Reg. ord. n. 30 del 2025 pubbl. su G.U. del 26/02/2025 n. 9
Ordinanza del Tribunale di Ravenna del 27/01/2025
Tra: D. F. C/ Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS
Oggetto:
Previdenza – Pensioni – Pensione anticipata (cosiddetta "quota 100”) - Divieto di cumulo con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui – Interpretazione della Corte di cassazione, assunta come diritto vivente, secondo la quale la violazione del divieto di cumulo tra redditi pensionistici e da lavoro subordinato comporta la perdita totale del trattamento pensionistico non solo per i mesi in cui è stata espletata l’attività lavorativa, bensì per tutto l’anno solare di riferimento – Irragionevolezza degli effetti conseguenti al percepimento, da parte del pensionato, di un reddito da attività lavorativa dipendente (nel caso di specie: sproporzione assoluta tra la pensione recuperata dall'ente previdenziale e il reddito percepito) – Effetto manifestamente sproporzionato tale da compromettere il sostentamento dell’individuo e determinare un’ingiustificata traslazione patrimoniale a favore dell’ente previdenziale – Lesione del diritto acquisito al trattamento previdenziale – Violazione dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali per contrasto con il Protocollo addizionale alla CEDU in relazione alla garanzia del diritto di proprietà – Lesione della libertà e autonomia dell’individuo, privato di diritti patrimoniali necessari a garantirne la dignità personale e sociale.
Norme impugnate:
decreto-legge del 28/01/2019 Num. 4 Art. 14 Co. 3
legge del 28/03/2019 Num. 26
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 2 Co.
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 38 Co. 2
Costituzione Art. 117 Co. 1
Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali Art. 1 Co.
Udienza Pubblica del 23 settembre 2025 rel. SCIARRONE ALIBRANDI
Testo dell'ordinanza
N. 30 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 2025 Ordinanza del 27 gennaio 2025 del Tribunale di Ravenna nel procedimento civile promosso da D. F. contro Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS. Previdenza - Pensioni - Pensione anticipata (cosiddetta "quota 100") - Divieto di cumulo con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui - Interpretazione della Corte di cassazione, assunta come diritto vivente, secondo la quale la violazione del divieto di cumulo tra redditi pensionistici e da lavoro subordinato comporta la perdita totale del trattamento pensionistico non solo per i mesi in cui e' stata espletata l'attivita' lavorativa, bensi' per tutto l'anno solare di riferimento. - Decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, art. 14, comma 3. (GU n. 9 del 26-02-2025) TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA sezione civile - settore lavoro Il Giudice del lavoro Dario Bernardi; Visti gli atti di provenienza del GOT-GOP, pronuncia la seguente ordinanza di rimessione della questione della legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26 Motivi 1 - Fatto e processo a quo. Con ricorso D. F. domandava: «In via principale: accertare e quindi dichiarare, anche solo in via incidentale, che il rapporto di lavoro intercorso tra l'odierno ricorrente e l'azienda agricola Serasini Giovanni ... e' riconducibile a prestazione di lavoro autonomo occasionale e, conseguentemente, accertatane e dichiaratane l'illegittimita' alla luce delle ragioni espresse ricorso ovvero di quelle diverse e/o ulteriori che dovessero risultare di giustizia, annullare integralmente l'indebito di € 23.949,05 accertato da I.N.P.S. su pensione Quota 100 categoria VOCOM n. 36021727 come in atti e, per l'effetto, condannare I.N.P.S., Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a restituire al ricorrente tutte le somme trattenute per effetto del predetto accertamento di indebito, in ogni caso maggiorate di interessi al tasso legale o al diverso tasso ritenuto di giustizia e di rivalutazione monetaria, come per legge. In via subordinata: accertare e quindi dichiarare, alla luce delle ragioni espresse in ricorso ovvero di quelle diverse e/o ulteriori che dovessero risultare di giustizia, l'illegittimita' parziale l'indebito di € 23.949,05 accertato da I.N.P.S. su pensione Quota 100 categoria VOCOM n. 36021727 nella misura in cui eccede la somma di € 83,91 (pari al reddito di lavoro percepito dal ricorrente) o, in via meramente subordinata, la somma di € 2.021,56 (pari al rateo netto di pensione percepita dal ricorrente in costanza di rapporto di lavoro) o, comunque, la diversa somma che dovesse risultare di giustizia e, per l'effetto, condannare I.N.P.S., Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a restituire al ricorrente tutte le somme trattenute per effetto del predetto accertamento di indebito, in ogni caso maggiorate di interessi al tasso legale o al diverso tasso ritenuto di giustizia e di rivalutazione monetaria, come per legge». INPS resisteva al ricorso. Il ricorso riguarda un indebito che INPS vanta nei confronti del ricorrente, pensionato Quota 100, per avere lo stesso svolto attivita' lavorativa subordinata. Nello specifico, il ricorrente percepisce il trattamento pensionistico n. 36021727 categoria VOCOM con decorrenza dal 1° novembre 2019. Successivamente, il ricorrente sottoscriveva contratto di lavoro subordinato a tempo determinato (alle dipendenze di una societa' agricola) avente concretamente ad oggetto l'attivita' di raccolta dell'uva nel periodo compreso tra il 15 settembre 2020 ed il 30 settembre 2020. Tale rapporto di lavoro si svolgeva, esclusivamente, per una giornata, pari ad otto ore di lavoro, ed il reddito effettivamente percepito dal ricorrente era contenuto in complessivi € 83,91 lordi (sul punto vi concordia tra le parti: il dato e' pacifico, posto che INPS ha ricevuto i contributi esclusivamente in relazione a tale giornata). Con provvedimento del 9 settembre 2021 INPS comunicava al ricorrente la costituzione di un indebito di € 23.949,05, a titolo di somme non dovute sulla pensione n. 36021727 Categoria VOCOM per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2020 ed il 31 dicembre 2020, in ragione della seguente motivazione: «variazione dei dati di calcolo alla decorrenza originaria della pensione; incumulabilita' prevista dall'articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 4/2019 con i redditi da lavoro dipendente o autonomo. La pensione e' stata liquidata in applicazione dell'articolo 14 del decreto-legge n. 4/2019 (pensione Quota 100)». In questa sede, il ricorrente ha innanzi tutto tentato di qualificare la propria attivita', nonostante il nomen iuris dato dalle stesse parti, quale attivita' di lavoro autonomo (poiche' essa e', come noto, compatibile nel limite di 5000,00 euro annui, con la pensione Quota 100). Tuttavia, l'istruttoria orale svolta sul punto su richiesta della parte (testimonianza del datore di lavoro) - pur ammissibile: Cassazione n. 11926/2024 - non appare consentire la riqualificazione del rapporto come autonomo, posto che gli elementi formali - concordemente fatti propri dalle parti all'atto dell'instaurazione del rapporto di lavoro - risultano qui preponderanti sugli scarni e non univoci elementi sostanziali sul punto allegati e dimostrati (essenzialmente l'avere utilizzato la propria tuta e le proprie cesoie e l'avere cessato lo svolgimento della prestazione dopo solo una giornata di lavoro senza ulteriori comunicazioni), non arrivandosi, pertanto, a quella soglia di gravita', precisione e concordanza ex art. 2729 del codice civile; infatti, la qualifica di lavoro subordinato data dalle parti e' compatibile con l'avere utilizzato il lavoratore i propri indumenti e le proprie cesoie per svolgere la raccolta dell'uva (trattandosi di mezzi invero minimali di svolgimento della prestazione), cosi' come l'avere abbandonato l'attivita' lavorativa dopo solo una giornata non puo' implicare in alcun modo un indice di autonomia (ed anzi proprio per ovviare all'annosa questione dell'abbandono del posto di lavoro da parte del subordinato, recentemente e' intervenuto il legislatore con l'art. 19, legge n. 203/2024 che ha novellato l'art. 26 del decreto legislativo n. 151/20215 inserendo il comma 7-bis). 2 - L'oggetto del giudizio di costituzionalita': la norma. Viene in rilievo l'art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26. Esso prevede che «La pensione di cui al comma 1 non e' cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l'accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui». La norma specifica che viene in applicazione e' tuttavia quella lettura - operatane dalla Corte di cassazione - in base alla quale lo svolgimento di un'attivita' di lavoro subordinato determina la non spettanza (incumulabilita') dell'intera annualita' di pensione nell'ambito della quale si svolge l'attivita' di lavoro subordinato; ancorche' tale attivita' sia svolta per un periodo limitato, inferiore (anche di molto) all'anno ed anche se pari ad una o ad alcune giornate di lavoro. 3 - I parametri. La norma qui impugnata si ritiene contrastare con gli articoli 2, 3, 38, 2° comma e 117, 1° comma Cost., quest'ultima disposizione in rapporto all'art. 1 del protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 4 - La questione. Lo svolgimento - da parte del pensionato Quota 100 - di una temporalmente e patrimonialmente limitatissima attivita' lavorativa subordinata determina, secondo l'indirizzo della Corte di cassazione, la non spettanza di un'intera annualita' di pensione, cio' che crea una conseguenza gravissima per il pensionato. Appare innanzitutto violato l'art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza/proporzionalita' di tale conseguenza. Risulta inoltre violato l'art. 38, secondo comma Cost. posto che, a differenza di quanto prevederebbe la Costituzione, il meccanismo legislativo qui censurato va sostanzialmente a porre nel nulla gli effetti di tutela previsti dal sistema previdenziale (pur astrattamente predisposto) per chi incorre nell'errore «fatale» commesso anche dall'odierno ricorrente. Infine, vi e' questione rilevante ex art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma che viene in rilievo per il tramite dell'art. 117, primo comma Cost., posto che un diritto pensionistico acquisito viene frustrato nella misura del 100% senza che sussistano le condizioni legittimanti un tale prelievo cosi' come previste dalla disposizione internazionale richiamata; cio' si ritiene correlativamente incidere sulla protezione prevista dall'art. 2 Cost. Infine, va osservato che sulla questione qui sollevata, codesta Consulta non si e' ancora pronunciata. Infatti, nella questione pregiudiziale decisa dalla sentenza costituzionale n. 234/2022, il tema oggetto della presente rimessione non era stato sollevato e la Corte non se ne occupo' («... Di cio' e' consapevole il giudice rimettente, il quale, pur adombrando che possa ritenersi sproporzionata la sospensione del trattamento pensionistico per l'intero anno solare in cui siano stati percepiti redditi da lavoro, specialmente se si tratta di importi modesti, incentra il dubbio di legittimita' costituzionale sul regime differenziato del divieto di cumulo»: Corte costituzionale n. 234/2022). 5 - Rilevanza della questione. La questione rileva nel presente giudizio in quanto un suo eventuale accoglimento escluderebbe l'esistenza della quasi totalita' del credito INPS per cui e' causa (in particolare, se la disposizione fosse abrogata e sostituita con la previsione della rilevanza mensile dell'attivita' lavorativa, l'indebito del ricorrente sarebbe limitato al rateo di pensione percepito nel mese di settembre del 2020, pari ad € 2.021,56 netti). Al contrario, il rigetto della presente questione incidentale non potrebbe che condurre al rigetto integrale del ricorso, posto l'orientamento della S.C. sul punto. 6 - L'impossibilita' di una interpretazione adeguatrice. La norma di legge sopra esaminata non prevede espressamente le conseguenze della violazione del divieto di cumulo tra pensione Quota 100 e lo svolgimento di attivita' lavorativa. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimita' ritiene che la conseguenza non possa essere che l'ablazione dell'intera annualita' di pensione. Sul punto si fa riferimento a Cass. n. 30994/2024, secondo la quale «In tema di pensione anticipata, la violazione del divieto di cumulo tra redditi pensionistici e da lavoro subordinato - stabilito per la pensione cd. "Quota cento" dall'art. 14, comma 3, del decreto-legge n. 4 del 2019, convertito dalla legge n. 26 del 2019 - comporta la perdita totale del trattamento pensionistico, non solo per i mesi in cui e' stata espletata l'attivita' lavorativa, bensi' per tutto l'anno solare di riferimento, in quanto la norma esprime una ratio solidaristica (come affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 234 del 2022), ma in concorso con il fine macroeconomico di creare nuova occupazione ed assicurare ricambio generazionale nella cornice della sostenibilita' del sistema previdenziale, sicche' l'uscita dal mercato del lavoro deve essere effettiva». L'esistenza di un diritto vivente (come e' noto, la Corte di cassazione sezione lavoro, allorquando pronuncia per la prima volta su una questione, adotta una pronuncia dotata di stabilita' interna ed e' estremamente difficile per non dire impossibile che, in assenza di elementi normativi sopravvenuti, essa muti la propria opinione) esonera il giudice dall'onere di fornire una interpretazione adeguatrice (la quale, peraltro, sarebbe immancabilmente riformata nelle fasi di gravame). Va poi osservato come la Corte di cassazione ha escluso espressamente l'esistenza di un dubbio di costituzionalita' nell'interpretazione dalla stessa fornita della disposizione legislativa in questione («16. Ne' la privazione del trattamento pensionistico, per l'intero anno solare, ridonderebbe in una violazione dell'art. 38 Cost., perche' l'intervento solidaristico, all'interno di un sistema previdenziale sostenibile, e' risultato contraddetto dall'elemento fattuale introdotto dal pensionato medesimo. 17. Non si ravvisano, pertanto, i dubbi di legittimita' costituzionale adombrati dalla parte controricorrente nella memoria illustrativa»: sempre Cassazione n. 30994/2024). Cio' toglie, evidentemente, spazio di manovra per un'interpretazione conforme a Costituzione da parte di questo giudice di merito, come ha gia' avuto modo di ritenere anche recentemente codesta Consulta (sentenza n. 208/2024: «Sebbene non si possa ritenere che due sole pronunce - rese in un brevissimo arco temporale - costituiscano gia' diritto vivente idoneo a essere assunto come oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale, questa Corte non puo' che prendere atto della circostanza che, allo stato, la Corte di cassazione ha ritenuto di non poter pervenire ad un'interpretazione costituzionalmente conforme, nel senso appena indicato, della disposizione censurata. In considerazione delle esigenze di certezza giuridica, che sono particolarmente acute nella materia processuale, appare a questo punto opportuno intervenire, nel senso sollecitato dal rimettente, ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali in gioco attraverso una pronuncia di accoglimento additiva (sentenze n. 179 del 2024, punto 7 del Considerato in diritto, e n. 45 del 2023, punto 10 del Considerato in diritto)»). Si ritiene che cio' debba valere non solo in materia processuale, ma pure in ambito previdenziale (rilevante ex art. 38 Cost ma, vista la gravita' degli effetti nel caso concreto, con buona probabilita' anche ex art. 2 Cost.), dove ad identiche esigenze di certezza si uniscono anche le ragioni del sostentamento individuale, non apparendo giustificato predicarsi il sacrificio di ulteriori diritti dei singoli (ossia la necessita' di ulteriori sentenze di legittimita' che rigettano le domande dei pensionati) quale precondizione processualmente necessaria prima di potersi accedere alla eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale. 7 - La non manifesta infondatezza della questione. 1° Vizio. Viene innanzi tutto in rilievo la violazione dell'art. 3 Cost. sotto il profilo della irragionevolezza degli effetti conseguenti al percepimento da parte del pensionato di un reddito da attivita' lavorativa dipendente. Il caso di specie (il ricorrente ha perso 23.949,05 euro a fronte dello svolgimento di un'attivita' lavorativa della durata di un solo giorno e con un reddito percepito di € 83,91) rende di una plasticita' tale la questione da non richiedere probabilmente ulteriori specificazioni. Si tratta di casi, purtroppo, non isolati (frequenti, nel circondario ravennate, le questioni collegate alla vendemmia; non oggetto del presente giudizio, ma particolarmente istruttiva, si rivela la questione, legata al ruolo di comparsa, impersonata per un paio di giorni da un pensionato modenese, nel film «Enzo Ferrari», che pero' gli costato loro il salatissimo conto della perdita dell'intera annualita' della pensione). E' tuttavia preferibile evidenziare come nel caso di specie la sproporzione assoluta tra la pensione perduta ed il reddito percepito (il ricorrente ha perso una somma pari ad oltre 285 volte il reddito di lavoro percepito in quell'anno, per quella sola giornata) rende gli effetti del cumulo draconiani. La norma qui censurata, infatti, in presenza di un reddito anche infimo, del tutto inadeguato a qualsiasi sostentamento del lavoratore-pensionato, giunge a comminare un effetto manifestamente sproporzionato, tale da compromettere integralmente il sostentamento dell'individuo, realizzando al contempo una traslazione patrimoniale in favore dell'istituto previdenziale, che appare scarsamente giustificata, sotto tutti i punti di vista. Sia la Corte costituzionale (sentenza n. 234/2022) che la Corte di cassazione (n. 30994/2024) hanno evidenziato le finalita' della normativa sulla pensione anticipata con Quota 100, tra le quali sostanzialmente il ricambio generazionale nel lavoro subordinato. Tuttavia, una prestazione lavorativa contingentata in alcune giornate in un anno solare e', per sua la natura e per la sua esiguita' temporale ed economica, del tutto inidonea ad incidere nelle dinamiche del mercato del lavoro. Piu' corretto, in tale quadro, sarebbe limitare l'ablazione al periodo (mensile) interessato da un rapporto di lavoro, perche' - evidentemente - solo durante quel periodo il pensionato potrebbe effettivamente essere accusato di avere «sottratto» lavoro ad un altro lavoratore o, sotto altra prospettiva, «cumulato» reddito e pensione. Invece, il riferimento fatto dalla S.C. all'intera annualita', oltre che di appoggio testuale, appare privo di ragionevolezza, anche considerato come e' la stessa normativa primaria ad individuare nell'erogazione della pensione un'obbligazione di durata a periodicita' mensile («I titolari di pensione delle assicurazioni obbligatorie per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori delle miniere, cave e torbiere, dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, degli artigiani e loro familiari, disciplinate rispettivamente dal regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, dalla legge 3 gennaio 1960, n. 5, dalla legge 26 ottobre 1957, n. 1047, dalla legge 4 luglio 1959, n. 463, e successive modificazioni ed integrazioni, hanno diritto ad una pensione nella misura di lire 12.000 mensili a carico del Fondo sociale di cui al successivo art. 2, a decorrere dal 1° gennaio 1965. La pensione di cui sopra e' maggiorata di un'aliquota pari ad un dodicesimo del suo ammontare annuo da corrispondersi con la rata di dicembre»: articolo 1 della legge 21 luglio 1965, n. 903). Dunque, l'avere perso il ricorrente, esemplificativamente, il diritto alla pensione di gennaio, per avere egli lavorato a settembre, non appare sanzionare il "cumulo" che la norma vieta (perche' a gennaio il ricorrente non ha cumulato lavoro subordinato e pensione), bensi' qualcos'altro (probabilmente, si tratta di una forma di maxi-sanzione civile). Tali coordinate interpretative non mutano nemmeno ove si ravvisasse, nella misura ablativa individuata dalla Corte di cassazione, una vera e propria sanzione per il comportamento del pensionato (tale conclusione parrebbe invero confermata dalla distanza tra la violazione della regola del cumulo e la conseguenza giuridica dell'ablazione dell'intera annualita' della pensione, nonche' dalla mancanza di stretta consequenzialita' causale e logica tra la violazione e la sua estrema conseguenza: come visto tale misura ha gli effetti di considerare il cumulo anche per i periodi mensili in cui il cumulo stesso non vi e' stato). Anche in tale caso dovrebbero operare le regole costituzionali di proporzione e di non irragionevolezza (Corte costituzionale n 254/2014, secondo la quale «In altri termini, poiche' le sanzioni civili connesse all'omesso versamento di contributi e premi hanno una funzione essenzialmente risarcitoria, essendo volte a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito dall'ente previdenziale, la previsione di una soglia minima disancorata dalla durata della prestazione lavorativa accertata, dalla quale dipende l'entita' dell'inadempimento contributivo e del relativo danno, e' irragionevole»), ampiamente infrante dalla manifesta sproporzione tra i redditi percepiti e la sanzione comminata. Tuttavia, come gia' evidenziato, i principi di proporzionalita' e ragionevolezza informano tutto il sistema e, quindi, la qualifica del meccanismo de quo come sanzione o come semplice effetto giuridico non riveste importanza dirimente al fine di risolvere la presente questione di costituzionalita': la violazione delle regole di proporzione e l'irragionevolezza del meccanismo e' cosi' manifesta da porre comunque - ritiene questo rimettente - lo stesso al di fuori di elementari regole di costituzionalita'. 2° Vizio. Si ritiene che il diritto vivente contrasti anche con l'art. 38, secondo comma Cost. La Costituzione, infatti, prevede sul punto che «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria». Nel caso di specie la normativa primaria prevede correttamente l'esistenza del sistema pensionistico pubblico (a ripartizione) e la normativa che lo finanzia. E' nel regolare l'istituto in questione, in rapporto con lo svolgimento dell'attivita' lavorativa subordinata, che il legislatore (nell'interpretazione datane dal diritto vivente) si ritiene avere travalicato il precetto costituzionale, posto che la scelta ablativa di un anno intero di pensione a fronte dello svolgimento di periodi di lavoro limitati ed inferiori all'annualita' (quasi sempre connesse con la percezione di somme anche estremamente modeste se non irrisorie) vale essenzialmente a privare del sistema previdenziale l'assicurato che pur ne avrebbe diritto per avere versato la contribuzione necessaria (ex lege) all'attivazione del trattamento. Il trattamento previdenziale acquisito (ex lege) non appare poter essere posto nel nulla (per una intera annualita') a fronte di una condotta lavorativa limitata a singoli periodi o, addirittura, esclusivamente ad alcune giornate di lavoro, posto che, altrimenti, il legislatore disattuerebbe il disposto del 2° comma dell'art. 38. Con una mano, dunque, creerebbe il sistema previdenziale, con l'altra lo frustrerebbe (in casi come questo), con effetti enormi, in assenza di un motivo tale da giustificare la gravita' di tali conseguenze. Come gia' visto, infatti, l'obiettivo di sistema del ricambio generazionale non e' frustrato dallo svolgimento da parte di uno o piu' pensionati con Quota 100 di un limitato numero di giornate di lavoro nell'arco di un anno. L'art. 38, secondo comma appare inoltre violato perche' il singolare meccanismo punitivo previsto dalla norma qui censurata comporta che, per i soli pensionati con Quota 100 che hanno svolto una minima e parziale (sviluppata non nell'arco dell'intero anno) attivita' lavorativa subordinata - e per tale motivo siano stati privati integralmente dell'intero trattamento pensionistico annuale - sostanzialmente, la Repubblica non ha preveduto alcuno strumento previdenziale. Venendosi cosi' a creare una sorta di «esodati» della pensione Quota 100, privati dell'intero trattamento pensionistico annuale, privi di qualsiasi reddito (che non hanno sostanzialmente ricevuto, avendo ricevuto spesso pochi denari) e senza alcun mezzo di sostentamento o alcuno strumento previdenziale loro dedicato (ovviamente a parte quello che gli e' stato tolto). Evidentemente, all'eta' del ricorrente (63 anni nel 2020), non ci si puo' mantenere con meno di 80 euro all'anno e la Repubblica avrebbe dovuto provvedere a tale situazione. 3° Vizio. Ai sensi dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (20 marzo 1952): «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di pubblica utilita' e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende». Tale norma viene in rilievo nell'ordinamento interno per il tramite dell'art. 117, primo comma Cost. imponendo tale ultima disposizione in particolare il rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali rientra anche il rispetto delle norme della CEDU (Corte costituzionale n. 348 e 349 del 2007). Nel caso di specie siamo in presenza di un diritto acquisito (in base alla stessa legge che ne prevede i presupposti, nel caso di specie sussistenti, tanto che INPS ha erogato la pensione in questione nel 2019) ad una prestazione previdenziale, che conseguentemente (sussistendo un legittimo affidamento del creditore circa l'adempimento della prestazione) appare rientrare nell'ambito del concetto di «bene» di cui all'allegato 1, art. 1. L'ablazione totale del trattamento pensionistico (nonostante cio' non sia espressamente previsto dalla norma: ancora ritorna il tema del legittimo affidamento del pensionato), cagionato dallo svolgimento di un'attivita' lavorativa pur incompatibile, appare completamente sproporzionato ed ingiustificato e questo appare in contrasto con l'art. 1 del protocollo addizionale (v. Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 15 aprile 2014 - Ricorsi numeri 21838/10, 21849/10, 21852/10, 21855/10, 21860/10, 21863/10, 21869/10 e 21870/10) Stefanetti e altri c. Italia ed i richiami in essa contenuti; in particolare al punto n. 59: «La Corte osserva che e' probabile che la privazione dell'intera pensione violi la suddetta disposizione (si vedano, per esempio, Kjartan Asmundsson, sopra citata, e Apostolakis c. Grecia, n. 39574/07, 22 ottobre 2009)»; al punto n. 65: «... la maggioranza delle somme in questione, che non superano euro 1.000 al mese, deve essere ritenuta provvedere solo ai generi di prima necessita'. Pertanto le riduzioni hanno indubbiamente inciso sullo stile di vita dei ricorrenti e ne hanno ostacolato il godimento in modo sostanziale.»). Nel caso di specie, l'ablazione totale del trattamento pensionistico secondo le modalita' e per le ragioni descritte nei motivi precedenti, rende evidente la totale frustrazione delle esigenze di vita del pensionato, con violazione del diritto dello stesso alla proprieta', proprieta' peraltro funzionale al soddisfacimento di esigenze minime di vita ed anzi di sopravvivenza, dal che la lesione anche alla dignita' dell'individuo. Ne' tale ablazione integrale e' giustificabile sulla base di motivi di «pubblica utilita'» o di «interesse generale», proprio perche' tali esimenti richiedono comunque un equo bilanciamento degli interessi in gioco, cio' che qui e' escluso proprio dalla sproporzione assoluta in favore dello Stato ed ai danni del soggetto privato. Ne' possono essere salvifiche le ulteriori previsioni giustificative legate ad «assicurare il pagamento ... di altri contributi o delle ammende»: come visto il tema contributivo (come tenuta generale del sistema contributivo) in relazione a prestazioni limitatissime di lavoro appare spropositato e quindi inconferente, non essendo uno o piu' pensionati che svolgono alcune giornate di lavoro nell'arco di un anno ad impedire il ricambio generazionale nel lavoro subordinato; il tema delle sanzioni e delle ammende sottosta' alle stesse regole di proporzionalita' che si ritiene avere gia' dimostrato che nel caso di specie sono state violate per cui sul punto non ci si ripetera'. Parimenti, si ritiene che la gravita' degli effetti di cui si discute sia idonea a provocare la lesione anche del parametro di cui all'art. 2 della Costituzione (che qui si sovrappone alle previsioni della CEDU). Venendo in gioco il diritto ad una intera annualita' di pensione, a questo remittente pare compromesso il sostentamento stesso del pensionato e, dunque dell'individuo (zero e' ben al di sotto di qualunque minimo vitale, pari peraltro ad euro 689,74 nel 2020, ex art. 545, settimo comma, codice procedura civile, norma poi modificata nel 2022 con l'introduzione, tra l'altro, di un minimo vitale impignorabile di almeno 1.000,00 euro mensili di pensione: questo al solo fine di evidenziare che l'ablazione integrale dell'unica forma di reddito incide evidentemente su situazioni vitali dell'individuo e, dunque, sui suoi diritti inviolabili). Ed un individuo privato integralmente dallo Stato del necessario sostentamento, al quale avrebbe diritto in forza di legge, senza una valida (nei termini sopra evidenziati di giustificata, proporzionata) ragione, appare leso in un suo diritto inviolabile. Qui, dunque, l'art. 2 Cost. in connessione all'art. 38 Cost., dovrebbe operare anche a tutela di diritti patrimoniali (a sua volta garantiti dalla Costituzione), che pero' sono strettamente necessari a garantire dignita' personale e sociale, quali strumenti essenziali per la liberta' e l'autonomia individuale. In definitiva, sotto tale profilo, la privazione integrale ed ingiustificata (in rapporto alla violazione della regola del divieto di cumulo) di una intera annualita' di pensione, quale forma di sostentamento del pensionato, pare violare allo stesso tempo sia l'art. 2 Cost., che la CEDU, nei termini appena illustrati. 8 - Discrezionalita' legislativa. Evidentemente il legislatore avrebbe potuto regolare come meglio credeva la fattispecie, seppure nel rispetto dei limiti sopra esaminati. Ma non lo ha fatto. L'auspicata caducazione della norma posta dal diritto vivente pare importare la necessita' di individuare un meccanismo di delimitazione nel tempo degli effetti della incumulabilita'. In questo senso si ritiene che, dando seguito ad un effetto/conseguenza naturale della norma, debba essere dato rilievo alla dimensione temporale mensile, ossia al rateo di riferimento. La soluzione naturale appare essere, quindi, quella di limitare l'incumulabilita' (e quindi l'indebito) alla mensilita' nell'ambito della quale si sono svolte le singole prestazioni lavorative. Infatti, le pensioni vengono erogate per legge mensilmente ed e' quindi naturale che la regola del cumulo debba operare a livello mensile, privando il pensionato dei ratei nelle sole mensilita' nelle quali egli ha cumulato redditi da lavoro subordinato e pensione Quota 100 (mentre come detto sarebbe privo di logicita' privare il pensionato P. E. del rateo di gennaio poiche' egli ha svolto alcune giornate di lavoro in settembre). Inoltre, dal punto di vista della proporzionalita' e della ragionevolezza, tale soluzione permette di presidiare sia l'esigenza del ricambio generazionale, che di evitare comportamenti elusivi, mantenendo inoltre (laddove l'effetto in questione dovesse ritenersi presentare in tutto o in parte i connotati della sanzione) una piu' che sufficiente dissuasivita'. In questo stesso senso, peraltro, si era espressa gia' buona parte della giurisprudenza di merito formatasi dopo la sentenza n. 234/2022 di codesta Consulta, ma prima della S.C. Resterebbe, d'altra parte, intatta la facolta' del legislatore, qualora lo ritenesse opportuno, di regolare diversamente (ed anche in modo piu' favorevole) gli effetti ablativi della norma in esame, stabilendo eventualmente altri regimi (P. E. quello invocato anche in questa sede dalla difesa attorea, consistente nella limitazione dell'indebito alla somma percepita a titolo di reddito da lavoro subordinato, soluzione minimale che appare, tuttavia, impraticabile a livello interpretativo perche' dal punto di vista previdenziale il diritto - qui il singolo rateo - spetta o non spetta), nel rispetto dei limiti di proporzionalita' e ragionevolezza. 9 - Conclusioni. Alla luce di tutto quanto premesso, si domanda l'abrogazione della norma qui impugnata ed in particolare dell'art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, nella parte in cui esso prevede, nell'interpretazione datane dalla Corte di cassazione, che «la violazione del divieto di cumulo tra redditi pensionistici e da lavoro subordinato ... comporta la perdita totale del trattamento pensionistico, non solo per i mesi in cui e' stata espletata l'attivita' lavorativa, bensi' per tutto l'anno solare di riferimento» (Cassazione n. 30994/2024). P. Q. M. Il Tribunale di Ravenna, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata dispone, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 23 della legge n. 87/1953, la trasmissione degli atti (comprese le comunicazioni e le notificazioni di cui alla presente ordinanza) del presente procedimento alla Corte costituzionale affinche' valuti se sia costituzionalmente legittimo, con riferimento agli articoli 2, 3, 38, secondo comma, 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (20 marzo 1952), l'art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, nella parte in cui (nell'interpretazione della Corte di cassazione) prevede che «la violazione del divieto di cumulo tra redditi pensionistici e da lavoro subordinato ... comporta la perdita totale del trattamento pensionistico, non solo per i mesi in cui e' stata espletata l'attivita' lavorativa, bensi' per tutto l'anno solare di riferimento». Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone, altresi', che la presente ordinanza sia comunicata con immediatezza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dispone la sospensione del presente giudizio sino alla decisione della Corte costituzionale. Si comunichi. Ravenna, 27 gennaio 2025 Il Giudice: Bernardi