Reg. ord. n. 55 del 2025 pubbl. su G.U. del 02/04/2025 n. 14

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche  del 15/02/2025

Tra: Filippo Materi  C/ Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - INPS



Oggetto:

Previdenza – Impiego pubblico – Trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età – Prevista corresponsione decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro – Riconoscimento del trattamento secondo un meccanismo di rateizzazione, differentemente articolato in base all’ammontare complessivo della prestazione – Denunciate norme che, omettendo di adeguarsi alle sentenze della Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, reiterano la lesione sostanziale provocata dalla dilazione temporale e dalla rateizzazione del pagamento della somma dovuta, senza un meccanismo di adeguamento degli importi pagati all’andamento dell’inflazione – Lesione del diritto del dipendente pubblico, cessato dal servizio per raggiunti limiti di età, alla percezione di una retribuzione, sebbene differita, sufficiente e proporzionata all’attività lavorativa svolta dall’interessato. 

Ipotesi in cui si volesse ritenere le sentenze monito non vincolanti per il legislatore: Previdenza – Impiego pubblico – Trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età – Prevista corresponsione decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro – Riconoscimento del trattamento secondo un meccanismo di rateizzazione, differentemente articolato in base all’ammontare complessivo della prestazione – Denunciata disciplina che prevede, come misure oramai strutturali e non più legate a specifiche emergenze finanziarie, la dilazione dell’effettiva erogazione del trattamento di fine servizio e, nell’ipotesi di importi superiori a 50.000 euro, la rateizzazione dei pagamenti non accompagnata dalla rivalutazione delle somme erogate all’ ex dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di età – Lesione del principio di proporzionalità e adeguatezza della retribuzione.

Norme impugnate:

decreto-legge  del 28/03/1997  Num. 79  Art. 3  Co. 2

legge  del 28/05/1997  Num. 140

decreto-legge  del 31/05/2010  Num. 78  Art. 12  Co. 7

legge  del 30/07/2010  Num. 122



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art. 36   Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 55 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 febbraio 2025

Ordinanza del 15 febbraio 2025 del Tribunale amministrativo regionale
per le Marche sul ricorso proposto da Filippo Materi contro  Istituto
nazionale della previdenza sociale - INPS. 
 
Previdenza  -  Impiego  pubblico  -  Trattamenti  di  fine  servizio,
  comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal  servizio
  per raggiungimento dei limiti di  eta'  -  Prevista  corresponsione
  decorsi dodici mesi dalla  cessazione  del  rapporto  di  lavoro  -
  Riconoscimento   del   trattamento   secondo   un   meccanismo   di
  rateizzazione, differentemente  articolato  in  base  all'ammontare
  complessivo della prestazione. 
- Decreto-legge  28  marzo  1997,  n.  79  (Misure  urgenti  per   il
  riequilibrio   della    finanza    pubblica),    convertito,    con
  modificazioni, nella legge 28 maggio 1997,  n.  140,  e  successive
  modifiche e integrazioni, art. 3, comma 2; decreto-legge 31  maggio
  2010,  n.  78  (Misure  urgenti  in  materia   di   stabilizzazione
  finanziaria  e  di  competitivita'  economica),   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 30 luglio 2010,  n.  122,  e  successive
  modifiche e integrazioni, art. 12, comma 7. 


(GU n. 14 del 02-04-2025)

 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
                            PER LE MARCHE 
                            Sezione prima 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale n.  433  del  2024,  proposto  da  Filippo  Materi,
rappresentato e difeso dall'avvocato Pietro  Frisani,  con  domicilio
digitale come da PEC da registri di Giustizia; 
    Contro I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza  sociale  -
Direzione provinciale di Ancona, non costituita in giudizio; 
    I.N.P.S.  -  Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dagli avvocati Floro Flori, Susanna Mazzaferri, Silvana Mariotti, con
domicilio digitale come da PEC da registri di Giustizia; 
    Per l'accertamento e la declaratoria del diritto  del  ricorrente
in quanto cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta'  in  data
30 settembre 2022 a percepire i residui ratei del  T.F.S.  ancora  da
corrispondere  da  parte  dell'I.N.P.S.  senza  dilazioni   e   senza
rateizzazione e per la condanna dell'I.N.P.S. a  corrispondere  senza
dilazione  l'intero  importo  ancora   dovuto   oltre   interessi   e
rivalutazione dal di' del dovuto sino al saldo, previa  dichiarazione
di  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
legittimita'  costituzionale  degli  articoli   3,   comma   2,   del
decreto-legge n.  79/1997,  convertito  nella  legge  n.  140/1997  e
successive  modificazioni  ed  integrazioni,  e  12,  comma  7,   del
decreto-legge  n.  78/2010,  convertito  in  legge  n.   122/2010   e
successive modificazioni ed integrazioni,  e  rimessione  degli  atti
alla Corte costituzionale. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di I.N.P.S.  -  Istituto
nazionale della previdenza sociale; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  12  febbraio  2025  il
dott. Tommaso Capitanio  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    1. Il ricorrente, gia' primo dirigente della  polizia  di  Stato,
cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta' con decorrenza  dal
30  settembre  2022,   agisce   in   questa   sede   per   conseguire
l'accertamento  del  diritto  a  percepire  il  trattamento  di  fine
servizio (di seguito «T.F.S.») in unica soluzione e comprensivo della
rivalutazione monetaria. 
    2. In punto di fatto il dott. Materi espone: 
        il  T.F.S.  spettantegli  e'  stato   determinato   in   euro
189.632,64 e, come previsto dall'art. 3, comma 2,  del  decreto-legge
n.  79/1997,  convertito  in  legge   n.   140/1997,   e   successive
modificazioni  ed  integrazioni,  e  dall'art.  12,  comma   7,   del
decreto-legge  n.  78/2010,  convertito  in  legge  n.   122/2010   e
successive modificazioni ed integrazioni, tale  somma  doveva  essere
corrisposta in tre tranches, la prima di euro 43.189,79 in  pagamento
al 1° ottobre 2023, la seconda di euro 41,525,24 in pagamento  al  1°
ottobre 2024 e la terza di 104.917,61 in pagamento al 1° ottobre 2025
(il ricorrente  precisa  che  alla  prima  scadenza  va  aggiunto  un
ulteriore periodo dilatorio di tre mesi, mentre alla seconda  e  alla
terza va aggiunto un ulteriore periodo dilatorio di trenta giorni); 
        di avere inviato, in data 17 febbraio 2024,  alla  Presidenza
del Consiglio dei ministri e all'I.N.P.S. apposita diffida  volta  ad
ottenere il pagamento del T.F.S.  in  unica  soluzione,  invocando  i
principi di diritto  affermati  dalla  Corte  costituzionale  con  le
sentenze di cui si dira' nella parte  in  diritto.  Tale  diffida  e'
rimasta senza esito; 
        alla  data  di  notifica  del  presente  ricorso   l'istituto
previdenziale aveva provveduto al pagamento della prima  tranche  del
T.F.S. 
    3. In punto di diritto, il dott. Materi  procede  anzitutto  alla
sintetica  ricostruzione  del  quadro   normativo   di   riferimento,
evidenziando che: 
        l'art. 26 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
1032/1973 stabiliva in origine che in caso di cessazione dal servizio
del   dipendente   pubblico   per   raggiunti   limiti    di    eta',
l'amministrazione di appartenenza doveva  predisporre  gli  atti  tre
mesi prima del raggiungimento del limite predetto e  inviarli  almeno
un mese prima al Fondo  di  previdenza  per  il  personale  civile  e
militare dello Stato, il quale era tenuto ad emettere il  mandato  di
pagamento in modo da rendere possibile l'effettiva corresponsione del
trattamento  «...immediatamente  dopo  la  data  di  cessazione   dal
servizio e comunque non oltre quindici giorni dalla  data  medesima».
Quest'ultimo termine e' stato elevato a novanta giorni  dall'art.  7,
comma 3, della legge n. 75/1980; 
        successivamente l'art.  3,  comma  2,  del  decreto-legge  n.
79/1997, ha rimodulato i tempi di erogazione dei trattamenti di  fine
servizio, comunque  denominati,  spettanti  ai  dipendenti  pubblici,
prevedendo, nella versione originaria, un termine di sei mesi per  la
liquidazione del T.F.S. e  di  ulteriori  tre  mesi  per  l'effettivo
pagamento; 
        questi termini sono stati modificati  dapprima  dall'art.  1,
comma 22, letteraera a), del decreto-legge n. 138/2011, convertito in
legge n. 148/2011, e poi dall'art. 1, comma 484, letteraera b), della
legge n. 147/2013, di talche' il termine per il pagamento del  T.F.S.
e' stato elevato da sei a ventiquattro mesi, decorrenti dalla data di
cessazione dal servizio. 
    Per il caso di cessazione dal servizio per  raggiunti  limiti  di
eta' o di servizio il termine e' stato invece fissato in dodici mesi: 
        alla disciplina sul differimento del pagamento del T.F.S.  si
e' poi  aggiunta  quella,  introdotta  dall'art.  12,  comma  7,  del
decreto-legge n. 78/2010, sulla rateizzazione delle somme  dovute  al
dipendente collocato in quiescenza. In origine la norma stabiliva che
il pagamento avvenisse: i) in unica soluzione  nel  caso  in  cui  il
T.F.S. avesse un  ammontare  complessivo,  al  lordo  delle  relative
trattenute fiscali, pari o  inferiore  a  90.000  euro;  ii)  in  due
tranches annuali nel caso in cui l'importo del T.F.S. fosse superiore
a 90.000,00 euro ma inferiore a 150.000,00 euro; iii) in tre tranches
annuali nel caso di T.F.S. avesse un importo superiore  a  150.000,00
euro; 
        l'art. 1, comma 484, lettera a), della legge n.  147/2013  ha
rimodulato la scansione dei pagamenti prevedendo che il  T.F.S.  deve
essere pagato: i) in unica soluzione nel caso in cui il  suo  importo
sia, al lordo delle ritenute fiscali, pari o  inferiore  a  50.000,00
euro; ii) in due tranches annuali  nel  caso  in  cui  l'importo  sia
superiore a 50.000,00 euro ma inferiore a 100.000,00  euro;  iii)  in
tre tranches annuali nel  caso  in  cui  l'importo  sia  superiore  a
100.000,00 euro. 
    Resta sempre in vigore il periodo aggiuntivo di tre mesi  per  il
pagamento della prima tranche. 
    3.1. Cosi' riepilogata la normativa di riferimento, il ricorrente
ricorda  poi  che,   sulla   base   dell'insegnamento   della   Corte
costituzionale (sentenza n. 243 del  1993),  le  indennita'  di  fine
rapporto costituiscono istituti di natura  retributiva  con  funzione
previdenziale, tanto nel settore pubblico che in quello  privato.  Si
tratta in particolare di una retribuzione differita, il che vuol dire
che il trattamento  di  fine  servizio  o  rapporto  costituisce  una
componente  del  compenso  che  il  lavoratore  ha  conseguito   come
corrispettivo dell'attivita' lavorativa e che fa parte integrante del
suo patrimonio, tanto e' vero che in caso di  decesso  prematuro  del
dipendente l'emolumento viene erogato ai congiunti superstiti. 
    Inoltre il T.F.S. spetta a prescindere dalla causa di  cessazione
del rapporto di lavoro e dall'accertamento  dello  stato  di  bisogno
dell'avente diritto. 
    I trattamenti di fine  servizio  sono  ispirati  al  criterio  di
corrispettivita' e restituiscono al lavoratore, alla  cessazione  del
rapporto, una somma certa e di ammontare ben definito (al riguardo si
tiene infatti conto della retribuzione percepita in servizio e  della
durata del rapporto di lavoro), che viene  definitivamente  acquisita
al  suo  patrimonio  e   devoluta   per   successione   legittima   o
testamentaria in caso di decesso del lavoratore in servizio. 
    L'evoluzione normativa ha ulteriormente ricondotto le  indennita'
di fine rapporto erogate nel settore  pubblico  al  paradigma  comune
della retribuzione differita con concorrente funzione  previdenziale,
nell'ambito di un percorso di tendenziale assimilazione  alle  regole
dettate per il settore privato  dall'art.  2120  del  codice  civile,
avendo sia il T.F.R. che il T.F.S. (comunque denominati) la  medesima
finalita'  di  accompagnare  il  lavoratore   nella   delicata   fase
dell'uscita dalla vita lavorativa attiva. 
    3.2. Se le suddette premesse sono corrette, ne  discende  che  il
trattamento di fine servizio deve essere erogato  con  la  necessaria
tempestivita',  questa  essendo  un  corollario  indispensabile   dei
principi di proporzionalita' e adeguatezza della retribuzione sanciti
dall'art. 36 della Costituzione. 
    In questo senso, le disposizioni di cui  si  e'  dato  conto  nel
precedente § 3. hanno inciso in maniera rilevante  (e  negativa)  sul
fattore tempo, visto che: 
        per un verso, il differimento nella corresponsione del T.F.S.
non e' accompagnato dalla rivalutazione monetaria delle somme  dovute
all'ex  dipendente  (ma  solo  dalla  previsione  del  diritto   agli
interessi legali nel caso in cui il pagamento avvenga successivamente
alla scadenza dei termini dilatori previsti dalle norme in commento),
il che, soprattutto in periodi di elevata inflazione, riduce in  modo
consistente il valore reale della somma percepita dall'interessato; 
        per altro verso,  i  sacrifici  imposti  agli  ex  dipendenti
collocati a riposo per raggiunti limiti  d'eta'  o  di  servizio  non
possono  piu'  ritenersi  ne'  temporanei  ne'  eccezionali  ne'  non
arbitrari  ne'  funzionali  allo  scopo.  In  effetti,  la  dilazione
dell'erogazione del T.F.S.  non  e'  piu'  una  misura  temporanea  e
contingente, ma e' divenuta strutturale, per  cui  le  penalizzazioni
imposte ai soggetti aventi diritto alla liquidazione del T.F.S.  sono
divenute irragionevoli e non piu' esigibili. 
    3.3. Le predette questioni sono state gia' portate all'attenzione
del giudice delle leggi, il quale si e' da ultimo pronunciato con  le
sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023. 
    Nella prima decisione la Corte, pur avendo  ribadito  i  suddetti
principi relativi alla natura del trattamento di fine servizio e alla
necessita'  che  lo  stesso   venga   erogato   con   la   necessaria
tempestivita', ha dichiarato infondata la questione  di  legittimita'
costituzionale delle norme richiamate nel precedente § 3.  in  quanto
in quel caso veniva in rilievo una cessazione anticipata dal servizio
e dunque le disposizioni in materia di differimento  e  rateizzazione
del T.F.S. sono state ritenute legittime  in  quanto  esse  mirano  a
scoraggiare l'esodo anticipato dei dipendenti pubblici e,  in  questo
senso, le stesse appaiono eque e non discriminatorie. 
    La Corte ha pero' invitato il legislatore a  porre  mano  ad  una
riforma organica della materia,  evidenziando  la  permanenza  di  un
vulnus dei «... principi costituzionali che, nel garantire la  giusta
retribuzione, anche differita, tutelano  la  dignita'  della  persona
umana». 
    Il legislatore si e' pero' limitato ad introdurre, con l'art.  23
del decreto-legge n. 4/2019, la possibilita' per gli  interessati  di
richiedere il finanziamento di una parte, pari all'importo massimo di
45.000,00 euro, dell'indennita' di fine servizio maturata,  garantito
dalla  cessione  pro  solvendo  del   credito   avente   ad   oggetto
l'emolumento, dietro versamento di  un  tasso  di  interesse  fissato
dall'art. 4, comma 2, del decreto ministeriale 19 agosto 2020. 
    L'I.N.P.S.,  dal  canto  suo,  con  delibera  del  consiglio   di
amministrazione  n.  219  del   9   novembre   2022,   ha   istituito
l'anticipazione del T.F.S., prevedendo al  riguardo  la  possibilita'
per gli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni  creditizie
e sociali di usufruire di un finanziamento pari all'intero  ammontare
del trattamento maturato e liquido, erogato  al  tasso  di  interesse
pari all'1% fisso (a cui si aggiungono le spese di  amministrazione),
sempre dietro cessione pro solvendo della  corrispondente  quota  non
ancora esigibile del T.F.S. 
    Con la sentenza n. 130 del 2023  la  Corte  costituzionale,  come
detto,  e'  tornata  a  pronunciarsi  sulle  questioni   odiernamente
controverse, questa volta nell'ambito di un  contenzioso  incardinato
da un dipendente pubblico cessato dal servizio per  raggiunti  limiti
di eta'. 
    Va detto anzitutto  che  la  sentenza  in  commento  si  pone  in
continuita' con la suddetta pronuncia del 2019, della quale condivide
le premesse concettuali e ripropone le argomentazioni principali;  la
Corte tuttavia rileva che al monito contenuto nella sentenza  n.  159
«...non ha [...] fatto seguito una  riforma  specificamente  volta  a
porre rimedio al vulnus costituzionale riscontrato...» e, a fronte di
tale inerzia, rinnova l'invito al legislatore a provvedervi. 
    Tuttavia le questioni sollevate dal  giudice  a  quo  sono  state
dichiarate  inammissibili  in  quanto  «...Al  vulnus  costituzionale
riscontrato con riferimento all'art. 3, comma 2, del decreto-legge n.
79 del 1997, come convertito, questa  Corte  non  puo',  allo  stato,
porre rimedio, posto che il  quomodo  delle  soluzioni  attinge  alla
discrezionalita' del  legislatore.  Deve,  infatti,  considerarsi  il
rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento
del differimento  in  oggetto,  in  ogni  caso,  comporta;  cio'  che
richiede  che  sia  rimessa  al  legislatore  la  definizione   della
gradualita' con cui  il  pur  indefettibile  intervento  deve  essere
attuato, ad esempio, optando per una soluzione che,  in  ossequio  ai
richiamati   principi   di   adeguatezza   della   retribuzione,   di
ragionevolezza  e  proporzionalita',   si   sviluppi   muovendo   dai
trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri...». 
    La Corte costituzionale ha dunque concluso precisando  nuovamente
che per porre rimedio alla situazione sopra  evidenziata  occorre  un
intervento del legislatore affinche' si trovi una soluzione che  miri
a superare il differimento della liquidazione e del  pagamento  delle
indennita' di fine servizio, in ossequio ai principi  di  adeguatezza
della retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalita',  e  che  si
sviluppi muovendo dai trattamenti meno elevati per estendersi via via
agli altri. 
    3.4. A questo punto il ricorrente evidenzia che le  due  pronunce
in commento costituiscono un tipico  esempio  di  «sentenze  monito»,
ossia un particolare tipo di decisione  invalso  nella  prassi  della
Corte, con la quale il giudice delle leggi, rilevato il contrasto  di
una norma di legge con disposizioni e/o principi costituzionali,  non
ritiene di poter dichiarare incostituzionali le norme  sottoposte  al
suo esame in quanto esse fanno parte di un ordinamento di settore sul
quale non e' possibile intervenire se non con  una  riforma  organica
che pero' rientra nelle competenze del legislatore. 
    A  seguito  della  «sentenza  monito»  la  norma  primaria,   pur
riconosciuta incostituzionale, resta in vigore, contrassegnata  dallo
stigma   dell'illegittimita'   costituzionale   accertata   ma    non
dichiarata, in attesa che il legislatore intervenga per adeguarsi  ai
rilievi della Corte. 
    Nel caso del T.F.S. sono decorsi  ben  cinque  anni  dalla  prima
«sentenza monito» e  oltre  un  anno  dalla  seconda,  senza  che  il
legislatore abbia adottato alcuna misura idonea a superare i  profili
di criticita' della normativa  che  viene  in  rilievo  nel  presente
giudizio. 
    Al fine di garantire l'effettivita' della tutela, non resta altra
soluzione che quella della pronuncia  di  incostituzionalita',  nella
specie solo accertata ma non dichiarata dalla Corte. 
    Del resto nella giurisprudenza costituzionale  piu'  recente  non
mancano  casi  analoghi,  quali  ad  esempio  quelli  trattati  nella
sentenza n. 40 del 2019 (avente ad oggetto l'art. 73,  comma  1,  del
Testo unico n. 309/1990 e successive modificazioni ed  integrazioni),
nella sentenza n. 242 del 2019  (in  materia  di  aiuto  al  suicidio
assistito) e la sentenza n. 70 del 2015 (in materia di  blocco  della
rivalutazione automatica per le pensioni superiori a  un  determinato
importo). 
    3.5. In punto di fatto il ricorrente aggiunge che: 
        quanto alle competenze del legislatore, nel giugno 2024  sono
stati presentati due disegni di legge (atti C-1254 e C-1264), che non
hanno pero' avuto seguito in ragione  del  parere  negativo  espresso
dalla Ragioneria generale dello Stato (parere allegato al ricorso); 
        quanto   alle   competenze   dell'I.N.P.S.,   il   meccanismo
dell'anticipazione introdotto con  la  richiamata  deliberazione  del
C.d.A. n. 219/2022 (il quale peraltro  ha  consentito  solo  a  pochi
soggetti di accedere al beneficio stante la limitatezza delle risorse
finanziarie disponibili) e' stato da ultimo abrogato; 
        neanche  l'altro  istituto  introdotto  nel  2019  (ossia  il
finanziamento bancario) e' satisfattivo,  anche  perche'  non  esiste
alcun obbligo per le banche di contrarre e comunque al beneficio  non
potrebbero accedere i c.d. cattivi pagatori (in generale, poi, questi
strumenti sono stati definiti dalla stessa  Corte  costituzionale  di
per se' non idonei a superare i profili di incostituzionalita'  delle
norme che prevedono la dilazione del pagamento e la rateizzazione del
T.F.S.). 
    4. Il ricorrente deduce quindi che le disposizioni in commento si
pongono in violazione dell'art. 36 della Costituzione e  dell'art.  1
del Protocollo 1 della C.E.D.U., in quanto: 
        l'art. 36 della Costituzione statuisce che il  lavoratore  ha
diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualita'  e  quantita'
del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla
sua famiglia una  esistenza  libera  e  dignitosa.  La  retribuzione,
pertanto, da un lato non deve mai perdere il suo collegamento con  la
prestazione lavorativa svolta e, dall'altro, deve essere  adeguata  e
sufficiente ai  sensi  dell'art.  36  della  Costituzione,  avendo  a
riguardo non solo alla sua entita', ma anche alla tempestivita' della
sua corresponsione. Questi principi, come detto, si  applicano  anche
al T.F.S. in ragione della  sua  natura  di  retribuzione  differita,
funzionale fra l'altro ad  accompagnare  al  lavoratore  nel  momento
delicato  della  sua  uscita  dalla   vita   lavorativa.   La   Corte
costituzionale ha in piu' occasioni ribadito che tutte le misure  che
incidono sul diritto alla retribuzione  per  superare  il  vaglio  di
costituzionalita' debbono essere giustificare da  comprovate  ragioni
di interesse generale e devono avere  efficacia  limitata  nel  tempo
(sentenze n. 178 del  2015  e  n.  173  del  2016).  Nel  caso  delle
modalita' di corresponsione del T.F.S. questi paletterai  sono  stati
ampiamente travalicati, visto che i  sacrifici  imposti  agli  aventi
diritto al T.F.S. sono ormai divenuti strutturali e non  piu'  legati
ad emergenze finanziarie; 
        per costante giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti
dell'uomo (Fabian c. Ungheria [GC], n. 78117/13,  5  settembre  2017;
Stefanetti,  n.  21838/10,  15  settembre   2014)   le   pensioni   e
conseguentemente anche il trattamento di fine servizio  maturato  per
effetto della vita lavorativa costituiscono un «bene» ai sensi  della
Convenzione. Secondo le norme generali applicabili, il diritto matura
ed entra a far parte del patrimonio del titolare al momento in cui si
soddisfano i requisiti  per  il  pensionamento.  Le  prestazioni  non
ancora percepite rientrano nella sfera di  applicazione  dell'art.  1
Protocollo 1 allegato alla Convenzione,  in  quanto  espressione  del
diritto, gia' maturato e gia' parte del patrimonio del ricorrente fin
dal momento del raggiungimento dei requisiti  necessari,  e  in  ogni
caso  debbono  essere  considerate  espressione  di  una   «legittima
aspettativa», esplicitamente  riconosciuta  e  tutelata  dal  diritto
costituzionale interno (Kopecký c. Slovacchia [GC], n.  44912/98,  28
settembre 2004; Plalam SPA c. Italia, n. 16021/02, 8 febbraio  2011).
In casi del genere la Corte europea dei diritti dell'uomo verifica se
il  diritto  dell'interessato  di   beneficiare   delle   prestazioni
previdenziali e pensionistiche sia stato violato in  misura  tale  da
comprometterne  l'essenza  (Domalewski  c.  Polonia  (dec.);  Kjartan
Asmundsson c. Islanda, § 39; Wieczorek c. Polonia, § 57; Rasmussen c.
Polonia, § 75; Valkov e altri c. Bulgaria, §§ 91 e 97; Maggio e altri
c. Italia, § 63; Stefanetti e altri c. Italia, § 55).  Nel  caso  del
T.F.S. si deve ritenere che, in ragione dell'inerzia del  legislatore
nell'adeguarsi alle sentenze della Corte costituzionale,  il  diritto
e' stato violato in misura tale da snaturarne il  contenuto,  sia  in
ragione della rateizzazione del pagamento, sia alla  luce  del  fatto
che la dilazione temporale  non  e'  compensata  dalla  rivalutazione
monetaria  delle  somme  spettanti  all'ex  dipendente  pubblico.  Ne
consegue che la retribuzione differita viene ad essere di  fatto  non
piu'  proporzionata  e  adeguata  rispetto  all'attivita'  lavorativa
svolta e ai contributi versati. 
    Quanto ai presupposti per  la  remissione  della  questione  alla
Corte, il ricorrente evidenzia che nella specie sussistono  tanto  la
non manifesta  infondatezza  delle  censure  dedotte  (le  quali  non
sarebbero  superabili  dal  giudice  di  merito  per  il  tramite  di
un'interpretazione costituzionalmente orientata delle  norme  di  cui
l'I.N.P.S. ha fatto applicazione)  quanto  la  rilevanza  (visto  che
nella vigenza delle norme in commento  ne'  l'istituto  previdenziale
ne' il tribunale amministrativo regionale potrebbero  riconoscere  ad
esso ricorrente il diritto a percepire il T.F.S. in  unica  soluzione
e/o la rivalutazione sulle somme via via erogate). 
    5.  Per  resistere  al  ricorso  si  e'  costituito  in  giudizio
l'I.N.P.S., ribadendo la legittimita' del proprio operato  alla  luce
del quadro normativo vigente. 
    La causa e' passata in  decisione  all'udienza  pubblica  del  12
febbraio 2025. 
    6. Il Collegio ritiene che la decisione  della  causa  non  possa
prescindere dalla previa  decisione  della  Corte  costituzionale  in
merito  alla  compatibilita'  delle  norme  di  legge  nella   specie
applicate  a  danno  del  ricorrente  con  le  norme  e  i   principi
costituzionali di cui si dira' infra. 
    6.1. Quanto alla rilevanza delle questioni dedotte si potrebbe in
astratto obiettare che il ricorrente  avrebbe  dovuto  contestare  la
rateizzazione del pagamento sin dalla data di collocamento a riposo o
comunque antecedentemente alla percezione  della  prima  tranche  del
T.F.S. (avvenuta, come detto,  nell'ottobre  2023.  Per  inciso,  sul
finire del 2024 l'I.N.P.S. ha corrisposto la seconda tranche),  visto
che  alla  data  di  notifica  del  presente  ricorso  il   pagamento
rateizzato di fatto era gia' in essere e  che,  molto  probabilmente,
anche  la  terza  tranche  sara'  versata  prima  della   risoluzione
dell'incidente di costituzionalita' e della  conseguente  definizione
dell'odierna controversia. 
    Va di contro evidenziato che: 
        anzitutto, trattandosi di  diritti  patrimoniali  soggetti  a
prescrizione quinquennale (di cui il giudice  amministrativo  conosce
in sede di giurisdizione esclusiva), il ricorrente non aveva  l'onere
di agire entro il termine decadenziale; 
        in ogni caso, il dott. Materi censura anche il fatto  che  le
disposizioni impugnate non prevedono che la dilazione  del  pagamento
del  T.F.S.  sia  in  qualche  modo  compensata  dalla  rivalutazione
monetaria delle somme  erogate  dall'I.N.P.S.  Pertanto,  laddove  la
questione di  legittimita'  costituzionale  dovesse  essere  ritenuta
fondata in  parte  qua,  il  ricorrente  avrebbe  diritto  a  vedersi
corrispondere una  somma  pari  alla  rivalutazione  monetaria  degli
importi liquidatigli, e questo anche se il presente giudizio  dovesse
essere definito dopo il 1° novembre 2025. 
    Da ultimo e' appena il caso di ribadire che il  dott.  Materi  e'
cessato dal servizio per raggiunti limiti  di  eta'  e  dunque  nella
specie non  trovano  applicazione  le  conclusioni  a  cui  la  Corte
costituzionale e' pervenuta nella sentenza n. 159 del 2019. 
    La questione e' rilevante in quanto le disposizioni  in  commento
non  sono  suscettibili  di   un'interpretazione   costituzionalmente
orientata, stante il loro inequivoco tenore letteraerale. 
    6.2. Passando invece a trattare della non manifesta infondatezza,
il Collegio osserva quanto segue. 
    6.2.1. Nella sentenza n. 130 del 2023  il  giudice  delle  leggi,
dopo  aver  ribadito  la  natura  dell'indennita'  in  questione,  ha
evidenziato che: 
        «...6.3. Questa Corte deve farsi carico della  considerazione
che  il  trattamento  di  fine  servizio  costituisce  un   rilevante
aggregato della spesa di parte corrente e, per tale  ragione,  incide
significativamente sull'equilibrio del bilancio statale (sentenza  n.
159 del 2019). Non e' da escludersi, pertanto, in  assoluto  che,  in
situazioni di grave difficolta'  finanziaria,  il  legislatore  possa
eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla  tempestiva
corresponsione  del  trattamento  di  fine  servizio.  Tuttavia,   un
siffatto intervento e', anzitutto, vincolato al rispetto del criterio
della   ragionevolezza   della   misura   prescelta   e   della   sua
proporzionalita' rispetto allo scopo perseguito»; 
        «Un ulteriore limite riguarda la durata di simili misure. 
        La legittimita' costituzionale delle norme dalle quali  possa
scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore e',
infatti,  condizionata  alla  rigorosa  delimitazione  temporale  dei
sacrifici imposti (sentenza n. 178 del 2015), i quali  devono  essere
«eccezionali, transeunti, non  arbitrari  e  consentanei  allo  scopo
prefisso» (ordinanza n. 299 del 1999). 
        6.4.- Ebbene, il  termine  dilatorio  di  dodici  mesi  quale
risultante dall'art. 3, comma 2, del decreto-legge n.  79  del  1997,
come convertito, e successive modificazioni, oggi non  rispetta  piu'
ne' il requisito della temporaneita', ne' i limiti posti dai principi
di ragionevolezza e di proporzionalita'. A differenza  del  pagamento
differito dell'indennita' di fine  servizio  in  caso  di  cessazione
anticipata  dall'impiego  -  in  cui  il  sacrificio   inflitto   dal
meccanismo  dilatorio  trova  giustificazione  nella   finalita'   di
disincentivare  i  pensionamenti  anticipati  e  di   promuovere   la
prosecuzione dell'attivita' lavorativa (sentenza n. 159 del  2019)  -
il, sia pur piu' breve, differimento operante in caso  di  cessazione
dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di eta' o di servizio non
realizza un equilibrato componimento dei contrapposti interessi  alla
tempestivita' della liquidazione del trattamento, da un  lato,  e  al
pareggio di bilancio, dall'altro. Cio' in quanto  la  previsione  ora
richiamata ha «smarrito un orizzonte temporale definito» (sentenza n.
159 del 2019), trasformandosi da intervento urgente  di  riequilibrio
finanziario in misura a carattere strutturale,  che  ha  gradualmente
perso la sua originaria ragionevolezza»; 
        «6.5.- A cio' deve aggiungersi che la perdurante  dilatazione
dei tempi di corresponsione delle indennita' di fine servizio rischia
di  vanificare  anche  la  funzione  previdenziale  propria  di  tali
prestazioni, in quanto  contrasta  con  la  particolare  esigenza  di
tutela avvertita dal dipendente al termine dell'attivita' lavorativa. 
        Non e', infatti, infrequente che l'emolumento in esame  venga
utilizzato per sopperire ad esigenze non ordinarie del beneficiario o
dei suoi familiari, e la possibilita' che tali  necessita'  insorgano
nelle more della liquidazione del trattamento espone l'avente diritto
ad  un  pregiudizio  che  la  immediata  disponibilita'  dell'importo
eviterebbe»; 
        «6.6.- Occorre, ancora, considerare che  l'odierno  scrutinio
di legittimita' costituzionale si innesta in un quadro macroeconomico
in  cui  il  sensibile  incremento  della  pressione  inflazionistica
acuisce  l'esigenza  di   salvaguardare   il   valore   reale   della
retribuzione,   anche   differita,   posto   che   il   rapporto   di
proporzionalita', garantito  dall'art.  36  della  Costituzione,  tra
retribuzione e quantita' e qualita' del lavoro,  richiede  di  essere
riferito «ai valori reali di entrambi i suoi  termini»  (sentenza  n.
243 del 1993). 
        Di conseguenza, la dilazione oggetto di censura, non  essendo
controbilanciata dal riconoscimento  della  rivalutazione  monetaria,
finisce  per  incidere  sulla  stessa  consistenza  economica   delle
prestazioni di cui si tratta, atteso che, ai sensi dell'art. 3, comma
2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come  convertito,  allo  scadere
del termine annuale in questione e di un  ulteriore  termine  di  tre
mesi sono dovuti i soli interessi di mora...»; 
        «6.7.- Questa Corte, con la richiamata sentenza  n.  159  del
2019, ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 2,  del  decreto-legge  n.  79  del
1997,  come  convertito,  nella  parte  in  cui  prevede   che   alla
liquidazione dei trattamenti di fine servizio,  comunque  denominati,
l'ente erogatore provveda "decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione
del rapporto di lavoro", nelle ipotesi diverse dalla  cessazione  dal
servizio per raggiungimento dei limiti di eta' o di servizio previsti
dagli ordinamenti di appartenenza [...]. In tale occasione, e'  stata
nondimeno segnalata, quanto alla medesima  normativa,  per  l'effetto
combinato del pagamento differito e rateale delle indennita' di  fine
rapporto nelle ipotesi di raggiungimento dei  limiti  di  eta'  e  di
servizio  o  di  collocamento  a  riposo  d'ufficio   a   causa   del
raggiungimento dell'anzianita' massima  di  servizio,  "l'urgenza  di
ridefinire  una  disciplina  non  priva  di   aspetti   problematici,
nell'ambito di una organica revisione dell'intera  materia,  peraltro
indicata come indifferibile nel recente dibattito parlamentare [...].
Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di
eta' e di servizio, la duplice funzione retributiva  e  previdenziale
delle  indennita'  di  fine  servizio,  conquistate  "attraverso   la
prestazione  dell'attivita'  lavorativa  e  come  frutto   di   essa"
(sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del  Considerato  in  diritto),
rischia  di  essere  compromessa,  in  contrasto   con   i   principi
costituzionali che,  nel  garantire  la  giusta  retribuzione,  anche
differita, tutelano la dignita' della persona umana» (sentenza n. 159
del 2019)»; 
        «6.8.- A tale monito non  ha,  tuttavia,  fatto  seguito  una
riforma specificamente volta a porre rimedio al vulnus costituzionale
riscontrato...»  (seguono  le  considerazioni  relative  alle  misure
alternative messe in capo dal legislatore e dall'I.N.P.S. di  cui  si
e' gia' detto nella parte in fatto  e  di  cui  si  dira'  anche  nel
successivo § 6.2.2.). «Il legislatore non ha,  infatti,  espunto  dal
sistema  il  meccanismo  dilatorio  all'origine   della   riscontrata
violazione,  ne'  si  e'  fatto  carico  della  spesa  necessaria   a
ripristinare l'ordine costituzionale violato, ma ha  riversato  sullo
stesso  lavoratore  il  costo  della  fruizione  tempestiva   di   un
emolumento che, essendo rapportato alla retribuzione  e  alla  durata
del  rapporto  e  quindi,  attraverso  questi  due  parametri,   alla
quantita' e alla qualita' del lavoro, e' parte  del  compenso  dovuto
per il servizio prestato (sentenza n. 106 del 1996)»; 
        «7.- Al vulnus  costituzionale  riscontrato  con  riferimento
all'art.  3,  comma  2,  del  decreto-legge  n.  79  del  1997,  come
convertito, questa Corte non puo', allo stato, porre  rimedio,  posto
che il quomodo delle  soluzioni  attinge  alla  discrezionalita'  del
legislatore. Deve, infatti,  considerarsi  il  rilevante  impatto  in
termini di provvista di cassa che il superamento del differimento  in
oggetto, in ogni caso, comporta; cio' che richiede che sia rimessa al
legislatore  la  definizione  della  gradualita'  con  cui   il   pur
indefettibile intervento deve essere attuato, ad esempio, optando per
una soluzione che, in ossequio ai richiamati principi di  adeguatezza
della retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalita', si sviluppi
muovendo dai trattamenti meno elevati per  estendersi  via  via  agli
altri. 
        7.1.- La discrezionalita' di  cui  gode  il  legislatore  nel
determinare i mezzi e le  modalita'  di  attuazione  di  una  riforma
siffatta deve, tuttavia, ritenersi, temporalmente limitata. 
        La lesione  delle  garanzie  costituzionali  determinata  dal
differimento della corresponsione delle prestazioni in  esame  esige,
infatti,  un  intervento  riformatore  prioritario,  che   contemperi
l'indifferibilita' della reductio ad legitimitatem con la  necessita'
di inscrivere la spesa da essa  comportata  in  un  organico  disegno
finanziario che tenga conto anche degli impegni  assunti  nell'ambito
della precedente programmazione economico-finanziaria. 
        7.2.-In proposito, questa Corte  deve  evidenziare,  come  in
altre analoghe occasioni, «che non  sarebbe  tollerabile  l'eccessivo
protrarsi  dell'inerzia  legislativa  in  ordine  ai  gravi  problemi
individuati dalla presente pronuncia» (da ultimo, sentenza n. 22  del
2022; si vedano anche sentenze n. 120 e n. 32 del 2021)»; 
        «8.-  Accertata  la   necessita'   della   espunzione   della
disciplina concernente tale differimento, va  rilevato,  quanto  alla
previsione del pagamento rateale del trattamento di fine servizio  di
cui all'art. 12, comma 7, del decreto-legge  n.  78  del  2010,  come
convertito - l'altra disposizione censurata - che il sistema cui essa
ha dato luogo, essendo strutturato secondo una progressione  graduale
delle dilazioni, via via piu'  ampie  in  proporzione  all'incremento
dell'ammontare della prestazione, da un lato, calibra  il  sacrificio
economico derivante dalla percezione  frazionata  dell'indennita'  in
modo tale da renderne  esenti  i  beneficiari  dei  trattamenti  piu'
modesti; dall'altro, assicura ai titolari delle indennita'  ricadenti
negli scaglioni via  via  piu'  elevati  la  percezione  immediata  -
rectius: che diverra' immediata solo all'esito della eliminazione del
differimento previsto dall'art. 3, comma 2, del decreto-legge  n.  79
del 1997, come convertito - almeno di  una  parte  della  prestazione
loro spettante. 
        8.1.-  Tuttavia,  questa  Corte   non   puo'   esimersi   dal
considerare che  tale  disciplina  peraltro  connessa,  per  espressa
previsione   della   stessa   norma   censurata,    alle    esigenze,
necessariamente contingenti, di consolidamento dei conti  pubblici  -
in quanto  combinata  con  il  descritto  differimento,  finisce  per
aggravare il vulnus sopra evidenziato». 
    6.2.2. Si deve dunque convenire con il ricorrente sul  fatto  che
nella specie la Corte ha adottato una c.d. sentenza monito, ossia  ha
accertato l'incostituzionalita' delle norme di  legge  sottoposte  al
suo giudizio, ma non l'ha dichiarata formalmente sul presupposto  che
la riforma  organica  della  materia  compete  solo  al  legislatore,
venendo in rilievo vari interessi  di  rango  costituzionale  la  cui
ottimale  composizione  implica  delicate   valutazioni   di   ordine
politico,  relative  anzitutto  al  procacciamento  della   provvista
finanziaria necessaria per ricondurre il  sistema  alla  legittimita'
costituzionale. 
    Ovviamente le c.d. sentenze monito, in assenza di  una  specifica
disposizione costituzionale che ne disegni la relativa disciplina, da
un  lato  non  vincolano  il  legislatore  (non  esiste  infatti  uno
strumento  tecnico  in  forza  del  quale  si  possa   obbligare   il
legislatore ad adeguarsi ad una pronuncia  della  Corte),  dall'altro
lato pongono due questioni  preliminari,  relative,  rispettivamente,
all'accertamento della «inottemperanza» e al termine entro  il  quale
il legislatore avrebbe dovuto adeguarsi. 
    Infatti, in presenza di «sentenze monito» a cui non  abbia  fatto
seguito alcun intervento del legislatore e' necessario verificare  (e
tale verifica compete ovviamente solo alla Corte costituzionale): 
        se si e' effettivamente in presenza di una «inottemperanza» o
se esistono ragioni che giustificano l'inattivita' del legislatore; 
        se tale «inottemperanza» si e' protratta per  un  periodo  di
tempo tale da costituire nella sostanza  un'elusione  delle  pronunce
della Corte. 
    Quanto al primo profilo, e ribadito che le norme applicate  nella
specie dall'I.N.P.S. non risultano ad oggi modificate,  va  osservato
che nella sentenza n. 130 del 2023 la Corte  costituzionale  ha  gia'
evidenziato che le misure finalizzate a consentire all'ex  dipendente
di chiedere anticipazioni del T.F.S. o finanziamenti  bancari  previa
cessione pro solvendo del credito non sono risolutive perche' «...non
apportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si  limitano  a
riconoscere all'avente diritto la facolta' di evitare  la  percezione
differita dell'indennita' accedendo pero'  al  finanziamento  oneroso
delle stesse somme dovutegli a tale titolo...». 
    Il tribunale ritiene dunque che vi siano  fondati  argomenti  per
sostenere che allo stato il  legislatore  non  si  e'  oggettivamente
adeguato alle sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023  (mentre  in
questa sede non sono valutabili eventuali ragioni  che  giustifichino
tale inerzia). 
    Quanto al secondo profilo, per un verso e' del  tutto  ovvio  che
non  si  puo'  pretendere  un  adeguamento  immediato  da  parte  del
legislatore   (stanti   anche   i   tempi   tecnici   necessari   per
l'approvazione  di  una  proposta  di  legge),  per  altro  verso  e'
altrettanto ovvio che le decisioni della Corte, per non  tradursi  di
fatto in grida di manzoniana memoria, debbono essere  ottemperate  in
un tempo ragionevole, che pero' non puo' essere stabilito dal giudice
di merito, ma solo dal giudice delle leggi. 
    6.2.3.  Va  dunque  sollevata  la   questione   di   legittimita'
costituzionale degli  articoli  3,  comma  2,  del  decreto-legge  n.
79/1997,  convertito   nella   legge   n.   140/1997   e   successive
modificazioni ed integrazioni, e 12, comma 7,  del  decreto-legge  n.
78/2010, convertito, con modificazioni, nella  legge  n.  122/2010  e
successive modificazioni ed integrazioni,  per  il  profilo  relativo
all'omesso adeguamento delle norme medesime alle sentenze della Corte
costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, visto che l'inerzia
del legislatore  reitera  la  lesione  sostanziale  del  diritto  del
dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta'
alla percezione  di  una  retribuzione  (in  questo  caso  differita)
sufficiente   e   proporzionata   all'attivita'   lavorativa   svolta
dall'interessato (art. 36 della Costituzione). La lesione sostanziale
discende  dalla  dilazione  temporale  e  dalla   rateizzazione   del
pagamento della somma dovuta, non accompagnate da  un  meccanismo  di
adeguamento degli importi pagati all'andamento dell'inflazione. 
    6.3. Laddove si volesse invece ritenere che le «sentenze  monito»
non vincolano ne' il legislatore ne' la stessa Corte  costituzionale,
vanno nuovamente sollevate  le  medesime  questioni  di  legittimita'
costituzionale delle prefate disposizioni di legge,  nella  parte  in
cui le stesse prevedono - come misure ormai strutturali  e  non  piu'
legate  a   specifiche   emergenze   finanziarie   -   la   dilazione
dell'effettiva erogazione  del  T.F.S.  e  (nell'ipotesi  di  importi
superiori a 50.000,00 euro, come e' nel caso dell'odierno ricorrente)
la rateizzazione dei pagamenti, non accompagnate dalla  rivalutazione
delle somme via via erogate all'ex dipendente  pubblico  cessato  dal
servizio per raggiunti limiti di eta'. 
    Tali disposizioni confliggono con l'art.  36  della  Costituzione
per i profili gia' ampiamente evidenziati dalla Corte  costituzionale
nei §§ 6.4., 6.5., 6.6, 6.8.,  7.,  7.1.,  7.2.,  8.,  e  8.1.  della
sentenza n. 130 del 2023 e riepilogati nel §  6.2.1.  della  presente
ordinanza. 
    7. Per  tutto  quanto  precede,  va  sospeso  il  giudizio  e  va
sollevata la questione di legittimita' costituzionale degli  articoli
3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito nella  legge  n.
140/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, e 12,  comma  7,
del decreto-legge n. 78/2010, convertito,  con  modificazioni,  nella
legge n. 122/2010, e successive modificazioni  ed  integrazioni,  per
contrasto con l'art. 36 della Costituzione, nonche' con  le  sentenze
della Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo  regionale  per  le  Marche  (Sezione
prima): 
        dichiara rilevante per  la  decisione  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale degli  articoli
3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito nella  legge  n.
140/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, e 12,  comma  7,
del decreto-legge n. 78/2010, convertito,  con  modificazioni,  nella
legge n. 122/2010 e  successive  modificazioni  ed  integrazioni,  in
relazione all'art. 36 della Costituzione e alle sentenze della  Corte
costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023; 
        sospende il giudizio e ordina l'immediata trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale; 
        riserva al definitivo  ogni  altra  pronuncia  in  rito,  nel
merito e sulle spese. 
    Ordina alla segreteria di questo  tribunale  di  provvedere  alla
notifica della presente ordinanza a  tutte  le  parti  in  causa,  al
Presidente del Consiglio dei ministri e ai  Presidenti  della  Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Ancona nella camera di consiglio  del  giorno  12
febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati: 
        Concetta Anastasi, Presidente; 
        Gianluca Morri, consigliere; 
        Tommaso Capitanio, consigliere, estensore; 
 
                       Il presidente: Anastasi 
 
 
                                               L'estensore: Capitanio