Reg. ord. n. 72 del 2025 pubbl. su G.U. del 30/04/2025 n. 18
Ordinanza del Corte dei conti del 08/03/2025
Tra: M. O. e altri
Oggetto:
Responsabilità amministrativa e contabile – Comuni, province e città metropolitane – Dichiarazione di dissesto – Conseguenze per gli amministratori che sono stati riconosciuti, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, al verificarsi del dissesto finanziario – Sanzioni interdittive – Divieto di ricoprire per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati – Incandidabilità, per un periodo di dieci anni, per i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili per la medesima fattispecie, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo – Irragionevolezza della previsione di una misura interdittiva (incandidabilità o divieto di ricoprire cariche) in misura fissa (dieci anni) per una condotta, anche di natura gravemente colposa, che non abbia determinato ma anche solo contribuito, peraltro senza limiti di tempo, al dissesto dell’ente – Contrasto con i principi di gradualità sanzionatoria, proporzionalità, ragionevolezza ed eguaglianza – Irragionevole parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, di condotte sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo, sia in relazione all’incidenza del loro contributo al dissesto o alla loro durata – Lesione del diritto di elettorato passivo – Disparità di trattamento con riferimento a fattispecie che incidono o sulle condizioni morali degli amministratori o riguardano responsabilità relative a infiltrazioni mafiose per le quali sussiste la possibilità di limitare la durata dell’incandidabilità tramite l’istituto della riabilitazione – Irragionevolezza di un termine fisso di incandidabilità (o divieto di ricoprire determinate cariche) sotto il profilo della mancata differenziazione o graduazione della colpa grave rispetto al dolo, nonché delle condotte “determinanti” rispetto ai quelle che esprimono un mero “contributo” – Irragionevolezza del divieto di ricoprire alcune cariche non preclusivo della possibilità di essere eletti per l’esercizio di funzioni non riguardanti la singola attività delegata ma l’intera amministrazione locale.
Norme impugnate:
decreto legislativo
del 18/08/2000
Num. 267
Art. 248
Co. 5
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 51
Co.
Udienza Pubblica del 3 dicembre 2025 rel. BUSCEMA
Testo dell'ordinanza
N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 08 marzo 2025
Ordinanza dell'8 marzo 2025 della Corte dei conti sezione
giurisdizionale per la Regione Calabria nel giudizio di
responsabilita' a carico di M. O. e altri.
Responsabilita' amministrativa e contabile - Comuni, province e
citta' metropolitane - Dichiarazione di dissesto - Conseguenze per
gli amministratori che sono stati riconosciuti, anche in primo
grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o
gravemente colpose, al verificarsi del dissesto finanziario -
Sanzioni interdittive - Divieto di ricoprire, per un periodo di
dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti
locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti,
istituzioni ed organismi pubblici e privati - Incandidabilita', per
un periodo di dieci anni, per i sindaci e i presidenti di provincia
ritenuti responsabili per la medesima fattispecie, alle cariche di
sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta
regionale, nonche' di membro dei consigli comunali, dei consigli
provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del
Parlamento e del Parlamento europeo.
- Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali), art. 248, comma 5.
(GU n. 18 del 30-04-2025)
LA CORTE DEI CONTI
Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria
Il Giudice monocratico Guido Tarantelli, designato ai sensi
dell'art. 133, comma 2, del codice della giustizia contabile (decreto
legislativo 26 agosto 2016, n. 174), ha pronunciato la seguente
ordinanza nel giudizio iscritto al n. 24057 del registro di
segreteria promosso dalla Procura regionale, ex art. 133 c.g.c., nei
confronti dei signori:
1) O M nato a il gennaio ed ivi residente
C.F. , sindaco in carica dal all' e dal
al (in carica nel periodo per mesi), elettivamente
domiciliato in Cosenza alla Via Sabotino n. 55, presso lo studio
dell'Avv. Benedetto Carratelli - c.f. CRRBDT63S23D086T - fax:
098475759 - pec: benedettocarratelli@pec.giuffre.it dal quale e'
rappresentato e difeso in forza di procura in atti;
2) B M nato a l' ed ivi residente, C.F.
, assessore in carica dall' al (in carica nel periodo
per mesi) rappresentato e difeso, per procura in atti dall'Avv.
Oreste Morcavallo (C.F. MRCRST49D19D086G), presso il cui studio in
Cosenza, C.so Luigi Fera n. 23, e' elettivamente domiciliato, fax
0984.413950 o p.e.c. studiomorcavallo@pecstudio.it
3) B D nato a C il ed ivi residente, C.F. ,
assessore in carica dall' al (in carica nel periodo
per ), elettivamente domiciliato in Catanzaro, alla Via Schipani
n. 110, nello studio dell'Avv. Mariagemma Talerico, rappresentato e
difeso, in forza di procura in atti, dall'Avv. Giuseppe Carratelli
(c.f. CRRGPP88T07D086J), con studio in Cosenza alla via Sabotino n.
55, fax 0984/75759, p.e.c.:
giuseppecarratelli@pec.studiolegalecarratelli.it
4) D C F nato a l' ed ivi residente, C.F.
, assessore in carica dal al e dall' al (in carica
nel periodo per );
5) M C nato a Cosenza l' e residente a ,
C.F. 60 , assessore in carica dall' al (in carica nel
periodo per mesi ), rappresentato e difeso - giusta procura in
atti dagli Avv.ti Mario D'Urso (c.f. DRSMRA34A27H703O) ed Antonio
D'Urso (c.f. DRSNTN69C01H703G), e con gli stessi elettivamente
domiciliato presso gli indirizzi di posta elettronica certificata:
studioavvdurso@pec.it e avvantoniodurso@pec.it
6) S R nata a il ed ivi residente, C.F. ,
assessore in carica dall' al e dal al (in carica
nel periodo per ), rappresentata e difesa - per procura in
atti - dall'Avv. Oreste Morcavallo (C.F. MRCRST49D19D086G), presso il
cui studio in Cosenza, C.so Luigi Fera n. 23, e' elettivamente
domiciliata, fax 0984.413950, p.e.c. studiomorcavallo@pecstudio.it
7) V L nato a il ed ivi residente, C.F. ,
assessore con delega al bilancio dall' al e dal al
(in carica nel periodo per ), rappresentato e difeso, come da
procura alle liti allegata al presente atto, dall'avv. Gaetano
Callipo (CLLGTN64R11E041M), con domicilio digitale eletto
all'indirizzo di posta elettronica certificata gaetano.callipo@pec.it
8) P F L nata a il e residente a ,
C.F. , assessore dal al e dal al (in carica
nel periodo per ), rappresentata e difesa, in virtu' di
procura in calce al presente atto, dall'Avv. Valerio Zicaro
(ZCRVLR80H18D086C), elettivamente domiciliata presso il suo studio in
Cosenza alla Piazza Zumbini n. 72, fax: 0984.408041 e p.e.c.:
valerio.zicaro@avvocaticosenza.it
9) C F nato a il ed ivi residente, C.F. ,
assessore dal al (in carica nel periodo per ),
rappresentato e difeso, in virtu' di procura in atti, dall'Avv.
Carmelo Salerno con domicilio presso il suo studio, in Cosenza, via
Mortati, n. 23, PEC: avv.carmelosalerno@pec.giuffre'.it (FAX:
0984/408752);
10) S M nata a il e residente a , C.F. ,
assessore dal al (in carica nel periodo per ),
elettivamente domiciliata in Cosenza alla Via Sabotino n. 55, presso
lo studio dell'Avv. Benedetto Carratelli (c.f. CRRBDT63S23D086T -
fax: 098475759 - pec: benedettocarratelli@pec.giuffre.it dal quale e'
rappresentata e difesa in forza di procura in atti;
11) S M nato a l' ed ivi residente,
C.F. , assessore dall' al (in carica nel periodo
per ), elettivamente domiciliato in Cosenza alla Via Sabotino, n.
55, presso lo studio dell'Avv. Benedetto Carratelli (c.f.
CRRBDT63S23D086T - fax: 098475759 - pec:
benedettocarratelli@pec.giuffre.it dal quale e' rappresentato e
difeso in forza di procura in atti;
12) V C nato a il e residente , C.F.
, assessore dal al e dal al (in carica nel periodo
per ), elettivamente domiciliato in Cosenza alla Via Sabotino n.
55, presso lo studio dell'Avv. Benedetto Carratelli (c.f. CRR BDT
63S23 D086T - fax: 098475759 - pec:
benedettocarratelli@pec.giuffre.it dal quale e' rappresentato e
difeso in forza di procura in atti;
13) F G nato a il e residente a ,
C.F. , revisore dei conti dal al ;
14) B S nato a il ed ivi residente,
C.F. , revisore dei conti dal al ;
15) S T nata a il e residente a , C.F. ,
revisore dei conti dal al , rappresentati e difesi, in virtu'
di distinti mandati in atti, dall'Avv. Giovanni Spataro (C.F.:
SPTGNN63M12D086T) fax 0984398003, p.e.c.
avv.giovannispataro@pec.giuffre.it con domicilio eletto in Cosenza
piazza Europa 9;
16) B N F nato a il e residente a
C.F. , revisore dei conti dal al ;
17) S F nato a il ed ivi residente C.F. ,
revisore dei conti dal al ;
18) T S nato a il ed ivi residente C.F. ,
revisore dei conti dal al , rappresentati e difesi in virtu'
di procura in calce dell'Avvocato Agostino Conforti (C.F.
CNFGTN66L01D086M) del foro di Cosenza con studio in Cosenza alla Via
Guido Dorso, n. 23, Tel. Fax. 098436217, p.e.c.
avvagostinoconforti@cnfpec.it
Visto il ricorso in epigrafe, con cui la Procura Regionale ha
chiesto nei confronti dei suindicati amministratori l'irrogazione
della sanzione pecuniaria di cui all'art. 248, commi 5 e 5-bis del
TUEL per avere gli stessi, nella qualita' di amministratori e
revisori, negli anni sin dal del Comune di posto in
essere condotte gravemente colpose che hanno causalmente contribuito
al verificarsi del dissesto finanziario dell'ente, deliberato dal
Consiglio comunale, con deliberazione n. dell'
Visto il decreto presidenziale n. 252 del 9 ottobre 2024 recante
la designazione del giudice monocratico;
Visto il decreto del 9 ottobre 2024 recante la fissazione
dell'udienza camerale per la trattazione in sede monocratica del
giudizio per il giorno 26 novembre 2024;
Visto il decreto del 4 novembre 2024 con cui La Procura, rilevata
la mancata notifica del ricorso e decreto di fissazione dell'udienza
- e il mancato riscontro dell'UNEP alla richiesta di procedere alla
notifica ai sensi dell'art. 138 c.p.c. ovvero ex art. 139 c.p.c.
presso la sede dell'ufficio dove la destinataria dell'atto svolge il
proprio incarico di Presidente della Provincia Regionale di -
veniva autorizzata alla notificazione del ricorso sanzionatorio a
S R a mezzo delle forze di polizia ai sensi dell'art. 133
c.g.c.;
Vista la documentazione depositata dal Pubblico Ministero;
Viste le memorie di costituzione e i relativi allegati
ritualmente depositati;
Letta l'ordinanza a verbale all'udienza del 26 novembre 2024 con
la quale - vista l'eccezione delle convenute S R e P F
L di violazione dell'art. 133, comma 5, c.g.c., poiche' tra la
data di notifica e quella dell'udienza di discussione intercorre un
termine inferiore ai 30, con relativa richiesta di rinvio - veniva
disposto il rinvio all'udienza del 13 gennaio 2025;
Uditi nella camera di consiglio del 13 gennaio 2025, per la
Procura regionale il V.P.G. Dott. Giovanni Di Pietro, per i convenuti
O , S , S e V l'Avv. Benedetto Carratelli, per V
l'Avv. Gaetano Callipo, per B , T e S l'Avv. Agostino
Conforti, per B , F e S l'Avv. Giovanni Spataro, per B
e S l'Avv. Oreste Morcavallo, per B l'Avv. Giuseppe
Carratelli, per C l'Avv. Carmelo Salerno, per M l'Avv.
Crescenzio Santuori per delega, per P l'Avv. Valerio Zicaro; per
il convenuto D C , non costituito, nessuno e' comparso.
Premesso in fatto
1. La Procura regionale agiva in giudizio chiedendo l'emissione
di un decreto per l'applicazione delle sanzioni previste
dall'articolo 248, comma 5 e 5-bis del Tuel, nei confronti degli
amministratori e revisori convenuti in quanto responsabili di avere
contribuito con le proprie condotte gravemente colpose al verificarsi
del dissesto finanziario del Comune di e, per l'effetto, che
venisse stabilito per gli stessi l'impossibilita' di ricoprire, per
un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei
conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri
enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati, nonche' per il
sindaco pro tempore che lo stesso venisse dichiarato non candidabile,
per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente
di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonche' di membro
dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e
dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo e che
non potesse altresi' ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni
la carica di assessore comunale, provinciale o regionale ne' alcuna
carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici.
Per i revisori dei conti chiedeva di dichiararsi che gli stessi
non potessero essere nominati nel collegio dei revisori degli enti
locali e degli enti e degli organismi ad essi riconducibili fino a
dieci anni in funzione della gravita' accertata, con trasmissione
dell'esito dell'accertamento anche all'ordine professionale di
appartenenza dei revisori per valutazioni inerenti all'eventuale
avvio di procedimenti disciplinari nonche' al Ministero dell'interno
per la conseguente sospensione dall'elenco di cui all'articolo 16,
comma 25, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con
modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Si richiedeva, inoltre, l'irrogazione di una sanzione pecuniaria
commisurata alla retribuzione mensile lorda dovuta al momento della
commissione della violazione nella misura specificata.
A sostegno della propria domanda la Procura regionale
rappresentava che in data 18 luglio 2019 la Sezione di Controllo per
la regione Calabria, a seguito degli accertamenti contenuti nella
deliberazione n. 66/2019 e delle deduzioni dell'ente locale,
trasmetteva la deliberazione n. 106/2019 con la quale accertava il
grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi fissati dal Piano
di Riequilibrio Finanziario Pluriennale (PRFP), approvato dal
Consiglio Comunale di con la deliberazione n. del e
successivamente riformulato con la deliberazione dell' n.
(in ragione delle modifiche attuate con il decreto-legge n.
35/2013); la deliberazione n. 106/2019 veniva confermata dalle
Sezioni Riunite della Corte dei conti in speciale composizione,
accertando l'obbligo del comune di Cosenza di dichiarare il dissesto,
poi avvenuto con la deliberazione n.51 dell' .
Il ricorso indicava che il PRFP approvato dal Comune sulla base
dei dati contabili dell'ultimo rendiconto approvato (rendiconto
) aveva quantificato una massa passiva da ripianare nel
decennio , di valore complessivo pari a euro e il
ripiano della situazione debitoria era stato previsto individuando
quali specifiche risorse la riduzione della spesa corrente (53
milioni di euro), il riordino delle aliquote dell'IMU (29 milioni di
euro), le modifiche dell'attivita' di misurazione necessarie per
determinare le tariffe del servizio idrico integrato (SII) (8,6
milioni di euro), l'introduzione delle tariffe TARES (17,2 milioni di
euro) ed il recupero dell'evasione fiscale (15,9 milioni di euro).
Il PRFP aveva individuato tra le passivita' anche partite
debitorie di futura emersione, e quindi indeterminate, e il piano non
prevedeva la ripartizione del recupero su base annuale.
Inoltre, la Sezione di controllo richiamava l'aggiornamento delle
grandezze contabili con i principi dell'armonizzazione contabile
entrati in vigore dopo l'approvazione del decreto legislativo n.
118/2011 e indicava che la situazione dell'ente dovesse tenere conto
del riaccertamento straordinario dei residui al 1° gennaio 2015
(decreto legislativo n. 118/2011) e dell'obbligo del ripiano
trentennale di una quota di disavanzo pari a 3,3 milioni di euro per
ciascun anno e degli accantonamenti e vincoli per assicurare gli
equilibri di bilancio.
Le delibere della Sezione di controllo n. 66 e n. 106 del 2019
accertavano i seguenti elementi.
A) Le entrate.
Il piano di risanamento proposto prevedeva una piu' efficace
attivita' di accertamento e riscossione delle entrate per sostenere
le passivita' individuate con l'approvazione del piano.
In particolare, il PRFP aveva ritenuto di introitare maggiori
risorse dal riordino delle aliquote IMU, da una piu' efficace
misurazione dei consumi relativi al servizio idrico integrato, da una
piu' incisiva azione della riscossione della tariffa relativa al
servizio rifiuti e dallo svolgimento di una piu' rigorosa azione
volta al recupero dell'evasione fiscale.
La Sezione di controllo della Corte dei conti, per le annualita'
2015/2018, indicava l'impossibilita' di raggiungere gli obiettivi
programmati e come l'ente locale, nell'incapacita' di gestire la
riscossione delle entrate, avesse ampliato le passivita' e gli oneri.
Venivano quindi indicate per le singole annualita' le varie
differenze tra quanto programmato e quanto effettivamente riscosso.
B) Le Spese.
Le verifiche eseguite hanno indicato che la contrazione delle
spese correnti programmata non e' stata concretamente attuata (- 53
milioni di euro) e che non sono stati realizzati gli obiettivi di
smaltimento della spesa corrente.
Inoltre, la riduzione dei residui passivi sarebbe un apparente
miglioramento poiche' il decreto legge n. 35/2013 e successive
disposizioni hanno reso disponibili anticipazioni di liquidita' che
hanno alleggerito il carico dell'esposizione debitoria e ridotto il
complessivo ammontare dei residui passivi conservati in bilancio;
tuttavia le anticipazioni vincolano gli enti beneficiari dell'onere
della restituzione delle somme con la maggiorazione degli interessi a
vantaggio dell'istituto erogatore (Cassa Depositi e Prestiti).
Venivano quindi indicate per le singole annualita' le differenze
tra gli impegni di spesa programmati e come poi effettivamente
incrementati.
C) Debiti fuori bilancio.
Il PRFP ha previsto l'emersione nel decennio di debiti per
circa milioni di euro e ha dato rilievo alla sussistenza di un
debito verso il Commissario per l'emergenza ambientale di importo
pari a circa milioni di euro.
I dati esaminati dalla Sezione di controllo hanno indicato che
nell'anno sono stati riconosciuti debiti per milioni di euro,
che ulteriori debiti per milioni sono stati attestati in attesa di
riconoscimento per spese per investimenti privi di copertura
finanziaria e nell'anno debiti per milioni di euro.
Inoltre, vengono rendicontate spese per milioni per debiti
assunti senza impegno e privi di copertura finanziaria e non
risultano considerati i debiti verso .
Nell'anno risultano riconosciuti debiti per mila euro, non
viene rendicontata l'effettiva consistenza dei debiti pur essendo
richiesta per la verifica dell'attuazione del piano e non e'
effettivamente chiarita la situazione debitoria verso .
Nell'anno 2018 non risultano riconosciuti debiti fuori bilancio,
ma soprattutto non sono stati forniti i chiarimenti e le necessarie
esplicitazioni richieste sulla situazione debitoria effettivamente
sussistente in capo al comune di .
La mancata azione di trasparenza ha ricompreso anche i rapporti
debito/credito con le societa' partecipate, in modo particolare la
situazione di in crisi economico finanziaria e avente quale
socio unico il suddetto comune, con aggravamento della situazione
economico finanziaria dell'ente.
Inoltre, i controlli hanno accertato al per il servizio
rifiuti debiti pagati di importo pari a milioni di euro e da
pagare di importo corrispondente a milioni e ulteriori debiti
accertati verso la regione Calabria riferiti al servizio idrico
integrato per circa milioni di euro.
Emerge dunque il mancato rispetto delle previsioni del piano e
l'assoluta inattendibilita' della stima delle passivita'.
D) Ulteriori criticita'.
Al mancato risanamento si aggiunge il progressivo deterioramento
della situazione economico finanziaria.
Il comune di ha attestato al una giacenza di cassa
di milioni di euro e la disponibilita' di una cassa vincolata di
valore pari a milioni di euro che, negli esercizi successivi, si
riducono in modo significativo, in quanto, alla data del la
giacenza di cassa e' risultata pari a euro e quella della
cassa vincolata pari a euro, al i suddetti valori subiscono un
ridimensionamento ulteriore risultando entrambe le giacenze di valore
pari a euro e, infine, nell'esercizio le suddette giacenze
hanno un valore ancora inferiore e pari a euro. Alla data del
dato della giacenza di cassa risulta pari a euro e le somme
disponibili sono risultate sottoposte a pignoramenti da parte dei
terzi creditori.
Inoltre, si assiste al continuo ricorso a significative
anticipazioni di tesoreria ( ) omettendo la
restituzione delle somme entro il termine dell'esercizio finanziario;
nel non risultano restituiti milioni di euro e
nel milioni di euro.
Con riferimento poi all'utilizzo delle risorse vincolate,
nell'esercizio finanziario il comune di risulta avere
utilizzato risorse vincolate non restituite al pari a milioni
di euro, nel le quote vincolate utilizzate e non restituite a
fine esercizio vengono rendicontate pari a milioni di euro, nel
delle risorse vincolate impiegate e non restituite e' pari a
milioni di euro e, anche al , viene attestato l'impiego di risorse
vincolate e non restituite pari a milioni di euro.
Tali dati indicherebbero l'inequivocabile incapacita' di
assicurare l'equilibrio della parte corrente del bilancio (non
essendo riuscito nell'obiettivo di utilizzare la leva fiscale e
quella della contrazione delle spese correnti per finanziare le
passivita' preesistenti, aggravando ulteriormente gli oneri per
garantire l'ordinaria gestione).
Inoltre, la Sezione di controllo ha rilevato che la mancata
corretta attuazione dei principi sull'armonizzazione contabile ha
evidenziato un risultato di amministrazione piu' favorevole di quello
effettivamente conseguito.
In particolare, nell'esercizio in quelli successivi
l'anticipazione di liquidita' concessa all'ente non e' stata
correttamente sterilizzata e iscritta in bilancio tra le poste
accantonate dal momento che risulta formalmente iscritta per il
minore importo di milioni di euro piuttosto che per l'importo
corretto di euro milioni di euro garantendo un vantaggio non
dovuto per l'ente di milioni di euro.
Parimenti si e' evidenziato il ricorso al fondo anticipazioni di
liquidita' sterilizzato in bilancio per sostenere le risorse per la
configurazione del fondo crediti di dubbia esigibilita'.
Quindi la Sezione controllo ha ritenuto sottostimata la
determinazione del fondo crediti di dubbia esigibilita' in
considerazione dei dati sull'effettiva riscossione delle entrate e
della scelta di non considerare i proventi dei fitti attivi e le
entrate connesse all'utilizzo del servizio idrico integrato per le
quali, secondo i principi dell'armonizzazione contabile, sarebbe
risultato necessario prenderle in considerazione.
Allo stesso modo gli amministratori del comune di avrebbero
sottostimato il risultato di amministrazione non accantonando somme a
titolo di indennita' di fine mandato per il sindaco, non prevedendo
importi vincolati per gli investimenti e accantonamenti a titolo di
fondo contenzioso e di fondo perdite societa' partecipate; mancati
accantonamenti non giustificati in ragione dell'evidenziata rilevanza
del contenzioso (indicando la mancanza di un'apposita relazione come
richiesta dalle norme contabili), cosi' non giustificata e' la
mancata evidenza del fondo perdite per le societa' partecipate sulla
base della situazione di gravissima crisi economico finanziaria della
societa' partecipata Amaco per la quale l'ente risulta essere l'unico
socio di riferimento.
In punto di diritto la Procura rappresentava che la dichiarazione
dello stato di dissesto, con la quale si formalizza la situazione di
incapacita' dell'ente di assolvere alle proprie funzioni e ai servizi
indispensabili e di fare fronte ai crediti liquidi ed esigibili dei
terzi creditori con le modalita' previste dagli articoli 193 e 194
del Tuel, esteriorizza una situazione di irreversibile precarieta'
finanziaria che, fisiologicamente, non si materializza uno actu ma
che definisce una condizione che trova nelle gestioni protratte per
anni le cause o le concause dell'evento accertato.
Il comune di ha attivato la procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale (art. 243-bis) attestando di non essere nelle
condizioni di potere riequilibrare la situazione economico
finanziaria dell'ente con gli strumenti ordinari previsti dal
legislatore (art. 193 Tuel) e impegnandosi ad attuare un piano di
risanamento delle passivita' sussistenti in un arco temporale
predefinito (dieci anni), rispettando gli obiettivi prefissati e gli
amministratori erano tenuti, dopo l'approvazione del piano, a
rispettare gli obiettivi programmati e a non aggravare la situazione
economico finanziaria.
Per contro, la Sezione di controllo, nelle delibere richiamate,
ha accertato che i principali obiettivi prefissati erano stati
completamente disattesi e che il volume delle passivita' e' risultato
notevolmente ampliato per effetto di rilevanti sopravvenienze
passive, nei termini fattuali sopra richiamati.
Quanto alla responsabilita' da dissesto la Procura indicava che
il legislatore ha configurato una fattispecie tipizzata di
responsabilita', con autonoma disciplina rispetto alla sussistenza
della fattispecie di carattere risarcitorio, che e' da ritenere
autonomamente configurabile ed eventualmente con la stessa
coesistente; inoltre la fattispecie tipizzata ha carattere
sanzionatorio e, in quanto tale, non richiede il preventivo
accertamento della causazione del danno dal momento che il
legislatore ha previsto la riconducibilita' delle conseguenze
sanzionatorie solo in considerazione dell'esistenza e
dell'accertamento delle condotte ritenute rilevanti ex lege per fare
scaturire il suddetto effetto, risultando sufficiente (Sezioni
Riunite sentenza n. 12/2007) l'accertamento della violazione dello
specifico precetto previsto dalla legge e la sussistenza
dell'elemento psicologico nella forma del dolo o della colpa grave,
posto che l'evento lesione e' costituito dalla dichiarazione di
dissesto al quale gli convenuti possono avere contribuito sul piano
causale, con condotte di tipo commissivo o omissivo.
L'accertato inadempimento degli obblighi e dei vincoli connessi
all'approvazione del piano di riequilibrio, come anche le ulteriori
violazioni delle norme contabili, determinano la responsabilita' di
quegli amministratori che, quali componenti della giunta risultati in
carica per almeno dodici mesi nel periodo oggetto di verifica
( ), hanno adottato gli atti richiamati e che, in virtu' delle
funzioni e dei compiti agli stessi assegnati, sono da considerare
responsabili sulla base di quanto previsto dall'articolo 248, comma 5
del TUEL per avere contribuito alla causazione del dissesto
dell'ente, tenuto conto degli specifici poteri di indirizzo e di
controllo sull'andamento dell'azione amministrativa. Inoltre, gli
atti di predisposizione dei bilanci e dei rendiconti e la successiva
approvazione sono riservati alla competenza degli organi di indirizzo
politico quali atti propri anche se si avvalgono della collaborazione
degli uffici amministrativi (Corte dei conti, Terza Sezione Appello
n. 1071/2018).
Quanto all'elemento psicologico, in considerazione della
precedente approvazione del piano di riequilibrio, vi sarebbe stata
la mancanza di una rigorosa verifica e di un attento controllo
sull'andamento del programma di risanamento al fine di predisporre,
ove necessario, i piu' idonei interventi per assicurare il rispetto
degli impegni assunti e salvaguardare la situazione economico
finanziaria dell'ente.
La responsabilita' degli amministratori nella vicenda in esame
concorre con quella dei revisori dei conti, ovvero di coloro che in
carica dal , hanno sempre espresso pareri favorevoli sui
documenti contabili sottoposti al loro controllo omettendo di
svolgere un accertamento motivato sulla congruita', coerenza ed
attendibilita' dei dati contabili contenuti nei predetti documenti,
pur in presenza delle evidenti e gravi criticita' manifestatesi in
relazione all'effettivo perseguimento degli obiettivi del piano e
alle considerevoli violazioni delle norme contabili, tenuto conto
anche della loro posizione qualificata.
In particolare, le relazioni sull'andamento del piano hanno
sottovalutato, con formule spesso reiterate e stereotipate, le
criticita' sussistenti finendo per esprimere un ingiustificato
giudizio positivo sull'attuazione del piano di riequilibrio
dell'ente.
I controlli e le verifiche eseguite dal collegio dei revisori
nell'anno 2015 e nel primo semestre (revisori F , B e
S ) sarebbero del tutto carenti avendo sottovalutato rilevanti
profili di criticita' gia' ben evidenti rispetto alle previsioni
contenute nel piano di riequilibrio approvato per il ripiano delle
passivita' preesistenti.
Le successive relazioni sull'andamento del piano di riequilibrio,
ovvero quelle riferite al secondo semestre , al e al primo
semestre (revisori B , T e S ) ripropongono
anch'esse in modo stereotipato considerazioni di carattere generico
non dando il necessario rilievo alle gravi e reiterate criticita'
emerse.
Le ripetute criticita' riferite a tutte le principali voci
inserite nel piano non hanno mai indotto il collegio dei revisori a
segnalare, come risultava evidente, il grave e reiterato
inadempimento degli obblighi assunti al momento dell'approvazione del
PRFP.
Soltanto la relazione sulla valutazione del piano redatta per il
primo semestre ha evidenziato con maggiore vigore talune delle
criticita' riferite alla situazione economico finanziaria dell'ente,
come anche relative all'attuazione del piano.
Quanto alla responsabilita' degli amministratori la Procura la
imputava a coloro che, nella qualita' di componenti della Giunta
comunale nel periodo oggetto di contestazione ( ), sono
rimasti in carica per un periodo minimo di almeno un anno e per i
quali la sanzione contestata dovra' comunque essere proporzionata
alla durata dell'incarico rivestito e alla specifica rilevanza della
delega assunta.
Nei confronti dei convenuti la Procura agiva chiedendo
l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 248, comma 5,
del Tuel sia rispetto alle incandidabilita' di status o di nomina per
i revisori, che l'irrogazione di una sanzione pecuniaria,
quantificata in ragione delle retribuzioni e dei periodi di
espletamento delle funzioni e precisamente:
O M (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
B M (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a cinque volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
B D (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a cinque volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
D C F (retribuzione mensile lorda per gli
anni euro ), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in
ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
M C (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a cinque volte in ragione del
periodo sessantaquattro di durata e della carica ricoperta euro
;
S R (retribuzione mensile lorda per gli anni euro
), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in ragione del periodo
di durata e della carica ricoperta euro ;
V L (retribuzione mensile lorda per gli anni euro
), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di
durata e della carica ricoperta euro ;
P F L (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
C F (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a dieci volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
S M (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a dieci volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
S M (retribuzione mensile lorda per gli anni euro
), sanzione pecuniaria pari a otto volte in ragione del periodo di
durata e della carica ricoperta euro ;
V C (retribuzione mensile lorda per gli anni euro
), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in ragione del periodo
di durata e della carica ricoperta euro ;
F e G (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
B S (retribuzione mensile lorda per gli anni euro
), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di
durata e della carica ricoperta euro ;
S T (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
B N F (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
S F (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro ;
T S (retribuzione mensile lorda per gli anni
euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del
periodo di durata e della carica ricoperta euro .
2. I convenuti si costituivano in giudizio con la sola eccezione
di D C F , la cui notifica avveniva a mani in data 11
ottobre 2024.
2.1 Con memoria dell'11 novembre 2024 si costituivano in giudizio
i convenuti B , S , T , i quali eccepivano l'infondatezza della
domanda, anche per mancata dimostrazione del nesso di causalita' tra
le condotte contestate e il dissesto dell'ente, indicando che il
Collegio dei revisori aveva sempre sollecitato, direttamente ed
attraverso i provvedimenti (pareri) di competenza, le azioni
necessarie per rimediare alle criticita' presenti nell'attuazione del
piano e che la vera causa del dissesto finanziario del Comune
di affonda le proprie radici nel precedente periodo alla citata
sentenza delle SS.RR. n. 2/2015/EL che ha approvato il piano, posto
che questo non teneva conto di una situazione debitoria emersa solo
successivamente, grazie anche all'intervento del Collegio dei
revisori del periodo e della Sezione Controllo.
Veniva altresi' eccepita l'infondatezza delle singole
contestazioni mosse ai revisori del periodo , nonche' quanto al
profilo soggettivo l'insussistenza della «colpa grave», e conseguente
assenza di qualsiasi contributo causale nella successiva
dichiarazione di dissesto del Comune.
2.2 Con memoria dell'8 novembre 2024 si costituiva il convenuto
B , il quale formulava eccezione d'incostituzionalita' dell'art.
248 commi 5 e 5-bis del TUEL per contrasto con gli artt. 111, 3, 25 e
51 Costituzione.
In particolare, vi sarebbe violazione del principio di terzieta'
perche' l'iniziativa giudiziale di cui ai commi 5 e 5-bis, assegnata
alla giurisdizione della Corte dei conti, consegue necessariamente al
risultato ed alle conclusioni degli accertamenti delle Sezioni
territoriali di controllo della Corte dei conti.
Vi sarebbe violazione degli artt. 3 e 27 per la previsione di un
tempo predefinito ed invariabile di incandidabilita' ed
ineleggibilita', incompatibile con i principi di proporzionalita' e
necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio.
Inoltre, vi sarebbe disparita' tra Sindaco responsabile (che non
puo' ricoprire le cariche di Sindaco, Presidente della Provincia,
Assessore, Deputato, Senatore e parlamentare europeo) ed assessore
responsabile (che non puo' ricoprire la carica di assessore, ma puo'
essere eletto Sindaco, parlamentare e deputato europeo).
Nel merito eccepiva l'infondatezza del ricorso e la mancata prova
della colpa grave e, in via subordinata, l'assenza di apporto causale
e la prescrizione dell'azione.
2.3 Con memoria del 15 ottobre 2024 si costituiva in giudizio il
convenuto B , il quale formulava eccezione di legittimita'
costituzionale dell'art. 133 c.g.c. considerata la complessita'
dell'indagine e la ristrettezza dei termini del giudizio, poiche' il
ristretto termine per la costituzione (trenta giorni) non
consentirebbe neanche l'accesso agli atti (di cui all'art. 22 della
legge n. 241/1990), da cui la violazione degli artt. 3, 24 e 111
della Costituzione.
Nel merito eccepiva l'infondatezza della richiesta, nonche' la
carenza dell'elemento soggettivo.
2.4 Con memoria dell'11 novembre 2024 si costituiva il convenuto
C , il quale eccepiva in via preliminare il difetto di
giurisdizione in relazione alla parte della domanda con la quale la
Procura erariale ha chiesto l'irrogazione della sanzione di status.
Sempre in via preliminare, in rito, eccepiva la nullita' per
indeterminatezza delle contestazioni mosse, senza specificare le
condotte e senza tener conto delle deleghe.
In via preliminare, nel merito, eccepiva l'intervenuta
prescrizione sia sulla sanzione pecuniaria che su quella
interdittiva.
Nel merito eccepiva la carenza probatoria e l'assenza
dell'elemento soggettivo.
Infine, il convenuto formulava questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 248, quinto comma, del TUEL, nella parte in
cui prevede l'irrogazione delle sanzioni di stato per aver
contribuito al verificarsi del dissesto finanziario senza alcuna
proporzionalita' della sanzione rispetto alla gravita' della condotta
e/o e all'elemento psicologico del dolo o della colpa grave, per
violazione degli artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione e
dell'art. 49, comma 3, CDFUE, con richiesta di rinvio pregiudiziale
alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.
2.5 Con memoria dell'8 novembre 2024 si costituivano in giudizio
i revisori dei conti F , S e B , i quali eccepivano
l'inammissibilita' e/o improcedibilita' poiche' il rito sanzionatorio
resterebbe circoscritto alle sole sanzioni e non anche
all'interdizione dalle cariche nelle amministrazioni locali che
richiederebbe un accertamento con rito ordinario e vi sarebbe anche
una violazione del principio del ne bis in idem.
Eccepivano poi la prescrizione, la carenza dei presupposti (sia
dell'elemento soggettivo che del nesso causale), argomentando
ampiamente nel merito delle contestazioni, nonche' l'erronea
quantificazione delle misure sanzionatorie ed interdittive.
2.6 Con comparsa del 7 novembre 2024 si costituiva il convenuto
M , il quale eccepiva l'inammissibilita' della domanda per
violazione art. 248, comma 5, del Tuel, il cui regime sanzionatorio
riguarda il «dissesto» e non la mancata attuazione del Piano di
riequilibrio. Inoltre, eccepiva che il convenuto era stato assessore
solo per un anno e non per due esercizi come indicato dalla
giurisprudenza.
Nel merito eccepiva la carenza del collegamento causale e la
relativa assenza di prova; veniva peraltro rappresentato che
l'esercizio non aveva inciso sull'inesatta attuazione del PRFP.
Vaniva poi indicata la carenza di «colpa grave» e la rilevanza
del principio di buona fede.
Infine, lamentava la violazione art. 134, comma 2, decreto
legislativo n. 174/2016 per la mancata graduazione delle sanzioni
irrogate.
2.7 Con memoria dell'8 novembre 2024 si costituiva in giudizio il
convenuto O , il quale eccepiva in via preliminare
l'inammissibilita' del ricorso, poiche' il rito dell'art. 133 c.g.c.
e' sommario e l'accertamento della responsabilita' deve avvenire in
sede ordinaria.
Sempre in via preliminare, nel merito, eccepiva l'intervenuta
prescrizione e nel merito l'infondatezza della pretesa argomentando
sulle contestazioni mosse; eccepiva inoltre l'assenza dell'elemento
soggettivo.
2.8 Con memoria del 23 novembre 2024 si costituiva in giudizio la
convenuta P , che eccepiva in via preliminare l'inammissibilita'
del ricorso per mancato rispetto dei termini a difesa chiedendo il
rinvio dell'udienza.
Veniva altresi' eccepita l'inammissibilita' del ricorso per
violazione dell'art. 133 c.g.c., in relazione alle sanzioni
interdittive, alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite della
Cassazione n. 13205/2024 e delle Sezioni Riunite n. 4/2022, nonche'
inammissibilita' per genericita' poiche' le posizioni dei convenuti
sarebbero state accomunate da una responsabilita' collettiva.
Eccepiva poi l'inammissibilita' del ricorso per violazione
dell'art. 248, comma 5, TUEL per difetto dei presupposti e in via
subordinata per illogicita' nella determinazione e quantificazione
della sanzione pecuniaria; eccepiva inoltre l'intervenuta
prescrizione.
2.9 Con memoria dell'8 novembre 2024 la convenuta S eccepiva
in via preliminare l'inammissibilita' del ricorso, poiche' il rito
dell'art. 133 c.g.c. e' sommario e l'accertamento della
responsabilita' deve avvenire in sede ordinaria.
Sempre in via preliminare, nel merito, eccepiva l'intervenuta
prescrizione e nel merito l'infondatezza della pretesa argomentando
nel merito delle contestazioni mosse; eccepiva inoltre l'assenza
dell'elemento soggettivo.
2.10 Con memoria dell'8 novembre 2024 il convenuto S
articolava difese sovrapponibili a quelle di S , richiamando
anche la brevita' del periodo in contestazione.
2.11 Con memoria del 13 novembre 2024 la convenuta S eccepiva
in via preliminare la violazione del termine a difesa, chiedendo il
rinvio dell'udienza.
Eccepiva poi l'inammissibilita' del ricorso perche' l'art. 133
c.g.c. riserva alla Corte dei conti l'applicazione della sola
sanzione pecuniaria e non anche quella politica.
La convenuta formulava poi eccezione d'incostituzionalita'
dell'art. 248 commi 5 e 5-bis del TUEL per contrasto con gli artt.
111, 3, 25 e 51 Costituzione, e nel merito eccepiva l'infondatezza
del ricorso e la mancata prova della colpa grave e, in via
subordinata, l'assenza di apporto causale e la prescrizione
dell'azione, con difese sovrapponibili a quelle del convenuto B .
2.12 Con memoria del 25 novembre 2024 il convenuto V eccepiva
in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione rispetto alle misure
interdittive.
Eccepiva poi l'incostituzionalita' dell'art. 248, comma 5, c.g.c.
rispetto agli artt. 3 e 51 Costituzione per violazione dei principi
costituzionali di gradualita' sanzionatoria, proporzionalita',
ragionevolezza e parita' di trattamento.
Nel merito il convenuto eccepiva l'infondatezza dell'azione per
difetto di prova e carenze istruttorie, carenza dei presupposti,
difetto del nesso di causalita' e dell'elemento psicologico, nonche'
omessa valutazione di fatti ed atti rilevanti ai fini del giudizio.
In via subordinata chiedeva di ridurre entita' della sanzione
pecuniaria al minimo edittale.
2.13 Con memoria dell'8 novembre 2024 il convenuto V
articolava difese sovrapponibili a quelle di S .
3. Nella camera di consiglio del 26 novembre 2024, vista
l'eccezione preliminare di S R e P F L di violazione del
termine di trenta giorni previsto dall'art. 133, comma 5, c.g.c. e la
richiesta di rinvio a cui la Procura non si opponeva, con ordinanza a
verbale veniva disposto il rinvio all'udienza di discussione del 12
gennaio 2025.
4. Con note del 17 dicembre 2024 il convenuto M richiamava la
propria memoria di costituzione rilevando l'inammissibilita' ed
improcedibilita' del ricorso, l'intervenuta prescrizione dell'azione,
l'infondatezza della pretesa sanzionatoria per carenza del requisito
di carica dell'assessore M per almeno due esercizi finanziari, la
carenza del nesso causale, la circostanza che l'esercizio
finanziario non ha influito sulla asserita non attuazione del
PRFP, la violazione dell'art. 248, comma 5, decreto legislativo n.
267/2000, la carenza di «colpa grave», la rilevanza del principio di
buona fede e la mancata graduazione delle sanzioni irrogate.
5. All'udienza camerale del 13 gennaio 2025 le parti concludevano
come da verbale d'udienza.
La causa veniva trattenuta in decisione.
Considerato in diritto che
6. In via pregiudiziale viene in rilievo l'eccezione di
incostituzionalita' dell'art. 248, comma 5, TUEL, per difetto di
motivazione e violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui,
avendo previsto per gli amministratori comunali una sanzione
interdittiva in misura fissa decennale, impedisce di considerare il
diverso grado di responsabilita' - colpa grave o dolo - e di
commisurare la sanzione rispetto alla gravita' del fatto, con
violazione dei principi costituzionali di gradualita' sanzionatoria,
proporzionalita', ragionevolezza, e parita' di trattamento previsti
dall'art. 3 della Costituzione; eccezione prospettata anche
confrontando la disparita' di trattamento con i componenti del
collegio dei revisori, nei cui confronti la misura interdittiva puo'
essere graduata entro la durata massima di dieci anni, come previsto
dal comma 5-bis dello stesso art. 248 TUEL, aggiunto dall'art. 3
decreto-legge n. 174 del 2012, convertivo dalla legge 7 dicembre
2012, n. 213.
La questione di legittimita' costituzionale sollevata deve essere
esaminata, in via pregiudiziale rispetto ad ogni altra eccezione,
alla luce della sua rilevanza e non manifesta infondatezza.
Tali profili devono avere come punto di partenza la disciplina
dell'art. 248, comma 5, TUEL e la sua portata nell'ordinamento
interno come tracciato dalla giurisprudenza.
In particolare, la norma nella sua formulazione antecedente a
quella attuale prevedeva che «gli amministratori che la Corte dei
conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni
cagionati con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il
verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un
periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti
di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti,
istituzioni ed organismi pubblici e privati, ove la Corte, valutate
le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, accerti
che questo e' diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le
quali l'amministratore e' stato riconosciuto responsabile», oltre ad
ulteriori specifiche incandidabilita' per i sindaci. Il legislatore
e' intervenuto con l'art. 3, comma 1, lett. s) del decreto-legge n.
174 del 2012, convertito con modifiche dalla legge n. 213/2012,
novellando il comma 5. In particolare, la nuova formulazione ha
previsto che «gli amministratori che la Corte dei conti ha
riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito
con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che
commissive, al verificarsi del dissesto finanziario, non possono
ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di
revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali
presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati»,
mantenendo le ulteriori incandidabilita' per i Sindaci e specificando
che «Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le sezioni
giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione
pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti
volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione
della violazione».
La novella, dunque, oltre ad introdurre la previsione di una
sanzione pecuniaria, ha eliminato il limite di indagine ai cinque
anni precedenti al dissesto e ha previsto che la responsabilita'
possa essere riferita anche a quelle condotte che abbiano
semplicemente «contribuito» al verificarsi del dissesto, in luogo
della precedente impostazione del dissesto quale «diretta
conseguenza» delle condotte; quindi, vengono in rilievo quelle azioni
ed omissioni che abbiano anche solo facilitato o aggravato il
dissesto e, dunque, che si siano poste in termini di contributo
concausale e non di necessaria sufficienza alla realizzazione
dell'evento dissesto.
Sotto la vigenza della nuova disciplina si e' registrato un
contrasto tra alcune pronunce in cui il giudice contabile, in
applicazione dell'art. 248, comma 5, TUEL, ha espressamente irrogato
la sanzione relativa all'incandidabilita' degli amministratori, a
fronte di altre nelle quali si e' limitato all'accertamento della
responsabilita' rimettendo l'irrogazione della sanzione ad altra
autorita' amministrativa («Dal medesimo ed unico accertamento
discendono, infatti, due effetti: quello di condanna alla sanzione
pecuniaria, cosi' come previsto dall'art. 248, comma 5 e 5-bis, e
quello dichiarativo, automatico e conseguenziale, in ordine alla
sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle sanzioni
interdittive o di status previste dai medesimi commi, che verranno
poi irrogate dall'autorita' amministrativa competente», Corte dei
conti, Sez. Giur. Calabria, sent. n. 122/2021). Su tale contrasto
sono intervenute le Sezioni Riunite della Corte dei conti (sentenza
n. 4/2022/QM) che hanno indicato il principio secondo cui «Con il
rito sanzionatorio previsto dagli artt. 133 e ss. del c.g.c. possono
valutarsi l'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dai comma
5 e 5-bis dell'art. 248 del decreto legislativo n. 267/2000 e i
presupposti di fatto che determinano le connesse misure interdittive,
previste dai medesimi commi quali effetto giuridico della condotta
sanzionata». In particolare, nel corpo delle argomentazioni, la
sentenza ha ritenuto che «le sanzioni interdittive (o "di status")
conseguono di diritto all'unico accertamento della responsabilita'
alla contribuzione del dissesto, nell'ambito del medesimo rito
sanzionatorio, in quanto il positivo accertamento della
responsabilita' da contribuzione al dissesto si pone come condizione
necessaria per la sussistenza dei presupposti per l'applicazione
delle citate sanzioni di status: da tale accertamento discende,
infatti, il duplice effetto della condanna alla sanzione pecuniaria e
quello dichiarativo, automatico e consequenziale, in ordine alla
sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle sanzioni
interdittive di cui innanzi; - il giudice contabile, pertanto, ha
cognizione piena su entrambi gli effetti che derivano dall'unico
accertamento in ordine alla responsabilita' degli amministratori e
dei revisori che abbiano contribuito, con dolo o colpa grave e con
condotte omissive o commissive, al verificarsi del dissesto».
Successivamente sono intervenute anche le Sezioni Unite della
Corte di cassazione con l'ordinanza n. 13205/2024 sul riparto di
giurisdizione rilevando che «la giurisdizione della Corte dei conti
si radica, secondo quanto previsto dalla citata norma, sull'unico
accertamento in ordine alla sussistenza del nesso causale fra la
condotta tenuta ed il conseguente dissesto che non richiede piu' una
causalita' diretta, bensi' il solo contributo causale, ma da esso
consegue l'irrogazione delle sole sanzioni pecuniarie, tra un minimo
e un massimo stabilito dalla norma. Invece, le sanzioni interdittive,
stabilite per gli ex amministratori (differentemente che per i
revisori contabili) in misura fissa, sono un effetto automatico
previsto dalla legge, cosi' da non rendere necessaria una
declaratoria ("comando") del giudice. Dal medesimo ed unico
accertamento discendono dunque due effetti: quello di condanna alla
sanzione pecuniaria, cosi' come previsto dall'art. 248, comma 5 e
5-bis, del TUEL, e quello automatico e conseguenziale, di sola
«sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle sanzioni
interdittive o di status previste dai medesimi commi», che verranno
poi applicate dall'autorita' amministrativa competente. In
definitiva, il legislatore, con l'art. 248, comma 5, che qui
interessa, del TUEL, nel testo risultante dalle modifiche del 2012,
ha inteso attribuire espressamente al giudice contabile il potere di
valutare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione non solo
delle sanzioni pecuniarie ma anche delle sanzioni c.d. interdittive,
ma queste ultime conseguono come effetto automatico dell'accertamento
della responsabilita' per dissesto. Le sanzioni c.d. di status
discendono dunque non dalla volonta' del giudice, ma dalla volonta'
del legislatore, sulla quale la volizione giudiziale, una volta
espressasi sull'an della responsabilita', non puo' incidere. Ne
consegue che la decisione del giudice contabile, una volta accertata
la responsabilita' dell'ex amministratore dell'Ente locale da
dissesto, ha e deve avere, riguardo alle misure c.d. interdittive
(quelle qui in esame), una chiara portata meramente dichiarativa
della voluntas legis e dunque deve limitarsi all'accertamento della
sussistenza dei presupposti per il divieto previsto dalla legge,
restando la relativa declaratoria-applicazione compito dell'autorita'
amministrativa competente». Cio' premesso sulla portata dell'azione
del giudice contabile rispetto agli effetti di legge sullo status, il
giudizio sottoposto all'esame della Sezione attiene - per la parte di
cui si discute - all'accertamento di responsabilita' per «aver
contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive
che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario» e, dunque,
dei presupposti per poter poi irrogare (il giudice contabile) la
sanzione pecuniaria nei termini edittali (da cinque a venti volte la
retribuzione mensile lorda) previsti dalla norma, mentre l'ulteriore
divieto di ricoprire cariche e, dunque, quella che viene
impropriamente indicata come sanzione sullo status politico degli
amministratori e' un effetto ultroneo ed automatico che consegue
all'accertamento dei presupposti (responsabilita') da parte della
Corte dei conti, ma che viene poi materialmente disposto con
provvedimento amministrativo da altra autorita' competente, la quale,
stando al dato testuale della norma, non ha pero' alcuna
discrezionalita' in merito all'an e al quantum temporale della
«sanzione» (personale) da irrogare.
Da questi elementi discende, dunque, l'esame sulla rilevanza
dell'eccezione e del relativo profilo d'incostituzionalita' della
norma.
A tal fine occorre evidenziare che dalla natura meramente
dichiarativa del provvedimento (e dal relativo accertamento della
sussistenza dei presupposti) discende l'effetto automatico relativo
allo status, rispetto al quale l'autorita' amministrativa preposta e'
tenuta ad adottare il relativo provvedimento senza alcun potere
decisionale. Ora, la circostanza che la pronuncia del giudice
contabile incida solo in via mediata sull'irrogazione della sanzione
relativa allo status, non elimina di per se' la rilevanza della
questione ai fini della decisione, considerato che l'effetto primo e
diretto e' proprio l'accertamento dei presupposti di legge per
l'applicazione delle condizioni di status, rispetto alle quali la
Corte di cassazione ha appunto chiarito che esse discendono dalla
volonta' del legislatore «sulla quale la volizione giudiziale, una
volta espressasi sull'an della responsabilita', non puo' incidere».
Dunque, le limitazioni di status cosi' congeniate si configurano di
fatto come un procedimento bifasico, la prima parte sull'accertamento
dei presupposti di fatto e di diritto di natura giurisdizionale
rimessa alla Corte dei conti e quella successiva di mera
determinazione sull'incandidabilita' (e divieto di ricoprire cariche)
in termini fissi e non modulabili di competenza dell'autorita'
amministrativa. Seguendo tale impostazione, l'unico momento nel quale
gli effetti pregiudizievoli dell'accertamento (dell'unico
accertamento a duplice effetto sanzionatorio, pecuniario e di status)
possono essere censurati di incostituzionalita' e' proprio il
giudizio dinanzi alla Corte dei conti che non puo' non tener conto -
ai fini dell'eccezione - degli effetti di legge consequenziali al
proprio decisum, ancorche' poi irrogati da un'autorita'
amministrativa.
Ne' potrebbe il giudice contabile scindere i due momenti
disconoscendo - ai fini della rilevanza - gli effetti che la legge
collega espressamente al proprio accertamento, nel rispetto del
rapporto necessario tra protasi ed apodosi.
Peraltro, per come la norma e' strutturata, emerge che
l'accertamento della Corte dei conti sul contributo al dissesto
finanziario ha come primo effetto voluto dal legislatore e vincolato
alla pronuncia (seppur poi irrogato da altro soggetto) proprio il
divieto di ricoprire determinate cariche pubbliche e solo
successivamente (ultimo capoverso del comma 5) la sanzione
pecuniaria. Quindi, essendo la condizione di status l'elemento
principale che consegue al provvedimento che accerta la
responsabilita' delle condotte, la questione di legittimita'
costituzionale della norma rileva necessariamente ai fini della
decisione, non potendosi separare l'accertamento (prima) dai suoi
effetti (poi) sulla condizione di status (sebbene mediati dal
provvedimento amministrativo), essendo effetto consequenziale e non
discrezionale («l'incandidabilita' non e' una "sanzione di status",
ma e' un effetto ex lege che limita il diritto (costituzionalmente
garantito a ogni cittadino dall'art. 51 Cost.) all'elettorato
passivo, in un delicato bilanciamento con altri principi
costituzionali sanciti dagli artt. 54 e 97 Cost. Quando la norma che
pone il divieto, prescrive, ai fini dell'applicazione, la
comunicazione all'autorita' amministrativa, a questa compete il
potere-dovere di procedere in conformita'», cfr. Corte dei conti,
sentenza Sez. II App., n. 173 del 26 giugno 2023).
Ne' potrebbe superarsi la rilevanza della questione - in questa
sede - sulla considerazione che l'incostituzionalita' della norma
potrebbe essere fatta valere successivamente a valle dell'adozione
dell'atto amministrativo sull'incandidabilita', nella fase di
eventuale impugnazione. Infatti, partendo dal concetto di unicita'
dell'accertamento in ordine alla sussistenza del nesso causale fra la
condotta tenuta dall'amministratore ed il conseguente dissesto e
all'effetto «automatico previsto dalla legge, cosi' da non rendere
necessaria una declaratoria («comando») del giudice», come indicato
dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, viene in evidenza che
il momento topico nel quale l'eccezione assume rilevanza e' proprio
quello nel quale la condotta degli amministratori viene giudicata e
rispetto alla quale l'eccezione di incostituzionalita' della norma,
per violazione del principio di ragionevolezza non prevedendo una
sanzione di status con termini differenziati rispetto alle singole
condotte in luogo del termine fisso decennale, assume la rilevanza
nei termini piu' ampi.
In tal senso, l'eccezione sollevata ha rilievo in questa sede
contabile perche' la violazione dell'art. 3 (in rapporto anche con
l'art. 51) della Costituzione e' riferita proprio alla necessita' di
ancorare l'estensione temporale delle limitazioni sullo status
(effetto automatico che non necessita del comando del giudice) alle
condotte, il cui accertamento unico avviene dinanzi alla Corte dei
conti e, dunque, in tale momento - anche ai fini accertativi del
contributo causale (e delle sue modalita') - gli effetti di legge (e
il relativo parametro di costituzionalita') incidono sulla decisione.
Peraltro, anche a voler ritenere che l'effetto di legge sullo
status non sia una conseguenza diretta della pronuncia del giudice
contabile, ma un effetto «indiretto» dell'accertamento, in ogni caso
la questione sarebbe rilevante, dovendosi necessariamente riferire la
valutazione sulla costituzionalita' delle norme da applicare a tutti
gli effetti che la decisione genera.
Quanto alla non manifesta infondatezza si evidenzia che
dall'impostazione della «interpretazione adeguatrice» della sentenza
della Corte costituzionale n. 356 del 1996 («le leggi non si
dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne
interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di
darne), ma perche' e' impossibile darne interpretazioni
costituzionali», cfr. § 4) e dalla successiva previsione della
necessita' di «verificare, prima di sollevare la questione di
costituzionalita', la concreta possibilita' di attribuire alla norma
denunciata un significato diverso da quello censurato e tale da
superare i prospettati dubbi di legittimita' costituzionale» (ord.
322/2001, penultimo cpv. della parte in fatto e diritto) si e'
passati alla tesi contenuta nella sentenza n. 235/2014 (secondo cui
la non condivisione della possibile soluzione ermeneutica conforme a
Costituzione, in quanto sufficientemente argomentata, «non rileva
piu' in termini di inammissibilita' - ma solo, in tesi, di eventuale
non fondatezza - della questione in esame», cfr. § 5 del considerato
in diritto) e a quella della sentenza n. 262 del 2015 («ai fini
dell'ammissibilita' della questione, e' sufficiente che il giudice a
quo esplori la possibilita' di un'interpretazione conforme alla Carta
fondamentale e, come avviene nel caso di specie, la escluda
consapevolmente», cfr. § 2.3 del considerato in diritto), per
approdare ai principi indicati nella sentenza n. 42 del 2017 (§ 2.2
del considerato in diritto, secondo cui «Se, dunque, "le leggi non si
dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne
interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di
darne)" (sentenza n. 356 del 1996), cio' non significa che, ove sia
improbabile o difficile prospettarne un'interpretazione
costituzionalmente orientata, la questione non debba essere
scrutinata nel merito. Anzi, tale scrutinio, ricorrendo le predette
condizioni, si rivela, come nella specie, necessario, pure solo al
fine di stabilire se la soluzione conforme a Costituzione rifiutata
dal giudice rimettente sia invece possibile»). Sulla base di tali
criteri deve essere scrutinata la domanda sulla legittimita'
dell'art. 248, comma 5 del TUEL per violazione dell'art. 3, della
Costituzione, laddove ha previsto l'effetto di legge
dell'incandidabilita' e il divieto di ricoprire determinate cariche
per un termine determinato e fisso di dieci anni, prescindendo dalla
natura gravemente colposa o dolosa della condotta (o dell'entita' del
contributo causale all'evento dissesto).
Sul punto occorre premettere che il vaglio di costituzionalita'
richiesto ha come punto di riferimento indiscutibile l'uso del potere
discrezionale del Parlamento su cui non e' previsto alcun sindacato
(art. 28 della legge n. 87 del 1953), quindi ben potrebbe il
legislatore prevedere - in linea astratta - la contrazione dei
diritti di elettorato passivo per un periodo di dieci anni quale
misura afflittiva e, ancor di piu', special preventiva per il danno
che gli amministratori hanno provocato (rectius contribuito a
provocare) con il dissesto dell'ente. Tuttavia, tale limitazione e'
estremamente pervasiva andando ad incidere sui diritti riconosciuti
dall'art. 51 della Costituzione - in tanto e' ammissibile in quanto
sia conforme al principio di ragionevolezza, avendo anche riguardo al
modo in cui il legislatore ha normato situazioni simili.
In questo senso vengono in rilievo alcune fattispecie
rappresentative di casi simili, ma con discipline diverse, che
denoterebbero una disparita' di trattamento; in particolare:
da un lato alcune difese hanno richiamato la previsione
dell'art. 248, comma 5-bis, del TUEL che, con riferimento ai
revisori, prevede un termine massimo della sanzione e, dunque, la sua
modulabilita';
dall'altro lato vengono in rilievo le previsioni del decreto
legislativo n. 235/2012 in tema di incandidabilita' (la cui relativa
giurisprudenza costituzionale era stata indicata in alcuni precedenti
pronunce, a supporto del rigetto dell'eccezione
d'incostituzionalita').
Quanto alla previsione di un limite massimo del divieto di
ricoprire cariche (e, dunque, modulabile) per i membri del collegio
dei revisori, si ritiene che il termine di paragone sia privo di
pregio, considerato che diversi sono i ruoli svolti
dall'amministratore e dal revisore e diversa e' la responsabilita'
che le due figure rivestono nelle dinamiche dell'ente. Il revisore,
infatti, sebbene dotato di specifiche competenze professionali, e'
comunque un soggetto che svolge funzione di ausilio e di controllo
dell'attivita' posta in essere dagli amministratori i quali,
avvalendosi dell'attivita' degli uffici tecnici, gestiscono la cosa
pubblica, avendo il potere e relativo dovere di operare per il
meglio, in condizioni ordinarie, e con particolare oculatezza per il
risanamento, nella gestione di crisi dell'ente (quale la condizione
di predissesto, con piano di riequilibrio approvato, di cui si
discute). La diversa qualifica soggettiva (e di funzioni) configura
dunque fattispecie che non sono in alcun modo sovrapponibili.
Quanto invece all'eccepita incostituzionalita' riferita a
gradualita' sanzionatoria, proporzionalita', ragionevolezza della
sanzione, nonche' disparita' di trattamento previsti dall'art. 3
della Costituzione, si osserva che il termine fisso decennale
indicato, di per se', non ha alcun rilievo o profilo di
incostituzionalita', essendo un termine (pari a due consiliature
complete) evidentemente ritenuto congruo dal legislatore
nell?esercizio della sua discrezionalita' normativa.
In merito, peraltro, non puo' non indicarsi il ruolo centrale che
assume nell'ordinamento - e, di riflesso, nella previsione
sanzionatoria - il bilancio dello Stato (alla cui tutela la norma e'
orientata), a cui concorre necessariamente quello dei singoli enti
locali, anche alla luce del principio di equita' intragenerazionale e
intergenerazionale a cui l'equilibrio del bilancio e' preposto (Corte
cost. sent. n. 18/2019, sent. n. 115/2020, sent. n. 246/2021),
incidente altresi' sul legame fiduciario che caratterizza il mandato
elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti (Corte cost.
sent. n. 228/2017) e in ragione della necessita' per l'amministratore
di porre in essere azioni indispensabili ad incentivare il buon
andamento dei servizi e pratiche di amministrazione ispirate a una
oculata e proficua spendita delle risorse della collettivita' (in tal
senso, Corte cost. sentenze n. 235 del 2021 e n. 18 del 2019).
Quindi, in adesione a tale impostazione la previsione incisiva sullo
status personale prevista dal legislatore (preclusione a ricoprire
cariche per dieci anni) - confortata dalla giurisprudenza
costituzionale - non presenterebbe profili di incostituzionalita'
laddove messa in relazione solamente con il bilancio dello Stato,
atteso che esso ha comunque un ruolo fondamentale superindividuale
destinato ad incidere sulla vita dell'intera cittadinanza e in
termini intragenerazionali, rispetto al quale l'interesse del singolo
(nei cui confronti sono state accertate delle responsabilita')
sarebbe recessivo, con l'effetto che la limitazione del diritto
costituzionale all'elettorato passivo troverebbe ragionevole
giustificazione nell'esigenza di tutelare l'equilibrio di bilancio.
Tuttavia, se letta nel sistema della incandidabilita' ex lege,
allora la previsione dell'art. 248, comma 5, TUEL si evidenzia per
alcune peculiarita' di fondo che non sono giustificate dalla
preminenza del bilancio dello Stato e dell'equilibrio a cui esso e'
orientato (art. 97 Cost.) e che stridono con il rispetto dei criteri
di gradualita' «sanzionatoria», proporzionalita', ragionevolezza,
nonche' di parita' di trattamento ai quali la stessa discrezionalita'
del legislatore deve conformarsi.
In particolare, fermi restando i principi espressi dalla
giurisprudenza costituzionale, appare non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale laddove prospetta come
irragionevole la previsione di una automatica incandidabilita' (e
divieto di ricoprire cariche) per un termine fisso di dieci anni per
una condotta, anche di natura gravemente colposa, che abbia non
«determinato» (come nella versione originaria della disposizione,
rispetto alla quale l'eccezione d'incostituzionalita' avrebbe assunto
diverso rilievo), ma anche solo «contribuito» - peraltro senza limiti
di tempo - al dissesto dell'ente.
Vengono infatti unificate ai fini dell'incandidabilita', violando
irragionevolmente il principio di parita' di trattamento e di
proporzionalita', le condotte connotate da dolo che abbiano
determinato con contributo estensivamente incisivo e protratto nel
tempo il dissesto dell'ente con quelle condotte, invece, connotate da
colpa grave, circoscritte magari a singoli episodi risalenti nel
tempo (anche a consiliature antecedenti un eventuale piano di
riequilibrio finanziario), ma che secondo la nuova formulazione
abbiano comunque «contribuito», ancorche' in maniera minima, al
dissesto dell'ente. La previsione di una incandidabilita' (divieto di
ricoprire cariche) decennale, ancorche' non sia configurabile come
sanzione nei termini indicati dalla giurisprudenza, in ogni caso
incide inevitabilmente nella vita (e, dunque, sui diritti
costituzionalmente garantiti) degli amministratori e, pertanto,
l'effetto ex lege previsto dal legislatore deve rientrare nel
parametro della ragionevolezza riferita, da un lato, al diritto
all'elettorato passivo di cui all'art. 51 cost. e, dall'altro, alla
tutela degli interessi costituzionali protetti dagli artt. 54 e 97,
della Costituzione.
Sul punto, la giurisprudenza costituzionale - relativa al profilo
della sanzione personale (disciplinare), ma ragionevolmente valevole
alla fattispecie di cui si discute attesa la eadem ratio sostanziale
che le caratterizza - ha indicato che il requisito della
proporzionalita' «puo', normalmente, essere soddisfatto soltanto da
una valutazione individualizzata della gravita' dell'illecito, alla
quale la risposta sanzionatoria deve essere calibrata (su questo
corollario del principio di proporzionalita' rispetto a ogni
tipologia di sanzione, sentenza n. 112 del 2019, punto 8.1.4. del
Considerato in diritto, nonche' - in materia penale - sentenza n. 197
del 2023, punti 5.2.1. e 5.5.1. del Considerato in diritto). Le
sanzioni fisse sono, per contro, tendenzialmente in contrasto con
questo principio, a meno che - come questa Corte ha ritenuto nel caso
deciso con la sentenza n. 197 del 2018 (punto 8 del Considerato in
diritto) - esse risultino non manifestamente sproporzionate rispetto
all'intera gamma dei comportamenti riconducibili alla fattispecie
astratta dell'illecito sanzionato (ancora in materia penale, sentenze
n. 195 del 2023, punto 6.1. del Considerato in diritto; n. 94 del
2023, punto 13 del Considerato in diritto; n. 222 del 2018, punto
7.1. del Considerato in diritto; nonche', in materia di sanzioni
amministrative, sentenze n. 40 del 2023, punto 5.2. del Considerato
in diritto; n. 266 del 2022, punto 5.4.3. del Considerato in diritto;
n. 185 del 2021, punto 6 del Considerato in diritto). Al di fuori di
questa ipotesi, che presuppone un certo grado di omogeneita' della
fattispecie astratta sotto il profilo della gravita' delle condotte a
essa riconducibili, il corollario dell'individualizzazione della
sanzione esige una gradualita' della risposta, affinche' essa possa
risultare adeguata al concreto disvalore della condotta» (Corte cost.
sentenza n. 51/2024, § 3.3.1 del considerato in diritto).
Inoltre, tale irragionevolezza emergerebbe anche dal raffronto
con altre fattispecie. Sul punto si osserva che lo stesso TUEL
prevede, all'art. 143, comma 11, l'ipotesi d'incandidabilita' per gli
amministratori, relativa allo scioglimento dei consigli comunali e
provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di
condizionamento di tipo mafioso o similare, disponendo espressamente,
fatte salve misure interdittive o accessorie, che «gli amministratori
responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di
cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni
per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il
Parlamento europeo nonche' alle elezioni regionali, provinciali,
comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali
successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilita'
sia dichiarata con provvedimento definitivo». Tale fattispecie
ricorre nell'ipotesi, disciplinata dal primo comma dell'art. 143,
allorquando «emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su
collegamenti diretti o indiretti con la criminalita' organizzata di
tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77,
comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da
determinare un'alterazione del procedimento di formazione della
volonta' degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere
il buon andamento o l'imparzialita' delle amministrazioni comunali e
provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse
affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante
pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica».
Oltre questa fattispecie viene in rilievo anche l'ipotesi di cui
al decreto legislativo n. 235/2012. In particolare, con riferimento
agli enti locali, l'art. 10 prevede l'incandidabilita' alle elezioni
provinciali, comunali e circoscrizionali e comunque il divieto di
ricoprire la carica di amministratore (sindaco, assessore,
consigliere, etc.), per coloro che hanno riportato condanne
definitive per fattispecie delittuose di particolare rilievo sociale
(associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, in
tema di immigrazione e terrorismo, diverse ipotesi di delitti
compiuti da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione,
quali peculato, concussione, corruzione, etc.), oltre alle ipotesi di
condanna definitiva per delitti non colposi con condanna non
inferiore a due anni di reclusione e alle ipotesi di applicazione
definitiva di misura di prevenzione per appartenenza ad associazioni
(tra cui quella di tipo mafioso). Rispetto a tali ipotesi, tuttavia,
l'art. 15, comma 3, prevede che «La sentenza di riabilitazione, ai
sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, e' l'unica
causa di estinzione anticipata dell'incandidabilita' e ne comporta la
cessazione per il periodo di tempo residuo».
Dunque, il legislatore, pur di fronte ad ipotesi di condanna
definitiva per delitti che incidono significativamente nella vita
della pubblica amministrazione (si pensi oltre all'ipotesi dell'art.
416-bis c.p. anche al peculato, concussione o corruzione), prevede la
possibilita' di limitare l'incandidabilita' e, cosi', restituire al
condannato il diritto elettorale passivo, tramite l'istituto della
riabilitazione. Per contro, tale possibilita' di porre fine
all'incandidabilita' e' preclusa nell'ipotesi in cui un
amministratore, a titolo di colpa grave, con la propria condotta
anche risalente nel tempo, abbia «contribuito» al dissesto dell'ente.
Tale disparita' di trattamento sembra indicare la non manifesta
infondatezza dell'eccezione di incostituzionalita' della norma,
rispetto al parametro dell'art. 3 della Costituzione, sollevata in
giudizio. Se nelle due fattispecie indicate la contrazione del
diritto di elettorato passivo trova una sua necessaria
giustificazione costituzionale con riferimento a quelle omissioni che
incidono o sulle condizioni morali degli amministratori
(incandidabilita' ai sensi del dereto legislativo n. 235/2012,
relativa a condanne definitive) o a responsabilita' relative a
infiltrazioni mafiose (art. 143, comma 11, TUEL), la stessa misura
appare irragionevole - considerato che viene applicata in misura
fissa e non graduata - rispetto ad ipotesi in cui non solo manca
l'incisivita' dell'infiltrazione mafiosa (elemento che inquina
l'intero apparato amministrativo non solo da un punto di vista
economico, ma anche morale e di rispetto della legalita') o
l'accertamento definitivo di reati associativi o connessi con la
funzione pubblica esercitata a danno dell'amministrazione stessa, ma
addirittura si potrebbe assistere a condotte risalenti nel tempo (non
essendo piu' previsto il termine degli ultimi cinque anni),
caratterizzate da colpa grave (espressione Dell'incapacita' di
amministrare) e che hanno meramente «contribuito» al dissesto,
eventualmente anche in maniera marginale (in luogo del precedente
«determinato»). Rispetto alla stessa norma, dunque, il termine fisso
d'incandidabilita' (o divieto di ricoprire determinate cariche) per
dieci anni appare irragionevole laddove unifica sia ipotesi di colpa
grave che dolo, nonche' condotte «determinanti» con quelle che
esprimono un mero «contributo», senza alcuna possibilita' di
distinzione e di graduazione. Inoltre, proprio perche' il profilo di
incostituzionalita' ai fini della non manifesta infondatezza deve
essere vagliato alla luce di discipline simili, non appare sorretto
da proporzionalita' la previsione di incandidabilita' per un periodo
di dieci anni per gli amministratori che hanno solo «contribuito»
anche in un tempo remoto e a titolo di colpa grave, senza alcuna
possibilita' di emendazione, a fronte di ipotesi in cui pur in
presenza di condanna in sede penale (es. ex art. 10, decreto
legislativo n. 235/2012) con conseguente incandidabilita', e'
prevista la possibilita' di poter tornare a far parte dell'elettorato
passivo, grazie alla sentenza di riabilitazione ex artt. 178 ss. c.p.
In altri termini, il principio di ragionevolezza e
proporzionalita' nella previsione dell'art. 248, comma 5, TUEL non
appare rispettato, laddove viene trattata con maggior rigore la
semplice ipotesi di colpa grave per un mero contributo causale al
dissesto, ancorche' risalente nel tempo (con incandidabilita'
assoluta per dieci anni) rispetto alle ipotesi, ad esempio, di
condanna definitiva per reati di associazione mafiosa o contro la
pubblica amministrazione, per le quali e' prevista la possibilita' di
riabilitazione.
Peraltro, la stessa norma appare irragionevole e contraddittoria
sotto un altro profilo. Infatti, ove si ritenesse non irragionevole
il divieto di ricoprire determinate cariche per dieci anni degli
amministratori che hanno contribuito al dissesto dell'ente, rispetto
a condotte che incidono sulla stessa moralita' ed onesta' dei
medesimi e che vedono la possibilita' di ridurre o far cessare
l'incandidabilita', in ragione della prevalenza delle esigenze di
tutela del bilancio potenzialmente pregiudicato dalla mala gestio
degli amministratori, si' da evitare che continuino ad amministrare,
viene in rilievo la circostanza che agli stessi e' preclusa la
possibilita' per dieci anni di ricoprire la carica di assessore, di
revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali
presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati, ma
possono essere eletti Sindaci e quindi gestire non la singola
attivita' delegata, ma l'intera amministrazione comunale.
Per tali ragioni l'impossibilita' di interpretare secondo
Costituzione la norma induce a prospettare la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 248, comma 5, decreto
legislativo n. 267/2000, laddove dispone per gli amministratori il
divieto di ricoprire incarichi di assessore, di revisore dei conti di
enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti,
istituzioni ed organismi pubblici e privati (e per i sindaci le altre
specifiche incandidabilita'), per un periodo fisso di dieci anni e
non graduabile, a fronte di condotte che abbiano contribuito al
dissesto dell'ente, sia a titolo di dolo che di colpa grave.
7. Pertanto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 134
Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, devono
dichiararsi rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
legittimita' costituzionale dell'articolo 248, comma 5, del decreto
legislativo n. 267/2000 sopra prospettate, e deve di conseguenza
disporsi la sospensione del giudizio in oggetto, tenuto conto anche
dell'opportunita' di procedere alla trattazione unitaria di tutte le
posizioni, ordinando l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale e gli altri adempimenti a cura della Cancelleria di
cui al dispositivo.
8. Le spese del giudizio saranno liquidate alla definizione
integrale del merito della presente controversia.
P. Q. M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Calabria, in
composizione monocratica, non definitivamente pronunciando con
riferimento al giudizio ex art. 133 c.g.c. relativo a giudizio
sanzionatorio iscritto al n. 24057 del Registro di Segreteria.
Visti l'art. 134 Costituzione e l'articolo 23 della legge 11
marzo 1953, n. 87.
Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in riferimento
agli artt. 3 e 51 della Costituzione, le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 248, comma 5, del decreto legislativo n.
267/2000, prospettate nei termini di cui in motivazione.
Ordina la sospensione del giudizio;
Ordina alla Segreteria della Sezione di provvedere:
all'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
alla notificazione della presente ordinanza alle parti in
causa, al Pubblico Ministero e al Presidente del Consiglio dei
ministri;
alla comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti delle
Camere del Parlamento;
ad ogni altro adempimento di competenza.
Spese del giudizio al definitivo.
Cosi' deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 13
gennaio 2025.
Il Giudice: Tarantelli
Oggetto:
Responsabilità amministrativa e contabile – Comuni, province e città metropolitane – Dichiarazione di dissesto – Conseguenze per gli amministratori che sono stati riconosciuti, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, al verificarsi del dissesto finanziario – Sanzioni interdittive – Divieto di ricoprire per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati – Incandidabilità, per un periodo di dieci anni, per i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili per la medesima fattispecie, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo – Irragionevolezza della previsione di una misura interdittiva (incandidabilità o divieto di ricoprire cariche) in misura fissa (dieci anni) per una condotta, anche di natura gravemente colposa, che non abbia determinato ma anche solo contribuito, peraltro senza limiti di tempo, al dissesto dell’ente – Contrasto con i principi di gradualità sanzionatoria, proporzionalità, ragionevolezza ed eguaglianza – Irragionevole parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, di condotte sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo, sia in relazione all’incidenza del loro contributo al dissesto o alla loro durata – Lesione del diritto di elettorato passivo – Disparità di trattamento con riferimento a fattispecie che incidono o sulle condizioni morali degli amministratori o riguardano responsabilità relative a infiltrazioni mafiose per le quali sussiste la possibilità di limitare la durata dell’incandidabilità tramite l’istituto della riabilitazione – Irragionevolezza di un termine fisso di incandidabilità (o divieto di ricoprire determinate cariche) sotto il profilo della mancata differenziazione o graduazione della colpa grave rispetto al dolo, nonché delle condotte “determinanti” rispetto ai quelle che esprimono un mero “contributo” – Irragionevolezza del divieto di ricoprire alcune cariche non preclusivo della possibilità di essere eletti per l’esercizio di funzioni non riguardanti la singola attività delegata ma l’intera amministrazione locale.
Norme impugnate:
decreto legislativo del 18/08/2000 Num. 267 Art. 248 Co. 5
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 51 Co.
Udienza Pubblica del 3 dicembre 2025 rel. BUSCEMA
Testo dell'ordinanza
N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 08 marzo 2025 Ordinanza dell'8 marzo 2025 della Corte dei conti sezione giurisdizionale per la Regione Calabria nel giudizio di responsabilita' a carico di M. O. e altri. Responsabilita' amministrativa e contabile - Comuni, province e citta' metropolitane - Dichiarazione di dissesto - Conseguenze per gli amministratori che sono stati riconosciuti, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, al verificarsi del dissesto finanziario - Sanzioni interdittive - Divieto di ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati - Incandidabilita', per un periodo di dieci anni, per i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili per la medesima fattispecie, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonche' di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. - Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), art. 248, comma 5. (GU n. 18 del 30-04-2025) LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria Il Giudice monocratico Guido Tarantelli, designato ai sensi dell'art. 133, comma 2, del codice della giustizia contabile (decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174), ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio iscritto al n. 24057 del registro di segreteria promosso dalla Procura regionale, ex art. 133 c.g.c., nei confronti dei signori: 1) O M nato a il gennaio ed ivi residente C.F. , sindaco in carica dal all' e dal al (in carica nel periodo per mesi), elettivamente domiciliato in Cosenza alla Via Sabotino n. 55, presso lo studio dell'Avv. Benedetto Carratelli - c.f. CRRBDT63S23D086T - fax: 098475759 - pec: benedettocarratelli@pec.giuffre.it dal quale e' rappresentato e difeso in forza di procura in atti; 2) B M nato a l' ed ivi residente, C.F. , assessore in carica dall' al (in carica nel periodo per mesi) rappresentato e difeso, per procura in atti dall'Avv. Oreste Morcavallo (C.F. MRCRST49D19D086G), presso il cui studio in Cosenza, C.so Luigi Fera n. 23, e' elettivamente domiciliato, fax 0984.413950 o p.e.c. studiomorcavallo@pecstudio.it 3) B D nato a C il ed ivi residente, C.F. , assessore in carica dall' al (in carica nel periodo per ), elettivamente domiciliato in Catanzaro, alla Via Schipani n. 110, nello studio dell'Avv. Mariagemma Talerico, rappresentato e difeso, in forza di procura in atti, dall'Avv. Giuseppe Carratelli (c.f. CRRGPP88T07D086J), con studio in Cosenza alla via Sabotino n. 55, fax 0984/75759, p.e.c.: giuseppecarratelli@pec.studiolegalecarratelli.it 4) D C F nato a l' ed ivi residente, C.F. , assessore in carica dal al e dall' al (in carica nel periodo per ); 5) M C nato a Cosenza l' e residente a , C.F. 60 , assessore in carica dall' al (in carica nel periodo per mesi ), rappresentato e difeso - giusta procura in atti dagli Avv.ti Mario D'Urso (c.f. DRSMRA34A27H703O) ed Antonio D'Urso (c.f. DRSNTN69C01H703G), e con gli stessi elettivamente domiciliato presso gli indirizzi di posta elettronica certificata: studioavvdurso@pec.it e avvantoniodurso@pec.it 6) S R nata a il ed ivi residente, C.F. , assessore in carica dall' al e dal al (in carica nel periodo per ), rappresentata e difesa - per procura in atti - dall'Avv. Oreste Morcavallo (C.F. MRCRST49D19D086G), presso il cui studio in Cosenza, C.so Luigi Fera n. 23, e' elettivamente domiciliata, fax 0984.413950, p.e.c. studiomorcavallo@pecstudio.it 7) V L nato a il ed ivi residente, C.F. , assessore con delega al bilancio dall' al e dal al (in carica nel periodo per ), rappresentato e difeso, come da procura alle liti allegata al presente atto, dall'avv. Gaetano Callipo (CLLGTN64R11E041M), con domicilio digitale eletto all'indirizzo di posta elettronica certificata gaetano.callipo@pec.it 8) P F L nata a il e residente a , C.F. , assessore dal al e dal al (in carica nel periodo per ), rappresentata e difesa, in virtu' di procura in calce al presente atto, dall'Avv. Valerio Zicaro (ZCRVLR80H18D086C), elettivamente domiciliata presso il suo studio in Cosenza alla Piazza Zumbini n. 72, fax: 0984.408041 e p.e.c.: valerio.zicaro@avvocaticosenza.it 9) C F nato a il ed ivi residente, C.F. , assessore dal al (in carica nel periodo per ), rappresentato e difeso, in virtu' di procura in atti, dall'Avv. Carmelo Salerno con domicilio presso il suo studio, in Cosenza, via Mortati, n. 23, PEC: avv.carmelosalerno@pec.giuffre'.it (FAX: 0984/408752); 10) S M nata a il e residente a , C.F. , assessore dal al (in carica nel periodo per ), elettivamente domiciliata in Cosenza alla Via Sabotino n. 55, presso lo studio dell'Avv. Benedetto Carratelli (c.f. CRRBDT63S23D086T - fax: 098475759 - pec: benedettocarratelli@pec.giuffre.it dal quale e' rappresentata e difesa in forza di procura in atti; 11) S M nato a l' ed ivi residente, C.F. , assessore dall' al (in carica nel periodo per ), elettivamente domiciliato in Cosenza alla Via Sabotino, n. 55, presso lo studio dell'Avv. Benedetto Carratelli (c.f. CRRBDT63S23D086T - fax: 098475759 - pec: benedettocarratelli@pec.giuffre.it dal quale e' rappresentato e difeso in forza di procura in atti; 12) V C nato a il e residente , C.F. , assessore dal al e dal al (in carica nel periodo per ), elettivamente domiciliato in Cosenza alla Via Sabotino n. 55, presso lo studio dell'Avv. Benedetto Carratelli (c.f. CRR BDT 63S23 D086T - fax: 098475759 - pec: benedettocarratelli@pec.giuffre.it dal quale e' rappresentato e difeso in forza di procura in atti; 13) F G nato a il e residente a , C.F. , revisore dei conti dal al ; 14) B S nato a il ed ivi residente, C.F. , revisore dei conti dal al ; 15) S T nata a il e residente a , C.F. , revisore dei conti dal al , rappresentati e difesi, in virtu' di distinti mandati in atti, dall'Avv. Giovanni Spataro (C.F.: SPTGNN63M12D086T) fax 0984398003, p.e.c. avv.giovannispataro@pec.giuffre.it con domicilio eletto in Cosenza piazza Europa 9; 16) B N F nato a il e residente a C.F. , revisore dei conti dal al ; 17) S F nato a il ed ivi residente C.F. , revisore dei conti dal al ; 18) T S nato a il ed ivi residente C.F. , revisore dei conti dal al , rappresentati e difesi in virtu' di procura in calce dell'Avvocato Agostino Conforti (C.F. CNFGTN66L01D086M) del foro di Cosenza con studio in Cosenza alla Via Guido Dorso, n. 23, Tel. Fax. 098436217, p.e.c. avvagostinoconforti@cnfpec.it Visto il ricorso in epigrafe, con cui la Procura Regionale ha chiesto nei confronti dei suindicati amministratori l'irrogazione della sanzione pecuniaria di cui all'art. 248, commi 5 e 5-bis del TUEL per avere gli stessi, nella qualita' di amministratori e revisori, negli anni sin dal del Comune di posto in essere condotte gravemente colpose che hanno causalmente contribuito al verificarsi del dissesto finanziario dell'ente, deliberato dal Consiglio comunale, con deliberazione n. dell' Visto il decreto presidenziale n. 252 del 9 ottobre 2024 recante la designazione del giudice monocratico; Visto il decreto del 9 ottobre 2024 recante la fissazione dell'udienza camerale per la trattazione in sede monocratica del giudizio per il giorno 26 novembre 2024; Visto il decreto del 4 novembre 2024 con cui La Procura, rilevata la mancata notifica del ricorso e decreto di fissazione dell'udienza - e il mancato riscontro dell'UNEP alla richiesta di procedere alla notifica ai sensi dell'art. 138 c.p.c. ovvero ex art. 139 c.p.c. presso la sede dell'ufficio dove la destinataria dell'atto svolge il proprio incarico di Presidente della Provincia Regionale di - veniva autorizzata alla notificazione del ricorso sanzionatorio a S R a mezzo delle forze di polizia ai sensi dell'art. 133 c.g.c.; Vista la documentazione depositata dal Pubblico Ministero; Viste le memorie di costituzione e i relativi allegati ritualmente depositati; Letta l'ordinanza a verbale all'udienza del 26 novembre 2024 con la quale - vista l'eccezione delle convenute S R e P F L di violazione dell'art. 133, comma 5, c.g.c., poiche' tra la data di notifica e quella dell'udienza di discussione intercorre un termine inferiore ai 30, con relativa richiesta di rinvio - veniva disposto il rinvio all'udienza del 13 gennaio 2025; Uditi nella camera di consiglio del 13 gennaio 2025, per la Procura regionale il V.P.G. Dott. Giovanni Di Pietro, per i convenuti O , S , S e V l'Avv. Benedetto Carratelli, per V l'Avv. Gaetano Callipo, per B , T e S l'Avv. Agostino Conforti, per B , F e S l'Avv. Giovanni Spataro, per B e S l'Avv. Oreste Morcavallo, per B l'Avv. Giuseppe Carratelli, per C l'Avv. Carmelo Salerno, per M l'Avv. Crescenzio Santuori per delega, per P l'Avv. Valerio Zicaro; per il convenuto D C , non costituito, nessuno e' comparso. Premesso in fatto 1. La Procura regionale agiva in giudizio chiedendo l'emissione di un decreto per l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 248, comma 5 e 5-bis del Tuel, nei confronti degli amministratori e revisori convenuti in quanto responsabili di avere contribuito con le proprie condotte gravemente colpose al verificarsi del dissesto finanziario del Comune di e, per l'effetto, che venisse stabilito per gli stessi l'impossibilita' di ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati, nonche' per il sindaco pro tempore che lo stesso venisse dichiarato non candidabile, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonche' di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo e che non potesse altresi' ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale ne' alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Per i revisori dei conti chiedeva di dichiararsi che gli stessi non potessero essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali e degli enti e degli organismi ad essi riconducibili fino a dieci anni in funzione della gravita' accertata, con trasmissione dell'esito dell'accertamento anche all'ordine professionale di appartenenza dei revisori per valutazioni inerenti all'eventuale avvio di procedimenti disciplinari nonche' al Ministero dell'interno per la conseguente sospensione dall'elenco di cui all'articolo 16, comma 25, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. Si richiedeva, inoltre, l'irrogazione di una sanzione pecuniaria commisurata alla retribuzione mensile lorda dovuta al momento della commissione della violazione nella misura specificata. A sostegno della propria domanda la Procura regionale rappresentava che in data 18 luglio 2019 la Sezione di Controllo per la regione Calabria, a seguito degli accertamenti contenuti nella deliberazione n. 66/2019 e delle deduzioni dell'ente locale, trasmetteva la deliberazione n. 106/2019 con la quale accertava il grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi fissati dal Piano di Riequilibrio Finanziario Pluriennale (PRFP), approvato dal Consiglio Comunale di con la deliberazione n. del e successivamente riformulato con la deliberazione dell' n. (in ragione delle modifiche attuate con il decreto-legge n. 35/2013); la deliberazione n. 106/2019 veniva confermata dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in speciale composizione, accertando l'obbligo del comune di Cosenza di dichiarare il dissesto, poi avvenuto con la deliberazione n.51 dell' . Il ricorso indicava che il PRFP approvato dal Comune sulla base dei dati contabili dell'ultimo rendiconto approvato (rendiconto ) aveva quantificato una massa passiva da ripianare nel decennio , di valore complessivo pari a euro e il ripiano della situazione debitoria era stato previsto individuando quali specifiche risorse la riduzione della spesa corrente (53 milioni di euro), il riordino delle aliquote dell'IMU (29 milioni di euro), le modifiche dell'attivita' di misurazione necessarie per determinare le tariffe del servizio idrico integrato (SII) (8,6 milioni di euro), l'introduzione delle tariffe TARES (17,2 milioni di euro) ed il recupero dell'evasione fiscale (15,9 milioni di euro). Il PRFP aveva individuato tra le passivita' anche partite debitorie di futura emersione, e quindi indeterminate, e il piano non prevedeva la ripartizione del recupero su base annuale. Inoltre, la Sezione di controllo richiamava l'aggiornamento delle grandezze contabili con i principi dell'armonizzazione contabile entrati in vigore dopo l'approvazione del decreto legislativo n. 118/2011 e indicava che la situazione dell'ente dovesse tenere conto del riaccertamento straordinario dei residui al 1° gennaio 2015 (decreto legislativo n. 118/2011) e dell'obbligo del ripiano trentennale di una quota di disavanzo pari a 3,3 milioni di euro per ciascun anno e degli accantonamenti e vincoli per assicurare gli equilibri di bilancio. Le delibere della Sezione di controllo n. 66 e n. 106 del 2019 accertavano i seguenti elementi. A) Le entrate. Il piano di risanamento proposto prevedeva una piu' efficace attivita' di accertamento e riscossione delle entrate per sostenere le passivita' individuate con l'approvazione del piano. In particolare, il PRFP aveva ritenuto di introitare maggiori risorse dal riordino delle aliquote IMU, da una piu' efficace misurazione dei consumi relativi al servizio idrico integrato, da una piu' incisiva azione della riscossione della tariffa relativa al servizio rifiuti e dallo svolgimento di una piu' rigorosa azione volta al recupero dell'evasione fiscale. La Sezione di controllo della Corte dei conti, per le annualita' 2015/2018, indicava l'impossibilita' di raggiungere gli obiettivi programmati e come l'ente locale, nell'incapacita' di gestire la riscossione delle entrate, avesse ampliato le passivita' e gli oneri. Venivano quindi indicate per le singole annualita' le varie differenze tra quanto programmato e quanto effettivamente riscosso. B) Le Spese. Le verifiche eseguite hanno indicato che la contrazione delle spese correnti programmata non e' stata concretamente attuata (- 53 milioni di euro) e che non sono stati realizzati gli obiettivi di smaltimento della spesa corrente. Inoltre, la riduzione dei residui passivi sarebbe un apparente miglioramento poiche' il decreto legge n. 35/2013 e successive disposizioni hanno reso disponibili anticipazioni di liquidita' che hanno alleggerito il carico dell'esposizione debitoria e ridotto il complessivo ammontare dei residui passivi conservati in bilancio; tuttavia le anticipazioni vincolano gli enti beneficiari dell'onere della restituzione delle somme con la maggiorazione degli interessi a vantaggio dell'istituto erogatore (Cassa Depositi e Prestiti). Venivano quindi indicate per le singole annualita' le differenze tra gli impegni di spesa programmati e come poi effettivamente incrementati. C) Debiti fuori bilancio. Il PRFP ha previsto l'emersione nel decennio di debiti per circa milioni di euro e ha dato rilievo alla sussistenza di un debito verso il Commissario per l'emergenza ambientale di importo pari a circa milioni di euro. I dati esaminati dalla Sezione di controllo hanno indicato che nell'anno sono stati riconosciuti debiti per milioni di euro, che ulteriori debiti per milioni sono stati attestati in attesa di riconoscimento per spese per investimenti privi di copertura finanziaria e nell'anno debiti per milioni di euro. Inoltre, vengono rendicontate spese per milioni per debiti assunti senza impegno e privi di copertura finanziaria e non risultano considerati i debiti verso . Nell'anno risultano riconosciuti debiti per mila euro, non viene rendicontata l'effettiva consistenza dei debiti pur essendo richiesta per la verifica dell'attuazione del piano e non e' effettivamente chiarita la situazione debitoria verso . Nell'anno 2018 non risultano riconosciuti debiti fuori bilancio, ma soprattutto non sono stati forniti i chiarimenti e le necessarie esplicitazioni richieste sulla situazione debitoria effettivamente sussistente in capo al comune di . La mancata azione di trasparenza ha ricompreso anche i rapporti debito/credito con le societa' partecipate, in modo particolare la situazione di in crisi economico finanziaria e avente quale socio unico il suddetto comune, con aggravamento della situazione economico finanziaria dell'ente. Inoltre, i controlli hanno accertato al per il servizio rifiuti debiti pagati di importo pari a milioni di euro e da pagare di importo corrispondente a milioni e ulteriori debiti accertati verso la regione Calabria riferiti al servizio idrico integrato per circa milioni di euro. Emerge dunque il mancato rispetto delle previsioni del piano e l'assoluta inattendibilita' della stima delle passivita'. D) Ulteriori criticita'. Al mancato risanamento si aggiunge il progressivo deterioramento della situazione economico finanziaria. Il comune di ha attestato al una giacenza di cassa di milioni di euro e la disponibilita' di una cassa vincolata di valore pari a milioni di euro che, negli esercizi successivi, si riducono in modo significativo, in quanto, alla data del la giacenza di cassa e' risultata pari a euro e quella della cassa vincolata pari a euro, al i suddetti valori subiscono un ridimensionamento ulteriore risultando entrambe le giacenze di valore pari a euro e, infine, nell'esercizio le suddette giacenze hanno un valore ancora inferiore e pari a euro. Alla data del dato della giacenza di cassa risulta pari a euro e le somme disponibili sono risultate sottoposte a pignoramenti da parte dei terzi creditori. Inoltre, si assiste al continuo ricorso a significative anticipazioni di tesoreria ( ) omettendo la restituzione delle somme entro il termine dell'esercizio finanziario; nel non risultano restituiti milioni di euro e nel milioni di euro. Con riferimento poi all'utilizzo delle risorse vincolate, nell'esercizio finanziario il comune di risulta avere utilizzato risorse vincolate non restituite al pari a milioni di euro, nel le quote vincolate utilizzate e non restituite a fine esercizio vengono rendicontate pari a milioni di euro, nel delle risorse vincolate impiegate e non restituite e' pari a milioni di euro e, anche al , viene attestato l'impiego di risorse vincolate e non restituite pari a milioni di euro. Tali dati indicherebbero l'inequivocabile incapacita' di assicurare l'equilibrio della parte corrente del bilancio (non essendo riuscito nell'obiettivo di utilizzare la leva fiscale e quella della contrazione delle spese correnti per finanziare le passivita' preesistenti, aggravando ulteriormente gli oneri per garantire l'ordinaria gestione). Inoltre, la Sezione di controllo ha rilevato che la mancata corretta attuazione dei principi sull'armonizzazione contabile ha evidenziato un risultato di amministrazione piu' favorevole di quello effettivamente conseguito. In particolare, nell'esercizio in quelli successivi l'anticipazione di liquidita' concessa all'ente non e' stata correttamente sterilizzata e iscritta in bilancio tra le poste accantonate dal momento che risulta formalmente iscritta per il minore importo di milioni di euro piuttosto che per l'importo corretto di euro milioni di euro garantendo un vantaggio non dovuto per l'ente di milioni di euro. Parimenti si e' evidenziato il ricorso al fondo anticipazioni di liquidita' sterilizzato in bilancio per sostenere le risorse per la configurazione del fondo crediti di dubbia esigibilita'. Quindi la Sezione controllo ha ritenuto sottostimata la determinazione del fondo crediti di dubbia esigibilita' in considerazione dei dati sull'effettiva riscossione delle entrate e della scelta di non considerare i proventi dei fitti attivi e le entrate connesse all'utilizzo del servizio idrico integrato per le quali, secondo i principi dell'armonizzazione contabile, sarebbe risultato necessario prenderle in considerazione. Allo stesso modo gli amministratori del comune di avrebbero sottostimato il risultato di amministrazione non accantonando somme a titolo di indennita' di fine mandato per il sindaco, non prevedendo importi vincolati per gli investimenti e accantonamenti a titolo di fondo contenzioso e di fondo perdite societa' partecipate; mancati accantonamenti non giustificati in ragione dell'evidenziata rilevanza del contenzioso (indicando la mancanza di un'apposita relazione come richiesta dalle norme contabili), cosi' non giustificata e' la mancata evidenza del fondo perdite per le societa' partecipate sulla base della situazione di gravissima crisi economico finanziaria della societa' partecipata Amaco per la quale l'ente risulta essere l'unico socio di riferimento. In punto di diritto la Procura rappresentava che la dichiarazione dello stato di dissesto, con la quale si formalizza la situazione di incapacita' dell'ente di assolvere alle proprie funzioni e ai servizi indispensabili e di fare fronte ai crediti liquidi ed esigibili dei terzi creditori con le modalita' previste dagli articoli 193 e 194 del Tuel, esteriorizza una situazione di irreversibile precarieta' finanziaria che, fisiologicamente, non si materializza uno actu ma che definisce una condizione che trova nelle gestioni protratte per anni le cause o le concause dell'evento accertato. Il comune di ha attivato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (art. 243-bis) attestando di non essere nelle condizioni di potere riequilibrare la situazione economico finanziaria dell'ente con gli strumenti ordinari previsti dal legislatore (art. 193 Tuel) e impegnandosi ad attuare un piano di risanamento delle passivita' sussistenti in un arco temporale predefinito (dieci anni), rispettando gli obiettivi prefissati e gli amministratori erano tenuti, dopo l'approvazione del piano, a rispettare gli obiettivi programmati e a non aggravare la situazione economico finanziaria. Per contro, la Sezione di controllo, nelle delibere richiamate, ha accertato che i principali obiettivi prefissati erano stati completamente disattesi e che il volume delle passivita' e' risultato notevolmente ampliato per effetto di rilevanti sopravvenienze passive, nei termini fattuali sopra richiamati. Quanto alla responsabilita' da dissesto la Procura indicava che il legislatore ha configurato una fattispecie tipizzata di responsabilita', con autonoma disciplina rispetto alla sussistenza della fattispecie di carattere risarcitorio, che e' da ritenere autonomamente configurabile ed eventualmente con la stessa coesistente; inoltre la fattispecie tipizzata ha carattere sanzionatorio e, in quanto tale, non richiede il preventivo accertamento della causazione del danno dal momento che il legislatore ha previsto la riconducibilita' delle conseguenze sanzionatorie solo in considerazione dell'esistenza e dell'accertamento delle condotte ritenute rilevanti ex lege per fare scaturire il suddetto effetto, risultando sufficiente (Sezioni Riunite sentenza n. 12/2007) l'accertamento della violazione dello specifico precetto previsto dalla legge e la sussistenza dell'elemento psicologico nella forma del dolo o della colpa grave, posto che l'evento lesione e' costituito dalla dichiarazione di dissesto al quale gli convenuti possono avere contribuito sul piano causale, con condotte di tipo commissivo o omissivo. L'accertato inadempimento degli obblighi e dei vincoli connessi all'approvazione del piano di riequilibrio, come anche le ulteriori violazioni delle norme contabili, determinano la responsabilita' di quegli amministratori che, quali componenti della giunta risultati in carica per almeno dodici mesi nel periodo oggetto di verifica ( ), hanno adottato gli atti richiamati e che, in virtu' delle funzioni e dei compiti agli stessi assegnati, sono da considerare responsabili sulla base di quanto previsto dall'articolo 248, comma 5 del TUEL per avere contribuito alla causazione del dissesto dell'ente, tenuto conto degli specifici poteri di indirizzo e di controllo sull'andamento dell'azione amministrativa. Inoltre, gli atti di predisposizione dei bilanci e dei rendiconti e la successiva approvazione sono riservati alla competenza degli organi di indirizzo politico quali atti propri anche se si avvalgono della collaborazione degli uffici amministrativi (Corte dei conti, Terza Sezione Appello n. 1071/2018). Quanto all'elemento psicologico, in considerazione della precedente approvazione del piano di riequilibrio, vi sarebbe stata la mancanza di una rigorosa verifica e di un attento controllo sull'andamento del programma di risanamento al fine di predisporre, ove necessario, i piu' idonei interventi per assicurare il rispetto degli impegni assunti e salvaguardare la situazione economico finanziaria dell'ente. La responsabilita' degli amministratori nella vicenda in esame concorre con quella dei revisori dei conti, ovvero di coloro che in carica dal , hanno sempre espresso pareri favorevoli sui documenti contabili sottoposti al loro controllo omettendo di svolgere un accertamento motivato sulla congruita', coerenza ed attendibilita' dei dati contabili contenuti nei predetti documenti, pur in presenza delle evidenti e gravi criticita' manifestatesi in relazione all'effettivo perseguimento degli obiettivi del piano e alle considerevoli violazioni delle norme contabili, tenuto conto anche della loro posizione qualificata. In particolare, le relazioni sull'andamento del piano hanno sottovalutato, con formule spesso reiterate e stereotipate, le criticita' sussistenti finendo per esprimere un ingiustificato giudizio positivo sull'attuazione del piano di riequilibrio dell'ente. I controlli e le verifiche eseguite dal collegio dei revisori nell'anno 2015 e nel primo semestre (revisori F , B e S ) sarebbero del tutto carenti avendo sottovalutato rilevanti profili di criticita' gia' ben evidenti rispetto alle previsioni contenute nel piano di riequilibrio approvato per il ripiano delle passivita' preesistenti. Le successive relazioni sull'andamento del piano di riequilibrio, ovvero quelle riferite al secondo semestre , al e al primo semestre (revisori B , T e S ) ripropongono anch'esse in modo stereotipato considerazioni di carattere generico non dando il necessario rilievo alle gravi e reiterate criticita' emerse. Le ripetute criticita' riferite a tutte le principali voci inserite nel piano non hanno mai indotto il collegio dei revisori a segnalare, come risultava evidente, il grave e reiterato inadempimento degli obblighi assunti al momento dell'approvazione del PRFP. Soltanto la relazione sulla valutazione del piano redatta per il primo semestre ha evidenziato con maggiore vigore talune delle criticita' riferite alla situazione economico finanziaria dell'ente, come anche relative all'attuazione del piano. Quanto alla responsabilita' degli amministratori la Procura la imputava a coloro che, nella qualita' di componenti della Giunta comunale nel periodo oggetto di contestazione ( ), sono rimasti in carica per un periodo minimo di almeno un anno e per i quali la sanzione contestata dovra' comunque essere proporzionata alla durata dell'incarico rivestito e alla specifica rilevanza della delega assunta. Nei confronti dei convenuti la Procura agiva chiedendo l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 248, comma 5, del Tuel sia rispetto alle incandidabilita' di status o di nomina per i revisori, che l'irrogazione di una sanzione pecuniaria, quantificata in ragione delle retribuzioni e dei periodi di espletamento delle funzioni e precisamente: O M (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; B M (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a cinque volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; B D (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a cinque volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; D C F (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; M C (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a cinque volte in ragione del periodo sessantaquattro di durata e della carica ricoperta euro ; S R (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; V L (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; P F L (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; C F (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a dieci volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; S M (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a dieci volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; S M (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a otto volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; V C (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; F e G (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; B S (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; S T (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; B N F (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; S F (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro ; T S (retribuzione mensile lorda per gli anni euro ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro . 2. I convenuti si costituivano in giudizio con la sola eccezione di D C F , la cui notifica avveniva a mani in data 11 ottobre 2024. 2.1 Con memoria dell'11 novembre 2024 si costituivano in giudizio i convenuti B , S , T , i quali eccepivano l'infondatezza della domanda, anche per mancata dimostrazione del nesso di causalita' tra le condotte contestate e il dissesto dell'ente, indicando che il Collegio dei revisori aveva sempre sollecitato, direttamente ed attraverso i provvedimenti (pareri) di competenza, le azioni necessarie per rimediare alle criticita' presenti nell'attuazione del piano e che la vera causa del dissesto finanziario del Comune di affonda le proprie radici nel precedente periodo alla citata sentenza delle SS.RR. n. 2/2015/EL che ha approvato il piano, posto che questo non teneva conto di una situazione debitoria emersa solo successivamente, grazie anche all'intervento del Collegio dei revisori del periodo e della Sezione Controllo. Veniva altresi' eccepita l'infondatezza delle singole contestazioni mosse ai revisori del periodo , nonche' quanto al profilo soggettivo l'insussistenza della «colpa grave», e conseguente assenza di qualsiasi contributo causale nella successiva dichiarazione di dissesto del Comune. 2.2 Con memoria dell'8 novembre 2024 si costituiva il convenuto B , il quale formulava eccezione d'incostituzionalita' dell'art. 248 commi 5 e 5-bis del TUEL per contrasto con gli artt. 111, 3, 25 e 51 Costituzione. In particolare, vi sarebbe violazione del principio di terzieta' perche' l'iniziativa giudiziale di cui ai commi 5 e 5-bis, assegnata alla giurisdizione della Corte dei conti, consegue necessariamente al risultato ed alle conclusioni degli accertamenti delle Sezioni territoriali di controllo della Corte dei conti. Vi sarebbe violazione degli artt. 3 e 27 per la previsione di un tempo predefinito ed invariabile di incandidabilita' ed ineleggibilita', incompatibile con i principi di proporzionalita' e necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio. Inoltre, vi sarebbe disparita' tra Sindaco responsabile (che non puo' ricoprire le cariche di Sindaco, Presidente della Provincia, Assessore, Deputato, Senatore e parlamentare europeo) ed assessore responsabile (che non puo' ricoprire la carica di assessore, ma puo' essere eletto Sindaco, parlamentare e deputato europeo). Nel merito eccepiva l'infondatezza del ricorso e la mancata prova della colpa grave e, in via subordinata, l'assenza di apporto causale e la prescrizione dell'azione. 2.3 Con memoria del 15 ottobre 2024 si costituiva in giudizio il convenuto B , il quale formulava eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 133 c.g.c. considerata la complessita' dell'indagine e la ristrettezza dei termini del giudizio, poiche' il ristretto termine per la costituzione (trenta giorni) non consentirebbe neanche l'accesso agli atti (di cui all'art. 22 della legge n. 241/1990), da cui la violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. Nel merito eccepiva l'infondatezza della richiesta, nonche' la carenza dell'elemento soggettivo. 2.4 Con memoria dell'11 novembre 2024 si costituiva il convenuto C , il quale eccepiva in via preliminare il difetto di giurisdizione in relazione alla parte della domanda con la quale la Procura erariale ha chiesto l'irrogazione della sanzione di status. Sempre in via preliminare, in rito, eccepiva la nullita' per indeterminatezza delle contestazioni mosse, senza specificare le condotte e senza tener conto delle deleghe. In via preliminare, nel merito, eccepiva l'intervenuta prescrizione sia sulla sanzione pecuniaria che su quella interdittiva. Nel merito eccepiva la carenza probatoria e l'assenza dell'elemento soggettivo. Infine, il convenuto formulava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 248, quinto comma, del TUEL, nella parte in cui prevede l'irrogazione delle sanzioni di stato per aver contribuito al verificarsi del dissesto finanziario senza alcuna proporzionalita' della sanzione rispetto alla gravita' della condotta e/o e all'elemento psicologico del dolo o della colpa grave, per violazione degli artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione e dell'art. 49, comma 3, CDFUE, con richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. 2.5 Con memoria dell'8 novembre 2024 si costituivano in giudizio i revisori dei conti F , S e B , i quali eccepivano l'inammissibilita' e/o improcedibilita' poiche' il rito sanzionatorio resterebbe circoscritto alle sole sanzioni e non anche all'interdizione dalle cariche nelle amministrazioni locali che richiederebbe un accertamento con rito ordinario e vi sarebbe anche una violazione del principio del ne bis in idem. Eccepivano poi la prescrizione, la carenza dei presupposti (sia dell'elemento soggettivo che del nesso causale), argomentando ampiamente nel merito delle contestazioni, nonche' l'erronea quantificazione delle misure sanzionatorie ed interdittive. 2.6 Con comparsa del 7 novembre 2024 si costituiva il convenuto M , il quale eccepiva l'inammissibilita' della domanda per violazione art. 248, comma 5, del Tuel, il cui regime sanzionatorio riguarda il «dissesto» e non la mancata attuazione del Piano di riequilibrio. Inoltre, eccepiva che il convenuto era stato assessore solo per un anno e non per due esercizi come indicato dalla giurisprudenza. Nel merito eccepiva la carenza del collegamento causale e la relativa assenza di prova; veniva peraltro rappresentato che l'esercizio non aveva inciso sull'inesatta attuazione del PRFP. Vaniva poi indicata la carenza di «colpa grave» e la rilevanza del principio di buona fede. Infine, lamentava la violazione art. 134, comma 2, decreto legislativo n. 174/2016 per la mancata graduazione delle sanzioni irrogate. 2.7 Con memoria dell'8 novembre 2024 si costituiva in giudizio il convenuto O , il quale eccepiva in via preliminare l'inammissibilita' del ricorso, poiche' il rito dell'art. 133 c.g.c. e' sommario e l'accertamento della responsabilita' deve avvenire in sede ordinaria. Sempre in via preliminare, nel merito, eccepiva l'intervenuta prescrizione e nel merito l'infondatezza della pretesa argomentando sulle contestazioni mosse; eccepiva inoltre l'assenza dell'elemento soggettivo. 2.8 Con memoria del 23 novembre 2024 si costituiva in giudizio la convenuta P , che eccepiva in via preliminare l'inammissibilita' del ricorso per mancato rispetto dei termini a difesa chiedendo il rinvio dell'udienza. Veniva altresi' eccepita l'inammissibilita' del ricorso per violazione dell'art. 133 c.g.c., in relazione alle sanzioni interdittive, alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n. 13205/2024 e delle Sezioni Riunite n. 4/2022, nonche' inammissibilita' per genericita' poiche' le posizioni dei convenuti sarebbero state accomunate da una responsabilita' collettiva. Eccepiva poi l'inammissibilita' del ricorso per violazione dell'art. 248, comma 5, TUEL per difetto dei presupposti e in via subordinata per illogicita' nella determinazione e quantificazione della sanzione pecuniaria; eccepiva inoltre l'intervenuta prescrizione. 2.9 Con memoria dell'8 novembre 2024 la convenuta S eccepiva in via preliminare l'inammissibilita' del ricorso, poiche' il rito dell'art. 133 c.g.c. e' sommario e l'accertamento della responsabilita' deve avvenire in sede ordinaria. Sempre in via preliminare, nel merito, eccepiva l'intervenuta prescrizione e nel merito l'infondatezza della pretesa argomentando nel merito delle contestazioni mosse; eccepiva inoltre l'assenza dell'elemento soggettivo. 2.10 Con memoria dell'8 novembre 2024 il convenuto S articolava difese sovrapponibili a quelle di S , richiamando anche la brevita' del periodo in contestazione. 2.11 Con memoria del 13 novembre 2024 la convenuta S eccepiva in via preliminare la violazione del termine a difesa, chiedendo il rinvio dell'udienza. Eccepiva poi l'inammissibilita' del ricorso perche' l'art. 133 c.g.c. riserva alla Corte dei conti l'applicazione della sola sanzione pecuniaria e non anche quella politica. La convenuta formulava poi eccezione d'incostituzionalita' dell'art. 248 commi 5 e 5-bis del TUEL per contrasto con gli artt. 111, 3, 25 e 51 Costituzione, e nel merito eccepiva l'infondatezza del ricorso e la mancata prova della colpa grave e, in via subordinata, l'assenza di apporto causale e la prescrizione dell'azione, con difese sovrapponibili a quelle del convenuto B . 2.12 Con memoria del 25 novembre 2024 il convenuto V eccepiva in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione rispetto alle misure interdittive. Eccepiva poi l'incostituzionalita' dell'art. 248, comma 5, c.g.c. rispetto agli artt. 3 e 51 Costituzione per violazione dei principi costituzionali di gradualita' sanzionatoria, proporzionalita', ragionevolezza e parita' di trattamento. Nel merito il convenuto eccepiva l'infondatezza dell'azione per difetto di prova e carenze istruttorie, carenza dei presupposti, difetto del nesso di causalita' e dell'elemento psicologico, nonche' omessa valutazione di fatti ed atti rilevanti ai fini del giudizio. In via subordinata chiedeva di ridurre entita' della sanzione pecuniaria al minimo edittale. 2.13 Con memoria dell'8 novembre 2024 il convenuto V articolava difese sovrapponibili a quelle di S . 3. Nella camera di consiglio del 26 novembre 2024, vista l'eccezione preliminare di S R e P F L di violazione del termine di trenta giorni previsto dall'art. 133, comma 5, c.g.c. e la richiesta di rinvio a cui la Procura non si opponeva, con ordinanza a verbale veniva disposto il rinvio all'udienza di discussione del 12 gennaio 2025. 4. Con note del 17 dicembre 2024 il convenuto M richiamava la propria memoria di costituzione rilevando l'inammissibilita' ed improcedibilita' del ricorso, l'intervenuta prescrizione dell'azione, l'infondatezza della pretesa sanzionatoria per carenza del requisito di carica dell'assessore M per almeno due esercizi finanziari, la carenza del nesso causale, la circostanza che l'esercizio finanziario non ha influito sulla asserita non attuazione del PRFP, la violazione dell'art. 248, comma 5, decreto legislativo n. 267/2000, la carenza di «colpa grave», la rilevanza del principio di buona fede e la mancata graduazione delle sanzioni irrogate. 5. All'udienza camerale del 13 gennaio 2025 le parti concludevano come da verbale d'udienza. La causa veniva trattenuta in decisione. Considerato in diritto che 6. In via pregiudiziale viene in rilievo l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 248, comma 5, TUEL, per difetto di motivazione e violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui, avendo previsto per gli amministratori comunali una sanzione interdittiva in misura fissa decennale, impedisce di considerare il diverso grado di responsabilita' - colpa grave o dolo - e di commisurare la sanzione rispetto alla gravita' del fatto, con violazione dei principi costituzionali di gradualita' sanzionatoria, proporzionalita', ragionevolezza, e parita' di trattamento previsti dall'art. 3 della Costituzione; eccezione prospettata anche confrontando la disparita' di trattamento con i componenti del collegio dei revisori, nei cui confronti la misura interdittiva puo' essere graduata entro la durata massima di dieci anni, come previsto dal comma 5-bis dello stesso art. 248 TUEL, aggiunto dall'art. 3 decreto-legge n. 174 del 2012, convertivo dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213. La questione di legittimita' costituzionale sollevata deve essere esaminata, in via pregiudiziale rispetto ad ogni altra eccezione, alla luce della sua rilevanza e non manifesta infondatezza. Tali profili devono avere come punto di partenza la disciplina dell'art. 248, comma 5, TUEL e la sua portata nell'ordinamento interno come tracciato dalla giurisprudenza. In particolare, la norma nella sua formulazione antecedente a quella attuale prevedeva che «gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati, ove la Corte, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, accerti che questo e' diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l'amministratore e' stato riconosciuto responsabile», oltre ad ulteriori specifiche incandidabilita' per i sindaci. Il legislatore e' intervenuto con l'art. 3, comma 1, lett. s) del decreto-legge n. 174 del 2012, convertito con modifiche dalla legge n. 213/2012, novellando il comma 5. In particolare, la nuova formulazione ha previsto che «gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati», mantenendo le ulteriori incandidabilita' per i Sindaci e specificando che «Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione». La novella, dunque, oltre ad introdurre la previsione di una sanzione pecuniaria, ha eliminato il limite di indagine ai cinque anni precedenti al dissesto e ha previsto che la responsabilita' possa essere riferita anche a quelle condotte che abbiano semplicemente «contribuito» al verificarsi del dissesto, in luogo della precedente impostazione del dissesto quale «diretta conseguenza» delle condotte; quindi, vengono in rilievo quelle azioni ed omissioni che abbiano anche solo facilitato o aggravato il dissesto e, dunque, che si siano poste in termini di contributo concausale e non di necessaria sufficienza alla realizzazione dell'evento dissesto. Sotto la vigenza della nuova disciplina si e' registrato un contrasto tra alcune pronunce in cui il giudice contabile, in applicazione dell'art. 248, comma 5, TUEL, ha espressamente irrogato la sanzione relativa all'incandidabilita' degli amministratori, a fronte di altre nelle quali si e' limitato all'accertamento della responsabilita' rimettendo l'irrogazione della sanzione ad altra autorita' amministrativa («Dal medesimo ed unico accertamento discendono, infatti, due effetti: quello di condanna alla sanzione pecuniaria, cosi' come previsto dall'art. 248, comma 5 e 5-bis, e quello dichiarativo, automatico e conseguenziale, in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle sanzioni interdittive o di status previste dai medesimi commi, che verranno poi irrogate dall'autorita' amministrativa competente», Corte dei conti, Sez. Giur. Calabria, sent. n. 122/2021). Su tale contrasto sono intervenute le Sezioni Riunite della Corte dei conti (sentenza n. 4/2022/QM) che hanno indicato il principio secondo cui «Con il rito sanzionatorio previsto dagli artt. 133 e ss. del c.g.c. possono valutarsi l'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dai comma 5 e 5-bis dell'art. 248 del decreto legislativo n. 267/2000 e i presupposti di fatto che determinano le connesse misure interdittive, previste dai medesimi commi quali effetto giuridico della condotta sanzionata». In particolare, nel corpo delle argomentazioni, la sentenza ha ritenuto che «le sanzioni interdittive (o "di status") conseguono di diritto all'unico accertamento della responsabilita' alla contribuzione del dissesto, nell'ambito del medesimo rito sanzionatorio, in quanto il positivo accertamento della responsabilita' da contribuzione al dissesto si pone come condizione necessaria per la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle citate sanzioni di status: da tale accertamento discende, infatti, il duplice effetto della condanna alla sanzione pecuniaria e quello dichiarativo, automatico e consequenziale, in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle sanzioni interdittive di cui innanzi; - il giudice contabile, pertanto, ha cognizione piena su entrambi gli effetti che derivano dall'unico accertamento in ordine alla responsabilita' degli amministratori e dei revisori che abbiano contribuito, con dolo o colpa grave e con condotte omissive o commissive, al verificarsi del dissesto». Successivamente sono intervenute anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione con l'ordinanza n. 13205/2024 sul riparto di giurisdizione rilevando che «la giurisdizione della Corte dei conti si radica, secondo quanto previsto dalla citata norma, sull'unico accertamento in ordine alla sussistenza del nesso causale fra la condotta tenuta ed il conseguente dissesto che non richiede piu' una causalita' diretta, bensi' il solo contributo causale, ma da esso consegue l'irrogazione delle sole sanzioni pecuniarie, tra un minimo e un massimo stabilito dalla norma. Invece, le sanzioni interdittive, stabilite per gli ex amministratori (differentemente che per i revisori contabili) in misura fissa, sono un effetto automatico previsto dalla legge, cosi' da non rendere necessaria una declaratoria ("comando") del giudice. Dal medesimo ed unico accertamento discendono dunque due effetti: quello di condanna alla sanzione pecuniaria, cosi' come previsto dall'art. 248, comma 5 e 5-bis, del TUEL, e quello automatico e conseguenziale, di sola «sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle sanzioni interdittive o di status previste dai medesimi commi», che verranno poi applicate dall'autorita' amministrativa competente. In definitiva, il legislatore, con l'art. 248, comma 5, che qui interessa, del TUEL, nel testo risultante dalle modifiche del 2012, ha inteso attribuire espressamente al giudice contabile il potere di valutare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione non solo delle sanzioni pecuniarie ma anche delle sanzioni c.d. interdittive, ma queste ultime conseguono come effetto automatico dell'accertamento della responsabilita' per dissesto. Le sanzioni c.d. di status discendono dunque non dalla volonta' del giudice, ma dalla volonta' del legislatore, sulla quale la volizione giudiziale, una volta espressasi sull'an della responsabilita', non puo' incidere. Ne consegue che la decisione del giudice contabile, una volta accertata la responsabilita' dell'ex amministratore dell'Ente locale da dissesto, ha e deve avere, riguardo alle misure c.d. interdittive (quelle qui in esame), una chiara portata meramente dichiarativa della voluntas legis e dunque deve limitarsi all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il divieto previsto dalla legge, restando la relativa declaratoria-applicazione compito dell'autorita' amministrativa competente». Cio' premesso sulla portata dell'azione del giudice contabile rispetto agli effetti di legge sullo status, il giudizio sottoposto all'esame della Sezione attiene - per la parte di cui si discute - all'accertamento di responsabilita' per «aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario» e, dunque, dei presupposti per poter poi irrogare (il giudice contabile) la sanzione pecuniaria nei termini edittali (da cinque a venti volte la retribuzione mensile lorda) previsti dalla norma, mentre l'ulteriore divieto di ricoprire cariche e, dunque, quella che viene impropriamente indicata come sanzione sullo status politico degli amministratori e' un effetto ultroneo ed automatico che consegue all'accertamento dei presupposti (responsabilita') da parte della Corte dei conti, ma che viene poi materialmente disposto con provvedimento amministrativo da altra autorita' competente, la quale, stando al dato testuale della norma, non ha pero' alcuna discrezionalita' in merito all'an e al quantum temporale della «sanzione» (personale) da irrogare. Da questi elementi discende, dunque, l'esame sulla rilevanza dell'eccezione e del relativo profilo d'incostituzionalita' della norma. A tal fine occorre evidenziare che dalla natura meramente dichiarativa del provvedimento (e dal relativo accertamento della sussistenza dei presupposti) discende l'effetto automatico relativo allo status, rispetto al quale l'autorita' amministrativa preposta e' tenuta ad adottare il relativo provvedimento senza alcun potere decisionale. Ora, la circostanza che la pronuncia del giudice contabile incida solo in via mediata sull'irrogazione della sanzione relativa allo status, non elimina di per se' la rilevanza della questione ai fini della decisione, considerato che l'effetto primo e diretto e' proprio l'accertamento dei presupposti di legge per l'applicazione delle condizioni di status, rispetto alle quali la Corte di cassazione ha appunto chiarito che esse discendono dalla volonta' del legislatore «sulla quale la volizione giudiziale, una volta espressasi sull'an della responsabilita', non puo' incidere». Dunque, le limitazioni di status cosi' congeniate si configurano di fatto come un procedimento bifasico, la prima parte sull'accertamento dei presupposti di fatto e di diritto di natura giurisdizionale rimessa alla Corte dei conti e quella successiva di mera determinazione sull'incandidabilita' (e divieto di ricoprire cariche) in termini fissi e non modulabili di competenza dell'autorita' amministrativa. Seguendo tale impostazione, l'unico momento nel quale gli effetti pregiudizievoli dell'accertamento (dell'unico accertamento a duplice effetto sanzionatorio, pecuniario e di status) possono essere censurati di incostituzionalita' e' proprio il giudizio dinanzi alla Corte dei conti che non puo' non tener conto - ai fini dell'eccezione - degli effetti di legge consequenziali al proprio decisum, ancorche' poi irrogati da un'autorita' amministrativa. Ne' potrebbe il giudice contabile scindere i due momenti disconoscendo - ai fini della rilevanza - gli effetti che la legge collega espressamente al proprio accertamento, nel rispetto del rapporto necessario tra protasi ed apodosi. Peraltro, per come la norma e' strutturata, emerge che l'accertamento della Corte dei conti sul contributo al dissesto finanziario ha come primo effetto voluto dal legislatore e vincolato alla pronuncia (seppur poi irrogato da altro soggetto) proprio il divieto di ricoprire determinate cariche pubbliche e solo successivamente (ultimo capoverso del comma 5) la sanzione pecuniaria. Quindi, essendo la condizione di status l'elemento principale che consegue al provvedimento che accerta la responsabilita' delle condotte, la questione di legittimita' costituzionale della norma rileva necessariamente ai fini della decisione, non potendosi separare l'accertamento (prima) dai suoi effetti (poi) sulla condizione di status (sebbene mediati dal provvedimento amministrativo), essendo effetto consequenziale e non discrezionale («l'incandidabilita' non e' una "sanzione di status", ma e' un effetto ex lege che limita il diritto (costituzionalmente garantito a ogni cittadino dall'art. 51 Cost.) all'elettorato passivo, in un delicato bilanciamento con altri principi costituzionali sanciti dagli artt. 54 e 97 Cost. Quando la norma che pone il divieto, prescrive, ai fini dell'applicazione, la comunicazione all'autorita' amministrativa, a questa compete il potere-dovere di procedere in conformita'», cfr. Corte dei conti, sentenza Sez. II App., n. 173 del 26 giugno 2023). Ne' potrebbe superarsi la rilevanza della questione - in questa sede - sulla considerazione che l'incostituzionalita' della norma potrebbe essere fatta valere successivamente a valle dell'adozione dell'atto amministrativo sull'incandidabilita', nella fase di eventuale impugnazione. Infatti, partendo dal concetto di unicita' dell'accertamento in ordine alla sussistenza del nesso causale fra la condotta tenuta dall'amministratore ed il conseguente dissesto e all'effetto «automatico previsto dalla legge, cosi' da non rendere necessaria una declaratoria («comando») del giudice», come indicato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, viene in evidenza che il momento topico nel quale l'eccezione assume rilevanza e' proprio quello nel quale la condotta degli amministratori viene giudicata e rispetto alla quale l'eccezione di incostituzionalita' della norma, per violazione del principio di ragionevolezza non prevedendo una sanzione di status con termini differenziati rispetto alle singole condotte in luogo del termine fisso decennale, assume la rilevanza nei termini piu' ampi. In tal senso, l'eccezione sollevata ha rilievo in questa sede contabile perche' la violazione dell'art. 3 (in rapporto anche con l'art. 51) della Costituzione e' riferita proprio alla necessita' di ancorare l'estensione temporale delle limitazioni sullo status (effetto automatico che non necessita del comando del giudice) alle condotte, il cui accertamento unico avviene dinanzi alla Corte dei conti e, dunque, in tale momento - anche ai fini accertativi del contributo causale (e delle sue modalita') - gli effetti di legge (e il relativo parametro di costituzionalita') incidono sulla decisione. Peraltro, anche a voler ritenere che l'effetto di legge sullo status non sia una conseguenza diretta della pronuncia del giudice contabile, ma un effetto «indiretto» dell'accertamento, in ogni caso la questione sarebbe rilevante, dovendosi necessariamente riferire la valutazione sulla costituzionalita' delle norme da applicare a tutti gli effetti che la decisione genera. Quanto alla non manifesta infondatezza si evidenzia che dall'impostazione della «interpretazione adeguatrice» della sentenza della Corte costituzionale n. 356 del 1996 («le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perche' e' impossibile darne interpretazioni costituzionali», cfr. § 4) e dalla successiva previsione della necessita' di «verificare, prima di sollevare la questione di costituzionalita', la concreta possibilita' di attribuire alla norma denunciata un significato diverso da quello censurato e tale da superare i prospettati dubbi di legittimita' costituzionale» (ord. 322/2001, penultimo cpv. della parte in fatto e diritto) si e' passati alla tesi contenuta nella sentenza n. 235/2014 (secondo cui la non condivisione della possibile soluzione ermeneutica conforme a Costituzione, in quanto sufficientemente argomentata, «non rileva piu' in termini di inammissibilita' - ma solo, in tesi, di eventuale non fondatezza - della questione in esame», cfr. § 5 del considerato in diritto) e a quella della sentenza n. 262 del 2015 («ai fini dell'ammissibilita' della questione, e' sufficiente che il giudice a quo esplori la possibilita' di un'interpretazione conforme alla Carta fondamentale e, come avviene nel caso di specie, la escluda consapevolmente», cfr. § 2.3 del considerato in diritto), per approdare ai principi indicati nella sentenza n. 42 del 2017 (§ 2.2 del considerato in diritto, secondo cui «Se, dunque, "le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne)" (sentenza n. 356 del 1996), cio' non significa che, ove sia improbabile o difficile prospettarne un'interpretazione costituzionalmente orientata, la questione non debba essere scrutinata nel merito. Anzi, tale scrutinio, ricorrendo le predette condizioni, si rivela, come nella specie, necessario, pure solo al fine di stabilire se la soluzione conforme a Costituzione rifiutata dal giudice rimettente sia invece possibile»). Sulla base di tali criteri deve essere scrutinata la domanda sulla legittimita' dell'art. 248, comma 5 del TUEL per violazione dell'art. 3, della Costituzione, laddove ha previsto l'effetto di legge dell'incandidabilita' e il divieto di ricoprire determinate cariche per un termine determinato e fisso di dieci anni, prescindendo dalla natura gravemente colposa o dolosa della condotta (o dell'entita' del contributo causale all'evento dissesto). Sul punto occorre premettere che il vaglio di costituzionalita' richiesto ha come punto di riferimento indiscutibile l'uso del potere discrezionale del Parlamento su cui non e' previsto alcun sindacato (art. 28 della legge n. 87 del 1953), quindi ben potrebbe il legislatore prevedere - in linea astratta - la contrazione dei diritti di elettorato passivo per un periodo di dieci anni quale misura afflittiva e, ancor di piu', special preventiva per il danno che gli amministratori hanno provocato (rectius contribuito a provocare) con il dissesto dell'ente. Tuttavia, tale limitazione e' estremamente pervasiva andando ad incidere sui diritti riconosciuti dall'art. 51 della Costituzione - in tanto e' ammissibile in quanto sia conforme al principio di ragionevolezza, avendo anche riguardo al modo in cui il legislatore ha normato situazioni simili. In questo senso vengono in rilievo alcune fattispecie rappresentative di casi simili, ma con discipline diverse, che denoterebbero una disparita' di trattamento; in particolare: da un lato alcune difese hanno richiamato la previsione dell'art. 248, comma 5-bis, del TUEL che, con riferimento ai revisori, prevede un termine massimo della sanzione e, dunque, la sua modulabilita'; dall'altro lato vengono in rilievo le previsioni del decreto legislativo n. 235/2012 in tema di incandidabilita' (la cui relativa giurisprudenza costituzionale era stata indicata in alcuni precedenti pronunce, a supporto del rigetto dell'eccezione d'incostituzionalita'). Quanto alla previsione di un limite massimo del divieto di ricoprire cariche (e, dunque, modulabile) per i membri del collegio dei revisori, si ritiene che il termine di paragone sia privo di pregio, considerato che diversi sono i ruoli svolti dall'amministratore e dal revisore e diversa e' la responsabilita' che le due figure rivestono nelle dinamiche dell'ente. Il revisore, infatti, sebbene dotato di specifiche competenze professionali, e' comunque un soggetto che svolge funzione di ausilio e di controllo dell'attivita' posta in essere dagli amministratori i quali, avvalendosi dell'attivita' degli uffici tecnici, gestiscono la cosa pubblica, avendo il potere e relativo dovere di operare per il meglio, in condizioni ordinarie, e con particolare oculatezza per il risanamento, nella gestione di crisi dell'ente (quale la condizione di predissesto, con piano di riequilibrio approvato, di cui si discute). La diversa qualifica soggettiva (e di funzioni) configura dunque fattispecie che non sono in alcun modo sovrapponibili. Quanto invece all'eccepita incostituzionalita' riferita a gradualita' sanzionatoria, proporzionalita', ragionevolezza della sanzione, nonche' disparita' di trattamento previsti dall'art. 3 della Costituzione, si osserva che il termine fisso decennale indicato, di per se', non ha alcun rilievo o profilo di incostituzionalita', essendo un termine (pari a due consiliature complete) evidentemente ritenuto congruo dal legislatore nell?esercizio della sua discrezionalita' normativa. In merito, peraltro, non puo' non indicarsi il ruolo centrale che assume nell'ordinamento - e, di riflesso, nella previsione sanzionatoria - il bilancio dello Stato (alla cui tutela la norma e' orientata), a cui concorre necessariamente quello dei singoli enti locali, anche alla luce del principio di equita' intragenerazionale e intergenerazionale a cui l'equilibrio del bilancio e' preposto (Corte cost. sent. n. 18/2019, sent. n. 115/2020, sent. n. 246/2021), incidente altresi' sul legame fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti (Corte cost. sent. n. 228/2017) e in ragione della necessita' per l'amministratore di porre in essere azioni indispensabili ad incentivare il buon andamento dei servizi e pratiche di amministrazione ispirate a una oculata e proficua spendita delle risorse della collettivita' (in tal senso, Corte cost. sentenze n. 235 del 2021 e n. 18 del 2019). Quindi, in adesione a tale impostazione la previsione incisiva sullo status personale prevista dal legislatore (preclusione a ricoprire cariche per dieci anni) - confortata dalla giurisprudenza costituzionale - non presenterebbe profili di incostituzionalita' laddove messa in relazione solamente con il bilancio dello Stato, atteso che esso ha comunque un ruolo fondamentale superindividuale destinato ad incidere sulla vita dell'intera cittadinanza e in termini intragenerazionali, rispetto al quale l'interesse del singolo (nei cui confronti sono state accertate delle responsabilita') sarebbe recessivo, con l'effetto che la limitazione del diritto costituzionale all'elettorato passivo troverebbe ragionevole giustificazione nell'esigenza di tutelare l'equilibrio di bilancio. Tuttavia, se letta nel sistema della incandidabilita' ex lege, allora la previsione dell'art. 248, comma 5, TUEL si evidenzia per alcune peculiarita' di fondo che non sono giustificate dalla preminenza del bilancio dello Stato e dell'equilibrio a cui esso e' orientato (art. 97 Cost.) e che stridono con il rispetto dei criteri di gradualita' «sanzionatoria», proporzionalita', ragionevolezza, nonche' di parita' di trattamento ai quali la stessa discrezionalita' del legislatore deve conformarsi. In particolare, fermi restando i principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale laddove prospetta come irragionevole la previsione di una automatica incandidabilita' (e divieto di ricoprire cariche) per un termine fisso di dieci anni per una condotta, anche di natura gravemente colposa, che abbia non «determinato» (come nella versione originaria della disposizione, rispetto alla quale l'eccezione d'incostituzionalita' avrebbe assunto diverso rilievo), ma anche solo «contribuito» - peraltro senza limiti di tempo - al dissesto dell'ente. Vengono infatti unificate ai fini dell'incandidabilita', violando irragionevolmente il principio di parita' di trattamento e di proporzionalita', le condotte connotate da dolo che abbiano determinato con contributo estensivamente incisivo e protratto nel tempo il dissesto dell'ente con quelle condotte, invece, connotate da colpa grave, circoscritte magari a singoli episodi risalenti nel tempo (anche a consiliature antecedenti un eventuale piano di riequilibrio finanziario), ma che secondo la nuova formulazione abbiano comunque «contribuito», ancorche' in maniera minima, al dissesto dell'ente. La previsione di una incandidabilita' (divieto di ricoprire cariche) decennale, ancorche' non sia configurabile come sanzione nei termini indicati dalla giurisprudenza, in ogni caso incide inevitabilmente nella vita (e, dunque, sui diritti costituzionalmente garantiti) degli amministratori e, pertanto, l'effetto ex lege previsto dal legislatore deve rientrare nel parametro della ragionevolezza riferita, da un lato, al diritto all'elettorato passivo di cui all'art. 51 cost. e, dall'altro, alla tutela degli interessi costituzionali protetti dagli artt. 54 e 97, della Costituzione. Sul punto, la giurisprudenza costituzionale - relativa al profilo della sanzione personale (disciplinare), ma ragionevolmente valevole alla fattispecie di cui si discute attesa la eadem ratio sostanziale che le caratterizza - ha indicato che il requisito della proporzionalita' «puo', normalmente, essere soddisfatto soltanto da una valutazione individualizzata della gravita' dell'illecito, alla quale la risposta sanzionatoria deve essere calibrata (su questo corollario del principio di proporzionalita' rispetto a ogni tipologia di sanzione, sentenza n. 112 del 2019, punto 8.1.4. del Considerato in diritto, nonche' - in materia penale - sentenza n. 197 del 2023, punti 5.2.1. e 5.5.1. del Considerato in diritto). Le sanzioni fisse sono, per contro, tendenzialmente in contrasto con questo principio, a meno che - come questa Corte ha ritenuto nel caso deciso con la sentenza n. 197 del 2018 (punto 8 del Considerato in diritto) - esse risultino non manifestamente sproporzionate rispetto all'intera gamma dei comportamenti riconducibili alla fattispecie astratta dell'illecito sanzionato (ancora in materia penale, sentenze n. 195 del 2023, punto 6.1. del Considerato in diritto; n. 94 del 2023, punto 13 del Considerato in diritto; n. 222 del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto; nonche', in materia di sanzioni amministrative, sentenze n. 40 del 2023, punto 5.2. del Considerato in diritto; n. 266 del 2022, punto 5.4.3. del Considerato in diritto; n. 185 del 2021, punto 6 del Considerato in diritto). Al di fuori di questa ipotesi, che presuppone un certo grado di omogeneita' della fattispecie astratta sotto il profilo della gravita' delle condotte a essa riconducibili, il corollario dell'individualizzazione della sanzione esige una gradualita' della risposta, affinche' essa possa risultare adeguata al concreto disvalore della condotta» (Corte cost. sentenza n. 51/2024, § 3.3.1 del considerato in diritto). Inoltre, tale irragionevolezza emergerebbe anche dal raffronto con altre fattispecie. Sul punto si osserva che lo stesso TUEL prevede, all'art. 143, comma 11, l'ipotesi d'incandidabilita' per gli amministratori, relativa allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, disponendo espressamente, fatte salve misure interdittive o accessorie, che «gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo nonche' alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilita' sia dichiarata con provvedimento definitivo». Tale fattispecie ricorre nell'ipotesi, disciplinata dal primo comma dell'art. 143, allorquando «emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalita' organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volonta' degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialita' delle amministrazioni comunali e provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica». Oltre questa fattispecie viene in rilievo anche l'ipotesi di cui al decreto legislativo n. 235/2012. In particolare, con riferimento agli enti locali, l'art. 10 prevede l'incandidabilita' alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e comunque il divieto di ricoprire la carica di amministratore (sindaco, assessore, consigliere, etc.), per coloro che hanno riportato condanne definitive per fattispecie delittuose di particolare rilievo sociale (associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, in tema di immigrazione e terrorismo, diverse ipotesi di delitti compiuti da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, quali peculato, concussione, corruzione, etc.), oltre alle ipotesi di condanna definitiva per delitti non colposi con condanna non inferiore a due anni di reclusione e alle ipotesi di applicazione definitiva di misura di prevenzione per appartenenza ad associazioni (tra cui quella di tipo mafioso). Rispetto a tali ipotesi, tuttavia, l'art. 15, comma 3, prevede che «La sentenza di riabilitazione, ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, e' l'unica causa di estinzione anticipata dell'incandidabilita' e ne comporta la cessazione per il periodo di tempo residuo». Dunque, il legislatore, pur di fronte ad ipotesi di condanna definitiva per delitti che incidono significativamente nella vita della pubblica amministrazione (si pensi oltre all'ipotesi dell'art. 416-bis c.p. anche al peculato, concussione o corruzione), prevede la possibilita' di limitare l'incandidabilita' e, cosi', restituire al condannato il diritto elettorale passivo, tramite l'istituto della riabilitazione. Per contro, tale possibilita' di porre fine all'incandidabilita' e' preclusa nell'ipotesi in cui un amministratore, a titolo di colpa grave, con la propria condotta anche risalente nel tempo, abbia «contribuito» al dissesto dell'ente. Tale disparita' di trattamento sembra indicare la non manifesta infondatezza dell'eccezione di incostituzionalita' della norma, rispetto al parametro dell'art. 3 della Costituzione, sollevata in giudizio. Se nelle due fattispecie indicate la contrazione del diritto di elettorato passivo trova una sua necessaria giustificazione costituzionale con riferimento a quelle omissioni che incidono o sulle condizioni morali degli amministratori (incandidabilita' ai sensi del dereto legislativo n. 235/2012, relativa a condanne definitive) o a responsabilita' relative a infiltrazioni mafiose (art. 143, comma 11, TUEL), la stessa misura appare irragionevole - considerato che viene applicata in misura fissa e non graduata - rispetto ad ipotesi in cui non solo manca l'incisivita' dell'infiltrazione mafiosa (elemento che inquina l'intero apparato amministrativo non solo da un punto di vista economico, ma anche morale e di rispetto della legalita') o l'accertamento definitivo di reati associativi o connessi con la funzione pubblica esercitata a danno dell'amministrazione stessa, ma addirittura si potrebbe assistere a condotte risalenti nel tempo (non essendo piu' previsto il termine degli ultimi cinque anni), caratterizzate da colpa grave (espressione Dell'incapacita' di amministrare) e che hanno meramente «contribuito» al dissesto, eventualmente anche in maniera marginale (in luogo del precedente «determinato»). Rispetto alla stessa norma, dunque, il termine fisso d'incandidabilita' (o divieto di ricoprire determinate cariche) per dieci anni appare irragionevole laddove unifica sia ipotesi di colpa grave che dolo, nonche' condotte «determinanti» con quelle che esprimono un mero «contributo», senza alcuna possibilita' di distinzione e di graduazione. Inoltre, proprio perche' il profilo di incostituzionalita' ai fini della non manifesta infondatezza deve essere vagliato alla luce di discipline simili, non appare sorretto da proporzionalita' la previsione di incandidabilita' per un periodo di dieci anni per gli amministratori che hanno solo «contribuito» anche in un tempo remoto e a titolo di colpa grave, senza alcuna possibilita' di emendazione, a fronte di ipotesi in cui pur in presenza di condanna in sede penale (es. ex art. 10, decreto legislativo n. 235/2012) con conseguente incandidabilita', e' prevista la possibilita' di poter tornare a far parte dell'elettorato passivo, grazie alla sentenza di riabilitazione ex artt. 178 ss. c.p. In altri termini, il principio di ragionevolezza e proporzionalita' nella previsione dell'art. 248, comma 5, TUEL non appare rispettato, laddove viene trattata con maggior rigore la semplice ipotesi di colpa grave per un mero contributo causale al dissesto, ancorche' risalente nel tempo (con incandidabilita' assoluta per dieci anni) rispetto alle ipotesi, ad esempio, di condanna definitiva per reati di associazione mafiosa o contro la pubblica amministrazione, per le quali e' prevista la possibilita' di riabilitazione. Peraltro, la stessa norma appare irragionevole e contraddittoria sotto un altro profilo. Infatti, ove si ritenesse non irragionevole il divieto di ricoprire determinate cariche per dieci anni degli amministratori che hanno contribuito al dissesto dell'ente, rispetto a condotte che incidono sulla stessa moralita' ed onesta' dei medesimi e che vedono la possibilita' di ridurre o far cessare l'incandidabilita', in ragione della prevalenza delle esigenze di tutela del bilancio potenzialmente pregiudicato dalla mala gestio degli amministratori, si' da evitare che continuino ad amministrare, viene in rilievo la circostanza che agli stessi e' preclusa la possibilita' per dieci anni di ricoprire la carica di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati, ma possono essere eletti Sindaci e quindi gestire non la singola attivita' delegata, ma l'intera amministrazione comunale. Per tali ragioni l'impossibilita' di interpretare secondo Costituzione la norma induce a prospettare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 248, comma 5, decreto legislativo n. 267/2000, laddove dispone per gli amministratori il divieto di ricoprire incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati (e per i sindaci le altre specifiche incandidabilita'), per un periodo fisso di dieci anni e non graduabile, a fronte di condotte che abbiano contribuito al dissesto dell'ente, sia a titolo di dolo che di colpa grave. 7. Pertanto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 134 Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, devono dichiararsi rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo 248, comma 5, del decreto legislativo n. 267/2000 sopra prospettate, e deve di conseguenza disporsi la sospensione del giudizio in oggetto, tenuto conto anche dell'opportunita' di procedere alla trattazione unitaria di tutte le posizioni, ordinando l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e gli altri adempimenti a cura della Cancelleria di cui al dispositivo. 8. Le spese del giudizio saranno liquidate alla definizione integrale del merito della presente controversia. P. Q. M. La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Calabria, in composizione monocratica, non definitivamente pronunciando con riferimento al giudizio ex art. 133 c.g.c. relativo a giudizio sanzionatorio iscritto al n. 24057 del Registro di Segreteria. Visti l'art. 134 Costituzione e l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 248, comma 5, del decreto legislativo n. 267/2000, prospettate nei termini di cui in motivazione. Ordina la sospensione del giudizio; Ordina alla Segreteria della Sezione di provvedere: all'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; alla notificazione della presente ordinanza alle parti in causa, al Pubblico Ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri; alla comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti delle Camere del Parlamento; ad ogni altro adempimento di competenza. Spese del giudizio al definitivo. Cosi' deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 13 gennaio 2025. Il Giudice: Tarantelli