Reg. ord. n. 36 del 2025 pubbl. su G.U. del 05/03/2025 n. 10

Ordinanza del Tribunale di Prato  del 26/09/2017

Tra: M. B.

Oggetto:

Processo penale - Misure cautelari personali - Condizioni di applicabilità delle misure coercitive - Procedimento applicativo - Criteri di scelta delle misure - Richiesta di misura cautelare da parte del pubblico ministero - Denunciata preclusione per il giudice della possibilità di disporre l’applicazione di una misura più grave di quella richiesta per inidoneità delle misure gradate - Violazione dei principi di ragionevolezza e di soggezione del giudice soltanto alla legge - Incidenza sulla corretta ripartizione dei ruoli giurisdizionali tra pubblico ministero e giudice. 

Norme impugnate:

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 280  Co. 2

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 291

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 280  Co. 2

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 291



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 101   Co.

Costituzione  Art. 112   Co.  



Camera di Consiglio del 17 novembre 2025 rel. NAVARRETTA


Testo dell'ordinanza

                        N. 36 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 settembre 2017

Ordinanza  del  26  settembre  2017  del  Tribunale  di   Prato   nel
procedimento penale a carico di M. B.. 
 
Processo  penale  -  Misure  cautelari  personali  -  Condizioni   di
  applicabilita' delle misure coercitive - Procedimento applicativo -
  Criteri di scelta delle misure - Richiesta di misura  cautelare  da
  parte del  pubblico  ministero  -  Denunciata  preclusione  per  il
  giudice della possibilita' di disporre l'applicazione di una misura
  piu'  grave  di  quella  richiesta  per  inidoneita'  delle  misure
  gradate. 
- Codice di procedura penale, artt. 280, comma 2,  e  291,  anche  in
  combinato disposto. 


(GU n. 10 del 05-03-2025)

 
                         TRIBUNALE DI PRATO 
 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. In data ... perveniva dai C.C. Toscana, tenenza di  Montemurlo
(PO), notizia di reato ex art. 73 del decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990 per detenzione ai fini di spaccio di  sostanza
stupefacente di tipo cocaina, a carico di B. M. , nato in ... il ...,
alias B. M., nato in ... il ... 
    Il prevenuto veniva arrestato in pari data dagli agenti  operanti
che sequestravano a suo carico gr. 7,73  lordi  di  cocaina  ed  euro
490,00 in contanti. 
    2. Il pubblico ministero di turno convalidava il  sequestro  e  ,
nel contempo, chiedeva al Tribunale penale di Prato, in  composizione
monocratica, la  convalida  dell'arresto,  indicando  la  fattispecie
incriminatrice nella imputazione: 
        del delitto di cui agli articoli 81 cpv. del  codice  penale,
73, comma V, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre  1990,
n. 309  perche',  fuori  dei  casi  previsti  dall'art.  75  e  senza
l'autorizzazione di cui all'art. 17 del predetto decreto, deteneva al
fine di farne successiva cessione a  terze  persone  rimaste  ignote,
sostanza stupefacente del tipo cocaina, gia' suddivisa  in  10  ovuli
pronti alla rivendita, per  un  quantitativo  complessivo  in  grammi
lordi pari a 7,73. 
    Fatto accertato in ..., il ... 
    3.  Il  Tribunale  adito  convalidava  l'arresto;   indi,   sulla
richiesta del pubblico ministero di  applicare  la  misura  cautelare
degli arresti domiciliari, cosi' sul punto si esprimeva: 
 
                             Il Giudice 
 
(Omissis) 
    all'esito della udienza di convalida dell'arresto di B.  M.  nato
in ... il ... alias: B. M. nato in ... in data ...  in  Italia  senza
fissa dimora, di fatto domiciliato a ... in via ... nr. ... difeso di
fiducia 
(Omissis) 
    all'esito della udienza di convalida dell'arresto  del  predetto,
in ordine al reato, di cui all'imputazione enunciata nella  richiesta
del pubblico ministero e contestata ritualmente al prevenuto; 
    Rilevato che, come  emerge  dalla·  relazione  di  servizio,  nei
confronti del prevenuto emergono gravi indizi di reita' in  relazione
alla fattispecie criminosa come accertata, per il quale e'  legittimo
l'arresto in flagranza (il prevenuto  e'  stato  rinvenuto  avere  la
disponibilita' di un  nascondiglio  nei  pressi  dell'abitazione  ove
alloggiava  e  nel  quale  riponeva  sostanza  stupefacente  di  tipo
cocaina, suddivisa in ovuli preconfezionati) e che  il  soggetto  era
stato gia' sottoposto ad accertamenti nel 2015 per analoghi fatti  di
spaccio di stupefacente; 
    Rilevato che il pericolo di fuga e di  reiterazione  del  crimine
sia concretamente sussistente,  attesa  la  carenza  di  permesso  di
soggiorno e lo stato di clandestinita' decorrente dal  2015,  nonche'
l'assoluta  difettivita'  di  lavoro  stabile   sul   territorio   ed
integrazione nel tessuto sociale ( il prevenuto non parla  la  lingua
italiana); tutti elementi che inducono legittimamente a ritenere  che
il soggetto non abbia intenzione di emergere in situazione di  legale
presenza sul territorio,  di  guisa  che,  a  fronte  di  concorrenti
pendenze per reati (analoghi)  di  manifesta  gravita',  il  medesimo
possa essere prevedibilmente indotto alla  fuga,  onde  sottrarsi  ai
celebrandi giudizi; 
    Ritenuto che non solo il pericolo di fuga sia concreto, ma  anche
quello di reiterazione del crimine, attesa la carenza di altre fonte,
legale, di reddito (il prevenuto era in possesso di autovettura e  di
circa 500 euro, di cui non ha fornito alcuna contezza,  peraltro  non
desumibile da riscontri di guadagni leciti); 
    Ritenuto che se la convalida dell'arresto va disposta in ossequio
alla descrizione del  fatto  reato,  come  qualificato  dal  pubblico
ministero,  altrettanta  pedissequa  conformita'  non   incombe   sul
giudice, cui e' richiesta l'applicazione della misura cautelare (cfr.
Cassazione sul punto, sentenza n. 40265 dell'8 luglio 2014:  in  tema
di misure cautelaci  personali,  il  giudice  della  cautela  non  e'
vincolato alla valutazione,  ancorche'  contestuale,  espressa  nella
fase  di  convalida  dell'  arresto  o  del  fermo  e  puo',  quindi,
autonomamente attribuire al fatto descritto nella  contestazione  una
diversa qualificazione o  definizione  giuridica  rispetto  a  quella
formulata  al  momento  in  cui   e'   stata   adottata   la   misura
precautelare), sicche' nella fattispecie descritta  in  atti  e  come
emersa all'esito delle risultanze processuali, il  mero  quantitativo
di droga non e' elemento di discrimen del comma 5 del contestato art.
73, nel senso che esso vale a tale fine solo allorche',  per  peso  e
contenuto psicotropo assurga ad  elemento  rilevante  ai  fini  della
previsione alternativa, ma non potendo , esso quantitativo ,  ridursi
ad unico elemento circostanziale della  condotta  criminosa  ai  fini
della configurazione del 5' comma cit. norma, intervenendo ulteriori,
plurimi fattori, quali, in particolare nella fattispecie, la fonte di
sostentamento da spaccio di stupefacente  del  soggetto  attivo  e  ,
quindi, la esclusione della mera occasionalita'  dell'illecito,  che,
nella fattispecie, e' senz'altro da escludere, attesa la presenza  di
analoghi carichi pendenti gia' risalenti al 2015 e  la  ben  concreta
prospettazione di stabile modus operandi di spaccio, da cui  trae  il
prevenuto fonte di  mantenimento,  in  assenza  di  lavoro;  giudizio
vieppiu' avvalorato dalla volonta' di non rendere dichiarazioni volte
a fornire elementi cognitivi in ordine  all'approvvigionamento  della
droga; 
    Valutato pertanto che la fattispecie, appunto  per  i  mezzi,  le
modalita' e le circostanze dell'azione non sia riconducibile al fatto
di  lieve  entita',   bensi'   alla   piu'   ampia,   onnicomprensiva
prospettazione dell'art. 73, comma 1, legge stup., per  la  quale  e'
applicabile la misura della custodia in carcere; 
    Ritenuto,  in  concreto,  che  il  prevenuto  sia   un   soggetto
pericoloso, non avendo fonti di lavoro lecite con le quali evitare la
reiterazione del crimine; che non e' congruamente  identificato  (  a
suo nome ha un alias), che non ha dimora stabile e radicata,  sicche'
si puo' senz'altro ventilare una  concreta  previsione  di  fuga,  in
luogo della  corretta  sottoposizione  al  giudizio  penale;  che  il
domicilio  prospettato   consiste   in   una   mera   stanza   presso
un'abitazione familiare di connazionali, nei  cui  confronti  non  e'
esigibile la presa in carico di un sottoposto a  misura  cautelare  e
che, comunque, non assicura la cessazione di rapporti con chi gli  ha
procurato la droga; 
    Cio' premesso, ritenuta quale unica  misura  compatibile  con  la
pericolosita' del soggetto, la custodia in carcere; 
(Omissis) 
 
                              Convalida 
 
    L'arresto di B. M.; applica nei suoi confronti  la  misura  della
custodia cautelare in carcere. 
    Seguiva differimento del giudizio direttissimo, su richiesta  del
difensore di termine a difesa onde valutare l'esperibilita'  di  riti
alternativi. 
    4.  Il  pubblico  ministero  procedente  richiedeva,  il   giorno
seguente alla convalida, al  Tribunale  penale  di  Prato  -  giudice
reperibile per turno da direttissime - la sostituzione della custodia
in carcere con il divieto di  dimora  in  ...;  il  giudice  all'uopo
compulsato, dando atto che era stata applicata dal giudice procedente
una misura piu' grave di quella richiesta dal pubblico ministero, che
si era espresso per  l'applicazione  degli  arresti  domiciliari,  ma
ribadendo la inidoneita' di siffatta misura, convertiva  la  custodia
cautelare in carcere con il divieto di dimora in ... 
    5.  Veniva  quindi   presentata   dalla   difesa   richiesta   di
applicazione  pena,  in  relazione  al  reato  come  individuato  dal
pubblico ministero, nella misura di mesi dieci di reclusione ed  euro
1000,00 di multa; il pubblico ministero prestava consenso anche  alla
sospensione condizionale della pena. 
    Il Giudice fissava l'udienza di  trattazione,  onde  valutare  la
richiesta  nel  contraddittorio  delle   parti;   la   notifica   del
provvedimento  del  Giudice  non  veniva   eseguita   nei   confronti
dell'imputato, che non  veniva  personalmente  rintracciato,  ma  che
aveva provveduto, all'atto della scarcerazione, ad eleggere domicilio
presso Io studio del difensore, munendolo  di  procura  a  presentare
richieste di rito alternativo. 
    5. Nelle more - a distanza di circa  quaranta  giorni  dal  primo
arresto - il prevenuto era colto, sempre in  territorio  di  ...,  in
(ulteriore)  flagranza  di  analogo  reato  (questa  volta   per   un
quantitativo rinvenuto a suo carico di gr.  13,78  lordi  di  cocaina
suddivisi in 18 involucri preconfezionati, oltre a euro 100,00);  dai
CC  operanti  veniva  altresi'  segnalato  che,  in  precedenza,   il
prevenuto si era reso inottemperante  all'ordine  di  espulsione  del
questore di ... 
    Siffatta segnalazione d'intervenuto (nuovo) arresto perveniva, da
parte dei C.C.  operanti,  al  giudice  procedente  del  giudizio  in
oggetto, affinche' venisse valutata  l'applicazione  di  misura  piu'
grave; il Giudice, nel difetto di  espressa  richiesta  del  pubblico
ministero, pur notiziato dell'accadimento,  dichiarava  non  luogo  a
provvedere. 
    6. All'udienza fissata  per  l'accoglimento  della  richiesta  di
applicazione pena il Giudice ha  sospeso  il  procedimento  ritenendo
sussistano ragioni di inapplicabilita' di  norme  per  violazione  di
principi costituzionali, che  necessitino  d'intervento  del  Giudice
delle leggi in tal guisa esprimendosi: 
        Sollevo  eccezione  d'incostituzionalita'  dell'art.  280,  2
comma del codice di procedura penale nel suo combinato  disposto  con
l'art. 291 del codice di procedura penale perche'  in  contrasto  con
gli articoli 3, 101 e 112 della Costituzione. 
    I fatti processuali che determinano la eccezione sono i seguenti: 
        un cittadino  straniero,  privo  di  documenti  adeguatamente
identificativi della sua persona (accertato dalle  forze  dell'ordine
attraverso plurimi alias e infine con CUI) e  privo  di  permesso  di
soggiorno, entrato clandestinamente e controllato per la prima  volta
sul territorio italiano nel  ...  del  ...  in  circostanze  fattuali
riferibili ad ipotesi di spaccio stupefacente - per il quale  risulta
sottoposto a separato procedimento penale - viene arrestato  dai  CC.
di  Prato,  che,  su  sollecitazione  di  reiterate  segnalazioni  di
cittadini, lo colgono in flagrante detenzione a fine  di  spaccio  di
sostanza stupefacente del tipo cocaina, nascosta,  unitamente  ad  un
bilancino, sulla sommita' di una cd. «campana»  sita  sul  ciglio  di
strada urbana e destinata al recupero delle  bottiglie  in  vetro  da
parte dell'ente istituzionalmente preposto alla gestione dei  rifiuti
urbani; 
        l'arresto viene effettuato dai CC ai sensi dell'art. 73 della
legge stupefacenti; 
        il prevenuto e' portato in udienza  di  convalida  avanti  al
giudice  sottoscritto;  la  contestazione  di  reato  formulata   dal
pubblico ministero e' il delitto p. e p. dall'art. 73, 5° comma della
legge stupefacenti; il prevenuto non intende  rendere  dichiarazioni,
avvalendosi  della  facolta'  di  non   rispondere;   restano   cosi'
irrealizzate le esigenze cognitive relative  alla  similare  condotta
accertata dopo un intervallo temporale di  circa  diciotto  mesi,  al
possesso di denaro e di autovettura in assenza della  benche'  minima
attivita' lavorativa, all'identita' di altro soggetto,  che  con  lui
era stato avvistato dai cittadini, che avevano  compulsato  le  forze
dell'ordine e che con lui entrava e usciva da  abitazione  antistante
la «campana», legittimamente detenuta da famiglia pachistana, che gli
aveva benevolmente affidato in uso una stanza, dopo averlo conosciuto
in moschea; 
        vengono ravvisate ab initio dal pubblico  ministero  esigenze
cautelari ai fini dell'applicazione  di  arresti  domiciliari;  viene
richiesta celebrazione di giudizio direttissimo; 
        il  giudice  convalida  l'arresto;  nel   successivo   ambito
valutativo  di  esigenze  cautelari,  ritenuta  -   ed   espressa   -
l'autonomia discrezionale in relazione  alla  fattispecie  criminosa,
cui ricondurre il fatto  materiale,  e  individuato  a  tal  fine  il
delitto, di cui  al  1  comma,  art.  73  della  legge  stupefacenti,
considerata la inidoneita' del  domicilio  proposto  a  garantire  la
corretta esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari,
converte la stessa in custodia in carcere; 
        il   pubblico   ministero   procedente,   convenendo    sulla
inidoneita' del domicilio, richiede  sollecitamente,  al  giudice  di
reperibilita' per` convalide nel  turno  del  giorno  successivo,  la
immediata scarcerazione  del  prevenuto,  ostando  alla  custodia  in
carcere il titolo di reato come, contestato (art. 73, 5° comma  della
legge stupefacenti); chiede nel  contempo  l'applicazione  di  misura
cautelare 'gradata, ovvero il divieto di dimora in ... 
        il giudice  compulsato  rimette  in  liberta'  l'imputato  ed
applica  pedissequamente  la  misura  gradata,  come  richiesta   dal
pubblico ministero. 
        Alla udienza fissata per il giudizio direttissima,  ritornato
il fascicolo davanti al  giudice  «che  procede»  e  richiesto  dalla
difesa termine per valutare l'esperibilita'  di  riti  alternativi  -
assente  l'inputato,  cui  non  e'  stato  possibile  notificare   il
provvedimento di rifissazione udienza perche' non piu' rintracciato -
viene proposta  dal  difensore  -  all'uopo  avvalentesi  di  procura
speciale  ab  initio  rilasciata  dall'arrestato   -   richiesta   di
applicazione pena concordata con il PM, in relazione alla  violazione
ex art. 73, 5° comma della legge stupefacenti,  entro  i  limiti  del
biennio (in particolare dieci mesi di reclusione ed euro  1000,00  di
multa), subordinata al beneficio della sospensione condizionale della
pena, con conseguente revoca della misura cautelare  del  divieto  di
dimora in ... 
        Il  giudice  si  ritrova,   a   questo   punto   della   fase
procedimentale, a valutare due ambiti applicativi  di  norme:  quello
afferente la corretta individuazione della fattispecie astratta,  cui
collegare il fatto  reato  e  quello  relativo  alla  disamina  delle
immanenti  esigenze  cautelari:  un  arresto  nella  speditezza   del
giudizio  a  questo  punto  s'impone,  non  altrimenti   recuperabile
mediante ausilio di norme  che  escludano  il  ricorso  all'eccezione
d'incostituzionalita', che con la presente ordinanza si solleva. 
    E'  noto   che,   falcidiata   da   giudizi   di   illegittimita'
costituzionale,  la  unitarieta'  del  giudizio  di  primo  grado  e'
ostacolata,  laddove  il  giudice  -  ancorche'  esprimentesi   nella
medesima fase - respinga il patteggiamento; si e' ritenuto che l'A.G.
compulsata formuli un prejudicium, confliggente con il  principio  di
terzieta', che e' immanente all'intero  percorso  processuale,  cosi'
dovendosi «spogliare» del procedimento. 
    Sebbene meramente radente con la  questione  che  ci  occupa,  in
quanto successiva, e' comunque opportuno evidenziare -  nell'economia
della  presente  ordinanza  -  che  tale  arresto   della   immanenza
identitaria del giudice,  a  sommesso  avviso  della  scrivente,  non
valuta  con  la  esigibile  ampiezza  la  grande  portata  innovativa
dell'attuale processo , che sorge, cresce,  si  conclude  davanti  al
giudice, il  quale  -  si  presume  nella  ideazione  originaria  del
legislatore del 1988 -  puo'  non  essere  piu'  «virgineo»  nel  suo
procedere - poiche' gia' espressosi negativamente  sulla  concessione
del beneficio della sospensione condizionale della pena concordata  e
proposta in patteggiamento - ma  deve  senz'altro  recuperare  quello
spirito maieutica di conoscenza mediata dal divenire istruttorio  del
giudizio di fase, ove accusa e difesa si mettono in prova. 
    Nulla di piu' probabile, nell'originaria ideazione, che lo stesso
giudice, che abbia negato il patteggiamento perche' i  fatti  non  lo
consentivano  nella  loro  astrattezza  imputativa,  acquisisca,   di
sovente  dallo  stesso  esame  dell'imputato,  la  consapevolezza  di
circostanze attenuanti, perfino la previsione fondata di un  giudizio
prognostico positivo. 
    Cristallizzare   il   giudizio   conclusivo    alla    diffidente
stigmatizzazione del manifestato diniego di patteggiamento  significa
negare  al  ns.  processo  la  forza  e  l'efficacia  della  dinamica
processuale ad esso connaturata. 
    In univoca applicazione di  questo  principio  di  diffidenza  e'
visto,  dal  piu'  recente  legislatore,  il  sistema  delle   misure
cautelari. 
    Mentre, nella originaria formulazione del sistema processuale  di
applicazione di misure cautelari, si  partiva  dal  criterio  che  la
cautela era rigorosamente presunta  in  concomitanza  di  ipotesi  di
responsabilita' penale, di guisa che occorreva  dimostrare  il  venir
meno  degli  indici  di  incidenza  sulle  cautele,  il  legislatore,
progressivamente  ha  scalfito  questo  sistema,   spostando   l'asse
valutativo sul criterio eccettuale, per  cui  -  fatte  salve  talune
ipotesi   di   reato   -   la   cautela   deve   essere   dimostrata;
alternativamente la collettivita' non puo' avanzare  pretese  in  tal
senso. 
    Non vi e' piu' una tutela incondizionata dei principi - una volta
inviolabili - della sicurezza della collettivita' e/o della  certezza
di assicurare l'espiazione pena a chi  e'  giudicato  definitivamente
colpevole e/o del corretto, non inquinato  iter  processuale,  bensi'
ormai sovviene una graduazione della tutela; in  altri  termini,  non
interviene piu' il principio  del  controllo  sulla  condotta  attiva
dell'indagato/imputato,    sostituito     dal     principio     della
regolamentazione dell'osservanza  di  quei  principi  «per  fasce  di
reato». 
    Per alcune ipotesi criminose la tutela  e'  ancora  garantita  in
forma incondizionata - con previsione di  possibile  applicazione  di
custodia in carcere -, per altri, peculiarmente riconducibili a fatti
di  microcriminalita',  la  tutela  e'  rapportata  non   piu'   alle
potenzialita' criminogene  del  soggetto  attivo,  ma  alla  concreta
lesione antigiuridica che la condotta del reo produce. 
    Il legislatore, senza  che  il  soggetto  passivo  possa  opporvi
alcuna reazione  in  ambito  giudiziario  (si  pensi  all'ipotesi  di
resistenza al p.u. nel concorso di  frequenti  applicazioni  di  mere
custodie gradate) ha inteso ridimensionare non  solo  le  fattispecie
criminose - a cio'  gia'  pervenendo  con  modifiche  edittali  della
sanzione connessa ad un determinato precetto (come, per l'appunto  il
ns. caso, di spaccio di cocaina) - bensi' anche gli effetti  di  esse
sui destinatari della condotta criminosa, in cui - ancora  esaminando
il caso in esame - una sola delle dosi, che il prevenuto  deteneva  a
fine  di  spaccio,  avrebbe  potuto  essere  idonea,  in  assenza  di
accertamento di  principio  attivo  e  di  qualita'  di  mescola  con
sostanze da taglio piu' o meno  scadenti,  ad  essere  potenzialmente
letale per soggetti passivi  piu'  pregiudizievolmente  sensibili  ai
suoi effetti. 
    Il legislatore, prevedendo per  alcune  fattispecie  criminose  -
peraltro di frequente realizzazione concreta - solo  ipotesi  gradate
di misure cautelari, esclude a priori che insorgano pericoli connessi
alle  sole  esigenze  cautelari  di  grado  supremo.  O  meglio,  pur
prevedendone la ricorrenza, esclude in radice che esse debbano venire
efficacemente compresse, in danno della collettivita': si e' inteso -
e giustamente - esigere la motivazione dell'attualita' dell'esigenza,
ma dando per scontata la «discriminata»  persistenza  della  sua  pur
perniciosa,  difettiva  repressione.  Si  pensi  alla   diffusivita',
scaturita  dalle  recenti  riforme,  di  applicazione  degli  arresti
domiciliari, ove il pericolo di perniciosi  contatti  con  l'ambiente
malavitoso di provenienza non puo' efficacemente venire represso. 
    In tale contesto innovativo va inserita  la  fattispecie  che  ci
occupa, in cui lo spacciatore, che non e' identificato in forma certa
, vive dei proventi dello spaccio, non ha una fissa  dimora,  non  ha
interrotto, mediante adeguate confessorie  dichiarazioni,  il  legame
con la criminalita' di grado  medio,  che  lo  rifornisce  da  almeno
diciotto mesi di droga  da  strada,  viene  posto  in  liberta'  solo
perche' - non previsto il carcere per il titolo di reato formalizzato
dal pubblico ministero - egli risulta privo di un domicilio idoneo al
regime restrittivo cautelare;  cio'  di  fatto  vanifica  quelle  pur
ravvisate - e ravvisate - gravi esigenze cautelari, che imponevano la
limitazione della sua mobilita', della pur  pericolosa  sua  liberta'
d'azione. 
    Nella lettura ormai  consolidata  dell'art.  280  del  codice  di
procedura penale e di quell'affermato, automatico  legame  intrinseco
fra titolo di reato e correlata, modulata  repressione  dei  pericoli
connessi alle  esigenze  cautelari,  e'  insito  tutto  il  contrasto
legislativo con i principi costituzionali summenzionati. 
    Se l'art. 280 del codice di procedura  penale  va  letto  con  un
ancoraggio esclusivo ed apodittico allo specifico  titolo  di  reato,
come contestato formalmente dal pubblico ministero e non puo'  venire
temperato dal pur coesistente precetto, di cui all'articolo. 275  del
codice di procedura penale, comma 3, allora esso contrasta  in  primo
luogo con il principio di  uguaglianza:  a  parita'  di  reato  e  di
circostanze obiettive e subiettive e, quindi, a parita'  di  esigenze
cautelari a carico di due soggetti attivi -  categoricamente  escluso
per entrambi l'ingresso in carcere quod poenam -  colui  che  ha  una
dimora stabile subisce la restrizione  degli  arresti  domiciliari  ,
mentre l'altro, privo  di  dimora  stabile  e/o  adeguata  al  regime
cautelare restrittivo, viene posto in  liberta'  con  depotenziamento
della cautela; fatto, che e' assolutamente iniquo.  
    E' evidente la discriminazione in danno di  colui  che,  in  seno
alla collettivita', ha comunque realizzato l'obiettivo (quello  della
dimora certa) dell'appartenenza ad un nucleo sociale di riferimento e
che  sia  anche  in  grado  di  accudirlo  in  regime   di   custodia
domiciliare. 
    Discriminazione per contro a favore di tutti coloro, di  cui  non
e' certa  la  identificazione,  il  radicamento  sul  territorio,  la
stabilizzazione, ancorche' temporanea, in un determinato luogo. 
    Assoluto contrasto con il principio di uguaglianza di fronte alla
legge. 
    Si ravvisa, nella lettura forse miope dei piu' recenti interventi
di riforma legislativa - e da qui l'accorato invito al Giudice  delle
leggi a fornire una luce  piu'  nitida  -  un  disarmante,  difettivo
interesse per la tutela sostanziale della collettivita'. 
    Come e' possibile che la novella non  consenta  al  giudice,  che
pure e' sovrano interprete delle leggi - e da qui la violazione anche
del  principio  di  ragionevolezza  con   riferimento   al   precetto
costituzionale ex art.  101  ,  II  comma  della  Costituzione  -  di
ravvisare esigenze cautelari gravi, quando non gravissime  (come  per
l'appunto la mancanza di identificazione del cittadino straniero  sul
territorio nazionale, il non reciso collegamento con la  criminalita'
che  gli  fornisce  droga  con   continuita',   l'impossibilita'   di
controllarlo in prosieguo, sino all'esito  definitivo  del  giudizio,
per essere il divieto di dimora in un determinato comune a carico  di
siffatto soggetto quanto di piu' vago ed aleatorio ai fini di un  pur
ineludibile futuro accertamento) solo perche', ai sensi dell'art. 280
del codice di procedura penale e in relazione alla lettura  orientata
dell'art. 291 del codice di procedura penale il pubblico ministero e'
il depositario non solo dell'esercizio dell'azione penale, ma  anche,
collateralmente, della sua circoscrizione  ,  sicche'  la  previsione
normativa puo' essere, indiscriminatamente, utilizzata per contestare
un titolo di reato piu' grave o uno meno grave e farne  discendere  -
prescindendosi dalle reali, concrete, attuali  esigenze  cautelari  -
effetti diametralmente opposti. 
    In tal senso il combinato disposto degli articoli 291 e  280  del
codice di procedura penale determina un  solco  di  percorrenza,  che
preclude al giudice  di  osservare  le  leggi  nella  loro  effettiva
corrispondenza con  le  fattispecie  concrete,  dovendo  adeguare  il
proprio provvedimento alle richieste formali - e sovente immotivate -
del pubblico ministero. 
    Si pensi alla fattispecie in esame, in  cui  nell'arco  di  pochi
giorni il pubblico ministero - ed immotivatamente - e' passato  dalla
prospettazione di esigenze cautelari gravi, reprimibili solo  con  la
restrizione  della   liberta'   (ancorche'   domiciliare)   al   loro
stemperamento in quelle, cui il  mero  divieto  di  dimora,  dovrebbe
opporre  adeguata  ed  efficace  repressione  e  infine,  alla   loro
esclusione attraverso il consenso ad una prognosi positiva. 
    La violazione del principio  costituzionale  ex  art.  101  della
Costituzione e' evidente, laddove la lettura dell'art. 280 del codice
di procedura penale venga  ancorata  inderogabilmente  al  titolo  di
reato proposto dal pubblico ministero e, collateralmente,  le  misure
cautelari che quella stessa AG propone di applicare  siano  costrette
nell'alveo devolutivo della lettura orientata di cui all'art. 291 del
codice di procedura penale. 
    Interpretazione di siffatta  norma  (l'art.  291  del  codice  di
procedura penale) quanto mai necessitante di rivisitazione  da  parte
del Giudice delle leggi, appunto in  concomitanza  con  le  modifiche
normative apportate dal legislatore. 
    Se il pubblico ministero chiede di applicare le misure il giudice
nell'ambito della discrezionale valutazione della  ipotesi  di  reato
ascrivibile (detenzione a fine di spaccio ai sensi  dell'art.  73,  I
comma) individua quella piu' appropriata; se per contro  il  pubblico
ministero chiede l'applicazione di una determinata misura e  delimita
anche lo spazio valutativo  della  ipotesi  di  reato  (art.  73,  5°
comma), il Giudice e'  privo  di  scelta  nell'applicare  le  misure,
assolutamente  determinante  risultando   l'ipotesi   di   reato   di
riferimento. 
    Ma il pubblico  ministero,  per  principio  costituzionale,  deve
esercitare l'azione penale - art. 112 della  Costituzione  -  non  e'
legittimato anche ad applicare le cautele, ne' deve  concorrentemente
valutare in fase applicativa la condotta  antigiuridica  ascrivibile;
proprio perche' il titolo di reato individuando e'  quello  che  puo'
legittimare o meno una misura cautelare piuttosto che un'altra. 
    Come  chiede  l'applicazione  delle  misure,  cosi'  il  pubblico
ministero esercita l'azione penale in ordine ad un fatto reato;  cio'
in ossequio, ancora, al principio  di  ragionevolezza,  che  sottende
anche l'art. 112 della Costituzione. 
    Il giudice, cui solo incombe il duplice  obbligo  di  incarcerare
e/o  scarcerare   e,   collateralmente   di   motivare   il   sotteso
provvedimento,  deve  poter  agire  liberamente,  prescindendo  dalla
richiesta, «irresponsabile» (poiche' non astretta  al  vincolo  della
motivazione) di chi esercita  l'azione  penale  e  chiede  le  misure
cautelari. 
    Ne' puo' apparire  fuorviante  a  siffatto  impianto  il  dettato
dell'art. 299, comma 3 e comma 3-bis del codice di procedura  penale,
secondo cui il pubblico ministero detiene il potere  di  chiedere  la
sostituzione o la revoca della misura cautelare in corso e, comunque,
di esprimersi al riguardo. 
    La norma e' applicabile alla fase delle  indagini,  allorche'  al
giudice vengono  sottoposti  solo  gli  atti,  quegli  atti,  che  il
pubblico  ministero  ritiene  opportuno   offrire   alla   cognizione
circoscritta del Giudice. 
    Non  e'  quest'ultimo  ad  avere  il   polso   della   situazione
processuale di fase, bensi' il pubblico ministero, che quindi  ha  la
piena  liberta'  di  valutare  le  esigenze  cautelari;  ben  diverso
ragionamento vale allorche' - come appunto nel caso di specie, che ha
compulsato l'eccezione - pur in difettivo supplemento d' indagini, il
giudice sia chiamato  ad  avallare,  con  una  sorta  di  timbro,  il
progressivo, apodittico ridimensionamento delle esigenze cautelari e,
con fatto di  connessa,  rilevante  portata,  riscontri  quale  inane
tentativo la propria diversa qualificazione del fatto. 
    Progressivamente -  ed  immotivatamente  -  ridotte  le  esigenze
cautelari, sino alla loro totale esclusione (consenso  sul  beneficio
della sospensione condizionale della pena), negletta la  pur  diversa
imputazione  ex  art.  73,  I   comma,   legge   stupefacenti,   come
rappresentata dal Giudice  che  procedeva  in  sede  di  applicazione
misure  cautelari,  si   dovrebbe   provvedere   con   l'applicazione
pedissequa di titolo di reato e di concessione  del  beneficio  della
sospensione. 
    Altrimenti, il giudice riottoso deve astenersi dal proseguire  il
giudizio. 
    Se per  contro  alla  normativa  di  riferimento  si  assegna  il
corretto ambito  di  prospettazione  del  titolo  di  reato  e  delle
connesse misure  cautelari  applicande,  riservata  al  giudice,  con
evidente obbligo di motivazione, la definizione del titolo  di  reato
effettivamente  ritenuto  compatibile  con  la  fattispecie  concreta
sottoposta al suo esame e la concorrente individuazione della  misura
cautelare piu'  appropriata,  non  astretta  da  vincoli  iniquamente
trasgressivi del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione)
si ricompatta l'ordine costituzionale dell'attribuzione  al  pubblico
ministero dell'azione penale (art. 112 della  Costituzione)  e  della
sottoposizione del Giudice non all'immotivata richiesta del  pubblico
ministero bensi' alla legge ed ai sottesi principi informatori  della
Costituzione (art. 101, 2° comma della Costituzione) 
    Solo con siffatto ordine gerarchico,  ritualmente  sottoposto  al
principio di  impugnazione  degli  atti  del  giudice,  si  puo'  poi
procedere al prosieguo del giudizio conclusivo di fase o ai suoi riti
alternativi. 
    Infine, il meccanismo perverso del combinato disposto delle norme
summenzionate prevede che ove  il  giudice  non  sia  all'unisono  in
siffatto  percorso  in  discesa  debba  astenersi   per   motivi   di
opportunita' (da qui il  non  occasionale  riferimento,  supra,  alla
ipotesi di reiezione della proposta di patteggiamento). 
    Va altresi'  evidenziato  che  gli  ostacoli  ad  un'applicazione
lineare delle norme  in  base  ai  principi  costituzionali  si  sono
frapposti sin dalla richiesta di revoca della  custodia  in  carcere,
per quanto proposta dal pubblico ministero a  diverso  giudice  ;  va
peraltro detto che, a fronte  di  una  lettura  cosi'  pervicacemente
orientata dell'art. 280 del  codice  di  procedura  penale,  chiunque
avrebbe presumibilmente provveduto in senso conforme, pur consapevole
del contrasto applicativo con i  suesposti  principi  costituzionali,
ne' avrebbe potuto sospendere il giudizio  lasciando  l'arrestato  in
vinculis. 
    Tuttavia, e' tale l'iniquita' delle norme nella loro lettura piu'
immediata che tale contrasto si  e'  riproposto,  ed  anzi  in  forma
quanto mai accentuata, allorche',  dismessa  autoritativamente  -  da
parte del pubblico ministero - ogni diversa disamina del fatto  reato
in stretta correlazione con la piu' grave  fattispecie  delittuosa  (
art. 73 ,  I  comma,  legge  stupefacenti)  come  pur  autorevolmente
rappresentata dal Giudice - che e' l'unico soggetto responsabile  del
procedimento nel  suo  iter,  in  quanto  sottoposto  all'obbligo  di
motivazione -  ha  disatteso  altresi'  le  pur  espresse,  in  forma
concorde,  esigenze  cautelari,  in  quel   parametro   efficacemente
evolutivo di accorpamento delle esigenze al titolo del reato. 
    Pretermissione di ogni giustificazione di legittimita', che  pure
garantirebbe il principio di osservanza del potere giurisdizionale di
fronte a tutti i cittadini; il prevenuto, in forza della non ritenuta
applicazione dell'art. 275, comma 3 del codice di procedura penale  a
fronte della dizione di cui all'art.  280  del  codice  di  procedura
penale ha trascorso in carcere  alcune  ore  e,  indi,  assolutamente
assorbente in senso a lui favorevole la  problematica  del  domicilio
inidoneo, una volta liberato si e' reso  irrintracciabile  fuori  dal
Comune di ... 
    Il Giudice, impotente  di  fronte  a  siffatta  articolazione  di
guarentigie, non puo' neppure far valere la pur meditata  e  ritenuta
ipotesi di reato piu' grave (alla luce delle circostanze di  tempo  e
di luogo - lo spaccio, continuato, reiterato, di cocaina avveniva  in
pubblico, impudentemente  utilizzando  quale  luogo  di  appoggio  un
manufatto comunale destinato al ricovero dei rifiuti in vetro, quindi
in totale promiscuita'  con  la  legittima  sua  fruizione  da  parte
dell'utenza - e di condotta grave perseguita  da  parte  di  soggetto
clandestino, privo di documenti, gia' accertato per  fatti  consimili
un anno e mezzo prima), ne' puo' con  correntemente  disapplicare  la
modesta  modulazione  delle  misure  pur  a  fronte  del  persistente
accertamento di un'evidente grave  situazione  di  concreto,  attuale
pericolo di reiterazione del crimine e di fuga. 
    Cio' anche nella ipotesi di mancato accoglimento della  richiesta
di applicazione pena, che pende e che certo non esonera il  decidente
dalla immanenza delle esigenze cautelari, specie  ove  connessa  alla
disposta scarcerazione. 
    Il principio  suesposto  della  responsabilita'  del  giudice  e'
altrettanto immanente quanto le esigenze cautelari;  se  queste  sono
persistenti - e non vi e' alcuna affermazione del pubblico  ministero
che siano venute meno - pende responsabilita' del giudice  in  ordine
alla sua scarcerazione,  che  e'  atto  che  ha  ineludibili  effetti
succedanei. 
    Eventuale - e logicamente presumibile - reiterazione del  crimine
fuori dal Comune di ... da parte del prevenuto consente di  affermare
persistenza della responsabilita' del soggetto processuale che ne  ha
disposto la scarcerazione. 
    Se una dose di droga dal medesimo venisse aliunde ceduta in danno
di un minorenne, di un  soggetto  reattivamente  piu'  sensibile,  la
collettivita' potrebbe legittimamente richiedere al  giudice  che  ha
proceduto contezza della inopinata scarcerazione. 
    Le esigenze cautelari prescindono dall'agevole risoluzione  della
fattualita' attraverso i riti alternativi; esse accompagnano il fatto
e vanno oltre. 
    E' in contrasto con i principi costituzionali summenzionati e con
il principio  di  ragionevolezza  che  sottende  all'esercizio  della
giurisdizione improntare un  solco  blindato,  come  programmato  dal
legislatore. 
 
                               P.Q.M. 
 
(Omissis). 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    7. Ribadito il contenuto della ordinanza resa in udienza e con la
presente integrata,  si  rileva,  ulteriormente,  che  non  solo  era
presumibile  -  come  ivi  affermato  -  che  il  recuperato   status
libertatis  potesse  agevolare  il  compimento  di  reiterazione  del
crimine,  ma  l'evolversi  della  situazione   ha   comportato,   per
l'appunto, il nuovo arresto a distanza  di  un  mese  dal  precedente
evento criminoso. 
    Nuovo evento che - e se ne intende formulare la  puntualizzazione
in questa seconda parte motiva  dell'ordinanza  -  era  assolutamente
prevedibile  ed  era  stato  concretamente   previsto   dal   giudice
procedente, che, a fronte di inapplicabilita' di arresti domiciliari,
aveva imposto la  custodia  in  carcere.  Evento  antigiuridico,  che
poteva essere evitato, qualora si  fosse  proceduto  ad  una  lettura
orientata  dell'accezione  «solo  quando»,  di  cui  al  primo  comma
dell'art. 280  del  codice  di  procedura  penale  e  dell'accezione,
seguente «solo per delitti...», di cui al successivo secondo comma. 
    8.  Il  legislatore  deve  chiaramente  esprimere  -  e  se   non
sufficientemente chiaro deve intervenire il Giudice delle  leggi  per
fornire lumi  agli  interpreti  operativi  -  se  prevalga,  nel  suo
costrutto  normativo,  la  delimitazione  restrittiva  della   misura
carceraria in fase cautelare rispetto al principio di  osservanza  di
tutti i cittadini di fronte alla legge e di corretta ripartizione dei
ruoli giurisdizionali fra pubblico ministero e giudice. 
    9. Superfluo precisare al riguardo che, perseguendo  il  criterio
d'inapplicabilita' dell'art. 275, prima parte del 3° comma del codice
di procedura penale, in  ossequio  alla  lettura  dell'art.  280  del
codice di  procedura  penale,  con  peculiare  riferimento  alle  sue
accezioni limitative (solo quando; solo per  delitti)  ogni  soggetto
che intenda delinquere e che non sia radicato da tempo sul territorio
sceglie molto opportunamente di non munirsi di idoneo alloggio,  onde
vanificare esigenze cautelari restrittive dello status libertatis. 
    Cio'  determinando  un  gravissimo  scompenso   equalitario   fra
cittadini radicati sul territorio, generalmente muniti di alloggio, e
soggetti privi di fissa dimora, di documenti  anagrafici,  di  nuclei
familiari di riferimento. 
    10. Ne' puo' obiettarsi, ad avviso  della  scrivente,  che  nella
fattispecie concreta difetta la violazione del surriferito  principio
costituzionale, in quanto la  situazione  di  maggior  svantaggio  e'
virtuale, poiche', per contro, la situazione di maggior vantaggio  e'
stata  immediata  e  concreta,  ottenuta  il  giorno  seguente   alla
convalida: nessun  domicilio  adeguato,  nessuna  misura  restrittiva
della liberta'. 
    Se il prevenuto avesse avuto non una stanza presso terzi, facenti
capo ad  una  famiglia  occasionalmente  conosciuta  in  moschea,  ma
un'abitazione, ove risiedeva da tempo, sarebbe rimasto  ristretto  e,
presumibilmente, non avrebbe neppure commesso il successivo reato. 
    L'eguaglianza  di  fronte  alla  legge  non  puo'  dipendere   da
condizioni potestative. 
    11. Quanto alla lettura dell'art. 291  del  codice  di  procedura
penale come  una  sorta  di  confine  inderogabile  ed  invalicabile,
apposto da chi esercita l'azione penale (come appunto si rinviene  in
concreto nella fattispecie oggetto di giudizio), il  legislatore  non
si e' avveduto che, innovando l'art. 292, comma  2,  lettera  c)  del
codice  di  procedura  penale  ed  imponendo  l'autonoma  valutazione
(ribadendo invero un principio immanente dell'autonomia  di  giudizio
del giudice rispetto al pubblico ministero) ed ancora reiterando tale
aspetto nel successivo  comma  2-bis  ,  ha  radicato  l'attribuzione
all'organo  decidente  sulle  misure   cautelari   di   una   propria
discrezionalita' in  tema  di  applicazione  misure,  che  supera  il
percorso (meramente) interpretativo circa la  esclusiva  attribuzione
al pubblico ministero dell'esercizio del potere di decidere il  tetto
massimo delle misure. 
    12. Invero l'art. 291 del codice di  procedura  penale  esordisce
con un plurale - le misure sono richieste - facendo  presupporre  che
nell'arco  delle  possibilita'  il   Giudice   poi   possa   decidere
liberamente, con autonoma valutazione,  quale  applicare,  in  quanto
piu' opportunamente, concretamente  ed  attualmente  appropriata;  ma
dopo la riforma integrativa dell'art. 292  del  codice  di  procedura
penale e' lecito chiedersi se il legislatore abbia inteso  conservare
la determinazione del tetto  massimo  delle  misure  cautelari  quale
prerogativa del (solo) pubblico ministero, residuando, al giudice, la
autonoma valutazione delle misure nel mero ambito di quelle richieste
dalla pubblica accusa. 
    13. Restrizione e compressione del  principio  costituzionale  di
sottoposizione  del  Giudice   solo   alla   legge   vieppiu'   -   e
contraddittoriamente con l'additiva riforma del  cit.  art.  292  del
codice di procedura penale - stigmatizzata da  quell'alveo  normativo
ratione poenae (di cui all'art. 280 del codice di procedura  penale),
che di fatto cristallizza,  ai  fini  di  applicazione  della  misura
cautelare, ogni valutazione circa la individuazione della ipotesi  di
reato e,  quindi,  della  sua  pena  edittale;  cio'  peraltro  nella
precipua fase di richiesta di misure cautelari nel corso del giudizio
direttissimo, che  prelude  ad  una  immediata  decisione  e,  quindi
allorche' l'organo decidente si trova nell'ambito dell'esercizio  dei
pieni poteri giurisdizionali. 
    Conseguentemente si e' ravvisata,  ineludibile,  la  esigenza  di
sospendere il giudizio in questa precipua fase. 
    14. Avrebbe dovuto questo Giudice, in dispregio alla  valutazione
responsabile - poiche' sottoposta a  motivazione  -  della  pur  gia'
svolta, autonoma individuazione di diversa, piu' grave fattispecie di
reato  -  e  della  correlata  applicazione  di  cautele   -   essere
subordinato alla individuazione della fattispecie astratta e, quindi,
edittale e, correlativamente, cautelare, come formulata dal  pubblico
ministero,  che  al  riguardo  non  e'  tenuto  a  motivare,  neppure
allorche' dalla richiesta di arresti domiciliari comprime la  portata
delle  esigenze  cautelari   sino   a   consentire   la   sospensione
condizionale della pena? 
    E' altrettanto corretta, in tal guisa,  l'applicazione  dell'art.
112 della Costituzione? 
    15. Ne' puo' eccepirsi - si ribadisce - che  qualora  il  Giudice
non ritenga di  applicare  la  pena  come  prospettata  dalle  parti,
declina  l'esercizio  delle  funzioni,  astenendosi,   poiche'   cio'
prescinde dalla disamina delle esigenze cautelari, anzi  ne  rafforza
l'attualita' e concretezza,  non  potendo  prontamente  definirsi  il
giudizio 
    La   verifica,   il   controllo   della   posizione   «cautelare»
dell'imputato e' immanente e non puo' il Giudice  differirne  l'onere
valutativo ed applicativo alla determinazione finale del giudizio  di
fase, da parte di altro, nuovo giudice. 
    16. Ad avviso della  scrivente,  la  lettura  dell'art.  291  del
codice di procedura penale modulata con il  novellato  art.  292  del
codice di procedura penale e la lettura dell'art. 280 del  codice  di
procedura penale subordinata all'art. 275  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui  prevede  l'applicazione  di  misura  piu'
grave per inidoneita' delle misure gradate consentirebbe di  superare
la violazione dei suesposti principi  costituzionali,  garantendo  al
Giudice piena liberta' di decisione in tema di applicazione di misure
cautelari e di sottesa individuazione della fattispecie di reato. 
    17. Alternativamente, si  crea  un  corto  circuito,  di  cui  il
legislatore non si e' avveduto, muovendo dall'erroneo presupposto che
le richieste del pubblico  ministero  vadano  esaminate  con  estrema
cautela  e  diffidenza,  poiche'  virtualmente   lesive   del   favor
libertatis mentre, talvolta, puo' esservi l'intento dell'A.G deputata
a  decidere  di  ravvisare   ipotesi   di   reato   piu'   gravi   e,
corrispondentemente, misure cautelari  piu'  afflittive,  proprio  in
ossequio all'autonomia di giudizio, all'autonoma valutazione. 
    Da qui il rilievo, enunciato in udienza, di contrasto,  non  solo
con  i  principi  costituzionali  summenzionati,  ma  anche  con   il
principio  di  ragionevolezza  che   sottende   all'esercizio   della
giurisdizione. 
    La  legge  deve  fornire,  in  entrambe  le   opposte   direzioni
applicative, percorsi  chiari,  univoci  ed  improntati  ai  principi
costituzionali. 

 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Prato in composizione monocratica, nella  persona
del Giudice sottoscritto, visto l'art. 23, ultima parte comma 2 della
legge 11 marzo  1953,  n.  87,  ritenuta  di  ufficio  la  rilevanza,
ineludibile  ai  fini  del  decidere  nel  presente  giudizio,  della
questione avente ad oggetto vizio d'illegittimita'  costituzionalita'
della norma ex art. 280, comma 2, del  codice  di  procedura  penale,
anche in combinato disposto con l'art. 291 del  codice  di  procedura
penale - letta ciascuna autonomamente  nonche'  in  correlazione  fra
loro - per violazione degli articoli 3, 101, 2°  comma  e  112  della
Costituzione, promuove giudizio di legittimita' costituzionale  delle
suddette norme del codice di procedura penale. 
    Sospende il presente giudizio. 
    Manda  alla  Cancelleria  di  notificare  la  presente  ordinanza
all'imputato, al suo difensore ed al pubblico ministero,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei ministri e di comunicarla ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
    Dispone la trasmissione dell'ordinanza e degli atti del  giudizio
alla Corte costituzionale unitamente alla prova  delle  comunicazioni
prescritte. 
      Prato, 26 settembre 2017 
 
                       Il Giudice: Migliorati