Reg. ord. n. 34 del 2025 pubbl. su G.U. del 05/03/2025 n. 10

Ordinanza del Tribunale di Roma  del 20/01/2025

Tra: A .D.

Oggetto:

Reati e pene – Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti – Divieto di prevalenza, con riferimento al reato di cui all’art. 630 cod. pen. (Sequestro di persone a scopo di estorsione), delle circostanze attenuanti generiche ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata ex art. 99, commi secondo e quarto, cod. pen. – Violazione dei principi di uguaglianza, di offensività della condotta e di proporzionalità della pena tendente alla rieducazione del condannato. 

Norme impugnate:

codice penale  del  Num.  Art. 69  Co. 4



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.

Costituzione  Art. 25   Co.

Costituzione  Art. 27   Co.



Camera di Consiglio del 22 settembre 2025 rel. SCIARRONE ALIBRANDI


Testo dell'ordinanza

                        N. 34 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2025

Ordinanza del 20 gennaio 2025 del Tribunale di Roma nel  procedimento
penale a carico di A. D e L. P.. 
 
Reati e pene - Concorso di  circostanze  aggravanti  e  attenuanti  -
  Divieto di prevalenza, con riferimento al reato di cui all'art. 630
  del cod. pen., delle  circostanze  attenuanti  generiche  ai  sensi
  dell'art. 62-bis del cod. pen. sulla recidiva reiterata ex art. 99,
  commi secondo e quarto, del cod. pen.. 
- Codice penale, art. 69, quarto comma. 


(GU n. 10 del 05-03-2025)

 
                          TRIBUNALE DI ROMA 
                          1° Corte d'Assise 
 
    La Corte d'Assise  di  Roma,  1ª  Sezione,  letti  gli  arti  del
processo pendente nei confronti di D. A. nato a ... il ..., e  di  P.
L., nato a ... il ..., imputati, in concorso con P. A., separatamente
giudicato, del: 
        A) delitto di cui agli articoli 110 e 630 del  codice  penale
perche' in concorso tra loro allo scopo  di  conseguire  un  ingiusto
profitto come prezzo  della  liberazione,  privavano  della  liberta'
personale C. L costringendolo su una sedia in un  angolo  del  salone
dell'appartamento di Via ... n. ... sc. ...  int.  ...  legandogli  i
polsi  con  del  nastro  adesivo,  bendandolo  e  percuotendolo   con
schiaffi, calci e pugni, nonche' con un mattarello con stracci e  con
asciugamani bagnati. In particolare,  dopo  che  C.  aveva  consumato
cocaina-crack e un rapporto sessuale con P. quest'ultimo gli chiedeva
ulteriore denaro sia per acquistare  droga  (euro  100,00=)  sia  per
rimborsarlo per i clienti che aveva perso (euro 250,00=) e al diniego
della p. o. perche' non in possesso di denaro, P. unitamente a  D.  e
P.: 
          prima lo percuotevano con calci e  pugni  cagionandogli  le
lesioni di cui al successivo capo B); 
          poi lo minacciavano dicendogli «Dacci  i  soldi  altrimenti
non esci»; 
          poi con la sua utenza cellulare chiamavano S. V. madre  del
C. alla quale, con voce aggressiva, intimavano di dare  la  somma  di
euro 1.500,00= quale debito del figlio nei loro confronti, altrimenti
non lo avrebbero liberato e costringendo successivamente lo stesso C.
a parlare al telefono con la madre chiedendole la stessa somma,  alla
madre, aggiungendo che «non lo lascio andare finche' non  mi  date  i
soldi»; 
          infine lo prendevano di peso, lo  facevano  spogliare,  gli
applicavano scotch di  colore  nero  sulla  bocca  e  sui  polsi,  lo
bendavano e lo facevano sedere su una sedia con il viso rivolto verso
la finestra ove, richiedendogli la  somma  di  euro  1.500,00--  come
prezzo della  liberazione,  lo  tenevano  sequestrato  per  tutta  la
giornata del 1° agosto, senza poter mangiare, senza bere, senza poter
andare in bagno, filmando anche alcuni momenti della sua  detenzione,
fino alla mattina del ... quando, approfittando dell'assenza dei tre,
il C. si liberava e chiedeva aiuto dal balcone della stanza  ove  era
stato recluso ad una vicina che allertava le  forze  dell'ordine  che
intervenivano sul posto e lo liberavano. 
        Con la recidiva specifica e reiterata per P. e specifica  per
D. 
        Fatto commesso in ... dal ... al ... 
        B) delitto di cui agli articoli 110, 81, cpv., 582, 585 e 61,
n. 2, del codice penale, perche' in concorso tra loro con piu' azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso ed al fine  di  commettere
il delitto di cui al capo A), colpivano a piu' riprese con  schiaffi,
calci  e  pugni,  nonche'  con  un  asciugamano  bagnato  e  con   un
mattarello, C. L. cagionandogli ecchimosi sul corpo, «frattura  dalla
IV alla XI costa destra, frattura soma D10, avvallamento D9, D12, L1,
L2 e L4» refertate da personale sanitario  del  Pronto  Soccorso  del
Policlinico Tor Vergata di Roma e giudicate guaribili in gg. 20 s.c. 
        Con la recidiva specifica e reiterata per P. e  semplice  per
D. 
        Fatto commesso in ... dal ... al ...; 
        C) delitto di cui agli articoli 110, 628, commi 1 e 3, n. 1),
e 61, n. 2, del codice penale perche' nelle medesime  circostanze  di
cui al capo A), in concorso tra loro ed  al  fine  di  procurarsi  un
ingiusto  profitto,  mediante  le  violenze  e  minacce  di  cui   ai
precedenti capi A) e B), si impossessavano del telefono cellulare blu
marca Oukitel e della  carta  di  pagamento  poste  pay  n.  ...  con
scadenza ... sottraendola a C. L. 
        Con le aggravanti di aver commesso il fatto in  piu'  persone
per conseguire il profitto di cui al precedente capo A). 
        Con la recidiva specifica e reiterata per P. e specifica  per
D. 
        Fatto commesso in ... dal ... al ... 
        D) delitto di cui agli articoli 110,  81  cpv.,  493-ter  del
codice penale perche' in concorso tra loro e per tre volte,  al  fine
di  trarne  profitto,  indebitamente  utilizzavano,   non   essendone
titolari, la carta PostePay numero ... con scadenza ... di proprieta'
di C. L. 
        Fatti commessi in Roma dal ... al ... 
        Con la recidiva reiterata e specifica per P.,  specifica  per
D., ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    La Corte dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 69, 4
comma del codice penale, nella parte in cui, limitatamente al delitto
di cui all'art. 630 del codice penale,  non  consente  la  prevalenza
delle circostanze attenuanti generiche sulla  recidiva  reiterata  di
cui all'art. 99, commi 2 e 4 del codice penale. Si  ritiene  altresi'
che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata. 
1. Svolgimento del processo. 
    A seguito di arresto operato dai Carabinieri  della  Stazione  di
Tor Bella Monaca in data ..., D. A. e P. L., in  atti  generalizzati,
sono stati tratti a giudizio immediato in stato di custodia cautelare
per rispondere delle rubricate imputazioni all'udienza del 5 dicembre
2023. 
    Celebrato il dibattimento in costanza  di  custodia,  all'odierna
udienza e' stata esaurita la discussione, in occasione della quale il
pubblico ministero ha fatto  richiesta  della  pena  di  anni  27  di
reclusione ciascuno, ritenuta la sussistenza di tutte le  fattispecie
contestate e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti
alla recidiva (anni 25 per il capo A) + anni 2 ai sensi dell'art.  81
del  codice  penale);  le  difese  hanno  richiesto   quanto   a   D.
l'assoluzione perche' il fatto non sussiste o per non avere  commesso
il fatto, in subordine l'attenuante del fatto di lieve entita'  e  le
circostanze attenuanti generiche; quanto a P.  l'assoluzione  perche'
il fatto non sussiste, in subordine la riqualificazione  in  minaccia
grave, con la concessione delle  circostanze  attenuanti  sul  minimo
della pena e i benefici consentiti. 
    Ritiratasi in Camera di  consiglio,  prima  di  pronunciarsi  sul
merito  dell'imputazione,  ritiene  la  Corte   d'Assise   di   dover
sospendere il procedimento e  sollevare  d'ufficio  la  questione  di
legittimita' costituzionale di seguito  esposta,  non  sussistendo  -
allo stato  -  i  presupposti  per  un'assoluzione  di  alcuno  degli
imputati, laddove il terzo concorrente  P.  A.  risulta  avere  fatto
richiesta di giudizio abbreviato, subendo condanna alla pena di  anni
8 di reclusione, applicate le circostanze attenuanti generiche  e  la
diminuente di cui all'art. 114 del codice penale oltre a  quella  del
rito. 
2. Il fatto storico. 
    Il presente procedimento trae origine dall'arresto  in  flagranza
di D. A. e P. L.; (nonche' di  P.  A.  separatamente  giudicato).  In
particolare, e' emerso che la persona offesa, C.  L.,  concordato  in
data ... un incontro a pagamento con una transessuale  (il  P.  alias
Lorena) abbinato ad un comune consumo di cocaina, al prezzo  di  euro
50,00 complessive (la cd. festa), e  recatosi  presso  l'appartamento
indicato per  la  prestazione  verso  le  ore  10,00  della  medesima
mattina, era stato ricevuto da altra persona (A.  D.  che  risultera'
li' residente), in assenza di Lorena, sopraggiunta in seguito. 
    Consumata la cocaina  gia'  presente  nell'abitazione  e  tentato
inutilmente un rapporto orale, erano iniziate da parte dei due  nuove
richieste di denaro per acquistare  ulteriore  sostanza;  che  il  C.
aveva dichiarato di poter soddisfare per  sole  40,00  euro,  essendo
privo di ulteriore denaro. 
    Anziche' consentirgli di allontanarsi (la  permanenza  concordata
avrebbe dovuto esaurirsi  al  massimo  nell'arco  di  un'ora),  erano
iniziate le minacce  da  parte  dei  due,  dapprima  verbali,  quindi
fisiche:  era  stato  allora  costretto  a  consegnare  il  telefono,
documenti, carte di credito, di cui inizialmente si era rifiutato  di
comunicare i codici, impedendogli di allontanarsi dall'abitazione. 
    La situazione era rapidamente degenerata, anche con  l'arrivo  di
una terza persona (il P.) con un aumento continuo delle richieste  di
denaro da parte del P., giunte sino a 2.500,00 euro, asserendo che la
sua presenza gli aveva fatto perdere altri clienti: al  suo  rifiuto,
lo avevano preso di peso e legati i polsi ad  una  sedia,  ponendogli
uno scotch nero sulla bocca, posizionandolo verso la  finestra  cosi'
da  non  consentirgli  di  vedere  quanto   accadeva   alle   spalle,
urinandogli  addosso,   schiaffeggiandolo   e   colpendolo   con   un
asciugamano bagnato sulla schiena e in faccia,  mentre  tentavano  di
estorcergli i codici Pin delle carte e del telefono,  intenzionati  a
contattare sua madre per chiederle i soldi che  asseritamente  doveva
loro. 
    Neppure  le  sue  condizioni  fisiche  del  momento,  avendo  una
cicatrice sul piede, precedente ai fatti, che gli doleva  fortemente,
li aveva fatti desistere: piuttosto, come minacciato dal P., sin  dal
primo giorno questi aveva fatto intervenire presso l'abitazione degli
sconosciuti  che,  a  loro  volta,  l'avevano  malmenato,  insultato,
schiaffeggiato,  dileggiato  con  riferimento   alle   sue   tendenze
sessuali, al fine di convincerlo a consegnare  il  denaro  a  Lorena,
posto che diversamente non sarebbe stato rilasciato. 
    Per l'intero periodo, protrattosi sino alla mattina del ...,  era
rimasto per lo piu' legato e bendato, anche se varie volte era  stato
liberato per poi venire nuovamente immobilizzato; inizialmente  aveva
pure ricevuto acqua e cibo, successivamente negatigli, cosi' come  da
principio  non  gli  era  stato  consentito  di  recarsi  in   bagno,
fornendogli un secchio per le necessita'. 
    Ha negato di avere mai fatto richiesta di pratiche sadomasochiste
mentre i video rinvenuti sul cellulare del D. realizzati dai tre  non
erano genuini poiche' frutto di richieste (quale la consegna di droga
da parte sua) e di simulazioni pretese (quale la sua libera  volonta'
di permanere  sul  posto);  in  occasione  di  essi  era  stato  pure
appositamente slegato e travestito. 
    Con la Postepay Evolution, abbinata al reddito  di  cittadinanza,
il cui codice era stato infine costretto a rivelargli, avevano  fatto
acquisti in piu' occasioni, in particolare cibo e bevande,  consumate
solo da loro:  anzi,  alla  fine  del  pasto,  era  stato  slegato  e
costretto a lavare i piatti  e  pulire  la  cucina,  per  poi  essere
nuovamente immobilizzato. 
    Si erano persino recati presso la sua  abitazione  per  prelevare
direttamente il denaro; quindi, intimoriti dai rumori della  presenza
di un cane che li aveva fatti  desistere;  altresi'  il  P.  dapprima
fingendosi un'infermiera, era pure riuscito a convincere sua madre  a
consegnargli  la  somma  di  euro  1.500/euro  2.000,00,   sostenendo
trattarsi di un debito da lui maturato e dandole appuntamento per  il
giorno successivo presso l'ufficio postale dove la donna  si  sarebbe
recata per il prelievo. 
    Le vessazioni si erano protratte per tutto il ...  sino  al  ...,
quando, approfittando dello stato di torpore degli imputati,  indotto
da un protratto  consumo  di  cocaina/crack  che  nel  frattempo  era
proseguito da parte loro, avvertiti dei rumori al piano  sovrastante,
liberatosi dalla sedia, il C. era riuscito ad  attrarre  l'attenzione
della vicina uscendo sul balcone  dell'abitazione,  sollecitandola  a
far intervenire le forze dell'ordine. 
    Sopraggiunti i Carabinieri cui aveva  bisbigliato  da  dietro  la
porta  la  richiesta  di  aiuto,  aveva  svegliato  il  D.,   essendo
impossibilitato ad aprire la porta,  di  cui  non  aveva  le  chiavi,
quindi riferendo la sua esperienza e provocando,  appunto,  l'arresto
dei tre soggetti presenti. Recatosi al  Pronto  Soccorso,  gli  erano
state riscontrate lesioni varie e  diffuse  causate  dalle  percosse,
soprattutto alla schiena, tanto che non aveva potuto muoversi per  un
mese (cfr. referto  Pronto  Soccorso  del  Policlinico  Tor  Vergata,
attestante  altresi'  alcune  fratture  costali  recenti,   oltre   a
pregresse, e prognosi di giorni 20 s.c.). 
    Gli operanti, intervenuti dopo le ore ... del  ...,  quando  sono
riusciti ad accedere hanno dichiarato di avere notato il C.  a  torso
nudo e vistosamente ferito e zoppicante. La perquisizione domiciliare
eseguita all'interno del comodino della  carnera  da  letto  dove  si
trovavano il P. e il P. consentiva di individuare  e  sequestrare  il
suo telefono, marca Oukitel, risultato bloccato e con PIN modificato,
nonche'  privato  delle  due  schede  sim  che  ospitava,  mai   piu'
ritrovate, una carta Postepay e una carta del reddito di cittadinanza
lui intestate; inoltre entro  il  domicilio  vennero  sequestrati  un
rotolo di scotch nero da elettricista, un cucchiaino  da  gelato  con
tracce verosimilmente di sostanza stupefacente del tipo  cocaina,  e,
nel bagno, un secchio azzurro che odorava di urina. 
    L'analisi dei telefoni cellulari in uso a D. A.  e  a  P.  L.  ha
consentito di recuperare scambi di messaggi tra i  due  coerenti  con
quanto riferito dal C.  sulla  cui  Postepay  venivano  rilevate  tre
transazioni del ... (ad ore ...  per  euro  10  presso  un  esercizio
commerciale non identificato; ad ore ... e ... per un totale di  euro
27 presso un ...). Sul cellulare del P. vi era altresi' traccia della
prenotazione della festa da parte del C. al  prezzo  di  euro  70,00,
cosi' come i tabulati  telefonici  risultavano  congruenti  con  tale
narrativa. 
    La madre V. A. S. ha  confermato  di  avere  ricevuto  una  prima
chiamata, dal telefono del figlio, da parte di una persona  con  voce
maschile che le chiedeva la  somma  di  euro  1.500,  che  lo  stesso
avrebbe dovuto corrispondergli per un debito; le  numerose  richieste
di parlare con suo figlio erano state respinte dall'interlocutore, il
quale le aveva riferito che non lo avrebbe lasciato andare  se  prima
non avesse ricevuto il denaro, ragion  per  cui  aveva  risposto  che
sarebbe andata a ritirare la  somma  richiesta  e  che  gliel'avrebbe
corrisposta il giorno dopo. 
    Rivoltasi  ai  Carabinieri  e  da   questi   messa   in   guardia
sull'eventualita' che si trattasse di una truffa ai suoi danni, nella
giornata successiva era  stata  nuovamente  contattata  dallo  stesso
interlocutore per pianificare l'incontro per la dazione della  somma,
ridotta ad un acconto di euro 300,00 perche' aveva una spesa urgente.
Accordatasi per la consegna  il  ...,  quando  un  emissario  avrebbe
ritirato il denaro presso la  sua  abitazione  di  ...  aveva  subito
informato i Carabinieri, che si sarebbero recati  sul  posto  in  suo
ausilio: fatto non verificatosi a  seguito  del  diverso  svolgimento
degli eventi. 
3. La qualificazione giuridica del fatto. 
    Ritiene la Corte che la condotta,  cosi'  come  ricostruita,  sia
pienamente sussumibile nelle fattispecie contestate  dall'Ufficio  di
Procura, in particolare per cio' che concerne l'ipotesi di  cui  agli
articoli 110 - 630 del codice penale. 
    Il fatto di cui - tra i vari  -  gli  imputati  sono  chiamati  a
rispondere in  concorso,  attiene  al  sequestro  per  un  tempo  non
irrilevante, pari a due intere giornate (dalla tarda mattina del  ...
alla liberazione, avvenuta dopo le ... del ...) di C. L., da parte di
tre  soggetti,  all'esito  di  un  incontro  concordato  al  fine  di
usufruire di una prestazione sessuale e di una dose  di  cocaina  che
avrebbero dovuto essere fornite da P. L., soggetto dedito stabilmente
alla prostituzione e avente disponibilita' di sostanza, con cui il C.
aveva pattuito il prezzo di euro 70,00. 
    Il trattenimento contro la volonta'  della  vittima,  minacciato,
picchiato e presto immobilizzato ad una  sedia,  bendato,  colpito  e
ferito dai presenti ed altresi' da  sconosciuti  fatti  appositamente
intervenire, era stato determinato da richieste di denaro ulteriori e
crescenti (sino ad euro 2,500,00), che non trovavano giustificazione,
ne' allora ne' ora, essendo rimasta estranea  al  processo  qualsiasi
ragione di credito ulteriore rispetto a quella pattuita, in  capo  al
P. e ai suoi coautori,  men  che  meno  degli  importi  violentemente
pretesi persino dall'inerme madre della vittima, forse giustificabili
in un contesto di smodata  dedizione  alla  cocaina  da  parte  degli
imputati. 
    L'estorsione, operata in  forma  violenta,  dura,  dileggiante  e
sarcastica,  pur  inserita  nel  contesto  occasionale  e  ambientale
volontariamente  scelto  dal  C.,  e'  stata  realizzata   sottraendo
lungamente  la  liberta'   di   movimento   al   medesimo,   lasciato
prevalentemente legato ad una sedia,  privato  del  proprio  telefono
cellulare (recuperato dagli operanti con il PIN modificato e, dunque,
divenuto inaccessibile), chiuso a chiave dentro l'appartamento (tanto
da essere costretto a far intervenire il D. per poter fare entrare  i
Carabinieri) ed impossibilitato a trovare vie  di  fuga  (ad  esempio
calandosi dal terrazzo del primo  piano),  anche  per  le  condizioni
fisiche precarie che non glielo consentivano. 
    Si e' affermato  che  «Il  reato  di  sequestro  di  persona  non
richiede  necessariamente  la  privazione  in  senso  assoluto  della
liberta' di movimento del soggetto passivo, potendo realizzarsi anche
come limitazione di tale liberta' di azione, finalizzata  ad  inibire
le relazioni interpersonali del soggetto stesso, sottraendolo al  suo
abituale contesto abitativo» (Sez. 6, n. 39807 del  30  maggio  2019,
Rv. 277367-01);  ovvero  che  esso  «non  presuppone  necessariamente
l'interclusione della vittima,  ma  puo'  consistere  in  limitazioni
della liberta' personale che derivino da costrizione psichica o dalla
creazione  di   condizioni   di   sostanziale   impossibilita'   alla
locomozione, quali, ad esempio,  l'esposizione  ad  un  pericolo  per
l'incolumita' personale» (Sez. 3, n. 36823 del 15  giugno  2011,  Rv.
251084-01). 
    Non vi puo' essere dunque  dubbio  che,  a  maggior  ragione,  la
fattispecie sia integrata laddove la persona sia  stata  mercificata,
sia dal punto di vista patrimoniale  sia  morale,  in  ragione  della
stretta correlazione posta  tra  il  fine  del  sequestro,  ossia  il
profitto  ingiusto,  e  il  suo  titolo,  cioe'   il   prezzo   della
liberazione. 
    Benche'  la  giurisprudenza  reputi  sufficiente,   rispetto   al
delitto, la limitazione  coatta  di  ogni  possibile  estrinsecazione
delle facolta' della persona, essendo sufficiente anche  solo  quella
delle relazioni interpersonali, il caso di specie  integra  la  forma
classica, pura e piu' intensa di violazione del diritto a  preservare
la propria liberta' personale, la  cui  inviolabilita'  e'  stabilita
dall'art. 13 Cost.: tanto piu' che la cessazione  della  condotta  e'
venuta a coincidere con la liberazione fisica da  parte  delle  forze
dell'ordine da interventi coattivi «sul corpo» del C. che gli avevano
impedito o limitato grandemente tutte quelle espressioni  costituenti
il  contenuto  della  liberta'  personale,  per   prima   quella   di
locomozione, per un periodo di tempo assolutamente significativo. 
    La condotta degli imputati  e'  dunque  sussumibile,  secondo  il
diritto vivente, per la parte di  diretto  interesse,  nel  paradigma
dell'art.  630  del  codice  penale  in  concorso  con  il  P.,  gia'
separatamente giudicato. 
    Ad entrambi gli imputati e' stata,  altresi',  contestata,  sulla
base delle risultanze del Casellario  giudiziale  la  recidiva,  c.d.
reiterata di cui all'art. 99, comma 4, del  codice  penale,  di  tipo
specifico ex art. 99, comma 2, n. 1, codice penale per il  P.,  e  di
tipo specifico ex art. 99, comma 2, n. 1 del codice penale per il D. 
    L'elemento   centrale,   nella   valutazione    sull'applicazione
dell'aumento di pena per la  recidiva,  e'  stato  individuato  nella
maggiore attitudine a delinquere del reo, in  quanto  aspetto  comune
sia alla colpevolezza che alla capacita' di  realizzazione  di  nuovi
reati. La colpevolezza, in questa prospettiva, rileva ai  fini  della
recidiva nella sua accezione di consolidamento  della  determinazione
delittuosa pur a fronte del monito  delle  precedenti  condanne,  che
sviluppa una maggiore  attitudine  a  delinquere,  che  sotto  questo
profilo  costituisce  una  componente  della   colpevolezza.   Questa
componente,  per  altro  verso,  si  traduce  a  sua  volta  in   una
incrementata  capacita'   delinquenziale,   che   in   questo   senso
costituisce la forma espressiva della pericolosita'. 
    Sotto  questo  profilo,  il  P.  risulta  gravato  da  una  serie
ininterrotta di condanne per fatti specifici  a  far  data  dall'anno
2012 e sino all'anno 2023 (tra i vari per fatti di rapina  e  lesioni
personali  in  concorso,  oltre  che  per  furto   e   ricettazione),
inframezzate da plurime condanne per evasione (ben quattro)  rispetto
alle misure di cautela domiciliare disposte per i piu' gravi fatti in
danno del patrimonio, oltre a numerose pendenze giudiziarie per fatti
recenti. 
    La sua biografia offre dunque il quadro di una carriera criminale
di durata ultradecennale connotata da reati gravi, contro la  persona
e il patrimonio, sintomatici di una crescente pericolosita'  sociale,
non contenuta neppure dalle misure di cautela personale nel frattempo
disposte e,  a  seguire,  dai  periodi  di  detenzione  ripetutamente
patiti: indubbio sintomo di  maggiore  colpevolezza  e  attitudine  a
delinquere (per tale nozione, cfr. SS.UU.  n.  35738  del  27  maggio
2010, Rv. 247839). 
    L'odierna contestazione di gravissimi reati  che  presentano,  in
concreto, caratteri fondamentali comuni, in ragione della natura  dei
fatti che li costituiscono o dei  motivi  che  li  hanno  determinati
(sequestro finalizzato ad un profitto  illecito,  anche  operato  con
condotte predatorie violente  e  con  una  dura  aggressione  fisica)
collega le condotte stesse  ai  fatti/reato  oggetto  delle  condanne
precedenti, dimostrando l'incidenza dell'ultima ricaduta nel  crimine
nel   contrassegnare   l'ulteriore   incremento   dell'attitudine   a
delinquere, che giustifica, appunto, la risposta sanzionatoria insita
nella corretta applicazione della recidiva reiterata. 
    Le recenti Sezioni unite hanno sostenuto che «in tema di recidiva
reiterata contestata  nel  giudizio  di  cognizione,  ai  fini  della
relativa  applicazione  e'  sufficiente   che,   al   momento   della
consumazione del reato, l'imputato risulti gravato da  piu'  sentenze
definitive per reati precedentemente commessi ed  espressivi  di  una
maggiore pericolosita' sociale,  oggetto  di  specifica  ed  adeguata
motivazione, senza la  necessita'  di  una  previa  dichiarazione  di
recidiva semplice» (Sez. U., n. 32318 del 30 marzo 2023, Rv. 284878 -
01); pur volendo ritenere il contrario, emerge dal  certificato  agli
atti che P. L. risulta essere gia' stato dichiarato tale con sentenze
della Corte d'Appello di Roma dd. 21 febbraio 2023 (irr. il 18 maggio
2023); del Tribunale di Roma dd. 25 giugno 2017 (irr.  il  17  luglio
2017); Tribunale di Roma 21 giugno 2017 (irr. il 17 ottobre 2017). 
    Ne' puo' pensare di escludersi la recidiva non gia'  perche'  non
ve ne siano le condizioni applicative, quanto piuttosto per l'impatto
sproporzionato  che  ne  deriverebbe  al  trattamento  sanzionatorio:
atteso che la correzione  di  una  manifesta  sproporzione  non  puo'
essere di certo realizzata attraverso l'(immotivata)  disapplicazione
di una norma, strumentalizzata  a  fini  diversi  dai  propri  e  per
tendere ad un risultato eterogeneo rispetto agli  scopi  della  norma
stessa. 
    Quanto   alla   concedibilita'   delle   circostanze   attenuanti
generiche,  sollecitate  dallo  stesso  pubblico  ministero  e  dalle
Difese, si premette che,  secondo  lettura  condivisa,  esse  possono
svolgere un ruolo di bilanciamento e di riequilibrio  poiche'  «hanno
anche la  funzione  di  adeguare  la  sanzione  finale  all'effettivo
disvalore del fatto  oggetto  di  giudizio,  nella  globalita'  degli
elementi oggettivi e soggettivi, atteso  che  la  specificita'  della
vicenda puo' richiedere un  intervento  correttivo  del  giudice  che
renda, di fatto, la pena rispettosa del principio di  ragionevolezza,
ai sensi dell'art. 3 Cost., e della  finalita'  rieducativa,  di  cui
all'art. 27, comma terzo, Cost., di  cui  la  congruita'  costituisce
elemento essenziale» (Cass. sez. II n.  5247  del  15  ottobre  2020)
cosi'  ponendo  a  fondamento  dell'applicazione  dell'attenuante  in
parola elementi circostanziali ulteriori rispetto a quelli  descritti
in norme che rivelano  esclusivamente  sotto  il  profilo  obiettivo,
quale quella di cui all'art. 311 del codice penale. 
    Ritiene la Corte che le concrete condizioni di vita dell'imputato
P. (soggetto tossicodipendente  in  difficolta'  economiche,  che  ha
intrapreso un percorso  di  transizione  di  genere,  comprensivo  di
trattamenti di tipo farmacologico, organico e fisiologico, al fine di
realizzare l'adeguamento tra identita' fisica e identita'  psichica),
il  contesto  nel  quale  i  fatti  sono  maturati  a  fronte   della
degenerazione di un rapporto sinallagmatico trasmodato con  modalita'
violente, la  corretta  e  leale  condotta  processuale  assunta  per
l'intera durata  del  dibattimento  cui  il  medesimo  ha  scelto  di
presenziare offrendo il proprio utile  contributo  ricostruttivo  del
fatto inducono una valutazione  di  meritevolezza  delle  circostanze
stesse che, quand'anche ritenute di peso specifico superiore rispetto
ai  profili  espressi  dalla  ritenuta   recidiva   reiterata,   deve
arrestarsi al giudizio di equivalenza, unico consentito dall'art. 69,
comma 4 del codice penale. 
    Ne' possono sorgere dubbi sulla compatibilita' tra l'applicazione
della  recidiva  reiterata  e  il  riconoscimento  delle  circostanze
attenuanti generiche, affermata sulla base della ritenuta autonomia e
indipendenza dei giudizi  riguardanti  i  due  istituti  che  non  si
sovrappongono, pur potendo interferire: per cui ben puo'  il  giudice
negare le generiche in considerazione dei precedenti, ma escludere la
recidiva o, al  contrario,  come  si  ritiene  nel  caso  di  specie,
concedere le generiche,  riconoscendo  la  presenza  di  un  elemento
positivo che le giustifichi, a prescindere dai  precedenti,  ma,  nel
contempo,  applicare  la  recidiva  (da  ultimo,  sulla  base  di  un
indirizzo consolidato, Sez. 4,  n.  14647  del  7  aprile  2021,  Rv.
281018). 
    Invero l'aggravante di  cui  all'art.  99,  comma  4  del  codice
penale, connota il fatto per il quale si procede, in quanto  riflette
una  maggiore   inclinazione   a   delinquere   del   soggetto   che,
all'evidenza, non ha saputo proficuamente  sfruttare  l'opportunita',
offerta dai precedenti moniti giudiziari, di  correggere  il  proprio
comportamento. 
    Al contempo, le attenuanti generiche riguardano  svariati  e  non
previamente tipizzati profili comportamentali, di condizione  sociale
e  personale,  di  disagio  emotivo,  difficolta'  economiche,   ecc.
certamente  non  identificabili  con  la  sola   incensuratezza   del
soggetto, sicche' la ricorrenza della recidiva reiterata non  esclude
automaticamente la  meritevolezza  delle  attenuanti  generiche,  non
essendo la prima ostativa rispetto al riconoscimento  delle  seconde,
in  quanto  riguardanti  profili  di  pericolosita'  tra   loro   non
coincidenti. 
4. La rilevanza della questione. 
    Ritiene  la  Corte  d'Assise  che  la  prospettata  questione  di
legittimita'  costituzionale  sia  rilevante  poiche',  in  caso   di
condanna, la pena detentiva  minima  applicabile  a  P.  L.  dovrebbe
necessariamente essere pari ad  anni  trenta  di  reclusione,  tenuto
conto da un lato dell'aumento di due terzi per la recidiva  ai  sensi
dell'art. 99, comma 4  del  codice  penale,  quand'anche  sulla  pena
minima della fattispecie pari ad anni 25  di  reclusione,  dall'altro
del disposto dell'art. 81, comma 4 del  codice  penale  per  i  fatti
avvinti in continuazione, comunque emergenti  dalla  descrizione  del
fatto sopra riportata (rapina, lesioni personali,  indebito  utilizzo
di uno strumento di pagamento), senza alcuna successiva diminuzione. 
    Risulta,  pertanto,  erroneo  il  calcolo  offerto  dal  pubblico
ministero nelle sue richieste conclusive di pena per il P. in  quanto
in contrasto con disposto dell'art. 81, comma 4 del codice penale. 
    La misura della pena e',  infatti,  frutto  di  un  calcolo  che,
sebbene ancorato al minimo edittale, e' pari ad anni  venticinque  di
reclusione,  aumentata  di   anni   sedici   mesi   otto   a   fronte
dell'applicata recidiva (art. 99, comma 4  del  codice  penale),  cui
dovrebbe sommarsi l'ulteriore incremento minimo del terzo della  pena
cosi' fissata (art. 81, comma  4  del  codice  penale).  Il  criterio
moderatore posto dall'art. 78 del codice penale impone  la  riduzione
alla pena finale di anni trenta di reclusione. 
    Supposto il bilanciamento della  contestata  aggravante  speciale
della  recidiva  con  la  concessione  delle  circostanze  attenuanti
generiche qui ritenute applicabili, pur  partendo  dal  minimo  della
pena, il divieto di prevalenza delle stesse posto dall'art. 69, comma
4 del codice penale,  comunque  imporrebbe  il  medesimo  trattamento
sanzionatorio  finale  di   anni   trenta   di   reclusione,   frutto
dell'aumento in continuazione in misura non inferiore ad un terzo dei
reati satellite rispetto al delitto di  sequestro  di  persona  (anni
otto mesi quattro di reclusione rispetto ad anni venticinque, per una
pena finale pari ad anni  trentatre'  mesi  quattro  di  reclusione),
contenuta in anni trenta per effetto del criterio moderatore  di  cui
all'art. 78 del codice penale. 
    Qualsiasi sia l'opzione preferita, a P. L. dovrebbe comunque,  in
ipotesi di responsabilita', applicarsi la  pena  di  anni  trenta  di
reclusione; situazione diversa e', invece, quella di  D.  A.  la  cui
contestazione in punto recidiva  specifica  comunque  non  osta  alle
valutazioni che si vanno ora a proporre. 
    Relativamente alla rilevanza dell'utilizzo di strumenti  volti  a
mitigare  la  severita'  del  trattamento  sanzionatorio,   peraltro,
codesta Corte gia' ha avuto  modo  di  specificare  che  la  funzione
«naturale» delle  circostanze  attenuanti  generiche  «e'  quella  di
adeguare la misura della pena alla sussistenza di speciali indicatori
(oggettivi o soggettivi) di un minor  disvalore  del  fatto  concreto
all'esame del giudice rispetto  alla  gravita'  ordinaria  dei  fatti
riconducibili alla fattispecie base di reato; e non  gia'  quella  di
correggere l'eventuale sproporzione dei minimi edittali stabiliti dal
legislatore rispetto a un fatto  il  cui  disvalore  sia  conforme  a
quello che  ordinariamente  caratterizza  la  fattispecie  criminosa»
(cosi' Corte costituzionale, 10 marzo 2022, n. 63; conf. sentenza  n.
46 del 2024; n. 120 del 2023). 
    Non puo' quindi neppure prendersi in considerazione, rispetto  al
dubbio di  costituzionalita',  la  concedibilita'  delle  circostanze
attenuanti generiche ex art.  62-bis  del  codice  penale:  non  solo
perche'  il  giudizio  di  meritevolezza  delle  attenuanti  verrebbe
condizionato da parametri diversi rispetto a quelli  posti  dall'art.
133 del codice penale e, in qualche modo,  necessitato  dall'esigenza
di adeguamento  del  trattamento  sanzionatorio  al  reale  disvalore
offensivo del fatto, cosi' piegando dette circostanze ad una funzione
impropria; ma  soprattutto  perche'  l'effetto  pratico  risulterebbe
irrilevante a fronte del limite operativo posto dall'art. 69, comma 4
del codice penale, in ogni caso dovendo applicarsi la  pena  massima,
gia' ridotta, di anni trenta di reclusione per effetto degli  aumenti
di pena previsti per i delitti in regime di continuazione. 
    Altrettanto per l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4 del  codice
penale, quanto alla speciale tenuita' del danno patrimoniale arrecato
alla persona offesa, semmai  ritenuta:  tenuto  conto  della  recente
affermazione, resa in termini di rapina, ma ben estensibile  al  caso
di specie, dell'insufficienza a  tal  fine  del  modestissimo  valore
economico preteso quale prezzo (se tale  si  volesse  considerare  la
richiesta di somma compresa  tra  1.500  e  2.500,00  euro),  essendo
necessario valutare anche il danno alla persona contro cui  e'  stata
esercitata la violenza o la minaccia, trattandosi di reati che ledono
tanto l'integrita' patrimoniale quanto la liberta'  fisica  e  morale
della persona che ne e' vittima, con la conseguenza che solo  ove  la
valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati  a  entrambi  i  beni
tutelati sia di speciale tenuita' puo' farsi luogo al  riconoscimento
di detta circostanza attenuante (Sez. U. n. 42124 del 27 giugno 2024,
Rv. 287095 - 02). 
    Le gravi lesioni fisiche refertate alla  vittima  a  seguito  del
fatto, guarite  in  circa  trenta  giorni,  valgono  di  per  se'  ad
escludere un apprezzamento di speciale tenuita' del danno complessivo
subito, anche a prescindere dal profilo patrimoniale. 
    In ogni caso, pur volendo ritenere il contrario,  il  trattamento
sanzionatorio non muterebbe. 
    Se  per  l'imputato  D.,  cui  e'  contestata  la  sola  recidiva
specifica non  vi  sono  preclusioni  normative  ad  un  giudizio  di
prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, ritiene  la  Corte
che la misura della pena detentiva applicabile al P.,  in  ogni  caso
pari ad anni trenta di reclusione, sia incompatibile con i  parametri
costituzionali che saranno di seguito evocati, alla luce  della  piu'
recente  giurisprudenza  di  codesta  Corte  in  tema  di   sindacato
giurisdizionale sulla manifesta sproporzione delle pene, valida anche
in  relazione  alla  vicenda  che  ci  occupa,  in  cui  si   lamenta
l'irrazionalita' della deroga al regime  ordinario  di  bilanciamento
delle circostanze, come disciplinato dall'art. 69 del codice  penale,
rispetto ad una fattispecie assolutamente peculiare, connotata  dalla
massima pena detentiva temporanea  prevista  dal  sistema,  superiore
persino a  quella  fissata  per  l'omicidio,  sia  nei  minimi  (anni
venticinque anziche' ventuno), sia nei massimi (anni trenta  anziche'
ventiquattro),  cosi'  da  originare   una   risposta   sanzionatoria
manifestamente irragionevole  rispetto  alla  condotta  concretamente
posta in essere, benche' non integrante un fatto di lieve entita'. 
    Si anticipa sin da ora il richiamo al principio secondo  cui  «Ai
sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 27, terzo comma della
Costituzione l'ampia discrezionalita' di cui dispone  il  legislatore
nella quantificazione delle pene incontra  il  proprio  limite  nella
manifesta sproporzione della singola  scelta  sanzionatoria,  sia  in
relazione alle pene previste per altre figure di reato, sia  rispetto
alla intrinseca gravita' delle condotte abbracciate  da  una  singola
figura di reato. Il limite in parola esclude,  piu'  in  particolare,
che la severita' della pena comminata dal legislatore possa risultare
manifestamente sproporzionata  rispetto  alla  gravita'  oggettiva  e
soggettiva  del  reato:  il  che  accade,  in  particolare,  ove   il
legislatore fissi  una  misura  minima  della  pena  troppo  elevata,
vincolando cosi' il giudice all'inflizione  di  pene  che  potrebbero
risultare, nel caso concreto, chiaramente eccessive rispetto alla sua
gravita'» (Corte Costituzionale, 10 marzo 2022,  n.  63,  cit.  conf.
Corte costituzionale, 1° febbraio 2022, n. 28). 
    In questo contesto, preme evidenziare quanto  lo  stesso  giudice
delle leggi  ha  rilevato  in  piu'  occasioni,  affermando  che  «la
giurisprudenza costituzionale piu' recente ha gradatamente affrancato
il sindacato di conformita' al principio di  proporzione  della  pena
edittale dalle strettoie segnate dalla necessita' di  individuare  un
preciso tertium comparationis da cui mutuare la cornice sanzionatoria
destinata a sostituirsi a quella dichiarata  incostituzionale;  e  ha
spesso privilegiato (almeno a partire dalla sentenza n. 343 del 1993)
un modello di sindacato  sulla  proporzionalita'  "intrinseca"  della
pena, che  -  ferma  restando  l'ampia  discrezionalita'  di  cui  il
legislatore gode nella determinazione delle cornici edittali [...]  -
valuta  direttamente  se  la  pena   comminata   debba   considerarsi
manifestamente eccessiva rispetto al fatto sanzionato, ricercando poi
nel sistema punti di riferimento gia' esistenti  per  ricostruire  in
via interinale un nuovo  quadro  sanzionatorio  in  luogo  di  quello
colpito dalla declaratoria di incostituzionalita', nelle more  di  un
sempre possibile intervento  legislativo  volto  a  rideterminare  la
misura della pena, nel  rispetto  dei  principi  costituzionali»  (ex
multis  Corte  costituzionale,  14  dicembre  2019,  n.  284,   Corte
costituzionale, 10 maggio  2019,  n.  112;  Corte  costituzionale,  5
dicembre 2018, n. 222; Corte costituzionale, 23 marzo 2012, n. 68). 
    La rilevanza rispetto al caso di specie trova ulteriore  conforto
nel dato che l'applicazione della recidiva, oltre a produrre  effetti
diretti di incremento sanzionatorio, si riflette  indirettamente  sul
complessivo,   sfavorevole   statuto   penale   e   sul   trattamento
penitenziario: si  fa  qui  riferimento,  per  quanto  di  interesse,
all'aumento di pena non inferiore al terzo per i  reati  attratti  in
continuazione (tra cui il  delitto  di  rapina  aggravata)  ai  sensi
dell'art. 81, comma 4 del codice penale,  a  mente  dell'orientamento
pacifico secondo cui l'incremento in tale misura opera  anche  quando
il  giudice  consideri  la  recidiva   reiterata   equivalente   alle
riconosciute attenuanti, perche' anche in questo caso la recidiva  e'
applicata, anche se non determina un aumento di pena (si segnala  che
i massimi edittali del delitto di cui  all'art.  628,  3°  comma  del
codice penale, rendono non operanti  i  limiti  di  cui  al  comma  3
dell'art. 81). 
    Il limite minimo di  aumento  della  pena  in  continuazione  non
varrebbe,  invece,  quando  la  recidiva  reiterata  fosse   ritenuta
subvalente rispetto alla circostanza attenuante (v. Sez. U., n. 20808
del 25 ottobre 2018, dep. 2019, .... Rv. 275319,  in  motivazione,  §
11.2; Sez. U., n. 35738 del 27  maggio  2010,  ...,  Rv.  247839,  da
ultimo, Sez. 4, n. 36906 del 27 giugno 2024, Rv. 287008; Sez.  2,  n.
27098 del 3 maggio 2023, Rv. 284797) proprio perche' in tal  caso  la
funzione delle circostanze attenuanti ha modo di esplicarsi nella sua
pienezza:  interpretazione   consolidata   che   mostra   chiaramente
l'effetto distorsivo rispetto ai  principi  fondamentali  del  giusto
trattamento sanzionatorio indotto dalla norma dell'art. 69,  comma  4
del codice penale nel caso di specie  atteso  che,  se  ora  la  pena
minima irrogabile e' pari ad anni trenta di reclusione, il ripristino
dell'ordinaria regola di bilanciamento tra circostanze eterogenee  di
cui ai primi tre commi dell'art. 69 del codice  penale  consentirebbe
alla Corte di infliggere una pena di poco superiore a sedici  anni  e
otto mesi di reclusione (anni venticinque, ridotti di un terzo per la
prevalenza delle circostanze attenuanti, con un ridotto  aumento  nei
termini posti dall'art. 81, comma 2 del codice penale). 
    Evidente quindi l'enorme divario sanzionatorio che vi e'  laddove
sia applicata la regola vigente di  cui  all'art.  69,  comma  4  del
codice penale ovvero supposta  la  sua  insussistenza,  limitatamente
alla fattispecie del sequestro di persona a scopo estorsivo  che  qui
viene in rilievo, congiuntamente ai reati ad essa connessi. 
    E' bene noto che il contesto normativo di riferimento  e'  stato,
piu' volte, interessato da pronunce di legittimita'; in  particolare,
a) per il delitto di sequestro di persona - a seguito della  sentenza
n. 68 del 2012 della Corte costituzionale -  e'  possibile  procedere
all'applicazione dell'attenuante discrezionale o indeterminata di cui
all'art. 311 del codice penale e che b) la medesima consulta  con  la
sentenza   n.   143   del   2021   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 69, quarto comma, codice penale nella  parte
in  cui  prevedeva  il  divieto  di  prevalenza   della   circostanza
attenuante  del  fatto  di  lieve  entita'  cosi'  introdotta   sulla
circostanza aggravante della recidiva  di  cui  all'art.  99,  quarto
comma del codice penale. 
    Tuttavia  il  quadro  normativo  attuale  non  appare   appagante
rispetto al caso di specie, laddove  la  Corte  non  ritiene  che  le
modalita' del fatto - ossia la sua durata e le condotte  di  violenza
che lo hanno accompagnato - siano tali da farlo inquadrare tra quelli
di  lieve  entita'   del   fatto,   cosi   da   renderlo   meritevole
dell'attenuante di  cui  all'art.  311  del  codice  penale,  con  la
connessa disciplina della recidiva. 
    Per orientamento del tutto consolidato «l'attenuante della  lieve
entita' del fatto,  prevista  dall'art.  311  del  codice  penale  ed
applicabile anche al delitto di  sequestro  di  persona  a  scopo  di
estorsione a seguito della sentenza  della  Corte  costituzionale  19
marzo 2012, n. 68, presuppone una valutazione oggettivamente riferita
al fatto nel suo complesso, sicche' essa non e' configurabile  se  il
requisito della lieve entita' manchi o in rapporto all'evento di  per
se'  considerato;  ovvero  in  rapporto  a  natura,  specie,   mezzi,
modalita' e circostanze della condotta; ovvero, ancora,  in  rapporto
all'entita' del danno o del  pericolo  conseguente  al  reato,  avuto
riguardo a tempi, luoghi e modalita' della privazione della  liberta'
personale  ed  all'ammontare  delle  somme  oggetto  della  finalita'
estorsiva» (Sez. 5, sentenza n.  18981  del  22  febbraio  2017,  Rv.
269933 - 01; da ultimo, in termini, Sez. 2, n. 9912  del  26  gennaio
2024, Rv. 286076-01; Sez.  2,  n.  9820  del  26  gennaio  2024,  Rv.
286092-01). 
    La  durata  temporalmente  apprezzabile  del  sequestro  (pari  a
quarantotto ore), l'entita' dell'importo richiesto coinvolgendo  pure
l'anziana genitrice, soprattutto le  modalita'  attuative,  a  fronte
delle serie lesioni fisiche inflitte dai tre correi e da  sconosciuti
appositamente  fatti  intervenire  per  picchiarlo,   minacciarlo   e
dileggiarlo, tanto da determinare un ricovero per  quattro  giornate,
le contemporanee aggressioni volte ad impadronirsi delle sue carte di
pagamento e dell'utenza cellulare, integranti in se'  le  ipotesi  di
rapina aggravata, escludono una valutazione in termini di  oggettiva,
lieve entita', peraltro reputata  insussistente  anche  nel  processo
celebrato a carico  del  concorrente  P.,  tanto  piu'  andando  essa
riferita al contributo non del singolo concorrente  ma  all'attivita'
complessiva dei compartecipi. 
    Gli strumenti normativi ad  oggi  presenti  nell'ordinamento  non
consentono dunque di applicare un trattamento sanzionatorio  tale  da
superare i dubbi di costituzionalita' che si andranno ad  esplicitare
rispetto  alla  varieta'  delle  situazioni   soggettive   che   sono
riconducibili all'ipotesi base, non modulabili in termini di lievita'
oggettiva, ancora  una  volta  non  essendo  consentito  forzare  gli
istituti al solo fine di ottenere il risultato di  una  pena  sentita
come giusta. 
5. La non manifesta infondatezza della questione. 
    5.1. Tanto  premesso  in  punto  di  rilevanza  della  questione,
ritiene la Corte che la disposizione censurata violi gli articoli  3,
25, comma 2 e 27, commi 1 e 3 della  Costituzione  per  i  motivi  di
seguito esposti. 
    Quanto  alle  importanti   evoluzioni   storiche   subite   dalla
formulazione normativa del reato di sequestro di persona a  scopo  di
estorsione e alla ratio dell'inasprimento sanzionatorio, e' noto  che
la fattispecie, gia' presente nel Codice Zanardelli del 1889 sotto la
rubrica «ricatto», prevedeva una cornice sanzionatoria  compresa  tra
gli otto e i quindici anni di reclusione, con  aumento  da  dodici  a
diciotto nel caso  in  cui  il  reo  avesse  effettivamente  ottenuto
l'ambito profitto. 
    Negli anni '70, alla luce del notevolissimo aumento del fenomeno,
il legislatore, facendo ampio ricorso  alla  decretazione  d'urgenza,
intervenne lungo una duplice direttrice (cfr. legge  n.  497  del  14
ottobre 1974): da una parte, volendo sfruttare l'effetto deterrente a
questo connesso, si punto' ad elevare i limiti  edittali  portandoli,
gia' per il reato base, nel minimo a dieci  e  nel  massimo  a  venti
anni; dall'altra, con  l'intenzione  di  incentivare  la  liberazione
degli  ostaggi,  vennero  introdotte  attenuanti  per  chi  si  fosse
adoperato in tal senso senza aver previamente ottenuto  il  pagamento
del riscatto. Infine, a seguito dei noti fatti  che  hanno  visto  il
rapimento e poi l'assassinio dell'On. Aldo Moro,  la  pena  e'  stata
fissata nella misura attuale, ovvero dai venticinque ai  trenta  anni
di reclusione. 
    All'interno della  fattispecie,  per  ripetere  le  parole  della
stessa  Corte   costituzionale,   residuano   «episodi   marcatamente
dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto
a quelli avuti di mira dal legislatore dell'emergenza. Si  tratta  di
fattispecie che - a fronte della marcata flessione dei  sequestri  di
persona  a  scopo  estorsivo  perpetrati  «professionalmente»   dalla
criminalita' organizzata, registratasi a partire dalla seconda  meta'
degli anni '80 dello scorso secolo -  hanno  finito,  di  fatto,  per
assumere un peso di tutto rilievo, se non pure  preponderante,  nella
piu' recente casistica dei sequestri estorsivi» (v.  sentenza  n.  68
del 2012). 
    E, non a caso, la Consulta ha  preso  a  prestito  della  propria
argomentazione del 2012 proprio  il  fatto  che  «rientrano  in  tale
ambito, tra  le  altre,  le  fattispecie  del  genere  che  viene  in
discussione nel giudizio a quo: ossia i sequestri di persona  attuati
al fine di ottenere una prestazione patrimoniale, pretesa sulla  base
di un pregresso rapporto di natura illecita con la vittima». 
    Pare  altresi'  opportuna  una  premessa  di  carattere  generale
relativa  ai  principi   affermati   dalla   Consulta   in   numerose
dichiarazioni di illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 69,
comma 4, codice penale. 
    Si segnalano in proposito la sentenza n. 251 del  2012,  relativa
alla circostanza attenuante all'epoca prevista dall'art. 73, comma 5,
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 in tema di  lieve
entita' nel reato di produzione. traffico e  detenzione  illeciti  di
sostanze stupefacenti o psicotrope; la  sentenza  n.  105  del  2014,
relativa alla circostanza attenuante prevista dall'art. 648, comma  2
codice penale, con riguardo alla particolare tenuita'  del  fatto  di
ricettazione; la sentenza n. 106 del 2014, relativa alla  circostanza
attenuante prevista dall'art. 609-bis,  comma  3  codice  penale,  in
rapporto ai fatti di minore gravita' del reato di violenza  sessuale;
la sentenza n. 74 del  2016,  relativa  alla  circostanza  attenuante
prevista  dall'art.  73,  comma  7,  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 309/1990, riconosciuta in favore di chi  collabori  per
evitare che l'attivita' delittuosa connessa alle droghe venga portata
ad ulteriori conseguenze; la sentenza n. 205 del 2017, relativa  alla
circostanza attenuante prevista dall'art. 219, comma 3, legge n.  267
del 1942,  in  tema  di  speciale  tenuita'  del  danno  patrimoniale
arrecato da fatti di bancarotta e  ricorso  abusivo  al  credito;  la
sentenza n. 73 del 2020, relativa alla fattispecie prevista dall'art.
89 codice penale, concernente la responsabilita' attenuata  di  colui
che, al momento del fatto, era affetto da un vizio parziale di mente;
la sentenza n. 55 del 2021, relativa all'ipotesi  prevista  dall'art.
116, comma 2 c.p., del c.d. «concorso anomalo»; la  sentenza  n.  143
del 2021, relativa alla  circostanza  attenuante  introdotta  con  la
sentenza additiva della Corte costituzionale n.  68  del  2012  nelle
ipotesi di tenuita' del fatto di sequestro  di  persona  a  scopo  di
estorsione. 
    Da ultimo, di grande importanza risultano le sentenze n.  94  del
2023 che ha dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  della  norma
«nella parte in cui, relativamente ai  delitti  puniti  con  la  pena
edittale dell'ergastolo,  prevede  il  divieto  di  prevalenza  delle
circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui  all'art.  99,
quarto comma, cod. pen.»; n.  141  del  2023  quanto  al  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di cui  all'art.  62,  numero
4), codice penale sulla recidiva di cui all'art.  99,  quarto  comma,
codice penale; n. 188 del 2023 laddove la recidiva reiterata vieta la
prevalenza della circostanza attenuante di  cui  all'art.  648-ter.1,
secondo comma, codice penale in materia di  autoriciclaggio;  n.  201
del 2023, dichiarativa costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del
codice penale, nella parte in cui prevede il  divieto  di  prevalenza
della circostanza attenuante di cui all'art. 74, comma 7, del decreto
del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 sulla recidiva
reiterata. 
    Pur riconoscendo, in linea generale, che  le  deroghe  al  regime
ordinario del bilanciamento tra circostanze  sono  costituzionalmente
legittime, la Corte ha  sottolineato  piu'  volte  che  tali  scelte,
benche' rientranti nella discrezionalita' del legislatore, non devono
comunque risultare manifestamente irragionevoli, arbitrarie  o  avere
l'effetto di compromettere gli equilibri stabiliti dalla Costituzione
in materia di responsabilita' penale. 
    La stessa giurisprudenza della Corte di cassazione  e'  assestata
da tempo sul principio che, quand'anche non si possa generalizzare il
profilo  di  un  contrasto  assoluto  in   relazione   alle   singole
circostanze del divieto  di  prevalenza  delle  attenuanti  generiche
sulla  recidiva  qualificata,   attesa   la   natura   innominata   e
sostanzialmente indeterminata  delle  medesime  e  l'insostenibilita'
della  tesi  di  una  rilevante  incidenza  di  tale  divieto   sulla
ragionevolezza   e   proporzionalita'   della   pena,   ha   comunque
riconosciuto che il limite alla  regola  e'  dato  dall'evenienza  in
concreto di situazioni «palesemente sproporzionate» (da ultimo,  Sez.
3, n. 29723 del 22 maggio 2024, Rv. 286747). 
    Per tale via puo' dirsi allora superata l'idea di sottrarre  tout
court al controllo della Consulta le scelte del  legislatore  che  si
risolvono in limitazioni al  sindacato  giudiziale  sulla  dosimetria
della pena  ed,  in  particolare,  sull'impossibilita'  di  ritenere,
all'esito  del  bilanciamento,  la   prevalenza   delle   circostanze
attenuanti su quella speciale della recidiva reiterata. 
    Parimenti, puo'  dirsi  consolidata  l'irrilevanza  della  natura
ordinaria  o  ad  effetto  speciale  delle   circostanze   attenuanti
coinvolte nel giudizio di bilanciamento con la recidiva reiterata. 
    Si deve a questo punto valutare se la previsione del  divieto  di
bilanciamento in termini di prevalenza sulla  recidiva  reiterata  ex
art.  99,  comma  4,  codice  penale  delle  circostanze   attenuanti
generiche, riferita alla fattispecie criminosa di  cui  all'art.  630
c.p., risponda ai principi esegetici che la  Corte  ha  fatto  propri
nelle sue pronunce. 
    La risposta al quesito non  puo'  che  essere  negativa,  per  le
ragioni di seguito esposte. 
    La stessa Consulta ha chiarito che le  rationes  decidendi  delle
sentenze di accoglimento  -  e  quindi  delle  sottese  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4,  codice  penale  -
sono riconducibili a «principi comuni, declinati lungo  una  triplice
direttrice». 
    Ritiene questa Corte che la questione odierna partecipi di  tutte
le ragioni che la Corte  costituzionale  ha,  nel  corso  del  tempo,
ritenuto decisive ai  fini  della  valutazione  di  fondatezza  delle
questioni. 
    Nel primo filone si inscrivono  tutte  quelle  fattispecie  nelle
quali ricorre una non trascurabile divaricazione tra la pena prevista
per il reato base  e  quella  applicabile  all'esito  della  ritenuta
attenuante: differenza di  trattamento  che,  per  potersi  affermare
compatibile con i principi costituzionali  di  eguaglianza  (art.  3,
comma 1, della Costituzione), di offensivita' della  condotta  penale
(art. 25, comma 2, della Costituzione) e  di  proporzionalita'  della
pena tendente alla rieducazione del condannato  (art.  27,  comma  3,
della  Costituzione),  esige  un   ordinario   bilanciamento   e   la
possibilita' per il giudice  di  valutare  prevalenti  le  attenuanti
rispetto alla recidiva reiterata. 
    Una limitazione in tal senso, portando alla determinazione  della
stessa risposta sanzionatoria per fatti marcatamente diversi, sarebbe
foriera di un'«alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti
nella strutturazione della responsabilita' penale»  (Corte  cost.  n.
251 del 2012). 
    Come si e' detto,  nel  caso  di  specie  esiste  certamente  una
divaricazione importante tra la pena prevista per  il  reato  base  e
quella prevista per  il  reato  circostanziato:  per  il  primo,  pur
volendo attestarsi sul minimo edittale, si avrebbero venticinque anni
di reclusione, mentre per il secondo, considerando l'attenuante nella
sua massima ampiezza applicativa,  si  arriverebbe  ad  una  pena  di
sedici anni ed otto mesi di reclusione. 
    Tuttavia, dovendosi applicare nel caso di  specie  la  disciplina
della continuazione e, segnatamente, l'art.  81,  comma  4  c.p.,  la
divaricazione  appare  ancor  piu'  sproporzionata  poiche'  la  pena
irrogabile, come si e'  visto,  e'  comunque  pari  a  trent'anni  di
reclusione, concesse o meno le circostanze attenuanti (in  regime  di
equivalenza),  mentre  l'invocato   bilanciamento   in   termini   di
prevalenza condurrebbe ad una pena di poco superiore ad anni sedici e
mesi  otto  di  reclusione,  cosi'  assumendo  i  tratti  dell'enorme
divaricazione delle cornici edittali» stigmatizzata piu' volte  dalla
Consulta laddove la differenza di tredici anni  e  quattro  mesi  non
puo' che ritenersi  l'effetto  di  «un'abnorme  enfatizzazione  delle
componenti  soggettive  riconducibili  alla  recidiva  reiterata,   a
detrimento delle componenti oggettive del reato». 
    Non si intende  certo  mettere  in  discussione  in  assoluto  il
fondamento della norma che pretende la valorizzazione in  genere  dei
profili della  colpevolezza  e  della  pericolosita'  che  sottendono
l'istituto  della  recidiva  reiterata  quale  scelta   di   politica
legislativa,  laddove  non  trasmodi  di  per  se'  nella   manifesta
irragionevolezza o nell'arbitrio: quanto piuttosto rappresentare che,
in ragione del severissimo quadro punitivo contemplato in una forbice
sanzionatoria assai ristretta per il sequestro  estorsivo,  l'effetto
dell'applicazione della recidiva reiterata e'  perverso  rispetto  ai
principi fondanti il volto della ragionevolezza della  pena,  finendo
per livellare  situazioni  assai  diverse  tra  loro,  imponendo,  in
assenza  di  circostanze  attenuanti,  la  pena  massima  tra  quelle
previste nell'ordinamento. 
    Se  in  linea  generalissima  puo'  ritenersi  «non   trasmodante
nell'arbitrio»  una  blindatura  in  termini  di  equivalenza   delle
circostanze  attenuanti  generiche,   non   vi   e'   pero'   dubbio,
limitatamente al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione,
che la scelta legislativa finisca per decretare, ancor di piu' se  il
fatto risulta commesso in continuazione con  altri  delitti,  proprio
quello  stravolgimento  degli  equilibri  costituzionali  piu'  volte
censurato dalla Consulta. 
    Pare piuttosto a questa  Corte  manifestamente  irragionevole  un
aggravio sanzionatorio tendente al raddoppio della pena per un  fatto
che, oggettivamente identico, sia commesso da un  recidivo  reiterato
anziche' da un soggetto incensurato. 
    D'altra  parte  gia'  e'  stata  riconosciuta  alle   circostanze
attenuanti in genere una  necessaria  funzione  riequilibratrice  del
marcato divario tra la pena del reato base a  fronte  di  quella  che
altrimenti risulterebbe dall'applicazione  delle  attenuanti  di  cui
all'art. 62-bis c.p.: con funzione che, «per il rispetto dei principi
di  eguaglianza  (art.  3,  primo  comma,  della  Costituzione),   di
offensivita' della condotta sanzionata penalmente (art.  25,  secondo
comma, della Costituzione) e di proporzionalita' della pena  tendente
alla  rieducazione  del  condannato  (art.  27,  terzo  comma,  della
Costituzione), non puo' essere compromessa dal divieto di  prevalenza
sulla recidiva reiterata recato dalla  disposizione  censurata»  (nel
caso, relativamente ai delitti puniti  con  la  pena  dell'ergastolo,
Corte costituzionale, sentenza n. 94/2023). 
    Nella  medesima  pronuncia,  di  conseguenza,  nell'ambito  della
correzione della sproporzione del trattamento sanzionatorio, gia'  e'
stata superata la distinzione tra attenuanti comuni ed attenuanti  ad
effetto speciale, dichiarando illegittimo l'art. 69, comma 4,  codice
penale nella parte in cui, in relazione a tutti  i  reati  punti  con
l'ergastolo, non consente alle attenuanti tutte  -  dunque  anche  le
attenuanti generiche - di prevalere sulla ritenuta recidiva reiterata
ex art. 99, comma 4, c.p. 
    5.2. Passando al secondo filone, un'altra  rilevante  ragione  di
accoglimento delle questioni  ha  riguardato  la  considerazione  che
alcune  attenuanti  partecipino  dell'esigenza  «di   bilanciare   la
particolare ampiezza della fattispecie del reato  non  circostanziato
che accomuna condotte marcatamente  diverse,  e  che  necessitano  di
essere   differenziate   nella   determinazione    del    trattamento
sanzionatorio». 
    Si e' gia' ampiamente argomentata, quantomeno in termini  di  non
implausibilita', l'impossibilita' di applicazione alla fattispecie de
qua dell'attenuante speciale della lieve  entita',  introdotta  dalla
Consulta. 
    Fermo tale inquadramento,  ritiene  questa  Corte  che  anche  in
riferimento  alla  previsione  del  sequestro  di  persona  a   scopo
estorsivo, non  circostanziata  dalla  lieve  entita',  ci  si  trovi
dinanzi ad una fattispecie cui e' possibile ascrivere  una  casistica
molto vasta ed eterogenea: invero, tra fatti tutti  accomunati  dalla
non lieve entita', e' comunque  possibile  rinvenire  differenze  non
trascurabili di contesto, durata e modalita' attuative del  sequestro
di persona a scopo di  estorsione,  elementi  questi  particolarmente
impattanti sul disvalore espresso da ciascun fatto di reato. 
    A titolo esemplificativo e senza pretesa alcuna di  esaustivita',
sussumibile nella fattispecie del reato  di  sequestro  ex  art.  630
codice penale e' sia una condotta di privazione della liberta' altrui
commessa  da  soggetto/i  legato/i  al   mondo   della   criminalita'
organizzata, con modalita' esecutive non improvvisate o  disordinate,
ma al contrario  particolarmente  dure  per  la  vittima  (digiuno  o
alimentazione insufficiente, luoghi angusti e remoti  di  detenzione,
ecc.), magari protrattosi per periodi di mesi o anni con richieste di
riscatti ingenti, sia un  fatto  come  quello  oggetto  del  presente
giudizio di merito che, pur grave, e' stato operato da  soggetti  del
tutto slegati dal  mondo  associativo  od  organizzato  i  quali,  in
maniera evidente, hanno agito in forma estemporanea ed istintiva. 
    Vero che al fine di porre rimedio ad una fattispecie base in  cui
e' sussumibile  una  vasta  gamma  di  fatti  il  giudice  avrebbe  a
disposizione proprio l'attenuante della lieve entita' e lo  strumento
ermeneutico dell'interpretazione estensiva con effetto  pro  reo,  ma
tale osservazione, pur  corretta,  non  prova  piu'  di  quanto  gia'
affermato: non e', infatti, revocabile in  dubbio  che  l'urgenza  di
applicare una pena proporzionata non possa spingere l'interprete fino
all'estrema conclusione, a questo  punto  obbligata,  di  considerare
praticamente  ogni  fatto  di  sequestro  verificatosi   nel   nostro
ordinamento come un fatto di  lieve  entita'  che  possa  beneficiare
dell'attenuante  speciale  pur   di   evitare   l'asprissimo   carico
sanzionatorio detto, quand'anche determinato nel minimo edittale. 
    Inoltre,  la  presenza  nel  sistema  normativo  di  una   (sola)
attenuante che possa (anche questa) avere la funzione «di  bilanciare
la   particolare   ampiezza   della   fattispecie   del   reato   non
circostanziato», non esclude affatto la  possibile  presenza  di  una
diversa ed ulteriore circostanza capace di  assolvere  alla  medesima
funzione ma per ragioni diverse, non potendo ritenersi che  la  prima
esaurisca la funzione di riequilibrio del  trattamento  sanzionatorio
rispetto al fatto cosi' come realmente accaduto. 
    A  cio'  si  aggiunga  che  non  v'e'  dubbio  alcuno  sulla  non
sovrapponibilita' ed  ontologica  diversita'  delle  due  circostanze
attenuanti di cui si sta discutendo, plasticamente evidenziata  dalla
considerazione che ben potrebbe il giudice del  merito  applicare  al
medesimo  fatto  storico  la   circostanza   della   lieve   entita',
riconoscendo al contempo al reo le circostanze attenuanti  generiche,
essendo  queste  ultime  un  flessibile  strumento  che  consente  di
valorizza e profili soggettivi che  sfuggono  al  giudizio  oggettivo
sulla lieve entita' del fatto. 
    Pertanto,  assolto  l'onere  di  motivare   l'impossibilita'   di
applicazione  dell'attenuante   ex   art.   311   codice   penale   e
l'opportunita' di applicare invece l'art.  62-bis  codice  penale  in
termini di prevalenza, tanto dovrebbe bastare. 
    5.3  La  natura  soggettiva  delle  attenuanti  generiche  impone
l'analisi del terzo filone di  sentenze  di  parziale  illegittimita'
costituzionale dell'art. 69, comma 4,  codice  penale  e  la  sottesa
ratio decidendi, in quanto trattasi di pronunce che hanno  riguardato
attenuanti strettamente legate al carattere personale - e dunque piu'
marcatamente individuale - della responsabilita' penale. 
    Il riferimento e' alle circostanze di cui agli articoli 89 e 116,
comma 2, c.p., rispettivamente involgenti il vizio parziale di  mente
e il concorso anomalo nel reato. 
    Ancora una  volta  ritiene  questa  Corte  che,  valorizzando  il
carattere soggettivo delle attenuanti generiche ex art. 62-bis codice
penale, si possa esportare tale argomentazione nel caso odierno. 
    Sono  infatti   ricorrenti   nella   giurisprudenza,   anche   di
legittimita', le affermazioni secondo cui le  circostanze  attenuanti
generiche svolgono: «un ruolo essenziale per assicurare che  la  pena
possa essere proporzionalmente ridotta [...] in  casi  caratterizzati
da una [...] minore colpevolezza dell'autore, ovvero  dalla  presenza
di ragioni significative che comunque rivelano un suo  minor  bisogno
di pena» (cfr. Corte costituzionale n. 197/2023). 
    E  ancora  il  principio  secondo  il  quale:  «alle   attenuanti
generiche  compete  piuttosto  l'essenziale  funzione  di  attribuire
rilevanza, ai fini della commisurazione della sanzione, a  specifiche
e puntuali caratteristiche del [...] suo autore -non  tipizzabili  ex
ante dal legislatore  in  ragione  della  loro  estrema  varieta',  e
diverse  da  quelle  che  gia'  integrano   ipotesi   «nominate»   di
attenuazione della  pena  -  che  connotano  il  fatto  di  un  minor
disvalore, rispetto a  quanto  la  conformita'  della  condotta  alla
figura astratta del reato  lasci  a  prima  vista  supporre»;  quello
secondo cui «l'art. 62-bis  codice  penale  consente  al  giudice  di
valorizzare tutti gli ulteriori parametri indicati dall'art. 133 cod.
pen. (Cass., n. 20808 del 2019), comprese le circostanze sopravvenute
al fatto di reato, o comunque inerenti alla persona dell'autore,  che
siano indicative di una sua minore pericolosita', o che  comunque  la
rendano meno meritevole e bisognosa di pena»; l'affermazione per cui:
«ad integrare le  attenuanti  generiche  possono  essere,  anzitutto,
circostanze espressive di una minore offensivita'  o  di  una  minore
colpevolezza del fatto:, quest'ultima in  ragione  della  particolare
intensita' e comprensibilita'  umana  dei  motivi  che  hanno  spinto
l'autore a commetterlo, ovvero della presenza di anomale  circostanze
concomitanti   alla   sua   condotta,   in    grado    di    limitare
significativamente  la  sua  liberta'».  (cfr.   ex   multis,   Corte
costituzionale n. 197/2023). 
    Se, come afferma la Consulta, «il principio  di  proporzionalita'
della pena desumibile dagli articoli  3  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione esige [...] in via  generale,  che  al  minor  grado  di
rimproverabilita' soggettiva corrisponda una pena inferiore  rispetto
a quella che sarebbe applicabile a parita' di disvalore oggettivo del
fatto», non si rinviene una motivazione valida per escludere  che  il
detti principio sia conferente anche in riferimento alle  circostanze
attenuanti generiche, laddove non sia consentita l'esplicazione nella
massima  estensione  dell'effetto   mitigatore   loro   proprio,   se
prevalente  rispetto  ai  parametri  sottesi  all'applicazione  della
recidiva reiterata. 
    A dimostrazione di cio' basti il seguente  ragionamento:  se  due
soggetti, entrambi recidivi reiterati, avessero commesso un  identico
fatto di sequestro estorsivo, sarebbe certamente contrario a principi
costituzionali  di  proporzionalita'  ed  uguaglianza   irrogare   ad
entrambi la medesima, massima  sanzione  ne!  caso  in  cui  per  uno
ricorressero anche i presupposti per l'applicazione delle  attenuanti
generiche (ad esempio un  esemplare  comportamento  processuale,  una
piena collaborazione successiva ai  fatti,  la  dimostrazione  di  un
sincero pentimento, ecc.) e per l'altro invece mancassero:  con  cio'
solo introducendo una  violazione  al  principio  che  pretende  pene
diverse per condotte e personalita' diverse. 
    5.4 Si e' pertanto argomentato  funditus  sulla  riconducibilita'
del caso odierno a ciascuna delle rationes decidendi che la  Consulta
ha fatto proprie nel  corso  degli  ultimi  armi  per  giungere  alla
dichiarazione di parziale illegittimita' costituzionale dell'art.  69
comma 4, c.p. 
    Si aggiunge a cio'  una  ulteriore  e  fondamentale  affermazione
della stessa  Corte  costituzionale  che,  nella  piu'  volte  citata
pronuncia n. 94 del  2023,  ha  affermato  testualmente  che  «queste
ragioni  del  decidere  che   reclamano   l'ordinario   giudizio   di
bilanciamento delle circostanze attenuanti,  pur  in  presenza  della
recidiva  reiterata,  ricorrono  tutte  e,  e   in   maggior   grado,
nell'ipotesi  in  cui  il  divieto  di  prevalenza  delle  attenuanti
comporta che l'unica pena irrogabile e' l'ergastolo». 
    Un  bilanciamento  ragionevole  si  impone,  dunque,  soprattutto
quando dalla blindatura legislativa derivi una sanzione connotata dai
gatti della  fissita',  nel  caso  pari  sempre  ad  anni  trenta  di
reclusione, non modulabile, per effetto del combinato degli  articoli
69, comma 4 e 81 comma 4 del codice penale. 
    La differenza  tra  la  pena  perpetua  dell'ergastolo  e  quella
temporanea della reclusione  pari  ad  anni  30  non  pare  argomento
valorizzabile al fine  di  escludere  che  le  stesse  garanzie  e  i
principi costituzionali di proporzionalita', graduabilita', finalita'
rieducativa della pena debbano valere nell'uno e non nell'altro  caso
a fronte dell'assoluta asprezza del trattamento sanzionatorio qui  in
rilievo, contenibile in trent'anni  solo  per  effetto  del  criterio
limitatore di cui all'art. 78 del codice penale. 
    5.5. Tutto quanto argomentato porta alla conclusione secondo  cui
la norma censurata, vietando al giudice  di  ritenere  prevalenti  le
circostanze attenuanti generiche sulla ritenuta  recidiva  reiterata,
comporta, in relazione al  reato  di  cui  all'art.  630  del  codice
penale, una gravissima violazione dei principi costituzionali sanciti
dagli articoli  3,  comma  1,  25,  comma  2  e  27,  comma  3  della
Costituzione, in quanto nega all'interprete la possibilita': irrogare
una pena che, suscettibile di  modulazione  in  riferimento  a  fatti
diversi, rifletta il concreto disvalore  del  reato  commesso  e  sia
proporzionata alla  pericolosita'  soggettiva  del  reo,  soprattutto
laddove siano accertati reati connessi che  determinano  l'incremento
sanzionatorio di cui all'art. 81, comma 4, codice penale: da un  lato
violando  il  sommo  principio  della  proporzione  tra  qualita'   e
quantita' della sanzione, dall'altro frustrando per tale via anche la
finalita' della pena che la giurisprudenza ha ritenuto a piu' riprese
«non sacrificabile» sull'altare di  nessun  altro  principio,  ovvero
quella rieducativa del condannato. 
    Non appare sostenibile, infatti, che la  sola  valutazione  della
pericolosita' sociale dell'agente, di cui certamente la  recidiva  e'
espressione, possa  avere  in  tal  senso  un  rilievo  esclusivo  ed
assorbente, annullando il peso specifico di elementi diversi, tali da
essere comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo; cosi'
come il principio delle necessaria proporzione  della  pena  rispetto
all'offensivita' del fatto  resterebbe  vanificato  da  quell'abnorme
enfatizzazione della recidiva,  piu'  volte  sanzionata  dalla  Corte
laddove, nel processo di individualizzazione della pena,  assuma  una
rilevanza tale da renderla comparativamente  prevalente  rispetto  al
fatto oggettivo. 
    Il processo rieducativo sarebbe irrimediabilmente compromesso  se
la   scelta   legislativa   imponesse   un   sacrificio   abnorme   e
sproporzionato  della  liberta'  personale  a  fronte  di  fatti  non
connotati da  disvalore  e  offensivita'  tali  da  giustificarne  la
misura, atteso che il condannato - con cio'  attuando  un  meccanismo
profondamente umano e ben noto alle scienze sociologiche, consistente
nel maturare una profonda avversione e disprezzo  emotivo  per  tutto
quanto avvertito come ritorsivo ed immeritato - tenderebbe certamente
al rifiuto di una pena ritenuta eccessiva e profondamente ingiusta. 
    La questione di costituzionalita', dunque, che qui  si  sottopone
d'ufficio alla Corte, appare rilevante al fine della definizione  del
giudizio e non manifestamente infondata avuto riguardo  ai  parametri
indicati di cui agli articoli 3, 25, comma  2  e  27,  commi  1  e  3
Costituzione. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Letto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara d'ufficio rilevante e non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma  4,  del
codice penale, nella parte in cui, con riferimento al  reato  di  cui
all'art. 630 del codice penale, vieta la prevalenza delle circostanze
attenuanti generiche ai sensi dell'art. 62-bis  codice  penale  sulla
recidiva reiterata ex art. 99, commi 2 e 4, del  codice  penale,  per
contrasto con gli articoli 3, comma 1, 25, comma  2  e  27,  comma  3
della Costituzione. 
    Ordina la sospensione del procedimento  in  corso  e  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che la presente ordinanza, letta alle parti all'esito del
giudizio, sia notificata al Presidente del Consiglio dei  ministri  e
comunicata al Presidente del Senato e al Presidente della Camera  dei
deputati. 
    Cosi' deciso in Roma e letto all'udienza del 20 gennaio 2025. 
 
                         Il Presidente: Roja