Reg. ord. n. 36 del 2025 pubbl. su G.U. del 05/03/2025 n. 10
Ordinanza del Tribunale di Prato del 26/09/2017
Tra: M. B.
Oggetto:
Processo penale - Misure cautelari personali - Condizioni di applicabilità delle misure coercitive - Procedimento applicativo - Criteri di scelta delle misure - Richiesta di misura cautelare da parte del pubblico ministero - Denunciata preclusione per il giudice della possibilità di disporre l’applicazione di una misura più grave di quella richiesta per inidoneità delle misure gradate - Violazione dei principi di ragionevolezza e di soggezione del giudice soltanto alla legge - Incidenza sulla corretta ripartizione dei ruoli giurisdizionali tra pubblico ministero e giudice.
Norme impugnate:
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 280
Co. 2
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 291
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 280
Co. 2
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 291
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 101
Co. 2
Costituzione
Art. 112
Co.
Camera di Consiglio del 17 novembre 2025 rel. NAVARRETTA
Testo dell'ordinanza
N. 36 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 settembre 2017
Ordinanza del 26 settembre 2017 del Tribunale di Prato nel
procedimento penale a carico di M. B..
Processo penale - Misure cautelari personali - Condizioni di
applicabilita' delle misure coercitive - Procedimento applicativo -
Criteri di scelta delle misure - Richiesta di misura cautelare da
parte del pubblico ministero - Denunciata preclusione per il
giudice della possibilita' di disporre l'applicazione di una misura
piu' grave di quella richiesta per inidoneita' delle misure
gradate.
- Codice di procedura penale, artt. 280, comma 2, e 291, anche in
combinato disposto.
(GU n. 10 del 05-03-2025)
TRIBUNALE DI PRATO
Ritenuto in fatto
1. In data ... perveniva dai C.C. Toscana, tenenza di Montemurlo
(PO), notizia di reato ex art. 73 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 309/1990 per detenzione ai fini di spaccio di sostanza
stupefacente di tipo cocaina, a carico di B. M. , nato in ... il ...,
alias B. M., nato in ... il ...
Il prevenuto veniva arrestato in pari data dagli agenti operanti
che sequestravano a suo carico gr. 7,73 lordi di cocaina ed euro
490,00 in contanti.
2. Il pubblico ministero di turno convalidava il sequestro e ,
nel contempo, chiedeva al Tribunale penale di Prato, in composizione
monocratica, la convalida dell'arresto, indicando la fattispecie
incriminatrice nella imputazione:
del delitto di cui agli articoli 81 cpv. del codice penale,
73, comma V, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309 perche', fuori dei casi previsti dall'art. 75 e senza
l'autorizzazione di cui all'art. 17 del predetto decreto, deteneva al
fine di farne successiva cessione a terze persone rimaste ignote,
sostanza stupefacente del tipo cocaina, gia' suddivisa in 10 ovuli
pronti alla rivendita, per un quantitativo complessivo in grammi
lordi pari a 7,73.
Fatto accertato in ..., il ...
3. Il Tribunale adito convalidava l'arresto; indi, sulla
richiesta del pubblico ministero di applicare la misura cautelare
degli arresti domiciliari, cosi' sul punto si esprimeva:
Il Giudice
(Omissis)
all'esito della udienza di convalida dell'arresto di B. M. nato
in ... il ... alias: B. M. nato in ... in data ... in Italia senza
fissa dimora, di fatto domiciliato a ... in via ... nr. ... difeso di
fiducia
(Omissis)
all'esito della udienza di convalida dell'arresto del predetto,
in ordine al reato, di cui all'imputazione enunciata nella richiesta
del pubblico ministero e contestata ritualmente al prevenuto;
Rilevato che, come emerge dalla· relazione di servizio, nei
confronti del prevenuto emergono gravi indizi di reita' in relazione
alla fattispecie criminosa come accertata, per il quale e' legittimo
l'arresto in flagranza (il prevenuto e' stato rinvenuto avere la
disponibilita' di un nascondiglio nei pressi dell'abitazione ove
alloggiava e nel quale riponeva sostanza stupefacente di tipo
cocaina, suddivisa in ovuli preconfezionati) e che il soggetto era
stato gia' sottoposto ad accertamenti nel 2015 per analoghi fatti di
spaccio di stupefacente;
Rilevato che il pericolo di fuga e di reiterazione del crimine
sia concretamente sussistente, attesa la carenza di permesso di
soggiorno e lo stato di clandestinita' decorrente dal 2015, nonche'
l'assoluta difettivita' di lavoro stabile sul territorio ed
integrazione nel tessuto sociale ( il prevenuto non parla la lingua
italiana); tutti elementi che inducono legittimamente a ritenere che
il soggetto non abbia intenzione di emergere in situazione di legale
presenza sul territorio, di guisa che, a fronte di concorrenti
pendenze per reati (analoghi) di manifesta gravita', il medesimo
possa essere prevedibilmente indotto alla fuga, onde sottrarsi ai
celebrandi giudizi;
Ritenuto che non solo il pericolo di fuga sia concreto, ma anche
quello di reiterazione del crimine, attesa la carenza di altre fonte,
legale, di reddito (il prevenuto era in possesso di autovettura e di
circa 500 euro, di cui non ha fornito alcuna contezza, peraltro non
desumibile da riscontri di guadagni leciti);
Ritenuto che se la convalida dell'arresto va disposta in ossequio
alla descrizione del fatto reato, come qualificato dal pubblico
ministero, altrettanta pedissequa conformita' non incombe sul
giudice, cui e' richiesta l'applicazione della misura cautelare (cfr.
Cassazione sul punto, sentenza n. 40265 dell'8 luglio 2014: in tema
di misure cautelaci personali, il giudice della cautela non e'
vincolato alla valutazione, ancorche' contestuale, espressa nella
fase di convalida dell' arresto o del fermo e puo', quindi,
autonomamente attribuire al fatto descritto nella contestazione una
diversa qualificazione o definizione giuridica rispetto a quella
formulata al momento in cui e' stata adottata la misura
precautelare), sicche' nella fattispecie descritta in atti e come
emersa all'esito delle risultanze processuali, il mero quantitativo
di droga non e' elemento di discrimen del comma 5 del contestato art.
73, nel senso che esso vale a tale fine solo allorche', per peso e
contenuto psicotropo assurga ad elemento rilevante ai fini della
previsione alternativa, ma non potendo , esso quantitativo , ridursi
ad unico elemento circostanziale della condotta criminosa ai fini
della configurazione del 5' comma cit. norma, intervenendo ulteriori,
plurimi fattori, quali, in particolare nella fattispecie, la fonte di
sostentamento da spaccio di stupefacente del soggetto attivo e ,
quindi, la esclusione della mera occasionalita' dell'illecito, che,
nella fattispecie, e' senz'altro da escludere, attesa la presenza di
analoghi carichi pendenti gia' risalenti al 2015 e la ben concreta
prospettazione di stabile modus operandi di spaccio, da cui trae il
prevenuto fonte di mantenimento, in assenza di lavoro; giudizio
vieppiu' avvalorato dalla volonta' di non rendere dichiarazioni volte
a fornire elementi cognitivi in ordine all'approvvigionamento della
droga;
Valutato pertanto che la fattispecie, appunto per i mezzi, le
modalita' e le circostanze dell'azione non sia riconducibile al fatto
di lieve entita', bensi' alla piu' ampia, onnicomprensiva
prospettazione dell'art. 73, comma 1, legge stup., per la quale e'
applicabile la misura della custodia in carcere;
Ritenuto, in concreto, che il prevenuto sia un soggetto
pericoloso, non avendo fonti di lavoro lecite con le quali evitare la
reiterazione del crimine; che non e' congruamente identificato ( a
suo nome ha un alias), che non ha dimora stabile e radicata, sicche'
si puo' senz'altro ventilare una concreta previsione di fuga, in
luogo della corretta sottoposizione al giudizio penale; che il
domicilio prospettato consiste in una mera stanza presso
un'abitazione familiare di connazionali, nei cui confronti non e'
esigibile la presa in carico di un sottoposto a misura cautelare e
che, comunque, non assicura la cessazione di rapporti con chi gli ha
procurato la droga;
Cio' premesso, ritenuta quale unica misura compatibile con la
pericolosita' del soggetto, la custodia in carcere;
(Omissis)
Convalida
L'arresto di B. M.; applica nei suoi confronti la misura della
custodia cautelare in carcere.
Seguiva differimento del giudizio direttissimo, su richiesta del
difensore di termine a difesa onde valutare l'esperibilita' di riti
alternativi.
4. Il pubblico ministero procedente richiedeva, il giorno
seguente alla convalida, al Tribunale penale di Prato - giudice
reperibile per turno da direttissime - la sostituzione della custodia
in carcere con il divieto di dimora in ...; il giudice all'uopo
compulsato, dando atto che era stata applicata dal giudice procedente
una misura piu' grave di quella richiesta dal pubblico ministero, che
si era espresso per l'applicazione degli arresti domiciliari, ma
ribadendo la inidoneita' di siffatta misura, convertiva la custodia
cautelare in carcere con il divieto di dimora in ...
5. Veniva quindi presentata dalla difesa richiesta di
applicazione pena, in relazione al reato come individuato dal
pubblico ministero, nella misura di mesi dieci di reclusione ed euro
1000,00 di multa; il pubblico ministero prestava consenso anche alla
sospensione condizionale della pena.
Il Giudice fissava l'udienza di trattazione, onde valutare la
richiesta nel contraddittorio delle parti; la notifica del
provvedimento del Giudice non veniva eseguita nei confronti
dell'imputato, che non veniva personalmente rintracciato, ma che
aveva provveduto, all'atto della scarcerazione, ad eleggere domicilio
presso Io studio del difensore, munendolo di procura a presentare
richieste di rito alternativo.
5. Nelle more - a distanza di circa quaranta giorni dal primo
arresto - il prevenuto era colto, sempre in territorio di ..., in
(ulteriore) flagranza di analogo reato (questa volta per un
quantitativo rinvenuto a suo carico di gr. 13,78 lordi di cocaina
suddivisi in 18 involucri preconfezionati, oltre a euro 100,00); dai
CC operanti veniva altresi' segnalato che, in precedenza, il
prevenuto si era reso inottemperante all'ordine di espulsione del
questore di ...
Siffatta segnalazione d'intervenuto (nuovo) arresto perveniva, da
parte dei C.C. operanti, al giudice procedente del giudizio in
oggetto, affinche' venisse valutata l'applicazione di misura piu'
grave; il Giudice, nel difetto di espressa richiesta del pubblico
ministero, pur notiziato dell'accadimento, dichiarava non luogo a
provvedere.
6. All'udienza fissata per l'accoglimento della richiesta di
applicazione pena il Giudice ha sospeso il procedimento ritenendo
sussistano ragioni di inapplicabilita' di norme per violazione di
principi costituzionali, che necessitino d'intervento del Giudice
delle leggi in tal guisa esprimendosi:
Sollevo eccezione d'incostituzionalita' dell'art. 280, 2
comma del codice di procedura penale nel suo combinato disposto con
l'art. 291 del codice di procedura penale perche' in contrasto con
gli articoli 3, 101 e 112 della Costituzione.
I fatti processuali che determinano la eccezione sono i seguenti:
un cittadino straniero, privo di documenti adeguatamente
identificativi della sua persona (accertato dalle forze dell'ordine
attraverso plurimi alias e infine con CUI) e privo di permesso di
soggiorno, entrato clandestinamente e controllato per la prima volta
sul territorio italiano nel ... del ... in circostanze fattuali
riferibili ad ipotesi di spaccio stupefacente - per il quale risulta
sottoposto a separato procedimento penale - viene arrestato dai CC.
di Prato, che, su sollecitazione di reiterate segnalazioni di
cittadini, lo colgono in flagrante detenzione a fine di spaccio di
sostanza stupefacente del tipo cocaina, nascosta, unitamente ad un
bilancino, sulla sommita' di una cd. «campana» sita sul ciglio di
strada urbana e destinata al recupero delle bottiglie in vetro da
parte dell'ente istituzionalmente preposto alla gestione dei rifiuti
urbani;
l'arresto viene effettuato dai CC ai sensi dell'art. 73 della
legge stupefacenti;
il prevenuto e' portato in udienza di convalida avanti al
giudice sottoscritto; la contestazione di reato formulata dal
pubblico ministero e' il delitto p. e p. dall'art. 73, 5° comma della
legge stupefacenti; il prevenuto non intende rendere dichiarazioni,
avvalendosi della facolta' di non rispondere; restano cosi'
irrealizzate le esigenze cognitive relative alla similare condotta
accertata dopo un intervallo temporale di circa diciotto mesi, al
possesso di denaro e di autovettura in assenza della benche' minima
attivita' lavorativa, all'identita' di altro soggetto, che con lui
era stato avvistato dai cittadini, che avevano compulsato le forze
dell'ordine e che con lui entrava e usciva da abitazione antistante
la «campana», legittimamente detenuta da famiglia pachistana, che gli
aveva benevolmente affidato in uso una stanza, dopo averlo conosciuto
in moschea;
vengono ravvisate ab initio dal pubblico ministero esigenze
cautelari ai fini dell'applicazione di arresti domiciliari; viene
richiesta celebrazione di giudizio direttissimo;
il giudice convalida l'arresto; nel successivo ambito
valutativo di esigenze cautelari, ritenuta - ed espressa -
l'autonomia discrezionale in relazione alla fattispecie criminosa,
cui ricondurre il fatto materiale, e individuato a tal fine il
delitto, di cui al 1 comma, art. 73 della legge stupefacenti,
considerata la inidoneita' del domicilio proposto a garantire la
corretta esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari,
converte la stessa in custodia in carcere;
il pubblico ministero procedente, convenendo sulla
inidoneita' del domicilio, richiede sollecitamente, al giudice di
reperibilita' per` convalide nel turno del giorno successivo, la
immediata scarcerazione del prevenuto, ostando alla custodia in
carcere il titolo di reato come, contestato (art. 73, 5° comma della
legge stupefacenti); chiede nel contempo l'applicazione di misura
cautelare 'gradata, ovvero il divieto di dimora in ...
il giudice compulsato rimette in liberta' l'imputato ed
applica pedissequamente la misura gradata, come richiesta dal
pubblico ministero.
Alla udienza fissata per il giudizio direttissima, ritornato
il fascicolo davanti al giudice «che procede» e richiesto dalla
difesa termine per valutare l'esperibilita' di riti alternativi -
assente l'inputato, cui non e' stato possibile notificare il
provvedimento di rifissazione udienza perche' non piu' rintracciato -
viene proposta dal difensore - all'uopo avvalentesi di procura
speciale ab initio rilasciata dall'arrestato - richiesta di
applicazione pena concordata con il PM, in relazione alla violazione
ex art. 73, 5° comma della legge stupefacenti, entro i limiti del
biennio (in particolare dieci mesi di reclusione ed euro 1000,00 di
multa), subordinata al beneficio della sospensione condizionale della
pena, con conseguente revoca della misura cautelare del divieto di
dimora in ...
Il giudice si ritrova, a questo punto della fase
procedimentale, a valutare due ambiti applicativi di norme: quello
afferente la corretta individuazione della fattispecie astratta, cui
collegare il fatto reato e quello relativo alla disamina delle
immanenti esigenze cautelari: un arresto nella speditezza del
giudizio a questo punto s'impone, non altrimenti recuperabile
mediante ausilio di norme che escludano il ricorso all'eccezione
d'incostituzionalita', che con la presente ordinanza si solleva.
E' noto che, falcidiata da giudizi di illegittimita'
costituzionale, la unitarieta' del giudizio di primo grado e'
ostacolata, laddove il giudice - ancorche' esprimentesi nella
medesima fase - respinga il patteggiamento; si e' ritenuto che l'A.G.
compulsata formuli un prejudicium, confliggente con il principio di
terzieta', che e' immanente all'intero percorso processuale, cosi'
dovendosi «spogliare» del procedimento.
Sebbene meramente radente con la questione che ci occupa, in
quanto successiva, e' comunque opportuno evidenziare - nell'economia
della presente ordinanza - che tale arresto della immanenza
identitaria del giudice, a sommesso avviso della scrivente, non
valuta con la esigibile ampiezza la grande portata innovativa
dell'attuale processo , che sorge, cresce, si conclude davanti al
giudice, il quale - si presume nella ideazione originaria del
legislatore del 1988 - puo' non essere piu' «virgineo» nel suo
procedere - poiche' gia' espressosi negativamente sulla concessione
del beneficio della sospensione condizionale della pena concordata e
proposta in patteggiamento - ma deve senz'altro recuperare quello
spirito maieutica di conoscenza mediata dal divenire istruttorio del
giudizio di fase, ove accusa e difesa si mettono in prova.
Nulla di piu' probabile, nell'originaria ideazione, che lo stesso
giudice, che abbia negato il patteggiamento perche' i fatti non lo
consentivano nella loro astrattezza imputativa, acquisisca, di
sovente dallo stesso esame dell'imputato, la consapevolezza di
circostanze attenuanti, perfino la previsione fondata di un giudizio
prognostico positivo.
Cristallizzare il giudizio conclusivo alla diffidente
stigmatizzazione del manifestato diniego di patteggiamento significa
negare al ns. processo la forza e l'efficacia della dinamica
processuale ad esso connaturata.
In univoca applicazione di questo principio di diffidenza e'
visto, dal piu' recente legislatore, il sistema delle misure
cautelari.
Mentre, nella originaria formulazione del sistema processuale di
applicazione di misure cautelari, si partiva dal criterio che la
cautela era rigorosamente presunta in concomitanza di ipotesi di
responsabilita' penale, di guisa che occorreva dimostrare il venir
meno degli indici di incidenza sulle cautele, il legislatore,
progressivamente ha scalfito questo sistema, spostando l'asse
valutativo sul criterio eccettuale, per cui - fatte salve talune
ipotesi di reato - la cautela deve essere dimostrata;
alternativamente la collettivita' non puo' avanzare pretese in tal
senso.
Non vi e' piu' una tutela incondizionata dei principi - una volta
inviolabili - della sicurezza della collettivita' e/o della certezza
di assicurare l'espiazione pena a chi e' giudicato definitivamente
colpevole e/o del corretto, non inquinato iter processuale, bensi'
ormai sovviene una graduazione della tutela; in altri termini, non
interviene piu' il principio del controllo sulla condotta attiva
dell'indagato/imputato, sostituito dal principio della
regolamentazione dell'osservanza di quei principi «per fasce di
reato».
Per alcune ipotesi criminose la tutela e' ancora garantita in
forma incondizionata - con previsione di possibile applicazione di
custodia in carcere -, per altri, peculiarmente riconducibili a fatti
di microcriminalita', la tutela e' rapportata non piu' alle
potenzialita' criminogene del soggetto attivo, ma alla concreta
lesione antigiuridica che la condotta del reo produce.
Il legislatore, senza che il soggetto passivo possa opporvi
alcuna reazione in ambito giudiziario (si pensi all'ipotesi di
resistenza al p.u. nel concorso di frequenti applicazioni di mere
custodie gradate) ha inteso ridimensionare non solo le fattispecie
criminose - a cio' gia' pervenendo con modifiche edittali della
sanzione connessa ad un determinato precetto (come, per l'appunto il
ns. caso, di spaccio di cocaina) - bensi' anche gli effetti di esse
sui destinatari della condotta criminosa, in cui - ancora esaminando
il caso in esame - una sola delle dosi, che il prevenuto deteneva a
fine di spaccio, avrebbe potuto essere idonea, in assenza di
accertamento di principio attivo e di qualita' di mescola con
sostanze da taglio piu' o meno scadenti, ad essere potenzialmente
letale per soggetti passivi piu' pregiudizievolmente sensibili ai
suoi effetti.
Il legislatore, prevedendo per alcune fattispecie criminose -
peraltro di frequente realizzazione concreta - solo ipotesi gradate
di misure cautelari, esclude a priori che insorgano pericoli connessi
alle sole esigenze cautelari di grado supremo. O meglio, pur
prevedendone la ricorrenza, esclude in radice che esse debbano venire
efficacemente compresse, in danno della collettivita': si e' inteso -
e giustamente - esigere la motivazione dell'attualita' dell'esigenza,
ma dando per scontata la «discriminata» persistenza della sua pur
perniciosa, difettiva repressione. Si pensi alla diffusivita',
scaturita dalle recenti riforme, di applicazione degli arresti
domiciliari, ove il pericolo di perniciosi contatti con l'ambiente
malavitoso di provenienza non puo' efficacemente venire represso.
In tale contesto innovativo va inserita la fattispecie che ci
occupa, in cui lo spacciatore, che non e' identificato in forma certa
, vive dei proventi dello spaccio, non ha una fissa dimora, non ha
interrotto, mediante adeguate confessorie dichiarazioni, il legame
con la criminalita' di grado medio, che lo rifornisce da almeno
diciotto mesi di droga da strada, viene posto in liberta' solo
perche' - non previsto il carcere per il titolo di reato formalizzato
dal pubblico ministero - egli risulta privo di un domicilio idoneo al
regime restrittivo cautelare; cio' di fatto vanifica quelle pur
ravvisate - e ravvisate - gravi esigenze cautelari, che imponevano la
limitazione della sua mobilita', della pur pericolosa sua liberta'
d'azione.
Nella lettura ormai consolidata dell'art. 280 del codice di
procedura penale e di quell'affermato, automatico legame intrinseco
fra titolo di reato e correlata, modulata repressione dei pericoli
connessi alle esigenze cautelari, e' insito tutto il contrasto
legislativo con i principi costituzionali summenzionati.
Se l'art. 280 del codice di procedura penale va letto con un
ancoraggio esclusivo ed apodittico allo specifico titolo di reato,
come contestato formalmente dal pubblico ministero e non puo' venire
temperato dal pur coesistente precetto, di cui all'articolo. 275 del
codice di procedura penale, comma 3, allora esso contrasta in primo
luogo con il principio di uguaglianza: a parita' di reato e di
circostanze obiettive e subiettive e, quindi, a parita' di esigenze
cautelari a carico di due soggetti attivi - categoricamente escluso
per entrambi l'ingresso in carcere quod poenam - colui che ha una
dimora stabile subisce la restrizione degli arresti domiciliari ,
mentre l'altro, privo di dimora stabile e/o adeguata al regime
cautelare restrittivo, viene posto in liberta' con depotenziamento
della cautela; fatto, che e' assolutamente iniquo.
E' evidente la discriminazione in danno di colui che, in seno
alla collettivita', ha comunque realizzato l'obiettivo (quello della
dimora certa) dell'appartenenza ad un nucleo sociale di riferimento e
che sia anche in grado di accudirlo in regime di custodia
domiciliare.
Discriminazione per contro a favore di tutti coloro, di cui non
e' certa la identificazione, il radicamento sul territorio, la
stabilizzazione, ancorche' temporanea, in un determinato luogo.
Assoluto contrasto con il principio di uguaglianza di fronte alla
legge.
Si ravvisa, nella lettura forse miope dei piu' recenti interventi
di riforma legislativa - e da qui l'accorato invito al Giudice delle
leggi a fornire una luce piu' nitida - un disarmante, difettivo
interesse per la tutela sostanziale della collettivita'.
Come e' possibile che la novella non consenta al giudice, che
pure e' sovrano interprete delle leggi - e da qui la violazione anche
del principio di ragionevolezza con riferimento al precetto
costituzionale ex art. 101 , II comma della Costituzione - di
ravvisare esigenze cautelari gravi, quando non gravissime (come per
l'appunto la mancanza di identificazione del cittadino straniero sul
territorio nazionale, il non reciso collegamento con la criminalita'
che gli fornisce droga con continuita', l'impossibilita' di
controllarlo in prosieguo, sino all'esito definitivo del giudizio,
per essere il divieto di dimora in un determinato comune a carico di
siffatto soggetto quanto di piu' vago ed aleatorio ai fini di un pur
ineludibile futuro accertamento) solo perche', ai sensi dell'art. 280
del codice di procedura penale e in relazione alla lettura orientata
dell'art. 291 del codice di procedura penale il pubblico ministero e'
il depositario non solo dell'esercizio dell'azione penale, ma anche,
collateralmente, della sua circoscrizione , sicche' la previsione
normativa puo' essere, indiscriminatamente, utilizzata per contestare
un titolo di reato piu' grave o uno meno grave e farne discendere -
prescindendosi dalle reali, concrete, attuali esigenze cautelari -
effetti diametralmente opposti.
In tal senso il combinato disposto degli articoli 291 e 280 del
codice di procedura penale determina un solco di percorrenza, che
preclude al giudice di osservare le leggi nella loro effettiva
corrispondenza con le fattispecie concrete, dovendo adeguare il
proprio provvedimento alle richieste formali - e sovente immotivate -
del pubblico ministero.
Si pensi alla fattispecie in esame, in cui nell'arco di pochi
giorni il pubblico ministero - ed immotivatamente - e' passato dalla
prospettazione di esigenze cautelari gravi, reprimibili solo con la
restrizione della liberta' (ancorche' domiciliare) al loro
stemperamento in quelle, cui il mero divieto di dimora, dovrebbe
opporre adeguata ed efficace repressione e infine, alla loro
esclusione attraverso il consenso ad una prognosi positiva.
La violazione del principio costituzionale ex art. 101 della
Costituzione e' evidente, laddove la lettura dell'art. 280 del codice
di procedura penale venga ancorata inderogabilmente al titolo di
reato proposto dal pubblico ministero e, collateralmente, le misure
cautelari che quella stessa AG propone di applicare siano costrette
nell'alveo devolutivo della lettura orientata di cui all'art. 291 del
codice di procedura penale.
Interpretazione di siffatta norma (l'art. 291 del codice di
procedura penale) quanto mai necessitante di rivisitazione da parte
del Giudice delle leggi, appunto in concomitanza con le modifiche
normative apportate dal legislatore.
Se il pubblico ministero chiede di applicare le misure il giudice
nell'ambito della discrezionale valutazione della ipotesi di reato
ascrivibile (detenzione a fine di spaccio ai sensi dell'art. 73, I
comma) individua quella piu' appropriata; se per contro il pubblico
ministero chiede l'applicazione di una determinata misura e delimita
anche lo spazio valutativo della ipotesi di reato (art. 73, 5°
comma), il Giudice e' privo di scelta nell'applicare le misure,
assolutamente determinante risultando l'ipotesi di reato di
riferimento.
Ma il pubblico ministero, per principio costituzionale, deve
esercitare l'azione penale - art. 112 della Costituzione - non e'
legittimato anche ad applicare le cautele, ne' deve concorrentemente
valutare in fase applicativa la condotta antigiuridica ascrivibile;
proprio perche' il titolo di reato individuando e' quello che puo'
legittimare o meno una misura cautelare piuttosto che un'altra.
Come chiede l'applicazione delle misure, cosi' il pubblico
ministero esercita l'azione penale in ordine ad un fatto reato; cio'
in ossequio, ancora, al principio di ragionevolezza, che sottende
anche l'art. 112 della Costituzione.
Il giudice, cui solo incombe il duplice obbligo di incarcerare
e/o scarcerare e, collateralmente di motivare il sotteso
provvedimento, deve poter agire liberamente, prescindendo dalla
richiesta, «irresponsabile» (poiche' non astretta al vincolo della
motivazione) di chi esercita l'azione penale e chiede le misure
cautelari.
Ne' puo' apparire fuorviante a siffatto impianto il dettato
dell'art. 299, comma 3 e comma 3-bis del codice di procedura penale,
secondo cui il pubblico ministero detiene il potere di chiedere la
sostituzione o la revoca della misura cautelare in corso e, comunque,
di esprimersi al riguardo.
La norma e' applicabile alla fase delle indagini, allorche' al
giudice vengono sottoposti solo gli atti, quegli atti, che il
pubblico ministero ritiene opportuno offrire alla cognizione
circoscritta del Giudice.
Non e' quest'ultimo ad avere il polso della situazione
processuale di fase, bensi' il pubblico ministero, che quindi ha la
piena liberta' di valutare le esigenze cautelari; ben diverso
ragionamento vale allorche' - come appunto nel caso di specie, che ha
compulsato l'eccezione - pur in difettivo supplemento d' indagini, il
giudice sia chiamato ad avallare, con una sorta di timbro, il
progressivo, apodittico ridimensionamento delle esigenze cautelari e,
con fatto di connessa, rilevante portata, riscontri quale inane
tentativo la propria diversa qualificazione del fatto.
Progressivamente - ed immotivatamente - ridotte le esigenze
cautelari, sino alla loro totale esclusione (consenso sul beneficio
della sospensione condizionale della pena), negletta la pur diversa
imputazione ex art. 73, I comma, legge stupefacenti, come
rappresentata dal Giudice che procedeva in sede di applicazione
misure cautelari, si dovrebbe provvedere con l'applicazione
pedissequa di titolo di reato e di concessione del beneficio della
sospensione.
Altrimenti, il giudice riottoso deve astenersi dal proseguire il
giudizio.
Se per contro alla normativa di riferimento si assegna il
corretto ambito di prospettazione del titolo di reato e delle
connesse misure cautelari applicande, riservata al giudice, con
evidente obbligo di motivazione, la definizione del titolo di reato
effettivamente ritenuto compatibile con la fattispecie concreta
sottoposta al suo esame e la concorrente individuazione della misura
cautelare piu' appropriata, non astretta da vincoli iniquamente
trasgressivi del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione)
si ricompatta l'ordine costituzionale dell'attribuzione al pubblico
ministero dell'azione penale (art. 112 della Costituzione) e della
sottoposizione del Giudice non all'immotivata richiesta del pubblico
ministero bensi' alla legge ed ai sottesi principi informatori della
Costituzione (art. 101, 2° comma della Costituzione)
Solo con siffatto ordine gerarchico, ritualmente sottoposto al
principio di impugnazione degli atti del giudice, si puo' poi
procedere al prosieguo del giudizio conclusivo di fase o ai suoi riti
alternativi.
Infine, il meccanismo perverso del combinato disposto delle norme
summenzionate prevede che ove il giudice non sia all'unisono in
siffatto percorso in discesa debba astenersi per motivi di
opportunita' (da qui il non occasionale riferimento, supra, alla
ipotesi di reiezione della proposta di patteggiamento).
Va altresi' evidenziato che gli ostacoli ad un'applicazione
lineare delle norme in base ai principi costituzionali si sono
frapposti sin dalla richiesta di revoca della custodia in carcere,
per quanto proposta dal pubblico ministero a diverso giudice ; va
peraltro detto che, a fronte di una lettura cosi' pervicacemente
orientata dell'art. 280 del codice di procedura penale, chiunque
avrebbe presumibilmente provveduto in senso conforme, pur consapevole
del contrasto applicativo con i suesposti principi costituzionali,
ne' avrebbe potuto sospendere il giudizio lasciando l'arrestato in
vinculis.
Tuttavia, e' tale l'iniquita' delle norme nella loro lettura piu'
immediata che tale contrasto si e' riproposto, ed anzi in forma
quanto mai accentuata, allorche', dismessa autoritativamente - da
parte del pubblico ministero - ogni diversa disamina del fatto reato
in stretta correlazione con la piu' grave fattispecie delittuosa (
art. 73 , I comma, legge stupefacenti) come pur autorevolmente
rappresentata dal Giudice - che e' l'unico soggetto responsabile del
procedimento nel suo iter, in quanto sottoposto all'obbligo di
motivazione - ha disatteso altresi' le pur espresse, in forma
concorde, esigenze cautelari, in quel parametro efficacemente
evolutivo di accorpamento delle esigenze al titolo del reato.
Pretermissione di ogni giustificazione di legittimita', che pure
garantirebbe il principio di osservanza del potere giurisdizionale di
fronte a tutti i cittadini; il prevenuto, in forza della non ritenuta
applicazione dell'art. 275, comma 3 del codice di procedura penale a
fronte della dizione di cui all'art. 280 del codice di procedura
penale ha trascorso in carcere alcune ore e, indi, assolutamente
assorbente in senso a lui favorevole la problematica del domicilio
inidoneo, una volta liberato si e' reso irrintracciabile fuori dal
Comune di ...
Il Giudice, impotente di fronte a siffatta articolazione di
guarentigie, non puo' neppure far valere la pur meditata e ritenuta
ipotesi di reato piu' grave (alla luce delle circostanze di tempo e
di luogo - lo spaccio, continuato, reiterato, di cocaina avveniva in
pubblico, impudentemente utilizzando quale luogo di appoggio un
manufatto comunale destinato al ricovero dei rifiuti in vetro, quindi
in totale promiscuita' con la legittima sua fruizione da parte
dell'utenza - e di condotta grave perseguita da parte di soggetto
clandestino, privo di documenti, gia' accertato per fatti consimili
un anno e mezzo prima), ne' puo' con correntemente disapplicare la
modesta modulazione delle misure pur a fronte del persistente
accertamento di un'evidente grave situazione di concreto, attuale
pericolo di reiterazione del crimine e di fuga.
Cio' anche nella ipotesi di mancato accoglimento della richiesta
di applicazione pena, che pende e che certo non esonera il decidente
dalla immanenza delle esigenze cautelari, specie ove connessa alla
disposta scarcerazione.
Il principio suesposto della responsabilita' del giudice e'
altrettanto immanente quanto le esigenze cautelari; se queste sono
persistenti - e non vi e' alcuna affermazione del pubblico ministero
che siano venute meno - pende responsabilita' del giudice in ordine
alla sua scarcerazione, che e' atto che ha ineludibili effetti
succedanei.
Eventuale - e logicamente presumibile - reiterazione del crimine
fuori dal Comune di ... da parte del prevenuto consente di affermare
persistenza della responsabilita' del soggetto processuale che ne ha
disposto la scarcerazione.
Se una dose di droga dal medesimo venisse aliunde ceduta in danno
di un minorenne, di un soggetto reattivamente piu' sensibile, la
collettivita' potrebbe legittimamente richiedere al giudice che ha
proceduto contezza della inopinata scarcerazione.
Le esigenze cautelari prescindono dall'agevole risoluzione della
fattualita' attraverso i riti alternativi; esse accompagnano il fatto
e vanno oltre.
E' in contrasto con i principi costituzionali summenzionati e con
il principio di ragionevolezza che sottende all'esercizio della
giurisdizione improntare un solco blindato, come programmato dal
legislatore.
P.Q.M.
(Omissis).
Ritenuto in diritto
7. Ribadito il contenuto della ordinanza resa in udienza e con la
presente integrata, si rileva, ulteriormente, che non solo era
presumibile - come ivi affermato - che il recuperato status
libertatis potesse agevolare il compimento di reiterazione del
crimine, ma l'evolversi della situazione ha comportato, per
l'appunto, il nuovo arresto a distanza di un mese dal precedente
evento criminoso.
Nuovo evento che - e se ne intende formulare la puntualizzazione
in questa seconda parte motiva dell'ordinanza - era assolutamente
prevedibile ed era stato concretamente previsto dal giudice
procedente, che, a fronte di inapplicabilita' di arresti domiciliari,
aveva imposto la custodia in carcere. Evento antigiuridico, che
poteva essere evitato, qualora si fosse proceduto ad una lettura
orientata dell'accezione «solo quando», di cui al primo comma
dell'art. 280 del codice di procedura penale e dell'accezione,
seguente «solo per delitti...», di cui al successivo secondo comma.
8. Il legislatore deve chiaramente esprimere - e se non
sufficientemente chiaro deve intervenire il Giudice delle leggi per
fornire lumi agli interpreti operativi - se prevalga, nel suo
costrutto normativo, la delimitazione restrittiva della misura
carceraria in fase cautelare rispetto al principio di osservanza di
tutti i cittadini di fronte alla legge e di corretta ripartizione dei
ruoli giurisdizionali fra pubblico ministero e giudice.
9. Superfluo precisare al riguardo che, perseguendo il criterio
d'inapplicabilita' dell'art. 275, prima parte del 3° comma del codice
di procedura penale, in ossequio alla lettura dell'art. 280 del
codice di procedura penale, con peculiare riferimento alle sue
accezioni limitative (solo quando; solo per delitti) ogni soggetto
che intenda delinquere e che non sia radicato da tempo sul territorio
sceglie molto opportunamente di non munirsi di idoneo alloggio, onde
vanificare esigenze cautelari restrittive dello status libertatis.
Cio' determinando un gravissimo scompenso equalitario fra
cittadini radicati sul territorio, generalmente muniti di alloggio, e
soggetti privi di fissa dimora, di documenti anagrafici, di nuclei
familiari di riferimento.
10. Ne' puo' obiettarsi, ad avviso della scrivente, che nella
fattispecie concreta difetta la violazione del surriferito principio
costituzionale, in quanto la situazione di maggior svantaggio e'
virtuale, poiche', per contro, la situazione di maggior vantaggio e'
stata immediata e concreta, ottenuta il giorno seguente alla
convalida: nessun domicilio adeguato, nessuna misura restrittiva
della liberta'.
Se il prevenuto avesse avuto non una stanza presso terzi, facenti
capo ad una famiglia occasionalmente conosciuta in moschea, ma
un'abitazione, ove risiedeva da tempo, sarebbe rimasto ristretto e,
presumibilmente, non avrebbe neppure commesso il successivo reato.
L'eguaglianza di fronte alla legge non puo' dipendere da
condizioni potestative.
11. Quanto alla lettura dell'art. 291 del codice di procedura
penale come una sorta di confine inderogabile ed invalicabile,
apposto da chi esercita l'azione penale (come appunto si rinviene in
concreto nella fattispecie oggetto di giudizio), il legislatore non
si e' avveduto che, innovando l'art. 292, comma 2, lettera c) del
codice di procedura penale ed imponendo l'autonoma valutazione
(ribadendo invero un principio immanente dell'autonomia di giudizio
del giudice rispetto al pubblico ministero) ed ancora reiterando tale
aspetto nel successivo comma 2-bis , ha radicato l'attribuzione
all'organo decidente sulle misure cautelari di una propria
discrezionalita' in tema di applicazione misure, che supera il
percorso (meramente) interpretativo circa la esclusiva attribuzione
al pubblico ministero dell'esercizio del potere di decidere il tetto
massimo delle misure.
12. Invero l'art. 291 del codice di procedura penale esordisce
con un plurale - le misure sono richieste - facendo presupporre che
nell'arco delle possibilita' il Giudice poi possa decidere
liberamente, con autonoma valutazione, quale applicare, in quanto
piu' opportunamente, concretamente ed attualmente appropriata; ma
dopo la riforma integrativa dell'art. 292 del codice di procedura
penale e' lecito chiedersi se il legislatore abbia inteso conservare
la determinazione del tetto massimo delle misure cautelari quale
prerogativa del (solo) pubblico ministero, residuando, al giudice, la
autonoma valutazione delle misure nel mero ambito di quelle richieste
dalla pubblica accusa.
13. Restrizione e compressione del principio costituzionale di
sottoposizione del Giudice solo alla legge vieppiu' - e
contraddittoriamente con l'additiva riforma del cit. art. 292 del
codice di procedura penale - stigmatizzata da quell'alveo normativo
ratione poenae (di cui all'art. 280 del codice di procedura penale),
che di fatto cristallizza, ai fini di applicazione della misura
cautelare, ogni valutazione circa la individuazione della ipotesi di
reato e, quindi, della sua pena edittale; cio' peraltro nella
precipua fase di richiesta di misure cautelari nel corso del giudizio
direttissimo, che prelude ad una immediata decisione e, quindi
allorche' l'organo decidente si trova nell'ambito dell'esercizio dei
pieni poteri giurisdizionali.
Conseguentemente si e' ravvisata, ineludibile, la esigenza di
sospendere il giudizio in questa precipua fase.
14. Avrebbe dovuto questo Giudice, in dispregio alla valutazione
responsabile - poiche' sottoposta a motivazione - della pur gia'
svolta, autonoma individuazione di diversa, piu' grave fattispecie di
reato - e della correlata applicazione di cautele - essere
subordinato alla individuazione della fattispecie astratta e, quindi,
edittale e, correlativamente, cautelare, come formulata dal pubblico
ministero, che al riguardo non e' tenuto a motivare, neppure
allorche' dalla richiesta di arresti domiciliari comprime la portata
delle esigenze cautelari sino a consentire la sospensione
condizionale della pena?
E' altrettanto corretta, in tal guisa, l'applicazione dell'art.
112 della Costituzione?
15. Ne' puo' eccepirsi - si ribadisce - che qualora il Giudice
non ritenga di applicare la pena come prospettata dalle parti,
declina l'esercizio delle funzioni, astenendosi, poiche' cio'
prescinde dalla disamina delle esigenze cautelari, anzi ne rafforza
l'attualita' e concretezza, non potendo prontamente definirsi il
giudizio
La verifica, il controllo della posizione «cautelare»
dell'imputato e' immanente e non puo' il Giudice differirne l'onere
valutativo ed applicativo alla determinazione finale del giudizio di
fase, da parte di altro, nuovo giudice.
16. Ad avviso della scrivente, la lettura dell'art. 291 del
codice di procedura penale modulata con il novellato art. 292 del
codice di procedura penale e la lettura dell'art. 280 del codice di
procedura penale subordinata all'art. 275 del codice di procedura
penale, nella parte in cui prevede l'applicazione di misura piu'
grave per inidoneita' delle misure gradate consentirebbe di superare
la violazione dei suesposti principi costituzionali, garantendo al
Giudice piena liberta' di decisione in tema di applicazione di misure
cautelari e di sottesa individuazione della fattispecie di reato.
17. Alternativamente, si crea un corto circuito, di cui il
legislatore non si e' avveduto, muovendo dall'erroneo presupposto che
le richieste del pubblico ministero vadano esaminate con estrema
cautela e diffidenza, poiche' virtualmente lesive del favor
libertatis mentre, talvolta, puo' esservi l'intento dell'A.G deputata
a decidere di ravvisare ipotesi di reato piu' gravi e,
corrispondentemente, misure cautelari piu' afflittive, proprio in
ossequio all'autonomia di giudizio, all'autonoma valutazione.
Da qui il rilievo, enunciato in udienza, di contrasto, non solo
con i principi costituzionali summenzionati, ma anche con il
principio di ragionevolezza che sottende all'esercizio della
giurisdizione.
La legge deve fornire, in entrambe le opposte direzioni
applicative, percorsi chiari, univoci ed improntati ai principi
costituzionali.
P.Q.M.
Il Tribunale di Prato in composizione monocratica, nella persona
del Giudice sottoscritto, visto l'art. 23, ultima parte comma 2 della
legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta di ufficio la rilevanza,
ineludibile ai fini del decidere nel presente giudizio, della
questione avente ad oggetto vizio d'illegittimita' costituzionalita'
della norma ex art. 280, comma 2, del codice di procedura penale,
anche in combinato disposto con l'art. 291 del codice di procedura
penale - letta ciascuna autonomamente nonche' in correlazione fra
loro - per violazione degli articoli 3, 101, 2° comma e 112 della
Costituzione, promuove giudizio di legittimita' costituzionale delle
suddette norme del codice di procedura penale.
Sospende il presente giudizio.
Manda alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza
all'imputato, al suo difensore ed al pubblico ministero, nonche' al
Presidente del Consiglio dei ministri e di comunicarla ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
Dispone la trasmissione dell'ordinanza e degli atti del giudizio
alla Corte costituzionale unitamente alla prova delle comunicazioni
prescritte.
Prato, 26 settembre 2017
Il Giudice: Migliorati
Oggetto:
Processo penale - Misure cautelari personali - Condizioni di applicabilità delle misure coercitive - Procedimento applicativo - Criteri di scelta delle misure - Richiesta di misura cautelare da parte del pubblico ministero - Denunciata preclusione per il giudice della possibilità di disporre l’applicazione di una misura più grave di quella richiesta per inidoneità delle misure gradate - Violazione dei principi di ragionevolezza e di soggezione del giudice soltanto alla legge - Incidenza sulla corretta ripartizione dei ruoli giurisdizionali tra pubblico ministero e giudice.
Norme impugnate:
codice di procedura penale del Num. Art. 280 Co. 2
codice di procedura penale del Num. Art. 291
codice di procedura penale del Num. Art. 280 Co. 2
codice di procedura penale del Num. Art. 291
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 101 Co. 2
Costituzione Art. 112 Co.
Camera di Consiglio del 17 novembre 2025 rel. NAVARRETTA
Testo dell'ordinanza
N. 36 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 settembre 2017 Ordinanza del 26 settembre 2017 del Tribunale di Prato nel procedimento penale a carico di M. B.. Processo penale - Misure cautelari personali - Condizioni di applicabilita' delle misure coercitive - Procedimento applicativo - Criteri di scelta delle misure - Richiesta di misura cautelare da parte del pubblico ministero - Denunciata preclusione per il giudice della possibilita' di disporre l'applicazione di una misura piu' grave di quella richiesta per inidoneita' delle misure gradate. - Codice di procedura penale, artt. 280, comma 2, e 291, anche in combinato disposto. (GU n. 10 del 05-03-2025) TRIBUNALE DI PRATO Ritenuto in fatto 1. In data ... perveniva dai C.C. Toscana, tenenza di Montemurlo (PO), notizia di reato ex art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente di tipo cocaina, a carico di B. M. , nato in ... il ..., alias B. M., nato in ... il ... Il prevenuto veniva arrestato in pari data dagli agenti operanti che sequestravano a suo carico gr. 7,73 lordi di cocaina ed euro 490,00 in contanti. 2. Il pubblico ministero di turno convalidava il sequestro e , nel contempo, chiedeva al Tribunale penale di Prato, in composizione monocratica, la convalida dell'arresto, indicando la fattispecie incriminatrice nella imputazione: del delitto di cui agli articoli 81 cpv. del codice penale, 73, comma V, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 perche', fuori dei casi previsti dall'art. 75 e senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 del predetto decreto, deteneva al fine di farne successiva cessione a terze persone rimaste ignote, sostanza stupefacente del tipo cocaina, gia' suddivisa in 10 ovuli pronti alla rivendita, per un quantitativo complessivo in grammi lordi pari a 7,73. Fatto accertato in ..., il ... 3. Il Tribunale adito convalidava l'arresto; indi, sulla richiesta del pubblico ministero di applicare la misura cautelare degli arresti domiciliari, cosi' sul punto si esprimeva: Il Giudice (Omissis) all'esito della udienza di convalida dell'arresto di B. M. nato in ... il ... alias: B. M. nato in ... in data ... in Italia senza fissa dimora, di fatto domiciliato a ... in via ... nr. ... difeso di fiducia (Omissis) all'esito della udienza di convalida dell'arresto del predetto, in ordine al reato, di cui all'imputazione enunciata nella richiesta del pubblico ministero e contestata ritualmente al prevenuto; Rilevato che, come emerge dalla· relazione di servizio, nei confronti del prevenuto emergono gravi indizi di reita' in relazione alla fattispecie criminosa come accertata, per il quale e' legittimo l'arresto in flagranza (il prevenuto e' stato rinvenuto avere la disponibilita' di un nascondiglio nei pressi dell'abitazione ove alloggiava e nel quale riponeva sostanza stupefacente di tipo cocaina, suddivisa in ovuli preconfezionati) e che il soggetto era stato gia' sottoposto ad accertamenti nel 2015 per analoghi fatti di spaccio di stupefacente; Rilevato che il pericolo di fuga e di reiterazione del crimine sia concretamente sussistente, attesa la carenza di permesso di soggiorno e lo stato di clandestinita' decorrente dal 2015, nonche' l'assoluta difettivita' di lavoro stabile sul territorio ed integrazione nel tessuto sociale ( il prevenuto non parla la lingua italiana); tutti elementi che inducono legittimamente a ritenere che il soggetto non abbia intenzione di emergere in situazione di legale presenza sul territorio, di guisa che, a fronte di concorrenti pendenze per reati (analoghi) di manifesta gravita', il medesimo possa essere prevedibilmente indotto alla fuga, onde sottrarsi ai celebrandi giudizi; Ritenuto che non solo il pericolo di fuga sia concreto, ma anche quello di reiterazione del crimine, attesa la carenza di altre fonte, legale, di reddito (il prevenuto era in possesso di autovettura e di circa 500 euro, di cui non ha fornito alcuna contezza, peraltro non desumibile da riscontri di guadagni leciti); Ritenuto che se la convalida dell'arresto va disposta in ossequio alla descrizione del fatto reato, come qualificato dal pubblico ministero, altrettanta pedissequa conformita' non incombe sul giudice, cui e' richiesta l'applicazione della misura cautelare (cfr. Cassazione sul punto, sentenza n. 40265 dell'8 luglio 2014: in tema di misure cautelaci personali, il giudice della cautela non e' vincolato alla valutazione, ancorche' contestuale, espressa nella fase di convalida dell' arresto o del fermo e puo', quindi, autonomamente attribuire al fatto descritto nella contestazione una diversa qualificazione o definizione giuridica rispetto a quella formulata al momento in cui e' stata adottata la misura precautelare), sicche' nella fattispecie descritta in atti e come emersa all'esito delle risultanze processuali, il mero quantitativo di droga non e' elemento di discrimen del comma 5 del contestato art. 73, nel senso che esso vale a tale fine solo allorche', per peso e contenuto psicotropo assurga ad elemento rilevante ai fini della previsione alternativa, ma non potendo , esso quantitativo , ridursi ad unico elemento circostanziale della condotta criminosa ai fini della configurazione del 5' comma cit. norma, intervenendo ulteriori, plurimi fattori, quali, in particolare nella fattispecie, la fonte di sostentamento da spaccio di stupefacente del soggetto attivo e , quindi, la esclusione della mera occasionalita' dell'illecito, che, nella fattispecie, e' senz'altro da escludere, attesa la presenza di analoghi carichi pendenti gia' risalenti al 2015 e la ben concreta prospettazione di stabile modus operandi di spaccio, da cui trae il prevenuto fonte di mantenimento, in assenza di lavoro; giudizio vieppiu' avvalorato dalla volonta' di non rendere dichiarazioni volte a fornire elementi cognitivi in ordine all'approvvigionamento della droga; Valutato pertanto che la fattispecie, appunto per i mezzi, le modalita' e le circostanze dell'azione non sia riconducibile al fatto di lieve entita', bensi' alla piu' ampia, onnicomprensiva prospettazione dell'art. 73, comma 1, legge stup., per la quale e' applicabile la misura della custodia in carcere; Ritenuto, in concreto, che il prevenuto sia un soggetto pericoloso, non avendo fonti di lavoro lecite con le quali evitare la reiterazione del crimine; che non e' congruamente identificato ( a suo nome ha un alias), che non ha dimora stabile e radicata, sicche' si puo' senz'altro ventilare una concreta previsione di fuga, in luogo della corretta sottoposizione al giudizio penale; che il domicilio prospettato consiste in una mera stanza presso un'abitazione familiare di connazionali, nei cui confronti non e' esigibile la presa in carico di un sottoposto a misura cautelare e che, comunque, non assicura la cessazione di rapporti con chi gli ha procurato la droga; Cio' premesso, ritenuta quale unica misura compatibile con la pericolosita' del soggetto, la custodia in carcere; (Omissis) Convalida L'arresto di B. M.; applica nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere. Seguiva differimento del giudizio direttissimo, su richiesta del difensore di termine a difesa onde valutare l'esperibilita' di riti alternativi. 4. Il pubblico ministero procedente richiedeva, il giorno seguente alla convalida, al Tribunale penale di Prato - giudice reperibile per turno da direttissime - la sostituzione della custodia in carcere con il divieto di dimora in ...; il giudice all'uopo compulsato, dando atto che era stata applicata dal giudice procedente una misura piu' grave di quella richiesta dal pubblico ministero, che si era espresso per l'applicazione degli arresti domiciliari, ma ribadendo la inidoneita' di siffatta misura, convertiva la custodia cautelare in carcere con il divieto di dimora in ... 5. Veniva quindi presentata dalla difesa richiesta di applicazione pena, in relazione al reato come individuato dal pubblico ministero, nella misura di mesi dieci di reclusione ed euro 1000,00 di multa; il pubblico ministero prestava consenso anche alla sospensione condizionale della pena. Il Giudice fissava l'udienza di trattazione, onde valutare la richiesta nel contraddittorio delle parti; la notifica del provvedimento del Giudice non veniva eseguita nei confronti dell'imputato, che non veniva personalmente rintracciato, ma che aveva provveduto, all'atto della scarcerazione, ad eleggere domicilio presso Io studio del difensore, munendolo di procura a presentare richieste di rito alternativo. 5. Nelle more - a distanza di circa quaranta giorni dal primo arresto - il prevenuto era colto, sempre in territorio di ..., in (ulteriore) flagranza di analogo reato (questa volta per un quantitativo rinvenuto a suo carico di gr. 13,78 lordi di cocaina suddivisi in 18 involucri preconfezionati, oltre a euro 100,00); dai CC operanti veniva altresi' segnalato che, in precedenza, il prevenuto si era reso inottemperante all'ordine di espulsione del questore di ... Siffatta segnalazione d'intervenuto (nuovo) arresto perveniva, da parte dei C.C. operanti, al giudice procedente del giudizio in oggetto, affinche' venisse valutata l'applicazione di misura piu' grave; il Giudice, nel difetto di espressa richiesta del pubblico ministero, pur notiziato dell'accadimento, dichiarava non luogo a provvedere. 6. All'udienza fissata per l'accoglimento della richiesta di applicazione pena il Giudice ha sospeso il procedimento ritenendo sussistano ragioni di inapplicabilita' di norme per violazione di principi costituzionali, che necessitino d'intervento del Giudice delle leggi in tal guisa esprimendosi: Sollevo eccezione d'incostituzionalita' dell'art. 280, 2 comma del codice di procedura penale nel suo combinato disposto con l'art. 291 del codice di procedura penale perche' in contrasto con gli articoli 3, 101 e 112 della Costituzione. I fatti processuali che determinano la eccezione sono i seguenti: un cittadino straniero, privo di documenti adeguatamente identificativi della sua persona (accertato dalle forze dell'ordine attraverso plurimi alias e infine con CUI) e privo di permesso di soggiorno, entrato clandestinamente e controllato per la prima volta sul territorio italiano nel ... del ... in circostanze fattuali riferibili ad ipotesi di spaccio stupefacente - per il quale risulta sottoposto a separato procedimento penale - viene arrestato dai CC. di Prato, che, su sollecitazione di reiterate segnalazioni di cittadini, lo colgono in flagrante detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina, nascosta, unitamente ad un bilancino, sulla sommita' di una cd. «campana» sita sul ciglio di strada urbana e destinata al recupero delle bottiglie in vetro da parte dell'ente istituzionalmente preposto alla gestione dei rifiuti urbani; l'arresto viene effettuato dai CC ai sensi dell'art. 73 della legge stupefacenti; il prevenuto e' portato in udienza di convalida avanti al giudice sottoscritto; la contestazione di reato formulata dal pubblico ministero e' il delitto p. e p. dall'art. 73, 5° comma della legge stupefacenti; il prevenuto non intende rendere dichiarazioni, avvalendosi della facolta' di non rispondere; restano cosi' irrealizzate le esigenze cognitive relative alla similare condotta accertata dopo un intervallo temporale di circa diciotto mesi, al possesso di denaro e di autovettura in assenza della benche' minima attivita' lavorativa, all'identita' di altro soggetto, che con lui era stato avvistato dai cittadini, che avevano compulsato le forze dell'ordine e che con lui entrava e usciva da abitazione antistante la «campana», legittimamente detenuta da famiglia pachistana, che gli aveva benevolmente affidato in uso una stanza, dopo averlo conosciuto in moschea; vengono ravvisate ab initio dal pubblico ministero esigenze cautelari ai fini dell'applicazione di arresti domiciliari; viene richiesta celebrazione di giudizio direttissimo; il giudice convalida l'arresto; nel successivo ambito valutativo di esigenze cautelari, ritenuta - ed espressa - l'autonomia discrezionale in relazione alla fattispecie criminosa, cui ricondurre il fatto materiale, e individuato a tal fine il delitto, di cui al 1 comma, art. 73 della legge stupefacenti, considerata la inidoneita' del domicilio proposto a garantire la corretta esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, converte la stessa in custodia in carcere; il pubblico ministero procedente, convenendo sulla inidoneita' del domicilio, richiede sollecitamente, al giudice di reperibilita' per` convalide nel turno del giorno successivo, la immediata scarcerazione del prevenuto, ostando alla custodia in carcere il titolo di reato come, contestato (art. 73, 5° comma della legge stupefacenti); chiede nel contempo l'applicazione di misura cautelare 'gradata, ovvero il divieto di dimora in ... il giudice compulsato rimette in liberta' l'imputato ed applica pedissequamente la misura gradata, come richiesta dal pubblico ministero. Alla udienza fissata per il giudizio direttissima, ritornato il fascicolo davanti al giudice «che procede» e richiesto dalla difesa termine per valutare l'esperibilita' di riti alternativi - assente l'inputato, cui non e' stato possibile notificare il provvedimento di rifissazione udienza perche' non piu' rintracciato - viene proposta dal difensore - all'uopo avvalentesi di procura speciale ab initio rilasciata dall'arrestato - richiesta di applicazione pena concordata con il PM, in relazione alla violazione ex art. 73, 5° comma della legge stupefacenti, entro i limiti del biennio (in particolare dieci mesi di reclusione ed euro 1000,00 di multa), subordinata al beneficio della sospensione condizionale della pena, con conseguente revoca della misura cautelare del divieto di dimora in ... Il giudice si ritrova, a questo punto della fase procedimentale, a valutare due ambiti applicativi di norme: quello afferente la corretta individuazione della fattispecie astratta, cui collegare il fatto reato e quello relativo alla disamina delle immanenti esigenze cautelari: un arresto nella speditezza del giudizio a questo punto s'impone, non altrimenti recuperabile mediante ausilio di norme che escludano il ricorso all'eccezione d'incostituzionalita', che con la presente ordinanza si solleva. E' noto che, falcidiata da giudizi di illegittimita' costituzionale, la unitarieta' del giudizio di primo grado e' ostacolata, laddove il giudice - ancorche' esprimentesi nella medesima fase - respinga il patteggiamento; si e' ritenuto che l'A.G. compulsata formuli un prejudicium, confliggente con il principio di terzieta', che e' immanente all'intero percorso processuale, cosi' dovendosi «spogliare» del procedimento. Sebbene meramente radente con la questione che ci occupa, in quanto successiva, e' comunque opportuno evidenziare - nell'economia della presente ordinanza - che tale arresto della immanenza identitaria del giudice, a sommesso avviso della scrivente, non valuta con la esigibile ampiezza la grande portata innovativa dell'attuale processo , che sorge, cresce, si conclude davanti al giudice, il quale - si presume nella ideazione originaria del legislatore del 1988 - puo' non essere piu' «virgineo» nel suo procedere - poiche' gia' espressosi negativamente sulla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena concordata e proposta in patteggiamento - ma deve senz'altro recuperare quello spirito maieutica di conoscenza mediata dal divenire istruttorio del giudizio di fase, ove accusa e difesa si mettono in prova. Nulla di piu' probabile, nell'originaria ideazione, che lo stesso giudice, che abbia negato il patteggiamento perche' i fatti non lo consentivano nella loro astrattezza imputativa, acquisisca, di sovente dallo stesso esame dell'imputato, la consapevolezza di circostanze attenuanti, perfino la previsione fondata di un giudizio prognostico positivo. Cristallizzare il giudizio conclusivo alla diffidente stigmatizzazione del manifestato diniego di patteggiamento significa negare al ns. processo la forza e l'efficacia della dinamica processuale ad esso connaturata. In univoca applicazione di questo principio di diffidenza e' visto, dal piu' recente legislatore, il sistema delle misure cautelari. Mentre, nella originaria formulazione del sistema processuale di applicazione di misure cautelari, si partiva dal criterio che la cautela era rigorosamente presunta in concomitanza di ipotesi di responsabilita' penale, di guisa che occorreva dimostrare il venir meno degli indici di incidenza sulle cautele, il legislatore, progressivamente ha scalfito questo sistema, spostando l'asse valutativo sul criterio eccettuale, per cui - fatte salve talune ipotesi di reato - la cautela deve essere dimostrata; alternativamente la collettivita' non puo' avanzare pretese in tal senso. Non vi e' piu' una tutela incondizionata dei principi - una volta inviolabili - della sicurezza della collettivita' e/o della certezza di assicurare l'espiazione pena a chi e' giudicato definitivamente colpevole e/o del corretto, non inquinato iter processuale, bensi' ormai sovviene una graduazione della tutela; in altri termini, non interviene piu' il principio del controllo sulla condotta attiva dell'indagato/imputato, sostituito dal principio della regolamentazione dell'osservanza di quei principi «per fasce di reato». Per alcune ipotesi criminose la tutela e' ancora garantita in forma incondizionata - con previsione di possibile applicazione di custodia in carcere -, per altri, peculiarmente riconducibili a fatti di microcriminalita', la tutela e' rapportata non piu' alle potenzialita' criminogene del soggetto attivo, ma alla concreta lesione antigiuridica che la condotta del reo produce. Il legislatore, senza che il soggetto passivo possa opporvi alcuna reazione in ambito giudiziario (si pensi all'ipotesi di resistenza al p.u. nel concorso di frequenti applicazioni di mere custodie gradate) ha inteso ridimensionare non solo le fattispecie criminose - a cio' gia' pervenendo con modifiche edittali della sanzione connessa ad un determinato precetto (come, per l'appunto il ns. caso, di spaccio di cocaina) - bensi' anche gli effetti di esse sui destinatari della condotta criminosa, in cui - ancora esaminando il caso in esame - una sola delle dosi, che il prevenuto deteneva a fine di spaccio, avrebbe potuto essere idonea, in assenza di accertamento di principio attivo e di qualita' di mescola con sostanze da taglio piu' o meno scadenti, ad essere potenzialmente letale per soggetti passivi piu' pregiudizievolmente sensibili ai suoi effetti. Il legislatore, prevedendo per alcune fattispecie criminose - peraltro di frequente realizzazione concreta - solo ipotesi gradate di misure cautelari, esclude a priori che insorgano pericoli connessi alle sole esigenze cautelari di grado supremo. O meglio, pur prevedendone la ricorrenza, esclude in radice che esse debbano venire efficacemente compresse, in danno della collettivita': si e' inteso - e giustamente - esigere la motivazione dell'attualita' dell'esigenza, ma dando per scontata la «discriminata» persistenza della sua pur perniciosa, difettiva repressione. Si pensi alla diffusivita', scaturita dalle recenti riforme, di applicazione degli arresti domiciliari, ove il pericolo di perniciosi contatti con l'ambiente malavitoso di provenienza non puo' efficacemente venire represso. In tale contesto innovativo va inserita la fattispecie che ci occupa, in cui lo spacciatore, che non e' identificato in forma certa , vive dei proventi dello spaccio, non ha una fissa dimora, non ha interrotto, mediante adeguate confessorie dichiarazioni, il legame con la criminalita' di grado medio, che lo rifornisce da almeno diciotto mesi di droga da strada, viene posto in liberta' solo perche' - non previsto il carcere per il titolo di reato formalizzato dal pubblico ministero - egli risulta privo di un domicilio idoneo al regime restrittivo cautelare; cio' di fatto vanifica quelle pur ravvisate - e ravvisate - gravi esigenze cautelari, che imponevano la limitazione della sua mobilita', della pur pericolosa sua liberta' d'azione. Nella lettura ormai consolidata dell'art. 280 del codice di procedura penale e di quell'affermato, automatico legame intrinseco fra titolo di reato e correlata, modulata repressione dei pericoli connessi alle esigenze cautelari, e' insito tutto il contrasto legislativo con i principi costituzionali summenzionati. Se l'art. 280 del codice di procedura penale va letto con un ancoraggio esclusivo ed apodittico allo specifico titolo di reato, come contestato formalmente dal pubblico ministero e non puo' venire temperato dal pur coesistente precetto, di cui all'articolo. 275 del codice di procedura penale, comma 3, allora esso contrasta in primo luogo con il principio di uguaglianza: a parita' di reato e di circostanze obiettive e subiettive e, quindi, a parita' di esigenze cautelari a carico di due soggetti attivi - categoricamente escluso per entrambi l'ingresso in carcere quod poenam - colui che ha una dimora stabile subisce la restrizione degli arresti domiciliari , mentre l'altro, privo di dimora stabile e/o adeguata al regime cautelare restrittivo, viene posto in liberta' con depotenziamento della cautela; fatto, che e' assolutamente iniquo. E' evidente la discriminazione in danno di colui che, in seno alla collettivita', ha comunque realizzato l'obiettivo (quello della dimora certa) dell'appartenenza ad un nucleo sociale di riferimento e che sia anche in grado di accudirlo in regime di custodia domiciliare. Discriminazione per contro a favore di tutti coloro, di cui non e' certa la identificazione, il radicamento sul territorio, la stabilizzazione, ancorche' temporanea, in un determinato luogo. Assoluto contrasto con il principio di uguaglianza di fronte alla legge. Si ravvisa, nella lettura forse miope dei piu' recenti interventi di riforma legislativa - e da qui l'accorato invito al Giudice delle leggi a fornire una luce piu' nitida - un disarmante, difettivo interesse per la tutela sostanziale della collettivita'. Come e' possibile che la novella non consenta al giudice, che pure e' sovrano interprete delle leggi - e da qui la violazione anche del principio di ragionevolezza con riferimento al precetto costituzionale ex art. 101 , II comma della Costituzione - di ravvisare esigenze cautelari gravi, quando non gravissime (come per l'appunto la mancanza di identificazione del cittadino straniero sul territorio nazionale, il non reciso collegamento con la criminalita' che gli fornisce droga con continuita', l'impossibilita' di controllarlo in prosieguo, sino all'esito definitivo del giudizio, per essere il divieto di dimora in un determinato comune a carico di siffatto soggetto quanto di piu' vago ed aleatorio ai fini di un pur ineludibile futuro accertamento) solo perche', ai sensi dell'art. 280 del codice di procedura penale e in relazione alla lettura orientata dell'art. 291 del codice di procedura penale il pubblico ministero e' il depositario non solo dell'esercizio dell'azione penale, ma anche, collateralmente, della sua circoscrizione , sicche' la previsione normativa puo' essere, indiscriminatamente, utilizzata per contestare un titolo di reato piu' grave o uno meno grave e farne discendere - prescindendosi dalle reali, concrete, attuali esigenze cautelari - effetti diametralmente opposti. In tal senso il combinato disposto degli articoli 291 e 280 del codice di procedura penale determina un solco di percorrenza, che preclude al giudice di osservare le leggi nella loro effettiva corrispondenza con le fattispecie concrete, dovendo adeguare il proprio provvedimento alle richieste formali - e sovente immotivate - del pubblico ministero. Si pensi alla fattispecie in esame, in cui nell'arco di pochi giorni il pubblico ministero - ed immotivatamente - e' passato dalla prospettazione di esigenze cautelari gravi, reprimibili solo con la restrizione della liberta' (ancorche' domiciliare) al loro stemperamento in quelle, cui il mero divieto di dimora, dovrebbe opporre adeguata ed efficace repressione e infine, alla loro esclusione attraverso il consenso ad una prognosi positiva. La violazione del principio costituzionale ex art. 101 della Costituzione e' evidente, laddove la lettura dell'art. 280 del codice di procedura penale venga ancorata inderogabilmente al titolo di reato proposto dal pubblico ministero e, collateralmente, le misure cautelari che quella stessa AG propone di applicare siano costrette nell'alveo devolutivo della lettura orientata di cui all'art. 291 del codice di procedura penale. Interpretazione di siffatta norma (l'art. 291 del codice di procedura penale) quanto mai necessitante di rivisitazione da parte del Giudice delle leggi, appunto in concomitanza con le modifiche normative apportate dal legislatore. Se il pubblico ministero chiede di applicare le misure il giudice nell'ambito della discrezionale valutazione della ipotesi di reato ascrivibile (detenzione a fine di spaccio ai sensi dell'art. 73, I comma) individua quella piu' appropriata; se per contro il pubblico ministero chiede l'applicazione di una determinata misura e delimita anche lo spazio valutativo della ipotesi di reato (art. 73, 5° comma), il Giudice e' privo di scelta nell'applicare le misure, assolutamente determinante risultando l'ipotesi di reato di riferimento. Ma il pubblico ministero, per principio costituzionale, deve esercitare l'azione penale - art. 112 della Costituzione - non e' legittimato anche ad applicare le cautele, ne' deve concorrentemente valutare in fase applicativa la condotta antigiuridica ascrivibile; proprio perche' il titolo di reato individuando e' quello che puo' legittimare o meno una misura cautelare piuttosto che un'altra. Come chiede l'applicazione delle misure, cosi' il pubblico ministero esercita l'azione penale in ordine ad un fatto reato; cio' in ossequio, ancora, al principio di ragionevolezza, che sottende anche l'art. 112 della Costituzione. Il giudice, cui solo incombe il duplice obbligo di incarcerare e/o scarcerare e, collateralmente di motivare il sotteso provvedimento, deve poter agire liberamente, prescindendo dalla richiesta, «irresponsabile» (poiche' non astretta al vincolo della motivazione) di chi esercita l'azione penale e chiede le misure cautelari. Ne' puo' apparire fuorviante a siffatto impianto il dettato dell'art. 299, comma 3 e comma 3-bis del codice di procedura penale, secondo cui il pubblico ministero detiene il potere di chiedere la sostituzione o la revoca della misura cautelare in corso e, comunque, di esprimersi al riguardo. La norma e' applicabile alla fase delle indagini, allorche' al giudice vengono sottoposti solo gli atti, quegli atti, che il pubblico ministero ritiene opportuno offrire alla cognizione circoscritta del Giudice. Non e' quest'ultimo ad avere il polso della situazione processuale di fase, bensi' il pubblico ministero, che quindi ha la piena liberta' di valutare le esigenze cautelari; ben diverso ragionamento vale allorche' - come appunto nel caso di specie, che ha compulsato l'eccezione - pur in difettivo supplemento d' indagini, il giudice sia chiamato ad avallare, con una sorta di timbro, il progressivo, apodittico ridimensionamento delle esigenze cautelari e, con fatto di connessa, rilevante portata, riscontri quale inane tentativo la propria diversa qualificazione del fatto. Progressivamente - ed immotivatamente - ridotte le esigenze cautelari, sino alla loro totale esclusione (consenso sul beneficio della sospensione condizionale della pena), negletta la pur diversa imputazione ex art. 73, I comma, legge stupefacenti, come rappresentata dal Giudice che procedeva in sede di applicazione misure cautelari, si dovrebbe provvedere con l'applicazione pedissequa di titolo di reato e di concessione del beneficio della sospensione. Altrimenti, il giudice riottoso deve astenersi dal proseguire il giudizio. Se per contro alla normativa di riferimento si assegna il corretto ambito di prospettazione del titolo di reato e delle connesse misure cautelari applicande, riservata al giudice, con evidente obbligo di motivazione, la definizione del titolo di reato effettivamente ritenuto compatibile con la fattispecie concreta sottoposta al suo esame e la concorrente individuazione della misura cautelare piu' appropriata, non astretta da vincoli iniquamente trasgressivi del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) si ricompatta l'ordine costituzionale dell'attribuzione al pubblico ministero dell'azione penale (art. 112 della Costituzione) e della sottoposizione del Giudice non all'immotivata richiesta del pubblico ministero bensi' alla legge ed ai sottesi principi informatori della Costituzione (art. 101, 2° comma della Costituzione) Solo con siffatto ordine gerarchico, ritualmente sottoposto al principio di impugnazione degli atti del giudice, si puo' poi procedere al prosieguo del giudizio conclusivo di fase o ai suoi riti alternativi. Infine, il meccanismo perverso del combinato disposto delle norme summenzionate prevede che ove il giudice non sia all'unisono in siffatto percorso in discesa debba astenersi per motivi di opportunita' (da qui il non occasionale riferimento, supra, alla ipotesi di reiezione della proposta di patteggiamento). Va altresi' evidenziato che gli ostacoli ad un'applicazione lineare delle norme in base ai principi costituzionali si sono frapposti sin dalla richiesta di revoca della custodia in carcere, per quanto proposta dal pubblico ministero a diverso giudice ; va peraltro detto che, a fronte di una lettura cosi' pervicacemente orientata dell'art. 280 del codice di procedura penale, chiunque avrebbe presumibilmente provveduto in senso conforme, pur consapevole del contrasto applicativo con i suesposti principi costituzionali, ne' avrebbe potuto sospendere il giudizio lasciando l'arrestato in vinculis. Tuttavia, e' tale l'iniquita' delle norme nella loro lettura piu' immediata che tale contrasto si e' riproposto, ed anzi in forma quanto mai accentuata, allorche', dismessa autoritativamente - da parte del pubblico ministero - ogni diversa disamina del fatto reato in stretta correlazione con la piu' grave fattispecie delittuosa ( art. 73 , I comma, legge stupefacenti) come pur autorevolmente rappresentata dal Giudice - che e' l'unico soggetto responsabile del procedimento nel suo iter, in quanto sottoposto all'obbligo di motivazione - ha disatteso altresi' le pur espresse, in forma concorde, esigenze cautelari, in quel parametro efficacemente evolutivo di accorpamento delle esigenze al titolo del reato. Pretermissione di ogni giustificazione di legittimita', che pure garantirebbe il principio di osservanza del potere giurisdizionale di fronte a tutti i cittadini; il prevenuto, in forza della non ritenuta applicazione dell'art. 275, comma 3 del codice di procedura penale a fronte della dizione di cui all'art. 280 del codice di procedura penale ha trascorso in carcere alcune ore e, indi, assolutamente assorbente in senso a lui favorevole la problematica del domicilio inidoneo, una volta liberato si e' reso irrintracciabile fuori dal Comune di ... Il Giudice, impotente di fronte a siffatta articolazione di guarentigie, non puo' neppure far valere la pur meditata e ritenuta ipotesi di reato piu' grave (alla luce delle circostanze di tempo e di luogo - lo spaccio, continuato, reiterato, di cocaina avveniva in pubblico, impudentemente utilizzando quale luogo di appoggio un manufatto comunale destinato al ricovero dei rifiuti in vetro, quindi in totale promiscuita' con la legittima sua fruizione da parte dell'utenza - e di condotta grave perseguita da parte di soggetto clandestino, privo di documenti, gia' accertato per fatti consimili un anno e mezzo prima), ne' puo' con correntemente disapplicare la modesta modulazione delle misure pur a fronte del persistente accertamento di un'evidente grave situazione di concreto, attuale pericolo di reiterazione del crimine e di fuga. Cio' anche nella ipotesi di mancato accoglimento della richiesta di applicazione pena, che pende e che certo non esonera il decidente dalla immanenza delle esigenze cautelari, specie ove connessa alla disposta scarcerazione. Il principio suesposto della responsabilita' del giudice e' altrettanto immanente quanto le esigenze cautelari; se queste sono persistenti - e non vi e' alcuna affermazione del pubblico ministero che siano venute meno - pende responsabilita' del giudice in ordine alla sua scarcerazione, che e' atto che ha ineludibili effetti succedanei. Eventuale - e logicamente presumibile - reiterazione del crimine fuori dal Comune di ... da parte del prevenuto consente di affermare persistenza della responsabilita' del soggetto processuale che ne ha disposto la scarcerazione. Se una dose di droga dal medesimo venisse aliunde ceduta in danno di un minorenne, di un soggetto reattivamente piu' sensibile, la collettivita' potrebbe legittimamente richiedere al giudice che ha proceduto contezza della inopinata scarcerazione. Le esigenze cautelari prescindono dall'agevole risoluzione della fattualita' attraverso i riti alternativi; esse accompagnano il fatto e vanno oltre. E' in contrasto con i principi costituzionali summenzionati e con il principio di ragionevolezza che sottende all'esercizio della giurisdizione improntare un solco blindato, come programmato dal legislatore. P.Q.M. (Omissis). Ritenuto in diritto 7. Ribadito il contenuto della ordinanza resa in udienza e con la presente integrata, si rileva, ulteriormente, che non solo era presumibile - come ivi affermato - che il recuperato status libertatis potesse agevolare il compimento di reiterazione del crimine, ma l'evolversi della situazione ha comportato, per l'appunto, il nuovo arresto a distanza di un mese dal precedente evento criminoso. Nuovo evento che - e se ne intende formulare la puntualizzazione in questa seconda parte motiva dell'ordinanza - era assolutamente prevedibile ed era stato concretamente previsto dal giudice procedente, che, a fronte di inapplicabilita' di arresti domiciliari, aveva imposto la custodia in carcere. Evento antigiuridico, che poteva essere evitato, qualora si fosse proceduto ad una lettura orientata dell'accezione «solo quando», di cui al primo comma dell'art. 280 del codice di procedura penale e dell'accezione, seguente «solo per delitti...», di cui al successivo secondo comma. 8. Il legislatore deve chiaramente esprimere - e se non sufficientemente chiaro deve intervenire il Giudice delle leggi per fornire lumi agli interpreti operativi - se prevalga, nel suo costrutto normativo, la delimitazione restrittiva della misura carceraria in fase cautelare rispetto al principio di osservanza di tutti i cittadini di fronte alla legge e di corretta ripartizione dei ruoli giurisdizionali fra pubblico ministero e giudice. 9. Superfluo precisare al riguardo che, perseguendo il criterio d'inapplicabilita' dell'art. 275, prima parte del 3° comma del codice di procedura penale, in ossequio alla lettura dell'art. 280 del codice di procedura penale, con peculiare riferimento alle sue accezioni limitative (solo quando; solo per delitti) ogni soggetto che intenda delinquere e che non sia radicato da tempo sul territorio sceglie molto opportunamente di non munirsi di idoneo alloggio, onde vanificare esigenze cautelari restrittive dello status libertatis. Cio' determinando un gravissimo scompenso equalitario fra cittadini radicati sul territorio, generalmente muniti di alloggio, e soggetti privi di fissa dimora, di documenti anagrafici, di nuclei familiari di riferimento. 10. Ne' puo' obiettarsi, ad avviso della scrivente, che nella fattispecie concreta difetta la violazione del surriferito principio costituzionale, in quanto la situazione di maggior svantaggio e' virtuale, poiche', per contro, la situazione di maggior vantaggio e' stata immediata e concreta, ottenuta il giorno seguente alla convalida: nessun domicilio adeguato, nessuna misura restrittiva della liberta'. Se il prevenuto avesse avuto non una stanza presso terzi, facenti capo ad una famiglia occasionalmente conosciuta in moschea, ma un'abitazione, ove risiedeva da tempo, sarebbe rimasto ristretto e, presumibilmente, non avrebbe neppure commesso il successivo reato. L'eguaglianza di fronte alla legge non puo' dipendere da condizioni potestative. 11. Quanto alla lettura dell'art. 291 del codice di procedura penale come una sorta di confine inderogabile ed invalicabile, apposto da chi esercita l'azione penale (come appunto si rinviene in concreto nella fattispecie oggetto di giudizio), il legislatore non si e' avveduto che, innovando l'art. 292, comma 2, lettera c) del codice di procedura penale ed imponendo l'autonoma valutazione (ribadendo invero un principio immanente dell'autonomia di giudizio del giudice rispetto al pubblico ministero) ed ancora reiterando tale aspetto nel successivo comma 2-bis , ha radicato l'attribuzione all'organo decidente sulle misure cautelari di una propria discrezionalita' in tema di applicazione misure, che supera il percorso (meramente) interpretativo circa la esclusiva attribuzione al pubblico ministero dell'esercizio del potere di decidere il tetto massimo delle misure. 12. Invero l'art. 291 del codice di procedura penale esordisce con un plurale - le misure sono richieste - facendo presupporre che nell'arco delle possibilita' il Giudice poi possa decidere liberamente, con autonoma valutazione, quale applicare, in quanto piu' opportunamente, concretamente ed attualmente appropriata; ma dopo la riforma integrativa dell'art. 292 del codice di procedura penale e' lecito chiedersi se il legislatore abbia inteso conservare la determinazione del tetto massimo delle misure cautelari quale prerogativa del (solo) pubblico ministero, residuando, al giudice, la autonoma valutazione delle misure nel mero ambito di quelle richieste dalla pubblica accusa. 13. Restrizione e compressione del principio costituzionale di sottoposizione del Giudice solo alla legge vieppiu' - e contraddittoriamente con l'additiva riforma del cit. art. 292 del codice di procedura penale - stigmatizzata da quell'alveo normativo ratione poenae (di cui all'art. 280 del codice di procedura penale), che di fatto cristallizza, ai fini di applicazione della misura cautelare, ogni valutazione circa la individuazione della ipotesi di reato e, quindi, della sua pena edittale; cio' peraltro nella precipua fase di richiesta di misure cautelari nel corso del giudizio direttissimo, che prelude ad una immediata decisione e, quindi allorche' l'organo decidente si trova nell'ambito dell'esercizio dei pieni poteri giurisdizionali. Conseguentemente si e' ravvisata, ineludibile, la esigenza di sospendere il giudizio in questa precipua fase. 14. Avrebbe dovuto questo Giudice, in dispregio alla valutazione responsabile - poiche' sottoposta a motivazione - della pur gia' svolta, autonoma individuazione di diversa, piu' grave fattispecie di reato - e della correlata applicazione di cautele - essere subordinato alla individuazione della fattispecie astratta e, quindi, edittale e, correlativamente, cautelare, come formulata dal pubblico ministero, che al riguardo non e' tenuto a motivare, neppure allorche' dalla richiesta di arresti domiciliari comprime la portata delle esigenze cautelari sino a consentire la sospensione condizionale della pena? E' altrettanto corretta, in tal guisa, l'applicazione dell'art. 112 della Costituzione? 15. Ne' puo' eccepirsi - si ribadisce - che qualora il Giudice non ritenga di applicare la pena come prospettata dalle parti, declina l'esercizio delle funzioni, astenendosi, poiche' cio' prescinde dalla disamina delle esigenze cautelari, anzi ne rafforza l'attualita' e concretezza, non potendo prontamente definirsi il giudizio La verifica, il controllo della posizione «cautelare» dell'imputato e' immanente e non puo' il Giudice differirne l'onere valutativo ed applicativo alla determinazione finale del giudizio di fase, da parte di altro, nuovo giudice. 16. Ad avviso della scrivente, la lettura dell'art. 291 del codice di procedura penale modulata con il novellato art. 292 del codice di procedura penale e la lettura dell'art. 280 del codice di procedura penale subordinata all'art. 275 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede l'applicazione di misura piu' grave per inidoneita' delle misure gradate consentirebbe di superare la violazione dei suesposti principi costituzionali, garantendo al Giudice piena liberta' di decisione in tema di applicazione di misure cautelari e di sottesa individuazione della fattispecie di reato. 17. Alternativamente, si crea un corto circuito, di cui il legislatore non si e' avveduto, muovendo dall'erroneo presupposto che le richieste del pubblico ministero vadano esaminate con estrema cautela e diffidenza, poiche' virtualmente lesive del favor libertatis mentre, talvolta, puo' esservi l'intento dell'A.G deputata a decidere di ravvisare ipotesi di reato piu' gravi e, corrispondentemente, misure cautelari piu' afflittive, proprio in ossequio all'autonomia di giudizio, all'autonoma valutazione. Da qui il rilievo, enunciato in udienza, di contrasto, non solo con i principi costituzionali summenzionati, ma anche con il principio di ragionevolezza che sottende all'esercizio della giurisdizione. La legge deve fornire, in entrambe le opposte direzioni applicative, percorsi chiari, univoci ed improntati ai principi costituzionali. P.Q.M. Il Tribunale di Prato in composizione monocratica, nella persona del Giudice sottoscritto, visto l'art. 23, ultima parte comma 2 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta di ufficio la rilevanza, ineludibile ai fini del decidere nel presente giudizio, della questione avente ad oggetto vizio d'illegittimita' costituzionalita' della norma ex art. 280, comma 2, del codice di procedura penale, anche in combinato disposto con l'art. 291 del codice di procedura penale - letta ciascuna autonomamente nonche' in correlazione fra loro - per violazione degli articoli 3, 101, 2° comma e 112 della Costituzione, promuove giudizio di legittimita' costituzionale delle suddette norme del codice di procedura penale. Sospende il presente giudizio. Manda alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza all'imputato, al suo difensore ed al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e di comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dispone la trasmissione dell'ordinanza e degli atti del giudizio alla Corte costituzionale unitamente alla prova delle comunicazioni prescritte. Prato, 26 settembre 2017 Il Giudice: Migliorati