzione e del consumo di energia per il livello di emissioni di gas a effetto serra, e' indispensabile realizzare la transizione verso un sistema energetico sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato sulla diffusione delle energie rinnovabili, su un mercato interno dell'energia ben funzionante e sul miglioramento dell'efficienza energetica, riducendo nel contempo la poverta' energetica. Anche la trasformazione digitale, l'innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sono fattori importanti per conseguire l'obiettivo della neutralita' climatica. [...]. (20) L'Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro il 2050, un equilibrio all'interno dell'Unione tra le emissioni antropogeniche dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici dai pozzi dei gas a effetto serra di tutti i settori economici e, ove opportuno, raggiungere emissioni negative in seguito. Tale obiettivo dovrebbe comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a livello dell'Unione regolamentati nel diritto dell'Unione. [...]. (25) La transizione verso la neutralita' climatica presuppone cambiamenti nell'intero spettro delle politiche e uno sforzo collettivo di tutti i settori dell'economia e della societa', come evidenziato nel Green Deal europeo. Il Consiglio europeo, nelle conclusioni del 12 dicembre 2019, ha dichiarato che tutte le normative e politiche pertinenti dell'Unione devono essere coerenti con il conseguimento dell'obiettivo della neutralita' climatica e contribuirvi, nel rispetto della parita' di condizioni, e ha invitato la Commissione a valutare se cio' richieda un adeguamento delle norme vigenti. [...] 36) Al fine di garantire che l'Unione e gli Stati membri restino sulla buona strada per conseguire l'obiettivo della neutralita' climatica e registrino progressi nell'adattamento, e' opportuno che la Commissione valuti periodicamente i progressi compiuti, sulla base delle informazioni di cui al presente regolamento, comprese le informazioni presentate e comunicate a norma del regolamento (UE) 2018/1999. [...] Nel caso in cui i progressi collettivi compiuti dagli Stati membri rispetto all'obiettivo della neutralita' climatica o all'adattamento siano insufficienti o che le misure dell'Unione siano incoerenti con l'obiettivo della neutralita' climatica o inadeguate per migliorare la capacita' di adattamento, rafforzare la resilienza o ridurre la vulnerabilita', la Commissione dovrebbe adottare le misure necessarie conformemente ai trattati. [...] 84. Il Regolamento ha quindi sancito (art. 1) «l'obiettivo vincolante della neutralita' climatica nell'Unione entro il 2050, in vista dell'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui all'art. 2, paragrafo 1, lettera a), dell'accordo di Parigi», precisando che, onde conseguire tale obiettivo, «il traguardo vincolante dell'Unione in materia di clima per il 2030 consiste in una riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra (emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55 % rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030» (art. 4). 85. Ai sensi dell'art. 5 del Regolamento, «Le istituzioni competenti dell'Unione e gli Stati membri assicurano il costante progresso nel miglioramento della capacita' di adattamento, nel rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita' ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7 dell'accordo di Parigi», garantendo inoltre che «le politiche in materia di adattamento nell'Unione e negli Stati membri siano coerenti, si sostengano reciprocamente, comportino benefici collaterali per le politiche settoriali e si adoperino per integrare meglio l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna dell'Unione». A tal fine, «Gli Stati membri adottano e attuano strategie e piani nazionali di adattamento, tenendo conto della strategia dell'Unione sull'adattamento ai cambiamenti climatici [...] e fondati su analisi rigorose in materia di cambiamenti climatici e di vulnerabilita', sulle valutazioni dei progressi compiuti e sugli indicatori, e basandosi sulle migliori e piu' recenti evidenze scientifiche disponibili. Nelle loro strategie nazionali di adattamento, gli Stati membri tengono conto della particolare vulnerabilita' dei pertinenti settori, tra cui l'agricoltura, e dei sistemi idrici e alimentari nonche' della sicurezza alimentare, e promuovono soluzioni basate sulla natura e l'adattamento basato sugli ecosistemi. Gli Stati membri aggiornano periodicamente le strategie e includono informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono tenuti a presentare a norma dell'art. 19, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2018/1999». 86. La Direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 ottobre 2023 ha introdotto, tra l'altro, disposizioni volte a modificare la Direttiva (UE) 2018/2001, il Regolamento (UE) 2018/1999 e la Direttiva n. 98/70/CE per quanto riguarda la promozione dell'energia da fonti rinnovabili, evidenziando che: «[...] (2) Le energie rinnovabili svolgono un ruolo fondamentale nel conseguimento di tali obiettivi, dato che il settore energetico contribuisce attualmente per oltre il 75% alle emissioni totali di gas a effetto serra nell'Unione. Riducendo tali emissioni di gas a effetto serra, le energie rinnovabili possono anche contribuire ad affrontare sfide ambientali come la perdita di biodiversita', e a ridurre l'inquinamento in linea con gli obiettivi della comunicazione della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo «Un percorso verso un pianeta piu' sano per tutti - Piano d'azione dell'UE: Verso l'inquinamento zero per l'aria, l'acqua e il suolo». La transizione verde verso un'economia basata sulle energie da fonti rinnovabili contribuira' a conseguire gli obiettivi della decisione (UE) 2022/591 del Parlamento europeo e del Consiglio, che mira altresi' a proteggere, ripristinare e migliorare lo stato dell'ambiente, mediante, tra l'altro, l'interruzione e l'inversione del processo di perdita di biodiversita'. [...]. (4) Il contesto generale determinato dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia e dagli effetti della pandemia di COVID-19 ha provocato un'impennata dei prezzi dell'energia nell'intera Unione, evidenziando in tal modo la necessita' di accelerare l'efficienza energetica e accrescere l'uso delle energie da fonti rinnovabili nell'Unione. Al fine di conseguire l'obiettivo a lungo termine di un sistema energetico indipendente dai paesi terzi, l'Unione dovrebbe concentrarsi sull'accelerazione della transizione verde e sulla garanzia di una politica energetica di riduzione delle emissioni che limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e che favorisca prezzi equi e accessibili per i cittadini e le imprese dell'Unione in tutti i settori dell'economia. (5) Il piano REPowerEU stabilito nella comunicazione della Commissione del 18 maggio 2022 («piano REPowerEU») mira a rendere l'Unione indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030. Tale comunicazione prevede l'anticipazione delle capacita' eolica e solare, un aumento del tasso medio di diffusione di tale energia e capacita' supplementari di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i colegislatori a valutare la possibilita' di innalzare o anticipare gli obiettivi fissati per l'aumento della quota di energia rinnovabile nel mix energetico. [...] Al di la' di tale livello obbligatorio, gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per conseguire collettivamente l'obiettivo complessivo dell'Unione del 45 % di energia da fonti rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU. (6) [...] E' auspicabile che gli Stati membri possano combinare diverse fonti di energia non fossili al fine di conseguire l'obiettivo dell'Unione di raggiungere la neutralita' climatica entro il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze nazionali e della struttura delle loro forniture energetiche. Al fine di realizzare tale obiettivo, la diffusione dell'energia rinnovabile nel quadro del piu' elevato obiettivo generale vincolante dell'Unione dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari di decarbonizzazione che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili che gli Stati membri decidono di perseguire. [...] (25) Gli Stati membri dovrebbero sostenere una piu' rapida diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile effettuando una mappatura coordinata per la diffusione delle energie rinnovabili e per le relative infrastrutture, in coordinamento con gli enti locali e regionali. Gli Stati membri dovrebbero individuare le zone terrestri, le superfici, le zone sotterranee, le acque interne e marine necessarie per l'installazione degli impianti di produzione di energia rinnovabile e per le relative infrastrutture al fine di apportare almeno i rispettivi contributi nazionali all'obiettivo complessivo riveduto in materia di energia da fonti rinnovabili per il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001 e a sostegno del conseguimento dell'obiettivo della neutralita' climatica entro e non oltre il 2050, in conformita' del regolamento (UE) 2021/1119. [...]. Gli Stati membri dovrebbero garantire che le zone in questione riflettano le rispettive traiettorie stimate e la potenza totale installata pianificata e dovrebbero individuare le zone specifiche per i diversi tipi di tecnologia di produzione di energia rinnovabile stabilite nei loro piani nazionali integrati per l'energia e il clima presentati a norma degli artt. 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999. [...]. (26) Gli Stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme di tali aree, specifiche zone terrestri (comprese superfici e sottosuperfici) e marine o delle acque interne come zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in materia di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi di tecnologia, sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di energia da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare un impatto ambientale significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per le energie rinnovabili, gli Stati membri dovrebbero evitare le zone protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune misure di attenuazione. Gli Stati membri dovrebbero poter designare zone di accelerazione specificamente per le energie rinnovabili per uno o piu' tipi di impianti di produzione di energia rinnovabile e dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti rinnovabili adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Gli Stati membri dovrebbero designare tali zone di accelerazione per le energie rinnovabili per almeno un tipo di tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per le energie rinnovabili, alla luce delle specificita' e dei requisiti del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Cosi' facendo, gli Stati membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni combinate di tali zone siano sostanziali e contribuiscano al conseguimento degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001. (27) L'uso polivalente dello spazio per la produzione di energia rinnovabile e per altre attivita' terrestri, delle acque interne e marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il ripristino della natura, allentano i vincoli d'uso del suolo, delle acque interne e del mare. In tale contesto la pianificazione territoriale rappresenta uno strumento indispensabile con cui individuare e orientare precocemente le sinergie per l'uso del suolo, delle acque interne e del mare. Gli Stati membri dovrebbero esplorare, consentire e favorire l'uso polivalente delle zone individuate a seguito delle misure di pianificazione territoriali adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli Stati membri agevolino, ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare, purche' i diversi usi e attivita' siano compatibili tra di loro e possano coesistere. [...] (36) In considerazione della necessita' di accelerare la diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione delle zone di accelerazione per le energie rinnovabili non dovrebbe impedire la realizzazione in corso e futura di progetti di energia rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione. Questi progetti dovrebbero continuare a sottostare all'obbligo di valutazione specifica dell'impatto ambientale a norma della direttiva 2011/92/UE, ed essere soggetti alle procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti in materia di energia rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le energie rinnovabili. Per accelerare le procedure di rilascio delle autorizzazioni nella misura necessaria a conseguire l'obiettivo di energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE) 2018/2001, anche le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti fuori dalle zone di accelerazione per le energie rinnovabili dovrebbero essere semplificate e razionalizzate attraverso l'introduzione di scadenze massime chiare per tutte le fasi della procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese le valutazioni ambientali specifiche per ciascun progetto. 87. In ragione delle considerazioni sopra richiamate, la Direttiva ha introdotto, tra l'altro, disposizioni in materia di mappatura delle zone necessarie per i contributi nazionali all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile per il 2030, di zone di accelerazione per le energie rinnovabili, nonche' di procedure amministrative per il rilascio delle relative autorizzazioni. 88. Il Regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018, adottato sulla base degli artt. 192 e 194 TFUE, stabilisce la necessaria base legislativa per una governance dell'Unione dell'energia e dell'azione per il clima affidabile, inclusiva, efficace sotto il profilo dei costi, trasparente e prevedibile che garantisca il conseguimento degli obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino al 2030 dell'Unione dell'energia, in linea con l'accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici derivante dalla 21a Conferenza delle parti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, attraverso sforzi complementari, coerenti e ambiziosi da parte dell'Unione e degli Stati membri, limitando la complessita' amministrativa. 89. Nel configurare tale meccanismo e' stato considerato, in particolare, che: (2) L'Unione dell'energia dovrebbe coprire cinque dimensioni: la sicurezza energetica; il mercato interno dell'energia; l'efficienza energetica; il processo di decarbonizzazione; la ricerca, l'innovazione e la competitivita'. (3) L'obiettivo di un'Unione dell'energia resiliente e articolata intorno a una politica ambiziosa per il clima e' di fornire ai consumatori dell'UE - comprese famiglie e imprese - energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e di promuovere la ricerca e l'innovazione attraendo investimenti; cio' richiede una radicale trasformazione del sistema energetico europeo. Tale trasformazione e' inoltre strettamente connessa alla necessita' di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, in particolare promuovendo l'efficienza energetica e i risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia rinnovabile [...]. [...] (7) L'obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno il 40 % delle emissioni di gas a effetto serra nel sistema economico entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, e' stato formalmente approvato in occasione del Consiglio «Ambiente» del 6 marzo 2015, quale contributo previsto determinato a livello nazionale, dell'Unione e dei suoi Stati membri all'accordo di Parigi. L'accordo di Parigi e' stato ratificato dall'Unione il 5 ottobre 2016 (6) ed e' entrato in vigore il 4 novembre 2016; sostituisce l'approccio adottato nell'ambito del protocollo di Kyoto del 1997, che e' stato approvato dall'Unione mediante la decisione 2002/358/CE del Consiglio (7) e che non sara' prorogato dopo il 2020. E' opportuno aggiornare di conseguenza il sistema dell'Unione per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto serra. (8) L'accordo di Parigi ha innalzato il livello di ambizione globale relativo alla mitigazione dei cambiamenti climatici e stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con l'obiettivo di mantenere l'aumento della temperatura mondiale media ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e di continuare ad adoperarsi per limitare tale aumento della temperatura a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. [...] (12) Nelle conclusioni del 23 e del 24 ottobre 2014, il Consiglio europeo ha inoltre convenuto di sviluppare un sistema di governance affidabile, trasparente, privo di oneri amministrativi superflui e con una sufficiente flessibilita' per gli Stati membri per contribuire a garantire che l'Unione rispetti i suoi obiettivi di politica energetica, nel pieno rispetto della liberta' degli Stati membri di stabilire il proprio mix energetico [...] [...] (18) Il principale obiettivo del meccanismo di governance dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento degli obiettivi dell'Unione dell'energia, in particolare gli obiettivi del quadro 2030 per il clima e l'energia, nei settori della riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, delle fonti di energia rinnovabili e dell'efficienza energetica. Tali obiettivi derivano dalla politica dell'Unione in materia di energia e dalla necessita' di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, come previsto nei trattati. Nessuno di questi obiettivi, tra loro inscindibili, puo' essere considerato secondario rispetto all'altro. Il presente regolamento e' quindi legato alla legislazione settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di energia e di clima. Gli Stati membri devono poter scegliere in modo flessibile le politiche che meglio si adattano alle preferenze nazionali e al loro mix energetico, purche' tale flessibilita' sia compatibile con l'ulteriore integrazione del mercato, l'intensificazione della concorrenza, il conseguimento degli obiettivi in materia di clima ed energia e il passaggio graduale a un'economia sostenibile a basse emissioni di carbonio. [...] (36) Gli Stati membri dovrebbero elaborare strategie a lungo termine con una prospettiva di almeno 30 anni per contribuire al conseguimento degli impegni da loro assunti ai sensi dell'UNFCCC e all'accordo di Parigi, nel contesto dell'obiettivo dell'accordo di Parigi di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali nonche' delle riduzioni a lungo termine delle emissioni di gas a effetto serra e dell'aumento dell'assorbimento dai pozzi in tutti i settori in linea con l'obiettivo dell'Unione [...]. (56) Se l'ambizione dei piani nazionali integrati per l'energia e il clima, o dei loro aggiornamenti, fosse insufficiente per il raggiungimento collettivo degli obiettivi dell'Unione dell'energia e, nel primo periodo, in particolare per il raggiungimento degli obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile e di efficienza energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a livello unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo di tali obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali «divari di ambizione»). Qualora i progressi dell'Unione verso tali obiettivi e traguardi fossero insufficienti a garantirne il raggiungimento, la Commissione dovrebbe, oltre a formulare raccomandazioni, proporre misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure gli Stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per garantire il raggiungimento di detti obiettivi, colmando cosi' eventuali «divari nel raggiungimento». Tali misure dovrebbero altresi' tenere conto degli sforzi pregressi dagli Stati membri per raggiungere l'obiettivo 2030 relativo all'energia rinnovabile ottenendo, nel 2020 o prima di tale anno, una quota di energia da fonti rinnovabili superiore al loro obiettivo nazionale vincolante oppure realizzando progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per il 2020 o nell'attuazione del loro contributo all'obiettivo vincolante dell'Unione di almeno il 32% di energia rinnovabile nel 2030. In materia di energia rinnovabile, le misure possono includere anche contributi finanziari volontari degli Stati membri indirizzati a un meccanismo di finanziamento dell'energia rinnovabile nell'Unione gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire ai progetti sull'energia rinnovabile piu' efficienti in termini di costi in tutta l'Unione, offrendo cosi' agli Stati membri la possibilita' di contribuire al conseguimento dell'obiettivo dell'Unione al minor costo possibile. Gli obiettivi degli Stati membri in materia di rinnovabili per il 2020 dovrebbero servire come quota base di riferimento di energia rinnovabile a partire dal 2021 e dovrebbero essere mantenuti per tutto il periodo. In materia di efficienza energetica, le misure aggiuntive possono mirare soprattutto a migliorare l'efficienza di prodotti, edifici e trasporti. (57) Gli obiettivi nazionali degli Stati membri in materia di energia rinnovabile per il 2020, di cui all'allegato I della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dovrebbero servire come punto di partenza per la loro traiettoria indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che uno Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza piu' elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo, una quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente parte della direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo, la quota di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo di energia di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota base di riferimento. (58) Se uno Stato membro non mantiene la quota base di riferimento misurata in un periodo di un anno, esso dovrebbe adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il divario rispetto allo scenario di riferimento. Qualora abbia effettivamente adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato conforme ai requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal momento in cui il divario in questione si e' verificato, sia ai sensi del presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 [...]». 90. Il meccanismo di governance si e' tradotto, tra l'altro, nelle seguenti previsioni (come aggiornate con la Direttiva (UE) 2023/2413): «Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029 e successivamente ogni dieci anni, ciascuno Stato membro notifica alla Commissione un piano nazionale integrato per l'energia e il clima [...]» (art. 3): «Ciascuno Stato membro definisce nel suo piano nazionale integrato per l'energia e il clima i principali obiettivi, traguardi e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all'allegato I, sezione A, punto 2: a) dimensione «decarbonizzazione»: [...] 2) per quanto riguarda l'energia rinnovabile: al fine di conseguire l'obiettivo vincolante dell'Unione per la quota di energia rinnovabile per il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo in termini di quota dello Stato membro di energia da fonti rinnovabili nel consumo lordo di energia finale nel 2030; a partire dal 2021 tale contributo segue una traiettoria indicativa. Entro il 2022, la traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 18 % dell'aumento totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2025, la traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 43 % dell'aumento totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2027, la traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 65 % dell'aumento totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2030 la traiettoria indicativa deve raggiungere almeno il contributo previsto dello Stato membro. Se uno Stato membro prevede di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per il 2020, la sua traiettoria indicativa puo' iniziare al livello che si aspetta di raggiungere. Le traiettorie indicative degli Stati membri, nel loro insieme, concorrono al raggiungimento dei punti di riferimento dell'Unione nel 2022, 2025 e 2027 e all'obiettivo vincolante dell'Unione per la quota di energia rinnovabile per il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001. Indipendentemente dal suo contributo all'obiettivo dell'Unione e dalla sua traiettoria indicativa ai fini del presente regolamento, uno Stato membro e' libero di stabilire obiettivi piu' ambiziosi per finalita' di politica nazionale» (art. 4); «Nel proprio contributo alla propria quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia del 2030 e dell'ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi di cui all'art. 4, lettera a), punto 2), ciascuno Stato membro tiene conto degli elementi seguenti: a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001; b) misure adottate per conseguire il traguardo di efficienza energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE; c) altre misure esistenti volte a promuovere l'energia rinnovabile nello Stato membro e, ove pertinente, a livello di Unione; d) l'obiettivo nazionale vincolante 2020 di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di cui all'allegato I della direttiva (EU) 2018/2001. e) le circostanze pertinenti che incidono sulla diffusione dell'energia rinnovabile, quali: i) l'equa distribuzione della diffusione nell'Unione; ii) le condizioni economiche e il potenziale, compreso il PIL pro capite; iii) il potenziale per una diffusione delle energie rinnovabili efficace sul piano dei costi; iv) i vincoli geografici, ambientali e naturali, compresi quelli delle zone e regioni non interconnesse; v) il livello di interconnessione elettrica tra gli Stati membri; vi) altre circostanze pertinenti, in particolare gli sforzi pregressi. [...] 2. Gli Stati membri assicurano collettivamente che la somma dei rispettivi contributi ammonti almeno all'obiettivo vincolante dell'Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001» (art. 5). «Se nel settore dell'energia rinnovabile, in base alla valutazione di cui all'art. 29, paragrafi 1 e 2, la Commissione conclude che uno o piu' punti di riferimento della traiettoria indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027, di cui all'art. 29, paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti di riferimento nazionali di cui all'art. 4, lettera a), punto 2, provvedono all'attuazione di misure supplementari entro un anno dal ricevimento della valutazione della Commissione, volte a colmare il divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali: a) misure nazionali volte ad aumentare la diffusione dell'energia rinnovabile; b) l'adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili nel settore del riscaldamento e raffreddamento di cui all'art. 23, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001; c) l'adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti di cui all'art. 25, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001; d) un pagamento finanziario volontario al meccanismo di finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla Commissione, come indicato all'art. 33; e) l'utilizzo dei meccanismi di cooperazione previsti dalla direttiva (UE) 2018/2001» (art. 32). 91. La legge 22 aprile 2021, n. 53, ha dettato «Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2018/2001, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili», demando al Governo, tra l'altro: la previsione, previa intesa con la Conferenza unificata, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il turismo, al fine del concreto raggiungimento degli obiettivi indicati nel Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC), di una disciplina per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita' dell'aria e dei corpi idrici, nonche' delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attivita' culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilita' delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonche' tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa, a tal fine osservando i seguenti indirizzi: 1) definizione dei criteri per l'individuazione di aree idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili, con indicazione di criteri per la ripartizione fra regioni e province autonome e previsione di misure di salvaguardia delle iniziative di sviluppo in corso che risultino coerenti con i criteri di localizzazione degli impianti preesistenti; 2) previsione di un termine di sei mesi per la realizzazione del processo programmatorio di individuazione delle aree; b) di assicurare il rispetto dei principi della minimizzazione degli impatti sull'ambiente, sul territorio e sul paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilita' dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo. 92. Il decreto legislativo n. 199/2021 costituisce «Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili» e si pone (art. 1) «l'obiettivo di accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese, recando disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in coerenza con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050», definendo «gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili al 2030, in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 e nel rispetto dei criteri fissati dalla legge 22 aprile 2021, n. 53», recando «disposizioni necessarie all' attuazione delle misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (di seguito anche: PNRR) in materia di energia da fonti rinnovabili, conformemente al Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (di seguito anche: PNIEC), con la finalita' di individuare un insieme di misure e strumenti coordinati, gia' orientati all'aggiornamento degli obiettivi nazionali da stabilire ai sensi del Regolamento (UE) n. 2021/1119, con il quale si prevede, per l'Unione europea, un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 percento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030». 93. L'art. 20 del decreto ha, in particolare, previsto che: con uno o piu' decreti del Ministro della transizione ecologica di concerto con il Ministro della cultura, e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono stabiliti principi e criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili, tenuto conto delle aree idonee ai sensi del comma 8; in via prioritaria, con i suddetti decreti si provvede a dettare i criteri per l'individuazione delle aree idonee all'installazione della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le modalita' per minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima porzione di suolo occupabile dai suddetti impianti per unita' di superficie, nonche' dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione di energia elettrica gia' installati e le superfici tecnicamente disponibili, e altresi' a indicare le modalita' per individuare superfici, aree industriali dismesse e altre aree compromesse, aree abbandonate e marginali idonee alla installazione di impianti a fonti rinnovabili; i decreti stabiliscono anche la ripartizione della potenza installata fra Regioni e Province autonome, prevedendo sistemi di monitoraggio sul corretto adempimento degli impegni assunti e criteri per il trasferimento statistico fra le medesime Regioni e Province autonome; nel dettare la disciplina delle aree idonee si tiene conto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita' dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonche' di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilita' delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonche' tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa; conformemente ai principi e criteri stabiliti dai decreti di cui al comma 1, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti, le Regioni individuano con legge le aree idonee; in sede di individuazione delle superfici e delle aree idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili sono rispettati i principi della minimizzazione degli impatti sull'ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale e sul paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilita' dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo; nelle more dell'individuazione delle aree idonee, non possono essere disposte moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione; le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee in attesa della disciplina di cui ai menzionati decreti attuativi, le aree idonee sono individuate ex lege dal medesimo decreto legislativo. 94. Come precedentemente rilevato (cfr. i punti da 15 a 29 della presente ordinanza), il decreto ministeriale 21 giugno 2024 non ha innovato il concetto di area non idonea contenuto nelle linee guida di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010. Queste, infatti, continuano a configurarsi come aree con «obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento [...] di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti». Detta incompatibilita', tuttavia, non si traduce in una preclusione assoluta, bensi' in «una elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione», che dovra' comunque risultare all'esito di specifica istruttoria. Ne consegue che, sotto tale profilo, la definizione contenuta nel decreto impugnato non innova in alcun modo il concetto di area non idonea quale gia' enucleato dalle linee guida. 95. In contrasto con tali indicazioni, l'art. 1, comma 5, della legge regionale Sardegna n. 20/2024 stabilisce che «E' vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non idonee cosi' come individuate dagli allegati A, B, C, D, E e dai commi 9 e 11». Tale previsione si pone in violazione degli artt. 117, primo e terzo comma della Costituzione in relazione agli artt. 20 del decreto legislativo n. 199/2021, alle disposizioni del decreto ministeriale 21 giugno 2024, nonche' al principio di massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabile come emergente dalla disciplina unionale sopra richiamata. L'inadeguatezza di una determinata area o di un determinato sito ad ospitare impianti da fonti rinnovabili, infatti, non puo' derivare da una qualificazione aprioristica, generale ed astratta, ma puo' soltanto conseguire all'esito di un procedimento amministrativo che consenta una valutazione in concreto delle inattitudini del luogo, in ragione delle relative specificita'. 96. L'impatto di un divieto di tale portata e', inoltre, del tutto incerto e, in ogni caso, si risolve in un severo limite all'individuazione delle zone disponibili per l'installazione degli impianti che, a termini dell'art. 15-ter, par. 1, secondo periodo, della Direttiva (UE) 2018/2001, devono essere commisurate «alle traiettorie stimate e alla potenza totale installata pianificata delle tecnologie per le energie rinnovabili stabilite nei piani nazionali per l'energia e il clima presentati a norma degli artt. 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999». 97. A questo riguardo, occorre infatti rilevare che le previsioni dell'art. 1, comma 5, lette in combinato disposto con gli allegati alla legge, prevedono una sterminata casistica di aree vietate, con un elenco di 45 pagine, definite peraltro sulla base di astratte esigenze di protezione non specificamente riferite a luoghi concreti, ricomprendendo non solo le aree e i beni specificamente tutelati, ma sostanzialmente la maggior parte del territorio regionale (cfr. ad es. riferimenti agli "Ulteriori elementi con valenza storico - culturale, di natura archeologica, architettonica e identitaria, quali beni potenziali non ricompresi nel Piano Paesaggistico vigente al momento dell'entrata in vigore della presente legge, ed aree circostanti che distano meno di 3 chilometri, in linea d'aria» - allegato A, lettera bb), allegato B, lett. y), allegato C, lett. bb), allegato D, lett. aa), allegato E, lett. bb)). Come dedotto dalla parte ricorrente, non smentita sul punto dalle parti intimate, la rete dei divieti previsti dalla legge regionale comprende circa il 98% del territorio regionale. 98. Peraltro, in forza dell'art. 32 del Regolamento (UE) 2018/1999, se la Commissione conclude che uno o piu' punti di riferimento della traiettoria indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027 non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti di riferimento nazionali possono essere tenuti all'adozione di misure supplementari, ivi incluso un pagamento finanziario volontario al meccanismo di finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla Commissione. La sottrazione indiscriminata di larga parte del territorio di una Regione alla possibilita' di installare impianti FER potrebbe, pertanto, implicare l'obbligo di adottare misure supplementari, con impatti anche sulle finanze pubbliche, ove ostacoli il raggiungimento degli obiettivi. 99. Nella misura in cui puo' ostacolare il raggiungimento degli obiettivi di potenza installata delle tecnologie per le energie rinnovabili, il divieto in questione si pone anche in posizione critica rispetto alla strategia di adattamento ai cambiamenti climatici dell'Unione. Come precedentemente ricordato, ai sensi dell'art. 5 del Regolamento (UE) 2021/1119, «Le istituzioni competenti dell'Unione e gli Stati membri assicurano il costante progresso nel miglioramento della capacita' di adattamento, nel rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita' ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7 dell'accordo di Parigi». Essi, inoltre, «garantiscono [...] che le politiche in materia di adattamento nell'Unione e negli Stati membri siano coerenti, si sostengano reciprocamente, comportino benefici collaterali per le politiche settoriali e si adoperino per integrare meglio l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna dell'Unione». 100. Come precisato dalla Commissione europea nella Comunicazione COM(2021)82 final sulla nuova Strategia dell'UE per l'adattamento ai cambiamenti climatici, «Il Green Deal europeo, la strategia di crescita dell'UE per un futuro sostenibile, si basa sulla consapevolezza che la trasformazione verde e' un'opportunita' e che la mancata azione ha un costo enorme. Con esso l'UE ha mostrato la propria leadership per scongiurare lo scenario peggiore - impegnandosi a raggiungere la neutralita' climatica - e prepararsi al meglio - puntando ad azioni di adattamento piu' ambiziose che si fondano sulla strategia dell'UE di adattamento del 2013. La visione a lungo termine prevede che nel 2050 l'UE sara' una societa' resiliente ai cambiamenti climatici, del tutto adeguata agli inevitabili impatti dei cambiamenti climatici. Cio' significa che entro il 2050, anno in cui l'Unione aspira ad aver raggiunto la neutralita' climatica, avremo rafforzato la capacita' di adattamento e ridotto al minimo la vulnerabilita' agli effetti dei cambiamenti climatici, in linea con l'accordo di Parigi e con la proposta di legge europea sul clima». Il raggiungimento dei target di potenza installata delle tecnologie rinnovabili costituisce, all'evidenza, un elemento centrale per conseguire nel lungo termine l'obiettivo della neutralita' climatica, che potrebbe essere posto seriamente a rischio da una disciplina, come quella censurata, che vieta in assoluto la realizzazione di impianti FER in aree non idonee. 101. Il divieto sembra anche contrastare con il principio di integrazione di cui all'art. 11 TFUE e all'art. 37 della Carta di Nizza, secondo cui «Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile». L'integrazione ambientale in tutti i settori politici pertinenti (agricoltura, energia, pesca, trasporti, ecc.) e' funzionale a ridurre le pressioni sull'ambiente derivanti dalle politiche e dalle attivita' di altri settori e per raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici. La previsione in generale delle aree non idonee come zone vietate solleva sul punto notevoli perplessita', in quanto non istituisce alcuna forma di possibile bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo un'indefettibile prevalenza dell'interesse alla conservazione dello stato dei luoghi, in contrasto con l'obiettivo del decreto stesso di promuovere l'uso dell'energia da fonti rinnovabili. 102. Da quanto precede risulta anche che la disciplina censurata confligge con il principio di proporzionalita', con violazione anche dell'art. 3 Cost. Come la Corte di giustizia ha piu' volte ribadito, «il principio di proporzionalita' e' un principio generale del diritto comunitario che dev'essere rispettato tanto dal legislatore comunitario quanto dai legislatori e dai giudici nazionali» (sentenza 11 giugno 2009, C- 170/08, 41). Il sindacato di proporzionalita' costituisce, inoltre, un aspetto del controllo di ragionevolezza delle leggi condotto dalla giurisprudenza costituzionale, onde verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Come la stessa Corte ha precisato, «Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di proporzionalita' utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimita' degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi» (Corte Costituzionale, sentenza n. 1 del 2014). 103. Inoltre, ai sensi dell'art. 9 Cost. la Repubblica tutela l'ambiente, la biodiversita' e gli ecosistemi «anche nell'interesse delle future generazioni», con cio' incorporando il principio di sviluppo sostenibile nell'ambito dei principi fondamentali in materia di tutela ambientale. L'incondizionato sacrificio di tale principio, quale sotteso al divieto in esame, contrasta, pertanto, con l'art. 3 Cost., nonche' con l'art. 9 citato e con la consolidata giurisprudenza costituzionale secondo cui «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe «tiranno» nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette [...]. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. [...] Il punto di equilibrio, proprio perche' dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di proporzionalita' e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte Costituzionale, sentenza n. 85 del 2013). 104. Peraltro, lo stesso decreto ministeriale prescrive, all'art. 7,comma 3, alle Regioni che, «nell'applicazione del presente comma deve essere contemperata la necessita' di tutela dei beni con la garanzia di raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A dell'art. 2 del presente decreto». Sul punto, occorre ricordare che, anche prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 199/2021, l'orientamento della giurisprudenza costituzionale era nel senso di ritenere illegittime norme regionali volte a sancire, in via generale e astratta, la non idoneita' di intere aree di territorio o a imporre, in maniera generalizzata ed aprioristica, limitazioni (Corte Costituzionale, sentenza n. 69 del 2018). Per costante giurisprudenza della Corte, infatti, le Regioni e le Province autonome sono tenute a rispettare i principi fondamentali contemplati dal legislatore statale (ex multis, sentenze n. 11 del 2022, n. 177 del 2021 e n. 106 del 2020) e, nel caso di specie, racchiusi nel citato decreto legislativo n. 199 del 2021 e nella disciplina di attuazione (quale il decreto ministeriale aree idonee). 105. I divieti posti dalla Regione Sardegna, e in particolare l'art. 1, comma 2, 5, 7 e 8 e i relativi allegati A, B, C, D ed E, violano pertanto i principi fondamentali posti dallo Stato nella materia di legislazione concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, espressi dal decreto legislativo n. 199 del 2021, nonche' dal decreto ministeriale 21 giugno 2024 e contrastano con gli artt. 3, 9, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in quanto incidono sul raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione fissati a livello europeo. 106. L'art. 1, inoltre, precisa che le disposizioni della legge si applicano a tutto il territorio regionale, ivi inclusi le aree e le superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o statale ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi. Non solo. La legge addirittura incide sui titoli autorizzatori e abilitativi gia' rilasciati, comminandone l'inefficacia, mentre in relazione ai progetti gia' realizzati prevede (al comma 8), che «Gli interventi di rifacimento, integrale ricostruzione, potenziamento [...] sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonche', nel caso di impianti eolici, un aumento dell'altezza totale dell'impianto". Ne deriva la violazione dei principi di uguaglianza, certezza del diritto e del legittimo affidamento, nonche' il diritto di liberta' di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost. Il legislatore regionale, infatti, ha imposto l'indiscriminata applicazione del nuovo regime a tutti gli operatori, senza differenziare la posizione di coloro che non hanno ancora presentato alcun progetto, che lo hanno sviluppato e gia' sottoposto alla valutazione dell'Autorita' amministrativa sostenendo i relativi costi di progettazione ovvero che abbiano gia' ottenuto le autorizzazioni e iniziato a sostenere i costi di realizzazione. In relazione ai progetti gia' realizzati, inoltre, la disciplina regionale da' luogo a un regolamento del tutto irrazionale, in cui le aree interessate dal progetto gia' realizzato e quelle contermini si trasformano, di fatto, in aree vietate ratione personae: il soggetto gia' titolare di un impianto, infatti, verrebbe privato della possibilita' di apportare modifiche a detto impianto che ne determinino in qualunque modo l'aumento della superficie occupata ovvero dell'altezza totale (per gli impianti eolici), senza che assumano alcuna rilevanza la qualificazione dell'areea (idonea, non idonea, ordinaria) e l'entita' delle modifiche, con violazione dei principi di uguaglianza, di ragionevolezza e di legittimo affidamento. 107. Al riguardo, occorre ricordare che secondo la giurisprudenza costituzionale il valore del legittimo affidamento, che trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa adottare disposizioni che modificano in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti. Cio' puo' avvenire, tuttavia, a condizione «che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (ex plurimis, sentenze n. 216 e n. 56 del 2015, n. 219 del 2014, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 83 del 2013, n. 166 del 2012 e n. 302 del 2010; ordinanza n. 31 del 2011). Nel caso di specie, invece, la Regione Sardegna ha emanato una legge che contravviene ai principi fondamentali della materia, quali derivanti dagli obblighi rinvenienti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e dalla relativa normativa statale di attuazione, senza preoccuparsi di operare alcun bilanciamento con tutti i valori in gioco, recedendo soltanto di fronte all'impossibilita' di fatto di ripristinare lo status quo. 108. Da quanto sopra discende anche la violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione, e quindi dell'art. 97 Cost. Oltre all'irragionevole impatto che la suddetta normativa determina su procedimenti gia' definiti, essa osta, infatti, a qualsivoglia possibilita' di realizzare, in sede amministrativa, il piu' opportuno bilanciamento degli interessi in gioco. A tale riguardo, non e' secondario osservare che, ai sensi dell'art. 20, comma 7, decreto legislativo n. 199/2021, «Le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee». Il riferimento specifico alla valutazione operata «in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti» attesta che la riserva di procedimento amministrativo per la dichiarazione di non idoneita', oltre che prevista dalle linee guida, e' sancita a livello di normazione primaria anche nel regime di cui ai decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 20, comma 1, del decreto, con conseguente impossibilita' per le regioni di impedire che tale valutazioni si compia mediante il divieto, stabilito in via generale e astratta per legge, di realizzare gli impianti nelle aree non idonee. 109. Non soccorre, al riguardo, la peculiare procedura prevista dall'art. 3 della legge che consente, su istanza dei comuni interessati, di proporre un'istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all'interno di un'area individuata come non idonea. Tale istanza, che gia' sotto il profilo della previsione dell'esclusiva competenza propositiva del comune suscita perplessita' per la commistione tra profili di valutazione politica e amministrativa, da' luogo a una procedura, da svolgersi in sede di conferenza di servizi, in cui e' pero' prevista l'unanimita' ai fini della realizzazione dell'intervento e l'inapplicabilita' dell'istituto del silenzio-assenso, dipartendosi all'ordinario funzionamento della conferenza dei servizi e del silenzio significativo di cui alla disciplina statale sul procedimento amministrativo, fonte che rappresenta la norma interposta, dalla cui violazione discende il contrasto con l'art 117, secondo comma, lett. m), che attribuisce alla Stato la potesta' legislativa esclusiva in determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Al riguardo, occorre ricordare che l'art. 29, comma 2-ter della legge n. 241/1990 stabilisce che «Attengono [...] ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, la segnalazione certificata di inizio attivita' e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilita' di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano», mentre ai sensi del comma 2-quater «Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela», con obbligo per le Regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di adeguare la propria legislazione a tali previsioni. 110. Non c'e' dubbio che la legge regionale sarda rechi un livello inferiore di tutela rispetto a quello garantito dalla disciplina statale, imponendo l'unanimita' dei consensi ed escludendo l'operativita' del silenzio-assenso. 111. Sotto altro profilo, occorre anche ricordare che, secondo un indirizzo consolidato del Giudice costituzionale, «[s]petta alla legislazione statale determinare presupposti e caratteristiche dell'autorizzazione paesaggistica, delle eventuali esenzioni e delle semplificazioni della procedura, in ragione della diversa incidenza delle opere sul valore intangibile dell'ambiente» (sentenza n. 246 del 2017). Si e', inoltre, affermato che «la legislazione regionale non puo' prevedere una procedura per l'autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perche' alle Regioni non e' consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l'autorizzazione paesaggistica» (sentenza n. 189 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 238 del 2013, n. 235 del 2011, n. 101 del 2010 e n. 232 del 2008)» (Corte Costituzionale, sentenza n. 74/2021). 112. La procedura prevista dall'art. 3 della legge regionale Sardegna n. 20/2024, istituendo un procedimento diverso anche in aree sottoposte a tutela culturale o paesaggistica per le quali la normativa statale (artt. 21 e 146 del Testo Unico dei beni culturali) fissa, per esigenze di uniformita' di trattamento, un procedimento autorizzatorio apposito da parte della soprintendenza competente, si pone anche in contrasto con l'art. 117, comma 2, lett. s), Cost., che assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». 113. Peraltro, la predetta disciplina e' in ogni caso un diretto portato dell'illegittimo divieto generalizzato di realizzare gli impianti in aree non idonee e non puo', pertanto, sfuggire alle medesime censure suesposte. 114. Per tutto quanto sopra, va sollevata questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 2, 5 e 7, e 3, nonche' dei relativi allegati A, B, C, D ed E, della Regione autonoma della Sardegna n. 20/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11, 41, 97 e 117, comma 1, 2, lett. m) e s), e 3, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal Regolamento (UE) 2021/1119, e altresi' dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 e degli artt. 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948. Sulla rilevanza delle questioni delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dalla parte ricorrente in relazione all'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024. 115. L'art. 20, comma 1-bis dell'art. 20 del d.lgs. n. 199/2021, come introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, definisce il perimetro delle aree agricole in cui e' consentita l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree idonee come prevista dal comma 8 del medesimo art. 20 nelle more dell'adozione della disciplina di cui al comma 1. In tale contesto, il decreto ministeriale impugnato ribadisce che il divieto previsto dal comma 1-bis si applica anche nel nuovo quadro regolatorio e vincola la potesta' legislativa regionale: ai sensi dell'art. 3, comma 1, infatti, le Regioni sono chiamate a individuare con legge, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, le aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra. 116. Il decreto ministeriale costituisce anche l'unico atto amministrativo che interviene nel processo di implementazione del divieto, atteso che: esso e' stabilito direttamente dalla legge statale; secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle aree in questione avviene con legge regionale; le aree cosi' individuate non sono non idonee, ma assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la valutazione, nel singolo procedimento, della compatibilita' dell'intervento con i valori confliggenti. 117. Al riguardo, occorre ricordare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale «un atto generale [...] e' immediatamente impugnabile quando incide senz'altro - senza la necessaria intermediazione di provvedimenti applicativi - sui comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV, 17.3.2022, n. 1937). Nel caso di specie, l'incidenza sui comportamenti degli operatori e' indubbia, derivando dal divieto cosi' previsto l'incondizionata preclusione agli interventi di nuova installazione sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis, decreto legislativo n. 199/2021, come pure degli interventi di modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti gia' installati che non siano collocati nelle aree di cui alla lettera dell'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021 e che comportino un incremento dell'area occupata. Ne deriva l'indiscutibile sussistenza dell'interesse di parte ricorrente all'impugnazione proposta. 118. Il decreto impugnato replica, peraltro, il divieto sancito dalla norma primaria, demandando alla legge regionale la sua pedissequa trasposizione, che determina ex se l'impossibilita' di condurre in porto i progetti menzionati. La perdurante vigenza e validita' della norma primaria impedisce qualsivoglia intervento demolitorio da parte del Collegio, recando il decreto una previsione del tutto conforme a legge. 119. In mancanza della declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 63/2024, la domanda di annullamento dell'art. 1 del decreto ministeriale , per la parte di interesse, dovrebbe essere rigettata. 120. Viceversa, laddove la norma incriminata fosse dichiarata incostituzionale, l'art. 1, comma 2, lett. d), del decreto potrebbe (e dovrebbe) essere annullato, ponendo a quel punto un divieto generalizzato che nessuna norma primaria contemplerebbe o autorizzerebbe e che, per le ragioni che saranno illustrate, collide con il principio di massima diffusione delle energie rinnovabili, quale desumibile dal diritto dell'Unione, dando peraltro luogo a una disciplina che non supera lo scrutinio di proporzionalita' e ragionevolezza. Il predetto divieto, peraltro, ha diretta incidenza sulla parte ricorrente, atteso che il progetto «Monreale», di cui e' depositata documentazione agli atti, rientra senz'altro tra gli interventi vietati ai sensi ai sensi del richiamato art. 5, non trovando per esso applicazione la norma di salvaguardia di cui al comma 2 del medesimo art. 5. Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' sollevate con il V e il VI motivo 121. Con il V e il VI motivo di ricorso la ricorrente ha in sostanza lamentato: la violazione dell'art. 117, commi primo e terzo, della Costituzione, in relazione, rispettivamente, alla Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili e all'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (attuazione della Direttiva 2001/77/CE): la norma contestata, nel prevedere il divieto di installazione di nuovi impianti FTV con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l'estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e, in particolare, con l'obiettivo di garantire la massima diffusione degli impianti FER, perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla direttiva 2001/77/CE, nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della quale e' stato emanato il decreto legislativo n. 199/2021. Sotto altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i principi generali dettati in materia dallo stesso Legislatore statale, in attuazione delle direttive europee, e in particolare con l'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici», e con le Linee guida del 2010, introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo le quali le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei e l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare porzioni significative del territorio; la violazione e falsa applicazione dell'art. 9 Cost., dell'art. 15 della Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, del principio di proporzionalita', dell'art. 11 del TFUE, dell'art. 41 Cost.: la scelta di introdurre un generale e indiscriminato divieto a realizzare impianti FTV con moduli a terra su aree urbanisticamente campite come «agricole» risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione delle fonti rinnovabili in modo da incidere sugli obiettivi di tutela dell'ambiente perseguiti, dando luogo a una disciplina sproporzionata, in contrasto con il principio di integrazione delle tutele e con la stessa tutela dei valori ambientali. 122. Il Collegio ritiene che la disciplina censurata presenti profili di contrasto con gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., sotto il profilo del mancato rispetto «dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario» e, in particolare, del principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, derivante dalla normativa europea. 123. Per il richiamo del quadro normativo unionale e' sufficiente rinviare ai punti da 72 a 90 della presente ordinanza. 124. E' sufficiente ora ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, la normativa eurounitaria (nonche' quella nazionale) e' ispirata nel suo insieme al principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, che tra l'altro «trova attuazione nella generale utilizzabilita' di tutti i terreni per l'inserimento di tali impianti, con le eccezioni [...] ispirate alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti» (Corte Costituzionale, sentenza n. 13 del 2014). 125. La disciplina originariamente contenuta nell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021, relativa all'individuazione delle aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, non prevedeva alcuna preclusione indiscriminata rispetto all'utilizzo di terreni classificati agricoli. 126. Il comma 3 stabilisce, in effetti, che «nella definizione della disciplina inerente le aree idonee, i decreti di cui al comma 1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita' dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonche' di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili». Tale disposizione contempla bensi' un'esigenza di tutela delle aree agricole, ma da un lato non pone alcuna preclusione assoluta e, dall'altro, stabilisce chiaramente che le superfici agricole non utilizzabile costituiscono, tra le altre, aree privilegiate per l'installazione degli impianti. 127. Il comma 7 prevede, a sua volta, che «Le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee». 128. Il comma 8, inoltre, nell'individuare transitoriamente le aree idonee sino all'entrata in vigore della disciplina prevista dal comma 1, vi include, «fatto salvo quanto previsto alle lettere a), b), c), c-bis) e c-ter), le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici di cui all'art. 142, comma 1, lettera h), del medesimo decreto, ne' ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell'art. 136 del medesimo decreto legislativo». 129. Il nuovo comma 1-bis stravolge completamente l'assetto previgente, prevedendo che «L'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti gia' installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonche' le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter, numeri 2) e 3), del comma 8 del presente art.. Il primo periodo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunita' energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del presente decreto nonche' in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) di cui all'art. 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR». 130. In definitiva, in base alla norma introdotta dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra possono essere realizzati soltanto: a) nei siti ove sono gia' installati impianti della stessa fonte, nei limiti degli interventi di modifica, rifacimento, potenziamento o ricostruzione, senza incremento dell'area occupata; b) presso cave e miniere cessate, non recuperate o abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, o le porzioni di cave e miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento; c) presso i siti e gli impianti nelle disponibilita' delle societa' del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e dei gestori di infrastrutture ferroviarie nonche' delle societa' concessionarie autostradali; d) presso i siti e gli impianti nella disponibilita' delle societa' di gestione aeroportuale all'interno dei sedimi aeroportuale; e) nelle aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti e in quelle classificate agricole racchiuse in un perimetro i cui punti distino non piu' di 500 metri dal medesimo impianto o stabilimento; f) nelle aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza non superiore a 300 metri. 131. Dalla richiamata elencazione si desume che, in sostanza, la generalita' dei terreni classificati agricoli (circa la meta' della superficie del Paese) e' preclusa a qualsiasi intervento di installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra che non che non consista nel mero rifacimento/modifica/ricostruzione, con conseguente preclusione all'utilizzo di nuovo terreno agricolo. 132. Il divieto non riguarda i progetti attuativi di misure finanziate con il PNRR o il PNC, che tuttavia non comprendono tutti i progetti necessari al raggiungimento dei target previsti dal PNIEC, che e' lo strumento previsto dalla normativa eurounitaria per conseguire gli obiettivi vincolanti dell'Unione per la quota di energia rinnovabile. Gia' tale circostanza evidenzia che un divieto di tale portata rischia di mettere seriamente a rischio il conseguimento di tali obiettivi, nella misura in cui sottrae una larga porzione del territorio a ogni possibile utilizzo della tecnologia fotovoltaica senza che ne siano prevedibili gli effetti in ordine alla possibilita' di rispettare le traiettorie stabilite in merito alla quota di energia da fonti rinnovabili. Tenuto conto dello stato di attuazione della disciplina di cui all'art. 20, comma 1, decreto legislativo n. 199/2021, nonche' degli ampi margini di flessibilita' che il decreto 21 giugno 2024 lascia alle regioni per l'individuazione delle aree non idonee, l'impatto di tale divieto e' del tutto incerto e, in ogni caso, si risolve in un severo limite all'individuazione delle zone disponibili per l'installazione degli impianti che, a termini dell'art. 15-ter, par. 1, secondo periodo, della Direttiva (UE) 2018/2001, devono essere commisurate «alle traiettorie stimate e alla potenza totale installata pianificata delle tecnologie per le energie rinnovabili stabilite nei piani nazionali per l'energia e il clima presentati a norma degli artt. 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999». 133. Peraltro, si e' gia' visto che, in forza dell'art. 32 del Regolamento (UE) 2018/1999, se la Commissione conclude che uno o piu' punti di riferimento della traiettoria indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027 non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti di riferimento nazionali possono essere tenuti all'adozione di misure supplementari, ivi incluso un pagamento finanziario volontario al meccanismo di finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla Commissione. La sottrazione indiscriminata di larga parte del territorio nazionale all'utilizzo della tecnologia fotovoltaica potrebbe, pertanto, implicare l'obbligo di adottare misure supplementari, con impatti anche sulle finanze pubbliche, ove ostacoli il raggiungimento degli obiettivi. 134. La preclusione generalizzata all'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra sembra inoltre contrastare con il principio per cui, nell'ambito del processo di individuazione delle zone necessarie per i contributi nazionali all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile per il 2030 ai sensi del paragrafo 1 dell'art. 15-ter della Direttiva (UE) 2018/2001, «Gli Stati membri favoriscono l'uso polivalente delle zone di cui al paragrafo 1. I progetti in materia di energia rinnovabile sono compatibili con gli usi preesistenti di tali zone» (art. 15-ter, par. 3). Come gia' rilevato, il considerando (27) della Direttiva precisa che «Gli Stati membri dovrebbero esplorare, consentire e favorire l'uso polivalente delle zone individuate a seguito delle misure di pianificazione territoriali adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli Stati membri agevolino, ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare, purche' i diversi usi e attivita' siano compatibili tra di loro e possano coesistere". Il divieto introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 istituisce, invece, un insanabile conflitto tra l'utilizzo della tecnologia fotovoltaica con moduli collocati a terra e l'uso del suolo a fini agricoli che, tuttavia, non sussiste (o sussiste solo in parte) quantomeno per la tecnologia agrivoltaica (anche non avanzata). 135. Nella misura in cui puo' ostacolare il raggiungimento degli obiettivi di potenza installata delle tecnologie per le energie rinnovabili, anche il divieto in questione, come osservato nell'ambito dell'esposizione relativa alla legge regionale sarda (v. punti 99 e 100 della presente ordinanza), si pone in posizione critica rispetto alla strategia di adattamento ai cambiamenti climatici dell'Unione, in quanto il raggiungimento dei target di potenza installata delle tecnologie rinnovabili costituisce, all'evidenza, un elemento centrale per conseguire nel lungo termine l'obiettivo della neutralita' climatica, che potrebbe essere posto seriamente a rischio da una disciplina, come quella censurata, che vieta sul tutto il territorio nazionale la tecnologia fotovoltaica con pannelli collocati a terra su tutti i terreni classificati agricoli, corrispondenti a oltre la meta' della superficie nazionale. 136. Anche tale divieto sembra contrastare con il principio di integrazione di cui all'art. 11 TFUE e all'art. 37 della Carta di Nizza. Il divieto introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, nel contesto di una disciplina di attuazione della Direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili quale obiettivo della politica energetica dell'Unione, solleva sul punto notevoli perplessita': da un lato, infatti, si inserisce nel complesso delle previsioni dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 quale corpo tendenzialmente estraneo, tant'e' che le relative previsioni non risultano neppure adeguatamente coordinate con il resto dell'articolato (v., ad esempio, il comma 3 del medesimo art. 20, laddove prevede che i decreti di cui al comma 1 verifichino, tra l'altro, «l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili»); dall'altro lato, la norma non istituisce alcuna forma di possibile bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo un'indefettibile prevalenza dell'interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni classificati agricoli senza alcuna considerazione finanche della loro possibile, concreta utilizzabilita' a fini agricoli, in contrasto con l'obiettivo del decreto stesso di promuovere l'uso dell'energia da fonti rinnovabili. 137. Da quanto precede risulta anche che la disciplina censurata confligge con il principio di proporzionalita', con violazione anche dell'art. 3 Cost. Innanzitutto, la misura censurata consiste in un divieto generalizzato e assoluto all'utilizzo, su un'ampia parte del territorio nazionale, di una determinata tecnologia a fonti rinnovabili. Si tratta di una soluzione del tutto diversa rispetto a quella adottata in funzione di tutela di tutti gli altri valori che entrano in bilanciamento con il principio di massima diffusione delle fonti rinnovabili: le esigenze di tutela dell'ambiente, della biodiversita', dei beni culturali e del paesaggio passa, infatti, attraverso l'individuazione di aree non idonee che, come in precedenza chiarito, non rappresentano aree vietate, bensi' zone in cui, in ragione delle esigenze di protezione in concreto esistenti, e' altamente verosimile un esito negativo della valutazione di compatibilita' dei progetti. Cio', peraltro, non osta alla possibilita' di verificare, in concreto e nell'ambito dei singoli procedimenti autorizzativi, eventuali margini di compatibilita' degli interventi proposti. L'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 stabilisce, invece, una prevalenza assoluta e incondizionata dell'interesse alla conservazione dei suoli classificati agricoli, valutata in astratto dal legislatore e che non consente la pur minima possibilita' di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo costituzionale. 138. Inoltre, si e' visto che ai sensi dell'art. 9 Cost. la Repubblica tutela l'ambiente, la biodiversita' e gli ecosistemi «anche nell'interesse delle future generazioni», con cio' incorporando il principio di sviluppo sostenibile nell'ambito dei principi fondamentali in materia di tutela ambientale. L'incondizionato sacrificio di tale principio, quale sotteso al divieto in esame, contrasta, pertanto, con l'art. 3 Cost., nonche' con l'art. 9 citato e con la consolidata giurisprudenza costituzionale secondo cui «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe «tiranno» nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette [...]. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. [...] Il punto di equilibrio, proprio perche' dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di proporzionalita' e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte Costituzionale, sentenza n. 85 del 2013). 139. Sotto altro profilo, il divieto cosi' introdotto e' operativo a partire dalla mera classificazione dell'area come agricola in base ai piani urbanistici, senza che alcuna rilevanza assumano il suo concreto utilizzo o la sua utilizzabilita' a tali fini. Anche per tale riguardo la disposizione si mostra irragionevole e sproporzionata, in quanto la dichiarata finalita' di contrastare il consumo di suolo agricolo non e' riscontrabile (o quantomeno non nei termini incondizionati e assoluti previsti dalla norma) in relazione alle superfici agricole non utilizzabili o degradate. Manca, inoltre, qualsivoglia considerazione della qualita' e dell'importanza delle colture. 140. In raffronto, le attuali linee guida di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010 prevedono che: le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei; l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle Regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento unico e della procedura di Valutazione dell'Impatto Ambientale nei casi previsti; le Regioni possono procedere ad indicare come aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni territoriali o del paesaggio, tra cui le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualita' (produzioni biologiche, produzioni D.O.P., I.G.P., S.T.G., D.O.C., D.O.C.G., produzioni tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale, anche con riferimento alle aree, se previste dalla programmazione regionale, caratterizzate da un'elevata capacita' d'uso del suolo. 141. Una siffatta, contestualizzata disciplina risulta conforme alle indicazioni emergenti in sede europea, per cui «Gli Stati membri dovrebbero limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui non puo' essere sviluppata l'energia rinnovabile («zone di esclusione»). Essi dovrebbero fornire informazioni chiare e trasparenti, corredate di una giustificazione motivata, sulle restrizioni dovute alla distanza dagli abitati e dalle zone dell'aeronautica militare o civile. Le restrizioni dovrebbero essere basate su dati concreti e concepite in modo da rispondere allo scopo perseguito massimizzando la disponibilita' di spazio per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile, tenuto conto degli altri vincoli di pianificazione territoriale» (cfr. la Raccomandazione (UE) 2024/1343 della Commissione del 13 maggio 2024 sull'accelerazione delle procedure autorizzative per l'energia da fonti rinnovabili e i progetti infrastrutturali correlati). La disciplina posta dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 si traduce, invece, nell'esatto opposto, ponendo un divieto che massimizza le zone di esclusione, non fondato su dati concreti e certamente non rispondente all'obietto di massimizzare la disponibilita' di spazio per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile. Questioni da sottoporre alla Corte costituzionale 142. In ragione di tutto quanto sopra, sono rilevanti (per quanto illustrato ai punti 62 ss. della presente ordinanza) e non manifestamente infondate (secondo quanto evidenziato ai punti 67 ss.) le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 2, 5, 7 e 8, e 3, nonche' dei relativi allegati A, B, C, D ed E, della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 20/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11, 41, 97 e 117, commi 1, 2, lett. m) e s), e 3, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal Regolamento (UE) 2021/1119, e altresi' dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 e degli artt. 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948. 143. Sono, altresi', rilevanti (per quanto illustrato ai punti 115 ss. della presente ordinanza) e non manifestamente infondate (secondo quanto evidenziato ai punti 121 ss.) le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal Regolamento (UE) 2021/1119. 144. Occorre solo aggiungere che le questioni di costituzionalita' sollevate in relazione al citato art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 63/2024 vanno del pari riferite all'art. 5, comma 2, laddove pone una disciplina di salvaguardia che ha quale presupposto il divieto di cui al comma 1, nonche' all'art. 2, comma 2, primo periodo, decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, recante «Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili», ove prevede che «Gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, sono considerati di pubblica utilita', indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199». Tale disposizione, infatti, riproduce il divieto di cui al citato art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024. 145. Il presente giudizio va quindi sospeso per le determinazioni conseguenti alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. 146. Il regolamento delle spese va rinviato all'esito del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) cosi' dispone: a) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, nei termini espressi in motivazione, le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 2, 5, 7 e 8, e 3, nonche' dei relativi allegati A, B, C, D ed E, della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 20/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11, 41, 97 e 117, comma 1, 2, lett. m) e s), e 3, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal Regolamento (UE) 2021/1119, e altresi' dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 e degli artt. 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948; b) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, nei termini espressi in motivazione, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1 e 2, decreto-legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo periodo, decreto legislativo n. 190/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal Regolamento (UE) 2021/1119; c) sospende il giudizio per le determinazioni conseguenti alla definizione dell'incidente di costituzionalita' e, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; d) dispone la comunicazione della presente ordinanza alle parti in causa, nonche' la sua notificazione al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei deputati, al Presidente della Regione autonoma della Sardegna e al Presidente del Consiglio regionale sardo; e) rinvia ogni ulteriore statuizione all'esito del giudizio incidentale promosso con la presente ordinanza. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati: Elena Stanizzi, Presidente; Luca Biffaro, referendario; Marco Savi, referendario, estensore. Il Presidente: Stanizzi L'estensore: Savi