Reg. ord. n. 63 del 2025 pubbl. su G.U. del 16/04/2025 n. 16
Ordinanza del Corte d'appello di Lecce del 13/12/2024
Tra: R. B.
Oggetto:
Processo penale – Impugnazioni – Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per prescrizione – Previsione che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili – Mancata previsione che, analogamente alla norma di cui al comma 1-bis dell’art. 578 cod. proc. pen. se l’impugnazione non è inammissibile, il giudice di appello (o la Corte di cassazione) rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile – Violazione del diritto alla presunzione di innocenza, come declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU e affermato dal diritto dell'Unione europea – Irragionevole disparità di trattamento tra imputati in relazione alla diversa disciplina di cui al comma 1-bis dell’art. 578 cod. proc. con riguardo all’analoga fattispecie dell’improcedibilità dell’azione penale ai sensi dell’art. 344-bis cod. proc. pen.
-Codice di procedura penale, art. 578, comma 1.
-Costituzione, artt. 3, 11, 27, secondo comma, 117, primo comma; Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), art. 6, paragrafo 2; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), art. 48; direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, artt. 3 e 4.
In via subordinata: Processo penale – Impugnazioni – Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per prescrizione – Previsione che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili – Interpretazione del diritto vivente rappresentato dalle sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 35490 del 2009 e n. 36208 del 2024 nella parte in cui si afferma "nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito – Violazione del diritto alla presunzione di innocenza, come declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU e affermato dal diritto dell'Unione europea”.
-Codice di procedura penale, art. 578, comma 1.
-Costituzione, artt. 11 e 117, primo comma; Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), art. 6, paragrafo 2; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), art. 48; direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, artt. 3 e 4.
Norme impugnate:
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 578
Co. 1
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 11
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 2
Costituzione
Art. 117
Co. 1
Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali
Art. 6
Co.
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
Art. 48
Co.
direttiva UE
Art. 3
Co.
direttiva UE
Art. 4
Co.
Udienza Pubblica del 19 novembre 2025 rel. PETITTI
Testo dell'ordinanza
N. 63 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 dicembre 2024
Ordinanza del 13 dicembre 2024 della Corte d'appello di Lecce nel
procedimento penale a carico di R. B..
Processo penale - Impugnazioni - Decisione sugli effetti civili nel
caso di estinzione del reato per prescrizione - Previsione che,
quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna,
anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni
cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di
appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato
per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle
disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti
civili - Mancata previsione che, analogamente alla norma di cui al
comma 1-bis dell'art. 578 cod. proc. pen., se l'impugnazione non e'
inammissibile, il giudice di appello (o la Corte di cassazione)
rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile
competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili
utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle
eventualmente acquisite nel giudizio civile.
In via subordinata: Processo penale - Impugnazioni - Decisione sugli
effetti civili nel caso di estinzione del reato per prescrizione -
Previsione che, quando nei confronti dell'imputato e' stata
pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al
risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte
civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel
dichiarare estinto il reato per prescrizione, decidono
sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi
della sentenza che concernono gli effetti civili - Interpretazione
del diritto vivente rappresentato dalle sentenze delle Sezioni
unite della Corte di cassazione n. 35490 del 2009 e n. 36208 del
2024 nella parte in cui si afferma «nel giudizio di appello avverso
la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei
danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato
per prescrizione, non puo' limitarsi a prendere atto della causa
estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui
criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182
del 2021, ma e' comunque tenuto, stante la presenza della parte
civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o
contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione
nel merito».
- Codice di procedura penale, art. 578, comma 1.
(GU n. 16 del 16-04-2025)
CORTE DI APPELLO DI LECCE
Sezione unica penale
Composta dai sigg.:
dott. Francesco Ottaviano, Presidente;
dott. Giuseppe Biondi, Consigliere rel.;
dott. Luca Colitta, Consigliere.
Letti gli atti del procedimento penale in epigrafe indicato a
carico di:
B. R. , nato a il , residente in al difeso di
fiducia dall'avv. Antonio Maria La Scala del Foro di Bari.
Imputato
del delitto p. e p. dagli articoli 81 e 595, comma 1 e 3, c.p.,
per avere offeso, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno
criminoso, la reputazione di , titolare del « », e candidato
Sindaco di con riferimento al suo impegno politico, pubblicando sul
social network «Facebook» le seguenti frasi: « », « Quando lo
mandi ai convegni spiegagli di chi sta parlando. O non e' compreso
nella tariffa»; «Ma se quello e' ignorante convinto che i voti si
comprano...»
Accertato in , fino al
Parti civili costituite:
, in proprio e quale esercente la potesta' genitoriale sui
minori , , e , eredi dell'originaria
parte civile , nato a ( ) il deceduto in data ,
rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Palazzo del Foro di
Brindisi;
in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata
e difesa dall'avv. Gianmichele Pavone del Foro di Brindisi
Osserva
1. Premessa e svolgimento del processo.
Con sentenza del Tribunale di Brindisi del 22 luglio 2019 B
R veniva ritenuto responsabile del reato ascrittogli, esclusa la
continuazione, e veniva condannato alla pena di euro 1.000,00 di
multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Il
B veniva, altresi', condannato a risarcire il danno alle
costituite parti civili, e , in persona del legale rappresentante
p.t., per la cui liquidazione si rimettevano le parti dinanzi al
giudice civile, ponendo a carico dell'imputato una provvisionale in
favore di ciascuna parte civile di euro 1.000,00, oltre spese di
costituzione.
Avverso la citata sentenza proponeva tempestivo appello il
difensore dell'imputato, censurando la pronuncia sulla base dei
seguenti motivi:
1. Con l'atto di appello si sostiene l'insussistenza del reato
di cui all'art. 595, commi 1 e 3, c.d. per difetto dell'elemento
oggettivo. Il primo giudice avrebbe riconosciuto la penale
responsabilita' dell'imputato con riferimento alle frasi diffamatorie
pubblicate sul social network facebook in data , ritenendolo
autore delle frasi pubblicate sul proprio profilo facebook e rivolte
al nonche' alla , di cui il ne era il titolare. In
particolare, sul detto profilo facebook veniva riportata una
fotografia riproducente in occasione di un evento pubblico avente
ad oggetto la vita e l'impegno polito dell'ex Presidente della
Repubblica Sandro Pertini. In quel periodo era in corso la campagna
elettorale per l'elezione del Sindaco di che vedeva il
fra i candidati, mentre il B sosteneva una diversa coalizione
politica. Nel commentare l'intervento del a tale evento, il B
alludeva al fatto che quest'ultimo aveva confuso l'ex Presidente
Pertini con il noto giurista Vittorio Bachelet e da cio' scaturiva
una discussione pubblica su facebook, nel corso della quale il B ,
rispondendo a tale, scriveva «appunto quando lo mandi ai
convegni spiegagli di chi si sta parlando. O non e' compreso nella
tariffa?» E poi ancora: «ma se quello e' un ignorante convinto che i
voti si comprano e basta che vuoi da me? Tu ti ci sei messa insieme,
mo' tienitelo!». Nel corso di questa conversazione veniva altresi'
resa pubblica dal B un'immagine, frutto di manipolazione,
dell'insegna operante nella commercializzazione di preziosi usati,
su cui era riportata la seguente dicitura « acquistiamo tutti» .
Cio' detto si sostiene che non sarebbe stato provato che le frasi
asseritamente diffamatorie avessero raggiunto un numero
indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone.
Invero, le frasi in questione, essendo dei meri commenti al post
principale, non sarebbero state visibili immediatamente da chiunque
avesse visto il post principale, ma sarebbero state visibili solo da
chi, incuriosito dal leggere i commenti, avesse cliccato sulla parola
«commenta» posta sotto il post principale. Inoltre, il giudice di
prime cure avrebbe erroneamente attribuito le frasi incriminate
all'imputato sulla base di mere prove documentali consistenti nel
deposito di semplici copie della pagina facebook nonche' di mere
prove testimoniali, senza preoccuparsi di cristallizzare la prova
regina consistente nell'accertare il codice ID del profilo e
l'indirizzo IP di provenienza dei post diffamatori. Solo attraverso
questi accertamenti sarebbe stato possibile attribuire al di la' di
ogni ragionevole dubbio le frasi diffamatorie (comprensive anche
della foto manipolata) all'imputato. Peraltro, con riguardo alle
prove testimoniali, nessun teste avrebbe affermato di essere a
conoscenza che le frasi diffamatorie fossero state scritte
direttamente dal B R. I testi avevano solo riferito che le frasi
diffamatorie provenivano dall'account dell'imputato, senza pero'
essere in grado di precisare di avere saputo da terzi o di avere
visto che le stesse fossero state scritte materialmente dal B
R . Si conclude chiedendo in via principale l'assoluzione
dell'appellante dal reato ascrittogli perche' i fatti non sussistono,
quantomeno ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., in quanto la
prova mancherebbe o sarebbe insufficiente; in via subordinata, nel
caso del riconoscimento della penale responsabilita', previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, si chiede di
applicare il minimo della pena edittale.
Le udienze del 15 dicembre 2023 e del 19 aprile 2024, assente
l'imputato, sono state rinviate in attesa della pronuncia delle
Sezioni Unite di cui si dira'.
All'odierna udienza del 13 dicembre 2024, all'esito della
discussione e della Camera di consiglio, e' stata emessa la seguente
ordinanza, di cui si e' data lettura alle parti presenti o da
ritenersi legalmente tali.
2. In punto di rilevanza della questione.
2.1. L'applicazione nel caso di specie dell'art. 578, comma 1,
c.p.p., oggetto delle censure di incostituzionalita'.
Va osservato che il reato ascritto al B e' estinto per
prescrizione a fare data dal 26 agosto 2023, non essendovi periodi di
sospensione del termine prescrizionale ne' in primo ne' in secondo
grado, e cioe' in epoca successiva alla pronuncia della sentenza di
condanna in primo grado e in data antecedente alla prima udienza
tenutasi in appello in data 15 dicembre 2023.
Tuttavia, sono costituite e presenti nel giudizio due parti
civili. In primo grado, il B , riconosciuto colpevole del reato
ascrittogli, e' stato condannato a risarcire il danno nei confronti
delle parti private, da liquidarsi in separata sede, con condanna al
versamento di una provvisionale quantificata in euro 1.000,00 per
ciascuna delle parti civili.
Con l'appello, come visto, si chiede l'assoluzione dell'imputato
anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p. Orbene, ai sensi dell'art.
574, comma 4, c.p.p. l'impugnazione cosi' proposta estende i suoi
effetti alla pronuncia di condanna al risarcimento del danno e alla
rifusione delle spese processuali. Pertanto, questa Corte e' chiamata
a fare applicazione nel caso di specie della norma di cui all'art.
578, comma 1, c.p.p., a mente della quale, «quando nei confronti
dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alle
restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a
favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di
cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per
prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle
disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi
civili» (mentre, ove non fossero stati proposti motivi sulla
responsabilita', neppure civile - ad esempio motivi solo sul
trattamento sanzionatorio, genericamente inteso -, questa Corte non
avrebbe dovuto pronunciarsi sulle statuizioni civili ex art. 578
c.p.p., che sarebbero rimaste, quindi, automaticamente ferme, anche
in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per
prescrizione, in mancanza di doglianze sull'affermazione di
responsabilita': vedi sul punto Cassazione pen. sez. V, 13 novembre
2023, n. 6380/24, fattispecie di ricorso per cassazione, avverso
sentenza di conferma della condanna in appello per delitto di
bancarotta fraudolenta e di condanna al risarcimento del danno, con
il quale si lamentava solo il mancato riconoscimento del beneficio di
cui all'art. 163 c.p., in cui la Cassazione, ritenuto fondato il
motivo, si limitava solo ad annullare senza rinvio la sentenza
impugnata per la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione,
affermando il principio di diritto di cui sopra).
2.2. L'art. 578, comma 1, c.p.p. nell'interpretazione della Corte
costituzionale.
Come e' noto, questa disposizione e' stata oggetto in passato di
dubbi di legittimita' costituzionale, posti proprio da questa Corte
con due ordinanze. La questione venne dichiarata infondata dalla
Corte costituzionale con la nota sentenza n. 182 del 2021.
Si invocava - per il tramite dei parametri interposti di cui agli
articoli 11 e 117, comma 1, Cost. - il principio della presunzione di
innocenza operante nell'ambito dell'ordinamento sia convenzionale
(art. 6, paragrafo 2, CEDU), sia europeo (art. 48 CDFUE, unitamente
agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/343/UE), il quale vieta che
la persona, accusata di avere commesso un reato e sottoposta ad un
procedimento penale conclusosi con proscioglimento (in rito o in
merito), possa poi essere trattata dalle pubbliche autorita' come se
fosse colpevole del reato precedentemente contestatole.
In particolare, tale principio veniva posto in rilievo in
relazione alla fattispecie della prescrizione quale causa di
estinzione del reato (art. 157, primo comma, c.p.), istituto questo
la cui valenza sostanziale e' stata confermata dalla Corte
costituzionale (sentenze n. 140 del 2021 e n. 278 del 2020). Questa
Corte dubitava della conformita' dell'art. 578 c.p.p. al principio
della presunzione di innocenza, come declinato dalla giurisprudenza
CEDU e come risultante dall'ordinamento dell'Unione europea, nella
misura in cui si assumeva che, per decidere sull'impugnazione ai soli
effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono
gli effetti civili, si dovesse accertare, seppure incidenter tantum,
la responsabilita' penale dell'imputato per il reato estinto per
prescrizione e in relazione al quale occorreva, invece, pronunciare
una sentenza di proscioglimento dall'accusa.
La Corte costituzionale, dopo avere ricostruito il quadro
normativa europeo (sia del diritto della CEDU che dell'Unione
europea, alla luce della pertinente giurisprudenza delle due
rispettive Corti - quella di Strasburgo e quella del Lussemburgo -),
passando a verificare se il giudice dell'appello penale, che, in
applicazione della disposizione censurata, e' chiamato a decidere
sull'impugnazione ai soli effetti civili dopo avere dichiarato
l'estinzione del reato, debba effettivamente procedere ad una
rivalutazione complessiva della responsabilita' penale dell'imputato,
nonostante l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione e il
proscioglimento dall'accusa penale, ritenne che, nella situazione
processuale di cui alla disposizione censurata, che vede il reato
essere estinto per prescrizione e quindi l'imputato prosciolto
dall'accusa, il giudice non era affatto chiamato a formulare, sia
pure «incidenter tantum», un giudizio di colpevolezza penale quale
presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della
sentenza impugnata che concernono gli interessi civili.
In particolare, argomento' la Corte, «anzitutto, un tale giudizio
non e' richiesto dal tenore testuale della disposizione censurata
(art. 578 cod. proc. pen.) che, a differenza di quella immediatamente
successiva (art. 578-bis cod. proc. pen. ), non prevede il «previo
accertamento della responsabilita' dell'imputato». Il confronto tra
l'art. 578 e l'art. 578-bis cod proc. pen. e' rilevante proprio al
fine di chiarire l'ambito della cognizione richiesta dalla norma
sospettata di illegittimita' costituzionale. L'art. 578-bis concerne
l'ipotesi in cui la «coda» di accertamento richiesto al giudice
dell'impugnazione penale, in seguito alla sopravvenuta causa
estintiva del reato (per prescrizione o amnistia), che travolge la
condanna emessa nel grado precedente, concerne non gia' gli interessi
civili, ma la sussistenza, o meno, dei presupposti di un
provvedimento avente natura punitiva secondo i canoni interpretativi
della giurisprudenza di Strasburgo. Diversamente dall'art. 578,
infatti, l'art. 578-bis presuppone, ai fini della sua applicazione,
non gia' che nel grado precedente sia stata pronunciata condanna
risarcitoria o restitutoria in favore della parte civile, bensi' che
sia stata ordinata la «confisca in casi particolari» di cui al primo
comma dell'art. 240-bis del codice penale o di altre disposizioni di
legge o la confisca prevista dall'art. 322-ter del codice penale. In
questo caso, pur rilevata la causa estintiva del reato, essendo il
giudice chiamato a valutare i presupposti della conferma, o meno, di
una sanzione di carattere punitivo ai sensi dell'art. 7 CEDU, la
dichiarazione di responsabilita' dell'imputato in ordine al reato
ascrittogli non solo e' consentita, ma e' anzi doverosa, poiche' non
si puo' irrogare una pena senza il giudizio sulla sussistenza di una
responsabilita' personale, sebbene sia sufficiente che tale giudizio
risulti nella «sostanza dell'accertamento» contenuto nella
motivazione della sentenza, non essendo necessario che assuma, in
dispositivo, la «forma della pronuncia» di condanna (sentenza n. 49
del 2015; Corte EDU, sentenza e altri contro Italia). Il dettato
dell'art. 578-bis cod. proc. pen. risponde a tale esigenza, imponendo
al giudice del gravame penale, chiamato a decidere sulla confisca
dopo aver rilevato la' causa estintiva del reato, il «previo
accertamento della responsabilita' dell'imputato». L'art. 578 cod.
proc.pen., invece, non contiene analoga clausola, sicche' l'ambito
della cognizione da esso richiesta al giudice penale ai fini del
provvedimento sull'azione civile, deve essere ricostruito
dall'interprete, il quale, nel condurre l'esegesi convenzionalmente
orientata della norma, ha come parametro convenzionale di riferimento
proprio l'art. 6 CEDU, nella stabile e consolidata interpretazione
datane dalla giurisprudenza di Strasburgo, nonche' l'art. 48 CDFUE.»
Aggiunse, poi, il giudice delle leggi che «tale esegesi - a ben
vedere - non trova ostacolo nella giurisprudenza di legittimita' che
il giudice rimettente richiama a fondamento delle sue censure di
illegittimita' costituzionale con riferimento sia ai rapporti tra
l'immediata declaratoria delle cause di non punibilita' e
l'assoluzione per insufficienza o contraddittorieta' della prova
(artt. 129 e 530, comma 2, cod. proc. pen), sia all'individuazione
del giudice competente per il giudizio di rinvio in seguito a
cassazione delle statuizioni civili (art. 622 cod. proc. pen), sia
all'impugnabilita' con revisione (art. 630, comma 1, lettera c, cod.
proc.pen) della sentenza del giudice di appello di conferma della
condanna risarcitoria in seguito a proscioglimento dell'imputato per
prescrizione del reato. Da una parte il principio di diritto (Corte
di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 maggio - 15
settembre 2009, n. 35490) - secondo cui, in deroga alla regola
generale, il proscioglimento nel merito, in caso di
contraddittorieta' o insufficienza della prova, prevale rispetto alla
dichiarazione immediata di una causa di non punibilita', quando, in
sede di appello, sopravvenuta l'estinzione del reato, il giudice sia
chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio
probatorio ai fini delle statuizioni civili - presuppone, per un
verso, il carattere «pieno» o «integrale» della cognizione del
giudice dell'impugnazione penale (il quale non puo' limitarsi a
confermare o riformare immotivatamente le statuizioni civili emesse
in primo grado, ma deve esaminare compiutamente i motivi di gravame
sottopostigli, avuto riguardo al compendio probatorio e dandone poi
conto in motivazione); per altro verso, non presuppone (ne' implica)
che il giudice, nel conoscere della domanda civile, debba altresi'
formulare, esplicitamente o meno, un giudizio sulla colpevolezza
dell'imputato e debba effettuare un accertamento, principale o
incidentale, sulla sua responsabilita' penale, ben potendo contenere
l'apprezzamento richiestogli entro i confini della responsabilita'
civile (in seguito, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta
penale, sentenza 20 marzo-8 aprile 2013, n. 16155; sezione quarta
penale, sentenze 21-28 novembre 2018, n. 53354 e 16 novembre - 12
dicembre 2018, n. 55519). Piu' in generale la giurisprudenza (Corte
di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 18 luglio - 27
settembre 2013, n. 40109), pronunciandosi sul vizio di motivazione
che puo' inficiare la decisione emessa dal giudice di appello ai
sensi dell'art. 578 cod. proc.pen , ha affermato che, in conseguenza
del rilievo del predetto vizio (e della susseguente cassazione della
sentenza) il rinvio debba essere fatto sempre al giudice civile e non
al giudice penale, in applicazione dell'art. 622 cod. proc.pen ,
proprio in ragione, non gia' del mancato accertamento incidentale
della responsabilita' penale dell'imputato, ma dell'omesso esame dei
motivi di gravame, ove la condanna risarcitoria confermata dal
giudice di appello sia fondata sul mero presupposto della «non
evidente estraneita'» dell'imputato ai fatti di reato contestatigli.
La giurisprudenza successiva ha dato continuita' a tale principio
(Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 14 gennaio - 9
ottobre 2014, n. 42039; sezione sesta penale, sentenze 21 gennaio-6
febbraio 2014, n. 5888 e 23 settembre-6 novembre 2015, n. 44685): la
cognizione del giudice dell 'impugnazione penale, ex art. 578 cod.
proc.pen., e' funzionale alla conferma delle statuizioni civili,
attraverso il completo esame dei motivi di impugnazione volto
all'accertamento dei requisiti costitutivi dell'illecito civile posto
a fondamento della obbligazione risarcitoria o restitutoria. Il
giudice penale dell 'impugnazione e' chiamato ad accertare i
presupposti dell'illecito civile e nient'affatto la responsabilita'
penale dell'imputato, ormai prosciolto per essere il reato estinto
per prescrizione. Ne' cio' e' revocato in dubbio dall'affermata
ammissibilita' della istanza di revisione avverso la pronuncia di
condanna al risarcimento del danno ex art. 578 cod. proc.pen., (Corte
di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 ottobre 2018-7
febbraio 2019, n. 6141). L'ammissibilita' di questa impugnazione
straordinaria e' conseguenza dell'ibridazione delle regole
processuali che rimangono quelle del rito penale anche quando nel
giudizio residua soltanto una domanda civilistica in ordine alla
quale si e' pronunciato il giudice dell'impugnazione ai sensi
dell'art. 578 cod. proc. pen., (in generale, sentenza n. 176 del
2019). Ma dall'applicazione delle regole di rito non puo' inferirsi
che il giudice della revisione ex art. 630 cod. proc. pen., non
diversamente dal giudice d'appello o di cassazione ex art. 578 cod.
proc.pen., debba pronunciarsi sulla responsabilita' penale di chi e'
stato definitivamente prosciolto. La responsabilita', oggetto della
cognizione del giudice, e' pur sempre quella da atto illecito ex art.
2043 del codice civile.»
Escluso, a giudizio della Corte, ogni ostacolo sia nel dato
testuale della disposizione di cui all'art. 578 c.p.p., sia nel
diritto vivente risultante dalla giurisprudenza di legittimita', si
poteva accedere ad un'interpretazione conforme della norma agli
indicati parametri interposti.
E l'interpretazione conforme di cui si faceva promotrice la
Consulta era questa: «il giudice dell'impugnazione penale, nel
decidere sulla domanda risarcitoria, non e' chiamato a verificare se
si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma
incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta
contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la
fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 codice
civile). Con riguardo al «fatto» - come storicamente considerato
nell'imputazione penale - il giudice dell'impugnazione e' chiamato a
valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non gia' se esso
presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica
(commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato,
contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se
quella condotta sia stata idonea a provocare un «danno ingiusto»
secondo l'art. 2043 codice civile, e cioe' se, nei suoi effetti
sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una
situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il
risarcimento del danno. Nel contesto di questa cognizione rilevano
sia l'evento lesivo della situazione soggettiva di cui e' titolare la
persona danneggiata, sia le conseguenze risarcibili della lesione,
che possono essere di natura sia patrimoniale che non patrimoniale.
La mancanza di un accertamento incidentale della responsabilita'
penale in ordine al reato estinto per prescrizione non preclude la
possibilita' per il danneggiato di ottenere l'accertamento giudiziale
del suo diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, la
cui tutela deve essere assicurata, nella valutazione sistemica e
bilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di quella,
per l'imputato, derivante dalla presunzione di innocenza. Il danno
non patrimoniale ha il contenuto chiarito, da tempo, dalla
giurisprudenza (a partire da Corte di cassazione, sezioni unite
civili, sentenze 24 giugno-11 novembre 2008, n. 26972, n. 26793, n.
26794 e n. 26795) e quindi sussiste sia nei casi espressamente
previsti dalla legge al di fuori delle fattispecie di reato (art.
2059 codice civile), sia nei casi di lesione «non bagatellare» di
interessi della persona elevati a valori costituzionali, sia infine,
in tutte le ipotesi di derivazione del pregiudizio da un illecito
civile coincidente con una fattispecie penale (art. 185 cod. pen.).
In quest'ultima ipotesi l'illecito civile, pur fondandosi
sull'elemento materiale e psicologico del reato, tuttavia risponde a
diverse finalita' e richiama un distinto regime probatorio.
L'esigenza di rispetto della presunzione di innocenza dell'imputato
non preclude al giudice penale dell'impugnazione di effettuare tale
accertamento onde liquidare anche il danno non patrimoniale di cui
all'art. 185 cod. pen. La natura civilistica dell'accertamento
richiesto dalla disposizione censurata al giudice penale
dell'impugnazione, differenziato dall'(ormai precluso) accertamento
della responsabilita' penale quanto alle pretese risarcitorie e
restitutorie della parte civile, emerge riguardo sia al nesso
causale, sia all'elemento soggettivo dell'illecito. Il giudice, in
particolare, non accerta la causalita' penalistica che lega la
condotta (azione od omissione) all'evento in base alla regola dell'
«alto grado di probabilita' logica» (Corte di cassazione, sezioni
unite penali, sentenza 10 luglio-11 settembre 2002, n. 30328). Per
l'illecito civile vale, invece, il criterio del «piu' probabile che
non» o della «probabilita' prevalente» che consente di ritenere
adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una
determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi
risultati delle prove dichiarative e documentali, appare piu'
probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi
contraria (in tal senso e' la giurisprudenza a partire da Corte di
cassazione, sezioni unite civili, sentenze 11 gennaio 2008, n. 576,
n. 581, n. 582 e n. 584). L'autonomia dell'accertamento dell'illecito
civile non e' revocata in dubbio dalla circostanza che esso si svolga
dinanzi al giudice penale e sia condotto applicando le regole
processuali e probatorie del processo penale (art. 573 cod. proc.
pen). L'applicazione dello statuto della prova penale e' pieno e
concerne sia i mezzi di prova (sara' cosi' ammissibile e
utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona offesa che
nel processo civile sarebbe interdetta dall'art. 246 cod proc. civ.),
sia le modalita' di assunzione della prova (le prove costituende
saranno cosi' assunte per cross examination ex art. 499 cod.
proc.pen. e non per interrogatorio diretto del giudice), le quali
ricalcheranno pedissequamente quelle da osservare nell'accertamento
della responsabilita' penale: ove ne ricorrano i presupposti, dunque,
il giudice dell'appello penale, rilevata l'estinzione del reato,
potra' - o talora dovra' (Corte di cassazione, sezioni unite penali,
sentenza 28 gennaio - 4 giugno 2021, n. 22065) - procedere alla
rinnovazione dell'istruzione dibattimentale al fine di decidere
sull'impugnazione ai soli effetti civili (art. 603, comma 3-bis, cod.
proc.pen).»
Aggiunse ancora la Corte che «l'approdo dell'interpretazione
logico-sistematica della norma processuale censurata assicura, quanto
al cosiddetto secondo aspetto della presunzione di innocenza, la
conformita' alla richiamata giurisprudenza della Corte di Strasburgo,
la quale, mentre da un lato ha ammonito che, «se la decisione
nazionale sul risarcimento dovesse contenere una dichiarazione che
imputa la responsabilita' penale alla parte convenuta, cio'
solleverebbe una questione che rientra nell'ambito dell'art. 6
[paragrafo] 2 della Convenzione» (Corte EDU, sentenza Pasquini
contro Repubblica di San Marino), dall 'altro lato ha anche avvertito
che l'applicazione del diritto alla presunzione di innocenza in
favore dell'imputato non deve ridondare a danno del diritto della
vittima al risarcimento del danno (in particolare, Corte EDU,
sentenza Ringvold contro Norvegia). Una volta dichiarata la
sopravvenuta causa estintiva del reato, in applicazione dell'art. 578
cod. proc.pen., l'imputato avra' diritto a che la sua responsabilita'
penale non sia piu' rimessa in discussione, ma la parte civile avra'
diritto al pieno accertamento dell'obbligazione risarcitoria: Con la
disposizione censurata il legislatore ha operato un bilanciamento tra
le esigenze sottese all'operativita' del principio generale di
accessorieta' dell'azione civile rispetto all'azione penale (che
esclude la decisione sul capo civile nell'ipotesi di proscioglimento)
e le esigenze di tutela dell'interesse del danneggiato, costituito
parte civile.
Quando il proscioglimento viene pronunciato in grado di appello o
di legittimita', in seguito ad una valida condanna emessa nei gradi
precedenti, la regola dell'accessorieta' (che comporta il sacrificio
dell'interesse della parte civile) subisce dei temperamenti, poiche'
essa continua ad essere applicabile nelle ipotesi di assoluzione nel
merito e di sopravvenienza di cause estintive del reato riconducibili
alla volonta' delle parti (ad esempio remissione di querela), ma non
trova applicazione allorche' la dichiarazione di non doversi
procedere dipenda dalla sopravvenienza di una causa estintiva del
reato riconducibile a prescrizione o ad amnistia, nel qual caso
prevale l'interesse della parte civile a conservare le utilita'
ottenute nel corso del processo, che continua dinanzi allo stesso
giudice penale, sebbene sia mutato l'ambito della cognizione
richiestagli, che va circoscritta alla responsabilita' civile.»
«In conclusione - chioso' il giudice delle leggi - il giudice
dell'impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione),
spogliatosi della cognizione sulla responsabilita' penale
dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato
per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve
provvedere - in applicazione della disposizione censurata -
sull'impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o
annullando la condanna gia' emessa nel grado precedente, sulla base
di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi
dell'illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter
tantum, la responsabilita' dell'imputato per il reato estinto.»
Cosi' interpretato, l'art. 578 c.p.p. non violava il diritto
dell'imputato alla presunzione di innocenza come declinato
nell'ordinamento convenzionale dalla giurisprudenza della Corte EDU e
come riconosciuto nell'ordinamento dell'Unione europea.
2.3. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo
successiva alla sentenza della Corte costituzionale n. 182/2021.
Giova evidenziare che la pronuncia della Corte costituzionale n.
182 del 2021 e' stata oggetto di valutazione da parte della Corte
EDU (vedi Corte EDU 18 novembre 2021, c. Italia; Corte EDU, 15
settembre 2023, c. Italia, sebbene i casi oggetto delle due
sentenze afferissero all'applicazione della fattispecie di cui
all'art. 576 c.p.p.), che ne ha apprezzato l'equilibrio di sistema
tra il principio di accessorieta' dell'azione civile e le esigenze di
tutela dell'interesse del danneggiato, costituitosi parte civile,
evidenziandone la piena compatibilita' con la CEDU.
2.4. La riforma c.d. Cartabia.
L'interpretazione, convenzionalmente e eurounitariamente
considerata, dell'art. 578 c.p.p. proposta dalla Corte costituzionale
e' stata senza dubbio tenuta presente dal legislatore della riforma
c.d. Cartabia nell'apportare le necessarie modifiche in punto di
rapporti tra azione civile e azione penale nell'ambito del processo
penale.
Invero, gia' con la legge n. 134/2021, nell'introdurre il nuovo
istituto dell'improcedibilita' per superamento dei termini di durata
massima del giudizio di impugnazione (art. 344-bis c.p.p.), operativo
in relazione alle impugnazioni aventi ad oggetto reati commessi dal
1° gennaio 2020 (art. 2, comma 3, legge n. 134/2021), il legislatore
si e' preoccupato di disciplinare la fattispecie relativa alla
declaratoria di improcedibilita' inerente un processo nel quale
risulta costituita la parte civile, conclusosi in primo grado con la
condanna dell'imputato anche al risarcimento del danno, inserendo
nell'art. 578 c.p.p. una specifica disposizione (il comma 1-bis
introdotto dall'art. 2, comma 2, lettera b) della legge n. 134/2021).
Il comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p. in origine cosi' prevedeva:
«quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna,
anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni
cagionati dal reato in favore della parte civile, il giudice di
appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile
l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2
dell'art. 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice civile
competente per valore in grado di appello, che decide valutando le
prove acquisite nel processo penale».
Successivamente, in attuazione della delega di cui all'art. 1
comma 13 lettera d) della legge n. 134/2021, il legislatore delegato
(art. 33 del decreto legislativo n. 150/2022) e' intervenuto a
modificare il comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p., ad aggiungervi il
comma 1-ter, e a modificare l'art. 573 c.p.p., aggiungendovi il comma
1-bis.
Nella sua attuale formulazione il comma 1-bis dell'art. 578
c.p.p. cosi' statuisce: quando nei confronti dell'imputato e' stata
pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al
risarcimento dei danni cagionati dal reato in favore della parte
civile, e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli
interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se
l'impugnazione non e' inammissibile, nel dichiarare improcedibile
l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2
dell'art. 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice o alla
sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle
questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e
quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile«. Il comma 1-ter
prevede che «nei casi di cui al comma 1-bis, gli effetti del
sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili
derivanti dal reato, permangono fino a che la sentenza che decide
sulle questioni civili non e' piu' soggetta a impugnazione». L'art.
573, comma 1-bis, c.p.p. cosi' dispone: «quando la sentenza e'
impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la
Corte di cassazione, se l'impugnazione non e' inammissibile, rinviano
per la prosecuzione, rispettivamente al giudice o alla sezione civile
competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove
acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel
giudizio civile». Come chiarito dalle Sezioni Unite (Cass. pen. sez.
un., 25 maggio 2023, n. 38841), quest'ultima disposizione si applica
alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente
ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta
in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in
vigore della predetta disposizione.
Si legge testualmente nella relazione illustrativa che ha
accompagnato l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2022:
«analoga contraddizione sistematica, in ragione del carattere
processuale e impediente della pronuncia di improcedibilita',
produrrebbe una prosecuzione del giudizio di impugnazione ai soli
effetti civili, considerata la natura accessoria dell'azione civile
nel processo penale. A tale ultimo riguardo, peraltro, soccorre un
ulteriore dato sistematico, ricavabile dalla disposizione gia' in
vigore introdotta nel comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p., ad opera
della legge n. 134 del 2021, secondo cui, in caso di condanna per la
responsabilita' civile, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare
improcedibile l'azione penale ai sensi dell'art. 344-bis c.p.p,
rinvia per la prosecuzione al giudice civile. Il legislatore, per
quanto concerne i rapporti tra improcedibilita' e azione civile, ha
quindi scelto di percorrere una «terza via», mediana rispetto alla
soluzione di lasciare al giudice penale il compito di decidere sulla
domanda risarcitoria nonostante l'improcedibilita' e a quella di
imporre una riproposizione della domanda al giudice civile di primo
grado. La scelta punta a ridurre il carico di lavoro del giudice
penale nella fase delle impugnazioni, assicurando il diritto della
parte civile a una decisione sull'azione risarcitoria in tempi non
irragionevoli. In coerenza con tale scelta e con la ratio stessa
della legge n. 134/2021, pertanto, si propone di attuare la delega in
ordine ai rapporti tra improcedibilita' dell'azione penale e azione
civile trasferendo la decisione al giudice civile. L'opzione di
trasferire al giudice civile la decisione sull'impugnazione, dopo la
formazione del giudicato sui capi penali, sviluppa il percorso
esegetico seguito dalla giurisprudenza costituzionale relativa
all'art. 578, comma 1, c.p.p e, quindi, si basa sul presupposto che,
per non incorrere in violazioni della presunzione d'innocenza
dell'imputato, e' necessario restringere l'oggetto di accertamento al
solo diritto del danneggiato al risarcimento del danno, dopo lo
spartiacque del giudicato. E' pertanto ragionevole attribuire il
compito di decidere al giudice civile, in una situazione in cui
devono essere verificati gli estremi della responsabilita' civile,
senza poter accertare nemmeno incidentalmente la responsabilita'
penale. Cio' accade gia', secondo la sentenza costituzionale n. 182
del 2021, nelle ipotesi coperte dall'art. 578, comma 1, c.p.p dove
«il giudice penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non e'
chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale
tipica contemplata dalla norma incriminatrice», ma «se sia integrata
la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 codice
civile)», valutando quindi se la condotta contestata «si sia tradotta
nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente
sanzionabile con il risarcimento del danno». Secondo la Corte
costituzionale, «la mancanza di un accertamento incidentale della
responsabilita' penale in ordine al reato estinto per prescrizione
non preclude la possibilita' per il danneggiato di ottenere
l'accertamento giudiziale del suo diritto al risarcimento del danno,
anche non patrimoniale, la cui tutela deve essere assicurata, nella
valutazione sistemica e bilanciata dei valori di rilevanza
costituzionale al pari di quella, per l'imputato, derivante dalla
presunzione di innocenza» (sent. n. 182/2021, par. 14 m.). Questa
ricostruzione e' stata portata alle logiche conseguenze in sede di
attuazione della direttiva di cui all'art. 1, comma 13, lettera d)
della legge delega, nella parte in cui impone di disciplinare i
rapporti tra l'improcedibilita' dell'azione penale e l'azione civile.
L'art. 578, comma 1-bis, c.p.p. e' stato pertanto modificato,
includendo il riferimento ad «ogni caso» di impugnazione della
sentenza «anche» per gli interessi civili (quindi anche in mancanza
di una pronuncia di condanna alle restituzioni o al risarcimento dei
danni). La «prosecuzione» del processo davanti al giudice civile,
disposta dopo il necessario controllo del giudice penale sull'assenza
di cause d'inammissibilita' dell'impugnazione, non determina effetti
pregiudizievoli per la parte civile o per l'imputato ne' dal punto di
vista cognitivo, in quanto il giudice competente deve decidere tutte
le «questioni civili», con esclusione di quelle penali coperte dal
giudicato (la decisione civile non potrebbe quindi incidere sulla
presunzione d'innocenza), ne' dal punto di vista probatorio, in
quanto restano utilizzabili le prove acquisite nel processo penale,
in contraddittorio con l'imputato, oltre a quelle eventualmente
acquisite nel giudizio civile. Onde salvaguardare anche le cautele
reali che assistono la domanda civile in sede penale, si introduce,
con il nuovo comma 1-ter dell'art. 578 c.p.p., una disposizione che -
in deroga a quanto previsto dall'art. 317, comma 4, c.p.p. (a tal
fine opportunamente interpolato) - prevede, nel caso di trasferimento
dell'azione civile, la persistenza degli effetti del sequestro
conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti
dal reato fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili
non sia piu' soggetta a impugnazione. Inoltre, per attuare la seconda
parte della direttiva di cui alla lettera d), e' stata
conseguentemente disciplinata l'ipotesi dell'impugnazione per i soli
interessi civili, introducendo nel nuovo comma 1-bis dell'art. 573
c.p.p l'innovativa regola del trasferimento della decisione allo
giudice civile, dopo la verifica imprescindibile sulla non
inammissibilita' dell'atto svolta dal giudice penale. Naturalmente,
occorre attribuire il diritto d'impugnare, in prima battuta, come se
si trattasse di un'impugnazione anche agli effetti civili (quindi
come se vi fosse anche l'impugnazione agli effetti penali del p.m. o
dell'imputato), situazione coperta dall'art. 573, comma 1, c.p.p.
L'art. 573, comma 1-bis, c.p.p diventa applicabile dopo che il
giudice penale dell'impugnazione abbia verificato l'assenza
d'impugnazione anche agli effetti penali. Questa scelta del
legislatore delegato determina un ulteriore risparmio di risorse,
nell'ottica di implementare l'efficienza giudiziaria nella fase delle
impugnazioni, e non si pone in conflitto con la giurisprudenza
costituzionale, data la limitazione della cognizione del giudice
civile alle «questioni civili». Il giudice civile non potrebbe
pertanto accertare incidentalmente il tema gia' definito della
responsabilita' penale, neppure nel caso di appello proposto dalla
sola parte civile avverso la sentenza di assoluzione dell'imputato,
con una soluzione normativa che evita i profili d'illegittimita'
ravvisati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 176 del 2019,
rispetto all'eventualita' di un accertamento dell'illecito penale
compiuto in sede civile. Con il rinvio dell'appello o del ricorso al
giudice di l'oggetto di accertamento non cambierebbe, ma si
restringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito
di e' gia' implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale
(l'illecito penale implica l'illecito di). Non vi sarebbe pertanto
una modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal
giudizio penale a quello di. Ragionevolmente, l'eventualita' dovra'
essere prevista dal danneggiato dal reato sin dal momento della
costituzione di parte di, atto che pertanto dovra' contenere
l'esposizione delle ragioni che giustificano «la domanda agli effetti
civili», secondo l'innovata formulazione dell'art. 78, lettera d),
c.p.p. In conseguenza della disciplina dettata per i rapporti fra
improcedibilita' dell'azione penale, azione di e confisca, si
introducono due ulteriori misure al fine di prevenire l'eventuale
prodursi di cause di improcedibilita' e, nel caso in cui le stesse
dovessero comunque verificarsi, evitare il pregiudizio che un ritardo
nella declaratoria di improcedibilita' potrebbe produrre all'azione
della parte di e alle esigenze di pronta attivazione dell'autorita'
giudiziaria compente per le misure di prevenzione.» (relazione
illustrativa pubblica nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n.
245 del 19 ottobre 2022, pag. 329 e ss.).
E' di tutta evidenza l'importanza che ha avuto la sentenza della
Corte costituzionale n. 182 del 2021 nelle scelte operate dal
legislatore della riforma c.d. Cartabia, finalizzate ad attribuire al
giudice di il prosieguo del giudizio di impugnazione ogni volta che
permangono esclusivamente in gioco interessi civili.
In buona sostanza, venuta meno la vicenda penale (vuoi perche'
dichiarata improcedibile l'azione penale ai sensi dell'art. 344-bis
c.p.p., vuoi perche' l'impugnazione risulta proposta solo per gli
interessi civili) il legislatore della riforma c.d. Cartabia ha
previsto che il giudizio prosegue solo per gli interessi civili
dinanzi al giudice di, al fine, da un lato, di sgravare il giudice
penale dalla decisione sull'impugnazione, alleggerendo, in tale modo,
i relativi ruoli di udienza, dall'altra, di salvaguardare la
presunzione di innocenza dell'imputato.
In questo contesto, di rinnovata modulazione dei rapporti tra
azione penale e azione di nell'ambito del processo penale, si
inserisce la sentenza di recente pronunciata dalle Sezioni Unite
(vedi Cassazione pen. sez. un., 28.3.-27 settembre 2024, n. 36208,
c/ ), che costituisce la novita' che ha determinato la necessita'
di ricorrere nuovamente alla Corte costituzionale.
2.5. La sentenza delle Sezioni Unite (Cass. pen. sez. un.
28.3. - 27 settembre 2024, n. 36208).
Come e' noto, con ordinanza dell'8 giugno 2023, la IV Sezione
Penale della Cassazione rimetteva alle Sezioni Unite la questione
inerente al sindacato del giudice di appello e alla regola di
giudizio applicabile a fronte del gravame proposto dall'imputato,
condannato in primo grado anche al risarcimento del danno, che non
abbia rinunciato alla prescrizione. In particolare, la Sezione
rimettente riteneva che, per quanto interpretativa di rigetto, la
sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale costituiva
termine di riferimento non eludibile, poiche' la soluzione adottata
appariva comporre in un ragionevole equilibrio i diversi valori in
gioco, ponendosi nella linea di tendenza anche normativa di una
sempre piu' evidente distinzione tra azione penale e azione di,
mentre la pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. pen. sez. un. 28
maggio 2009, n. 35490) sarebbe stata espressione di un diritto
vivente per il quale la presunzione di innocenza non era chiamata a
svolgere, nell'ambito dei rapporti tra azione penale e azione di, il
ruolo di principio ordinatore, inscrivendosi in un contesto culturale
che trasmetteva all'azione di le regole del giudizio penale in cui
era stata ospitata. Intendendo dissentire dal principio enunciato
dalle Sez. Un. , il collegio rimetteva la questione alle Sezioni
Unite, chiamate a pronunciarsi sul seguente quesito: «se, nel
giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna
dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice,
intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, possa
pronunciare l'assoluzione nel merito anche a fronte di prove
insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio
processual-penalistica dell'oltre ogni ragionevole dubbio, ovvero
debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per
prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la
regola processual-civilistica del piu' probabile che non».
Le Sezioni Unite (vedi Cassazione pen. sez. un. , 28.3.-27
settembre 2024, n. 36208, c/ ), hanno affermato il
seguente principio di diritto: «nel giudizio di appello avverso la
sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni,
il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per
prescrizione, non puo' limitarsi a prendere atto della causa
estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui
criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182
del 2021, ma e' comunque tenuto, stante la presenza della parte di, a
valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la
sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito.»
Il ragionamento delle Sezioni Unite si e' sviluppato partendo da
quanto affermato dalle Sez. Un. . Si legge, invero, nella
sentenza: «le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il contrasto circa
la prevalenza o meno del proscioglimento nel merito rispetto alla
dichiarazione immediata di una causa di non punibilita' nel caso di
contraddittorieta' o insufficienza della prova, hanno espresso il
principio per cui «all'esito del giudizio, il proscioglimento nel
merito, in caso di contraddittorieta' o insufficienza della prova,
non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non
punibilita', salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa
estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la
presenza della parte di, il compendio probatorio ai fini delle
statuizioni civili» . La pronuncia, muovendo dal criterio di
bilanciamento espresso dalla Corte costituzionale (sentenze n. 175
del 1971 e n. 275 del 1990, ordinanze nn. 300 e 362 del 1991) per cui
l'equilibrio del sistema e' garantito dalla possibilita' per
l'imputato di rinunciare alle cause estintive del reato (amnistia o
prescrizione), ha confermato la prevalenza dell'obbligo di immediata
declaratoria delle cause di non punibilita', dovendosi privilegiare
in linea di principio le esigenze di speditezza sottese al disposto
dell'art. 129 c.p.p. Le Sezioni Unite hanno, pero', osservato che
l'enunciato dell'art. 578 cod proc. pen. dischiude, in presenza della
parte di, al giudice di appello la porta della «cognizione piena»;
tale constatazione ha condotto ad affermare il principio, favorevole
all'imputato, della prevalenza, in tal caso, del proscioglimento nel
merito secondo la regola dettata dall'art. 530, commi 1 e 2, c.p.p.
sulle esigenze di speditezza delle quali e' espressione la
declaratoria ai sensi dell'art. 129 cod proc. pen. La pronuncia ha
messo in luce che l'orientamento della giurisprudenza costituzionale,
che aveva indicato nel diritto dell'imputato a rinunciare
all'amnistia e alla prescrizione il punto di equilibrio sul quale
riposa la legittimita' costituzionale dell'art. 129, comma 2, cod
proc. pen. , lasciava in ombra la regola per cui, in presenza della
parte di, il giudice e' tenuto a valutare nel merito, anche al
maturare di una causa estintiva del reato, il compendio probatorio
gia' acquisito ai fini delle statuizioni civili. Cio' rende recessivo
l'obbligo per il giudice di appello di attenersi a canoni di economia
processuale rispetto al dovere di «conoscere» il merito della causa,
aprendo in tal modo il varco alla tutela dei diritti fondamentali
della persona imputata. L'accertamento del diritto al risarcimento
del danno da reato implica, infatti, nel rispetto del
contraddittorio, anche il diritto alla prova contraria, garantito a
livello costituzionale dall'art. 111, terzo comma, Cost. e dall'art.
495, comma 2, codice di procedura penalein conformita' all'art. 6 § 3
lettera d) CEDU. Divenendo recessiva l'esigenza di speditezza del
processo, pur in presenza della causa estintiva e in assenza di
rinuncia dell'imputato ad avvalersi della stessa, e' logico che
riemerga l'imperativo di assolvere l'imputato non solo a fronte
dell'evidenza dell'innocenza, come espressamente previsto dall'art
129, comma 2, c.p.p. , ma anche nel caso in cui, pur essendovi alcuni
elementi probatori a carico, essi siano inidonei a fondare una
dichiarazione di responsabilita' penale secondo la regola di giudizio
di cui al secondo comma dell'art. 530 del codice di rito. Lo sviluppo
argomentativo della sentenza e' integrato dall'ulteriore
constatazione che il parametro dell'evidenza sancito dall'art. 129,
comma 2, c.p.p. , e con esso lo sbarramento a ogni ulteriore
attivita' processuale, non altera il susseguirsi delle fasi
processuali allorche' il fenomeno estintivo emerga, piuttosto che
nella fase istruttoria, in quella decisoria. Prevedendo, dunque,
l'art. 578 c.p.p. il potere di cognizione piena del giudice di
appello alla duplice condizione della presenza della parte di e della
ricorrenza del fenomeno estintivo della prescrizione (o
dell'amnistia), alle medesime condizioni le Sezioni Unite hanno
ammesso l'esito assolutorio, anche ai sensi dell'art. 530, comma 2,
cod, proc. pen. , con prevalenza sulla causa estintiva«. In
definitiva, secondo le Sezioni Unite, «la disposizione dell'art. 578
c.p.p. prevede eccezionalmente, in presenza della parte di, da un
lato, la cognizione piena sull'accusa penale del giudice di appello
pur a fronte di prescrizione maturata; dall'altro, il permanere del
potere di cognizione del giudice di appello sugli interessi civili a
seguito di declaratoria di prescrizione. Nel primo caso, argomentando
dal potere di cognizione piena del giudice di appello in presenza
della parte di, Sez. Un. consente l'assoluzione nel merito per
mancanza o insufficienza della prova, pur essendo maturata la
prescrizione; nel secondo caso, che ha formato oggetto dell'esame
della Corte costituzionale nella sentenza n. 182 del 2021, si tratta
della valutazione della responsabilita' di da parte del giudice
dell'impugnazione penale a seguito di dichiarazione di prescrizione
del reato in appello«.
Dopo avere ripercorso gli argomenti della sentenza della Corte
costituzionale n. 182 del 2021, le Sezioni Unite hanno ritenuto che
non vi fosse incompatibilita' tra le due pronunce (Sez. Un. e
Corte costituzionale n. 182/2021), partendo dal presupposto che «la
sentenza interpretativa di rigetto del Giudice delle leggi pone un
vincolo negativo di interpretazione [...] nel senso che il giudice a
quo non puo' attribuire alla disposizione di legge la portata
esegetica ritenuta non corretta dalla Corte costituzionale, pur
restando libero di optare a favore di differenti soluzioni
ermeneutiche che, ancorche' non coincidenti con quelle della sentenza
interpretativa di rigetto, non collidano con norme e principi
costituzionali».
Pertanto, a parere delle Sezioni Unite, «il vincolo negativo
posto dalla sentenza n. 182 cit. implica che l'art. 578 cod. proc.
pen. non puo' essere interpretato nel senso che l'accertamento della
responsabilita' di da parte del giudice di appello penale, esaurita
la vicenda penale con la declaratoria di prescrizione del reato,
equivalga ad affermazione, sia pur incidenter tantum, di
responsabilita' penale. La ratio della pronuncia della Consulta e'
quella di evitare che, attraverso l'esame del fatto imposto dall'art.
578 cod. proc. pen. ai soli fini delle statuizioni sulla
responsabilita' civile, si giunga ad affermare de facto la
responsabilita' penale, cosi' violando il principio di presunzione di
non colpevolezza. La situazione processuale oggetto della pronuncia
della Consulta riguarda il caso in cui «il giudice dell'impugnazione
(giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della
cognizione sulla responsabilita' penale dell'imputato in seguito alla
declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (o per
sopravvenuta amnistia), deve provvedere - in applicazione della
disposizione censurata - sull'impugnazione agli effetti civili». Il
principio espresso da Sez. U. opera, invece, nel caso in cui
non sia venuta meno per il giudice dell'impugnazione penale la
cognizione sulla responsabilita' penale dell'imputato. In altre
parole, l'esigenza di tutela della presunzione d'innocenza nei
rapporti tra proscioglimento in rito dell'accusa penale e potere
cognitivo del giudice dell'impugnazione sugli interessi civili non si
pone nell'ambito applicativo del principio espresso da Sez. U. ,
concernente la possibilita' per il giudice penale di privilegiare
l'assoluzione nel merito dell'accusa penale sulla declaratoria di
prescrizione, con parallela revoca delle statuizioni civili» .
Concludendo, secondo le Sezioni Unite, «il principio consacrato
in Sez. U. che assicura la piu' ampia tutela del diritto di
difesa, non puo' ritenersi in contrasto con la tutela della
presunzione di innocenza. L'intervento della Consulta pone come punto
fermo che alla pronuncia di estinzione del reato ai sensi dell'art.
578 cod. proc. pen. non possa accompagnarsi, secondo una lettura
convenzionalmente orientata della disposizione, l'affermazione, sia
pure incidentale, della responsabilita' penale dell'autore del danno.
La tesi che fa derivare da tale esegesi il ripudio del principio
espresso da Sez. U. finisce per imporre al giudice di appello la
mera presa d'atto della causa estintiva. Tale ragionamento incorre,
tuttavia, nel paradosso di negare, in virtu' del principio di
presunta innocenza, la possibilita' per il giudice di valutare i
presupposti dell'assoluzione nel merito, che rappresenta l'obiettivo
primario del diritto di difesa. Il Collegio ritiene che, invece, per
le ragioni di non incompatibilita' tra la pronuncia della Consulta e
quella delle Sezioni Unite in precedenza espresse, il vincolo
negativo derivante dall'interprete dalla pronuncia costituzionale non
incida sul principio affermato dalla sentenza . Tanto piu' che
l'imputato potrebbe avere scelto di non rinunciare alla causa
estintiva confidando nel diritto vivente originatosi da tale sentenza
e dalla consolidata giurisprudenza di legittimita' che vi ha fatto
seguito».
Le Sezioni Unite ribadiscono, dunque, che i principi
espressi dalle Sezioni Unite costituiscono «diritto vivente»
(vedi punto 4. del Considerato in diritto».) e ne ribadiscono la
perdurante validita' anche dopo la sentenza n. 182 del 2021 della
Consulta, ritenendo le due pronunce del tutto compatibili tra loro.
Cio' fanno operando un netto distinguo tra i momenti valutativi del
giudice di appello nella fattispecie prevista dall'art. 578 c.p.p.:
in un primo momento, infatti, quello in cui operano i principi
espressi dalle Sezioni Unite , il giudice di appello ha cognitio
plena penale, potendo giungere all'assoluzione dell'imputato, anche
ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., facendo applicazione delle regole
di giudizio del processo penale; in un secondo momento, quello
successivo alla declaratoria di prescrizione del reato, in cui
entrano, invece, in gioco i principi posti dalla sentenza del giudice
delle leggi n. 182/2021, il giudice di appello dismette i panni del
giudice penale per porsi «il cappello del giudice civile» e giudicare
delle residue questioni civili secondo le regole di giudizio proprie
del giudizio civile. In questo secondo momento del giudizio di
impugnazione, svolto secondo il disposto dell'art. 578 c.p.p., il
giudice di appello sarebbe legato al rispetto del vincolo negativo
posto dalla sentenza della Consulta, che implica che l'accertamento
della responsabilita' civile, esaurita la vicenda penale con la
declaratoria di prescrizione del reato, non puo' equivalere ad
affermazione, sia pure incidenter tantum, di responsabilita' penale.
2.6. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
alla luce del «diritto vivente» espresso dalle Sezioni Unite
Calpitano.
La soluzione esegetica percorsa dalle Sezioni Unite non sembra
considerare che i due momenti che integrerebbero il complessivo
giudizio previsto dall'art. 578 c.p.p. non sono formalmente distinti
e svolti in due autonomi procedimenti, dinanzi a due diversi giudici,
che si concludono anche con due distinti provvedimenti. Il giudizio
di appello, considerato nella fattispecie di cui all'art. 578 c.p.p.,
e' unico e si svolge dinanzi alla stessa Corte (di appello o di
cassazione), che manifesta e argomenta la sua conclusiva decisione
con un'unica sentenza.
Secondo il «diritto vivente», ribadito dalle Sezioni Unite
nell'unica sentenza, prevista a conclusione del giudizio di appello
di cui all'art. 578 c.p.p., la Corte, sulla base dell'impugnazione
proposta e nel rispetto del principio devolutivo, deve dapprima
giudicare l'imputato in ordine alla sua responsabilita' penale
secondo le regole proprie del giudizio penale, assolvendolo, se
ricorrono anche i presupposti di cui all'art. 530 cpv. c.p.p., e
invece dichiarando l'estinzione del reato per prescrizione, ove tali
presupposti non ricorrano; quindi, deve occuparsi delle residue
questioni civili secondo le regole proprie del giudizio civile,
teoricamente senza alcun riferimento, neppure incidentale, alla
colpevolezza dell'imputato. Tuttavia, nel momento in cui,
riconoscendo che non vi sono i presupposti per assolvere l'imputato,
anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., la Corte di Appello
dichiara estinto il reato per prescrizione, nella sostanza afferma
che l'imputato avrebbe dovuto essere riconosciuto colpevole al di la'
di ogni ragionevole dubbio. Invero, nella mancata assoluzione (che
sarebbe possibile anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p.) e nella
declaratoria di estinzione del reato per prescrizione e'
necessariamente contenuto un giudizio incidentale di colpevolezza
dell'imputato, che precede e che costituisce il presupposto per poi
giungere ad occuparsi delle residue questioni civili. In buona
sostanza, la conclusiva sentenza del giudizio di appello svoltosi ai
sensi dell'art. 578 c.p.p., nel momento in cui dichiara l'estinzione
del reato per prescrizione, confermando le statuizioni civili,
seguendo il «diritto vivente», finisce con il contenere in se'
necessariamente un giudizio, almeno incidentale, di colpevolezza
dell'imputato.
Non a caso, infatti, le Sezioni Unite, facendo applicazione del
«diritto vivente» espresso dalle Sezioni Unite (e oggi ribadito
dalle Sezioni Unite ), avevano ritenuto, in passato,
«revisionabile» la sentenza di prescrizione, confermativa delle
statuizioni civili, emessa ai sensi dell'art. 578 c.p.p. Invero, a
differenza della mera sentenza dichiarativa della prescrizione del
reato in primo grado, che non puo' mai essere ritenuta sentenza di
«condanna», non comportando l'attribuzione dello status di condannato
nei riguardi dell'imputato, la sentenza di appello che, dichiarando
l'estinzione del reato per prescrizione, confermi le statuizioni
civili, viene ad essere equiparata, nella sostanza, ad una sentenza
di «condanna». Le Sezioni Unite, infatti, hanno affermato
l'ammissibilita', sia agli effetti penali che civili, della revisione
richiesta ai sensi dell'art. 630, comma 1, lettera c), c.p.p., della
sentenza del giudice di appello che, prosciogliendo l'imputato per
l'estinzione del reato dovuta a prescrizione o amnistia, e decidendo
sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi
concernenti gli interessi civili, abbia confermato la condanna al
risarcimento dei danni nei confronti della parte civile (Cass. pen.
sez. un. 25 ottobre 2018, n. 6141/19). Invero, si legge nella
sentenza, nel caso previsto dall'art. 578 c.p.p., come nell'analogo
caso di cui all'art. 578-bis c.p.p., l'imputato va ritenuto
«condannato» sebbene ai soli fini delle statuizioni civili o di
confisca, e, dunque, la relativa sentenza potra' essere oggetto di
revisione; ma questi casi sono radicalmente diversi da quelli in cui
alla sentenza di prescrizione non si accompagna la statuizione civile
o quella di confisca, perche' in questi casi l'imputato non potra'
essere ritenuto un «condannato». «Non puo' quindi dubitarsi - si
legge nella citata sentenza delle Sezioni Unite n. 6141/19 - che la
statuizione di condanna agli effetti civili, pronunciata ai sensi
dell'art. 578, di per se' suscettibile - se ingiusta - di arrecare
pregiudizio all'interessato con riguardo alla sfera patrimoniale,
contenga necessariamente, anche se incidentalmente, una implicita
quanto ineludibile affermazione di responsabilita' tout court
operata, a cognizione piena, in relazione al fatto-reato causativo
del danno, certamente suscettibile di arrecare pregiudizio
all'interessato anche con riguardo alla sfera dei diritti della
personalita'. La contestualita' delle pronunzie di estinzione del
reato e di condanna alle statuizioni civili evidenzia, infatti, la
sussistenza di un inscindibile collegamento tra l'affermazione di
responsabilita' agli effetti civili e la mancata pronunzia
liberatoria, anche nel merito, agli effetti penali, che e' senz'altro
idonea a produrre un apprezzabile pregiudizio al diritto all'onore
dell'imputato, con superamento - in concreto - della presunzione
costituzionale di non colpevolezza».
La Corte costituzionale, con la sentenza interpretativa di
rigetto n. 182 del 2021, aveva ritenuto di superare il problema,
affermando che il principio di diritto sostenuto dalle Sezioni
Unite presupponeva, per un verso, il carattere «pieno» o
«integrale» della cognizione del giudice dell'impugnazione penale (il
quale non poteva limitarsi a confermare o riformare immotivatamente
le statuizioni civili emesse in primo grado, ma doveva esaminare
compiutamente i motivi di gravame sottopostigli, avuto riguardo al
compendio probatorio e dandone conto poi in motivazione), per altro
verso, non presupponeva (ne' implicava) che il giudice, nel conoscere
della domanda civile, dovesse altresi' formulare, esplicitamente o
meno, un giudizio sulla colpevolezza dell'imputato e dovesse
effettuare un accertamento, principale o incidentale, sulla sua
responsabilita' penale, ben potendo contenere l'apprezzamento
richiestogli entro i confini della responsabilita' civile. Cio' non
poteva ritenersi revocato in dubbio dall'affermata ammissibilita'
dell'istanza di revisione avverso la pronuncia di condanna al
risarcimento del danno ex art. 578 c.p.p., giacche' l'ammissibilita'
di questa impugnazione straordinaria si faceva discendere, come
conseguenza, dall'ibridazione delle regole processuali che rimangono
quelle del rito penale, anche quando nel giudizio residua soltanto la
domanda civilistica in ordine alla quale si e' pronunciato il giudice
dell'impugnazione ai sensi dell'art. 578 c.p.p.
In definitiva, secondo la Corte costituzionale, a differenza
dell'art. 578-bis c.p.p., che richiedeva, testualmente, il previo
accertamento della responsabilita' dell'imputato, l'art. 578 c.p.p.
non conteneva analoga clausola, sicche' l'ambito di cognizione da
esso richiesta al giudice penale ai fini del provvedimento
sull'azione civile doveva essere ricostruito dall'interprete, nel
rispetto dell'art. 6 CEDUe dell'art. 48 CDFUE, come interpretati
dalle rispettive Corti. «Con l'art. 578 c.p.p. (affermava la
Consulta) il legislatore aveva operato un bilanciamento tra le
esigenze sottese all'operativita' del principio generale di
accessorieta' dell'azione civile rispetto all'azione penale (che
esclude la decisione sul capo civile nell'ipotesi di proscioglimento)
e le esigenze di tutela dell'interesse del danneggiato, costituito
parte civile. Quando il proscioglimento viene pronunciato in grado di
appello, o di legittimita', in seguito ad una valida condanna emessa
nei gradi precedenti, la regola dell'accessorieta' (che comporta il
sacrificio dell'interesse della parte civile) subisce dei
temperamenti, poiche' essa continua ad essere applicabile nelle
ipotesi di assoluzione nel merito e di sopravvenienza di cause
estintive del reato riconducibili alla volonta' delle parti (ad
esempio remissione di querela), ma non trova applicazione allorche'
la dichiarazione di non doversi procedere dipenda dalla
sopravvenienza di una causa estintiva del reato riconducibile a
prescrizione o amnistia, nel quale caso prevale l'interesse della
parte civile a conservare le utilita' ottenute nel corso del
processo, che continua innanzi allo stesso giudice penale, sebbene
sia mutato l'ambito di cognizione richiestagli, che va circoscritta
alla responsabilita' civile». Questo passo della sentenza n. 182 del
2021 non sembra consentire con riguardo all'art. 578 c.p.p. il
duplice giudizio previsto dal «diritto vivente», cosi' come ritenuto
dalle Sez. Un. _ Ma sembrerebbe rappresentare semplicemente che le
esigenze di tutela della parte civile soccombono a fronte del
proscioglimento nel merito in appello (in un giudizio in cui,
evidentemente, non e' maturata la causa estintiva del reato per
prescrizione o amnistia), ovvero di sopravvenienza di cause estintive
del reato riconducibili alla volonta' delle parti (ad esempio,
remissione di querela), ipotesi distinte da quella di cui all'art.
578 c.p.p., dove, cosi' testualmente la Consulta, «il giudice
dell'impugnazione penale (giudice di appello o Corte di tassazione),
spogliatosi della cognizione sulla responsabilita' penale
dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato
per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve
provvedere - in applicazione della disposizione censurata -
sull'impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o
annullando la condanna gia' emessa nel grado precedente, sulla base
di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi
dell'illecito civile, senza potere riconoscere, neppure incidenter
tantum, la responsabilita' dell'imputato per il reato estinto».
In buona sostanza, nell'interpretazione convenzionalmente e
eurounitariamente conforme offerta dalla Consulta della disposizione
di cui all'art. 578, comma 1, c.p.p. il giudice di appello,
constatata l'estinzione del reato per prescrizione o amnistia
(constatazione che non dovrebbe essere preceduta da alcuna verifica
in ordine alla responsabilita' penale dell'imputato), deve compiere
un unico giudizio, avente il carattere pieno ed integrale, rispetto
all'impugnazione proposta, ma avente ad oggetto non piu' la
responsabilita' penale dell'imputato, bensi' la responsabilita'
civile, secondo le regole proprie del giudizio civile.
La Cassazione, pero', nel suo piu' alto Consesso, ha ribadito il
«diritto vivente» espresso dalle Sezioni Unite , che, come visto,
ritengono che, nella fattispecie di cui all'art. 578 c.p.p., il
giudice dell'impugnazione, che giudica con cognitio piena come
giudice penale, deve accertare se l'imputato possa essere assolto dal
reato ascrittogli, eventualmente ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p.,
e, quindi, ove cio' non ritenga, e, dunque, ove ritenga,
implicitamente o incidentalmente, che l'imputato sarebbe colpevole,
al di la' di ogni ragionevole dubbio, deve dichiarare estinto il
reato per prescrizione e occuparsi, secondo le regole proprie del
giudizio civile, delle residue questioni civili Cosi' facendo, pero',
nel momento in cui il giudice dell'impugnazione passa ad occuparsi
delle residue questioni civili, non puo' evitare di incorrere nella
violazione dell'art. 6, comma 2, CEDU e negli agli articoli 3 e 4
della direttiva 2016/UE/343 e art. 48 della CDFUE, avendo dovuto, in
precedenza, escludere la possibilita' di assolvere l'imputato e,
quindi, avendo dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione sul
presupposto della sua colpevolezza.
Cosi' ricostruito il sistema, deve osservarsi che, benche'
estinto il reato contestato al B per prescrizione, la presenza
della parte civile, in uno con i motivi di appello, tutti incentrati
sull'assenza di penale responsabilita' in capo all'appellante,
obbligherebbero questa Corte, sulla base del «diritto vivente»
riaffermato dalle Sezioni Unite , ad una preliminare rivalutazione
piena della responsabilita' «penale» del B in ordine allo stesso
fatto-reato contestatogli, peraltro, sulla base del medesimo
materiale probatorio avuto a disposizione dal giudice di prime cure,
sia pure ai fini, eventualmente, ove non sussistenti i presupposti
per la sua assoluzione, anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., di
confermare o meno le statuizioni civili disposte dal primo giudice.
E' rilevante, pertanto, la questione della conformita' di tale
sistema e, in particolare, dell'art. 578, comma 1, c.p.p., che di
esso e' la trasfusione normativa, relativamente al diritto
fondamentale al rispetto della presunzione di innocenza di cui
all'art. 6 comma 2 CEDU, cosi' come declinato dalla giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo, da intendersi come
parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost.
Peraltro, la questione assume rilevanza anche in ordine alla
conformita' del sistema sopra delineato e, quindi, dell'art. 578,
comma 1, c.p.p., rispetto al diritto dell'Unione europea, e, in
specie, in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343
e art. 48 CDFUE, anche in questo caso letti come parametri interposti
degli articoli 11 e 117 Cost.
Infine, la questione appare rilevante anche rispetto ai parametri
interni costituzionali di cui agli articoli 3 e 27, comma 2, Cost.,
in relazione alla diversa disciplina predisposta dal legislatore
della riforma c.d. Cartabia con il comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p.
riguardo all'analoga fattispecie dell'improcedibilita' dell'azione
penale ai sensi dell'art. 344-bis c.p.p.
3. In punto di non manifesta infondatezza della questione.
3.1. Rispetto all'art. 6, comma 2, CEDU quale parametro
interposto dell'art. 117, comma 1, Cost.
Vanno richiamati i principi gia' positivamente apprezzati dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021.
Come e' noto, l'art. 6, comma 2, CEDU tutela il «diritto alla
presunzione di innocenza fino a prova contraria». Considerata come
una garanzia procedurale nel contesto di un processo penale, la
presunzione di innocenza impone requisiti relativi, tra l'altro,
all'onere della prova, alle presunzioni legali di fatto e di diritto,
al privilegio contro l'autoincriminazione, alla pubblicita'
preprocessuale e alle espressioni premature, da parte della Corte
processuale o di altri funzionari pubblici, della colpevolezza di un
imputato (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno
Unito, § 93; Corte EDU, grande camera, 11 giugno 2024, Nealon e
Hallam c. Regno Unito, § 101).
Tuttavia, in linea con la necessita' di assicurare che il diritto
garantito dall'art. 6, comma 2, CEDU sia pratico e effettivo, la
presunzione di innocenza ha anche un altro aspetto. Il suo scopo
generale, in questo secondo aspetto, e' quello di proteggere le
persone che sono state assolte da un'accusa penale, o nei confronti
delle quali e' stato interrotto un procedimento penale, dall'essere
trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorita' come se fossero di
fatto colpevoli del reato contestato (cfr. Corte CEDU, grande camera,
12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 94; Corte EDU, grande camera,
28 giugno 2018, c. Italia, § 314; Corte EDU, grande camera, 11 giugno
2024, Nealon e Hallam c. Regno Unito, §§ 102 e 108).
Come espressamente indicato nell'articolo stesso, l'art. 6, comma
2, CEDU si applica quando una persona e' accusata di un reato. La
Corte europea dei diritti umani ha ripetutamente sottolineato che si
tratta di un concetto autonomo, che deve essere interpretato secondo
i tre criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza, i noti Engel
criteria (Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi).
Per valutare qualsiasi denuncia ai sensi dell'art. 6, comma 2, CEDU,
che insorga nell'ambito di un procedimento giudiziario, e'
innanzitutto necessario accertare se il procedimento contestato
comporti la determinazione di un'accusa penale, ai sensi della
giurisprudenza della Corte (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013,
Allen c. Regno Unito, § 95).
Tuttavia, nei casi che riguardano il secondo aspetto della
protezione offerta dall'art. 6, comma 2, CEDU, che si verifica quando
il procedimento penale e' terminato, e' chiaro che l'applicazione di
tale criterio e' inappropriata. In questi casi, il procedimento
penale si e' necessariamente concluso e, a meno che il successivo
procedimento giudiziario non dia luogo a una nuova imputazione penale
ai sensi della Convenzione, se l'art. 6 comma 2 CEDU e' impiegato,
deve esserlo per motivi diversi (Corte EDU, grande camera, 12 luglio
2013, Allen c. Regno Unito, § 96).
Sotto questo profilo, la Corte EDU e' stata chiamata a
considerare l'applicazione dell'art. 6, comma 2, CEDU alle decisioni
giudiziarie prese a seguito della conclusione del procedimento
penale, a titolo di interruzione o dopo un'assoluzione, in
procedimenti riguardanti, tra l'altro, l'imposizione di una
responsabilita' civile per il pagamento di un risarcimento alla
vittima (vedi Corte EDU 11 febbraio 2003, Ringvold c. Norvegia; Corte
EDU 15 maggio 2008, Orr c. Norvegia; Corte EDU 19 aprile 2011, Erkol
c. Turchia; Corte EDU 12 aprile 2012, Lagardere c. Francia). Nella
gia' citata causa Allen c. Regno Unito, la Corte EDU ha formulato il
principio della presunzione di innocenza nel contesto del secondo
aspetto dell'art. 6, comma 2, CEDU sostanzialmente affermando che la
presunzione di innocenza significa che, in presenza di un'accusa
penale e di un procedimento penale conclusosi con un'assoluzione, la
persona che e' stata oggetto del procedimento penale e' innocente
agli occhi della legge e deve essere trattata in modo coerente con
tale innocenza. In tale senso, pertanto, la presunzione di innocenza
permarra' anche dopo la conclusione del procedimento penale, al fine
di garantire che, per quanto riguarda qualsiasi accusa non provata,
l'innocenza della persona in questione sia rispettata. Questa
preoccupazione prioritaria e' alla base dell'approccio della Corte in
merito all'applicabilita' dell'art. 6, comma 2, CEDU in questi casi.
Ogniqualvolta la questione dell'applicabilita' dell'art. 6, comma 2,
CEDU si pone nel contesto di un procedimento successivo, il
richiedente deve dimostrare l'esistenza di un legame, come sopra
indicato, tra il procedimento penale concluso e il procedimento
successivo. Tale legame e' probabile che sussista, ad esempio, quando
il procedimento successivo richiede l'esame dell'esito del
procedimento penale precedente e, in particolare, quando obbliga il
giudice ad analizzare la sentenza penale; a procedere a un esame o a
una valutazione delle prove contenute nel fascicolo penale; a
valutare la partecipazione del ricorrente ad alcuni o a tutti gli
eventi che hanno portato all'accusa penale; a commentare le
indicazioni esistenti sulla possibile colpevolezza del richiedente.
Cio' posto, la Corte europea dei diritti umani e' stata chiamata
ad occuparsi di un caso (Pasquini c. San Marino, n. 23349/17,
sentenza della III Sezione della Corte EDU del 20 ottobre 2020) del
tutto sovrapponibile a quello in esame in questo procedimento. Si
trattava di un caso in cui il ricorrente, condannato in primo grado,
non solo penalmente ma anche a risarcire il danno nei confronti della
costituita parte civile, in sede di appello si vedeva dichiarare
estinto il reato per prescrizione, con conferma delle statuizioni
civili, sulla base dell'art. 196-bis del c.p.p. sanmarinese, che
cosi' recita: «quando l'imputato e' stato condannato a reintegrare le
cose o a risarcire alla parte civile i danni causati da un reato -
anche se il danno e' ancora da quantificare - il giudice di appello,
che dichiara il reato prescritto, decide sulle eccezioni relative
agli obblighi derivanti dal reato, ai' sensi dell'art. 140 del c.d.».
Il ricorrente adiva la Corte dei diritti umani lamentando la
violazione dell'art. 6, comma 2, CEDU.
Ebbene la Corte europea, ribadendo i consolidati principi sopra
riportati, riteneva innanzitutto applicabile nel caso di specie il
disposto dell'art. 6, comma 2, CEDU. Invero, il procedimento penale
si era concluso in appello con l'interruzione del procedimento per
prescrizione. In conseguenza dell'art. 196-bis del c.p.p.
sanmarinese, lo stesso giudice dell'appello penale che si pronunciava
sull'imputazione penale era anche competente a decidere il
risarcimento dovuto alla vittima. Tuttavia, la determinazione del
risarcimento alla vittima era una fase successiva all'interruzione
del procedimento penale. In quella fase, il giudice dell'appello
penale era tenuto ad analizzare i precedenti accertamenti penali e ad
avviare una revisione o una valutazione delle prove contenute nel
fascicolo penale. Egli doveva anche valutare la partecipazione del
ricorrente ad alcuni o a tutti gli eventi che avevano portato
all'accusa penale e commentare le indicazioni esistenti sulla
possibile colpevolezza del richiedente. Dunque, esisteva un nesso tra
le due determinazioni (vedi § 38 della sentenza Corte EDU 20 ottobre
2020, Pasquini c. San Marino).
I giudici di Strasburgo ribadivano che il secondo aspetto della
tutela della presunzione di innocenza entra in gioco quando il
procedimento penale si conclude con un risultato diverso da una
condanna, sicche' senza una tutela che garantisca il rispetto
dell'assoluzione o della decisione di interruzione in qualsiasi altro
procedimento, le garanzie del processo equo di cui all'art. 6, comma
2, CEDU rischiano di diventare teoriche o illusorie. Cio' che e' in
gioco, una volta terminato il procedimento penale, e' anche la
reputazione della persona e il modo in cui essa viene percepita dal
pubblico. In una certa misura, la protezione offerta dall'art. 6,
comma 2, CEDU a questo riguardo puo' sovrapporsi alla protezione
offerta dall'art. 8 CEDU (vedi ancora Corte EDU, grande camera, 28
giugno 2018, e altri c. Italia, § 314). Con riguardo a
dichiarazioni successive alla cessazione del procedimento penale non
con sentenza di assoluzione, ma comunque senza che l'imputato sia
stato precedentemente dimostrato colpevole secondo la legge, risulta
violata la presunzione di innocenza se una decisione giudiziaria che
lo riguarda riflette un'opinione di colpevolezza. In questi casi, il
linguaggio utilizzato dal giudice sara' di fondamentale importanza
per valutare la compatibilita' della decisione e la sua motivazione
all'art. 6, comma 2, CEDU. Nei casi di richieste di risarcimento
civile presentate dalle vittime, indipendentemente dal fatto che il
procedimento si sia concluso con l'interruzione o con l'assoluzione,
la Corte sottolineava che, sebbene l'esonero dalla responsabilita'
penale debba essere rispettato nel procedimento di risarcimento
civile, non dovrebbe precludere l'accertamento della responsabilita'
civile per il pagamento del risarcimento derivante dagli stessi fatti
sulla base di un onere probatorio meno rigoroso. Tuttavia, se la
decisione nazionale sul risarcimento dovesse contenere una
dichiarazione di responsabilita' penale della parte convenuta, cio'
solleverebbe una questione rientrante nell'ambito dell'art. 6, comma
2, CEDU. In particolare, la Corte riteneva che la presunzione di
innocenza fosse violata in situazione in cui i Tribunali avevano
ritenuto «chiaramente probabile» che il ricorrente avesse commesso un
reato o avevano espressamente indicato che le prove disponibili erano
sufficienti per stabilire che era stato commesso un reato (vedi §§ da
49 a 53 della citata sentenza Pasquini c. San Marino).
Facendo applicazione dei su riportati principi, la Corte
esaminava il caso, notando che: 1) la causa civile era stata trattata
nell'ambito del procedimento penale; 2) la determinazione del giudice
dell'appello penale che riguardava proprio gli stessi fatti imputati
al ricorrente nel corso del procedimento penale era stata effettuata
senza alcuna distinzione circa la qualificazione giuridica; 3) il
giudice dell'appello penale si era dovuto basare sulle stesse prove
esistenti nel fascicolo penale e non erano state presentate nuove
prove; 4) il giudice dell'appello penale, pur facendo una propria
valutazione di tali fatti, aveva confermato la constatazione di fatto
del giudice penale di prima istanza e aveva proceduto a confermare
l'ordine di risarcimento del danno senza intraprendere alcuna
considerazione rilevante per quanto riguarda l'ammontare di tale
danno, basandosi pertanto interamente sulla sentenza di primo grado;
5) il giudice dell'appello penale aveva basato la sua decisione sulla
constatazione che la parte civile aveva subito un danno dagli atti
posti in essere dal ricorrente, che corrispondevano al reato
imputatogli e, quindi, il giudice dell'appello penale aveva stabilito
in modo inequivocabile che le azioni del ricorrente corrispondevano
agli atti criminali di cui era stato accusato, andando ancora oltre,
dichiarando esplicitamente che il ricorrente aveva commesso tali atti
con dolo (cfr. §§ da 59 a 62).
E' vero che il ricorrente era gia' stato dichiarato colpevole in
prima istanza. Tuttavia, aggiungevano i giudici di Strasburgo, la
giurisprudenza della Corte non distingueva tra i casi in cui le
accuse venivano sospese perche' cadute in prescrizione prima di
qualsiasi accertamento penale e quelli che venivano sospese per lo
stesso motivo dopo una prima constatazione di colpevolezza. Pertanto,
affermava la Corte, le constatazioni di prima istanza, che non sono
definitive, non possono condizionare le determinazioni successive e
la Corte ribadiva che si dovrebbe esercitare una maggiore cautela nel
formulare il ragionamento in una sentenza civile dopo l'interruzione
del procedimento penale (§ 63).
In conclusione, siccome le parole usate dal giudice dell'appello
penale nel decidere in materia di risarcimento erano tali che
rappresentavano il comportamento del ricorrente come riconducibile
agli atti criminali che gli erano stati imputati, rispetto ai quali
non vi era alcun dubbio sull'esistenza del dolo, queste parole
equivalevano ad una dichiarazione inequivocabile che il ricorrente
avesse commesso un reato, e cio' non era coerente con la cessazione
delle relative imputazioni a causa della scadenza del termine di
prescrizione. Conseguenzialmente la Corte riscontrava la violazione
dell'art. 6, comma 2, CEDU (§ 64).
I principi espressi nella sentenza Corte EDU, 20 ottobre 2020,
Pasquini c. San Marino, costituiscono «diritto consolidato» (secondo
quanto ritenuto da Corte costituzionale n. 49/2015; d'altra parte,
come sottolinea la Corte europea dei diritti umani, «le sue sentenze
hanno tutte lo stesso valore giuridico. Il loro carattere vincolante
e la loro autorita' interpretativa non possono pertanto dipendere dal
collegio giudicante che le ha pronunciate»: vedi Corte EDU, grande
camera, 28 giugno 2018, c. Italia, § 252), ricollegandosi
invero ad una consolidata e datata giurisprudenza europea (oltre alle
sentenze sopra citate si veda anche Corte EDU, 4 giugno 2013,
Teodor c. Romania, e, con riguardo alla natura pregiudizievole per il
diritto alla presunzione di innocenza di un decreto di archiviazione
per prescrizione del reato, che presentava l'indagato come colpevole,
si veda Corte EDU, 29 gennaio 2019, Stirmanov c. Russia, e ancora
Corte EDU, 3 ottobre 2019, Fleischner c. Germania; di recente,
ancora, si richiama la sentenza Corte EDU, 10 ottobre 2024,
Machalicky c. Repubblica Ceca, sempre in un caso di sentenza con la
quale veniva dichiarata la prescrizione del reato, in cui ).
La fattispecie appena descritta, oggetto della sentenza c.
San Marino, peraltro, si attaglia perfettamente al caso in esame,
poiche' l'art. 578 c.p.p., per come interpretato dal «diritto
vivente» da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite , risulta
formulato in termini del tutto simmetrici all'art. 196-bis del c.p.p.
di San Marino.
Non e' possibile, pertanto, procedere ad un'interpretazione
convenzionalmente conforme dell'art. 578 c.p.p., cosi' come peraltro
formulata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021,
ammettendo che il giudice di appello, constatata l'estinzione del
reato per prescrizione e l'impossibilita' di assolvere l'imputato ai
sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., limitandosi a descrivere uno
stato di sospetto, che non violerebbe di per se' l'art. 6, comma 2,
CEDU (vedi Corte EDU 26 marzo 1996, Leutscher c. Paesi Bassi), possa
valutare le residue questioni civili facendo applicazione delle
regole di giudizio del giudizio civile, senza neppure incidentalmente
pronunciarsi sulla responsabilita' penale dell'imputato. Secondo
l'interpretazione della Cassazione, e cioe' del «diritto vivente», il
giudice di appello, prima di dichiarare l'estinzione del reato per
prescrizione, deve compiere un esaustivo apprezzamento della
responsabilita' dell'imputato, alla luce dell'impugnazione proposta,
eventualmente anche assolvendolo ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p.,
sicche', ove a tale ultima conclusione non giunga, con il dichiarare
estinto il reato per prescrizione, deve affermarne implicitamente la
colpevolezza, poiche' nella sostanza la sentenza emessa ai sensi
dell'art. 578 c.p.p. e' una sentenza di condanna suscettibile anche
di revisione.
Sotto questo profilo, il tentativo delle Sezioni Unite di
rendere compatibili i principi affermati dalle Sezioni Unite con
l'interpretazione, convenzionalmente e eurounitariamente conforme,
patrocinata dal giudice delle leggi con la sentenza n. 182/2021 non
sembra cogliere nel segno per le ragioni gia' ampiamente esposte.
A fronte del «diritto vivente», ribadito dalle Sezioni Unite
, non essendo possibile interpretare in maniera convenzionalmente
conforme l'art. 578 c.p.p., secondo quanto stabilito a partire dalle
c.d. sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 2007 della Corte
costituzionale, e' necessario sollevare nuovamente incidente di
costituzionalita' della predetta norma per contrasto con gli articoli
6, comma 2, CEDU e 117, comma 1, Cost. nella parte in cui stabilisce
che il giudice dell'appello penale, che dichiara estinto per
prescrizione il reato per cui e' intervenuta in primo grado condanna,
e' tenuto a decidere sull'impugnazione agli effetti delle
disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi
civili.
Spetta, infatti, alla Corte costituzionale intervenire, a fronte
del «diritto vivente», nell'impossibilita' di un'interpretazione
convenzionalmente conforme della norma di diritto interno in
contrasto con la CEDU, che procedera' al necessario bilanciamento
degli interessi e dei diritti fondamentali in gioco.
3.2. Rispetto al diritto dell'Unione europea e segnatamente agli
articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e all'art. 48 della Carta
dei diritti fondamentali dell'U.E., quali parametri interposti degli
articoli 11 e 117, comma 1, Cost.
Volendo esaminare la questione anche sul piano del diritto
dell'U.E., anche in questo caso vanno richiamati i riferimenti gia'
positivamente apprezzati dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 182 del 2021.
In particolare, deve osservarsi che l'Unione europea ha emanato
da tempo, ai sensi dell'art. 82 § 2 lettera b) TFUE, una specifica
direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di
innocenza (la direttiva del Parlamento e del Consiglio 2016/UE/343
del 9 marzo 2016, entrata in vigore il 1° aprile 2016, con obbligo di
recepimento fino al 1° aprile 2018; la direttiva e' stata recepita
nel nostro ordinamento con decreto legislativo n. 188/2021).
Nel dettaglio, l'art. 3, rubricato «Presunzione di innocenza»,
stabilisce che gli Stati Membri assicurano che agli indagati e
imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando
non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza. All'art. 4,
rubricato «Riferimenti in pubblico alla colpevolezza», si afferma che
gli Stati Membri adottano le misure necessarie per garantire che,
fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata
legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da
autorita' pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle
sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Cio'
lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a
dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato e le decisioni
preliminari di natura procedurale adottate da autorita' giudiziarie o
da altre autorita' competenti e fondate sul sospetto o su indizi di
reita'. Il Considerando 11 chiarisce che la direttiva si applica ai
procedimenti penali nell'accezione data dall'interpretazione della
Corte di Giustizia UE, fatta salva la giurisprudenza della Corte EDU.
Il Considerando 16 della direttiva chiarisce che la presunzione di
innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da
autorita' pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla
colpevolezza presentassero l'indagato o imputato come colpevole fino
a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tali
dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare
l'idea che una persona sia colpevole. Cio' dovrebbe lasciare
impregiudicati gli atti della pubblica accusa che mirano a dimostrare
la colpevolezza dell'indagato o imputato, come l'imputazione, nonche'
le decisioni giudiziarie in conseguenza delle quali decorrono effetti
di una pena sospesa, purche' siano rispettati i diritti della difesa.
Dovrebbero, altresi', restare impregiudicate le decisioni preliminari
di natura procedurale, adottate da autorita' giudiziarie o da altre
autorita' competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reita',
quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare, purche' non
presentino l'indagato o imputato come colpevole. Prima di prendere
una decisione preliminare di natura procedurale, l'autorita'
competente potrebbe prima dover verificare che vi siano sufficienti
prove a carico dell'indagato o imputato tali da giustificare la
decisione e la decisione potrebbe contenere un riferimento a tali
elementi. Il Considerando 17 della direttiva precisa che per
«dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita' pubbliche» dovrebbe
intendersi qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato
proveniente da un'autorita' coinvolta nel procedimento penale che ha
ad oggetto tale reato, quali le autorita' giudiziarie, di polizia e
altre autorita' preposte all'applicazione della legge, o da un'altra
autorita' pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo
restando che cio' lascia impregiudicato il diritto nazionale in
materia di immunita'. Ai sensi dell'art. 13 della direttiva nessuna
disposizione della stessa puo' essere interpretata in modo da
limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali garantiti
dalla carta dei diritti fondamentali UE, dalla CEDU, da altre
pertinenti disposizioni di diritto internazionale o dal diritto di
qualsiasi Stato membro che assicurino un livello di protezione piu'
elevato.
Come ha definitivamente chiarito la Corte di Giustizia UE (vedi
Corte di Giustizia UE, I Sez., 13 giugno 2019, causa C-646/17, ,
punti da 29 a 37), le direttive emanate ai sensi dell'art. 82, § 2,
comma 1, TFUE, si applicano a qualunque procedimento penale,
indipendentemente dal fatto che abbia o meno una dimensione
transnazionale, nel senso di avere ad oggetto materie penali aventi
dimensione transnazionale. Di conseguenza, devono essere tenute
presenti in qualsiasi procedimento penale. Cio' comporta, come logico
corollario, l'applicazione della Carta dei diritti fondamentali UE,
ai sensi dell'art. 51, § 1, della medesima, che stabilisce che le
disposizioni della Carta si applicano agli Stati Membri
esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'U.E. (Corte di
Giustizia UE, 26.2.2013, causa C-617/10, Akerberg Fransson, punto
17). Pertanto, nell'attuazione del diritto dell'U.E. non si puo'
prescindere dall'art. 48 della CDFUE, e, siccome la Carta e'
equiparata ai Trattati (art. 6, § 1, TUE) e ne ha lo stesso valore
giuridico, ne consegue che trattasi di diritto primario dell'UE.
Dunque, tutti i principi espressi dalla Corte EDU con riguardo
alla presunzione di innocenza sancita dall'art. 6, comma 2, CEDU,
possono ritenersi pienamente viventi ed operanti anche in ambito UE
attraverso la citata direttiva e l'art. 48 della CDFUE (tenuto conto
che il diritto alla presunzione di innocenza in esso sancito,
conformemente all'art. 52, paragrafo 3, della CDFUE, ha significato e
portata identici allo stesso diritto garantito dalla CEDU), con la
conseguente possibilita' di disapplicare le norme interne che
dovessero porsi in contrasto con le norme UE aventi efficacia
diretta.
Peraltro, trattandosi di questione che coinvolge diritti
fondamentali che godono tutela sia in ambito UE che interno (vedi
art. 27 Cost.), la relativa questione puo' essere sottoposta
all'attenzione anche della Corte costituzionale, ai sensi degli
articoli 11 e 117, comma 1, Cost., come chiarito da Corte
costituzionale sentenze nn. 269/2017, 20/2019, 63/2019 e, da ultimo,
181/2024.
Secondo la Corte di Giustizia UE (vedi Corte di Giustizia UE, II
Sez., 5 settembre 2019, causa C-377/18, Ah e altri), ai sensi
del'art. 4, § 1, prima frase, della direttiva 2016/UE/343, gli Stati
membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per garantire
che, segnatamente, le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla
colpevolezza non presentino un indagato o un imputato come colpevole
fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata.
Secondo il Considerando 16 tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie
non dovrebbero rispecchiare l'idea che una persona sia colpevole.
Nonostante l'art. 4, § 1, della citata direttiva lasci agli Stati
membri un margine di discrezionalita' per l'adozione delle misure
necessarie ai sensi di detta disposizione, resta il fatto che, come
si evince dal Considerando 48 di tale direttiva, il livello di tutela
previsto dagli Stati membri non dovrebbe mai essere inferiore alle
norme della Carta o della CEDU, segnatamente quelle sulla presunzione
di innocenza. A tale riguardo, sottolinea la Corte del Lussemburgo
(vedi punto 41), occorre rilevare che la presunzione di innocenza e'
sancita dall'art. 48 della CDFUE, il quale, come risulta dalle
spiegazioni relative a quest'ultima, corrisponde all'art. 6, commi 2
e 3, CEDU. Ne consegue che, conformemente all'art. 52, § 3, della
Carta, ai fini dell'interpretazione dell'art. 48 di quest'ultima
occorre prendere in considerazione l'art. 6, commi 2 e 3, CEDU, quale
soglia di protezione minima. Sicche', in assenza di indicazioni
precise nella direttiva 2016/UE/343 e nella giurisprudenza relativa
all'art. 48 della CDFUE su come debba stabilirsi se una persona sia
presentata o meno come colpevole in una decisione giudiziaria, ai
fini dell'interpretazione dell'art. 4, § 1, della direttiva
2016/UE/343 occorre ispirarsi alla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti dell'uomo relativa all'art. 6, comma 2, CEDU (punto 42:
nel caso di specie la Corte di Giustizia UE, proprio rifacendosi ad
un precedente della Corte EDU, riteneva che l'art. 4 della direttiva
dovesse essere interpretato nel senso che non ostasse a che un
accordo nel quale l'imputato riconosce la propria colpevolezza in
cambio di una riduzione di pena, e che deve essere approvato da un
giudice nazionale, menzioni espressamente quali coautori del reato
non soltanto tale imputato ma anche altre persone imputate in un
procedimento separato, che procede ordinariamente, a condizione, da
un lato, che tale menzione sia necessaria per la qualificazione della
responsabilita' giuridica dell'imputato che ha concluso l'accordo,
dall'altro, che il medesimo accordo indichi chiaramente che tali
altre persone sono imputate in un procedimento penale distinto e che
la loro colpevolezza non e' stata legalmente accertata; in altra
sentenza - Corte di Giustizia UE, I Sez., 19 settembre 2018, causa
C-310/18 PPU, Milev -, la Corte ha affermato che l'art. 4, § 1, della
direttiva 2016/UE/343 deve essere letto alla luce del Considerando
16, secondo il quale il rispetto della presunzione di innocenza non
pregiudica le decisioni riguardanti, ad esempio, la custodia
cautelare, purche' non presentino l'indagato o imputato come
colpevole. Ai sensi dello stesso Considerando, prima di prendere una
decisione preliminare di natura procedurale, l'autorita' competente
potrebbe anzitutto dovere verificare che vi siano sufficienti prove a
carico dell'indagato o imputato tali da giustificare la decisione e
quest'ultima potrebbe contenere un riferimento a tali elementi. Da
quanto precede risulta che, nell'ambito dei procedimenti penali, la
direttiva in questione e, in particolare, i suoi articoli 3 e 4, § 1,
non ostano all'adozione di decisioni preliminari di natura
procedurale, come una decisione di mantenere una misura di custodia
cautelare adottata da un'autorita' giudiziaria, fondate sul sospetto
o su indizi di reita', purche' tali decisioni non presentino la
persona detenuta come colpevole).
Alla luce di cio', si dubita della conformita' al diritto UE
dell'art. 578 c.p.p., come interpretato dal «diritto vivente», da
ultimo ribadito dalla sentenza delle Sezioni Unite .
Anche in questo caso, eventuali bilanciamenti con altri interessi
o diritti tutelati dall'ordinamento U.E. (con riguardo, ad esempio,
alla parte civile «vittima» del reato, come si evince dall'art. 16
della direttiva 2012/UE/29), spettano alla Corte costituzionale.
Al riguardo, vanno richiamate le argomentazioni con le quali la
Corte costituzionale, nella sentenza n. 12 del 2016, relativamente
alle questioni sollevate in ordine alla legittimita' costituzionale
dell'art. 538 c.p.p. nella parte in cui non consente al giudice
penale di condannare l'imputato al risarcimento del danno in favore
della parte civile in caso di proscioglimento per qualsiasi causa,
compreso il vizio totale di mente, ha superato i profili riguardanti
l'asserita violazione anche del diritto dell'U.E.
Invero, si legge testualmente nella sentenza: «non giova,
altresi', alle tesi del giudice a quo il richiamo alla direttiva 25
ottobre 2012, n. 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,
che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e
protezione delle vittime di reato: richiamo destinato, peraltro, a
fungere da mero argomento di supporto delle altre doglianze, non
avendo il rimettente evocato i parametri costituzionali che
imporrebbero - in ipotesi - l'adeguamento dell'ordinamento italiano
alle istanze sovranazionali richiamate (ossia gli articoli 11 e 117,
primo comma, Cost.). Al riguardo, e' sufficiente osservare che
l'obbligo degli Stati membri - sancito dall'art. 16, paragrafo 1,
della citata direttiva - di garantire alla vittima «il diritto di
ottenere una decisione in merito al risarcimento da parte dell'autore
del reato nell'ambito del procedimento penale entro un ragionevole
lasso di tempo», risulta espressamente subordinato alla condizione
che «il diritto nazionale [non] preveda che tale decisione sia
adottata nell'ambito di un altro procedimento giudiziario». Il che e'
proprio quanto si verifica, secondo l'ordinamento italiano,
nell'ipotesi in esame».
Conclusivamente, va anche rilevato che, contrariamente a quanto
sostenuto dalle Sezioni Unite (vedi punto 8 del Considerato in
diritto), la protezione giuridica offerta al diritto di difesa
dell'imputato dall'interpretazione dell'art. 578, comma 1, c.p.p.
resa dal «diritto vivente» rappresentato dalle Sezioni Unite
non appare per nulla maggiore di quella offerta dalla CEDU e dal
diritto dell'Unione europea, atteso che espone l'imputato ad un
improprio giudizio di colpevolezza tutte le volte in cui, per la
maturata estinzione del reato per prescrizione, di tale aspetto della
vicenda giudiziaria il giudice di appello non dovrebbe piu' curarsi.
Invero, si ribadisce, pur a fronte della maturata prescrizione, le
Sezioni Unite obbligano il giudice dell'impugnazione, sulla base
del principio devolutivo, ad una preliminare ed approfondita
valutazione degli aspetti penali della vicenda, che puo' condurre
all'assoluzione dell'imputato, ma anche alla sua implicita
affermazione di colpevolezza. La «medaglia», dunque, deve essere
osservata da entrambe le facce e non limitarsi a quella
apparentemente piu' favorevole.
3.3. Rispetto agli artt. 3 e 27, comma 2, Cost.
L'intervento correttivo della Corte costituzionale potrebbe
tradursi nella declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 578,
comma 1, c.p.p. per come interpretato dal «diritto vivente», cosi' da
attribuire cogenza ai principi affermati nella sentenza
interpretativa di rigetto n. 182/2021 (ed e' l'ipotesi subordinata
che si prospetta alla Corte).
Tuttavia, una simile soluzione rischierebbe di non tenere conto
dell'evoluzione legislativa che c'e' stata in conseguenza proprio
della sentenza n. 182 del 2021 e della diversa architettura di
sistema scaturita dalla riforma c.d. Cartabia circa i rapporti tra
azione penale e azione civile nell'ambito del processo penale, che
vale la pena di riassumere brevemente.
Invero, si e' visto che, con riguardo all'istituto
dell'improcedibilita' di cui all'art. 344-bis c.p.p., il legislatore
ha ritenuto di percorrere una strada diversa da quella di cui
all'art. 578, comma 1, c.p.p. Infatti, quando nei confronti
dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alla
restituzione o al risarcimento del danno, cagionato dal reato, a
favore della parte civile, con la declaratoria di improcedibilita' il
giudice di appello (o la Corte di cassazione), verificata
l'ammissibilita' dell'impugnazione, deve rinviare per la prosecuzione
del giudizio al giudice o alla Sezione civile competente nello stesso
grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove
acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel
giudizio civile (art. 578, comma 1-bis, c.p.p.). A fondamento di tale
opzione normativa sono state poste certamente ragioni di
alleggerimento del carico di lavoro delle Corti penali, ma anche, se
non soprattutto, la necessita' di sviluppare il percorso esegetico
seguito dalla giurisprudenza costituzionale relativa all'art. 578,
comma 1, c.p.p., che si basa sul presupposto che, per non incorrere
in violazioni della presunzione d'innocenza dell'imputato, e'
necessario restringere l'oggetto di accertamento al solo diritto del
danneggiato al risarcimento del danno, dopo lo spartiacque del
giudicato. E' stato, pertanto, ritenuto ragionevole attribuire il
compito di decidere al giudice civile, in una situazione in cui
devono essere verificati gli estremi della responsabilita' civile,
senza poter accertare nemmeno incidentalmente la responsabilita'
penale.
E' certamente vero che l'istituto dell'improcedibilita' opera sul
piano processuale (vedi Cassazione pen. sez. V, 5 novembre 2021, n.
334/22, anche se, sottolinea la Cassazione, «l'inquadramento
"processuale" della norma di cui all'art. 344-bis c.p.p. non esclude
che l'istituto abbia anche ripercussioni sostanziali, anche connesse
all'indubbia novita' dell'istituto che di fatto rileva in plurimi
ambiti, ma esse rilevano quale mero effetto consequenziale
all'improcedibilita' dell'azione alla scadenza del termine fissato
dal legislatore per la durata "ragionevole" del giudizio di
impugnazione»: vedi punto 4.1.3. del Considerato in diritto),
estinguendo l'azione penale, mentre quello della prescrizione opera
sul piano sostanziale, estinguendo il reato. Tuttavia, ai fini che
qui interessa, e cioe' ai fini della tutela della presunzione di
innocenza come tutelata in ambito costituzionale (art. 27, comma 2,
Cost.) ed europeo (CEDU e diritto dell'UE), in entrambi i casi le
pronunce determinano una interruzione del giudizio penale, senza
essere giunti all'accertamento definitivo della responsabilita'
penale dell'imputato. In tutti e due i casi sorge un'esigenza di
tutela del diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza, come
detto, tutelata in ambito interno ed europeo, sicche', appare del
tutto irragionevole una disparita' di trattamento tra le due
fattispecie (l'una - l'improcedibilita' - applicabile in relazione
alle impugnazioni aventi ad oggetto reati commessi dopo il 1° gennaio
2020 - l'altra - la prescrizione - operante in ordine alle
impugnazioni aventi ad oggetto reati commessi fino al 31 dicembre
2019).
D'altra parte, come la prescrizione, anche l'improcedibilita' di
cui all'art. 344-bis c.p.p. e' rinunciabile da parte dell'imputato
(art. 344-bis, comma 7, c.p.p.). Pertanto, in relazione alla
fattispecie di cui all'art. 578, comma 1-bis, c.p.p., come non esiste
un diritto dell'imputato, che non ha chiesto la prosecuzione del
processo, ma che ha impugnato la sentenza di condanna, anche al
risarcimento del danno, a fini penali, ad una cognizione piena della
sua responsabilita' penale, cosi' non si giustifica, sulla base del
«diritto vivente» ribadito da Sezioni Unite , che l'imputato,
che non ha rinunciato alla prescrizione, ma che ha impugnato la
sentenza di condanna, anche al risarcimento del danno, a fini penali,
debba godere della possibilita' di una valutazione piena della sua
responsabilita' penale da parte del giudice di appello, semplicemente
per la presenza della costituita parte civile. A tale fine, infatti,
e' sufficiente ad assicurare il diritto di difesa dell'imputato
(nonche' il suo diritto alla presunzione di innocenza) la previsione
di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p., che gli assicura, in qualsiasi
stato e grado del processo, l'assoluzione in presenza di evidenza
della prova di innocenza. Il diritto, invece, ad un esame pieno della
sua responsabilita' penale, imposto dal «diritto vivente», non solo
appare del tutto irragionevole e ingiustificato, a fronte
dell'analogo istituto di cui all'art. 344-bis c.p.p. e della
previsione di cui al comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p., ma appare
foriero di potenziali conseguenze pregiudizievoli sotto il profilo
della tutela del diritto alla presunzione di innocenza, poiche',
nell'ipotesi in cui il giudice di appello ritenga che non sussistano
i presupposti per assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 530 cpv.
c.p.p., e, quindi, dichiari l'estinzione del reato per prescrizione,
implicitamente ed incidentalmente ne afferma la colpevolezza in
relazione al fatto-reato ascrittogli, subito dopo passando ad
esaminare, in riferimento al medesimo fatto-reato, produttivo di
danno, la sua responsabilita' civile, cosi' da correre concretamente
il rischio della violazione della presunzione di innocenza come
tutelata dall'art. 6, comma 2, CEDU e dal diritto dell'Unione
europea.
Quanto al necessario bilanciamento dei contrapposti interessi
(tutela della presunzione di innocenza/ragionevole durata del
giudizio in punto di responsabilita' civile), deve osservarsi che
l'opzione seguita dal legislatore con l'inserimento del comma 1-bis
dell'art. 578 c.p.p. costituisce, sotto questo profilo, un esempio di
equilibrato bilanciamento, che certamente puo', ed anzi deve, essere
tenuto presente in questa sede al fine di adeguare il disposto di cui
all'art. 578, comma 1, c.p.p. agli invocati parametri costituzionali,
convenzionali ed eurounitari. Invero, innanzitutto, come la stessa
Corte costituzionale ha ricordato, la norma di cui all'art. 578
c.p.p. rappresenta un'eccezione nel rapporto che regola l'esercizio
dell'azione civile nel processo penale (vedi Corte costituzionale n.
176/2019), che non viene pregiudicato nell'ipotesi in cui alla
pronuncia di non doversi procedere per estinzione del reato da parte
del giudice di appello non dovesse fare seguito la conferma delle
statuizioni civili da parte dello stesso giudice di appello penale.
La costituzione di parte civile nel processo penale interrompe il
decorso della prescrizione del diritto al risarcimento del danno con
effetti permanenti fino al passaggio in giudicato della sentenza che
dichiara l'estinzione del reato per prescrizione, cominciando a
decorrere nuovamente da tale data (Cass. civ. sez. III, 20 giugno
1978, n. 3036). Peraltro, la sentenza dichiarativa dell'estinzione
del reato (come del resto la pronuncia ex art. 344-bis c.p.p.) non
avrebbe alcun effetto nell'eventuale giudizio civile di risarcimento
del danno. Quanto al diritto della parte civile di ottenere in tempi
ragionevoli il risarcimento del danno patito per effetto del reato,
diritto costituzionalmente tutelato ai sensi dell'art. 111, comma 2,
Cost, deve osservarsi che lo stesso sarebbe certamente assicurato
dalla prosecuzione del giudizio dinanzi al giudice civile, che,
quindi, come osservato dalla Cassazione (vedi Cassazione pen. sez.
un., 25 maggio 2023, n. 38841) a proposito dell'analoga disposizione
di cui all'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., non dovrebbe essere neppure
riassunto dinanzi al giudice civile competente per grado, ma
semplicemente proseguirebbe, assicurando, peraltro, la piena
utilizzabilita' delle prove acquisite nel processo penale (oltre che
di quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile). D'altra
parte, il diritto alla ragionevole durata del giudizio a fini civili
dovrebbe, in ogni caso, cedere il passo di fronte ad altri diritti
costituzionalmente e convenzionalmente tutelati, quali il diritto di
difesa dell'imputato e, come nel caso di specie, il suo diritto a
vedersi presumere innocente fino all'accertamento definitivo della
sua colpevolezza.
Sul punto, si richiamano le argomentazioni con le quali la Corte
costituzionale, nella sentenza n. 12 del 2016, relativamente alle
questioni sollevate in ordine alla legittimita' costituzionale
dell'art. 538 c.p.p. nella parte in cui non consente al giudice
penale di condannare l'imputato al risarcimento del danno in favore
della parte civile in caso di proscioglimento per qualsiasi causa,
compreso il vizio totale di mente, ha superato i profili riguardanti
l'asserita violazione del principio di ragionevole durata del
processo (art. 111, secondo comma, secondo periodo, Cost.), ovvero il
richiamo all'art. 6 CEDU nella parte in cui tutela anche i diritti
civili.
Invero, si legge testualmente nella sentenza: «con riguardo,
infine, all'asserita violazione del principio di ragionevole durata
del processo (art. 111, secondo comma, secondo periodo, Cost.),
questa Corte ha ripetutamente affermato che - alla luce dello stesso
richiamo al connotato di «ragionevolezza», che compare nella formula
costituzionale - possono arrecare un vulnus a quel principio
solamente le norme «che comportino una dilatazione dei tempi del
processo non sorrette da alcuna logica esigenza» (ex plurimis,
sentenze n. 23 del 2015 n. 63 e n. 56 del 2009, n. 148 del 2005).
Tale ipotesi non e' ravvisabile nel caso considerato. La preclusione
della decisione sulle questioni civili, nel caso di proscioglimento
dell'imputato per qualsiasi causa - compreso il vizio totale di mente
- se pure procrastina la pronuncia definitiva sulla domanda
risarcitoria del danneggiato, costringendolo ad instaurare un
autonomo giudizio civile, trova pero' giustificazione, come gia'
rimarcato, nel carattere accessorio e subordinato dell'azione civile
proposta nell'ambito del processo penale rispetto alle finalita' di
quest'ultimo, e segnatamente nel preminente interesse pubblico (e
dello stesso imputato) alla sollecita definizione del processo penale
che non si concluda con un accertamento di responsabilita',
riportando nella sede naturale le istanze di natura civile fatte
valere nei suoi confronti. Cio', in linea, una volta ancora, con il
favore per la separazione dei giudizi cui e' ispirato il vigente
sistema processuale. [...] Parimenti non probanti appaiono, da
ultimo, i riferimenti alla giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo operati dalla parte privata: anche in questo caso,
con semplice funzione rafforzativa delle denunciate violazioni degli
articoli 24 e 111 Cost., non figurando tra i parametri dell'odierno
scrutinio quello piu' direttamente conferente (l'art. 117, primo
comma, Cost.). La Corte Strasburgo e', in effetti, costante nel
riconoscere che, nella misura in cui la legislazione nazionale
accordi alla vittima del reato la possibilita' di intervenire nel
processo penale per difendere i propri interessi tramite la
costituzione di parte civile, tale diritto va considerato un «diritto
civile» agli effetti dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, con conseguente spettanza,
alla vittima stessa, delle garanzie in tema di equo processo ivi
stabilite, compresa quella relativa alla ragionevole durata (Grande
Camera, sentenza 12 febbraio 2004, Perez contro Francia; in senso
conforme, tra le altre, sezione terza, sentenza 25 giugno 2013,
Associazione delle persone vittime del sistema s.c. Rompetrol s.a. e
s.c. Geomin s.a. e altri contro Romania; Grande Camera, sentenza 20
marzo 2009, Gorou contro Grecia). In questa logica, la Corte europea
si e', peraltro, specificamente occupata, in piu' occasioni,
dell'ipotesi del mancato esame della domanda della parte civile per
essersi il procedimento penale chiuso con provvedimento diverso dalla
condanna dell'imputato, in applicazione di una regola condivisa - sia
pure con diverse varianti e gradazioni - da plurimi ordinamenti
nazionali. Tale regime non e' stato affatto ritenuto, in se' e per
se', contrastante con le garanzie convenzionali. La violazione
dell'art. 6 della CEDU, in particolare sotto il profilo del diritto
di accesso ad un tribunale, e' stata ravvisata dai giudici di
Strasburgo solo in due ipotesi. In primo luogo, quando la vittima del
reato non fruisca di altri rimedi accessibili ed efficaci per far
valere le sue pretese (sezione terza, sentenza 25 giugno 2013,
Associazione delle persone vittime del sistema s.c. Rompetrol s.a. e
s.c. Geomin s.a. e altri contro Romania; sezione prima, sentenza 4
ottobre 2007, Forum Maritime s.a. contro Romania): rimedi che,
nell'ordinamento italiano, sono invece offerti dalla possibilita' di
rivolgersi al giudice civile. In secondo luogo, la violazione e'
stata riscontrata allorche' il concreto funzionamento del meccanismo
frustri indebitamente le legittime aspettative del danneggiato, come
nel caso in cui la prescrizione della responsabilita' penale
dell'autore del reato, impeditiva dell'esame della domanda civile,
sia imputabile a ingiustificati ritardi delle autorita' giudiziarie
nella conduzione del procedimento penale (Grande Camera, sentenza 2
ottobre 2008, Atanasova contro Bulgaria; sezione prima, sentenza 3
aprile 2003, Anagnostopoulos contro Grecia): malfunzionamento che non
dipende, peraltro, dalla norma e che comunque non viene in
considerazione nell'ipotesi qui in esame.» (Corte cost. n. 12/2016).
D'altronde, come chiarito ancora di recente dalla Corte europea
dei diritti dell'uomo (Corte EDU, grande camera, 24 settembre 2024,
Fabbri e altri c. San Marino), il fatto che la chiusura di un
procedimento penale impedisca la pronuncia di una decisione relativa
a domande civili nell'ambito di tale procedimento penale non
costituisce, in linea di principio, una violazione del diritto di
accesso ad un Tribunale se la cessazione di tale procedimento penale
si basa su motivi giuridici non applicati in modo arbitrario o
irragionevole e se il ricorrente disponeva ab initio di un altro
mezzo di ricorso atto a consentirgli di ottenere una decisione sulle
sue pretese di carattere civile. Anche sotto il profilo del rispetto
di un termine ragionevole per la trattazione della causa civile,
spetta agli Stati membri organizzare i propri sistemi giudiziari in
modo tale da che i propri Tribunali possano garantire a ciascuno il
diritto di ottenere una decisione definitiva sulle controversie
relative ai propri diritti e obblighi civili in tempi ragionevoli, e
la ragionevolezza della durata del procedimento deve essere valutata
in funzione delle circostanze del caso, verificando la complessita'
del caso, il comportamento del ricorrente e quello delle Autorita'
competenti, nonche' la posta in gioco degli interessati.
Nel caso di specie, premesso che le parti civili disponevano ab
initio della possibilita' di esercitare autonomamente l'azione civile
dinanzi ai giudici civili, in ogni caso la prospettiva della
prosecuzione del giudizio di appello in sede civile, in seguito alla
declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, assicura non
solo il pieno accesso alla tutela giudiziaria, ma anche una risposta
di giustizia in tempi ragionevoli.
Infine, la prospettata assimilazione della fattispecie di cui al
comma 1 dell'art. 578 c.p.p., rispetto a quella di cui al comma 1-bis
del medesimo articolo, non frustrerebbe le aspettative dell'imputato
(ovvero della stessa parte civile) a che il giudizio di appello, con
riferimento alle residue questioni civili, si svolga nel merito
dinanzi al giudice dell'appello penale, giacche' l'eventualita' che
il giudizio si svolga ad un certo punto dinanzi al giudice
dell'appello civile e' prospettiva gia' esistente, tenuto conto del
disposto dell'art. 622 c.p.p., come interpretato dalla giurisprudenza
di legittimita' (vedi Cassazione pen. sez. un., 18 luglio 2013, n.
40109, imp. , e Cassazione pen. sez. un., 28 gennaio 2021, n.
22065, imp. ).
Sotto quest'ultimo profilo, del resto, l'originaria introduzione
del comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p., ad opera della legge n.
134/2021 - a differenza dell'introduzione da parte del decreto
legislativo n. 150/2022 del comma 1-bis nell'art. 573 c.p.p., che e'
stata collegata anche alla modifica apportata dal medesimo decreto
all'art. 78, comma 1 lettera d), c.p.p. (vedi Cassazione pen. sez.
un., 25 maggio 2023, n. 38841), cosi' da ancorarne l'operativita' a
quei processi nei quali la costituzione di parte civile e'
intervenuta successivamente all'entrata in vigore del decreto
legislativo n. 150/2022 -, e' avvenuta autonomamente, a seguito
dell'introduzione dell'istituto di cui all'art. 344-bis c.p.p.
Pertanto, la sua efficacia non risulta ricollegabile al momento in
cui e' avvenuta la costituzione di parte civile. In buona sostanza,
se alla data di entrata in vigore della legge n. 134/2021, con
riguardo ad impugnazioni relative a processi aventi ad oggetto reati
commessi dopo il 1° gennaio 2020, risultava gia' costituita la parte
civile, l'art. 578, comma 1-bis, c.p.p. ha comunque piena efficacia,
essendo ancorata la sua operativita' esclusivamente all'istituto
dell'improcedibilita' di cui all'art. 344-bis c.p.p. Ne consegue che,
anche sotto questo aspetto, non vi e' alcuna preclusione
nell'estendere, in via pretoria costituzionale, la disciplina di cui
al comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p. alla fattispecie di cui al comma
1 della medesima disposizione, poiche', come nel primo caso il
legislatore ha ritenuto recessiva, a seguito dell'eventuale
declaratoria di improcedibilita' dell'azione penale, l'eventuale
aspettativa delle parti private (imputato e/o parte civile gia'
costituita al momento dell'entrata in vigore della norma) a che il
processo fosse definito nel merito, anche con riferimento alle
questioni civili, dal giudice penale, cosi' allo stesso modo puo'
ritenersi recessiva analoga aspettativa riguardo alla sopravvenuta
declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
In conclusione, ai fini di rendere costituzionalmente legittimo
il disposto dell'art. 578, comma 1, c.p.p. l'intervento «correttivo»
non dovrebbe limitarsi alla declaratoria di illegittimita' della
norma, come interpretata dal «diritto vivente», ma dovrebbe spingersi
a renderla conforme all'analoga disposizione di cui al comma 1-bis
del medesimo art. 578 c.p.p. (con eventuale estensione, in via
derivata, anche rispetto al comma 1-ter della citata disposizione),
in tale modo eliminando, altresi', irragionevoli disparita' di
trattamento tra imputati, a fronte di situazioni del tutto analoghe,
determinate semplicemente sulla base della data del commesso reato.
Invero, solo per avere commesso il reato in epoca successiva al
1° gennaio 2020, a fronte di un'identica situazione (interruzione del
processo senza un'affermazione definitiva di responsabilita' penale),
l'imputato godrebbe di una tutela maggiore rispetto al diritto alla
presunzione di innocenza di quella di cui godrebbe l'imputato di un
reato commesso fino al 31 dicembre 2019. Quest'ultimo, infatti, anche
a fronte di un'interpretazione conforme dell'art. 578, comma 1,
c.p.p. ai parametri costituzionali ed europei, permanendo il giudizio
sugli interessi civili dinanzi al giudice dell'impugnazione penale,
correrebbe comunque il rischio di violazioni del suo diritto ad
essere presunto innocente, rischio che il legislatore ha voluto
definitivamente escludere per l'autore di un reato commesso dal 1°
gennaio 2020, trasferendo il residuale giudizio sulle questioni
civili nella sua sede naturale, e cioe' dinanzi al competente giudice
civile.
D'altronde, non puo' neppure tacersi che ben potrebbero
verificarsi fattispecie in cui al medesimo imputato, nell'ambito
dello stesso processo, risultano contestati fatti commessi prima del
1° gennaio 2020 e fatti commessi successivamente, con la conseguenza
che, verificatesi, per ipotesi, le condizioni previste dai commi 1
(con riguardo ai fatti commessi prima del 1° gennaio 2020) e 1-bis
(in relazione ai fatti commessi successivamente al 1° gennaio 2020)
dell'art. 578 c.p.p., la presenza della parte civile determinerebbe
l'operativita' di due diverse discipline in maniera del tutto
irragionevole.
Come e' noto, secondo il costante orientamento della Corte
costituzionale, si ha violazione dell'art. 3 Cost. quando situazioni
sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo
ingiustificatamente diverso (ex plurimis Corte costituzionale n.
340/2004).
In subordine, comunque, ove la Corte ritenga non equiparabili le
situazioni previste dai commi 1 e 1-bis dell'art. 578 c.p.p., la
questione di legittimita' costituzionale viene in ogni caso sollevata
con riferimento all'art. 6, comma 2, CEDU, quale parametro interposto
dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli articoli 3 e 4 della
direttiva 2016/UE/343 e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali
dell'U.E., quali parametri interposti degli articoli 11 e 117, comma
1, Cost., nella parte in cui l'art. 578, comma 1, c.p.p. viene
interpretato secondo il «diritto vivente» rappresentato dalle
sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione e , e non nel
senso gia' fatto proprio dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 182/2021.
P. Q. M.
LA CORTE
Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953 solleva, in via
principale, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale, in
relazione all'art. 6, comma 2, CEDU, quale parametro interposto
dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli articoli 3 e 4 della
direttiva 2016/UE/343 e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali
dell'U.E., quali parametri interposti degli articoli 11 e 117, comma
1, Cost., nonche' in relazione agli articoli 3 e 27, comma 2, Cost.,
con riferimento all'art. 578, comma 1, c.p.p., nella parte in cui
stabilisce che, quando nei confronti dell'imputato e' stata
pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al
risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte
civile, il giudice di appello (o la Corte di cassazione), nel
dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide
sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della
sentenza che concernono gli effetti civili, e non prevede, invece,
che, analogamente alla norma di cui al comma 1-bis dell'art. 578
c.p.p., se l'impugnazione non e' inammissibile, il giudice di appello
(o la Corte di cassazione) rinviano per la prosecuzione al giudice o
alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle
questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e
quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile;
in via subordinata, solleva, di ufficio, questione di
legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 6, comma 2, CEDU,
quale parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost., e in
relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e art. 48
della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., quali parametri
interposti degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost., con riferimento
all'art. 578, comma 1, c.p.p., per come interpretato dal «diritto
vivente» rappresentato dalle sentenze delle Sezioni Unite della
Cassazione n. 35490/09 imp. e n. 36208/2024, c/ , nella
parte in cui si afferma che «nel giudizio di appello avverso la
sentenza di' condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni,
il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per
prescrizione, non puo' limitarsi a prendere atto della causa
estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui
criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182
del 2021, ma e' comunque tenuto, stante la presenza della parte
civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o
contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel
merito».
Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale e la sospensione del presente giudizio.
Dispone che la presente ordinanza sia notificata al sig.
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al sig.
Presidente della Camera dei deputati ed al sig. Presidente del
Senato.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti.
Cosi' deciso in Lecce all'esito della Camera di consiglio del
13 dicembre 2024
Il Presidente: Ottaviano
Il consigliere est: Biondi
Oggetto:
Processo penale – Impugnazioni – Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per prescrizione – Previsione che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili – Mancata previsione che, analogamente alla norma di cui al comma 1-bis dell’art. 578 cod. proc. pen. se l’impugnazione non è inammissibile, il giudice di appello (o la Corte di cassazione) rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile – Violazione del diritto alla presunzione di innocenza, come declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU e affermato dal diritto dell'Unione europea – Irragionevole disparità di trattamento tra imputati in relazione alla diversa disciplina di cui al comma 1-bis dell’art. 578 cod. proc. con riguardo all’analoga fattispecie dell’improcedibilità dell’azione penale ai sensi dell’art. 344-bis cod. proc. pen.
-Codice di procedura penale, art. 578, comma 1.
-Costituzione, artt. 3, 11, 27, secondo comma, 117, primo comma; Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), art. 6, paragrafo 2; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), art. 48; direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, artt. 3 e 4.
In via subordinata: Processo penale – Impugnazioni – Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per prescrizione – Previsione che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili – Interpretazione del diritto vivente rappresentato dalle sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 35490 del 2009 e n. 36208 del 2024 nella parte in cui si afferma "nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito – Violazione del diritto alla presunzione di innocenza, come declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU e affermato dal diritto dell'Unione europea”.
-Codice di procedura penale, art. 578, comma 1.
-Costituzione, artt. 11 e 117, primo comma; Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), art. 6, paragrafo 2; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), art. 48; direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, artt. 3 e 4.
Norme impugnate:
codice di procedura penale del Num. Art. 578 Co. 1
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 11 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 2
Costituzione Art. 117 Co. 1
Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali Art. 6 Co.
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea Art. 48 Co.
direttiva UE Art. 3 Co.
direttiva UE Art. 4 Co.
Udienza Pubblica del 19 novembre 2025 rel. PETITTI
Testo dell'ordinanza
N. 63 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 dicembre 2024 Ordinanza del 13 dicembre 2024 della Corte d'appello di Lecce nel procedimento penale a carico di R. B.. Processo penale - Impugnazioni - Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per prescrizione - Previsione che, quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili - Mancata previsione che, analogamente alla norma di cui al comma 1-bis dell'art. 578 cod. proc. pen., se l'impugnazione non e' inammissibile, il giudice di appello (o la Corte di cassazione) rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile. In via subordinata: Processo penale - Impugnazioni - Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per prescrizione - Previsione che, quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili - Interpretazione del diritto vivente rappresentato dalle sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 35490 del 2009 e n. 36208 del 2024 nella parte in cui si afferma «nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, non puo' limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma e' comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito». - Codice di procedura penale, art. 578, comma 1. (GU n. 16 del 16-04-2025) CORTE DI APPELLO DI LECCE Sezione unica penale Composta dai sigg.: dott. Francesco Ottaviano, Presidente; dott. Giuseppe Biondi, Consigliere rel.; dott. Luca Colitta, Consigliere. Letti gli atti del procedimento penale in epigrafe indicato a carico di: B. R. , nato a il , residente in al difeso di fiducia dall'avv. Antonio Maria La Scala del Foro di Bari. Imputato del delitto p. e p. dagli articoli 81 e 595, comma 1 e 3, c.p., per avere offeso, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, la reputazione di , titolare del « », e candidato Sindaco di con riferimento al suo impegno politico, pubblicando sul social network «Facebook» le seguenti frasi: « », « Quando lo mandi ai convegni spiegagli di chi sta parlando. O non e' compreso nella tariffa»; «Ma se quello e' ignorante convinto che i voti si comprano...» Accertato in , fino al Parti civili costituite: , in proprio e quale esercente la potesta' genitoriale sui minori , , e , eredi dell'originaria parte civile , nato a ( ) il deceduto in data , rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Palazzo del Foro di Brindisi; in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Gianmichele Pavone del Foro di Brindisi Osserva 1. Premessa e svolgimento del processo. Con sentenza del Tribunale di Brindisi del 22 luglio 2019 B R veniva ritenuto responsabile del reato ascrittogli, esclusa la continuazione, e veniva condannato alla pena di euro 1.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Il B veniva, altresi', condannato a risarcire il danno alle costituite parti civili, e , in persona del legale rappresentante p.t., per la cui liquidazione si rimettevano le parti dinanzi al giudice civile, ponendo a carico dell'imputato una provvisionale in favore di ciascuna parte civile di euro 1.000,00, oltre spese di costituzione. Avverso la citata sentenza proponeva tempestivo appello il difensore dell'imputato, censurando la pronuncia sulla base dei seguenti motivi: 1. Con l'atto di appello si sostiene l'insussistenza del reato di cui all'art. 595, commi 1 e 3, c.d. per difetto dell'elemento oggettivo. Il primo giudice avrebbe riconosciuto la penale responsabilita' dell'imputato con riferimento alle frasi diffamatorie pubblicate sul social network facebook in data , ritenendolo autore delle frasi pubblicate sul proprio profilo facebook e rivolte al nonche' alla , di cui il ne era il titolare. In particolare, sul detto profilo facebook veniva riportata una fotografia riproducente in occasione di un evento pubblico avente ad oggetto la vita e l'impegno polito dell'ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini. In quel periodo era in corso la campagna elettorale per l'elezione del Sindaco di che vedeva il fra i candidati, mentre il B sosteneva una diversa coalizione politica. Nel commentare l'intervento del a tale evento, il B alludeva al fatto che quest'ultimo aveva confuso l'ex Presidente Pertini con il noto giurista Vittorio Bachelet e da cio' scaturiva una discussione pubblica su facebook, nel corso della quale il B , rispondendo a tale, scriveva «appunto quando lo mandi ai convegni spiegagli di chi si sta parlando. O non e' compreso nella tariffa?» E poi ancora: «ma se quello e' un ignorante convinto che i voti si comprano e basta che vuoi da me? Tu ti ci sei messa insieme, mo' tienitelo!». Nel corso di questa conversazione veniva altresi' resa pubblica dal B un'immagine, frutto di manipolazione, dell'insegna operante nella commercializzazione di preziosi usati, su cui era riportata la seguente dicitura « acquistiamo tutti» . Cio' detto si sostiene che non sarebbe stato provato che le frasi asseritamente diffamatorie avessero raggiunto un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone. Invero, le frasi in questione, essendo dei meri commenti al post principale, non sarebbero state visibili immediatamente da chiunque avesse visto il post principale, ma sarebbero state visibili solo da chi, incuriosito dal leggere i commenti, avesse cliccato sulla parola «commenta» posta sotto il post principale. Inoltre, il giudice di prime cure avrebbe erroneamente attribuito le frasi incriminate all'imputato sulla base di mere prove documentali consistenti nel deposito di semplici copie della pagina facebook nonche' di mere prove testimoniali, senza preoccuparsi di cristallizzare la prova regina consistente nell'accertare il codice ID del profilo e l'indirizzo IP di provenienza dei post diffamatori. Solo attraverso questi accertamenti sarebbe stato possibile attribuire al di la' di ogni ragionevole dubbio le frasi diffamatorie (comprensive anche della foto manipolata) all'imputato. Peraltro, con riguardo alle prove testimoniali, nessun teste avrebbe affermato di essere a conoscenza che le frasi diffamatorie fossero state scritte direttamente dal B R. I testi avevano solo riferito che le frasi diffamatorie provenivano dall'account dell'imputato, senza pero' essere in grado di precisare di avere saputo da terzi o di avere visto che le stesse fossero state scritte materialmente dal B R . Si conclude chiedendo in via principale l'assoluzione dell'appellante dal reato ascrittogli perche' i fatti non sussistono, quantomeno ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., in quanto la prova mancherebbe o sarebbe insufficiente; in via subordinata, nel caso del riconoscimento della penale responsabilita', previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, si chiede di applicare il minimo della pena edittale. Le udienze del 15 dicembre 2023 e del 19 aprile 2024, assente l'imputato, sono state rinviate in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite di cui si dira'. All'odierna udienza del 13 dicembre 2024, all'esito della discussione e della Camera di consiglio, e' stata emessa la seguente ordinanza, di cui si e' data lettura alle parti presenti o da ritenersi legalmente tali. 2. In punto di rilevanza della questione. 2.1. L'applicazione nel caso di specie dell'art. 578, comma 1, c.p.p., oggetto delle censure di incostituzionalita'. Va osservato che il reato ascritto al B e' estinto per prescrizione a fare data dal 26 agosto 2023, non essendovi periodi di sospensione del termine prescrizionale ne' in primo ne' in secondo grado, e cioe' in epoca successiva alla pronuncia della sentenza di condanna in primo grado e in data antecedente alla prima udienza tenutasi in appello in data 15 dicembre 2023. Tuttavia, sono costituite e presenti nel giudizio due parti civili. In primo grado, il B , riconosciuto colpevole del reato ascrittogli, e' stato condannato a risarcire il danno nei confronti delle parti private, da liquidarsi in separata sede, con condanna al versamento di una provvisionale quantificata in euro 1.000,00 per ciascuna delle parti civili. Con l'appello, come visto, si chiede l'assoluzione dell'imputato anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p. Orbene, ai sensi dell'art. 574, comma 4, c.p.p. l'impugnazione cosi' proposta estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali. Pertanto, questa Corte e' chiamata a fare applicazione nel caso di specie della norma di cui all'art. 578, comma 1, c.p.p., a mente della quale, «quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili» (mentre, ove non fossero stati proposti motivi sulla responsabilita', neppure civile - ad esempio motivi solo sul trattamento sanzionatorio, genericamente inteso -, questa Corte non avrebbe dovuto pronunciarsi sulle statuizioni civili ex art. 578 c.p.p., che sarebbero rimaste, quindi, automaticamente ferme, anche in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in mancanza di doglianze sull'affermazione di responsabilita': vedi sul punto Cassazione pen. sez. V, 13 novembre 2023, n. 6380/24, fattispecie di ricorso per cassazione, avverso sentenza di conferma della condanna in appello per delitto di bancarotta fraudolenta e di condanna al risarcimento del danno, con il quale si lamentava solo il mancato riconoscimento del beneficio di cui all'art. 163 c.p., in cui la Cassazione, ritenuto fondato il motivo, si limitava solo ad annullare senza rinvio la sentenza impugnata per la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, affermando il principio di diritto di cui sopra). 2.2. L'art. 578, comma 1, c.p.p. nell'interpretazione della Corte costituzionale. Come e' noto, questa disposizione e' stata oggetto in passato di dubbi di legittimita' costituzionale, posti proprio da questa Corte con due ordinanze. La questione venne dichiarata infondata dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 182 del 2021. Si invocava - per il tramite dei parametri interposti di cui agli articoli 11 e 117, comma 1, Cost. - il principio della presunzione di innocenza operante nell'ambito dell'ordinamento sia convenzionale (art. 6, paragrafo 2, CEDU), sia europeo (art. 48 CDFUE, unitamente agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/343/UE), il quale vieta che la persona, accusata di avere commesso un reato e sottoposta ad un procedimento penale conclusosi con proscioglimento (in rito o in merito), possa poi essere trattata dalle pubbliche autorita' come se fosse colpevole del reato precedentemente contestatole. In particolare, tale principio veniva posto in rilievo in relazione alla fattispecie della prescrizione quale causa di estinzione del reato (art. 157, primo comma, c.p.), istituto questo la cui valenza sostanziale e' stata confermata dalla Corte costituzionale (sentenze n. 140 del 2021 e n. 278 del 2020). Questa Corte dubitava della conformita' dell'art. 578 c.p.p. al principio della presunzione di innocenza, come declinato dalla giurisprudenza CEDU e come risultante dall'ordinamento dell'Unione europea, nella misura in cui si assumeva che, per decidere sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili, si dovesse accertare, seppure incidenter tantum, la responsabilita' penale dell'imputato per il reato estinto per prescrizione e in relazione al quale occorreva, invece, pronunciare una sentenza di proscioglimento dall'accusa. La Corte costituzionale, dopo avere ricostruito il quadro normativa europeo (sia del diritto della CEDU che dell'Unione europea, alla luce della pertinente giurisprudenza delle due rispettive Corti - quella di Strasburgo e quella del Lussemburgo -), passando a verificare se il giudice dell'appello penale, che, in applicazione della disposizione censurata, e' chiamato a decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili dopo avere dichiarato l'estinzione del reato, debba effettivamente procedere ad una rivalutazione complessiva della responsabilita' penale dell'imputato, nonostante l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione e il proscioglimento dall'accusa penale, ritenne che, nella situazione processuale di cui alla disposizione censurata, che vede il reato essere estinto per prescrizione e quindi l'imputato prosciolto dall'accusa, il giudice non era affatto chiamato a formulare, sia pure «incidenter tantum», un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili. In particolare, argomento' la Corte, «anzitutto, un tale giudizio non e' richiesto dal tenore testuale della disposizione censurata (art. 578 cod. proc. pen.) che, a differenza di quella immediatamente successiva (art. 578-bis cod. proc. pen. ), non prevede il «previo accertamento della responsabilita' dell'imputato». Il confronto tra l'art. 578 e l'art. 578-bis cod proc. pen. e' rilevante proprio al fine di chiarire l'ambito della cognizione richiesta dalla norma sospettata di illegittimita' costituzionale. L'art. 578-bis concerne l'ipotesi in cui la «coda» di accertamento richiesto al giudice dell'impugnazione penale, in seguito alla sopravvenuta causa estintiva del reato (per prescrizione o amnistia), che travolge la condanna emessa nel grado precedente, concerne non gia' gli interessi civili, ma la sussistenza, o meno, dei presupposti di un provvedimento avente natura punitiva secondo i canoni interpretativi della giurisprudenza di Strasburgo. Diversamente dall'art. 578, infatti, l'art. 578-bis presuppone, ai fini della sua applicazione, non gia' che nel grado precedente sia stata pronunciata condanna risarcitoria o restitutoria in favore della parte civile, bensi' che sia stata ordinata la «confisca in casi particolari» di cui al primo comma dell'art. 240-bis del codice penale o di altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall'art. 322-ter del codice penale. In questo caso, pur rilevata la causa estintiva del reato, essendo il giudice chiamato a valutare i presupposti della conferma, o meno, di una sanzione di carattere punitivo ai sensi dell'art. 7 CEDU, la dichiarazione di responsabilita' dell'imputato in ordine al reato ascrittogli non solo e' consentita, ma e' anzi doverosa, poiche' non si puo' irrogare una pena senza il giudizio sulla sussistenza di una responsabilita' personale, sebbene sia sufficiente che tale giudizio risulti nella «sostanza dell'accertamento» contenuto nella motivazione della sentenza, non essendo necessario che assuma, in dispositivo, la «forma della pronuncia» di condanna (sentenza n. 49 del 2015; Corte EDU, sentenza e altri contro Italia). Il dettato dell'art. 578-bis cod. proc. pen. risponde a tale esigenza, imponendo al giudice del gravame penale, chiamato a decidere sulla confisca dopo aver rilevato la' causa estintiva del reato, il «previo accertamento della responsabilita' dell'imputato». L'art. 578 cod. proc.pen., invece, non contiene analoga clausola, sicche' l'ambito della cognizione da esso richiesta al giudice penale ai fini del provvedimento sull'azione civile, deve essere ricostruito dall'interprete, il quale, nel condurre l'esegesi convenzionalmente orientata della norma, ha come parametro convenzionale di riferimento proprio l'art. 6 CEDU, nella stabile e consolidata interpretazione datane dalla giurisprudenza di Strasburgo, nonche' l'art. 48 CDFUE.» Aggiunse, poi, il giudice delle leggi che «tale esegesi - a ben vedere - non trova ostacolo nella giurisprudenza di legittimita' che il giudice rimettente richiama a fondamento delle sue censure di illegittimita' costituzionale con riferimento sia ai rapporti tra l'immediata declaratoria delle cause di non punibilita' e l'assoluzione per insufficienza o contraddittorieta' della prova (artt. 129 e 530, comma 2, cod. proc. pen), sia all'individuazione del giudice competente per il giudizio di rinvio in seguito a cassazione delle statuizioni civili (art. 622 cod. proc. pen), sia all'impugnabilita' con revisione (art. 630, comma 1, lettera c, cod. proc.pen) della sentenza del giudice di appello di conferma della condanna risarcitoria in seguito a proscioglimento dell'imputato per prescrizione del reato. Da una parte il principio di diritto (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 maggio - 15 settembre 2009, n. 35490) - secondo cui, in deroga alla regola generale, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorieta' o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilita', quando, in sede di appello, sopravvenuta l'estinzione del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili - presuppone, per un verso, il carattere «pieno» o «integrale» della cognizione del giudice dell'impugnazione penale (il quale non puo' limitarsi a confermare o riformare immotivatamente le statuizioni civili emesse in primo grado, ma deve esaminare compiutamente i motivi di gravame sottopostigli, avuto riguardo al compendio probatorio e dandone poi conto in motivazione); per altro verso, non presuppone (ne' implica) che il giudice, nel conoscere della domanda civile, debba altresi' formulare, esplicitamente o meno, un giudizio sulla colpevolezza dell'imputato e debba effettuare un accertamento, principale o incidentale, sulla sua responsabilita' penale, ben potendo contenere l'apprezzamento richiestogli entro i confini della responsabilita' civile (in seguito, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 20 marzo-8 aprile 2013, n. 16155; sezione quarta penale, sentenze 21-28 novembre 2018, n. 53354 e 16 novembre - 12 dicembre 2018, n. 55519). Piu' in generale la giurisprudenza (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 18 luglio - 27 settembre 2013, n. 40109), pronunciandosi sul vizio di motivazione che puo' inficiare la decisione emessa dal giudice di appello ai sensi dell'art. 578 cod. proc.pen , ha affermato che, in conseguenza del rilievo del predetto vizio (e della susseguente cassazione della sentenza) il rinvio debba essere fatto sempre al giudice civile e non al giudice penale, in applicazione dell'art. 622 cod. proc.pen , proprio in ragione, non gia' del mancato accertamento incidentale della responsabilita' penale dell'imputato, ma dell'omesso esame dei motivi di gravame, ove la condanna risarcitoria confermata dal giudice di appello sia fondata sul mero presupposto della «non evidente estraneita'» dell'imputato ai fatti di reato contestatigli. La giurisprudenza successiva ha dato continuita' a tale principio (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 14 gennaio - 9 ottobre 2014, n. 42039; sezione sesta penale, sentenze 21 gennaio-6 febbraio 2014, n. 5888 e 23 settembre-6 novembre 2015, n. 44685): la cognizione del giudice dell 'impugnazione penale, ex art. 578 cod. proc.pen., e' funzionale alla conferma delle statuizioni civili, attraverso il completo esame dei motivi di impugnazione volto all'accertamento dei requisiti costitutivi dell'illecito civile posto a fondamento della obbligazione risarcitoria o restitutoria. Il giudice penale dell 'impugnazione e' chiamato ad accertare i presupposti dell'illecito civile e nient'affatto la responsabilita' penale dell'imputato, ormai prosciolto per essere il reato estinto per prescrizione. Ne' cio' e' revocato in dubbio dall'affermata ammissibilita' della istanza di revisione avverso la pronuncia di condanna al risarcimento del danno ex art. 578 cod. proc.pen., (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 ottobre 2018-7 febbraio 2019, n. 6141). L'ammissibilita' di questa impugnazione straordinaria e' conseguenza dell'ibridazione delle regole processuali che rimangono quelle del rito penale anche quando nel giudizio residua soltanto una domanda civilistica in ordine alla quale si e' pronunciato il giudice dell'impugnazione ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., (in generale, sentenza n. 176 del 2019). Ma dall'applicazione delle regole di rito non puo' inferirsi che il giudice della revisione ex art. 630 cod. proc. pen., non diversamente dal giudice d'appello o di cassazione ex art. 578 cod. proc.pen., debba pronunciarsi sulla responsabilita' penale di chi e' stato definitivamente prosciolto. La responsabilita', oggetto della cognizione del giudice, e' pur sempre quella da atto illecito ex art. 2043 del codice civile.» Escluso, a giudizio della Corte, ogni ostacolo sia nel dato testuale della disposizione di cui all'art. 578 c.p.p., sia nel diritto vivente risultante dalla giurisprudenza di legittimita', si poteva accedere ad un'interpretazione conforme della norma agli indicati parametri interposti. E l'interpretazione conforme di cui si faceva promotrice la Consulta era questa: «il giudice dell'impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non e' chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 codice civile). Con riguardo al «fatto» - come storicamente considerato nell'imputazione penale - il giudice dell'impugnazione e' chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non gia' se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un «danno ingiusto» secondo l'art. 2043 codice civile, e cioe' se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno. Nel contesto di questa cognizione rilevano sia l'evento lesivo della situazione soggettiva di cui e' titolare la persona danneggiata, sia le conseguenze risarcibili della lesione, che possono essere di natura sia patrimoniale che non patrimoniale. La mancanza di un accertamento incidentale della responsabilita' penale in ordine al reato estinto per prescrizione non preclude la possibilita' per il danneggiato di ottenere l'accertamento giudiziale del suo diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, la cui tutela deve essere assicurata, nella valutazione sistemica e bilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di quella, per l'imputato, derivante dalla presunzione di innocenza. Il danno non patrimoniale ha il contenuto chiarito, da tempo, dalla giurisprudenza (a partire da Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 24 giugno-11 novembre 2008, n. 26972, n. 26793, n. 26794 e n. 26795) e quindi sussiste sia nei casi espressamente previsti dalla legge al di fuori delle fattispecie di reato (art. 2059 codice civile), sia nei casi di lesione «non bagatellare» di interessi della persona elevati a valori costituzionali, sia infine, in tutte le ipotesi di derivazione del pregiudizio da un illecito civile coincidente con una fattispecie penale (art. 185 cod. pen.). In quest'ultima ipotesi l'illecito civile, pur fondandosi sull'elemento materiale e psicologico del reato, tuttavia risponde a diverse finalita' e richiama un distinto regime probatorio. L'esigenza di rispetto della presunzione di innocenza dell'imputato non preclude al giudice penale dell'impugnazione di effettuare tale accertamento onde liquidare anche il danno non patrimoniale di cui all'art. 185 cod. pen. La natura civilistica dell'accertamento richiesto dalla disposizione censurata al giudice penale dell'impugnazione, differenziato dall'(ormai precluso) accertamento della responsabilita' penale quanto alle pretese risarcitorie e restitutorie della parte civile, emerge riguardo sia al nesso causale, sia all'elemento soggettivo dell'illecito. Il giudice, in particolare, non accerta la causalita' penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all'evento in base alla regola dell' «alto grado di probabilita' logica» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 10 luglio-11 settembre 2002, n. 30328). Per l'illecito civile vale, invece, il criterio del «piu' probabile che non» o della «probabilita' prevalente» che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare piu' probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria (in tal senso e' la giurisprudenza a partire da Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584). L'autonomia dell'accertamento dell'illecito civile non e' revocata in dubbio dalla circostanza che esso si svolga dinanzi al giudice penale e sia condotto applicando le regole processuali e probatorie del processo penale (art. 573 cod. proc. pen). L'applicazione dello statuto della prova penale e' pieno e concerne sia i mezzi di prova (sara' cosi' ammissibile e utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona offesa che nel processo civile sarebbe interdetta dall'art. 246 cod proc. civ.), sia le modalita' di assunzione della prova (le prove costituende saranno cosi' assunte per cross examination ex art. 499 cod. proc.pen. e non per interrogatorio diretto del giudice), le quali ricalcheranno pedissequamente quelle da osservare nell'accertamento della responsabilita' penale: ove ne ricorrano i presupposti, dunque, il giudice dell'appello penale, rilevata l'estinzione del reato, potra' - o talora dovra' (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 gennaio - 4 giugno 2021, n. 22065) - procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale al fine di decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili (art. 603, comma 3-bis, cod. proc.pen).» Aggiunse ancora la Corte che «l'approdo dell'interpretazione logico-sistematica della norma processuale censurata assicura, quanto al cosiddetto secondo aspetto della presunzione di innocenza, la conformita' alla richiamata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale, mentre da un lato ha ammonito che, «se la decisione nazionale sul risarcimento dovesse contenere una dichiarazione che imputa la responsabilita' penale alla parte convenuta, cio' solleverebbe una questione che rientra nell'ambito dell'art. 6 [paragrafo] 2 della Convenzione» (Corte EDU, sentenza Pasquini contro Repubblica di San Marino), dall 'altro lato ha anche avvertito che l'applicazione del diritto alla presunzione di innocenza in favore dell'imputato non deve ridondare a danno del diritto della vittima al risarcimento del danno (in particolare, Corte EDU, sentenza Ringvold contro Norvegia). Una volta dichiarata la sopravvenuta causa estintiva del reato, in applicazione dell'art. 578 cod. proc.pen., l'imputato avra' diritto a che la sua responsabilita' penale non sia piu' rimessa in discussione, ma la parte civile avra' diritto al pieno accertamento dell'obbligazione risarcitoria: Con la disposizione censurata il legislatore ha operato un bilanciamento tra le esigenze sottese all'operativita' del principio generale di accessorieta' dell'azione civile rispetto all'azione penale (che esclude la decisione sul capo civile nell'ipotesi di proscioglimento) e le esigenze di tutela dell'interesse del danneggiato, costituito parte civile. Quando il proscioglimento viene pronunciato in grado di appello o di legittimita', in seguito ad una valida condanna emessa nei gradi precedenti, la regola dell'accessorieta' (che comporta il sacrificio dell'interesse della parte civile) subisce dei temperamenti, poiche' essa continua ad essere applicabile nelle ipotesi di assoluzione nel merito e di sopravvenienza di cause estintive del reato riconducibili alla volonta' delle parti (ad esempio remissione di querela), ma non trova applicazione allorche' la dichiarazione di non doversi procedere dipenda dalla sopravvenienza di una causa estintiva del reato riconducibile a prescrizione o ad amnistia, nel qual caso prevale l'interesse della parte civile a conservare le utilita' ottenute nel corso del processo, che continua dinanzi allo stesso giudice penale, sebbene sia mutato l'ambito della cognizione richiestagli, che va circoscritta alla responsabilita' civile.» «In conclusione - chioso' il giudice delle leggi - il giudice dell'impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilita' penale dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere - in applicazione della disposizione censurata - sull'impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna gia' emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilita' dell'imputato per il reato estinto.» Cosi' interpretato, l'art. 578 c.p.p. non violava il diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza come declinato nell'ordinamento convenzionale dalla giurisprudenza della Corte EDU e come riconosciuto nell'ordinamento dell'Unione europea. 2.3. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo successiva alla sentenza della Corte costituzionale n. 182/2021. Giova evidenziare che la pronuncia della Corte costituzionale n. 182 del 2021 e' stata oggetto di valutazione da parte della Corte EDU (vedi Corte EDU 18 novembre 2021, c. Italia; Corte EDU, 15 settembre 2023, c. Italia, sebbene i casi oggetto delle due sentenze afferissero all'applicazione della fattispecie di cui all'art. 576 c.p.p.), che ne ha apprezzato l'equilibrio di sistema tra il principio di accessorieta' dell'azione civile e le esigenze di tutela dell'interesse del danneggiato, costituitosi parte civile, evidenziandone la piena compatibilita' con la CEDU. 2.4. La riforma c.d. Cartabia. L'interpretazione, convenzionalmente e eurounitariamente considerata, dell'art. 578 c.p.p. proposta dalla Corte costituzionale e' stata senza dubbio tenuta presente dal legislatore della riforma c.d. Cartabia nell'apportare le necessarie modifiche in punto di rapporti tra azione civile e azione penale nell'ambito del processo penale. Invero, gia' con la legge n. 134/2021, nell'introdurre il nuovo istituto dell'improcedibilita' per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (art. 344-bis c.p.p.), operativo in relazione alle impugnazioni aventi ad oggetto reati commessi dal 1° gennaio 2020 (art. 2, comma 3, legge n. 134/2021), il legislatore si e' preoccupato di disciplinare la fattispecie relativa alla declaratoria di improcedibilita' inerente un processo nel quale risulta costituita la parte civile, conclusosi in primo grado con la condanna dell'imputato anche al risarcimento del danno, inserendo nell'art. 578 c.p.p. una specifica disposizione (il comma 1-bis introdotto dall'art. 2, comma 2, lettera b) della legge n. 134/2021). Il comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p. in origine cosi' prevedeva: «quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato in favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado di appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale». Successivamente, in attuazione della delega di cui all'art. 1 comma 13 lettera d) della legge n. 134/2021, il legislatore delegato (art. 33 del decreto legislativo n. 150/2022) e' intervenuto a modificare il comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p., ad aggiungervi il comma 1-ter, e a modificare l'art. 573 c.p.p., aggiungendovi il comma 1-bis. Nella sua attuale formulazione il comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p. cosi' statuisce: quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato in favore della parte civile, e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non e' inammissibile, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile«. Il comma 1-ter prevede che «nei casi di cui al comma 1-bis, gli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato, permangono fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non e' piu' soggetta a impugnazione». L'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. cosi' dispone: «quando la sentenza e' impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non e' inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile». Come chiarito dalle Sezioni Unite (Cass. pen. sez. un., 25 maggio 2023, n. 38841), quest'ultima disposizione si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della predetta disposizione. Si legge testualmente nella relazione illustrativa che ha accompagnato l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2022: «analoga contraddizione sistematica, in ragione del carattere processuale e impediente della pronuncia di improcedibilita', produrrebbe una prosecuzione del giudizio di impugnazione ai soli effetti civili, considerata la natura accessoria dell'azione civile nel processo penale. A tale ultimo riguardo, peraltro, soccorre un ulteriore dato sistematico, ricavabile dalla disposizione gia' in vigore introdotta nel comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p., ad opera della legge n. 134 del 2021, secondo cui, in caso di condanna per la responsabilita' civile, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare improcedibile l'azione penale ai sensi dell'art. 344-bis c.p.p, rinvia per la prosecuzione al giudice civile. Il legislatore, per quanto concerne i rapporti tra improcedibilita' e azione civile, ha quindi scelto di percorrere una «terza via», mediana rispetto alla soluzione di lasciare al giudice penale il compito di decidere sulla domanda risarcitoria nonostante l'improcedibilita' e a quella di imporre una riproposizione della domanda al giudice civile di primo grado. La scelta punta a ridurre il carico di lavoro del giudice penale nella fase delle impugnazioni, assicurando il diritto della parte civile a una decisione sull'azione risarcitoria in tempi non irragionevoli. In coerenza con tale scelta e con la ratio stessa della legge n. 134/2021, pertanto, si propone di attuare la delega in ordine ai rapporti tra improcedibilita' dell'azione penale e azione civile trasferendo la decisione al giudice civile. L'opzione di trasferire al giudice civile la decisione sull'impugnazione, dopo la formazione del giudicato sui capi penali, sviluppa il percorso esegetico seguito dalla giurisprudenza costituzionale relativa all'art. 578, comma 1, c.p.p e, quindi, si basa sul presupposto che, per non incorrere in violazioni della presunzione d'innocenza dell'imputato, e' necessario restringere l'oggetto di accertamento al solo diritto del danneggiato al risarcimento del danno, dopo lo spartiacque del giudicato. E' pertanto ragionevole attribuire il compito di decidere al giudice civile, in una situazione in cui devono essere verificati gli estremi della responsabilita' civile, senza poter accertare nemmeno incidentalmente la responsabilita' penale. Cio' accade gia', secondo la sentenza costituzionale n. 182 del 2021, nelle ipotesi coperte dall'art. 578, comma 1, c.p.p dove «il giudice penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non e' chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice», ma «se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 codice civile)», valutando quindi se la condotta contestata «si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno». Secondo la Corte costituzionale, «la mancanza di un accertamento incidentale della responsabilita' penale in ordine al reato estinto per prescrizione non preclude la possibilita' per il danneggiato di ottenere l'accertamento giudiziale del suo diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, la cui tutela deve essere assicurata, nella valutazione sistemica e bilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di quella, per l'imputato, derivante dalla presunzione di innocenza» (sent. n. 182/2021, par. 14 m.). Questa ricostruzione e' stata portata alle logiche conseguenze in sede di attuazione della direttiva di cui all'art. 1, comma 13, lettera d) della legge delega, nella parte in cui impone di disciplinare i rapporti tra l'improcedibilita' dell'azione penale e l'azione civile. L'art. 578, comma 1-bis, c.p.p. e' stato pertanto modificato, includendo il riferimento ad «ogni caso» di impugnazione della sentenza «anche» per gli interessi civili (quindi anche in mancanza di una pronuncia di condanna alle restituzioni o al risarcimento dei danni). La «prosecuzione» del processo davanti al giudice civile, disposta dopo il necessario controllo del giudice penale sull'assenza di cause d'inammissibilita' dell'impugnazione, non determina effetti pregiudizievoli per la parte civile o per l'imputato ne' dal punto di vista cognitivo, in quanto il giudice competente deve decidere tutte le «questioni civili», con esclusione di quelle penali coperte dal giudicato (la decisione civile non potrebbe quindi incidere sulla presunzione d'innocenza), ne' dal punto di vista probatorio, in quanto restano utilizzabili le prove acquisite nel processo penale, in contraddittorio con l'imputato, oltre a quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile. Onde salvaguardare anche le cautele reali che assistono la domanda civile in sede penale, si introduce, con il nuovo comma 1-ter dell'art. 578 c.p.p., una disposizione che - in deroga a quanto previsto dall'art. 317, comma 4, c.p.p. (a tal fine opportunamente interpolato) - prevede, nel caso di trasferimento dell'azione civile, la persistenza degli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non sia piu' soggetta a impugnazione. Inoltre, per attuare la seconda parte della direttiva di cui alla lettera d), e' stata conseguentemente disciplinata l'ipotesi dell'impugnazione per i soli interessi civili, introducendo nel nuovo comma 1-bis dell'art. 573 c.p.p l'innovativa regola del trasferimento della decisione allo giudice civile, dopo la verifica imprescindibile sulla non inammissibilita' dell'atto svolta dal giudice penale. Naturalmente, occorre attribuire il diritto d'impugnare, in prima battuta, come se si trattasse di un'impugnazione anche agli effetti civili (quindi come se vi fosse anche l'impugnazione agli effetti penali del p.m. o dell'imputato), situazione coperta dall'art. 573, comma 1, c.p.p. L'art. 573, comma 1-bis, c.p.p diventa applicabile dopo che il giudice penale dell'impugnazione abbia verificato l'assenza d'impugnazione anche agli effetti penali. Questa scelta del legislatore delegato determina un ulteriore risparmio di risorse, nell'ottica di implementare l'efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni, e non si pone in conflitto con la giurisprudenza costituzionale, data la limitazione della cognizione del giudice civile alle «questioni civili». Il giudice civile non potrebbe pertanto accertare incidentalmente il tema gia' definito della responsabilita' penale, neppure nel caso di appello proposto dalla sola parte civile avverso la sentenza di assoluzione dell'imputato, con una soluzione normativa che evita i profili d'illegittimita' ravvisati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 176 del 2019, rispetto all'eventualita' di un accertamento dell'illecito penale compiuto in sede civile. Con il rinvio dell'appello o del ricorso al giudice di l'oggetto di accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito di e' gia' implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale (l'illecito penale implica l'illecito di). Non vi sarebbe pertanto una modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello di. Ragionevolmente, l'eventualita' dovra' essere prevista dal danneggiato dal reato sin dal momento della costituzione di parte di, atto che pertanto dovra' contenere l'esposizione delle ragioni che giustificano «la domanda agli effetti civili», secondo l'innovata formulazione dell'art. 78, lettera d), c.p.p. In conseguenza della disciplina dettata per i rapporti fra improcedibilita' dell'azione penale, azione di e confisca, si introducono due ulteriori misure al fine di prevenire l'eventuale prodursi di cause di improcedibilita' e, nel caso in cui le stesse dovessero comunque verificarsi, evitare il pregiudizio che un ritardo nella declaratoria di improcedibilita' potrebbe produrre all'azione della parte di e alle esigenze di pronta attivazione dell'autorita' giudiziaria compente per le misure di prevenzione.» (relazione illustrativa pubblica nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 245 del 19 ottobre 2022, pag. 329 e ss.). E' di tutta evidenza l'importanza che ha avuto la sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021 nelle scelte operate dal legislatore della riforma c.d. Cartabia, finalizzate ad attribuire al giudice di il prosieguo del giudizio di impugnazione ogni volta che permangono esclusivamente in gioco interessi civili. In buona sostanza, venuta meno la vicenda penale (vuoi perche' dichiarata improcedibile l'azione penale ai sensi dell'art. 344-bis c.p.p., vuoi perche' l'impugnazione risulta proposta solo per gli interessi civili) il legislatore della riforma c.d. Cartabia ha previsto che il giudizio prosegue solo per gli interessi civili dinanzi al giudice di, al fine, da un lato, di sgravare il giudice penale dalla decisione sull'impugnazione, alleggerendo, in tale modo, i relativi ruoli di udienza, dall'altra, di salvaguardare la presunzione di innocenza dell'imputato. In questo contesto, di rinnovata modulazione dei rapporti tra azione penale e azione di nell'ambito del processo penale, si inserisce la sentenza di recente pronunciata dalle Sezioni Unite (vedi Cassazione pen. sez. un., 28.3.-27 settembre 2024, n. 36208, c/ ), che costituisce la novita' che ha determinato la necessita' di ricorrere nuovamente alla Corte costituzionale. 2.5. La sentenza delle Sezioni Unite (Cass. pen. sez. un. 28.3. - 27 settembre 2024, n. 36208). Come e' noto, con ordinanza dell'8 giugno 2023, la IV Sezione Penale della Cassazione rimetteva alle Sezioni Unite la questione inerente al sindacato del giudice di appello e alla regola di giudizio applicabile a fronte del gravame proposto dall'imputato, condannato in primo grado anche al risarcimento del danno, che non abbia rinunciato alla prescrizione. In particolare, la Sezione rimettente riteneva che, per quanto interpretativa di rigetto, la sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale costituiva termine di riferimento non eludibile, poiche' la soluzione adottata appariva comporre in un ragionevole equilibrio i diversi valori in gioco, ponendosi nella linea di tendenza anche normativa di una sempre piu' evidente distinzione tra azione penale e azione di, mentre la pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. pen. sez. un. 28 maggio 2009, n. 35490) sarebbe stata espressione di un diritto vivente per il quale la presunzione di innocenza non era chiamata a svolgere, nell'ambito dei rapporti tra azione penale e azione di, il ruolo di principio ordinatore, inscrivendosi in un contesto culturale che trasmetteva all'azione di le regole del giudizio penale in cui era stata ospitata. Intendendo dissentire dal principio enunciato dalle Sez. Un. , il collegio rimetteva la questione alle Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sul seguente quesito: «se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, possa pronunciare l'assoluzione nel merito anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell'oltre ogni ragionevole dubbio, ovvero debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica del piu' probabile che non». Le Sezioni Unite (vedi Cassazione pen. sez. un. , 28.3.-27 settembre 2024, n. 36208, c/ ), hanno affermato il seguente principio di diritto: «nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, non puo' limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma e' comunque tenuto, stante la presenza della parte di, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito.» Il ragionamento delle Sezioni Unite si e' sviluppato partendo da quanto affermato dalle Sez. Un. . Si legge, invero, nella sentenza: «le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il contrasto circa la prevalenza o meno del proscioglimento nel merito rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilita' nel caso di contraddittorieta' o insufficienza della prova, hanno espresso il principio per cui «all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorieta' o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilita', salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte di, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili» . La pronuncia, muovendo dal criterio di bilanciamento espresso dalla Corte costituzionale (sentenze n. 175 del 1971 e n. 275 del 1990, ordinanze nn. 300 e 362 del 1991) per cui l'equilibrio del sistema e' garantito dalla possibilita' per l'imputato di rinunciare alle cause estintive del reato (amnistia o prescrizione), ha confermato la prevalenza dell'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilita', dovendosi privilegiare in linea di principio le esigenze di speditezza sottese al disposto dell'art. 129 c.p.p. Le Sezioni Unite hanno, pero', osservato che l'enunciato dell'art. 578 cod proc. pen. dischiude, in presenza della parte di, al giudice di appello la porta della «cognizione piena»; tale constatazione ha condotto ad affermare il principio, favorevole all'imputato, della prevalenza, in tal caso, del proscioglimento nel merito secondo la regola dettata dall'art. 530, commi 1 e 2, c.p.p. sulle esigenze di speditezza delle quali e' espressione la declaratoria ai sensi dell'art. 129 cod proc. pen. La pronuncia ha messo in luce che l'orientamento della giurisprudenza costituzionale, che aveva indicato nel diritto dell'imputato a rinunciare all'amnistia e alla prescrizione il punto di equilibrio sul quale riposa la legittimita' costituzionale dell'art. 129, comma 2, cod proc. pen. , lasciava in ombra la regola per cui, in presenza della parte di, il giudice e' tenuto a valutare nel merito, anche al maturare di una causa estintiva del reato, il compendio probatorio gia' acquisito ai fini delle statuizioni civili. Cio' rende recessivo l'obbligo per il giudice di appello di attenersi a canoni di economia processuale rispetto al dovere di «conoscere» il merito della causa, aprendo in tal modo il varco alla tutela dei diritti fondamentali della persona imputata. L'accertamento del diritto al risarcimento del danno da reato implica, infatti, nel rispetto del contraddittorio, anche il diritto alla prova contraria, garantito a livello costituzionale dall'art. 111, terzo comma, Cost. e dall'art. 495, comma 2, codice di procedura penalein conformita' all'art. 6 § 3 lettera d) CEDU. Divenendo recessiva l'esigenza di speditezza del processo, pur in presenza della causa estintiva e in assenza di rinuncia dell'imputato ad avvalersi della stessa, e' logico che riemerga l'imperativo di assolvere l'imputato non solo a fronte dell'evidenza dell'innocenza, come espressamente previsto dall'art 129, comma 2, c.p.p. , ma anche nel caso in cui, pur essendovi alcuni elementi probatori a carico, essi siano inidonei a fondare una dichiarazione di responsabilita' penale secondo la regola di giudizio di cui al secondo comma dell'art. 530 del codice di rito. Lo sviluppo argomentativo della sentenza e' integrato dall'ulteriore constatazione che il parametro dell'evidenza sancito dall'art. 129, comma 2, c.p.p. , e con esso lo sbarramento a ogni ulteriore attivita' processuale, non altera il susseguirsi delle fasi processuali allorche' il fenomeno estintivo emerga, piuttosto che nella fase istruttoria, in quella decisoria. Prevedendo, dunque, l'art. 578 c.p.p. il potere di cognizione piena del giudice di appello alla duplice condizione della presenza della parte di e della ricorrenza del fenomeno estintivo della prescrizione (o dell'amnistia), alle medesime condizioni le Sezioni Unite hanno ammesso l'esito assolutorio, anche ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod, proc. pen. , con prevalenza sulla causa estintiva«. In definitiva, secondo le Sezioni Unite, «la disposizione dell'art. 578 c.p.p. prevede eccezionalmente, in presenza della parte di, da un lato, la cognizione piena sull'accusa penale del giudice di appello pur a fronte di prescrizione maturata; dall'altro, il permanere del potere di cognizione del giudice di appello sugli interessi civili a seguito di declaratoria di prescrizione. Nel primo caso, argomentando dal potere di cognizione piena del giudice di appello in presenza della parte di, Sez. Un. consente l'assoluzione nel merito per mancanza o insufficienza della prova, pur essendo maturata la prescrizione; nel secondo caso, che ha formato oggetto dell'esame della Corte costituzionale nella sentenza n. 182 del 2021, si tratta della valutazione della responsabilita' di da parte del giudice dell'impugnazione penale a seguito di dichiarazione di prescrizione del reato in appello«. Dopo avere ripercorso gli argomenti della sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, le Sezioni Unite hanno ritenuto che non vi fosse incompatibilita' tra le due pronunce (Sez. Un. e Corte costituzionale n. 182/2021), partendo dal presupposto che «la sentenza interpretativa di rigetto del Giudice delle leggi pone un vincolo negativo di interpretazione [...] nel senso che il giudice a quo non puo' attribuire alla disposizione di legge la portata esegetica ritenuta non corretta dalla Corte costituzionale, pur restando libero di optare a favore di differenti soluzioni ermeneutiche che, ancorche' non coincidenti con quelle della sentenza interpretativa di rigetto, non collidano con norme e principi costituzionali». Pertanto, a parere delle Sezioni Unite, «il vincolo negativo posto dalla sentenza n. 182 cit. implica che l'art. 578 cod. proc. pen. non puo' essere interpretato nel senso che l'accertamento della responsabilita' di da parte del giudice di appello penale, esaurita la vicenda penale con la declaratoria di prescrizione del reato, equivalga ad affermazione, sia pur incidenter tantum, di responsabilita' penale. La ratio della pronuncia della Consulta e' quella di evitare che, attraverso l'esame del fatto imposto dall'art. 578 cod. proc. pen. ai soli fini delle statuizioni sulla responsabilita' civile, si giunga ad affermare de facto la responsabilita' penale, cosi' violando il principio di presunzione di non colpevolezza. La situazione processuale oggetto della pronuncia della Consulta riguarda il caso in cui «il giudice dell'impugnazione (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilita' penale dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere - in applicazione della disposizione censurata - sull'impugnazione agli effetti civili». Il principio espresso da Sez. U. opera, invece, nel caso in cui non sia venuta meno per il giudice dell'impugnazione penale la cognizione sulla responsabilita' penale dell'imputato. In altre parole, l'esigenza di tutela della presunzione d'innocenza nei rapporti tra proscioglimento in rito dell'accusa penale e potere cognitivo del giudice dell'impugnazione sugli interessi civili non si pone nell'ambito applicativo del principio espresso da Sez. U. , concernente la possibilita' per il giudice penale di privilegiare l'assoluzione nel merito dell'accusa penale sulla declaratoria di prescrizione, con parallela revoca delle statuizioni civili» . Concludendo, secondo le Sezioni Unite, «il principio consacrato in Sez. U. che assicura la piu' ampia tutela del diritto di difesa, non puo' ritenersi in contrasto con la tutela della presunzione di innocenza. L'intervento della Consulta pone come punto fermo che alla pronuncia di estinzione del reato ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen. non possa accompagnarsi, secondo una lettura convenzionalmente orientata della disposizione, l'affermazione, sia pure incidentale, della responsabilita' penale dell'autore del danno. La tesi che fa derivare da tale esegesi il ripudio del principio espresso da Sez. U. finisce per imporre al giudice di appello la mera presa d'atto della causa estintiva. Tale ragionamento incorre, tuttavia, nel paradosso di negare, in virtu' del principio di presunta innocenza, la possibilita' per il giudice di valutare i presupposti dell'assoluzione nel merito, che rappresenta l'obiettivo primario del diritto di difesa. Il Collegio ritiene che, invece, per le ragioni di non incompatibilita' tra la pronuncia della Consulta e quella delle Sezioni Unite in precedenza espresse, il vincolo negativo derivante dall'interprete dalla pronuncia costituzionale non incida sul principio affermato dalla sentenza . Tanto piu' che l'imputato potrebbe avere scelto di non rinunciare alla causa estintiva confidando nel diritto vivente originatosi da tale sentenza e dalla consolidata giurisprudenza di legittimita' che vi ha fatto seguito». Le Sezioni Unite ribadiscono, dunque, che i principi espressi dalle Sezioni Unite costituiscono «diritto vivente» (vedi punto 4. del Considerato in diritto».) e ne ribadiscono la perdurante validita' anche dopo la sentenza n. 182 del 2021 della Consulta, ritenendo le due pronunce del tutto compatibili tra loro. Cio' fanno operando un netto distinguo tra i momenti valutativi del giudice di appello nella fattispecie prevista dall'art. 578 c.p.p.: in un primo momento, infatti, quello in cui operano i principi espressi dalle Sezioni Unite , il giudice di appello ha cognitio plena penale, potendo giungere all'assoluzione dell'imputato, anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., facendo applicazione delle regole di giudizio del processo penale; in un secondo momento, quello successivo alla declaratoria di prescrizione del reato, in cui entrano, invece, in gioco i principi posti dalla sentenza del giudice delle leggi n. 182/2021, il giudice di appello dismette i panni del giudice penale per porsi «il cappello del giudice civile» e giudicare delle residue questioni civili secondo le regole di giudizio proprie del giudizio civile. In questo secondo momento del giudizio di impugnazione, svolto secondo il disposto dell'art. 578 c.p.p., il giudice di appello sarebbe legato al rispetto del vincolo negativo posto dalla sentenza della Consulta, che implica che l'accertamento della responsabilita' civile, esaurita la vicenda penale con la declaratoria di prescrizione del reato, non puo' equivalere ad affermazione, sia pure incidenter tantum, di responsabilita' penale. 2.6. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale alla luce del «diritto vivente» espresso dalle Sezioni Unite Calpitano. La soluzione esegetica percorsa dalle Sezioni Unite non sembra considerare che i due momenti che integrerebbero il complessivo giudizio previsto dall'art. 578 c.p.p. non sono formalmente distinti e svolti in due autonomi procedimenti, dinanzi a due diversi giudici, che si concludono anche con due distinti provvedimenti. Il giudizio di appello, considerato nella fattispecie di cui all'art. 578 c.p.p., e' unico e si svolge dinanzi alla stessa Corte (di appello o di cassazione), che manifesta e argomenta la sua conclusiva decisione con un'unica sentenza. Secondo il «diritto vivente», ribadito dalle Sezioni Unite nell'unica sentenza, prevista a conclusione del giudizio di appello di cui all'art. 578 c.p.p., la Corte, sulla base dell'impugnazione proposta e nel rispetto del principio devolutivo, deve dapprima giudicare l'imputato in ordine alla sua responsabilita' penale secondo le regole proprie del giudizio penale, assolvendolo, se ricorrono anche i presupposti di cui all'art. 530 cpv. c.p.p., e invece dichiarando l'estinzione del reato per prescrizione, ove tali presupposti non ricorrano; quindi, deve occuparsi delle residue questioni civili secondo le regole proprie del giudizio civile, teoricamente senza alcun riferimento, neppure incidentale, alla colpevolezza dell'imputato. Tuttavia, nel momento in cui, riconoscendo che non vi sono i presupposti per assolvere l'imputato, anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., la Corte di Appello dichiara estinto il reato per prescrizione, nella sostanza afferma che l'imputato avrebbe dovuto essere riconosciuto colpevole al di la' di ogni ragionevole dubbio. Invero, nella mancata assoluzione (che sarebbe possibile anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p.) e nella declaratoria di estinzione del reato per prescrizione e' necessariamente contenuto un giudizio incidentale di colpevolezza dell'imputato, che precede e che costituisce il presupposto per poi giungere ad occuparsi delle residue questioni civili. In buona sostanza, la conclusiva sentenza del giudizio di appello svoltosi ai sensi dell'art. 578 c.p.p., nel momento in cui dichiara l'estinzione del reato per prescrizione, confermando le statuizioni civili, seguendo il «diritto vivente», finisce con il contenere in se' necessariamente un giudizio, almeno incidentale, di colpevolezza dell'imputato. Non a caso, infatti, le Sezioni Unite, facendo applicazione del «diritto vivente» espresso dalle Sezioni Unite (e oggi ribadito dalle Sezioni Unite ), avevano ritenuto, in passato, «revisionabile» la sentenza di prescrizione, confermativa delle statuizioni civili, emessa ai sensi dell'art. 578 c.p.p. Invero, a differenza della mera sentenza dichiarativa della prescrizione del reato in primo grado, che non puo' mai essere ritenuta sentenza di «condanna», non comportando l'attribuzione dello status di condannato nei riguardi dell'imputato, la sentenza di appello che, dichiarando l'estinzione del reato per prescrizione, confermi le statuizioni civili, viene ad essere equiparata, nella sostanza, ad una sentenza di «condanna». Le Sezioni Unite, infatti, hanno affermato l'ammissibilita', sia agli effetti penali che civili, della revisione richiesta ai sensi dell'art. 630, comma 1, lettera c), c.p.p., della sentenza del giudice di appello che, prosciogliendo l'imputato per l'estinzione del reato dovuta a prescrizione o amnistia, e decidendo sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, abbia confermato la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile (Cass. pen. sez. un. 25 ottobre 2018, n. 6141/19). Invero, si legge nella sentenza, nel caso previsto dall'art. 578 c.p.p., come nell'analogo caso di cui all'art. 578-bis c.p.p., l'imputato va ritenuto «condannato» sebbene ai soli fini delle statuizioni civili o di confisca, e, dunque, la relativa sentenza potra' essere oggetto di revisione; ma questi casi sono radicalmente diversi da quelli in cui alla sentenza di prescrizione non si accompagna la statuizione civile o quella di confisca, perche' in questi casi l'imputato non potra' essere ritenuto un «condannato». «Non puo' quindi dubitarsi - si legge nella citata sentenza delle Sezioni Unite n. 6141/19 - che la statuizione di condanna agli effetti civili, pronunciata ai sensi dell'art. 578, di per se' suscettibile - se ingiusta - di arrecare pregiudizio all'interessato con riguardo alla sfera patrimoniale, contenga necessariamente, anche se incidentalmente, una implicita quanto ineludibile affermazione di responsabilita' tout court operata, a cognizione piena, in relazione al fatto-reato causativo del danno, certamente suscettibile di arrecare pregiudizio all'interessato anche con riguardo alla sfera dei diritti della personalita'. La contestualita' delle pronunzie di estinzione del reato e di condanna alle statuizioni civili evidenzia, infatti, la sussistenza di un inscindibile collegamento tra l'affermazione di responsabilita' agli effetti civili e la mancata pronunzia liberatoria, anche nel merito, agli effetti penali, che e' senz'altro idonea a produrre un apprezzabile pregiudizio al diritto all'onore dell'imputato, con superamento - in concreto - della presunzione costituzionale di non colpevolezza». La Corte costituzionale, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 182 del 2021, aveva ritenuto di superare il problema, affermando che il principio di diritto sostenuto dalle Sezioni Unite presupponeva, per un verso, il carattere «pieno» o «integrale» della cognizione del giudice dell'impugnazione penale (il quale non poteva limitarsi a confermare o riformare immotivatamente le statuizioni civili emesse in primo grado, ma doveva esaminare compiutamente i motivi di gravame sottopostigli, avuto riguardo al compendio probatorio e dandone conto poi in motivazione), per altro verso, non presupponeva (ne' implicava) che il giudice, nel conoscere della domanda civile, dovesse altresi' formulare, esplicitamente o meno, un giudizio sulla colpevolezza dell'imputato e dovesse effettuare un accertamento, principale o incidentale, sulla sua responsabilita' penale, ben potendo contenere l'apprezzamento richiestogli entro i confini della responsabilita' civile. Cio' non poteva ritenersi revocato in dubbio dall'affermata ammissibilita' dell'istanza di revisione avverso la pronuncia di condanna al risarcimento del danno ex art. 578 c.p.p., giacche' l'ammissibilita' di questa impugnazione straordinaria si faceva discendere, come conseguenza, dall'ibridazione delle regole processuali che rimangono quelle del rito penale, anche quando nel giudizio residua soltanto la domanda civilistica in ordine alla quale si e' pronunciato il giudice dell'impugnazione ai sensi dell'art. 578 c.p.p. In definitiva, secondo la Corte costituzionale, a differenza dell'art. 578-bis c.p.p., che richiedeva, testualmente, il previo accertamento della responsabilita' dell'imputato, l'art. 578 c.p.p. non conteneva analoga clausola, sicche' l'ambito di cognizione da esso richiesta al giudice penale ai fini del provvedimento sull'azione civile doveva essere ricostruito dall'interprete, nel rispetto dell'art. 6 CEDUe dell'art. 48 CDFUE, come interpretati dalle rispettive Corti. «Con l'art. 578 c.p.p. (affermava la Consulta) il legislatore aveva operato un bilanciamento tra le esigenze sottese all'operativita' del principio generale di accessorieta' dell'azione civile rispetto all'azione penale (che esclude la decisione sul capo civile nell'ipotesi di proscioglimento) e le esigenze di tutela dell'interesse del danneggiato, costituito parte civile. Quando il proscioglimento viene pronunciato in grado di appello, o di legittimita', in seguito ad una valida condanna emessa nei gradi precedenti, la regola dell'accessorieta' (che comporta il sacrificio dell'interesse della parte civile) subisce dei temperamenti, poiche' essa continua ad essere applicabile nelle ipotesi di assoluzione nel merito e di sopravvenienza di cause estintive del reato riconducibili alla volonta' delle parti (ad esempio remissione di querela), ma non trova applicazione allorche' la dichiarazione di non doversi procedere dipenda dalla sopravvenienza di una causa estintiva del reato riconducibile a prescrizione o amnistia, nel quale caso prevale l'interesse della parte civile a conservare le utilita' ottenute nel corso del processo, che continua innanzi allo stesso giudice penale, sebbene sia mutato l'ambito di cognizione richiestagli, che va circoscritta alla responsabilita' civile». Questo passo della sentenza n. 182 del 2021 non sembra consentire con riguardo all'art. 578 c.p.p. il duplice giudizio previsto dal «diritto vivente», cosi' come ritenuto dalle Sez. Un. _ Ma sembrerebbe rappresentare semplicemente che le esigenze di tutela della parte civile soccombono a fronte del proscioglimento nel merito in appello (in un giudizio in cui, evidentemente, non e' maturata la causa estintiva del reato per prescrizione o amnistia), ovvero di sopravvenienza di cause estintive del reato riconducibili alla volonta' delle parti (ad esempio, remissione di querela), ipotesi distinte da quella di cui all'art. 578 c.p.p., dove, cosi' testualmente la Consulta, «il giudice dell'impugnazione penale (giudice di appello o Corte di tassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilita' penale dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere - in applicazione della disposizione censurata - sull'impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna gia' emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza potere riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilita' dell'imputato per il reato estinto». In buona sostanza, nell'interpretazione convenzionalmente e eurounitariamente conforme offerta dalla Consulta della disposizione di cui all'art. 578, comma 1, c.p.p. il giudice di appello, constatata l'estinzione del reato per prescrizione o amnistia (constatazione che non dovrebbe essere preceduta da alcuna verifica in ordine alla responsabilita' penale dell'imputato), deve compiere un unico giudizio, avente il carattere pieno ed integrale, rispetto all'impugnazione proposta, ma avente ad oggetto non piu' la responsabilita' penale dell'imputato, bensi' la responsabilita' civile, secondo le regole proprie del giudizio civile. La Cassazione, pero', nel suo piu' alto Consesso, ha ribadito il «diritto vivente» espresso dalle Sezioni Unite , che, come visto, ritengono che, nella fattispecie di cui all'art. 578 c.p.p., il giudice dell'impugnazione, che giudica con cognitio piena come giudice penale, deve accertare se l'imputato possa essere assolto dal reato ascrittogli, eventualmente ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., e, quindi, ove cio' non ritenga, e, dunque, ove ritenga, implicitamente o incidentalmente, che l'imputato sarebbe colpevole, al di la' di ogni ragionevole dubbio, deve dichiarare estinto il reato per prescrizione e occuparsi, secondo le regole proprie del giudizio civile, delle residue questioni civili Cosi' facendo, pero', nel momento in cui il giudice dell'impugnazione passa ad occuparsi delle residue questioni civili, non puo' evitare di incorrere nella violazione dell'art. 6, comma 2, CEDU e negli agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e art. 48 della CDFUE, avendo dovuto, in precedenza, escludere la possibilita' di assolvere l'imputato e, quindi, avendo dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione sul presupposto della sua colpevolezza. Cosi' ricostruito il sistema, deve osservarsi che, benche' estinto il reato contestato al B per prescrizione, la presenza della parte civile, in uno con i motivi di appello, tutti incentrati sull'assenza di penale responsabilita' in capo all'appellante, obbligherebbero questa Corte, sulla base del «diritto vivente» riaffermato dalle Sezioni Unite , ad una preliminare rivalutazione piena della responsabilita' «penale» del B in ordine allo stesso fatto-reato contestatogli, peraltro, sulla base del medesimo materiale probatorio avuto a disposizione dal giudice di prime cure, sia pure ai fini, eventualmente, ove non sussistenti i presupposti per la sua assoluzione, anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., di confermare o meno le statuizioni civili disposte dal primo giudice. E' rilevante, pertanto, la questione della conformita' di tale sistema e, in particolare, dell'art. 578, comma 1, c.p.p., che di esso e' la trasfusione normativa, relativamente al diritto fondamentale al rispetto della presunzione di innocenza di cui all'art. 6 comma 2 CEDU, cosi' come declinato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, da intendersi come parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost. Peraltro, la questione assume rilevanza anche in ordine alla conformita' del sistema sopra delineato e, quindi, dell'art. 578, comma 1, c.p.p., rispetto al diritto dell'Unione europea, e, in specie, in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e art. 48 CDFUE, anche in questo caso letti come parametri interposti degli articoli 11 e 117 Cost. Infine, la questione appare rilevante anche rispetto ai parametri interni costituzionali di cui agli articoli 3 e 27, comma 2, Cost., in relazione alla diversa disciplina predisposta dal legislatore della riforma c.d. Cartabia con il comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p. riguardo all'analoga fattispecie dell'improcedibilita' dell'azione penale ai sensi dell'art. 344-bis c.p.p. 3. In punto di non manifesta infondatezza della questione. 3.1. Rispetto all'art. 6, comma 2, CEDU quale parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost. Vanno richiamati i principi gia' positivamente apprezzati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021. Come e' noto, l'art. 6, comma 2, CEDU tutela il «diritto alla presunzione di innocenza fino a prova contraria». Considerata come una garanzia procedurale nel contesto di un processo penale, la presunzione di innocenza impone requisiti relativi, tra l'altro, all'onere della prova, alle presunzioni legali di fatto e di diritto, al privilegio contro l'autoincriminazione, alla pubblicita' preprocessuale e alle espressioni premature, da parte della Corte processuale o di altri funzionari pubblici, della colpevolezza di un imputato (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 93; Corte EDU, grande camera, 11 giugno 2024, Nealon e Hallam c. Regno Unito, § 101). Tuttavia, in linea con la necessita' di assicurare che il diritto garantito dall'art. 6, comma 2, CEDU sia pratico e effettivo, la presunzione di innocenza ha anche un altro aspetto. Il suo scopo generale, in questo secondo aspetto, e' quello di proteggere le persone che sono state assolte da un'accusa penale, o nei confronti delle quali e' stato interrotto un procedimento penale, dall'essere trattate dai pubblici ufficiali e dalle autorita' come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato (cfr. Corte CEDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 94; Corte EDU, grande camera, 28 giugno 2018, c. Italia, § 314; Corte EDU, grande camera, 11 giugno 2024, Nealon e Hallam c. Regno Unito, §§ 102 e 108). Come espressamente indicato nell'articolo stesso, l'art. 6, comma 2, CEDU si applica quando una persona e' accusata di un reato. La Corte europea dei diritti umani ha ripetutamente sottolineato che si tratta di un concetto autonomo, che deve essere interpretato secondo i tre criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza, i noti Engel criteria (Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi). Per valutare qualsiasi denuncia ai sensi dell'art. 6, comma 2, CEDU, che insorga nell'ambito di un procedimento giudiziario, e' innanzitutto necessario accertare se il procedimento contestato comporti la determinazione di un'accusa penale, ai sensi della giurisprudenza della Corte (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 95). Tuttavia, nei casi che riguardano il secondo aspetto della protezione offerta dall'art. 6, comma 2, CEDU, che si verifica quando il procedimento penale e' terminato, e' chiaro che l'applicazione di tale criterio e' inappropriata. In questi casi, il procedimento penale si e' necessariamente concluso e, a meno che il successivo procedimento giudiziario non dia luogo a una nuova imputazione penale ai sensi della Convenzione, se l'art. 6 comma 2 CEDU e' impiegato, deve esserlo per motivi diversi (Corte EDU, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 96). Sotto questo profilo, la Corte EDU e' stata chiamata a considerare l'applicazione dell'art. 6, comma 2, CEDU alle decisioni giudiziarie prese a seguito della conclusione del procedimento penale, a titolo di interruzione o dopo un'assoluzione, in procedimenti riguardanti, tra l'altro, l'imposizione di una responsabilita' civile per il pagamento di un risarcimento alla vittima (vedi Corte EDU 11 febbraio 2003, Ringvold c. Norvegia; Corte EDU 15 maggio 2008, Orr c. Norvegia; Corte EDU 19 aprile 2011, Erkol c. Turchia; Corte EDU 12 aprile 2012, Lagardere c. Francia). Nella gia' citata causa Allen c. Regno Unito, la Corte EDU ha formulato il principio della presunzione di innocenza nel contesto del secondo aspetto dell'art. 6, comma 2, CEDU sostanzialmente affermando che la presunzione di innocenza significa che, in presenza di un'accusa penale e di un procedimento penale conclusosi con un'assoluzione, la persona che e' stata oggetto del procedimento penale e' innocente agli occhi della legge e deve essere trattata in modo coerente con tale innocenza. In tale senso, pertanto, la presunzione di innocenza permarra' anche dopo la conclusione del procedimento penale, al fine di garantire che, per quanto riguarda qualsiasi accusa non provata, l'innocenza della persona in questione sia rispettata. Questa preoccupazione prioritaria e' alla base dell'approccio della Corte in merito all'applicabilita' dell'art. 6, comma 2, CEDU in questi casi. Ogniqualvolta la questione dell'applicabilita' dell'art. 6, comma 2, CEDU si pone nel contesto di un procedimento successivo, il richiedente deve dimostrare l'esistenza di un legame, come sopra indicato, tra il procedimento penale concluso e il procedimento successivo. Tale legame e' probabile che sussista, ad esempio, quando il procedimento successivo richiede l'esame dell'esito del procedimento penale precedente e, in particolare, quando obbliga il giudice ad analizzare la sentenza penale; a procedere a un esame o a una valutazione delle prove contenute nel fascicolo penale; a valutare la partecipazione del ricorrente ad alcuni o a tutti gli eventi che hanno portato all'accusa penale; a commentare le indicazioni esistenti sulla possibile colpevolezza del richiedente. Cio' posto, la Corte europea dei diritti umani e' stata chiamata ad occuparsi di un caso (Pasquini c. San Marino, n. 23349/17, sentenza della III Sezione della Corte EDU del 20 ottobre 2020) del tutto sovrapponibile a quello in esame in questo procedimento. Si trattava di un caso in cui il ricorrente, condannato in primo grado, non solo penalmente ma anche a risarcire il danno nei confronti della costituita parte civile, in sede di appello si vedeva dichiarare estinto il reato per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili, sulla base dell'art. 196-bis del c.p.p. sanmarinese, che cosi' recita: «quando l'imputato e' stato condannato a reintegrare le cose o a risarcire alla parte civile i danni causati da un reato - anche se il danno e' ancora da quantificare - il giudice di appello, che dichiara il reato prescritto, decide sulle eccezioni relative agli obblighi derivanti dal reato, ai' sensi dell'art. 140 del c.d.». Il ricorrente adiva la Corte dei diritti umani lamentando la violazione dell'art. 6, comma 2, CEDU. Ebbene la Corte europea, ribadendo i consolidati principi sopra riportati, riteneva innanzitutto applicabile nel caso di specie il disposto dell'art. 6, comma 2, CEDU. Invero, il procedimento penale si era concluso in appello con l'interruzione del procedimento per prescrizione. In conseguenza dell'art. 196-bis del c.p.p. sanmarinese, lo stesso giudice dell'appello penale che si pronunciava sull'imputazione penale era anche competente a decidere il risarcimento dovuto alla vittima. Tuttavia, la determinazione del risarcimento alla vittima era una fase successiva all'interruzione del procedimento penale. In quella fase, il giudice dell'appello penale era tenuto ad analizzare i precedenti accertamenti penali e ad avviare una revisione o una valutazione delle prove contenute nel fascicolo penale. Egli doveva anche valutare la partecipazione del ricorrente ad alcuni o a tutti gli eventi che avevano portato all'accusa penale e commentare le indicazioni esistenti sulla possibile colpevolezza del richiedente. Dunque, esisteva un nesso tra le due determinazioni (vedi § 38 della sentenza Corte EDU 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino). I giudici di Strasburgo ribadivano che il secondo aspetto della tutela della presunzione di innocenza entra in gioco quando il procedimento penale si conclude con un risultato diverso da una condanna, sicche' senza una tutela che garantisca il rispetto dell'assoluzione o della decisione di interruzione in qualsiasi altro procedimento, le garanzie del processo equo di cui all'art. 6, comma 2, CEDU rischiano di diventare teoriche o illusorie. Cio' che e' in gioco, una volta terminato il procedimento penale, e' anche la reputazione della persona e il modo in cui essa viene percepita dal pubblico. In una certa misura, la protezione offerta dall'art. 6, comma 2, CEDU a questo riguardo puo' sovrapporsi alla protezione offerta dall'art. 8 CEDU (vedi ancora Corte EDU, grande camera, 28 giugno 2018, e altri c. Italia, § 314). Con riguardo a dichiarazioni successive alla cessazione del procedimento penale non con sentenza di assoluzione, ma comunque senza che l'imputato sia stato precedentemente dimostrato colpevole secondo la legge, risulta violata la presunzione di innocenza se una decisione giudiziaria che lo riguarda riflette un'opinione di colpevolezza. In questi casi, il linguaggio utilizzato dal giudice sara' di fondamentale importanza per valutare la compatibilita' della decisione e la sua motivazione all'art. 6, comma 2, CEDU. Nei casi di richieste di risarcimento civile presentate dalle vittime, indipendentemente dal fatto che il procedimento si sia concluso con l'interruzione o con l'assoluzione, la Corte sottolineava che, sebbene l'esonero dalla responsabilita' penale debba essere rispettato nel procedimento di risarcimento civile, non dovrebbe precludere l'accertamento della responsabilita' civile per il pagamento del risarcimento derivante dagli stessi fatti sulla base di un onere probatorio meno rigoroso. Tuttavia, se la decisione nazionale sul risarcimento dovesse contenere una dichiarazione di responsabilita' penale della parte convenuta, cio' solleverebbe una questione rientrante nell'ambito dell'art. 6, comma 2, CEDU. In particolare, la Corte riteneva che la presunzione di innocenza fosse violata in situazione in cui i Tribunali avevano ritenuto «chiaramente probabile» che il ricorrente avesse commesso un reato o avevano espressamente indicato che le prove disponibili erano sufficienti per stabilire che era stato commesso un reato (vedi §§ da 49 a 53 della citata sentenza Pasquini c. San Marino). Facendo applicazione dei su riportati principi, la Corte esaminava il caso, notando che: 1) la causa civile era stata trattata nell'ambito del procedimento penale; 2) la determinazione del giudice dell'appello penale che riguardava proprio gli stessi fatti imputati al ricorrente nel corso del procedimento penale era stata effettuata senza alcuna distinzione circa la qualificazione giuridica; 3) il giudice dell'appello penale si era dovuto basare sulle stesse prove esistenti nel fascicolo penale e non erano state presentate nuove prove; 4) il giudice dell'appello penale, pur facendo una propria valutazione di tali fatti, aveva confermato la constatazione di fatto del giudice penale di prima istanza e aveva proceduto a confermare l'ordine di risarcimento del danno senza intraprendere alcuna considerazione rilevante per quanto riguarda l'ammontare di tale danno, basandosi pertanto interamente sulla sentenza di primo grado; 5) il giudice dell'appello penale aveva basato la sua decisione sulla constatazione che la parte civile aveva subito un danno dagli atti posti in essere dal ricorrente, che corrispondevano al reato imputatogli e, quindi, il giudice dell'appello penale aveva stabilito in modo inequivocabile che le azioni del ricorrente corrispondevano agli atti criminali di cui era stato accusato, andando ancora oltre, dichiarando esplicitamente che il ricorrente aveva commesso tali atti con dolo (cfr. §§ da 59 a 62). E' vero che il ricorrente era gia' stato dichiarato colpevole in prima istanza. Tuttavia, aggiungevano i giudici di Strasburgo, la giurisprudenza della Corte non distingueva tra i casi in cui le accuse venivano sospese perche' cadute in prescrizione prima di qualsiasi accertamento penale e quelli che venivano sospese per lo stesso motivo dopo una prima constatazione di colpevolezza. Pertanto, affermava la Corte, le constatazioni di prima istanza, che non sono definitive, non possono condizionare le determinazioni successive e la Corte ribadiva che si dovrebbe esercitare una maggiore cautela nel formulare il ragionamento in una sentenza civile dopo l'interruzione del procedimento penale (§ 63). In conclusione, siccome le parole usate dal giudice dell'appello penale nel decidere in materia di risarcimento erano tali che rappresentavano il comportamento del ricorrente come riconducibile agli atti criminali che gli erano stati imputati, rispetto ai quali non vi era alcun dubbio sull'esistenza del dolo, queste parole equivalevano ad una dichiarazione inequivocabile che il ricorrente avesse commesso un reato, e cio' non era coerente con la cessazione delle relative imputazioni a causa della scadenza del termine di prescrizione. Conseguenzialmente la Corte riscontrava la violazione dell'art. 6, comma 2, CEDU (§ 64). I principi espressi nella sentenza Corte EDU, 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino, costituiscono «diritto consolidato» (secondo quanto ritenuto da Corte costituzionale n. 49/2015; d'altra parte, come sottolinea la Corte europea dei diritti umani, «le sue sentenze hanno tutte lo stesso valore giuridico. Il loro carattere vincolante e la loro autorita' interpretativa non possono pertanto dipendere dal collegio giudicante che le ha pronunciate»: vedi Corte EDU, grande camera, 28 giugno 2018, c. Italia, § 252), ricollegandosi invero ad una consolidata e datata giurisprudenza europea (oltre alle sentenze sopra citate si veda anche Corte EDU, 4 giugno 2013, Teodor c. Romania, e, con riguardo alla natura pregiudizievole per il diritto alla presunzione di innocenza di un decreto di archiviazione per prescrizione del reato, che presentava l'indagato come colpevole, si veda Corte EDU, 29 gennaio 2019, Stirmanov c. Russia, e ancora Corte EDU, 3 ottobre 2019, Fleischner c. Germania; di recente, ancora, si richiama la sentenza Corte EDU, 10 ottobre 2024, Machalicky c. Repubblica Ceca, sempre in un caso di sentenza con la quale veniva dichiarata la prescrizione del reato, in cui ). La fattispecie appena descritta, oggetto della sentenza c. San Marino, peraltro, si attaglia perfettamente al caso in esame, poiche' l'art. 578 c.p.p., per come interpretato dal «diritto vivente» da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite , risulta formulato in termini del tutto simmetrici all'art. 196-bis del c.p.p. di San Marino. Non e' possibile, pertanto, procedere ad un'interpretazione convenzionalmente conforme dell'art. 578 c.p.p., cosi' come peraltro formulata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021, ammettendo che il giudice di appello, constatata l'estinzione del reato per prescrizione e l'impossibilita' di assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., limitandosi a descrivere uno stato di sospetto, che non violerebbe di per se' l'art. 6, comma 2, CEDU (vedi Corte EDU 26 marzo 1996, Leutscher c. Paesi Bassi), possa valutare le residue questioni civili facendo applicazione delle regole di giudizio del giudizio civile, senza neppure incidentalmente pronunciarsi sulla responsabilita' penale dell'imputato. Secondo l'interpretazione della Cassazione, e cioe' del «diritto vivente», il giudice di appello, prima di dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, deve compiere un esaustivo apprezzamento della responsabilita' dell'imputato, alla luce dell'impugnazione proposta, eventualmente anche assolvendolo ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., sicche', ove a tale ultima conclusione non giunga, con il dichiarare estinto il reato per prescrizione, deve affermarne implicitamente la colpevolezza, poiche' nella sostanza la sentenza emessa ai sensi dell'art. 578 c.p.p. e' una sentenza di condanna suscettibile anche di revisione. Sotto questo profilo, il tentativo delle Sezioni Unite di rendere compatibili i principi affermati dalle Sezioni Unite con l'interpretazione, convenzionalmente e eurounitariamente conforme, patrocinata dal giudice delle leggi con la sentenza n. 182/2021 non sembra cogliere nel segno per le ragioni gia' ampiamente esposte. A fronte del «diritto vivente», ribadito dalle Sezioni Unite , non essendo possibile interpretare in maniera convenzionalmente conforme l'art. 578 c.p.p., secondo quanto stabilito a partire dalle c.d. sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale, e' necessario sollevare nuovamente incidente di costituzionalita' della predetta norma per contrasto con gli articoli 6, comma 2, CEDU e 117, comma 1, Cost. nella parte in cui stabilisce che il giudice dell'appello penale, che dichiara estinto per prescrizione il reato per cui e' intervenuta in primo grado condanna, e' tenuto a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Spetta, infatti, alla Corte costituzionale intervenire, a fronte del «diritto vivente», nell'impossibilita' di un'interpretazione convenzionalmente conforme della norma di diritto interno in contrasto con la CEDU, che procedera' al necessario bilanciamento degli interessi e dei diritti fondamentali in gioco. 3.2. Rispetto al diritto dell'Unione europea e segnatamente agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e all'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., quali parametri interposti degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost. Volendo esaminare la questione anche sul piano del diritto dell'U.E., anche in questo caso vanno richiamati i riferimenti gia' positivamente apprezzati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021. In particolare, deve osservarsi che l'Unione europea ha emanato da tempo, ai sensi dell'art. 82 § 2 lettera b) TFUE, una specifica direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza (la direttiva del Parlamento e del Consiglio 2016/UE/343 del 9 marzo 2016, entrata in vigore il 1° aprile 2016, con obbligo di recepimento fino al 1° aprile 2018; la direttiva e' stata recepita nel nostro ordinamento con decreto legislativo n. 188/2021). Nel dettaglio, l'art. 3, rubricato «Presunzione di innocenza», stabilisce che gli Stati Membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza. All'art. 4, rubricato «Riferimenti in pubblico alla colpevolezza», si afferma che gli Stati Membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita' pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Cio' lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorita' giudiziarie o da altre autorita' competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reita'. Il Considerando 11 chiarisce che la direttiva si applica ai procedimenti penali nell'accezione data dall'interpretazione della Corte di Giustizia UE, fatta salva la giurisprudenza della Corte EDU. Il Considerando 16 della direttiva chiarisce che la presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita' pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l'indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l'idea che una persona sia colpevole. Cio' dovrebbe lasciare impregiudicati gli atti della pubblica accusa che mirano a dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato, come l'imputazione, nonche' le decisioni giudiziarie in conseguenza delle quali decorrono effetti di una pena sospesa, purche' siano rispettati i diritti della difesa. Dovrebbero, altresi', restare impregiudicate le decisioni preliminari di natura procedurale, adottate da autorita' giudiziarie o da altre autorita' competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reita', quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare, purche' non presentino l'indagato o imputato come colpevole. Prima di prendere una decisione preliminare di natura procedurale, l'autorita' competente potrebbe prima dover verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell'indagato o imputato tali da giustificare la decisione e la decisione potrebbe contenere un riferimento a tali elementi. Il Considerando 17 della direttiva precisa che per «dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita' pubbliche» dovrebbe intendersi qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato proveniente da un'autorita' coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto tale reato, quali le autorita' giudiziarie, di polizia e altre autorita' preposte all'applicazione della legge, o da un'altra autorita' pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo restando che cio' lascia impregiudicato il diritto nazionale in materia di immunita'. Ai sensi dell'art. 13 della direttiva nessuna disposizione della stessa puo' essere interpretata in modo da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali garantiti dalla carta dei diritti fondamentali UE, dalla CEDU, da altre pertinenti disposizioni di diritto internazionale o dal diritto di qualsiasi Stato membro che assicurino un livello di protezione piu' elevato. Come ha definitivamente chiarito la Corte di Giustizia UE (vedi Corte di Giustizia UE, I Sez., 13 giugno 2019, causa C-646/17, , punti da 29 a 37), le direttive emanate ai sensi dell'art. 82, § 2, comma 1, TFUE, si applicano a qualunque procedimento penale, indipendentemente dal fatto che abbia o meno una dimensione transnazionale, nel senso di avere ad oggetto materie penali aventi dimensione transnazionale. Di conseguenza, devono essere tenute presenti in qualsiasi procedimento penale. Cio' comporta, come logico corollario, l'applicazione della Carta dei diritti fondamentali UE, ai sensi dell'art. 51, § 1, della medesima, che stabilisce che le disposizioni della Carta si applicano agli Stati Membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'U.E. (Corte di Giustizia UE, 26.2.2013, causa C-617/10, Akerberg Fransson, punto 17). Pertanto, nell'attuazione del diritto dell'U.E. non si puo' prescindere dall'art. 48 della CDFUE, e, siccome la Carta e' equiparata ai Trattati (art. 6, § 1, TUE) e ne ha lo stesso valore giuridico, ne consegue che trattasi di diritto primario dell'UE. Dunque, tutti i principi espressi dalla Corte EDU con riguardo alla presunzione di innocenza sancita dall'art. 6, comma 2, CEDU, possono ritenersi pienamente viventi ed operanti anche in ambito UE attraverso la citata direttiva e l'art. 48 della CDFUE (tenuto conto che il diritto alla presunzione di innocenza in esso sancito, conformemente all'art. 52, paragrafo 3, della CDFUE, ha significato e portata identici allo stesso diritto garantito dalla CEDU), con la conseguente possibilita' di disapplicare le norme interne che dovessero porsi in contrasto con le norme UE aventi efficacia diretta. Peraltro, trattandosi di questione che coinvolge diritti fondamentali che godono tutela sia in ambito UE che interno (vedi art. 27 Cost.), la relativa questione puo' essere sottoposta all'attenzione anche della Corte costituzionale, ai sensi degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost., come chiarito da Corte costituzionale sentenze nn. 269/2017, 20/2019, 63/2019 e, da ultimo, 181/2024. Secondo la Corte di Giustizia UE (vedi Corte di Giustizia UE, II Sez., 5 settembre 2019, causa C-377/18, Ah e altri), ai sensi del'art. 4, § 1, prima frase, della direttiva 2016/UE/343, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per garantire che, segnatamente, le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino un indagato o un imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Secondo il Considerando 16 tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l'idea che una persona sia colpevole. Nonostante l'art. 4, § 1, della citata direttiva lasci agli Stati membri un margine di discrezionalita' per l'adozione delle misure necessarie ai sensi di detta disposizione, resta il fatto che, come si evince dal Considerando 48 di tale direttiva, il livello di tutela previsto dagli Stati membri non dovrebbe mai essere inferiore alle norme della Carta o della CEDU, segnatamente quelle sulla presunzione di innocenza. A tale riguardo, sottolinea la Corte del Lussemburgo (vedi punto 41), occorre rilevare che la presunzione di innocenza e' sancita dall'art. 48 della CDFUE, il quale, come risulta dalle spiegazioni relative a quest'ultima, corrisponde all'art. 6, commi 2 e 3, CEDU. Ne consegue che, conformemente all'art. 52, § 3, della Carta, ai fini dell'interpretazione dell'art. 48 di quest'ultima occorre prendere in considerazione l'art. 6, commi 2 e 3, CEDU, quale soglia di protezione minima. Sicche', in assenza di indicazioni precise nella direttiva 2016/UE/343 e nella giurisprudenza relativa all'art. 48 della CDFUE su come debba stabilirsi se una persona sia presentata o meno come colpevole in una decisione giudiziaria, ai fini dell'interpretazione dell'art. 4, § 1, della direttiva 2016/UE/343 occorre ispirarsi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa all'art. 6, comma 2, CEDU (punto 42: nel caso di specie la Corte di Giustizia UE, proprio rifacendosi ad un precedente della Corte EDU, riteneva che l'art. 4 della direttiva dovesse essere interpretato nel senso che non ostasse a che un accordo nel quale l'imputato riconosce la propria colpevolezza in cambio di una riduzione di pena, e che deve essere approvato da un giudice nazionale, menzioni espressamente quali coautori del reato non soltanto tale imputato ma anche altre persone imputate in un procedimento separato, che procede ordinariamente, a condizione, da un lato, che tale menzione sia necessaria per la qualificazione della responsabilita' giuridica dell'imputato che ha concluso l'accordo, dall'altro, che il medesimo accordo indichi chiaramente che tali altre persone sono imputate in un procedimento penale distinto e che la loro colpevolezza non e' stata legalmente accertata; in altra sentenza - Corte di Giustizia UE, I Sez., 19 settembre 2018, causa C-310/18 PPU, Milev -, la Corte ha affermato che l'art. 4, § 1, della direttiva 2016/UE/343 deve essere letto alla luce del Considerando 16, secondo il quale il rispetto della presunzione di innocenza non pregiudica le decisioni riguardanti, ad esempio, la custodia cautelare, purche' non presentino l'indagato o imputato come colpevole. Ai sensi dello stesso Considerando, prima di prendere una decisione preliminare di natura procedurale, l'autorita' competente potrebbe anzitutto dovere verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell'indagato o imputato tali da giustificare la decisione e quest'ultima potrebbe contenere un riferimento a tali elementi. Da quanto precede risulta che, nell'ambito dei procedimenti penali, la direttiva in questione e, in particolare, i suoi articoli 3 e 4, § 1, non ostano all'adozione di decisioni preliminari di natura procedurale, come una decisione di mantenere una misura di custodia cautelare adottata da un'autorita' giudiziaria, fondate sul sospetto o su indizi di reita', purche' tali decisioni non presentino la persona detenuta come colpevole). Alla luce di cio', si dubita della conformita' al diritto UE dell'art. 578 c.p.p., come interpretato dal «diritto vivente», da ultimo ribadito dalla sentenza delle Sezioni Unite . Anche in questo caso, eventuali bilanciamenti con altri interessi o diritti tutelati dall'ordinamento U.E. (con riguardo, ad esempio, alla parte civile «vittima» del reato, come si evince dall'art. 16 della direttiva 2012/UE/29), spettano alla Corte costituzionale. Al riguardo, vanno richiamate le argomentazioni con le quali la Corte costituzionale, nella sentenza n. 12 del 2016, relativamente alle questioni sollevate in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 538 c.p.p. nella parte in cui non consente al giudice penale di condannare l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile in caso di proscioglimento per qualsiasi causa, compreso il vizio totale di mente, ha superato i profili riguardanti l'asserita violazione anche del diritto dell'U.E. Invero, si legge testualmente nella sentenza: «non giova, altresi', alle tesi del giudice a quo il richiamo alla direttiva 25 ottobre 2012, n. 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato: richiamo destinato, peraltro, a fungere da mero argomento di supporto delle altre doglianze, non avendo il rimettente evocato i parametri costituzionali che imporrebbero - in ipotesi - l'adeguamento dell'ordinamento italiano alle istanze sovranazionali richiamate (ossia gli articoli 11 e 117, primo comma, Cost.). Al riguardo, e' sufficiente osservare che l'obbligo degli Stati membri - sancito dall'art. 16, paragrafo 1, della citata direttiva - di garantire alla vittima «il diritto di ottenere una decisione in merito al risarcimento da parte dell'autore del reato nell'ambito del procedimento penale entro un ragionevole lasso di tempo», risulta espressamente subordinato alla condizione che «il diritto nazionale [non] preveda che tale decisione sia adottata nell'ambito di un altro procedimento giudiziario». Il che e' proprio quanto si verifica, secondo l'ordinamento italiano, nell'ipotesi in esame». Conclusivamente, va anche rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dalle Sezioni Unite (vedi punto 8 del Considerato in diritto), la protezione giuridica offerta al diritto di difesa dell'imputato dall'interpretazione dell'art. 578, comma 1, c.p.p. resa dal «diritto vivente» rappresentato dalle Sezioni Unite non appare per nulla maggiore di quella offerta dalla CEDU e dal diritto dell'Unione europea, atteso che espone l'imputato ad un improprio giudizio di colpevolezza tutte le volte in cui, per la maturata estinzione del reato per prescrizione, di tale aspetto della vicenda giudiziaria il giudice di appello non dovrebbe piu' curarsi. Invero, si ribadisce, pur a fronte della maturata prescrizione, le Sezioni Unite obbligano il giudice dell'impugnazione, sulla base del principio devolutivo, ad una preliminare ed approfondita valutazione degli aspetti penali della vicenda, che puo' condurre all'assoluzione dell'imputato, ma anche alla sua implicita affermazione di colpevolezza. La «medaglia», dunque, deve essere osservata da entrambe le facce e non limitarsi a quella apparentemente piu' favorevole. 3.3. Rispetto agli artt. 3 e 27, comma 2, Cost. L'intervento correttivo della Corte costituzionale potrebbe tradursi nella declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 578, comma 1, c.p.p. per come interpretato dal «diritto vivente», cosi' da attribuire cogenza ai principi affermati nella sentenza interpretativa di rigetto n. 182/2021 (ed e' l'ipotesi subordinata che si prospetta alla Corte). Tuttavia, una simile soluzione rischierebbe di non tenere conto dell'evoluzione legislativa che c'e' stata in conseguenza proprio della sentenza n. 182 del 2021 e della diversa architettura di sistema scaturita dalla riforma c.d. Cartabia circa i rapporti tra azione penale e azione civile nell'ambito del processo penale, che vale la pena di riassumere brevemente. Invero, si e' visto che, con riguardo all'istituto dell'improcedibilita' di cui all'art. 344-bis c.p.p., il legislatore ha ritenuto di percorrere una strada diversa da quella di cui all'art. 578, comma 1, c.p.p. Infatti, quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alla restituzione o al risarcimento del danno, cagionato dal reato, a favore della parte civile, con la declaratoria di improcedibilita' il giudice di appello (o la Corte di cassazione), verificata l'ammissibilita' dell'impugnazione, deve rinviare per la prosecuzione del giudizio al giudice o alla Sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile (art. 578, comma 1-bis, c.p.p.). A fondamento di tale opzione normativa sono state poste certamente ragioni di alleggerimento del carico di lavoro delle Corti penali, ma anche, se non soprattutto, la necessita' di sviluppare il percorso esegetico seguito dalla giurisprudenza costituzionale relativa all'art. 578, comma 1, c.p.p., che si basa sul presupposto che, per non incorrere in violazioni della presunzione d'innocenza dell'imputato, e' necessario restringere l'oggetto di accertamento al solo diritto del danneggiato al risarcimento del danno, dopo lo spartiacque del giudicato. E' stato, pertanto, ritenuto ragionevole attribuire il compito di decidere al giudice civile, in una situazione in cui devono essere verificati gli estremi della responsabilita' civile, senza poter accertare nemmeno incidentalmente la responsabilita' penale. E' certamente vero che l'istituto dell'improcedibilita' opera sul piano processuale (vedi Cassazione pen. sez. V, 5 novembre 2021, n. 334/22, anche se, sottolinea la Cassazione, «l'inquadramento "processuale" della norma di cui all'art. 344-bis c.p.p. non esclude che l'istituto abbia anche ripercussioni sostanziali, anche connesse all'indubbia novita' dell'istituto che di fatto rileva in plurimi ambiti, ma esse rilevano quale mero effetto consequenziale all'improcedibilita' dell'azione alla scadenza del termine fissato dal legislatore per la durata "ragionevole" del giudizio di impugnazione»: vedi punto 4.1.3. del Considerato in diritto), estinguendo l'azione penale, mentre quello della prescrizione opera sul piano sostanziale, estinguendo il reato. Tuttavia, ai fini che qui interessa, e cioe' ai fini della tutela della presunzione di innocenza come tutelata in ambito costituzionale (art. 27, comma 2, Cost.) ed europeo (CEDU e diritto dell'UE), in entrambi i casi le pronunce determinano una interruzione del giudizio penale, senza essere giunti all'accertamento definitivo della responsabilita' penale dell'imputato. In tutti e due i casi sorge un'esigenza di tutela del diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza, come detto, tutelata in ambito interno ed europeo, sicche', appare del tutto irragionevole una disparita' di trattamento tra le due fattispecie (l'una - l'improcedibilita' - applicabile in relazione alle impugnazioni aventi ad oggetto reati commessi dopo il 1° gennaio 2020 - l'altra - la prescrizione - operante in ordine alle impugnazioni aventi ad oggetto reati commessi fino al 31 dicembre 2019). D'altra parte, come la prescrizione, anche l'improcedibilita' di cui all'art. 344-bis c.p.p. e' rinunciabile da parte dell'imputato (art. 344-bis, comma 7, c.p.p.). Pertanto, in relazione alla fattispecie di cui all'art. 578, comma 1-bis, c.p.p., come non esiste un diritto dell'imputato, che non ha chiesto la prosecuzione del processo, ma che ha impugnato la sentenza di condanna, anche al risarcimento del danno, a fini penali, ad una cognizione piena della sua responsabilita' penale, cosi' non si giustifica, sulla base del «diritto vivente» ribadito da Sezioni Unite , che l'imputato, che non ha rinunciato alla prescrizione, ma che ha impugnato la sentenza di condanna, anche al risarcimento del danno, a fini penali, debba godere della possibilita' di una valutazione piena della sua responsabilita' penale da parte del giudice di appello, semplicemente per la presenza della costituita parte civile. A tale fine, infatti, e' sufficiente ad assicurare il diritto di difesa dell'imputato (nonche' il suo diritto alla presunzione di innocenza) la previsione di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p., che gli assicura, in qualsiasi stato e grado del processo, l'assoluzione in presenza di evidenza della prova di innocenza. Il diritto, invece, ad un esame pieno della sua responsabilita' penale, imposto dal «diritto vivente», non solo appare del tutto irragionevole e ingiustificato, a fronte dell'analogo istituto di cui all'art. 344-bis c.p.p. e della previsione di cui al comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p., ma appare foriero di potenziali conseguenze pregiudizievoli sotto il profilo della tutela del diritto alla presunzione di innocenza, poiche', nell'ipotesi in cui il giudice di appello ritenga che non sussistano i presupposti per assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., e, quindi, dichiari l'estinzione del reato per prescrizione, implicitamente ed incidentalmente ne afferma la colpevolezza in relazione al fatto-reato ascrittogli, subito dopo passando ad esaminare, in riferimento al medesimo fatto-reato, produttivo di danno, la sua responsabilita' civile, cosi' da correre concretamente il rischio della violazione della presunzione di innocenza come tutelata dall'art. 6, comma 2, CEDU e dal diritto dell'Unione europea. Quanto al necessario bilanciamento dei contrapposti interessi (tutela della presunzione di innocenza/ragionevole durata del giudizio in punto di responsabilita' civile), deve osservarsi che l'opzione seguita dal legislatore con l'inserimento del comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p. costituisce, sotto questo profilo, un esempio di equilibrato bilanciamento, che certamente puo', ed anzi deve, essere tenuto presente in questa sede al fine di adeguare il disposto di cui all'art. 578, comma 1, c.p.p. agli invocati parametri costituzionali, convenzionali ed eurounitari. Invero, innanzitutto, come la stessa Corte costituzionale ha ricordato, la norma di cui all'art. 578 c.p.p. rappresenta un'eccezione nel rapporto che regola l'esercizio dell'azione civile nel processo penale (vedi Corte costituzionale n. 176/2019), che non viene pregiudicato nell'ipotesi in cui alla pronuncia di non doversi procedere per estinzione del reato da parte del giudice di appello non dovesse fare seguito la conferma delle statuizioni civili da parte dello stesso giudice di appello penale. La costituzione di parte civile nel processo penale interrompe il decorso della prescrizione del diritto al risarcimento del danno con effetti permanenti fino al passaggio in giudicato della sentenza che dichiara l'estinzione del reato per prescrizione, cominciando a decorrere nuovamente da tale data (Cass. civ. sez. III, 20 giugno 1978, n. 3036). Peraltro, la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato (come del resto la pronuncia ex art. 344-bis c.p.p.) non avrebbe alcun effetto nell'eventuale giudizio civile di risarcimento del danno. Quanto al diritto della parte civile di ottenere in tempi ragionevoli il risarcimento del danno patito per effetto del reato, diritto costituzionalmente tutelato ai sensi dell'art. 111, comma 2, Cost, deve osservarsi che lo stesso sarebbe certamente assicurato dalla prosecuzione del giudizio dinanzi al giudice civile, che, quindi, come osservato dalla Cassazione (vedi Cassazione pen. sez. un., 25 maggio 2023, n. 38841) a proposito dell'analoga disposizione di cui all'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., non dovrebbe essere neppure riassunto dinanzi al giudice civile competente per grado, ma semplicemente proseguirebbe, assicurando, peraltro, la piena utilizzabilita' delle prove acquisite nel processo penale (oltre che di quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile). D'altra parte, il diritto alla ragionevole durata del giudizio a fini civili dovrebbe, in ogni caso, cedere il passo di fronte ad altri diritti costituzionalmente e convenzionalmente tutelati, quali il diritto di difesa dell'imputato e, come nel caso di specie, il suo diritto a vedersi presumere innocente fino all'accertamento definitivo della sua colpevolezza. Sul punto, si richiamano le argomentazioni con le quali la Corte costituzionale, nella sentenza n. 12 del 2016, relativamente alle questioni sollevate in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 538 c.p.p. nella parte in cui non consente al giudice penale di condannare l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile in caso di proscioglimento per qualsiasi causa, compreso il vizio totale di mente, ha superato i profili riguardanti l'asserita violazione del principio di ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, secondo periodo, Cost.), ovvero il richiamo all'art. 6 CEDU nella parte in cui tutela anche i diritti civili. Invero, si legge testualmente nella sentenza: «con riguardo, infine, all'asserita violazione del principio di ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, secondo periodo, Cost.), questa Corte ha ripetutamente affermato che - alla luce dello stesso richiamo al connotato di «ragionevolezza», che compare nella formula costituzionale - possono arrecare un vulnus a quel principio solamente le norme «che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorrette da alcuna logica esigenza» (ex plurimis, sentenze n. 23 del 2015 n. 63 e n. 56 del 2009, n. 148 del 2005). Tale ipotesi non e' ravvisabile nel caso considerato. La preclusione della decisione sulle questioni civili, nel caso di proscioglimento dell'imputato per qualsiasi causa - compreso il vizio totale di mente - se pure procrastina la pronuncia definitiva sulla domanda risarcitoria del danneggiato, costringendolo ad instaurare un autonomo giudizio civile, trova pero' giustificazione, come gia' rimarcato, nel carattere accessorio e subordinato dell'azione civile proposta nell'ambito del processo penale rispetto alle finalita' di quest'ultimo, e segnatamente nel preminente interesse pubblico (e dello stesso imputato) alla sollecita definizione del processo penale che non si concluda con un accertamento di responsabilita', riportando nella sede naturale le istanze di natura civile fatte valere nei suoi confronti. Cio', in linea, una volta ancora, con il favore per la separazione dei giudizi cui e' ispirato il vigente sistema processuale. [...] Parimenti non probanti appaiono, da ultimo, i riferimenti alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo operati dalla parte privata: anche in questo caso, con semplice funzione rafforzativa delle denunciate violazioni degli articoli 24 e 111 Cost., non figurando tra i parametri dell'odierno scrutinio quello piu' direttamente conferente (l'art. 117, primo comma, Cost.). La Corte Strasburgo e', in effetti, costante nel riconoscere che, nella misura in cui la legislazione nazionale accordi alla vittima del reato la possibilita' di intervenire nel processo penale per difendere i propri interessi tramite la costituzione di parte civile, tale diritto va considerato un «diritto civile» agli effetti dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, con conseguente spettanza, alla vittima stessa, delle garanzie in tema di equo processo ivi stabilite, compresa quella relativa alla ragionevole durata (Grande Camera, sentenza 12 febbraio 2004, Perez contro Francia; in senso conforme, tra le altre, sezione terza, sentenza 25 giugno 2013, Associazione delle persone vittime del sistema s.c. Rompetrol s.a. e s.c. Geomin s.a. e altri contro Romania; Grande Camera, sentenza 20 marzo 2009, Gorou contro Grecia). In questa logica, la Corte europea si e', peraltro, specificamente occupata, in piu' occasioni, dell'ipotesi del mancato esame della domanda della parte civile per essersi il procedimento penale chiuso con provvedimento diverso dalla condanna dell'imputato, in applicazione di una regola condivisa - sia pure con diverse varianti e gradazioni - da plurimi ordinamenti nazionali. Tale regime non e' stato affatto ritenuto, in se' e per se', contrastante con le garanzie convenzionali. La violazione dell'art. 6 della CEDU, in particolare sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale, e' stata ravvisata dai giudici di Strasburgo solo in due ipotesi. In primo luogo, quando la vittima del reato non fruisca di altri rimedi accessibili ed efficaci per far valere le sue pretese (sezione terza, sentenza 25 giugno 2013, Associazione delle persone vittime del sistema s.c. Rompetrol s.a. e s.c. Geomin s.a. e altri contro Romania; sezione prima, sentenza 4 ottobre 2007, Forum Maritime s.a. contro Romania): rimedi che, nell'ordinamento italiano, sono invece offerti dalla possibilita' di rivolgersi al giudice civile. In secondo luogo, la violazione e' stata riscontrata allorche' il concreto funzionamento del meccanismo frustri indebitamente le legittime aspettative del danneggiato, come nel caso in cui la prescrizione della responsabilita' penale dell'autore del reato, impeditiva dell'esame della domanda civile, sia imputabile a ingiustificati ritardi delle autorita' giudiziarie nella conduzione del procedimento penale (Grande Camera, sentenza 2 ottobre 2008, Atanasova contro Bulgaria; sezione prima, sentenza 3 aprile 2003, Anagnostopoulos contro Grecia): malfunzionamento che non dipende, peraltro, dalla norma e che comunque non viene in considerazione nell'ipotesi qui in esame.» (Corte cost. n. 12/2016). D'altronde, come chiarito ancora di recente dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, grande camera, 24 settembre 2024, Fabbri e altri c. San Marino), il fatto che la chiusura di un procedimento penale impedisca la pronuncia di una decisione relativa a domande civili nell'ambito di tale procedimento penale non costituisce, in linea di principio, una violazione del diritto di accesso ad un Tribunale se la cessazione di tale procedimento penale si basa su motivi giuridici non applicati in modo arbitrario o irragionevole e se il ricorrente disponeva ab initio di un altro mezzo di ricorso atto a consentirgli di ottenere una decisione sulle sue pretese di carattere civile. Anche sotto il profilo del rispetto di un termine ragionevole per la trattazione della causa civile, spetta agli Stati membri organizzare i propri sistemi giudiziari in modo tale da che i propri Tribunali possano garantire a ciascuno il diritto di ottenere una decisione definitiva sulle controversie relative ai propri diritti e obblighi civili in tempi ragionevoli, e la ragionevolezza della durata del procedimento deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso, verificando la complessita' del caso, il comportamento del ricorrente e quello delle Autorita' competenti, nonche' la posta in gioco degli interessati. Nel caso di specie, premesso che le parti civili disponevano ab initio della possibilita' di esercitare autonomamente l'azione civile dinanzi ai giudici civili, in ogni caso la prospettiva della prosecuzione del giudizio di appello in sede civile, in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, assicura non solo il pieno accesso alla tutela giudiziaria, ma anche una risposta di giustizia in tempi ragionevoli. Infine, la prospettata assimilazione della fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 578 c.p.p., rispetto a quella di cui al comma 1-bis del medesimo articolo, non frustrerebbe le aspettative dell'imputato (ovvero della stessa parte civile) a che il giudizio di appello, con riferimento alle residue questioni civili, si svolga nel merito dinanzi al giudice dell'appello penale, giacche' l'eventualita' che il giudizio si svolga ad un certo punto dinanzi al giudice dell'appello civile e' prospettiva gia' esistente, tenuto conto del disposto dell'art. 622 c.p.p., come interpretato dalla giurisprudenza di legittimita' (vedi Cassazione pen. sez. un., 18 luglio 2013, n. 40109, imp. , e Cassazione pen. sez. un., 28 gennaio 2021, n. 22065, imp. ). Sotto quest'ultimo profilo, del resto, l'originaria introduzione del comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p., ad opera della legge n. 134/2021 - a differenza dell'introduzione da parte del decreto legislativo n. 150/2022 del comma 1-bis nell'art. 573 c.p.p., che e' stata collegata anche alla modifica apportata dal medesimo decreto all'art. 78, comma 1 lettera d), c.p.p. (vedi Cassazione pen. sez. un., 25 maggio 2023, n. 38841), cosi' da ancorarne l'operativita' a quei processi nei quali la costituzione di parte civile e' intervenuta successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2022 -, e' avvenuta autonomamente, a seguito dell'introduzione dell'istituto di cui all'art. 344-bis c.p.p. Pertanto, la sua efficacia non risulta ricollegabile al momento in cui e' avvenuta la costituzione di parte civile. In buona sostanza, se alla data di entrata in vigore della legge n. 134/2021, con riguardo ad impugnazioni relative a processi aventi ad oggetto reati commessi dopo il 1° gennaio 2020, risultava gia' costituita la parte civile, l'art. 578, comma 1-bis, c.p.p. ha comunque piena efficacia, essendo ancorata la sua operativita' esclusivamente all'istituto dell'improcedibilita' di cui all'art. 344-bis c.p.p. Ne consegue che, anche sotto questo aspetto, non vi e' alcuna preclusione nell'estendere, in via pretoria costituzionale, la disciplina di cui al comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p. alla fattispecie di cui al comma 1 della medesima disposizione, poiche', come nel primo caso il legislatore ha ritenuto recessiva, a seguito dell'eventuale declaratoria di improcedibilita' dell'azione penale, l'eventuale aspettativa delle parti private (imputato e/o parte civile gia' costituita al momento dell'entrata in vigore della norma) a che il processo fosse definito nel merito, anche con riferimento alle questioni civili, dal giudice penale, cosi' allo stesso modo puo' ritenersi recessiva analoga aspettativa riguardo alla sopravvenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. In conclusione, ai fini di rendere costituzionalmente legittimo il disposto dell'art. 578, comma 1, c.p.p. l'intervento «correttivo» non dovrebbe limitarsi alla declaratoria di illegittimita' della norma, come interpretata dal «diritto vivente», ma dovrebbe spingersi a renderla conforme all'analoga disposizione di cui al comma 1-bis del medesimo art. 578 c.p.p. (con eventuale estensione, in via derivata, anche rispetto al comma 1-ter della citata disposizione), in tale modo eliminando, altresi', irragionevoli disparita' di trattamento tra imputati, a fronte di situazioni del tutto analoghe, determinate semplicemente sulla base della data del commesso reato. Invero, solo per avere commesso il reato in epoca successiva al 1° gennaio 2020, a fronte di un'identica situazione (interruzione del processo senza un'affermazione definitiva di responsabilita' penale), l'imputato godrebbe di una tutela maggiore rispetto al diritto alla presunzione di innocenza di quella di cui godrebbe l'imputato di un reato commesso fino al 31 dicembre 2019. Quest'ultimo, infatti, anche a fronte di un'interpretazione conforme dell'art. 578, comma 1, c.p.p. ai parametri costituzionali ed europei, permanendo il giudizio sugli interessi civili dinanzi al giudice dell'impugnazione penale, correrebbe comunque il rischio di violazioni del suo diritto ad essere presunto innocente, rischio che il legislatore ha voluto definitivamente escludere per l'autore di un reato commesso dal 1° gennaio 2020, trasferendo il residuale giudizio sulle questioni civili nella sua sede naturale, e cioe' dinanzi al competente giudice civile. D'altronde, non puo' neppure tacersi che ben potrebbero verificarsi fattispecie in cui al medesimo imputato, nell'ambito dello stesso processo, risultano contestati fatti commessi prima del 1° gennaio 2020 e fatti commessi successivamente, con la conseguenza che, verificatesi, per ipotesi, le condizioni previste dai commi 1 (con riguardo ai fatti commessi prima del 1° gennaio 2020) e 1-bis (in relazione ai fatti commessi successivamente al 1° gennaio 2020) dell'art. 578 c.p.p., la presenza della parte civile determinerebbe l'operativita' di due diverse discipline in maniera del tutto irragionevole. Come e' noto, secondo il costante orientamento della Corte costituzionale, si ha violazione dell'art. 3 Cost. quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso (ex plurimis Corte costituzionale n. 340/2004). In subordine, comunque, ove la Corte ritenga non equiparabili le situazioni previste dai commi 1 e 1-bis dell'art. 578 c.p.p., la questione di legittimita' costituzionale viene in ogni caso sollevata con riferimento all'art. 6, comma 2, CEDU, quale parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., quali parametri interposti degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui l'art. 578, comma 1, c.p.p. viene interpretato secondo il «diritto vivente» rappresentato dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione e , e non nel senso gia' fatto proprio dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182/2021. P. Q. M. LA CORTE Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953 solleva, in via principale, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 6, comma 2, CEDU, quale parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., quali parametri interposti degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost., nonche' in relazione agli articoli 3 e 27, comma 2, Cost., con riferimento all'art. 578, comma 1, c.p.p., nella parte in cui stabilisce che, quando nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello (o la Corte di cassazione), nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili, e non prevede, invece, che, analogamente alla norma di cui al comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p., se l'impugnazione non e' inammissibile, il giudice di appello (o la Corte di cassazione) rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile; in via subordinata, solleva, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 6, comma 2, CEDU, quale parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost., e in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., quali parametri interposti degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost., con riferimento all'art. 578, comma 1, c.p.p., per come interpretato dal «diritto vivente» rappresentato dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione n. 35490/09 imp. e n. 36208/2024, c/ , nella parte in cui si afferma che «nel giudizio di appello avverso la sentenza di' condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, non puo' limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma e' comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito». Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio. Dispone che la presente ordinanza sia notificata al sig. Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al sig. Presidente della Camera dei deputati ed al sig. Presidente del Senato. Manda alla cancelleria per gli adempimenti. Cosi' deciso in Lecce all'esito della Camera di consiglio del 13 dicembre 2024 Il Presidente: Ottaviano Il consigliere est: Biondi