Reg. ord. n. 3 del 2025 pubbl. su G.U. del 29/01/2025 n. 5
Ordinanza del Tribunale di Bologna del 17/12/2024
Tra: V. R.
Oggetto:
Reati e pene – Favoreggiamento della prostituzione – Trattamento sanzionatorio - Previsione della reclusione da due a sei anni anziché fino a sei anni - In subordine: mancata previsione della possibilità di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi di lieve entità – Contrasto con i principi di uguaglianza-ragionevolezza e di proporzionalità della sanzione penale.
Norme impugnate:
legge
del 20/02/1958
Num. 75
Art. 3
Co. 1
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 3 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 dicembre 2024
Ordinanza del 17 dicembre 2024 del Tribunale di Bologna nel
procedimento penale a carico di V. R., A. A. e E. G..
Reati e pene - Favoreggiamento della prostituzione - Trattamento
sanzionatorio - Previsione della reclusione da due a sei anni
anziche' fino a sei anni - In subordine: mancata previsione della
possibilita' di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi
di lieve entita'.
- Legge 20 febbraio 1958, n. 75 (Abolizione della regolamentazione
della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della
prostituzione altrui), art. 3, primo comma, numero 8).
(GU n. 5 del 29-01-2025)
TRIBUNALE DI BOLOGNA
Sezione prima penale
Il Tribunale, in composizione collegiale, composta dai seguenti
magistrati:
dott. Massimiliano Cenni, presidente;
dott. Claudia Gualtieri, giudice;
dott. Ines Rigoli, giudice,
nel proc. pen. n. 4514/22 r.g. dib. - 2809/22 r.g.n.r. indicato in
epigrafe a carico di V. R., E. G. e A. A. generalizzati in atti, del
reato di favoreggiamento della prostituzione di cui all'art. 3, comma
1, n. 8) della legge 20 febbraio 1958, n. 75;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto di seguito
piu' approfonditamente esposto, in applicazione degli articoli 134
della Costituzione, 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23
legge 11 marzo 1953, n. 87, ha pronunciato la presente ordinanza;
1. Il Tribunale dubita della legittimita' costituzionale
dell'art. 3, comma 1, n. 8) della legge 20 febbraio 1958, n. 75,
nella parte in cui commina la pena della reclusione «da due a sei
anni» anziche' «fino a sei anni» o, comunque, non prevede la
possibilita' di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi di
minore gravita', determinando l'applicazione di un regime
sanzionatorio irragionevole e sproporzionato rispetto alle
circostanze di fatto del caso concreto nonche' alle finalita' di
tutela della dignita' della persona sottese alla fattispecie.
2. Gli imputati sono stati tratti a giudizio per rispondere del
delitto di favoreggiamento della prostituzione previsto dall'art. 3,
comma 1, n. 8) della legge 20 febbraio 1958, n. 75, che punisce, con
la pena della reclusione da due a sei anni, «chiunque in qualsiasi
modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui».
Al sig. G. viene contestato di aver favorito la prostituzione
della sig.ra V. C. con una pluralita' di azioni distinte, esecutive
di un medesimo disegno criminoso, consistite nell'aver stipulato con
la stessa un contratto di lavoro, in realta' simulato, per
consentirle di ottenere il rilascio (o il rinnovo) del permesso di
soggiorno nonche' nell'averla accompagnata sui luoghi ove era solita
prostituirsi, premurandosi, poi, di riaccompagnarla presso la sua
abitazione di residenza.
Al sig. R. viene contestato di aver favorito la prostituzione di
tre ragazze (V. O., D. Q. e D. M.), con una pluralita' di azioni
esecutive del medesimo disegno criminoso, consistite nello stipulare
il contratto di locazione di un appartamento, poi ceduto ad O. V.
affinche' la stessa vi potesse esercitare la prostituzione, nel
contrarre matrimonio simulato con D. Q., cosi' consentendole di
ottenere il rilascio del permesso di soggiorno, nonche' accompagnando
abitualmente la Q. e La D. sui luoghi ove erano solite prostituirsi,
riaccompagnandole poi presso le rispettive abitazioni di residenza.
Al sig. A. viene contestato di aver favorito la prostituzione di
due ragazze (L. S. e E. T.), con una pluralita' di azioni esecutive
del medesimo disegno criminoso, consistite nello stipulare il
contratto di locazione di un appartamento, poi ceduto in uso alla T.
affinche' vi potesse esercitare la prostituzione, nel contrarre
matrimonio simulato con L. S., cosi' consentendole di ottenere il
rilascio del permesso di soggiorno, nonche' nell'accompagnare
abitualmente la L. sui luoghi del meretrico, premurandosi, poi, di
riaccompagnarla presso la sua rispettiva abitazione di residenza.
Coinvolgendo le condotte di questi ultimi due imputati piu' di
una ragazza (rispettivamente due e tre), per esse e' contestata anche
l'aggravante di cui all'art. 4, comma 1, n. 7) della legge n.
75/1958, che prevede un raddoppio del trattamento sanzionatorio per
le ipotesi in cui il fatto risulti commesso ai danni di piu' persone.
3. In punto di rilevanza della questione, e' sufficiente
osservare che a tutti e tre gli imputati e' contestata, sia pure
unitamente ad altre, la condotta consistita nell'accompagnare le
ragazze nei luoghi di meretricio, la quale assume nel contesto
dell'imputazione un ruolo centrale.
Il servizio di trasporto che caratterizza tutte e tre i capi di
imputazione veniva eseguito dagli imputati in assenza di alcun
compenso e su richiesta esplicita delle ragazze, le quali chiedevano
loro la cortesia di poter fruire di un passaggio e di evitare, cosi',
di dover prendere i mezzi pubblici.
Peraltro, e' emerso che uno degli imputati, G., si mostrava
spesso contrario al fatto che la sig. C. (della quale e' accusato di
aver favorito la prostituzione) si prostituisse e, essendo i due
legati da una relazione sentimentale, le manifestava in piu'
occasioni la propria gelosia, cercando di dissuaderla dall'avere
rapporti sessuali con altre persone e dallo svolgere tale attivita'.
Litigavano frequentemente per questi motivi e lui acconsentiva,
quindi, ad accompagnarla nei luoghi in cui era solita prostituirsi,
cosi' come dal medico o in ogni altro posto in cui dovesse recarsi,
per ragioni essenzialmente riconducibili al loro rapporto personale.
Ne' pare errato considerare, con riguardo a tutti e tre gli
imputati, che le loro condotte, oltre ad essere state animate da un
intento solidaristico, aspiravano a tutelare le persone offese sotto
il profilo sia della loro sicurezza personale, evitando che
rimanessero sole per strada nei luoghi in cui si svolgeva l'attivita'
di prostituzione.
Una valutazione globale del caso concreto, che tenga conto delle
modalita' esecutive, dei mezzi utilizzati e dell'intensita' della
lesione del bene giuridico protetto, pur non consentendo di formulare
un giudizio di atipicita' della condotta in ragione dell'ampiezza del
dato normativo e del diritto vivente che su di esso si e' formato,
rivela la possibilita' di considerare tali fatti come di minore
gravita'.
Sotto il profilo della tipicita' della condotta, infatti, la
giurisprudenza e' assolutamente costante nell'interpretare la
fattispecie in senso piuttosto ampio, ritenendo che: «Il reato di
favoreggiamento della prostituzione si perfeziona con ogni forma di
interposizione agevolativi e con qualunque attivita' che sia idonea a
procurare piu' facili condizioni per l'esercizio del meretricio e
venga posta in essere dall'agente con la consapevolezza di facilitare
l'altrui attivita' di prostituzione, senza che abbia rilevanza il
movente od il fine di tale condotta» (Cass. pen., sez. 3, Sentenza n.
15502/2019).
Vi sono plurime decisioni che riconducono in maniera netta la
condotta degli imputati, consistita nell'accompagnare abitualmente
una o piu' donne nel luogo in cui esse esercitavano il meretricio,
all'ipotesi di favoreggiamento (si v., ex multis, Cassazione penale,
Sez. 3, n. 11575 del 4 febbraio 2009 ud., dep. 17 marzo 2009, in Ced.
Cassazione Rv. 243121 - 01; Cassazione pen., Sez. 3, n. 15502 del 15
febbraio 2019 ud., dep. 9 aprile 2019, in Ced. Cassazione Rv. 275843
- 01; Cassazione pen., sez. 3, n. 54205/2018).
La rilevanza della condotta sul piano oggettivo viene esclusa
unicamente nel caso in cui l'agente sia un cliente che, dopo la
consumazione del rapporto, riaccompagni la donna nel luogo di
esercizio della prostituzione, con cio' creando plurime difficolta'
sul piano dell'accertamento dei fatti. In questo caso, secondo la
giurisprudenza di legittimita' difetterebbe la posizione di terzieta'
del favoreggiatore rispetto agli attori necessari (prostituta e
cliente) e l'attivita' di intermediazione tra offerta e domanda
diretta a realizzare il futuro accordo relativo alla prestazione
sessuale (Cass. pen., sez. 3, sentenza n. 36392 del 18 maggio 2011
ud., dep. 7 ottobre 2011, in Ced. Cassazione Rv. 251232 - 01). Al di
la' di tali requisiti oggettivi, tale condotta accessoria al rapporto
sessuale mercenario non appare meritevole di sanzione perche' e'
antitetica rispetto alla ratio dell'incriminazione, essendo animata
da un sentimento di cortesia e di rispetto della prostituta e della
sua stessa dignita'.
Avendo il legislatore parificato, sotto il profilo sanzionatorio,
le condotte di favoreggiamento e di sfruttamento, la giurisprudenza
ha, poi, ricondotto alla seconda fattispecie i casi in cui l'agente
risulti aver tratto un indebito vantaggio economico dall'attivita' di
prostituzione, anche a seguito di spontanea iniziativa di cessione
del ricavato da parte della stessa prostituta (Cass. pen., sez. 3,
sentenza n. 15502 del 15 febbraio 2019 ud., dep. 9 aprile 2019, in
Ced. Cassazione Rv. 275843 - 01).
Il fatto che la distinzione tra le due ipotesi - pur incidendo
sulle dinamiche dell'istruttoria dibattimentale - non trovi alcuna
ricaduta sul piano delle conseguenze sanzionatorie, imbrigliando il
giudizio entro il medesimo quadro punitivo, determina, in tutta
evidenza, un primo squilibrio, peraltro sottolineato dagli interpreti
piu' autorevoli sin dall'introduzione della fattispecie.
Appare, poi, irragionevole che non vi sia la possibilita' di
graduare la risposta sanzionatoria rispetto a condotte che, pur
avendo avuto l'inevitabile conseguenza di agevolare, anche solo
temporaneamente, la prostituzione, siano espressione di un'istanza di
tutela nei confronti della persona individualmente e volontariamente
coinvolta in tale attivita'.
L'ampiezza della littera legis e la stabilita' del diritto
vivente non consentono, dunque, di operare una diversa
interpretazione, anche in ragione dei principi ermeneutici sviluppati
dalle sentenze n. 141 e 278 del 2019 della Corte costituzionale, di
cui si dira' oltre.
L'irragionevolezza di un cosi' gravoso trattamento sanzionatorio
non puo', poi, considerarsi mitigata dalla possibilita' di applicare
le diminuzioni di pena conseguenti ad eventuali attenuanti, anche
generiche, o ancora di ritenere il fatto non punibile ai sensi
dell'art. 131-bis del codice penale (per vero non applicabile in caso
di comportamenti abituali o reiterati), ovvero di accedere alla
sospensione condizionale della pena o comunque a pene sostitutive di
carattere non detentivo.
In primo luogo, in ossequio alla ricostruzione fatta propria
dalla Corte costituzionale, l'attribuzione alla fattispecie de qua di
un ruolo di presidio della dignita' della persona, ossia di un bene
indisponibile, impedisce di poter attribuire rilevanza, ad esempio,
alla sussistenza o meno di un consenso (o financo di una richiesta
come nel caso di specie), delle persone coinvolte nell'attivita' di
favoreggiamento attraverso l'ipotesi del concorso doloso della
persona offesa (art. 62, comma 1, n. 5) del codice penale. Cio'
pregiudica, quindi, un ulteriore strumento di possibile mitigazione
della risposta sanzionatoria per quei casi in cui l'interazione tra
l'agente e la prostituta arreca a quest'ultima un vantaggio o,
comunque, le assicura una forma di tutela.
Quanto alle circostanze attenuanti generiche, come piu' volte
ribadito dalla Corte costituzionale, esse non hanno la funzione di
riequilibrare un trattamento sanzionatorio gia' in partenza
sproporzionato rispetto alle esigenze di tutela del bene giuridico ma
solo quella di consentire al giudice di attribuire rilevanza a
specifiche e puntuali caratteristiche del singolo fatto o del suo
autore, «senza che, invece, il giudice sia di fatto costretto a
riconoscere le attenuanti generiche al solo scopo di evitare
l'irrogazione di una pena sproporzionata, altrimenti imposta dal
minimo edittale, in relazione all'esiguo disvalore del fatto
concreto» (Corte cost. n. 197 del 2023, n. 63 del 2022, n. 46 del
2024).
Il medesimo principio e' stato applicato dalla Corte
costituzionale con riguardo alla possibilita' di invocare l'istituto
di cui al 131-bis c.p., volto ad accertare la meritevolezza di punire
determinati fatti che, pur avendo superato la soglia di offensivita',
appaiono immeritevoli di sanzione sotto il profilo dell'effettivo
«bisogno di pena».
Peraltro, con riferimento alla fattispecie in esame, rileva anche
il fatto che la giurisprudenza considera il favoreggiamento della
prostituzione come un'ipotesi di reato eventualmente abituale, che si
puo', cioe', configurare tanto in un'unica condotta quanto nella
reiterazione di piu' azioni omogenee le quali, pur costituendo di per
se' reato se considerate isolatamente, danno vita ad un unico reato
(Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 364 del 17 settembre 2019 ud., dep.
9 gennaio 2020, in Ced. Cassazione Rv. 278392 - 04). Tale profilo di
«potenziale abitualita'» - oltre a rafforzare la necessita' che vi
sia uno strumento effettivo sul piano della dosimetria sanzionatoria
che consenta di differenziare condotte dotate di una diversa
«intensita' temporale» - restringe, evidentemente, le potenzialita'
applicative dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p.
Inoltre, occorre tenere presente che la cornice edittale del
reato impedisce l'accesso all'istituto della sospensione del processo
con messa alla prova (art. 168-bis c.p.), che postula l'applicazione
di una pena non superiore nel massimo a quattro anni, senza tenere
conto delle circostanze del reato. Tale richiesta e' stata, peraltro,
formulata dalla difesa del sig. G. e rigettata dal Tribunale con
ordinanza del 17 gennaio 2023 proprio per queste ragioni.
4. Sempre sul piano della rilevanza, appare, poi, necessario
considerare che l'art. 4 della legge citata prevede una serie di
circostanze aggravanti ad effetto speciale che, nel determinare un
raddoppio secco della pena, appaiono espressione di un rigore
sanzionatorio che appare incompatibile con i principi costituzionali
che informano l'illecito penale.
Tra queste vi e', appunto, quella, contestata nell'ipotesi in
esame ai sig.ri R. e A., relativa al caso in cui la condotta di
favoreggiamento abbia coinvolto piu' persone (art. 4, n. 7);
circostanza che ha natura oggettiva e che comporta un automatico
raddoppio della pena.
Le considerazioni che seguono sono, quindi, rivolte ad
evidenziare la rilevanza della questione con riguardo alla posizione
specifica del sig. R. il quale, per aver accompagnato due ragazze nei
luoghi ove queste erano solite prostituirsi, dovrebbe essere punito
con una pena rientrante nella cornice edittale raddoppiata rispetto
alla fattispecie base e che, quindi, dovra' attestarsi tra un minimo
di quattro fino ad un massimo di dodici anni di reclusione.
Al netto dell'abitualita' della condotta, la fissazione del
minimo edittale in due anni di reclusione per la fattispecie base
preclude di fatto al sig. R. - a differenza degli altri imputati - la
possibilita' di utilizzare lo strumento dell'art. 131-bis del codice
penale in ragione del raddoppio derivante, appunto, dall'applicazione
dell'aggravante in esame.
Ne' vi sono strumenti che consentano di contrastare o mitigare,
sulla base di altri indici fattuali meritevoli di apprezzamento
(come, ad esempio, l'occasionalita' delle condotte o la scarsa
incidenza di queste sulla sfera personale dei soggetti coinvolti),
l'automatismo sanzionatorio della circostanza in questione.
La giurisprudenza di legittimita' ha, invero, chiarito che la
circostanza aggravante in parola costituisce una deroga agli istituti
della continuazione e del concorso formale di reati, in quanto rende
unico il fatto commesso mediante piu' condotte in danno di piu'
persone, prescindendo dalla simultaneita' della loro prostituzione,
essendo sufficiente che l'attivita' sia esplicata o contestualmente
nei confronti di due o piu' persone, ovvero in successione temporale
nei riguardi di una o dell'altra; ne consegue che tale circostanza e'
compatibile con la continuazione solo in presenza di piu' fatti,
ciascuno dei quali commesso in danno di piu' persone, che
costituiscano autonomi reati ai sensi dell'art. 3, legge n. 75 del
1958, ovvero nel caso di rapporti intersoggettivi distinti, quando
alla cessazione di plurimi episodi di contemporaneo favoreggiamento o
sfruttamento della prostituzione di piu' persone segua la commissione
di altre condotte analoghe (Cass. pen., sez. 3, sentenza n. 20847 del
13 febbraio 2020 ud., dep. 15 luglio 2020, in Ced. Cassazione, Rv.
279705 - 01).
Tale scelta legislativa - oltre ad aver determinato uno
spostamento in avanti del termine prescrizionale, che viene, infatti,
individuato dal diritto vivente con riferimento all'ultima condotta -
porta con se' un aggravamento del trattamento sanzionatorio rispetto
alla regola generale perche' impone di applicare un raddoppio secco
anziche' il regime dell'aumento fino al triplo proprio della
disciplina di cui all'art. 81 c.p., indipendentemente dall'effettivo
numero di prostitute coinvolte.
Cio' ha un effetto inesorabilmente e ingiustificatamente severo
nel caso in cui la condotta commessa «ai danni di piu' persone» ne
coinvolga solo due.
Occorre, poi, richiamare anche per la posizione del sig. R.
quanto gia' detto con riferimento all'irrilevanza dell'eventuale
applicabilita' delle circostanze attenuanti generiche per l'invocato
sindacato di proporzionalita' della pena.
5. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
occorre ricordare che la latitudine applicativa della disposizione di
cui all'art. 3, comma n. 1), n. 8 e' stata recentemente sottoposta al
vaglio della Corte costituzionale, rilevandone un potenziale
contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 25, secondo comma, 27 e 41 della
Costituzione «nella parte in cui configura come illecito penale il
reclutamento ed il favoreggiamento della prostituzione
volontariamente e consapevolmente esercitata». In particolare, la
Corte d'appello di Bari dubito' della legittimita' della fattispecie
de qua in ragione del fatto che, nell'attuale contesto storico, vi
sono forme di prostituzione che non presuppongono alcuna forma di
coartazione della volonta' e che appaiono, piuttosto, espressione
della liberta' di autodeterminazione sessuale della persona e che, in
quanto tali, dovrebbero essere ritenute protette dal disposto
dell'art. 2 della Costituzione. Tale liberta', di' natura
intrinsecamente «relazionale», risulterebbe, percio', compromessa da
disposizioni che sanzionino penalmente attivita' di terzi che - senza
incidere sull'autodeterminazione della persona - si limitino ad
agevolare la sua attivita'.
Con sentenza n. 141/2019, la Corte costituzionale ha dichiarato
infondate le questioni rilevando, in primo luogo, l'impossibilita'
ontologica di qualificare la prostituzione come forma di
auto-affermazione personale, ritenendo trattarsi, piuttosto, di una
forma di attivita' economica soggetta, in quanto tale, ai limiti
della sicurezza, della liberta' e della dignita' umana di cui
all'art. 41 della Costituzione. In quest'ottica, la Corte ha
riconosciuto alla fattispecie di favoreggiamento in esame una
funzione di presidio della dignita' umana, reputando, quindi, che la
prostituzione, anche pienamente volontaria, possa essere
legittimamente considerata dal legislatore un'attivita' che degrada e
svilisce l'individuo, in quanto riduce la sfera piu' intima della
corporeita' a livello di merce a disposizione del cliente.
Cosi' facendo, la Corte ha, quindi, avallato quel filone
interpretativo secondo il quale il bene giuridico tutelato dalla
legge n. 75/1958 non andrebbe individuato ne' nella morale pubblica,
ne' nella liberta' di autodeterminazione sessuale, dovendo piuttosto
farsi riferimento alla dignita' della persona, che, per sua natura,
non e' suscettibile di disposizione neppure da parte del suo
titolare.
Sulla base di questa ricostruzione, ha, poi, affidato al giudice
del merito il compito di selezionare - sulla base del principio di
offensivita' - le condotte prive di rilevanza penale in quanto
sprovviste di ogni potenzialita' lesiva.
L'applicazione di tale visione binaria (offensivita' - non
offensivita' del fatto) ad una fattispecie di cosi' ampia latitudine
applicativi rischia, pero', di determinare - secondo il Tribunale
rimettente - una violazione degli articoli 3, 13 e 27 della
Costituzione sotto il profilo, in particolare, della proporzionalita'
del trattamento sanzionatorio.
Occorre, infatti, rilevare che difettano all'interno della
previsione de qua strumenti che - una volta superato il vaglio minimo
di offensivita' - consentano di calibrare le conseguenze
sanzionatorie al reale disvalore del fatto. Cio' soprattutto
considerando che, gia' sul piano astratto, il legislatore ha
ricompreso all'interno della stessa ipotesi le condotte di
favoreggiamento e di sfruttamento, dotate di una palese differenza in
termini di capacita' lesiva della dignita' personale. Proprio a voler
ragionare sul piano della dignita' della persona, nel caso dello
sfruttamento di fatto vi e' un duplice mercimonio del corpo: una
prima volta nei confronti del cliente per il compimento dell'atto
sessuale ed una seconda volta a favore del soggetto che si
avvantaggia indebitamente dei profitti conseguiti dalla prostituta.
Parificare tale condotta a quella di chi si limita, ad esempio, a
dare un passaggio alla prostituta per evitare alla stessa di sostare
piu' a lungo nel luogo di meretricio o a doversi esporre a pericoli
nel muoversi da sola o con mezzi pubblici determina, evidentemente,
una violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della
Costituzione che porta con se' un pregiudizio per la funzione
rieducativa della pena dell'art. 27 della Costituzione.
Non e', infatti, possibile negare che la seconda ipotesi, a
differenza della prima, possa risultare sorretta da un intento
solidaristico o che, comunque, possa esser accompagnata da un effetto
protettivo nei confronti della persona, della sua incolumita' e della
sua dignita'.
Peraltro, la differenza concettuale tra favoreggiamento e
sfruttamento emerge in piu' punti all'interno del nostro ordinamento.
Emblematico e', ad esempio, l'ambito dei reati di immigrazione
clandestina, nei quali il legislatore ha previsto una
fattispecie-base di favoreggiamento (art. 12, comma 1, t.u.
immigrazione) e un'ipotesi aggravata (art. 12, comma 3-ter, t.u.) che
determina un aumento da un terzo alla meta' della pena per le
condotte che risultino sorrette dal dolo specifico di trarne un
profitto, anche indiretto. Aldila' dell'entita' delle pene edittali,
da tale disciplina emerge, evidentemente, anche una diversa
valutazione del legislatore, con una conseguente gradualita' delle
sanzioni irrogate, a seconda che la condotta favoreggiatrice sia
ispirata da finalita' lucrative o meno, con un trattamento piu'
favorevole in questo secondo caso; mentre una simile distinzione non
viene recepita in tema di sfruttamento della prostituzione,
parificando cosi', in maniera irragionevole, ipotesi
significativamente differenti.
D'altronde, va sottolineato come nel caso dell'immigrazione
clandestina la condotta di favoreggiamento acceda ad un comportamento
gia' di per se' illecito, elemento che, invece, difetta radicalmente
nell'agevolazione della prostituzione, dove, per espressa scelta del
legislatore, non vi e' alcuna punizione per il soggetto che si
prostituisce, ne' per il fruitore della prestazione. Ancora, sempre
per sottolineare l'anomalia nella regolazione del trattamento
sanzionatorio della norma in esame, si puo' notare come nel caso del
favoreggiamento dell'immigrazione che riguardi piu' persone sia
necessario, per far scattare un aggravamento di pena, che vi siano
non solo due, ma piu' di cinque persone coinvolte (art. 12, comma 3,
lettera a, t.u. immigrazione).
Se, quindi, appare doversi riconoscere e riservare al legislatore
piena discrezionalita' nel tracciare il confine tra lecito e
illecito, e' anche evidente che l'impiego di tale monopolio non puo'
sfociare nella previsione di sanzioni che, nella loro applicazione,
si rivelino sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto e
disfunzionali rispetto agli obiettivi di tutela che le hanno
ispirate.
Appare, poi, significativo che sia proprio il confronto con
l'ipotesi «generale» di favoreggiamento di cui all'art. 378 del
codice penale ad evidenziare un'evidente sproporzione del trattamento
sanzionatorio prescelto per il reato oggetto del presente
procedimento. La fattispecie di cui all'art. 378 del codice penale
punisce, infatti, con una pena significativamente minore (reclusione
fino a quattro anni) una condotta dotata di un disvalore sicuramente
superiore a quello proprio del favoreggiamento della prostituzione,
non foss'altro per il fatto che ha ad oggetto un comportamento che
accede ad una condotta punibile dell'autore principale, mentre nel
caso di specie, il contegno della prostituta non e' punibile.
Peraltro, oltre alla sproporzione interna alla fattispecie in
esame, data dalla parificazione di ipotesi dotate di caratteristiche
alquanto differenti sul piano criminale (favoreggiamento e
sfruttamento), occorre rilevare come il trattamento sanzionatorio
appaia anche sproporzionato rispetto a quello riservato ad altre
ipotesi di reato, dotate di un'indiscussa maggiore lesivita' sotto il
profilo della tutela dell'individuo.
Pur essendo difficile individuare un tertium comparationis in
fattispecie parimenti incidenti sulla dignita' della persona, si
puo', ad esempio, considerare che, anche applicando il minimo
edittale di due anni, l'ipotesi di favoreggiamento della
prostituzione viene ad essere punita al pari della violenza sessuale
di lieve entita' (art. 609-bis, comma 3, c.p.), che si caratterizza
per un'intrusione nella sfera intima della persona neppure
paragonabile a quella in esame.
Ancora, cercando qualche riferimento tra le ipotesi di
agevolazione, si puo' rilevare che la pena per il reato in esame
risulta superiore, ad esempio, a quella riservata alla fattispecie di
istigazione a commettere tortura (art. 3-ter c.p., punita con la
reclusione da sei mesi a tre anni), nonche', addirittura, parificato,
sotto il profilo del minimo edittale (quattro anni di reclusione),
nel caso del favoreggiamento aggravato, proprio a quello di tortura
(art. 613-bis c.p.).
Per tutti questi profili, si ritiene che la disposizione in esame
violi i principi di personalita' della responsabilita' penale e della
finalita' rieducativa della pena, sanciti rispettivamente dai commi
primo e terzo dell'art. 27 della Costituzione: la sproporzione
derivante dalla costruzione di siffatta cornice edittale pregiudica
la possibilita' di operare una concreta e individualizzata
modulazione della pena e, percio', squalifica la funzione
rieducativa, posto che una pena sproporzionata verrebbe percepita dal
condannato come ingiusta.
La particolare severita' del trattamento sanzionatorio impedisce,
dunque, di irrogare una pena congrua rispetto al caso concreto e la
rende irragionevolmente sproporzionata rispetto alle finalita' di
tutela della dignita' della persona sottese alla fattispecie.
Per porre rimedio a situazioni similari, la Corte costituzionale
e' recentemente intervenuta sulla dosimetria sanzionatoria di varie
fattispecie, introducendo, la' dove mancante, la possibilita' per il
giudice di riconoscere un'attenuazione del trattamento sanzionatorio
per le ipotesi di minore gravita' (Corte costituzionale n. 120 del
2023, n. 86 del 2024; n. 91 del 2024) o incidendo direttamente sul
minimo edittale della pena (Cort costituzionale n. 46 del 2024).
Nella perimetrazione del sindacato di legittimita' costituzionale
sulla «proporzionalita' intrinseca della pena» la Corte
costituzionale ha, infatti, da tempo riconosciuto particolare rilievo
a quelle ipotesi caratterizzate, come quella in esame, da una
notevole latitudine descrittiva atta a coinvolgere una vasta gamma di
condotte dal diversificato disvalore, riconoscendo in tali casi la
necessita' di introdurre delle «valvole di sicurezza»,
alternativamente individuate nei rimedi, sopra menzionati,
dell'introduzione di una circostanza attenuante o dell'ablazione di
un minimo edittale considerato irragionevole, con contestuale
riespansione della regola generale di cui all'art. 23 c.p.
Entrambi gli invocati interventi sulla fattispecie di cui
all'art. 3 della legge n. 75/1958 inciderebbero, evidentemente, anche
sul trattamento sanzionatorio proprio dell'aggravante di cui all'art.
4. n. 7) della medesima legge, elidendo la censurata sproporzione che
essa attualmente determina. Infatti, nel caso di intervento
«correttivo» sul minimo edittale di pena, anche il raddoppio della
stessa ne risulterebbe proporzionalmente mitigato; mentre
l'introduzione di un'attenuante per il fatto di lieve entita'
consentirebbe al giudice di bilanciare la stessa con la contestata
aggravante.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 della legge n. 53 del 1987, dichiara rilevante e
non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, n. 8) della legge 20 febbraio
1958, n. 75, relativamente alla condotta di favoreggiamento della
prostituzione, nella parte in cui commina la pena della reclusione
«da due a sei anni» anziche' «fino a sei anni» o, in subordine, nella
parte in cui non prevede la possibilita' di attenuare il trattamento
sanzionatorio per i casi di lieve entita', per contrasto con i
principi di uguaglianza-ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e
di proporzionalita' della sanzione penale (articoli 3, 27, comma 3
della Costituzione).
Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale a cura della cancelleria.
Visto l'art. 159, comma 1, n. 2) c.p., sospende il corso della
prescrizione.
Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle Camere
del Parlamento.
Cosi' deciso in Bologna il 17 dicembre 2024
Il Presidente: Cenni
I Giudici: Gualtieri - Rigoli
Oggetto:
Reati e pene – Favoreggiamento della prostituzione – Trattamento sanzionatorio - Previsione della reclusione da due a sei anni anziché fino a sei anni - In subordine: mancata previsione della possibilità di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi di lieve entità – Contrasto con i principi di uguaglianza-ragionevolezza e di proporzionalità della sanzione penale.
Norme impugnate:
legge del 20/02/1958 Num. 75 Art. 3 Co. 1
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 3 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 dicembre 2024 Ordinanza del 17 dicembre 2024 del Tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di V. R., A. A. e E. G.. Reati e pene - Favoreggiamento della prostituzione - Trattamento sanzionatorio - Previsione della reclusione da due a sei anni anziche' fino a sei anni - In subordine: mancata previsione della possibilita' di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi di lieve entita'. - Legge 20 febbraio 1958, n. 75 (Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), art. 3, primo comma, numero 8). (GU n. 5 del 29-01-2025) TRIBUNALE DI BOLOGNA Sezione prima penale Il Tribunale, in composizione collegiale, composta dai seguenti magistrati: dott. Massimiliano Cenni, presidente; dott. Claudia Gualtieri, giudice; dott. Ines Rigoli, giudice, nel proc. pen. n. 4514/22 r.g. dib. - 2809/22 r.g.n.r. indicato in epigrafe a carico di V. R., E. G. e A. A. generalizzati in atti, del reato di favoreggiamento della prostituzione di cui all'art. 3, comma 1, n. 8) della legge 20 febbraio 1958, n. 75; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto di seguito piu' approfonditamente esposto, in applicazione degli articoli 134 della Costituzione, 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, ha pronunciato la presente ordinanza; 1. Il Tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, n. 8) della legge 20 febbraio 1958, n. 75, nella parte in cui commina la pena della reclusione «da due a sei anni» anziche' «fino a sei anni» o, comunque, non prevede la possibilita' di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi di minore gravita', determinando l'applicazione di un regime sanzionatorio irragionevole e sproporzionato rispetto alle circostanze di fatto del caso concreto nonche' alle finalita' di tutela della dignita' della persona sottese alla fattispecie. 2. Gli imputati sono stati tratti a giudizio per rispondere del delitto di favoreggiamento della prostituzione previsto dall'art. 3, comma 1, n. 8) della legge 20 febbraio 1958, n. 75, che punisce, con la pena della reclusione da due a sei anni, «chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui». Al sig. G. viene contestato di aver favorito la prostituzione della sig.ra V. C. con una pluralita' di azioni distinte, esecutive di un medesimo disegno criminoso, consistite nell'aver stipulato con la stessa un contratto di lavoro, in realta' simulato, per consentirle di ottenere il rilascio (o il rinnovo) del permesso di soggiorno nonche' nell'averla accompagnata sui luoghi ove era solita prostituirsi, premurandosi, poi, di riaccompagnarla presso la sua abitazione di residenza. Al sig. R. viene contestato di aver favorito la prostituzione di tre ragazze (V. O., D. Q. e D. M.), con una pluralita' di azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, consistite nello stipulare il contratto di locazione di un appartamento, poi ceduto ad O. V. affinche' la stessa vi potesse esercitare la prostituzione, nel contrarre matrimonio simulato con D. Q., cosi' consentendole di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno, nonche' accompagnando abitualmente la Q. e La D. sui luoghi ove erano solite prostituirsi, riaccompagnandole poi presso le rispettive abitazioni di residenza. Al sig. A. viene contestato di aver favorito la prostituzione di due ragazze (L. S. e E. T.), con una pluralita' di azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, consistite nello stipulare il contratto di locazione di un appartamento, poi ceduto in uso alla T. affinche' vi potesse esercitare la prostituzione, nel contrarre matrimonio simulato con L. S., cosi' consentendole di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno, nonche' nell'accompagnare abitualmente la L. sui luoghi del meretrico, premurandosi, poi, di riaccompagnarla presso la sua rispettiva abitazione di residenza. Coinvolgendo le condotte di questi ultimi due imputati piu' di una ragazza (rispettivamente due e tre), per esse e' contestata anche l'aggravante di cui all'art. 4, comma 1, n. 7) della legge n. 75/1958, che prevede un raddoppio del trattamento sanzionatorio per le ipotesi in cui il fatto risulti commesso ai danni di piu' persone. 3. In punto di rilevanza della questione, e' sufficiente osservare che a tutti e tre gli imputati e' contestata, sia pure unitamente ad altre, la condotta consistita nell'accompagnare le ragazze nei luoghi di meretricio, la quale assume nel contesto dell'imputazione un ruolo centrale. Il servizio di trasporto che caratterizza tutte e tre i capi di imputazione veniva eseguito dagli imputati in assenza di alcun compenso e su richiesta esplicita delle ragazze, le quali chiedevano loro la cortesia di poter fruire di un passaggio e di evitare, cosi', di dover prendere i mezzi pubblici. Peraltro, e' emerso che uno degli imputati, G., si mostrava spesso contrario al fatto che la sig. C. (della quale e' accusato di aver favorito la prostituzione) si prostituisse e, essendo i due legati da una relazione sentimentale, le manifestava in piu' occasioni la propria gelosia, cercando di dissuaderla dall'avere rapporti sessuali con altre persone e dallo svolgere tale attivita'. Litigavano frequentemente per questi motivi e lui acconsentiva, quindi, ad accompagnarla nei luoghi in cui era solita prostituirsi, cosi' come dal medico o in ogni altro posto in cui dovesse recarsi, per ragioni essenzialmente riconducibili al loro rapporto personale. Ne' pare errato considerare, con riguardo a tutti e tre gli imputati, che le loro condotte, oltre ad essere state animate da un intento solidaristico, aspiravano a tutelare le persone offese sotto il profilo sia della loro sicurezza personale, evitando che rimanessero sole per strada nei luoghi in cui si svolgeva l'attivita' di prostituzione. Una valutazione globale del caso concreto, che tenga conto delle modalita' esecutive, dei mezzi utilizzati e dell'intensita' della lesione del bene giuridico protetto, pur non consentendo di formulare un giudizio di atipicita' della condotta in ragione dell'ampiezza del dato normativo e del diritto vivente che su di esso si e' formato, rivela la possibilita' di considerare tali fatti come di minore gravita'. Sotto il profilo della tipicita' della condotta, infatti, la giurisprudenza e' assolutamente costante nell'interpretare la fattispecie in senso piuttosto ampio, ritenendo che: «Il reato di favoreggiamento della prostituzione si perfeziona con ogni forma di interposizione agevolativi e con qualunque attivita' che sia idonea a procurare piu' facili condizioni per l'esercizio del meretricio e venga posta in essere dall'agente con la consapevolezza di facilitare l'altrui attivita' di prostituzione, senza che abbia rilevanza il movente od il fine di tale condotta» (Cass. pen., sez. 3, Sentenza n. 15502/2019). Vi sono plurime decisioni che riconducono in maniera netta la condotta degli imputati, consistita nell'accompagnare abitualmente una o piu' donne nel luogo in cui esse esercitavano il meretricio, all'ipotesi di favoreggiamento (si v., ex multis, Cassazione penale, Sez. 3, n. 11575 del 4 febbraio 2009 ud., dep. 17 marzo 2009, in Ced. Cassazione Rv. 243121 - 01; Cassazione pen., Sez. 3, n. 15502 del 15 febbraio 2019 ud., dep. 9 aprile 2019, in Ced. Cassazione Rv. 275843 - 01; Cassazione pen., sez. 3, n. 54205/2018). La rilevanza della condotta sul piano oggettivo viene esclusa unicamente nel caso in cui l'agente sia un cliente che, dopo la consumazione del rapporto, riaccompagni la donna nel luogo di esercizio della prostituzione, con cio' creando plurime difficolta' sul piano dell'accertamento dei fatti. In questo caso, secondo la giurisprudenza di legittimita' difetterebbe la posizione di terzieta' del favoreggiatore rispetto agli attori necessari (prostituta e cliente) e l'attivita' di intermediazione tra offerta e domanda diretta a realizzare il futuro accordo relativo alla prestazione sessuale (Cass. pen., sez. 3, sentenza n. 36392 del 18 maggio 2011 ud., dep. 7 ottobre 2011, in Ced. Cassazione Rv. 251232 - 01). Al di la' di tali requisiti oggettivi, tale condotta accessoria al rapporto sessuale mercenario non appare meritevole di sanzione perche' e' antitetica rispetto alla ratio dell'incriminazione, essendo animata da un sentimento di cortesia e di rispetto della prostituta e della sua stessa dignita'. Avendo il legislatore parificato, sotto il profilo sanzionatorio, le condotte di favoreggiamento e di sfruttamento, la giurisprudenza ha, poi, ricondotto alla seconda fattispecie i casi in cui l'agente risulti aver tratto un indebito vantaggio economico dall'attivita' di prostituzione, anche a seguito di spontanea iniziativa di cessione del ricavato da parte della stessa prostituta (Cass. pen., sez. 3, sentenza n. 15502 del 15 febbraio 2019 ud., dep. 9 aprile 2019, in Ced. Cassazione Rv. 275843 - 01). Il fatto che la distinzione tra le due ipotesi - pur incidendo sulle dinamiche dell'istruttoria dibattimentale - non trovi alcuna ricaduta sul piano delle conseguenze sanzionatorie, imbrigliando il giudizio entro il medesimo quadro punitivo, determina, in tutta evidenza, un primo squilibrio, peraltro sottolineato dagli interpreti piu' autorevoli sin dall'introduzione della fattispecie. Appare, poi, irragionevole che non vi sia la possibilita' di graduare la risposta sanzionatoria rispetto a condotte che, pur avendo avuto l'inevitabile conseguenza di agevolare, anche solo temporaneamente, la prostituzione, siano espressione di un'istanza di tutela nei confronti della persona individualmente e volontariamente coinvolta in tale attivita'. L'ampiezza della littera legis e la stabilita' del diritto vivente non consentono, dunque, di operare una diversa interpretazione, anche in ragione dei principi ermeneutici sviluppati dalle sentenze n. 141 e 278 del 2019 della Corte costituzionale, di cui si dira' oltre. L'irragionevolezza di un cosi' gravoso trattamento sanzionatorio non puo', poi, considerarsi mitigata dalla possibilita' di applicare le diminuzioni di pena conseguenti ad eventuali attenuanti, anche generiche, o ancora di ritenere il fatto non punibile ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale (per vero non applicabile in caso di comportamenti abituali o reiterati), ovvero di accedere alla sospensione condizionale della pena o comunque a pene sostitutive di carattere non detentivo. In primo luogo, in ossequio alla ricostruzione fatta propria dalla Corte costituzionale, l'attribuzione alla fattispecie de qua di un ruolo di presidio della dignita' della persona, ossia di un bene indisponibile, impedisce di poter attribuire rilevanza, ad esempio, alla sussistenza o meno di un consenso (o financo di una richiesta come nel caso di specie), delle persone coinvolte nell'attivita' di favoreggiamento attraverso l'ipotesi del concorso doloso della persona offesa (art. 62, comma 1, n. 5) del codice penale. Cio' pregiudica, quindi, un ulteriore strumento di possibile mitigazione della risposta sanzionatoria per quei casi in cui l'interazione tra l'agente e la prostituta arreca a quest'ultima un vantaggio o, comunque, le assicura una forma di tutela. Quanto alle circostanze attenuanti generiche, come piu' volte ribadito dalla Corte costituzionale, esse non hanno la funzione di riequilibrare un trattamento sanzionatorio gia' in partenza sproporzionato rispetto alle esigenze di tutela del bene giuridico ma solo quella di consentire al giudice di attribuire rilevanza a specifiche e puntuali caratteristiche del singolo fatto o del suo autore, «senza che, invece, il giudice sia di fatto costretto a riconoscere le attenuanti generiche al solo scopo di evitare l'irrogazione di una pena sproporzionata, altrimenti imposta dal minimo edittale, in relazione all'esiguo disvalore del fatto concreto» (Corte cost. n. 197 del 2023, n. 63 del 2022, n. 46 del 2024). Il medesimo principio e' stato applicato dalla Corte costituzionale con riguardo alla possibilita' di invocare l'istituto di cui al 131-bis c.p., volto ad accertare la meritevolezza di punire determinati fatti che, pur avendo superato la soglia di offensivita', appaiono immeritevoli di sanzione sotto il profilo dell'effettivo «bisogno di pena». Peraltro, con riferimento alla fattispecie in esame, rileva anche il fatto che la giurisprudenza considera il favoreggiamento della prostituzione come un'ipotesi di reato eventualmente abituale, che si puo', cioe', configurare tanto in un'unica condotta quanto nella reiterazione di piu' azioni omogenee le quali, pur costituendo di per se' reato se considerate isolatamente, danno vita ad un unico reato (Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 364 del 17 settembre 2019 ud., dep. 9 gennaio 2020, in Ced. Cassazione Rv. 278392 - 04). Tale profilo di «potenziale abitualita'» - oltre a rafforzare la necessita' che vi sia uno strumento effettivo sul piano della dosimetria sanzionatoria che consenta di differenziare condotte dotate di una diversa «intensita' temporale» - restringe, evidentemente, le potenzialita' applicative dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p. Inoltre, occorre tenere presente che la cornice edittale del reato impedisce l'accesso all'istituto della sospensione del processo con messa alla prova (art. 168-bis c.p.), che postula l'applicazione di una pena non superiore nel massimo a quattro anni, senza tenere conto delle circostanze del reato. Tale richiesta e' stata, peraltro, formulata dalla difesa del sig. G. e rigettata dal Tribunale con ordinanza del 17 gennaio 2023 proprio per queste ragioni. 4. Sempre sul piano della rilevanza, appare, poi, necessario considerare che l'art. 4 della legge citata prevede una serie di circostanze aggravanti ad effetto speciale che, nel determinare un raddoppio secco della pena, appaiono espressione di un rigore sanzionatorio che appare incompatibile con i principi costituzionali che informano l'illecito penale. Tra queste vi e', appunto, quella, contestata nell'ipotesi in esame ai sig.ri R. e A., relativa al caso in cui la condotta di favoreggiamento abbia coinvolto piu' persone (art. 4, n. 7); circostanza che ha natura oggettiva e che comporta un automatico raddoppio della pena. Le considerazioni che seguono sono, quindi, rivolte ad evidenziare la rilevanza della questione con riguardo alla posizione specifica del sig. R. il quale, per aver accompagnato due ragazze nei luoghi ove queste erano solite prostituirsi, dovrebbe essere punito con una pena rientrante nella cornice edittale raddoppiata rispetto alla fattispecie base e che, quindi, dovra' attestarsi tra un minimo di quattro fino ad un massimo di dodici anni di reclusione. Al netto dell'abitualita' della condotta, la fissazione del minimo edittale in due anni di reclusione per la fattispecie base preclude di fatto al sig. R. - a differenza degli altri imputati - la possibilita' di utilizzare lo strumento dell'art. 131-bis del codice penale in ragione del raddoppio derivante, appunto, dall'applicazione dell'aggravante in esame. Ne' vi sono strumenti che consentano di contrastare o mitigare, sulla base di altri indici fattuali meritevoli di apprezzamento (come, ad esempio, l'occasionalita' delle condotte o la scarsa incidenza di queste sulla sfera personale dei soggetti coinvolti), l'automatismo sanzionatorio della circostanza in questione. La giurisprudenza di legittimita' ha, invero, chiarito che la circostanza aggravante in parola costituisce una deroga agli istituti della continuazione e del concorso formale di reati, in quanto rende unico il fatto commesso mediante piu' condotte in danno di piu' persone, prescindendo dalla simultaneita' della loro prostituzione, essendo sufficiente che l'attivita' sia esplicata o contestualmente nei confronti di due o piu' persone, ovvero in successione temporale nei riguardi di una o dell'altra; ne consegue che tale circostanza e' compatibile con la continuazione solo in presenza di piu' fatti, ciascuno dei quali commesso in danno di piu' persone, che costituiscano autonomi reati ai sensi dell'art. 3, legge n. 75 del 1958, ovvero nel caso di rapporti intersoggettivi distinti, quando alla cessazione di plurimi episodi di contemporaneo favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione di piu' persone segua la commissione di altre condotte analoghe (Cass. pen., sez. 3, sentenza n. 20847 del 13 febbraio 2020 ud., dep. 15 luglio 2020, in Ced. Cassazione, Rv. 279705 - 01). Tale scelta legislativa - oltre ad aver determinato uno spostamento in avanti del termine prescrizionale, che viene, infatti, individuato dal diritto vivente con riferimento all'ultima condotta - porta con se' un aggravamento del trattamento sanzionatorio rispetto alla regola generale perche' impone di applicare un raddoppio secco anziche' il regime dell'aumento fino al triplo proprio della disciplina di cui all'art. 81 c.p., indipendentemente dall'effettivo numero di prostitute coinvolte. Cio' ha un effetto inesorabilmente e ingiustificatamente severo nel caso in cui la condotta commessa «ai danni di piu' persone» ne coinvolga solo due. Occorre, poi, richiamare anche per la posizione del sig. R. quanto gia' detto con riferimento all'irrilevanza dell'eventuale applicabilita' delle circostanze attenuanti generiche per l'invocato sindacato di proporzionalita' della pena. 5. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, occorre ricordare che la latitudine applicativa della disposizione di cui all'art. 3, comma n. 1), n. 8 e' stata recentemente sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, rilevandone un potenziale contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 25, secondo comma, 27 e 41 della Costituzione «nella parte in cui configura come illecito penale il reclutamento ed il favoreggiamento della prostituzione volontariamente e consapevolmente esercitata». In particolare, la Corte d'appello di Bari dubito' della legittimita' della fattispecie de qua in ragione del fatto che, nell'attuale contesto storico, vi sono forme di prostituzione che non presuppongono alcuna forma di coartazione della volonta' e che appaiono, piuttosto, espressione della liberta' di autodeterminazione sessuale della persona e che, in quanto tali, dovrebbero essere ritenute protette dal disposto dell'art. 2 della Costituzione. Tale liberta', di' natura intrinsecamente «relazionale», risulterebbe, percio', compromessa da disposizioni che sanzionino penalmente attivita' di terzi che - senza incidere sull'autodeterminazione della persona - si limitino ad agevolare la sua attivita'. Con sentenza n. 141/2019, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni rilevando, in primo luogo, l'impossibilita' ontologica di qualificare la prostituzione come forma di auto-affermazione personale, ritenendo trattarsi, piuttosto, di una forma di attivita' economica soggetta, in quanto tale, ai limiti della sicurezza, della liberta' e della dignita' umana di cui all'art. 41 della Costituzione. In quest'ottica, la Corte ha riconosciuto alla fattispecie di favoreggiamento in esame una funzione di presidio della dignita' umana, reputando, quindi, che la prostituzione, anche pienamente volontaria, possa essere legittimamente considerata dal legislatore un'attivita' che degrada e svilisce l'individuo, in quanto riduce la sfera piu' intima della corporeita' a livello di merce a disposizione del cliente. Cosi' facendo, la Corte ha, quindi, avallato quel filone interpretativo secondo il quale il bene giuridico tutelato dalla legge n. 75/1958 non andrebbe individuato ne' nella morale pubblica, ne' nella liberta' di autodeterminazione sessuale, dovendo piuttosto farsi riferimento alla dignita' della persona, che, per sua natura, non e' suscettibile di disposizione neppure da parte del suo titolare. Sulla base di questa ricostruzione, ha, poi, affidato al giudice del merito il compito di selezionare - sulla base del principio di offensivita' - le condotte prive di rilevanza penale in quanto sprovviste di ogni potenzialita' lesiva. L'applicazione di tale visione binaria (offensivita' - non offensivita' del fatto) ad una fattispecie di cosi' ampia latitudine applicativi rischia, pero', di determinare - secondo il Tribunale rimettente - una violazione degli articoli 3, 13 e 27 della Costituzione sotto il profilo, in particolare, della proporzionalita' del trattamento sanzionatorio. Occorre, infatti, rilevare che difettano all'interno della previsione de qua strumenti che - una volta superato il vaglio minimo di offensivita' - consentano di calibrare le conseguenze sanzionatorie al reale disvalore del fatto. Cio' soprattutto considerando che, gia' sul piano astratto, il legislatore ha ricompreso all'interno della stessa ipotesi le condotte di favoreggiamento e di sfruttamento, dotate di una palese differenza in termini di capacita' lesiva della dignita' personale. Proprio a voler ragionare sul piano della dignita' della persona, nel caso dello sfruttamento di fatto vi e' un duplice mercimonio del corpo: una prima volta nei confronti del cliente per il compimento dell'atto sessuale ed una seconda volta a favore del soggetto che si avvantaggia indebitamente dei profitti conseguiti dalla prostituta. Parificare tale condotta a quella di chi si limita, ad esempio, a dare un passaggio alla prostituta per evitare alla stessa di sostare piu' a lungo nel luogo di meretricio o a doversi esporre a pericoli nel muoversi da sola o con mezzi pubblici determina, evidentemente, una violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione che porta con se' un pregiudizio per la funzione rieducativa della pena dell'art. 27 della Costituzione. Non e', infatti, possibile negare che la seconda ipotesi, a differenza della prima, possa risultare sorretta da un intento solidaristico o che, comunque, possa esser accompagnata da un effetto protettivo nei confronti della persona, della sua incolumita' e della sua dignita'. Peraltro, la differenza concettuale tra favoreggiamento e sfruttamento emerge in piu' punti all'interno del nostro ordinamento. Emblematico e', ad esempio, l'ambito dei reati di immigrazione clandestina, nei quali il legislatore ha previsto una fattispecie-base di favoreggiamento (art. 12, comma 1, t.u. immigrazione) e un'ipotesi aggravata (art. 12, comma 3-ter, t.u.) che determina un aumento da un terzo alla meta' della pena per le condotte che risultino sorrette dal dolo specifico di trarne un profitto, anche indiretto. Aldila' dell'entita' delle pene edittali, da tale disciplina emerge, evidentemente, anche una diversa valutazione del legislatore, con una conseguente gradualita' delle sanzioni irrogate, a seconda che la condotta favoreggiatrice sia ispirata da finalita' lucrative o meno, con un trattamento piu' favorevole in questo secondo caso; mentre una simile distinzione non viene recepita in tema di sfruttamento della prostituzione, parificando cosi', in maniera irragionevole, ipotesi significativamente differenti. D'altronde, va sottolineato come nel caso dell'immigrazione clandestina la condotta di favoreggiamento acceda ad un comportamento gia' di per se' illecito, elemento che, invece, difetta radicalmente nell'agevolazione della prostituzione, dove, per espressa scelta del legislatore, non vi e' alcuna punizione per il soggetto che si prostituisce, ne' per il fruitore della prestazione. Ancora, sempre per sottolineare l'anomalia nella regolazione del trattamento sanzionatorio della norma in esame, si puo' notare come nel caso del favoreggiamento dell'immigrazione che riguardi piu' persone sia necessario, per far scattare un aggravamento di pena, che vi siano non solo due, ma piu' di cinque persone coinvolte (art. 12, comma 3, lettera a, t.u. immigrazione). Se, quindi, appare doversi riconoscere e riservare al legislatore piena discrezionalita' nel tracciare il confine tra lecito e illecito, e' anche evidente che l'impiego di tale monopolio non puo' sfociare nella previsione di sanzioni che, nella loro applicazione, si rivelino sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto e disfunzionali rispetto agli obiettivi di tutela che le hanno ispirate. Appare, poi, significativo che sia proprio il confronto con l'ipotesi «generale» di favoreggiamento di cui all'art. 378 del codice penale ad evidenziare un'evidente sproporzione del trattamento sanzionatorio prescelto per il reato oggetto del presente procedimento. La fattispecie di cui all'art. 378 del codice penale punisce, infatti, con una pena significativamente minore (reclusione fino a quattro anni) una condotta dotata di un disvalore sicuramente superiore a quello proprio del favoreggiamento della prostituzione, non foss'altro per il fatto che ha ad oggetto un comportamento che accede ad una condotta punibile dell'autore principale, mentre nel caso di specie, il contegno della prostituta non e' punibile. Peraltro, oltre alla sproporzione interna alla fattispecie in esame, data dalla parificazione di ipotesi dotate di caratteristiche alquanto differenti sul piano criminale (favoreggiamento e sfruttamento), occorre rilevare come il trattamento sanzionatorio appaia anche sproporzionato rispetto a quello riservato ad altre ipotesi di reato, dotate di un'indiscussa maggiore lesivita' sotto il profilo della tutela dell'individuo. Pur essendo difficile individuare un tertium comparationis in fattispecie parimenti incidenti sulla dignita' della persona, si puo', ad esempio, considerare che, anche applicando il minimo edittale di due anni, l'ipotesi di favoreggiamento della prostituzione viene ad essere punita al pari della violenza sessuale di lieve entita' (art. 609-bis, comma 3, c.p.), che si caratterizza per un'intrusione nella sfera intima della persona neppure paragonabile a quella in esame. Ancora, cercando qualche riferimento tra le ipotesi di agevolazione, si puo' rilevare che la pena per il reato in esame risulta superiore, ad esempio, a quella riservata alla fattispecie di istigazione a commettere tortura (art. 3-ter c.p., punita con la reclusione da sei mesi a tre anni), nonche', addirittura, parificato, sotto il profilo del minimo edittale (quattro anni di reclusione), nel caso del favoreggiamento aggravato, proprio a quello di tortura (art. 613-bis c.p.). Per tutti questi profili, si ritiene che la disposizione in esame violi i principi di personalita' della responsabilita' penale e della finalita' rieducativa della pena, sanciti rispettivamente dai commi primo e terzo dell'art. 27 della Costituzione: la sproporzione derivante dalla costruzione di siffatta cornice edittale pregiudica la possibilita' di operare una concreta e individualizzata modulazione della pena e, percio', squalifica la funzione rieducativa, posto che una pena sproporzionata verrebbe percepita dal condannato come ingiusta. La particolare severita' del trattamento sanzionatorio impedisce, dunque, di irrogare una pena congrua rispetto al caso concreto e la rende irragionevolmente sproporzionata rispetto alle finalita' di tutela della dignita' della persona sottese alla fattispecie. Per porre rimedio a situazioni similari, la Corte costituzionale e' recentemente intervenuta sulla dosimetria sanzionatoria di varie fattispecie, introducendo, la' dove mancante, la possibilita' per il giudice di riconoscere un'attenuazione del trattamento sanzionatorio per le ipotesi di minore gravita' (Corte costituzionale n. 120 del 2023, n. 86 del 2024; n. 91 del 2024) o incidendo direttamente sul minimo edittale della pena (Cort costituzionale n. 46 del 2024). Nella perimetrazione del sindacato di legittimita' costituzionale sulla «proporzionalita' intrinseca della pena» la Corte costituzionale ha, infatti, da tempo riconosciuto particolare rilievo a quelle ipotesi caratterizzate, come quella in esame, da una notevole latitudine descrittiva atta a coinvolgere una vasta gamma di condotte dal diversificato disvalore, riconoscendo in tali casi la necessita' di introdurre delle «valvole di sicurezza», alternativamente individuate nei rimedi, sopra menzionati, dell'introduzione di una circostanza attenuante o dell'ablazione di un minimo edittale considerato irragionevole, con contestuale riespansione della regola generale di cui all'art. 23 c.p. Entrambi gli invocati interventi sulla fattispecie di cui all'art. 3 della legge n. 75/1958 inciderebbero, evidentemente, anche sul trattamento sanzionatorio proprio dell'aggravante di cui all'art. 4. n. 7) della medesima legge, elidendo la censurata sproporzione che essa attualmente determina. Infatti, nel caso di intervento «correttivo» sul minimo edittale di pena, anche il raddoppio della stessa ne risulterebbe proporzionalmente mitigato; mentre l'introduzione di un'attenuante per il fatto di lieve entita' consentirebbe al giudice di bilanciare la stessa con la contestata aggravante. P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge n. 53 del 1987, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, n. 8) della legge 20 febbraio 1958, n. 75, relativamente alla condotta di favoreggiamento della prostituzione, nella parte in cui commina la pena della reclusione «da due a sei anni» anziche' «fino a sei anni» o, in subordine, nella parte in cui non prevede la possibilita' di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi di lieve entita', per contrasto con i principi di uguaglianza-ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e di proporzionalita' della sanzione penale (articoli 3, 27, comma 3 della Costituzione). Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale a cura della cancelleria. Visto l'art. 159, comma 1, n. 2) c.p., sospende il corso della prescrizione. Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Bologna il 17 dicembre 2024 Il Presidente: Cenni I Giudici: Gualtieri - Rigoli