Reg. ord. n. 55 del 2025 pubbl. su G.U. del 02/04/2025 n. 14
Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche del 15/02/2025
Tra: Filippo Materi C/ Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - INPS
Oggetto:
Previdenza – Impiego pubblico – Trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età – Prevista corresponsione decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro – Riconoscimento del trattamento secondo un meccanismo di rateizzazione, differentemente articolato in base all’ammontare complessivo della prestazione – Denunciate norme che, omettendo di adeguarsi alle sentenze della Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, reiterano la lesione sostanziale provocata dalla dilazione temporale e dalla rateizzazione del pagamento della somma dovuta, senza un meccanismo di adeguamento degli importi pagati all’andamento dell’inflazione – Lesione del diritto del dipendente pubblico, cessato dal servizio per raggiunti limiti di età, alla percezione di una retribuzione, sebbene differita, sufficiente e proporzionata all’attività lavorativa svolta dall’interessato.
Ipotesi in cui si volesse ritenere le sentenze monito non vincolanti per il legislatore: Previdenza – Impiego pubblico – Trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età – Prevista corresponsione decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro – Riconoscimento del trattamento secondo un meccanismo di rateizzazione, differentemente articolato in base all’ammontare complessivo della prestazione – Denunciata disciplina che prevede, come misure oramai strutturali e non più legate a specifiche emergenze finanziarie, la dilazione dell’effettiva erogazione del trattamento di fine servizio e, nell’ipotesi di importi superiori a 50.000 euro, la rateizzazione dei pagamenti non accompagnata dalla rivalutazione delle somme erogate all’ ex dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di età – Lesione del principio di proporzionalità e adeguatezza della retribuzione.
Norme impugnate:
decreto-legge del 28/03/1997 Num. 79 Art. 3 Co. 2
legge del 28/05/1997 Num. 140
decreto-legge del 31/05/2010 Num. 78 Art. 12 Co. 7
legge del 30/07/2010 Num. 122
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 36 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 55 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 febbraio 2025 Ordinanza del 15 febbraio 2025 del Tribunale amministrativo regionale per le Marche sul ricorso proposto da Filippo Materi contro Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS. Previdenza - Impiego pubblico - Trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di eta' - Prevista corresponsione decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro - Riconoscimento del trattamento secondo un meccanismo di rateizzazione, differentemente articolato in base all'ammontare complessivo della prestazione. - Decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modifiche e integrazioni, art. 3, comma 2; decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modifiche e integrazioni, art. 12, comma 7. (GU n. 14 del 02-04-2025) IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LE MARCHE Sezione prima Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale n. 433 del 2024, proposto da Filippo Materi, rappresentato e difeso dall'avvocato Pietro Frisani, con domicilio digitale come da PEC da registri di Giustizia; Contro I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale - Direzione provinciale di Ancona, non costituita in giudizio; I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Floro Flori, Susanna Mazzaferri, Silvana Mariotti, con domicilio digitale come da PEC da registri di Giustizia; Per l'accertamento e la declaratoria del diritto del ricorrente in quanto cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta' in data 30 settembre 2022 a percepire i residui ratei del T.F.S. ancora da corrispondere da parte dell'I.N.P.S. senza dilazioni e senza rateizzazione e per la condanna dell'I.N.P.S. a corrispondere senza dilazione l'intero importo ancora dovuto oltre interessi e rivalutazione dal di' del dovuto sino al saldo, previa dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli articoli 3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito nella legge n. 140/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, e 12, comma 7, del decreto-legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010 e successive modificazioni ed integrazioni, e rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio di I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2025 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 1. Il ricorrente, gia' primo dirigente della polizia di Stato, cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta' con decorrenza dal 30 settembre 2022, agisce in questa sede per conseguire l'accertamento del diritto a percepire il trattamento di fine servizio (di seguito «T.F.S.») in unica soluzione e comprensivo della rivalutazione monetaria. 2. In punto di fatto il dott. Materi espone: il T.F.S. spettantegli e' stato determinato in euro 189.632,64 e, come previsto dall'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito in legge n. 140/1997, e successive modificazioni ed integrazioni, e dall'art. 12, comma 7, del decreto-legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010 e successive modificazioni ed integrazioni, tale somma doveva essere corrisposta in tre tranches, la prima di euro 43.189,79 in pagamento al 1° ottobre 2023, la seconda di euro 41,525,24 in pagamento al 1° ottobre 2024 e la terza di 104.917,61 in pagamento al 1° ottobre 2025 (il ricorrente precisa che alla prima scadenza va aggiunto un ulteriore periodo dilatorio di tre mesi, mentre alla seconda e alla terza va aggiunto un ulteriore periodo dilatorio di trenta giorni); di avere inviato, in data 17 febbraio 2024, alla Presidenza del Consiglio dei ministri e all'I.N.P.S. apposita diffida volta ad ottenere il pagamento del T.F.S. in unica soluzione, invocando i principi di diritto affermati dalla Corte costituzionale con le sentenze di cui si dira' nella parte in diritto. Tale diffida e' rimasta senza esito; alla data di notifica del presente ricorso l'istituto previdenziale aveva provveduto al pagamento della prima tranche del T.F.S. 3. In punto di diritto, il dott. Materi procede anzitutto alla sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento, evidenziando che: l'art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1032/1973 stabiliva in origine che in caso di cessazione dal servizio del dipendente pubblico per raggiunti limiti di eta', l'amministrazione di appartenenza doveva predisporre gli atti tre mesi prima del raggiungimento del limite predetto e inviarli almeno un mese prima al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, il quale era tenuto ad emettere il mandato di pagamento in modo da rendere possibile l'effettiva corresponsione del trattamento «...immediatamente dopo la data di cessazione dal servizio e comunque non oltre quindici giorni dalla data medesima». Quest'ultimo termine e' stato elevato a novanta giorni dall'art. 7, comma 3, della legge n. 75/1980; successivamente l'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, ha rimodulato i tempi di erogazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti ai dipendenti pubblici, prevedendo, nella versione originaria, un termine di sei mesi per la liquidazione del T.F.S. e di ulteriori tre mesi per l'effettivo pagamento; questi termini sono stati modificati dapprima dall'art. 1, comma 22, letteraera a), del decreto-legge n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, e poi dall'art. 1, comma 484, letteraera b), della legge n. 147/2013, di talche' il termine per il pagamento del T.F.S. e' stato elevato da sei a ventiquattro mesi, decorrenti dalla data di cessazione dal servizio. Per il caso di cessazione dal servizio per raggiunti limiti di eta' o di servizio il termine e' stato invece fissato in dodici mesi: alla disciplina sul differimento del pagamento del T.F.S. si e' poi aggiunta quella, introdotta dall'art. 12, comma 7, del decreto-legge n. 78/2010, sulla rateizzazione delle somme dovute al dipendente collocato in quiescenza. In origine la norma stabiliva che il pagamento avvenisse: i) in unica soluzione nel caso in cui il T.F.S. avesse un ammontare complessivo, al lordo delle relative trattenute fiscali, pari o inferiore a 90.000 euro; ii) in due tranches annuali nel caso in cui l'importo del T.F.S. fosse superiore a 90.000,00 euro ma inferiore a 150.000,00 euro; iii) in tre tranches annuali nel caso di T.F.S. avesse un importo superiore a 150.000,00 euro; l'art. 1, comma 484, lettera a), della legge n. 147/2013 ha rimodulato la scansione dei pagamenti prevedendo che il T.F.S. deve essere pagato: i) in unica soluzione nel caso in cui il suo importo sia, al lordo delle ritenute fiscali, pari o inferiore a 50.000,00 euro; ii) in due tranches annuali nel caso in cui l'importo sia superiore a 50.000,00 euro ma inferiore a 100.000,00 euro; iii) in tre tranches annuali nel caso in cui l'importo sia superiore a 100.000,00 euro. Resta sempre in vigore il periodo aggiuntivo di tre mesi per il pagamento della prima tranche. 3.1. Cosi' riepilogata la normativa di riferimento, il ricorrente ricorda poi che, sulla base dell'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 243 del 1993), le indennita' di fine rapporto costituiscono istituti di natura retributiva con funzione previdenziale, tanto nel settore pubblico che in quello privato. Si tratta in particolare di una retribuzione differita, il che vuol dire che il trattamento di fine servizio o rapporto costituisce una componente del compenso che il lavoratore ha conseguito come corrispettivo dell'attivita' lavorativa e che fa parte integrante del suo patrimonio, tanto e' vero che in caso di decesso prematuro del dipendente l'emolumento viene erogato ai congiunti superstiti. Inoltre il T.F.S. spetta a prescindere dalla causa di cessazione del rapporto di lavoro e dall'accertamento dello stato di bisogno dell'avente diritto. I trattamenti di fine servizio sono ispirati al criterio di corrispettivita' e restituiscono al lavoratore, alla cessazione del rapporto, una somma certa e di ammontare ben definito (al riguardo si tiene infatti conto della retribuzione percepita in servizio e della durata del rapporto di lavoro), che viene definitivamente acquisita al suo patrimonio e devoluta per successione legittima o testamentaria in caso di decesso del lavoratore in servizio. L'evoluzione normativa ha ulteriormente ricondotto le indennita' di fine rapporto erogate nel settore pubblico al paradigma comune della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell'ambito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate per il settore privato dall'art. 2120 del codice civile, avendo sia il T.F.R. che il T.F.S. (comunque denominati) la medesima finalita' di accompagnare il lavoratore nella delicata fase dell'uscita dalla vita lavorativa attiva. 3.2. Se le suddette premesse sono corrette, ne discende che il trattamento di fine servizio deve essere erogato con la necessaria tempestivita', questa essendo un corollario indispensabile dei principi di proporzionalita' e adeguatezza della retribuzione sanciti dall'art. 36 della Costituzione. In questo senso, le disposizioni di cui si e' dato conto nel precedente § 3. hanno inciso in maniera rilevante (e negativa) sul fattore tempo, visto che: per un verso, il differimento nella corresponsione del T.F.S. non e' accompagnato dalla rivalutazione monetaria delle somme dovute all'ex dipendente (ma solo dalla previsione del diritto agli interessi legali nel caso in cui il pagamento avvenga successivamente alla scadenza dei termini dilatori previsti dalle norme in commento), il che, soprattutto in periodi di elevata inflazione, riduce in modo consistente il valore reale della somma percepita dall'interessato; per altro verso, i sacrifici imposti agli ex dipendenti collocati a riposo per raggiunti limiti d'eta' o di servizio non possono piu' ritenersi ne' temporanei ne' eccezionali ne' non arbitrari ne' funzionali allo scopo. In effetti, la dilazione dell'erogazione del T.F.S. non e' piu' una misura temporanea e contingente, ma e' divenuta strutturale, per cui le penalizzazioni imposte ai soggetti aventi diritto alla liquidazione del T.F.S. sono divenute irragionevoli e non piu' esigibili. 3.3. Le predette questioni sono state gia' portate all'attenzione del giudice delle leggi, il quale si e' da ultimo pronunciato con le sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023. Nella prima decisione la Corte, pur avendo ribadito i suddetti principi relativi alla natura del trattamento di fine servizio e alla necessita' che lo stesso venga erogato con la necessaria tempestivita', ha dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme richiamate nel precedente § 3. in quanto in quel caso veniva in rilievo una cessazione anticipata dal servizio e dunque le disposizioni in materia di differimento e rateizzazione del T.F.S. sono state ritenute legittime in quanto esse mirano a scoraggiare l'esodo anticipato dei dipendenti pubblici e, in questo senso, le stesse appaiono eque e non discriminatorie. La Corte ha pero' invitato il legislatore a porre mano ad una riforma organica della materia, evidenziando la permanenza di un vulnus dei «... principi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignita' della persona umana». Il legislatore si e' pero' limitato ad introdurre, con l'art. 23 del decreto-legge n. 4/2019, la possibilita' per gli interessati di richiedere il finanziamento di una parte, pari all'importo massimo di 45.000,00 euro, dell'indennita' di fine servizio maturata, garantito dalla cessione pro solvendo del credito avente ad oggetto l'emolumento, dietro versamento di un tasso di interesse fissato dall'art. 4, comma 2, del decreto ministeriale 19 agosto 2020. L'I.N.P.S., dal canto suo, con delibera del consiglio di amministrazione n. 219 del 9 novembre 2022, ha istituito l'anticipazione del T.F.S., prevedendo al riguardo la possibilita' per gli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali di usufruire di un finanziamento pari all'intero ammontare del trattamento maturato e liquido, erogato al tasso di interesse pari all'1% fisso (a cui si aggiungono le spese di amministrazione), sempre dietro cessione pro solvendo della corrispondente quota non ancora esigibile del T.F.S. Con la sentenza n. 130 del 2023 la Corte costituzionale, come detto, e' tornata a pronunciarsi sulle questioni odiernamente controverse, questa volta nell'ambito di un contenzioso incardinato da un dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta'. Va detto anzitutto che la sentenza in commento si pone in continuita' con la suddetta pronuncia del 2019, della quale condivide le premesse concettuali e ripropone le argomentazioni principali; la Corte tuttavia rileva che al monito contenuto nella sentenza n. 159 «...non ha [...] fatto seguito una riforma specificamente volta a porre rimedio al vulnus costituzionale riscontrato...» e, a fronte di tale inerzia, rinnova l'invito al legislatore a provvedervi. Tuttavia le questioni sollevate dal giudice a quo sono state dichiarate inammissibili in quanto «...Al vulnus costituzionale riscontrato con riferimento all'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, questa Corte non puo', allo stato, porre rimedio, posto che il quomodo delle soluzioni attinge alla discrezionalita' del legislatore. Deve, infatti, considerarsi il rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento del differimento in oggetto, in ogni caso, comporta; cio' che richiede che sia rimessa al legislatore la definizione della gradualita' con cui il pur indefettibile intervento deve essere attuato, ad esempio, optando per una soluzione che, in ossequio ai richiamati principi di adeguatezza della retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalita', si sviluppi muovendo dai trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri...». La Corte costituzionale ha dunque concluso precisando nuovamente che per porre rimedio alla situazione sopra evidenziata occorre un intervento del legislatore affinche' si trovi una soluzione che miri a superare il differimento della liquidazione e del pagamento delle indennita' di fine servizio, in ossequio ai principi di adeguatezza della retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalita', e che si sviluppi muovendo dai trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri. 3.4. A questo punto il ricorrente evidenzia che le due pronunce in commento costituiscono un tipico esempio di «sentenze monito», ossia un particolare tipo di decisione invalso nella prassi della Corte, con la quale il giudice delle leggi, rilevato il contrasto di una norma di legge con disposizioni e/o principi costituzionali, non ritiene di poter dichiarare incostituzionali le norme sottoposte al suo esame in quanto esse fanno parte di un ordinamento di settore sul quale non e' possibile intervenire se non con una riforma organica che pero' rientra nelle competenze del legislatore. A seguito della «sentenza monito» la norma primaria, pur riconosciuta incostituzionale, resta in vigore, contrassegnata dallo stigma dell'illegittimita' costituzionale accertata ma non dichiarata, in attesa che il legislatore intervenga per adeguarsi ai rilievi della Corte. Nel caso del T.F.S. sono decorsi ben cinque anni dalla prima «sentenza monito» e oltre un anno dalla seconda, senza che il legislatore abbia adottato alcuna misura idonea a superare i profili di criticita' della normativa che viene in rilievo nel presente giudizio. Al fine di garantire l'effettivita' della tutela, non resta altra soluzione che quella della pronuncia di incostituzionalita', nella specie solo accertata ma non dichiarata dalla Corte. Del resto nella giurisprudenza costituzionale piu' recente non mancano casi analoghi, quali ad esempio quelli trattati nella sentenza n. 40 del 2019 (avente ad oggetto l'art. 73, comma 1, del Testo unico n. 309/1990 e successive modificazioni ed integrazioni), nella sentenza n. 242 del 2019 (in materia di aiuto al suicidio assistito) e la sentenza n. 70 del 2015 (in materia di blocco della rivalutazione automatica per le pensioni superiori a un determinato importo). 3.5. In punto di fatto il ricorrente aggiunge che: quanto alle competenze del legislatore, nel giugno 2024 sono stati presentati due disegni di legge (atti C-1254 e C-1264), che non hanno pero' avuto seguito in ragione del parere negativo espresso dalla Ragioneria generale dello Stato (parere allegato al ricorso); quanto alle competenze dell'I.N.P.S., il meccanismo dell'anticipazione introdotto con la richiamata deliberazione del C.d.A. n. 219/2022 (il quale peraltro ha consentito solo a pochi soggetti di accedere al beneficio stante la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili) e' stato da ultimo abrogato; neanche l'altro istituto introdotto nel 2019 (ossia il finanziamento bancario) e' satisfattivo, anche perche' non esiste alcun obbligo per le banche di contrarre e comunque al beneficio non potrebbero accedere i c.d. cattivi pagatori (in generale, poi, questi strumenti sono stati definiti dalla stessa Corte costituzionale di per se' non idonei a superare i profili di incostituzionalita' delle norme che prevedono la dilazione del pagamento e la rateizzazione del T.F.S.). 4. Il ricorrente deduce quindi che le disposizioni in commento si pongono in violazione dell'art. 36 della Costituzione e dell'art. 1 del Protocollo 1 della C.E.D.U., in quanto: l'art. 36 della Costituzione statuisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. La retribuzione, pertanto, da un lato non deve mai perdere il suo collegamento con la prestazione lavorativa svolta e, dall'altro, deve essere adeguata e sufficiente ai sensi dell'art. 36 della Costituzione, avendo a riguardo non solo alla sua entita', ma anche alla tempestivita' della sua corresponsione. Questi principi, come detto, si applicano anche al T.F.S. in ragione della sua natura di retribuzione differita, funzionale fra l'altro ad accompagnare al lavoratore nel momento delicato della sua uscita dalla vita lavorativa. La Corte costituzionale ha in piu' occasioni ribadito che tutte le misure che incidono sul diritto alla retribuzione per superare il vaglio di costituzionalita' debbono essere giustificare da comprovate ragioni di interesse generale e devono avere efficacia limitata nel tempo (sentenze n. 178 del 2015 e n. 173 del 2016). Nel caso delle modalita' di corresponsione del T.F.S. questi paletterai sono stati ampiamente travalicati, visto che i sacrifici imposti agli aventi diritto al T.F.S. sono ormai divenuti strutturali e non piu' legati ad emergenze finanziarie; per costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Fabian c. Ungheria [GC], n. 78117/13, 5 settembre 2017; Stefanetti, n. 21838/10, 15 settembre 2014) le pensioni e conseguentemente anche il trattamento di fine servizio maturato per effetto della vita lavorativa costituiscono un «bene» ai sensi della Convenzione. Secondo le norme generali applicabili, il diritto matura ed entra a far parte del patrimonio del titolare al momento in cui si soddisfano i requisiti per il pensionamento. Le prestazioni non ancora percepite rientrano nella sfera di applicazione dell'art. 1 Protocollo 1 allegato alla Convenzione, in quanto espressione del diritto, gia' maturato e gia' parte del patrimonio del ricorrente fin dal momento del raggiungimento dei requisiti necessari, e in ogni caso debbono essere considerate espressione di una «legittima aspettativa», esplicitamente riconosciuta e tutelata dal diritto costituzionale interno (Kopecký c. Slovacchia [GC], n. 44912/98, 28 settembre 2004; Plalam SPA c. Italia, n. 16021/02, 8 febbraio 2011). In casi del genere la Corte europea dei diritti dell'uomo verifica se il diritto dell'interessato di beneficiare delle prestazioni previdenziali e pensionistiche sia stato violato in misura tale da comprometterne l'essenza (Domalewski c. Polonia (dec.); Kjartan Asmundsson c. Islanda, § 39; Wieczorek c. Polonia, § 57; Rasmussen c. Polonia, § 75; Valkov e altri c. Bulgaria, §§ 91 e 97; Maggio e altri c. Italia, § 63; Stefanetti e altri c. Italia, § 55). Nel caso del T.F.S. si deve ritenere che, in ragione dell'inerzia del legislatore nell'adeguarsi alle sentenze della Corte costituzionale, il diritto e' stato violato in misura tale da snaturarne il contenuto, sia in ragione della rateizzazione del pagamento, sia alla luce del fatto che la dilazione temporale non e' compensata dalla rivalutazione monetaria delle somme spettanti all'ex dipendente pubblico. Ne consegue che la retribuzione differita viene ad essere di fatto non piu' proporzionata e adeguata rispetto all'attivita' lavorativa svolta e ai contributi versati. Quanto ai presupposti per la remissione della questione alla Corte, il ricorrente evidenzia che nella specie sussistono tanto la non manifesta infondatezza delle censure dedotte (le quali non sarebbero superabili dal giudice di merito per il tramite di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di cui l'I.N.P.S. ha fatto applicazione) quanto la rilevanza (visto che nella vigenza delle norme in commento ne' l'istituto previdenziale ne' il tribunale amministrativo regionale potrebbero riconoscere ad esso ricorrente il diritto a percepire il T.F.S. in unica soluzione e/o la rivalutazione sulle somme via via erogate). 5. Per resistere al ricorso si e' costituito in giudizio l'I.N.P.S., ribadendo la legittimita' del proprio operato alla luce del quadro normativo vigente. La causa e' passata in decisione all'udienza pubblica del 12 febbraio 2025. 6. Il Collegio ritiene che la decisione della causa non possa prescindere dalla previa decisione della Corte costituzionale in merito alla compatibilita' delle norme di legge nella specie applicate a danno del ricorrente con le norme e i principi costituzionali di cui si dira' infra. 6.1. Quanto alla rilevanza delle questioni dedotte si potrebbe in astratto obiettare che il ricorrente avrebbe dovuto contestare la rateizzazione del pagamento sin dalla data di collocamento a riposo o comunque antecedentemente alla percezione della prima tranche del T.F.S. (avvenuta, come detto, nell'ottobre 2023. Per inciso, sul finire del 2024 l'I.N.P.S. ha corrisposto la seconda tranche), visto che alla data di notifica del presente ricorso il pagamento rateizzato di fatto era gia' in essere e che, molto probabilmente, anche la terza tranche sara' versata prima della risoluzione dell'incidente di costituzionalita' e della conseguente definizione dell'odierna controversia. Va di contro evidenziato che: anzitutto, trattandosi di diritti patrimoniali soggetti a prescrizione quinquennale (di cui il giudice amministrativo conosce in sede di giurisdizione esclusiva), il ricorrente non aveva l'onere di agire entro il termine decadenziale; in ogni caso, il dott. Materi censura anche il fatto che le disposizioni impugnate non prevedono che la dilazione del pagamento del T.F.S. sia in qualche modo compensata dalla rivalutazione monetaria delle somme erogate dall'I.N.P.S. Pertanto, laddove la questione di legittimita' costituzionale dovesse essere ritenuta fondata in parte qua, il ricorrente avrebbe diritto a vedersi corrispondere una somma pari alla rivalutazione monetaria degli importi liquidatigli, e questo anche se il presente giudizio dovesse essere definito dopo il 1° novembre 2025. Da ultimo e' appena il caso di ribadire che il dott. Materi e' cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta' e dunque nella specie non trovano applicazione le conclusioni a cui la Corte costituzionale e' pervenuta nella sentenza n. 159 del 2019. La questione e' rilevante in quanto le disposizioni in commento non sono suscettibili di un'interpretazione costituzionalmente orientata, stante il loro inequivoco tenore letteraerale. 6.2. Passando invece a trattare della non manifesta infondatezza, il Collegio osserva quanto segue. 6.2.1. Nella sentenza n. 130 del 2023 il giudice delle leggi, dopo aver ribadito la natura dell'indennita' in questione, ha evidenziato che: «...6.3. Questa Corte deve farsi carico della considerazione che il trattamento di fine servizio costituisce un rilevante aggregato della spesa di parte corrente e, per tale ragione, incide significativamente sull'equilibrio del bilancio statale (sentenza n. 159 del 2019). Non e' da escludersi, pertanto, in assoluto che, in situazioni di grave difficolta' finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione del trattamento di fine servizio. Tuttavia, un siffatto intervento e', anzitutto, vincolato al rispetto del criterio della ragionevolezza della misura prescelta e della sua proporzionalita' rispetto allo scopo perseguito»; «Un ulteriore limite riguarda la durata di simili misure. La legittimita' costituzionale delle norme dalle quali possa scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore e', infatti, condizionata alla rigorosa delimitazione temporale dei sacrifici imposti (sentenza n. 178 del 2015), i quali devono essere «eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso» (ordinanza n. 299 del 1999). 6.4.- Ebbene, il termine dilatorio di dodici mesi quale risultante dall'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, e successive modificazioni, oggi non rispetta piu' ne' il requisito della temporaneita', ne' i limiti posti dai principi di ragionevolezza e di proporzionalita'. A differenza del pagamento differito dell'indennita' di fine servizio in caso di cessazione anticipata dall'impiego - in cui il sacrificio inflitto dal meccanismo dilatorio trova giustificazione nella finalita' di disincentivare i pensionamenti anticipati e di promuovere la prosecuzione dell'attivita' lavorativa (sentenza n. 159 del 2019) - il, sia pur piu' breve, differimento operante in caso di cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di eta' o di servizio non realizza un equilibrato componimento dei contrapposti interessi alla tempestivita' della liquidazione del trattamento, da un lato, e al pareggio di bilancio, dall'altro. Cio' in quanto la previsione ora richiamata ha «smarrito un orizzonte temporale definito» (sentenza n. 159 del 2019), trasformandosi da intervento urgente di riequilibrio finanziario in misura a carattere strutturale, che ha gradualmente perso la sua originaria ragionevolezza»; «6.5.- A cio' deve aggiungersi che la perdurante dilatazione dei tempi di corresponsione delle indennita' di fine servizio rischia di vanificare anche la funzione previdenziale propria di tali prestazioni, in quanto contrasta con la particolare esigenza di tutela avvertita dal dipendente al termine dell'attivita' lavorativa. Non e', infatti, infrequente che l'emolumento in esame venga utilizzato per sopperire ad esigenze non ordinarie del beneficiario o dei suoi familiari, e la possibilita' che tali necessita' insorgano nelle more della liquidazione del trattamento espone l'avente diritto ad un pregiudizio che la immediata disponibilita' dell'importo eviterebbe»; «6.6.- Occorre, ancora, considerare che l'odierno scrutinio di legittimita' costituzionale si innesta in un quadro macroeconomico in cui il sensibile incremento della pressione inflazionistica acuisce l'esigenza di salvaguardare il valore reale della retribuzione, anche differita, posto che il rapporto di proporzionalita', garantito dall'art. 36 della Costituzione, tra retribuzione e quantita' e qualita' del lavoro, richiede di essere riferito «ai valori reali di entrambi i suoi termini» (sentenza n. 243 del 1993). Di conseguenza, la dilazione oggetto di censura, non essendo controbilanciata dal riconoscimento della rivalutazione monetaria, finisce per incidere sulla stessa consistenza economica delle prestazioni di cui si tratta, atteso che, ai sensi dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, allo scadere del termine annuale in questione e di un ulteriore termine di tre mesi sono dovuti i soli interessi di mora...»; «6.7.- Questa Corte, con la richiamata sentenza n. 159 del 2019, ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, nella parte in cui prevede che alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, l'ente erogatore provveda "decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro", nelle ipotesi diverse dalla cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di eta' o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza [...]. In tale occasione, e' stata nondimeno segnalata, quanto alla medesima normativa, per l'effetto combinato del pagamento differito e rateale delle indennita' di fine rapporto nelle ipotesi di raggiungimento dei limiti di eta' e di servizio o di collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianita' massima di servizio, "l'urgenza di ridefinire una disciplina non priva di aspetti problematici, nell'ambito di una organica revisione dell'intera materia, peraltro indicata come indifferibile nel recente dibattito parlamentare [...]. Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di eta' e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennita' di fine servizio, conquistate "attraverso la prestazione dell'attivita' lavorativa e come frutto di essa" (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto), rischia di essere compromessa, in contrasto con i principi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignita' della persona umana» (sentenza n. 159 del 2019)»; «6.8.- A tale monito non ha, tuttavia, fatto seguito una riforma specificamente volta a porre rimedio al vulnus costituzionale riscontrato...» (seguono le considerazioni relative alle misure alternative messe in capo dal legislatore e dall'I.N.P.S. di cui si e' gia' detto nella parte in fatto e di cui si dira' anche nel successivo § 6.2.2.). «Il legislatore non ha, infatti, espunto dal sistema il meccanismo dilatorio all'origine della riscontrata violazione, ne' si e' fatto carico della spesa necessaria a ripristinare l'ordine costituzionale violato, ma ha riversato sullo stesso lavoratore il costo della fruizione tempestiva di un emolumento che, essendo rapportato alla retribuzione e alla durata del rapporto e quindi, attraverso questi due parametri, alla quantita' e alla qualita' del lavoro, e' parte del compenso dovuto per il servizio prestato (sentenza n. 106 del 1996)»; «7.- Al vulnus costituzionale riscontrato con riferimento all'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, questa Corte non puo', allo stato, porre rimedio, posto che il quomodo delle soluzioni attinge alla discrezionalita' del legislatore. Deve, infatti, considerarsi il rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento del differimento in oggetto, in ogni caso, comporta; cio' che richiede che sia rimessa al legislatore la definizione della gradualita' con cui il pur indefettibile intervento deve essere attuato, ad esempio, optando per una soluzione che, in ossequio ai richiamati principi di adeguatezza della retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalita', si sviluppi muovendo dai trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri. 7.1.- La discrezionalita' di cui gode il legislatore nel determinare i mezzi e le modalita' di attuazione di una riforma siffatta deve, tuttavia, ritenersi, temporalmente limitata. La lesione delle garanzie costituzionali determinata dal differimento della corresponsione delle prestazioni in esame esige, infatti, un intervento riformatore prioritario, che contemperi l'indifferibilita' della reductio ad legitimitatem con la necessita' di inscrivere la spesa da essa comportata in un organico disegno finanziario che tenga conto anche degli impegni assunti nell'ambito della precedente programmazione economico-finanziaria. 7.2.-In proposito, questa Corte deve evidenziare, come in altre analoghe occasioni, «che non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi individuati dalla presente pronuncia» (da ultimo, sentenza n. 22 del 2022; si vedano anche sentenze n. 120 e n. 32 del 2021)»; «8.- Accertata la necessita' della espunzione della disciplina concernente tale differimento, va rilevato, quanto alla previsione del pagamento rateale del trattamento di fine servizio di cui all'art. 12, comma 7, del decreto-legge n. 78 del 2010, come convertito - l'altra disposizione censurata - che il sistema cui essa ha dato luogo, essendo strutturato secondo una progressione graduale delle dilazioni, via via piu' ampie in proporzione all'incremento dell'ammontare della prestazione, da un lato, calibra il sacrificio economico derivante dalla percezione frazionata dell'indennita' in modo tale da renderne esenti i beneficiari dei trattamenti piu' modesti; dall'altro, assicura ai titolari delle indennita' ricadenti negli scaglioni via via piu' elevati la percezione immediata - rectius: che diverra' immediata solo all'esito della eliminazione del differimento previsto dall'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito - almeno di una parte della prestazione loro spettante. 8.1.- Tuttavia, questa Corte non puo' esimersi dal considerare che tale disciplina peraltro connessa, per espressa previsione della stessa norma censurata, alle esigenze, necessariamente contingenti, di consolidamento dei conti pubblici - in quanto combinata con il descritto differimento, finisce per aggravare il vulnus sopra evidenziato». 6.2.2. Si deve dunque convenire con il ricorrente sul fatto che nella specie la Corte ha adottato una c.d. sentenza monito, ossia ha accertato l'incostituzionalita' delle norme di legge sottoposte al suo giudizio, ma non l'ha dichiarata formalmente sul presupposto che la riforma organica della materia compete solo al legislatore, venendo in rilievo vari interessi di rango costituzionale la cui ottimale composizione implica delicate valutazioni di ordine politico, relative anzitutto al procacciamento della provvista finanziaria necessaria per ricondurre il sistema alla legittimita' costituzionale. Ovviamente le c.d. sentenze monito, in assenza di una specifica disposizione costituzionale che ne disegni la relativa disciplina, da un lato non vincolano il legislatore (non esiste infatti uno strumento tecnico in forza del quale si possa obbligare il legislatore ad adeguarsi ad una pronuncia della Corte), dall'altro lato pongono due questioni preliminari, relative, rispettivamente, all'accertamento della «inottemperanza» e al termine entro il quale il legislatore avrebbe dovuto adeguarsi. Infatti, in presenza di «sentenze monito» a cui non abbia fatto seguito alcun intervento del legislatore e' necessario verificare (e tale verifica compete ovviamente solo alla Corte costituzionale): se si e' effettivamente in presenza di una «inottemperanza» o se esistono ragioni che giustificano l'inattivita' del legislatore; se tale «inottemperanza» si e' protratta per un periodo di tempo tale da costituire nella sostanza un'elusione delle pronunce della Corte. Quanto al primo profilo, e ribadito che le norme applicate nella specie dall'I.N.P.S. non risultano ad oggi modificate, va osservato che nella sentenza n. 130 del 2023 la Corte costituzionale ha gia' evidenziato che le misure finalizzate a consentire all'ex dipendente di chiedere anticipazioni del T.F.S. o finanziamenti bancari previa cessione pro solvendo del credito non sono risolutive perche' «...non apportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si limitano a riconoscere all'avente diritto la facolta' di evitare la percezione differita dell'indennita' accedendo pero' al finanziamento oneroso delle stesse somme dovutegli a tale titolo...». Il tribunale ritiene dunque che vi siano fondati argomenti per sostenere che allo stato il legislatore non si e' oggettivamente adeguato alle sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023 (mentre in questa sede non sono valutabili eventuali ragioni che giustifichino tale inerzia). Quanto al secondo profilo, per un verso e' del tutto ovvio che non si puo' pretendere un adeguamento immediato da parte del legislatore (stanti anche i tempi tecnici necessari per l'approvazione di una proposta di legge), per altro verso e' altrettanto ovvio che le decisioni della Corte, per non tradursi di fatto in grida di manzoniana memoria, debbono essere ottemperate in un tempo ragionevole, che pero' non puo' essere stabilito dal giudice di merito, ma solo dal giudice delle leggi. 6.2.3. Va dunque sollevata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito nella legge n. 140/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, e 12, comma 7, del decreto-legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 122/2010 e successive modificazioni ed integrazioni, per il profilo relativo all'omesso adeguamento delle norme medesime alle sentenze della Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, visto che l'inerzia del legislatore reitera la lesione sostanziale del diritto del dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta' alla percezione di una retribuzione (in questo caso differita) sufficiente e proporzionata all'attivita' lavorativa svolta dall'interessato (art. 36 della Costituzione). La lesione sostanziale discende dalla dilazione temporale e dalla rateizzazione del pagamento della somma dovuta, non accompagnate da un meccanismo di adeguamento degli importi pagati all'andamento dell'inflazione. 6.3. Laddove si volesse invece ritenere che le «sentenze monito» non vincolano ne' il legislatore ne' la stessa Corte costituzionale, vanno nuovamente sollevate le medesime questioni di legittimita' costituzionale delle prefate disposizioni di legge, nella parte in cui le stesse prevedono - come misure ormai strutturali e non piu' legate a specifiche emergenze finanziarie - la dilazione dell'effettiva erogazione del T.F.S. e (nell'ipotesi di importi superiori a 50.000,00 euro, come e' nel caso dell'odierno ricorrente) la rateizzazione dei pagamenti, non accompagnate dalla rivalutazione delle somme via via erogate all'ex dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta'. Tali disposizioni confliggono con l'art. 36 della Costituzione per i profili gia' ampiamente evidenziati dalla Corte costituzionale nei §§ 6.4., 6.5., 6.6, 6.8., 7., 7.1., 7.2., 8., e 8.1. della sentenza n. 130 del 2023 e riepilogati nel § 6.2.1. della presente ordinanza. 7. Per tutto quanto precede, va sospeso il giudizio e va sollevata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito nella legge n. 140/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, e 12, comma 7, del decreto-legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 122/2010, e successive modificazioni ed integrazioni, per contrasto con l'art. 36 della Costituzione, nonche' con le sentenze della Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche (Sezione prima): dichiara rilevante per la decisione e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito nella legge n. 140/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, e 12, comma 7, del decreto-legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 122/2010 e successive modificazioni ed integrazioni, in relazione all'art. 36 della Costituzione e alle sentenze della Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023; sospende il giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; riserva al definitivo ogni altra pronuncia in rito, nel merito e sulle spese. Ordina alla segreteria di questo tribunale di provvedere alla notifica della presente ordinanza a tutte le parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati: Concetta Anastasi, Presidente; Gianluca Morri, consigliere; Tommaso Capitanio, consigliere, estensore; Il presidente: Anastasi L'estensore: Capitanio