Reg. ord. n. 30 del 2025 pubbl. su G.U. del 26/02/2025 n. 9

Ordinanza del Tribunale di Ravenna  del 27/01/2025

Tra: D. F.  C/ Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS



Oggetto:

Previdenza – Pensioni – Pensione anticipata (cosiddetta "quota 100”) - Divieto di cumulo con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui – Interpretazione della Corte di cassazione, assunta come diritto vivente, secondo la quale la violazione del divieto di cumulo tra redditi pensionistici e da lavoro subordinato comporta la perdita totale del trattamento pensionistico non solo per i mesi in cui è stata espletata l’attività lavorativa, bensì per tutto l’anno solare di riferimento – Irragionevolezza degli effetti conseguenti al percepimento, da parte del pensionato, di un reddito da attività lavorativa dipendente (nel caso di specie: sproporzione assoluta tra la pensione recuperata dall'ente previdenziale e il reddito percepito) – Effetto manifestamente sproporzionato tale da compromettere il sostentamento dell’individuo e determinare un’ingiustificata traslazione patrimoniale a favore dell’ente previdenziale – Lesione del diritto acquisito al trattamento previdenziale – Violazione dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali per contrasto con il Protocollo addizionale alla CEDU in relazione alla garanzia del diritto di proprietà – Lesione della libertà e autonomia dell’individuo, privato di diritti patrimoniali necessari a garantirne la dignità personale e sociale.

Norme impugnate:

decreto-legge  del 28/01/2019  Num. 4  Art. 14  Co. 3

legge  del 28/03/2019  Num. 26



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 38   Co.

Costituzione  Art. 117   Co.

Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.  Co.  



Udienza Pubblica del 23 settembre 2025 rel. SCIARRONE ALIBRANDI


Testo dell'ordinanza

                        N. 30 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 2025

Ordinanza  del  27  gennaio  2025  del  Tribunale  di   Ravenna   nel
procedimento civile promosso da D. F. contro Istituto nazionale della
previdenza sociale - INPS. 
 
Previdenza - Pensioni - Pensione anticipata (cosiddetta "quota  100")
  - Divieto di cumulo con i redditi da lavoro dipendente o  autonomo,
  ad eccezione di quelli derivanti da  lavoro  autonomo  occasionale,
  nel limite di 5.000 euro lordi annui - Interpretazione della  Corte
  di cassazione, assunta come diritto vivente, secondo  la  quale  la
  violazione del divieto di cumulo tra  redditi  pensionistici  e  da
  lavoro subordinato  comporta  la  perdita  totale  del  trattamento
  pensionistico non solo  per  i  mesi  in  cui  e'  stata  espletata
  l'attivita'  lavorativa,  bensi'  per  tutto   l'anno   solare   di
  riferimento. 
- Decreto-legge 28  gennaio  2019,  n.  4  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito,  con
  modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, art. 14, comma 3. 


(GU n. 9 del 26-02-2025)

 
                   TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA 
                   sezione civile - settore lavoro 
 
    Il Giudice del lavoro Dario Bernardi; 
    Visti gli atti di provenienza del GOT-GOP, pronuncia la  seguente
ordinanza  di   rimessione   della   questione   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 3, del  decreto-legge  28  gennaio
2019, n. 4, convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019,
n. 26 
 
                               Motivi 
 
1 - Fatto e processo a quo. 
    Con ricorso D. F. domandava:  «In  via  principale:  accertare  e
quindi dichiarare, anche solo in via incidentale, che il rapporto  di
lavoro intercorso  tra  l'odierno  ricorrente  e  l'azienda  agricola
Serasini Giovanni  ...  e'  riconducibile  a  prestazione  di  lavoro
autonomo occasionale e, conseguentemente, accertatane e  dichiaratane
l'illegittimita' alla luce delle ragioni espresse ricorso  ovvero  di
quelle diverse e/o ulteriori che dovessero  risultare  di  giustizia,
annullare  integralmente  l'indebito  di  €  23.949,05  accertato  da
I.N.P.S. su pensione Quota 100 categoria VOCOM n.  36021727  come  in
atti e, per l'effetto, condannare I.N.P.S., Istituto nazionale  della
previdenza sociale, in persona del legale rappresentante pro-tempore,
a restituire al ricorrente tutte le somme trattenute per effetto  del
predetto  accertamento  di  indebito,  in  ogni  caso  maggiorate  di
interessi al tasso legale o al diverso tasso ritenuto di giustizia  e
di rivalutazione monetaria,  come  per  legge.  In  via  subordinata:
accertare e quindi dichiarare, alla luce delle  ragioni  espresse  in
ricorso  ovvero  di  quelle  diverse  e/o  ulteriori  che   dovessero
risultare di giustizia, l'illegittimita'  parziale  l'indebito  di  €
23.949,05 accertato da I.N.P.S. su pensione Quota 100 categoria VOCOM
n. 36021727 nella misura in cui eccede la somma di € 83,91  (pari  al
reddito di lavoro percepito  dal  ricorrente)  o,  in  via  meramente
subordinata, la somma di € 2.021,56 (pari al rateo netto di  pensione
percepita dal ricorrente  in  costanza  di  rapporto  di  lavoro)  o,
comunque, la diversa somma che dovesse risultare di giustizia e,  per
l'effetto, condannare I.N.P.S., Istituto Nazionale  della  Previdenza
Sociale,  in  persona  del  legale  rappresentante   pro-tempore,   a
restituire al ricorrente tutte le somme trattenute  per  effetto  del
predetto  accertamento  di  indebito,  in  ogni  caso  maggiorate  di
interessi al tasso legale o al diverso tasso ritenuto di giustizia  e
di rivalutazione monetaria, come per legge». 
    INPS resisteva al ricorso. 
    Il ricorso riguarda un indebito che INPS vanta nei confronti  del
ricorrente,  pensionato  Quota  100,  per  avere  lo  stesso   svolto
attivita' lavorativa subordinata. 
    Nello  specifico,  il  ricorrente   percepisce   il   trattamento
pensionistico n. 36021727  categoria  VOCOM  con  decorrenza  dal  1°
novembre 2019. 
    Successivamente, il ricorrente sottoscriveva contratto di  lavoro
subordinato a tempo determinato  (alle  dipendenze  di  una  societa'
agricola) avente concretamente ad  oggetto  l'attivita'  di  raccolta
dell'uva nel periodo compreso tra il  15  settembre  2020  ed  il  30
settembre 2020. 
    Tale rapporto di lavoro  si  svolgeva,  esclusivamente,  per  una
giornata, pari ad otto ore di lavoro, ed  il  reddito  effettivamente
percepito dal ricorrente era contenuto in complessivi €  83,91  lordi
(sul punto vi concordia tra le parti: il dato e' pacifico, posto  che
INPS ha ricevuto i contributi  esclusivamente  in  relazione  a  tale
giornata). 
    Con  provvedimento  del  9  settembre  2021  INPS  comunicava  al
ricorrente la costituzione di un indebito di € 23.949,05, a titolo di
somme non dovute sulla pensione n. 36021727 Categoria  VOCOM  per  il
periodo compreso tra il 1° gennaio 2020 ed il 31  dicembre  2020,  in
ragione della seguente motivazione: «variazione dei dati  di  calcolo
alla decorrenza originaria della pensione;  incumulabilita'  prevista
dall'articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 4/2019 con i  redditi
da lavoro dipendente o autonomo. La pensione e'  stata  liquidata  in
applicazione dell'articolo 14 del decreto-legge n.  4/2019  (pensione
Quota 100)». 
    In questa  sede,  il  ricorrente  ha  innanzi  tutto  tentato  di
qualificare la propria attivita',  nonostante  il  nomen  iuris  dato
dalle stesse parti, quale attivita' di lavoro autonomo (poiche'  essa
e', come noto, compatibile nel limite di 5000,00 euro annui,  con  la
pensione Quota 100). 
    Tuttavia, l'istruttoria orale svolta sul punto su richiesta della
parte  (testimonianza  del  datore  di  lavoro)  -  pur  ammissibile:
Cassazione n. 11926/2024 - non appare consentire la  riqualificazione
del  rapporto  come  autonomo,  posto  che  gli  elementi  formali  -
concordemente fatti propri dalle  parti  all'atto  dell'instaurazione
del rapporto di lavoro - risultano qui preponderanti sugli  scarni  e
non univoci elementi sostanziali  sul  punto  allegati  e  dimostrati
(essenzialmente l'avere utilizzato  la  propria  tuta  e  le  proprie
cesoie e l'avere cessato lo svolgimento della prestazione  dopo  solo
una  giornata  di  lavoro   senza   ulteriori   comunicazioni),   non
arrivandosi, pertanto, a quella  soglia  di  gravita',  precisione  e
concordanza ex art. 2729 del codice civile; infatti, la qualifica  di
lavoro subordinato  data  dalle  parti  e'  compatibile  con  l'avere
utilizzato il lavoratore i propri indumenti e le proprie  cesoie  per
svolgere la raccolta dell'uva (trattandosi di mezzi  invero  minimali
di svolgimento della prestazione),  cosi'  come  l'avere  abbandonato
l'attivita' lavorativa dopo solo una giornata non puo'  implicare  in
alcun modo un indice  di  autonomia  (ed  anzi  proprio  per  ovviare
all'annosa questione dell'abbandono del posto di lavoro da parte  del
subordinato, recentemente e' intervenuto il  legislatore  con  l'art.
19, legge  n.  203/2024  che  ha  novellato  l'art.  26  del  decreto
legislativo n. 151/20215 inserendo il comma 7-bis). 
2 - L'oggetto del giudizio di costituzionalita': la norma. 
    Viene in rilievo l'art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio
2019,  n.  4  (Disposizioni  urgenti  in  materia   di   reddito   di
cittadinanza e di pensioni),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 28 marzo 2019, n. 26. 
    Esso  prevede  che  «La  pensione  di  cui  al  comma  1  non  e'
cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della  pensione
e fino alla maturazione dei requisiti per l'accesso alla pensione  di
vecchiaia,  con  i  redditi  da  lavoro  dipendente  o  autonomo,  ad
eccezione di quelli derivanti da  lavoro  autonomo  occasionale,  nel
limite di 5.000 euro lordi annui». 
    La norma specifica che viene in applicazione e'  tuttavia  quella
lettura - operatane dalla Corte di cassazione - in base alla quale lo
svolgimento di un'attivita' di lavoro subordinato  determina  la  non
spettanza  (incumulabilita')  dell'intera  annualita'   di   pensione
nell'ambito della quale si svolge l'attivita' di lavoro  subordinato;
ancorche'  tale  attivita'  sia  svolta  per  un  periodo   limitato,
inferiore (anche di molto) all'anno ed anche se  pari  ad  una  o  ad
alcune giornate di lavoro. 
3 - I parametri. 
    La norma qui impugnata si ritiene contrastare con gli articoli 2,
3, 38, 2° comma e 117, 1° comma Cost., quest'ultima  disposizione  in
rapporto all'art. 1  del  protocollo  addizionale  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo. 
4 - La questione. 
    Lo svolgimento - da parte del  pensionato  Quota  100  -  di  una
temporalmente e patrimonialmente limitatissima  attivita'  lavorativa
subordinata determina, secondo l'indirizzo della Corte di cassazione,
la non spettanza di un'intera annualita' di pensione, cio'  che  crea
una conseguenza gravissima per il pensionato. 
    Appare innanzitutto violato l'art. 3 Cost. sotto il profilo della
ragionevolezza/proporzionalita' di tale conseguenza. 
    Risulta inoltre violato l'art. 38, secondo comma Cost. posto che,
a differenza di quanto prevederebbe la  Costituzione,  il  meccanismo
legislativo qui censurato va sostanzialmente a porre  nel  nulla  gli
effetti  di  tutela   previsti   dal   sistema   previdenziale   (pur
astrattamente  predisposto)  per  chi  incorre  nell'errore  «fatale»
commesso anche dall'odierno ricorrente. 
    Infine, vi e' questione rilevante ex art. 1 del primo  protocollo
addizionale della Convenzione europea dei  diritti  dell'uomo,  norma
che viene in rilievo per il tramite dell'art. 117, primo comma Cost.,
posto che un diritto pensionistico acquisito  viene  frustrato  nella
misura del 100% senza che sussistano le  condizioni  legittimanti  un
tale prelievo cosi' come previste dalla  disposizione  internazionale
richiamata;  cio'  si   ritiene   correlativamente   incidere   sulla
protezione prevista dall'art. 2 Cost. 
    Infine, va osservato che sulla questione qui  sollevata,  codesta
Consulta non si e' ancora pronunciata. 
    Infatti, nella  questione  pregiudiziale  decisa  dalla  sentenza
costituzionale n. 234/2022, il tema oggetto della presente rimessione
non era stato sollevato e la Corte non se ne occupo' («... Di cio' e'
consapevole il giudice rimettente, il quale, pur adombrando che possa
ritenersi sproporzionata la sospensione del trattamento pensionistico
per l'intero anno solare in cui  siano  stati  percepiti  redditi  da
lavoro, specialmente se si tratta di  importi  modesti,  incentra  il
dubbio di legittimita' costituzionale sul  regime  differenziato  del
divieto di cumulo»: Corte costituzionale n. 234/2022). 
5 - Rilevanza della questione. 
    La questione rileva  nel  presente  giudizio  in  quanto  un  suo
eventuale accoglimento escluderebbe l'esistenza della quasi totalita'
del credito INPS per cui e' causa (in particolare, se la disposizione
fosse abrogata e sostituita con la previsione della rilevanza mensile
dell'attivita' lavorativa, l'indebito del ricorrente sarebbe limitato
al rateo di pensione percepito nel mese di settembre del  2020,  pari
ad €  2.021,56  netti).  Al  contrario,  il  rigetto  della  presente
questione incidentale non potrebbe che condurre al rigetto  integrale
del ricorso, posto l'orientamento della S.C. sul punto. 
6 - L'impossibilita' di una interpretazione adeguatrice. 
    La norma di legge sopra esaminata non  prevede  espressamente  le
conseguenze della violazione del divieto di cumulo tra pensione Quota
100 e lo svolgimento di attivita' lavorativa. 
    Tuttavia,  la  giurisprudenza  di  legittimita'  ritiene  che  la
conseguenza non possa essere che l'ablazione  dell'intera  annualita'
di pensione. 
    Sul punto si fa riferimento a Cass.  n.  30994/2024,  secondo  la
quale «In tema di pensione anticipata, la violazione del  divieto  di
cumulo tra redditi pensionistici e da lavoro subordinato -  stabilito
per la  pensione  cd.  "Quota  cento"  dall'art.  14,  comma  3,  del
decreto-legge n. 4 del 2019, convertito dalla legge n. 26 del 2019  -
comporta la perdita totale del trattamento  pensionistico,  non  solo
per i mesi in cui e' stata espletata l'attivita'  lavorativa,  bensi'
per tutto l'anno solare di riferimento, in quanto  la  norma  esprime
una ratio solidaristica (come affermato nella  sentenza  della  Corte
costituzionale  n.  234  del  2022),  ma  in  concorso  con  il  fine
macroeconomico di creare nuova  occupazione  ed  assicurare  ricambio
generazionale  nella  cornice  della   sostenibilita'   del   sistema
previdenziale, sicche' l'uscita dal mercato del  lavoro  deve  essere
effettiva». 
    L'esistenza di un diritto vivente (come  e'  noto,  la  Corte  di
cassazione sezione lavoro, allorquando pronuncia per la  prima  volta
su una questione, adotta una pronuncia dotata di  stabilita'  interna
ed e' estremamente difficile per non dire impossibile che, in assenza
di elementi normativi sopravvenuti, essa muti  la  propria  opinione)
esonera  il  giudice  dall'onere  di  fornire   una   interpretazione
adeguatrice (la quale, peraltro,  sarebbe  immancabilmente  riformata
nelle fasi di gravame). 
    Va  poi  osservato  come  la  Corte  di  cassazione  ha   escluso
espressamente  l'esistenza  di   un   dubbio   di   costituzionalita'
nell'interpretazione  dalla   stessa   fornita   della   disposizione
legislativa in questione («16.  Ne'  la  privazione  del  trattamento
pensionistico,  per  l'intero  anno  solare,  ridonderebbe   in   una
violazione dell'art. 38 Cost.,  perche'  l'intervento  solidaristico,
all'interno di un sistema  previdenziale  sostenibile,  e'  risultato
contraddetto  dall'elemento  fattuale   introdotto   dal   pensionato
medesimo. 17. Non si ravvisano, pertanto,  i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale adombrati dalla parte controricorrente  nella  memoria
illustrativa»: sempre Cassazione n. 30994/2024). 
    Cio'   toglie,   evidentemente,    spazio    di    manovra    per
un'interpretazione conforme a Costituzione da parte di questo giudice
di merito, come ha gia' avuto modo  di  ritenere  anche  recentemente
codesta  Consulta  (sentenza  n.  208/2024:  «Sebbene  non  si  possa
ritenere che due sole pronunce - rese in un brevissimo arco temporale
- costituiscano gia' diritto vivente idoneo  a  essere  assunto  come
oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale, questa Corte non
puo' che prendere atto della circostanza che, allo stato, la Corte di
cassazione ha ritenuto di non poter pervenire  ad  un'interpretazione
costituzionalmente  conforme,  nel  senso  appena   indicato,   della
disposizione censurata. In considerazione delle esigenze di  certezza
giuridica, che sono particolarmente acute nella materia  processuale,
appare a questo punto opportuno intervenire,  nel  senso  sollecitato
dal rimettente, ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali
in gioco attraverso una pronuncia di accoglimento additiva  (sentenze
n. 179 del 2024, punto 7 del Considerato in  diritto,  e  n.  45  del
2023, punto 10 del Considerato in diritto)»). 
    Si ritiene che cio' debba valere non solo in materia processuale,
ma pure in ambito previdenziale (rilevante ex art. 38 Cost ma,  vista
la gravita' degli effetti nel caso concreto, con  buona  probabilita'
anche ex art. 2 Cost.), dove ad identiche  esigenze  di  certezza  si
uniscono  anche  le  ragioni  del  sostentamento   individuale,   non
apparendo giustificato predicarsi il sacrificio di ulteriori  diritti
dei  singoli  (ossia  la  necessita'   di   ulteriori   sentenze   di
legittimita'  che  rigettano  le  domande   dei   pensionati)   quale
precondizione processualmente necessaria prima  di  potersi  accedere
alla eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale. 
7 - La non manifesta infondatezza della questione. 
    1° Vizio. 
    Viene innanzi tutto in rilievo la violazione  dell'art.  3  Cost.
sotto il profilo della irragionevolezza degli effetti conseguenti  al
percepimento da parte del  pensionato  di  un  reddito  da  attivita'
lavorativa dipendente. 
    Il caso di specie (il ricorrente ha perso 23.949,05 euro a fronte
dello svolgimento di un'attivita' lavorativa della durata di un  solo
giorno  e  con  un  reddito  percepito  di  €  83,91)  rende  di  una
plasticita'  tale  la  questione  da  non  richiedere   probabilmente
ulteriori specificazioni. 
    Si  tratta  di  casi,  purtroppo,  non  isolati  (frequenti,  nel
circondario ravennate, le questioni  collegate  alla  vendemmia;  non
oggetto del presente  giudizio,  ma  particolarmente  istruttiva,  si
rivela la questione, legata al ruolo di comparsa, impersonata per  un
paio di giorni da un pensionato modenese, nel  film  «Enzo  Ferrari»,
che pero'  gli  costato  loro  il  salatissimo  conto  della  perdita
dell'intera annualita' della pensione). 
    E' tuttavia preferibile evidenziare come nel caso  di  specie  la
sproporzione assoluta tra la pensione perduta ed il reddito percepito
(il ricorrente ha perso una somma pari ad oltre 285 volte il  reddito
di lavoro percepito in quell'anno, per quella  sola  giornata)  rende
gli effetti del cumulo draconiani. 
    La norma qui censurata, infatti, in presenza di un reddito  anche
infimo,  del  tutto  inadeguato   a   qualsiasi   sostentamento   del
lavoratore-pensionato, giunge a comminare un  effetto  manifestamente
sproporzionato, tale da compromettere integralmente il  sostentamento
dell'individuo, realizzando al contempo una traslazione  patrimoniale
in  favore  dell'istituto  previdenziale,  che   appare   scarsamente
giustificata, sotto tutti i punti di vista. 
    Sia la Corte costituzionale (sentenza n. 234/2022) che  la  Corte
di cassazione (n. 30994/2024) hanno evidenziato  le  finalita'  della
normativa sulla pensione anticipata  con  Quota  100,  tra  le  quali
sostanzialmente il ricambio generazionale nel lavoro subordinato. 
    Tuttavia, una  prestazione  lavorativa  contingentata  in  alcune
giornate in un anno solare e',  per  sua  la  natura  e  per  la  sua
esiguita' temporale ed economica,  del  tutto  inidonea  ad  incidere
nelle dinamiche del mercato del lavoro. 
    Piu' corretto, in tale quadro, sarebbe  limitare  l'ablazione  al
periodo (mensile) interessato da un rapporto  di  lavoro,  perche'  -
evidentemente - solo durante  quel  periodo  il  pensionato  potrebbe
effettivamente essere accusato di  avere  «sottratto»  lavoro  ad  un
altro lavoratore o, sotto altra  prospettiva,  «cumulato»  reddito  e
pensione.  Invece,  il  riferimento  fatto  dalla   S.C.   all'intera
annualita',  oltre  che  di  appoggio  testuale,  appare   privo   di
ragionevolezza,  anche  considerato  come  e'  la  stessa   normativa
primaria    ad    individuare    nell'erogazione    della    pensione
un'obbligazione di durata a  periodicita'  mensile  («I  titolari  di
pensione  delle  assicurazioni  obbligatorie  per  l'invalidita',  la
vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti,  dei  lavoratori
delle miniere, cave e torbiere, dei coltivatori diretti,  mezzadri  e
coloni,   degli   artigiani   e    loro    familiari,    disciplinate
rispettivamente dal regio decreto-legge  4  ottobre  1935,  n.  1827,
dalla legge 3 gennaio 1960, n. 5, dalla legge  26  ottobre  1957,  n.
1047, dalla legge 4 luglio 1959, n. 463, e  successive  modificazioni
ed integrazioni, hanno diritto ad una pensione nella misura  di  lire
12.000 mensili a carico del Fondo sociale di cui al  successivo  art.
2, a decorrere dal 1° gennaio 1965.  La  pensione  di  cui  sopra  e'
maggiorata di un'aliquota pari ad un  dodicesimo  del  suo  ammontare
annuo da corrispondersi con la rata di dicembre»:  articolo  1  della
legge 21 luglio 1965, n. 903). 
    Dunque, l'avere perso  il  ricorrente,  esemplificativamente,  il
diritto  alla  pensione  di  gennaio,  per  avere  egli  lavorato   a
settembre, non appare sanzionare  il  "cumulo"  che  la  norma  vieta
(perche' a gennaio il ricorrente non ha cumulato lavoro subordinato e
pensione), bensi' qualcos'altro  (probabilmente,  si  tratta  di  una
forma di maxi-sanzione civile). 
    Tali  coordinate  interpretative  non  mutano  nemmeno   ove   si
ravvisasse,  nella  misura  ablativa  individuata  dalla   Corte   di
cassazione, una vera e propria  sanzione  per  il  comportamento  del
pensionato  (tale  conclusione  parrebbe  invero   confermata   dalla
distanza tra la violazione della regola del cumulo e  la  conseguenza
giuridica  dell'ablazione  dell'intera  annualita'  della   pensione,
nonche' dalla mancanza di stretta consequenzialita' causale e  logica
tra la violazione e la  sua  estrema  conseguenza:  come  visto  tale
misura ha gli effetti di considerare il cumulo anche  per  i  periodi
mensili in cui il cumulo stesso non vi e' stato). 
    Anche in tale caso dovrebbero operare le regole costituzionali di
proporzione  e  di  non  irragionevolezza  (Corte  costituzionale   n
254/2014, secondo la quale «In altri  termini,  poiche'  le  sanzioni
civili connesse all'omesso versamento di contributi e premi hanno una
funzione essenzialmente risarcitoria, essendo volte  a  quantificare,
in  via  preventiva  e  forfettaria,  il   danno   subito   dall'ente
previdenziale, la previsione di una soglia minima  disancorata  dalla
durata della prestazione lavorativa accertata,  dalla  quale  dipende
l'entita' dell'inadempimento contributivo e del  relativo  danno,  e'
irragionevole»), ampiamente infrante dalla manifesta sproporzione tra
i redditi percepiti e la sanzione comminata. 
    Tuttavia, come gia' evidenziato, i principi di proporzionalita' e
ragionevolezza informano tutto il sistema e, quindi, la qualifica del
meccanismo de quo come sanzione o come semplice effetto giuridico non
riveste  importanza  dirimente  al  fine  di  risolvere  la  presente
questione  di  costituzionalita':  la  violazione  delle  regole   di
proporzione e l'irragionevolezza del meccanismo e' cosi' manifesta da
porre comunque - ritiene questo rimettente - lo stesso al di fuori di
elementari regole di costituzionalita'. 
    2° Vizio. 
    Si ritiene che il diritto vivente contrasti anche con l'art.  38,
secondo comma Cost. 
    La Costituzione, infatti, prevede sul  punto  che  «I  lavoratori
hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi  adeguati  alle
loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita'  e
vecchiaia, disoccupazione involontaria». 
    Nel caso di specie la normativa  primaria  prevede  correttamente
l'esistenza del sistema pensionistico pubblico (a ripartizione) e  la
normativa che lo finanzia. 
    E' nel regolare l'istituto  in  questione,  in  rapporto  con  lo
svolgimento dell'attivita' lavorativa subordinata, che il legislatore
(nell'interpretazione datane dal diritto vivente)  si  ritiene  avere
travalicato il precetto costituzionale, posto che la scelta  ablativa
di un anno intero di pensione a fronte dello svolgimento  di  periodi
di lavoro limitati ed inferiori all'annualita' (quasi sempre connesse
con  la  percezione  di  somme  anche  estremamente  modeste  se  non
irrisorie) vale essenzialmente a privare  del  sistema  previdenziale
l'assicurato  che  pur  ne  avrebbe  diritto  per  avere  versato  la
contribuzione necessaria (ex lege) all'attivazione del trattamento. 
    Il trattamento previdenziale acquisito (ex lege) non appare poter
essere posto nel nulla (per una intera annualita') a  fronte  di  una
condotta  lavorativa  limitata  a  singoli  periodi  o,  addirittura,
esclusivamente ad alcune giornate di lavoro, posto  che,  altrimenti,
il legislatore disattuerebbe il disposto del 2° comma dell'art. 38. 
    Con una mano, dunque, creerebbe  il  sistema  previdenziale,  con
l'altra lo frustrerebbe (in casi come questo), con effetti enormi, in
assenza di un  motivo  tale  da  giustificare  la  gravita'  di  tali
conseguenze. 
    Come gia' visto, infatti, l'obiettivo  di  sistema  del  ricambio
generazionale non e' frustrato dallo svolgimento da parte  di  uno  o
piu' pensionati con Quota 100 di un limitato numero  di  giornate  di
lavoro nell'arco di un anno. 
    L'art. 38,  secondo  comma  appare  inoltre  violato  perche'  il
singolare meccanismo punitivo  previsto  dalla  norma  qui  censurata
comporta che, per i soli pensionati con Quota 100  che  hanno  svolto
una minima e parziale (sviluppata  non  nell'arco  dell'intero  anno)
attivita' lavorativa subordinata - e  per  tale  motivo  siano  stati
privati integralmente dell'intero trattamento pensionistico annuale -
sostanzialmente, la Repubblica  non  ha  preveduto  alcuno  strumento
previdenziale. 
    Venendosi cosi' a creare una sorta di  «esodati»  della  pensione
Quota 100, privati  dell'intero  trattamento  pensionistico  annuale,
privi di qualsiasi reddito (che non hanno  sostanzialmente  ricevuto,
avendo  ricevuto  spesso  pochi  denari)  e  senza  alcun  mezzo   di
sostentamento  o  alcuno  strumento   previdenziale   loro   dedicato
(ovviamente a parte quello che gli e' stato tolto). 
    Evidentemente, all'eta' del ricorrente (63 anni nel 2020), non ci
si puo' mantenere con meno  di  80  euro  all'anno  e  la  Repubblica
avrebbe dovuto provvedere a tale situazione. 
    3° Vizio. 
    Ai sensi dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (20 marzo 1952): «Ogni persona  fisica  o  giuridica  ha
diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato  della
sua proprieta'  se  non  per  causa  di  pubblica  utilita'  e  nelle
condizioni previste dalla legge e dai principi generali  del  diritto
internazionale. 
    Le disposizioni precedenti non  portano  pregiudizio  al  diritto
degli Stati di porre in vigore le leggi da essi  ritenute  necessarie
per disciplinare  l'uso  dei  beni  in  modo  conforme  all'interesse
generale o per assicurare il  pagamento  delle  imposte  o  di  altri
contributi o delle ammende». 
    Tale norma viene  in  rilievo  nell'ordinamento  interno  per  il
tramite dell'art.  117,  primo  comma  Cost.  imponendo  tale  ultima
disposizione   in   particolare   il    rispetto    degli    obblighi
internazionali, tra i quali rientra anche  il  rispetto  delle  norme
della CEDU (Corte costituzionale n. 348 e 349 del 2007). 
    Nel caso di specie siamo in presenza di un diritto acquisito  (in
base alla stessa legge che ne prevede  i  presupposti,  nel  caso  di
specie  sussistenti,  tanto  che  INPS  ha  erogato  la  pensione  in
questione  nel  2019)   ad   una   prestazione   previdenziale,   che
conseguentemente (sussistendo un legittimo affidamento del  creditore
circa l'adempimento della prestazione) appare  rientrare  nell'ambito
del concetto di «bene» di cui all'allegato 1, art. 1. 
    L'ablazione totale del trattamento pensionistico (nonostante cio'
non sia espressamente previsto dalla norma: ancora  ritorna  il  tema
del  legittimo   affidamento   del   pensionato),   cagionato   dallo
svolgimento di  un'attivita'  lavorativa  pur  incompatibile,  appare
completamente sproporzionato ed ingiustificato  e  questo  appare  in
contrasto con l'art. 1 del protocollo addizionale (v. Sentenza  della
Corte europea dei diritti dell'uomo del  15  aprile  2014  -  Ricorsi
numeri 21838/10, 21849/10, 21852/10,  21855/10,  21860/10,  21863/10,
21869/10 e 21870/10) Stefanetti e altri c. Italia ed  i  richiami  in
essa contenuti; in particolare al punto n. 59: «La Corte osserva  che
e' probabile che la privazione dell'intera pensione violi la suddetta
disposizione (si  vedano,  per  esempio,  Kjartan  Asmundsson,  sopra
citata, e Apostolakis c. Grecia, n. 39574/07, 22 ottobre  2009)»;  al
punto n. 65: «... la maggioranza delle somme in  questione,  che  non
superano euro 1.000 al mese, deve essere ritenuta provvedere solo  ai
generi di prima necessita'. Pertanto le riduzioni hanno indubbiamente
inciso sullo stile di vita dei ricorrenti e ne  hanno  ostacolato  il
godimento in modo sostanziale.»). 
    Nel  caso  di  specie,   l'ablazione   totale   del   trattamento
pensionistico secondo le modalita' e per  le  ragioni  descritte  nei
motivi  precedenti,  rende  evidente  la  totale  frustrazione  delle
esigenze di vita del pensionato, con  violazione  del  diritto  dello
stesso   alla   proprieta',   proprieta'   peraltro   funzionale   al
soddisfacimento di esigenze minime di vita ed anzi di  sopravvivenza,
dal che la lesione anche alla dignita' dell'individuo. 
    Ne' tale ablazione integrale  e'  giustificabile  sulla  base  di
motivi di «pubblica utilita'»  o  di  «interesse  generale»,  proprio
perche' tali esimenti richiedono comunque un equo bilanciamento degli
interessi  in  gioco,  cio'  che  qui  e'   escluso   proprio   dalla
sproporzione assoluta in favore dello Stato ed ai danni del  soggetto
privato. 
    Ne'   possono   essere   salvifiche   le   ulteriori   previsioni
giustificative legate  ad  «assicurare  il  pagamento  ...  di  altri
contributi o delle ammende»: come visto il  tema  contributivo  (come
tenuta generale del sistema contributivo) in relazione a  prestazioni
limitatissime di lavoro appare spropositato  e  quindi  inconferente,
non essendo uno o piu' pensionati che  svolgono  alcune  giornate  di
lavoro nell'arco di un anno ad impedire il ricambio generazionale nel
lavoro subordinato; il tema delle sanzioni e delle ammende  sottosta'
alle stesse regole di proporzionalita'  che  si  ritiene  avere  gia'
dimostrato che nel caso di specie sono  state  violate  per  cui  sul
punto non ci si ripetera'. 
    Parimenti, si ritiene che la gravita' degli  effetti  di  cui  si
discute sia idonea a provocare la lesione anche del parametro di  cui
all'art. 2 della Costituzione (che qui si sovrappone alle  previsioni
della CEDU). 
    Venendo in gioco il diritto ad una intera annualita' di pensione,
a questo remittente pare  compromesso  il  sostentamento  stesso  del
pensionato e, dunque dell'individuo (zero  e'  ben  al  di  sotto  di
qualunque minimo vitale, pari peraltro ad euro 689,74  nel  2020,  ex
art.  545,  settimo  comma,  codice  procedura  civile,   norma   poi
modificata nel 2022 con l'introduzione, tra  l'altro,  di  un  minimo
vitale impignorabile di almeno 1.000,00  euro  mensili  di  pensione:
questo  al  solo  fine  di  evidenziare  che  l'ablazione   integrale
dell'unica forma di reddito incide evidentemente su situazioni vitali
dell'individuo e, dunque, sui suoi diritti inviolabili). 
    Ed un individuo privato integralmente dallo Stato del  necessario
sostentamento, al quale avrebbe diritto in forza di legge, senza  una
valida (nei termini sopra evidenziati di giustificata, proporzionata)
ragione, appare leso in un suo diritto inviolabile. 
    Qui, dunque, l'art. 2 Cost. in  connessione  all'art.  38  Cost.,
dovrebbe operare anche a tutela di diritti patrimoniali (a sua  volta
garantiti dalla Costituzione), che pero' sono strettamente  necessari
a garantire dignita' personale e sociale, quali strumenti  essenziali
per la liberta' e l'autonomia individuale. 
    In definitiva, sotto tale profilo,  la  privazione  integrale  ed
ingiustificata (in rapporto alla violazione della regola del  divieto
di cumulo) di una intera  annualita'  di  pensione,  quale  forma  di
sostentamento del pensionato, pare  violare  allo  stesso  tempo  sia
l'art. 2 Cost., che la CEDU, nei termini appena illustrati. 
8 - Discrezionalita' legislativa. 
    Evidentemente il legislatore avrebbe potuto regolare come  meglio
credeva  la  fattispecie,  seppure  nel  rispetto  dei  limiti  sopra
esaminati. Ma non lo ha fatto. 
    L'auspicata caducazione della norma  posta  dal  diritto  vivente
pare  importare  la  necessita'  di  individuare  un  meccanismo   di
delimitazione nel tempo degli effetti della incumulabilita'. 
    In  questo  senso  si  ritiene   che,   dando   seguito   ad   un
effetto/conseguenza naturale della norma, debba essere  dato  rilievo
alla dimensione temporale mensile, ossia al rateo di riferimento. 
    La soluzione naturale appare essere, quindi, quella  di  limitare
l'incumulabilita' (e quindi l'indebito) alla  mensilita'  nell'ambito
della quale si sono svolte le singole prestazioni lavorative. 
    Infatti, le pensioni vengono erogate per legge mensilmente ed  e'
quindi naturale che la regola del  cumulo  debba  operare  a  livello
mensile, privando il pensionato dei ratei nelle sole mensilita' nelle
quali egli ha cumulato redditi da lavoro subordinato e pensione Quota
100  (mentre  come  detto  sarebbe  privo  di  logicita'  privare  il
pensionato P. E. del rateo di gennaio poiche' egli ha  svolto  alcune
giornate di lavoro in settembre). Inoltre, dal punto di  vista  della
proporzionalita' e della ragionevolezza, tale soluzione  permette  di
presidiare sia l'esigenza del ricambio generazionale, che di  evitare
comportamenti  elusivi,  mantenendo  inoltre  (laddove  l'effetto  in
questione  dovesse  ritenersi  presentare  in  tutto  o  in  parte  i
connotati della sanzione) una piu' che sufficiente dissuasivita'. 
    In questo stesso senso, peraltro,  si  era  espressa  gia'  buona
parte della giurisprudenza di merito formatasi dopo  la  sentenza  n.
234/2022 di codesta Consulta, ma prima della S.C. 
    Resterebbe, d'altra parte, intatta la facolta'  del  legislatore,
qualora lo ritenesse opportuno, di regolare diversamente (ed anche in
modo piu' favorevole) gli effetti  ablativi  della  norma  in  esame,
stabilendo eventualmente altri regimi (P. E. quello invocato anche in
questa sede  dalla  difesa  attorea,  consistente  nella  limitazione
dell'indebito alla somma percepita a  titolo  di  reddito  da  lavoro
subordinato, soluzione minimale che appare, tuttavia, impraticabile a
livello interpretativo perche' dal punto di  vista  previdenziale  il
diritto - qui il singolo rateo - spetta o non spetta),  nel  rispetto
dei limiti di proporzionalita' e ragionevolezza. 
9 - Conclusioni. 
    Alla luce di tutto  quanto  premesso,  si  domanda  l'abrogazione
della norma qui impugnata ed in particolare dell'art.  14,  comma  3,
del  decreto-legge  28  gennaio   2019,   n.   4,   convertito,   con
modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, nella parte  in  cui
esso prevede, nell'interpretazione datane dalla Corte di  cassazione,
che «la violazione del divieto di cumulo tra redditi pensionistici  e
da lavoro subordinato ... comporta la perdita totale del  trattamento
pensionistico, non  solo  per  i  mesi  in  cui  e'  stata  espletata
l'attivita'  lavorativa,  bensi'   per   tutto   l'anno   solare   di
riferimento» (Cassazione n. 30994/2024). 

 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale di Ravenna, ritenuta la questione  rilevante  e  non
manifestamente infondata dispone, ai sensi e per gli effetti  di  cui
all'art. 23 della  legge  n.  87/1953,  la  trasmissione  degli  atti
(comprese le comunicazioni e le notificazioni di  cui  alla  presente
ordinanza)  del  presente  procedimento  alla  Corte   costituzionale
affinche' valuti se sia costituzionalmente legittimo, con riferimento
agli articoli 2,  3,  38,  secondo  comma,  117,  primo  comma  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione  all'art.  1  del  protocollo
addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia   dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (20 marzo 1952),  l'art.  14,
comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019,  n.  4,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, nella parte  in  cui
(nell'interpretazione della Corte  di  cassazione)  prevede  che  «la
violazione del divieto di  cumulo  tra  redditi  pensionistici  e  da
lavoro subordinato ... comporta la  perdita  totale  del  trattamento
pensionistico, non  solo  per  i  mesi  in  cui  e'  stata  espletata
l'attivita'  lavorativa,  bensi'   per   tutto   l'anno   solare   di
riferimento». 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente  del  Consiglio
dei ministri. 
    Dispone, altresi', che la presente ordinanza sia  comunicata  con
immediatezza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio sino alla  decisione
della Corte costituzionale. 
    Si comunichi. 
        Ravenna, 27 gennaio 2025 
 
                        Il Giudice: Bernardi