Reg. ord. n. 72 del 2025 pubbl. su G.U. del 30/04/2025 n. 18

Ordinanza del Corte dei conti  del 08/03/2025

Tra: M. O. e altri

Oggetto:

Responsabilità amministrativa e contabile – Comuni, province e città metropolitane – Dichiarazione di dissesto – Conseguenze per gli amministratori che sono stati riconosciuti, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, al verificarsi del dissesto finanziario – Sanzioni interdittive – Divieto di ricoprire per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati – Incandidabilità, per un periodo di dieci anni, per i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili per la medesima fattispecie, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo – Irragionevolezza della previsione di una misura interdittiva (incandidabilità o divieto di ricoprire cariche) in misura fissa (dieci anni) per una condotta, anche di natura gravemente colposa, che non abbia determinato ma anche solo contribuito, peraltro senza limiti di tempo, al dissesto dell’ente – Contrasto con i principi di gradualità sanzionatoria, proporzionalità, ragionevolezza ed eguaglianza – Irragionevole parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, di condotte sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo, sia in relazione all’incidenza del loro contributo al dissesto o alla loro durata – Lesione del diritto di elettorato passivo – Disparità di trattamento con riferimento a fattispecie che incidono o sulle condizioni morali degli amministratori o riguardano responsabilità relative a infiltrazioni mafiose per le quali sussiste la possibilità di limitare la durata dell’incandidabilità tramite l’istituto della riabilitazione – Irragionevolezza di un termine fisso di incandidabilità (o divieto di ricoprire determinate cariche) sotto il profilo della mancata differenziazione o graduazione della colpa grave rispetto al dolo, nonché delle condotte “determinanti” rispetto ai quelle che esprimono un mero “contributo” – Irragionevolezza del divieto di ricoprire alcune cariche non preclusivo della possibilità di essere eletti per l’esercizio di funzioni non riguardanti la singola attività delegata ma l’intera amministrazione locale.

Norme impugnate:

decreto legislativo  del 18/08/2000  Num. 267  Art. 248  Co. 5



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 51   Co.  



Udienza Pubblica del 3 dicembre 2025 rel. BUSCEMA


Testo dell'ordinanza

                        N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 08 marzo 2025

Ordinanza  dell'8  marzo  2025  della   Corte   dei   conti   sezione
giurisdizionale   per   la   Regione   Calabria nel    giudizio    di
responsabilita' a carico di M. O. e altri. 
 
Responsabilita' amministrativa  e  contabile  -  Comuni,  province  e
  citta' metropolitane - Dichiarazione di dissesto - Conseguenze  per
  gli amministratori che sono  stati  riconosciuti,  anche  in  primo
  grado, responsabili di aver  contribuito  con  condotte,  dolose  o
  gravemente colpose,  al  verificarsi  del  dissesto  finanziario  -
  Sanzioni interdittive - Divieto di ricoprire,  per  un  periodo  di
  dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti  di  enti
  locali e di  rappresentante  di  enti  locali  presso  altri  enti,
  istituzioni ed organismi pubblici e privati - Incandidabilita', per
  un periodo di dieci anni, per i sindaci e i presidenti di provincia
  ritenuti responsabili per la medesima fattispecie, alle cariche  di
  sindaco, di  presidente  di  provincia,  di  presidente  di  Giunta
  regionale, nonche' di membro dei consigli  comunali,  dei  consigli
  provinciali,  delle  assemblee  e  dei  consigli   regionali,   del
  Parlamento e del Parlamento europeo. 
- Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
  sull'ordinamento degli enti locali), art. 248, comma 5. 


(GU n. 18 del 30-04-2025)

 
                         LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria 
 
    Il Giudice  monocratico  Guido  Tarantelli,  designato  ai  sensi
dell'art. 133, comma 2, del codice della giustizia contabile (decreto
legislativo 26 agosto 2016,  n.  174),  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza  nel  giudizio  iscritto  al  n.  24057  del  registro   di
segreteria promosso dalla Procura regionale, ex art. 133 c.g.c.,  nei
confronti dei signori: 
      1) O    M    nato  a     il      gennaio     ed  ivi  residente
C.F.         ,  sindaco  in  carica  dal        all'      e  dal     
al      (in carica  nel  periodo      per       mesi),  elettivamente
domiciliato in Cosenza alla Via Sabotino  n.  55,  presso  lo  studio
dell'Avv.  Benedetto  Carratelli  -  c.f.  CRRBDT63S23D086T  -   fax:
098475759 -  pec:  benedettocarratelli@pec.giuffre.it  dal  quale  e'
rappresentato e difeso in forza di procura in atti; 
      2) B    M     nato a      l'      ed ivi residente,  C.F.      
, assessore in carica dall'      al      (in  carica  nel  periodo   
per    mesi) rappresentato e difeso, per procura  in  atti  dall'Avv.
Oreste Morcavallo (C.F. MRCRST49D19D086G), presso il  cui  studio  in
Cosenza, C.so Luigi Fera n. 23,  e'  elettivamente  domiciliato,  fax
0984.413950 o p.e.c. studiomorcavallo@pecstudio.it 
      3) B   D   nato a C    il      ed ivi  residente,  C.F.       ,
assessore in carica  dall'      al      (in  carica  nel  periodo    
per      ), elettivamente domiciliato in Catanzaro, alla Via Schipani
n. 110, nello studio dell'Avv. Mariagemma Talerico,  rappresentato  e
difeso, in forza di procura in atti,  dall'Avv.  Giuseppe  Carratelli
(c.f. CRRGPP88T07D086J), con studio in Cosenza alla via  Sabotino  n.
55,               fax               0984/75759,               p.e.c.:
giuseppecarratelli@pec.studiolegalecarratelli.it 
      4) D    C    F    nato a     l'    ed ivi residente, C.F.      
, assessore in carica dal     al      e dall'      al      (in carica
nel periodo       per     ); 
      5) M     C     nato a Cosenza      l'     e  residente  a     ,
C.F. 60      , assessore in carica dall'     al      (in  carica  nel
periodo    per     mesi ), rappresentato e difeso - giusta procura in
atti dagli Avv.ti Mario D'Urso  (c.f.  DRSMRA34A27H703O)  ed  Antonio
D'Urso  (c.f.  DRSNTN69C01H703G),  e  con  gli  stessi  elettivamente
domiciliato presso gli indirizzi di  posta  elettronica  certificata:
studioavvdurso@pec.it e avvantoniodurso@pec.it 
      6) S    R    nata a      il     ed ivi residente,  C.F.       ,
assessore in carica dall'      al     e dal       al      (in  carica
nel periodo     per       ), rappresentata e difesa - per procura  in
atti - dall'Avv. Oreste Morcavallo (C.F. MRCRST49D19D086G), presso il
cui studio in Cosenza,  C.so  Luigi  Fera  n.  23,  e'  elettivamente
domiciliata, fax 0984.413950, p.e.c. studiomorcavallo@pecstudio.it 
      7) V    L    nato a      il      ed ivi  residente,  C.F.     ,
assessore con delega al bilancio dall'     al      e  dal       al   
(in carica nel periodo     per     ), rappresentato e difeso, come da
procura alle  liti  allegata  al  presente  atto,  dall'avv.  Gaetano
Callipo   (CLLGTN64R11E041M),   con   domicilio    digitale    eletto
all'indirizzo di posta elettronica certificata gaetano.callipo@pec.it 
      8) P     F    L    nata a           il     e residente a      ,
C.F.        ,  assessore dal    al     e dal      al      (in  carica
nel periodo    per      ),  rappresentata  e  difesa,  in  virtu'  di
procura  in  calce  al  presente  atto,  dall'Avv.   Valerio   Zicaro
(ZCRVLR80H18D086C), elettivamente domiciliata presso il suo studio in
Cosenza alla  Piazza  Zumbini  n.  72,  fax:  0984.408041  e  p.e.c.:
valerio.zicaro@avvocaticosenza.it 
      9) C   F    nato a      il     ed  ivi  residente,  C.F.      ,
assessore  dal     al      (in  carica  nel  periodo      per      ),
rappresentato e difeso, in  virtu'  di  procura  in  atti,  dall'Avv.
Carmelo Salerno con domicilio presso il suo studio, in  Cosenza,  via
Mortati,  n.  23,  PEC:   avv.carmelosalerno@pec.giuffre'.it    (FAX:
0984/408752); 
      10) S   M    nata a     il     e residente a     ,  C.F.      ,
assessore dal     al     (in  carica  nel  periodo       per       ),
elettivamente domiciliata in Cosenza alla Via Sabotino n. 55,  presso
lo studio dell'Avv. Benedetto  Carratelli  (c.f.  CRRBDT63S23D086T  -
fax: 098475759 - pec: benedettocarratelli@pec.giuffre.it dal quale e'
rappresentata e difesa in forza di procura in atti; 
      11)  S     M      nato  a       l'          ed  ivi  residente,
C.F.       , assessore dall'     al     (in carica nel  periodo      
per     ), elettivamente domiciliato in Cosenza alla Via Sabotino, n.
55,  presso  lo   studio   dell'Avv.   Benedetto   Carratelli   (c.f.
CRRBDT63S23D086T      -       fax:       098475759       -       pec:
benedettocarratelli@pec.giuffre.it  dal  quale  e'  rappresentato   e
difeso in forza di procura in atti; 
      12) V    C     nato a        il     e residente      , C.F.    
, assessore dal    al    e dal     al      (in carica nel  periodo   
per      ), elettivamente domiciliato in Cosenza alla Via Sabotino n.
55, presso lo studio dell'Avv. Benedetto  Carratelli  (c.f.  CRR  BDT
63S23      D086T      -       fax:       098475759       -       pec:
benedettocarratelli@pec.giuffre.it  dal  quale  e'  rappresentato   e
difeso in forza di procura in atti; 
      13) F    G       nato  a       il       e  residente  a       ,
C.F.     , revisore dei conti dal     al        ; 
      14)  B      S      nato  a        il       ed  ivi   residente,
C.F.       , revisore dei conti dal     al       ; 
      15) S    T     nata a    il     e residente a      , C.F.     ,
revisore dei conti dal    al     , rappresentati e difesi, in  virtu'
di distinti  mandati  in  atti,  dall'Avv.  Giovanni  Spataro  (C.F.:
SPTGNN63M12D086T)          fax           0984398003,           p.e.c.
avv.giovannispataro@pec.giuffre.it con domicilio  eletto  in  Cosenza
piazza Europa 9; 
      16) B    N     F     nato  a         il      e  residente  a   
 C.F.     , revisore dei conti dal    al    ; 
      17) S   F    nato a      il     ed  ivi  residente  C.F.      ,
revisore dei conti dal     al     ; 
      18) T     S     nato a      il     ed ivi residente C.F.      ,
revisore dei conti dal     al      , rappresentati e difesi in virtu'
di  procura  in   calce   dell'Avvocato   Agostino   Conforti   (C.F.
CNFGTN66L01D086M) del foro di Cosenza con studio in Cosenza alla  Via
Guido    Dorso,    n.    23,    Tel.    Fax.    098436217,     p.e.c.
avvagostinoconforti@cnfpec.it 
    Visto il ricorso in epigrafe, con cui  la  Procura  Regionale  ha
chiesto nei confronti  dei  suindicati  amministratori  l'irrogazione
della sanzione pecuniaria di cui all'art. 248, commi 5  e  5-bis  del
TUEL per  avere  gli  stessi,  nella  qualita'  di  amministratori  e
revisori, negli anni sin  dal       del  Comune  di         posto  in
essere condotte gravemente colpose che hanno causalmente  contribuito
al verificarsi del dissesto  finanziario  dell'ente,  deliberato  dal
Consiglio comunale, con deliberazione n.     dell'          
    Visto il decreto presidenziale n. 252 del 9 ottobre 2024  recante
la designazione del giudice monocratico; 
    Visto il  decreto  del  9  ottobre  2024  recante  la  fissazione
dell'udienza camerale per la  trattazione  in  sede  monocratica  del
giudizio per il giorno 26 novembre 2024; 
    Visto il decreto del 4 novembre 2024 con cui La Procura, rilevata
la mancata notifica del ricorso e decreto di fissazione  dell'udienza
- e il mancato riscontro dell'UNEP alla richiesta di  procedere  alla
notifica ai sensi dell'art. 138 c.p.c.  ovvero  ex  art.  139  c.p.c.
presso la sede dell'ufficio dove la destinataria dell'atto svolge  il
proprio incarico di Presidente della Provincia Regionale  di        -
veniva autorizzata alla notificazione  del  ricorso  sanzionatorio  a
S     R      a mezzo delle forze di polizia ai  sensi  dell'art.  133
c.g.c.; 
    Vista la documentazione depositata dal Pubblico Ministero; 
    Viste  le  memorie  di  costituzione  e   i   relativi   allegati
ritualmente depositati; 
    Letta l'ordinanza a verbale all'udienza del 26 novembre 2024  con
la quale - vista l'eccezione delle convenute S     R     e  P     F  
 L    di violazione dell'art. 133, comma 5, c.g.c.,  poiche'  tra  la
data di notifica e quella dell'udienza di discussione  intercorre  un
termine inferiore ai 30, con relativa richiesta di  rinvio  -  veniva
disposto il rinvio all'udienza del 13 gennaio 2025; 
    Uditi nella camera di consiglio  del  13  gennaio  2025,  per  la
Procura regionale il V.P.G. Dott. Giovanni Di Pietro, per i convenuti
O    , S    , S     e  V     l'Avv.  Benedetto  Carratelli,  per  V  
 l'Avv. Gaetano Callipo, per B    ,  T     e  S      l'Avv.  Agostino
Conforti, per B    , F     e S     l'Avv. Giovanni Spataro,  per  B  
 e  S     l'Avv.  Oreste  Morcavallo,  per   B      l'Avv.   Giuseppe
Carratelli,  per  C     l'Avv.  Carmelo  Salerno,  per  M      l'Avv.
Crescenzio Santuori per delega, per P     l'Avv. Valerio Zicaro;  per
il convenuto D    C   , non costituito, nessuno e' comparso. 
 
                          Premesso in fatto 
 
    1. La Procura regionale agiva in giudizio  chiedendo  l'emissione
di  un   decreto   per   l'applicazione   delle   sanzioni   previste
dall'articolo 248, comma 5 e 5-bis  del  Tuel,  nei  confronti  degli
amministratori e revisori convenuti in quanto responsabili  di  avere
contribuito con le proprie condotte gravemente colpose al verificarsi
del dissesto finanziario del Comune di        e, per  l'effetto,  che
venisse stabilito per gli stessi l'impossibilita' di  ricoprire,  per
un periodo di dieci anni, incarichi di  assessore,  di  revisore  dei
conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso  altri
enti, istituzioni ed organismi pubblici e  privati,  nonche'  per  il
sindaco pro tempore che lo stesso venisse dichiarato non candidabile,
per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di  presidente
di provincia, di presidente di Giunta regionale,  nonche'  di  membro
dei consigli comunali, dei consigli provinciali,  delle  assemblee  e
dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo e che
non potesse altresi' ricoprire per un periodo di tempo di dieci  anni
la carica di assessore comunale, provinciale o regionale  ne'  alcuna
carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. 
    Per i revisori dei conti chiedeva di dichiararsi che  gli  stessi
non potessero essere nominati nel collegio dei  revisori  degli  enti
locali e degli enti e degli organismi ad essi  riconducibili  fino  a
dieci anni in funzione della  gravita'  accertata,  con  trasmissione
dell'esito  dell'accertamento  anche  all'ordine   professionale   di
appartenenza dei  revisori  per  valutazioni  inerenti  all'eventuale
avvio di procedimenti disciplinari nonche' al Ministero  dell'interno
per la conseguente sospensione dall'elenco di  cui  all'articolo  16,
comma 25, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138,  convertito  con
modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    Si richiedeva, inoltre, l'irrogazione di una sanzione  pecuniaria
commisurata alla retribuzione mensile lorda dovuta al  momento  della
commissione della violazione nella misura specificata. 
    A  sostegno  della   propria   domanda   la   Procura   regionale
rappresentava che in data 18 luglio 2019 la Sezione di Controllo  per
la regione Calabria, a seguito  degli  accertamenti  contenuti  nella
deliberazione  n.  66/2019  e  delle  deduzioni   dell'ente   locale,
trasmetteva la deliberazione n. 106/2019 con la  quale  accertava  il
grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi fissati dal  Piano
di  Riequilibrio  Finanziario  Pluriennale  (PRFP),   approvato   dal
Consiglio Comunale di     con la deliberazione n.     del           e
successivamente riformulato con la deliberazione dell'        n.     
 (in  ragione  delle  modifiche  attuate  con  il  decreto-legge   n.
35/2013);  la  deliberazione  n.  106/2019  veniva  confermata  dalle
Sezioni Riunite della  Corte  dei  conti  in  speciale  composizione,
accertando l'obbligo del comune di Cosenza di dichiarare il dissesto,
poi avvenuto con la deliberazione n.51 dell'                . 
    Il ricorso indicava che il PRFP approvato dal Comune  sulla  base
dei dati contabili dell'ultimo rendiconto approvato  (rendiconto     
)  aveva  quantificato   una   massa   passiva   da   ripianare   nel
decennio       , di  valore  complessivo  pari  a         euro  e  il
ripiano della situazione debitoria era  stato  previsto  individuando
quali specifiche  risorse  la  riduzione  della  spesa  corrente  (53
milioni di euro), il riordino delle aliquote dell'IMU (29 milioni  di
euro), le modifiche  dell'attivita'  di  misurazione  necessarie  per
determinare le tariffe  del  servizio  idrico  integrato  (SII)  (8,6
milioni di euro), l'introduzione delle tariffe TARES (17,2 milioni di
euro) ed il recupero dell'evasione fiscale (15,9 milioni di euro). 
    Il  PRFP  aveva  individuato  tra  le  passivita'  anche  partite
debitorie di futura emersione, e quindi indeterminate, e il piano non
prevedeva la ripartizione del recupero su base annuale. 
    Inoltre, la Sezione di controllo richiamava l'aggiornamento delle
grandezze contabili  con  i  principi  dell'armonizzazione  contabile
entrati in vigore dopo  l'approvazione  del  decreto  legislativo  n.
118/2011 e indicava che la situazione dell'ente dovesse tenere  conto
del riaccertamento straordinario  dei  residui  al  1°  gennaio  2015
(decreto  legislativo  n.  118/2011)  e  dell'obbligo   del   ripiano
trentennale di una quota di disavanzo pari a 3,3 milioni di euro  per
ciascun anno e degli accantonamenti  e  vincoli  per  assicurare  gli
equilibri di bilancio. 
    Le delibere della Sezione di controllo n. 66 e n.  106  del  2019
accertavano i seguenti elementi. 
    A) Le entrate. 
    Il piano di risanamento  proposto  prevedeva  una  piu'  efficace
attivita' di accertamento e riscossione delle entrate  per  sostenere
le passivita' individuate con l'approvazione del piano. 
    In particolare, il PRFP aveva  ritenuto  di  introitare  maggiori
risorse dal  riordino  delle  aliquote  IMU,  da  una  piu'  efficace
misurazione dei consumi relativi al servizio idrico integrato, da una
piu' incisiva azione della  riscossione  della  tariffa  relativa  al
servizio rifiuti e dallo svolgimento  di  una  piu'  rigorosa  azione
volta al recupero dell'evasione fiscale. 
    La Sezione di controllo della Corte dei conti, per le  annualita'
2015/2018, indicava l'impossibilita'  di  raggiungere  gli  obiettivi
programmati e come l'ente  locale,  nell'incapacita'  di  gestire  la
riscossione delle entrate, avesse ampliato le passivita' e gli oneri. 
    Venivano quindi indicate  per  le  singole  annualita'  le  varie
differenze tra quanto programmato e quanto effettivamente riscosso. 
    B) Le Spese. 
    Le verifiche eseguite hanno indicato  che  la  contrazione  delle
spese correnti programmata non e' stata concretamente attuata  (-  53
milioni di euro) e che non sono stati  realizzati  gli  obiettivi  di
smaltimento della spesa corrente. 
    Inoltre, la riduzione dei residui passivi  sarebbe  un  apparente
miglioramento poiche'  il  decreto  legge  n.  35/2013  e  successive
disposizioni hanno reso disponibili anticipazioni di  liquidita'  che
hanno alleggerito il carico dell'esposizione debitoria e  ridotto  il
complessivo ammontare dei residui  passivi  conservati  in  bilancio;
tuttavia le anticipazioni vincolano gli enti  beneficiari  dell'onere
della restituzione delle somme con la maggiorazione degli interessi a
vantaggio dell'istituto erogatore (Cassa Depositi e Prestiti). 
    Venivano quindi indicate per le singole annualita' le  differenze
tra gli impegni  di  spesa  programmati  e  come  poi  effettivamente
incrementati. 
    C) Debiti fuori bilancio. 
    Il PRFP ha previsto l'emersione nel decennio      di  debiti  per
circa    milioni di euro e ha dato rilievo  alla  sussistenza  di  un
debito verso il Commissario per  l'emergenza  ambientale  di  importo
pari a circa   milioni di euro. 
    I dati esaminati dalla Sezione di controllo  hanno  indicato  che
nell'anno      sono stati riconosciuti debiti per   milioni di  euro,
che ulteriori debiti per   milioni sono stati attestati in attesa  di
riconoscimento  per  spese  per  investimenti  privi   di   copertura
finanziaria e nell'anno     debiti per   milioni di euro. 
    Inoltre, vengono rendicontate  spese  per    milioni  per  debiti
assunti  senza  impegno  e  privi  di  copertura  finanziaria  e  non
risultano considerati i debiti verso      . 
    Nell'anno    risultano riconosciuti debiti per    mila euro,  non
viene rendicontata l'effettiva consistenza  dei  debiti  pur  essendo
richiesta  per  la  verifica  dell'attuazione  del  piano  e  non  e'
effettivamente chiarita la situazione debitoria verso       . 
    Nell'anno 2018 non risultano riconosciuti debiti fuori  bilancio,
ma soprattutto non sono stati forniti i chiarimenti e  le  necessarie
esplicitazioni richieste sulla  situazione  debitoria  effettivamente
sussistente in capo al comune di       . 
    La mancata azione di trasparenza ha ricompreso anche  i  rapporti
debito/credito con le societa' partecipate, in  modo  particolare  la
situazione di      in crisi  economico  finanziaria  e  avente  quale
socio unico il suddetto comune,  con  aggravamento  della  situazione
economico finanziaria dell'ente. 
    Inoltre, i  controlli  hanno  accertato  al     per  il  servizio
rifiuti debiti pagati di importo pari  a     milioni  di  euro  e  da
pagare di importo corrispondente  a     milioni  e  ulteriori  debiti
accertati verso la  regione  Calabria  riferiti  al  servizio  idrico
integrato per circa    milioni di euro. 
    Emerge dunque il mancato rispetto delle previsioni  del  piano  e
l'assoluta inattendibilita' della stima delle passivita'. 
    D) Ulteriori criticita'. 
    Al mancato risanamento si aggiunge il progressivo  deterioramento
della situazione economico finanziaria. 
    Il comune di      ha  attestato  al      una  giacenza  di  cassa
di      milioni di euro e la disponibilita' di una cassa vincolata di
valore pari a     milioni di euro che, negli esercizi successivi,  si
riducono in  modo  significativo,  in  quanto,  alla  data  del    la
giacenza di cassa e' risultata pari  a         euro  e  quella  della
cassa vincolata pari a    euro, al     i suddetti valori subiscono un
ridimensionamento ulteriore risultando entrambe le giacenze di valore
pari a    euro e, infine,  nell'esercizio      le  suddette  giacenze
hanno un valore ancora inferiore e pari a    euro. Alla data  del    
dato della giacenza di cassa risulta pari a        euro  e  le  somme
disponibili sono risultate sottoposte a  pignoramenti  da  parte  dei
terzi creditori. 
    Inoltre,  si  assiste  al  continuo   ricorso   a   significative
anticipazioni di  tesoreria  (                      )   omettendo  la
restituzione delle somme entro il termine dell'esercizio finanziario;
nel      non  risultano   restituiti          milioni   di   euro   e
nel           milioni di euro. 
    Con  riferimento  poi  all'utilizzo  delle   risorse   vincolate,
nell'esercizio  finanziario       il  comune  di      risulta   avere
utilizzato risorse vincolate non restituite al     pari  a    milioni
di euro, nel       le quote vincolate utilizzate e non  restituite  a
fine esercizio vengono rendicontate pari a     milioni di euro, nel  
delle risorse vincolate impiegate  e  non  restituite  e'  pari  a   
milioni di euro e, anche al    , viene attestato l'impiego di risorse
vincolate e non restituite pari a     milioni di euro. 
    Tali  dati   indicherebbero   l'inequivocabile   incapacita'   di
assicurare  l'equilibrio  della  parte  corrente  del  bilancio  (non
essendo riuscito nell'obiettivo  di  utilizzare  la  leva  fiscale  e
quella della contrazione  delle  spese  correnti  per  finanziare  le
passivita'  preesistenti,  aggravando  ulteriormente  gli  oneri  per
garantire l'ordinaria gestione). 
    Inoltre, la Sezione di  controllo  ha  rilevato  che  la  mancata
corretta attuazione dei  principi  sull'armonizzazione  contabile  ha
evidenziato un risultato di amministrazione piu' favorevole di quello
effettivamente conseguito. 
    In  particolare,   nell'esercizio        in   quelli   successivi
l'anticipazione  di  liquidita'  concessa  all'ente  non   e'   stata
correttamente sterilizzata  e  iscritta  in  bilancio  tra  le  poste
accantonate dal momento  che  risulta  formalmente  iscritta  per  il
minore importo di     milioni di euro  piuttosto  che  per  l'importo
corretto di euro      milioni di euro  garantendo  un  vantaggio  non
dovuto per l'ente di      milioni di euro. 
    Parimenti si e' evidenziato il ricorso al fondo anticipazioni  di
liquidita' sterilizzato in bilancio per sostenere le risorse  per  la
configurazione del fondo crediti di dubbia esigibilita'. 
    Quindi  la  Sezione  controllo  ha   ritenuto   sottostimata   la
determinazione  del  fondo  crediti   di   dubbia   esigibilita'   in
considerazione dei dati sull'effettiva riscossione  delle  entrate  e
della scelta di non considerare i proventi  dei  fitti  attivi  e  le
entrate connesse all'utilizzo del servizio idrico  integrato  per  le
quali, secondo  i  principi  dell'armonizzazione  contabile,  sarebbe
risultato necessario prenderle in considerazione. 
    Allo stesso modo gli amministratori del comune di       avrebbero
sottostimato il risultato di amministrazione non accantonando somme a
titolo di indennita' di fine mandato per il sindaco,  non  prevedendo
importi vincolati per gli investimenti e accantonamenti a  titolo  di
fondo contenzioso e di fondo perdite  societa'  partecipate;  mancati
accantonamenti non giustificati in ragione dell'evidenziata rilevanza
del contenzioso (indicando la mancanza di un'apposita relazione  come
richiesta dalle  norme  contabili),  cosi'  non  giustificata  e'  la
mancata evidenza del fondo perdite per le societa' partecipate  sulla
base della situazione di gravissima crisi economico finanziaria della
societa' partecipata Amaco per la quale l'ente risulta essere l'unico
socio di riferimento. 
    In punto di diritto la Procura rappresentava che la dichiarazione
dello stato di dissesto, con la quale si formalizza la situazione  di
incapacita' dell'ente di assolvere alle proprie funzioni e ai servizi
indispensabili e di fare fronte ai crediti liquidi ed  esigibili  dei
terzi creditori con le modalita' previste dagli articoli  193  e  194
del Tuel, esteriorizza una situazione  di  irreversibile  precarieta'
finanziaria che, fisiologicamente, non si materializza  uno  actu  ma
che definisce una condizione che trova nelle gestioni  protratte  per
anni le cause o le concause dell'evento accertato. 
    Il comune di        ha  attivato  la  procedura  di  riequilibrio
finanziario pluriennale (art. 243-bis) attestando di non essere nelle
condizioni  di   potere   riequilibrare   la   situazione   economico
finanziaria  dell'ente  con  gli  strumenti  ordinari  previsti   dal
legislatore (art. 193 Tuel) e impegnandosi ad  attuare  un  piano  di
risanamento  delle  passivita'  sussistenti  in  un  arco   temporale
predefinito (dieci anni), rispettando gli obiettivi prefissati e  gli
amministratori  erano  tenuti,  dopo  l'approvazione  del  piano,   a
rispettare gli obiettivi programmati e a non aggravare la  situazione
economico finanziaria. 
    Per contro, la Sezione di controllo, nelle  delibere  richiamate,
ha accertato  che  i  principali  obiettivi  prefissati  erano  stati
completamente disattesi e che il volume delle passivita' e' risultato
notevolmente  ampliato  per  effetto  di   rilevanti   sopravvenienze
passive, nei termini fattuali sopra richiamati. 
    Quanto alla responsabilita' da dissesto la Procura  indicava  che
il  legislatore  ha  configurato   una   fattispecie   tipizzata   di
responsabilita', con autonoma disciplina  rispetto  alla  sussistenza
della fattispecie di  carattere  risarcitorio,  che  e'  da  ritenere
autonomamente  configurabile   ed   eventualmente   con   la   stessa
coesistente;  inoltre   la   fattispecie   tipizzata   ha   carattere
sanzionatorio  e,  in  quanto  tale,  non  richiede   il   preventivo
accertamento  della  causazione  del  danno  dal   momento   che   il
legislatore  ha  previsto  la  riconducibilita'   delle   conseguenze
sanzionatorie    solo    in    considerazione    dell'esistenza     e
dell'accertamento delle condotte ritenute rilevanti ex lege per  fare
scaturire  il  suddetto  effetto,  risultando  sufficiente   (Sezioni
Riunite sentenza n. 12/2007) l'accertamento  della  violazione  dello
specifico  precetto   previsto   dalla   legge   e   la   sussistenza
dell'elemento psicologico nella forma del dolo o della  colpa  grave,
posto che l'evento  lesione  e'  costituito  dalla  dichiarazione  di
dissesto al quale gli convenuti possono avere contribuito  sul  piano
causale, con condotte di tipo commissivo o omissivo. 
    L'accertato inadempimento degli obblighi e dei  vincoli  connessi
all'approvazione del piano di riequilibrio, come anche  le  ulteriori
violazioni delle norme contabili, determinano la  responsabilita'  di
quegli amministratori che, quali componenti della giunta risultati in
carica per  almeno dodici   mesi  nel  periodo  oggetto  di  verifica
(       ), hanno adottato gli atti richiamati e che, in virtu'  delle
funzioni e dei compiti agli stessi  assegnati,  sono  da  considerare
responsabili sulla base di quanto previsto dall'articolo 248, comma 5
del  TUEL  per  avere  contribuito  alla  causazione   del   dissesto
dell'ente, tenuto conto degli specifici  poteri  di  indirizzo  e  di
controllo sull'andamento  dell'azione  amministrativa.  Inoltre,  gli
atti di predisposizione dei bilanci e dei rendiconti e la  successiva
approvazione sono riservati alla competenza degli organi di indirizzo
politico quali atti propri anche se si avvalgono della collaborazione
degli uffici amministrativi (Corte dei conti, Terza  Sezione  Appello
n. 1071/2018). 
    Quanto  all'elemento   psicologico,   in   considerazione   della
precedente approvazione del piano di riequilibrio, vi  sarebbe  stata
la mancanza di una  rigorosa  verifica  e  di  un  attento  controllo
sull'andamento del programma di risanamento al fine  di  predisporre,
ove necessario, i piu' idonei interventi per assicurare  il  rispetto
degli  impegni  assunti  e  salvaguardare  la  situazione   economico
finanziaria dell'ente. 
    La responsabilita' degli amministratori nella  vicenda  in  esame
concorre con quella dei revisori dei conti, ovvero di coloro  che  in
carica dal        ,  hanno  sempre  espresso  pareri  favorevoli  sui
documenti  contabili  sottoposti  al  loro  controllo  omettendo   di
svolgere un  accertamento  motivato  sulla  congruita',  coerenza  ed
attendibilita' dei dati contabili contenuti nei  predetti  documenti,
pur in presenza delle evidenti e gravi  criticita'  manifestatesi  in
relazione all'effettivo perseguimento degli  obiettivi  del  piano  e
alle considerevoli violazioni delle  norme  contabili,  tenuto  conto
anche della loro posizione qualificata. 
    In particolare,  le  relazioni  sull'andamento  del  piano  hanno
sottovalutato,  con  formule  spesso  reiterate  e  stereotipate,  le
criticita'  sussistenti  finendo  per  esprimere  un   ingiustificato
giudizio  positivo  sull'attuazione   del   piano   di   riequilibrio
dell'ente. 
    I controlli e le verifiche eseguite  dal  collegio  dei  revisori
nell'anno 2015 e nel primo semestre      (revisori  F     ,  B      e
S       ) sarebbero del tutto carenti avendo sottovalutato  rilevanti
profili di criticita' gia'  ben  evidenti  rispetto  alle  previsioni
contenute nel piano di riequilibrio approvato per  il  ripiano  delle
passivita' preesistenti. 
    Le successive relazioni sull'andamento del piano di riequilibrio,
ovvero quelle riferite al secondo semestre     , al        e al primo
semestre       (revisori B       ,  T       e  S      )  ripropongono
anch'esse in modo stereotipato considerazioni di  carattere  generico
non dando il necessario rilievo alle  gravi  e  reiterate  criticita'
emerse. 
    Le ripetute  criticita'  riferite  a  tutte  le  principali  voci
inserite nel piano non hanno mai indotto il collegio dei  revisori  a
segnalare,  come   risultava   evidente,   il   grave   e   reiterato
inadempimento degli obblighi assunti al momento dell'approvazione del
PRFP. 
    Soltanto la relazione sulla valutazione del piano redatta per  il
primo semestre       ha evidenziato con maggiore vigore talune  delle
criticita' riferite alla situazione economico finanziaria  dell'ente,
come anche relative all'attuazione del piano. 
    Quanto alla responsabilita' degli amministratori  la  Procura  la
imputava a coloro che, nella  qualita'  di  componenti  della  Giunta
comunale nel periodo  oggetto  di  contestazione  (          ),  sono
rimasti in carica per un periodo minimo di almeno un  anno  e  per  i
quali la sanzione contestata  dovra'  comunque  essere  proporzionata
alla durata dell'incarico rivestito e alla specifica rilevanza  della
delega assunta. 
    Nei  confronti  dei  convenuti   la   Procura   agiva   chiedendo
l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo  248,  comma  5,
del Tuel sia rispetto alle incandidabilita' di status o di nomina per
i  revisori,  che   l'irrogazione   di   una   sanzione   pecuniaria,
quantificata  in  ragione  delle  retribuzioni  e  dei   periodi   di
espletamento delle funzioni e precisamente: 
      O      M       (retribuzione  mensile  lorda  per  gli  anni   
euro       ), sanzione pecuniaria pari a venti volte in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro     ; 
      B     M       (retribuzione  mensile  lorda  per  gli  anni    
euro       ), sanzione pecuniaria pari a cinque volte in ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro      ; 
      B     D      (retribuzione  mensile  lorda  per  gli  anni     
euro      ), sanzione pecuniaria pari a cinque volte in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro       ; 
      D      C      F       (retribuzione  mensile  lorda   per   gli
anni       euro     ), sanzione pecuniaria pari a quindici  volte  in
ragione del periodo di durata e della carica ricoperta euro      ; 
      M     C       (retribuzione  mensile  lorda  per  gli  anni    
euro     ), sanzione pecuniaria pari a cinque volte  in  ragione  del
periodo  sessantaquattro di durata e della carica ricoperta  euro    
; 
      S    R    (retribuzione mensile lorda per gli anni     euro    
), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in ragione  del  periodo
di durata e della carica ricoperta euro      ; 
      V   L    (retribuzione mensile lorda per gli  anni      euro   
), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del  periodo  di
durata e della carica ricoperta euro      ; 
      P     F    L     (retribuzione mensile lorda  per  gli  anni   
euro    ), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro     ; 
      C     F      (retribuzione  mensile  lorda  per  gli  anni     
euro     ), sanzione pecuniaria pari a dieci  volte  in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro      ; 
      S     M     (retribuzione  mensile  lorda  per   gli   anni    
euro      ), sanzione pecuniaria pari a dieci volte  in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro     ; 
      S    M     (retribuzione mensile lorda per gli anni    euro    
), sanzione pecuniaria pari a otto volte in ragione  del  periodo  di
durata e della carica ricoperta euro     ; 
      V    C    (retribuzione mensile lorda per gli anni     euro    
), sanzione pecuniaria pari a quindici volte in ragione  del  periodo
di durata e della carica ricoperta euro     ; 
      F    e  G     (retribuzione  mensile  lorda  per  gli  anni    
euro    ), sanzione pecuniaria pari a  venti  volte  in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro     ; 
      B    S    (retribuzione mensile lorda per gli anni      euro   
), sanzione pecuniaria pari a venti volte in ragione del  periodo  di
durata e della carica ricoperta euro     ; 
      S      T      (retribuzione  mensile  lorda  per  gli  anni    
euro    ), sanzione pecuniaria pari a  venti  volte  in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro     ; 
      B    N    F    (retribuzione mensile  lorda  per  gli  anni    
euro     ), sanzione pecuniaria pari a venti  volte  in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro      ; 
      S      F     (retribuzione  mensile  lorda  per  gli   anni    
euro     ), sanzione pecuniaria pari a venti  volte  in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro     ; 
      T     S         (retribuzione mensile lorda  per  gli  anni    
euro     ), sanzione pecuniaria pari a venti  volte  in  ragione  del
periodo di durata e della carica ricoperta euro     . 
    2. I convenuti si costituivano in giudizio con la sola  eccezione
di D    C     F    , la cui notifica  avveniva  a  mani  in  data  11
ottobre 2024. 
    2.1 Con memoria dell'11 novembre 2024 si costituivano in giudizio
i convenuti B   , S   , T   , i quali eccepivano l'infondatezza della
domanda, anche per mancata dimostrazione del nesso di causalita'  tra
le condotte contestate e il  dissesto  dell'ente,  indicando  che  il
Collegio dei  revisori  aveva  sempre  sollecitato,  direttamente  ed
attraverso  i  provvedimenti  (pareri)  di  competenza,   le   azioni
necessarie per rimediare alle criticita' presenti nell'attuazione del
piano e che  la  vera  causa  del  dissesto  finanziario  del  Comune
di       affonda le proprie radici nel precedente periodo alla citata
sentenza delle SS.RR. n. 2/2015/EL che ha approvato il  piano,  posto
che questo non teneva conto di una situazione debitoria  emersa  solo
successivamente,  grazie  anche  all'intervento  del   Collegio   dei
revisori del periodo     e della Sezione Controllo. 
    Veniva   altresi'   eccepita   l'infondatezza    delle    singole
contestazioni mosse ai revisori del periodo     , nonche'  quanto  al
profilo soggettivo l'insussistenza della «colpa grave», e conseguente
assenza   di   qualsiasi   contributo   causale   nella    successiva
dichiarazione di dissesto del Comune. 
    2.2 Con memoria dell'8 novembre 2024 si costituiva  il  convenuto
B    , il quale formulava eccezione  d'incostituzionalita'  dell'art.
248 commi 5 e 5-bis del TUEL per contrasto con gli artt. 111, 3, 25 e
51 Costituzione. 
    In particolare, vi sarebbe violazione del principio di  terzieta'
perche' l'iniziativa giudiziale di cui ai commi 5 e 5-bis,  assegnata
alla giurisdizione della Corte dei conti, consegue necessariamente al
risultato  ed  alle  conclusioni  degli  accertamenti  delle  Sezioni
territoriali di controllo della Corte dei conti. 
    Vi sarebbe violazione degli artt. 3 e 27 per la previsione di  un
tempo   predefinito   ed   invariabile   di    incandidabilita'    ed
ineleggibilita', incompatibile con i principi di  proporzionalita'  e
necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio. 
    Inoltre, vi sarebbe disparita' tra Sindaco responsabile (che  non
puo' ricoprire le cariche di  Sindaco,  Presidente  della  Provincia,
Assessore, Deputato, Senatore e parlamentare  europeo)  ed  assessore
responsabile (che non puo' ricoprire la carica di assessore, ma  puo'
essere eletto Sindaco, parlamentare e deputato europeo). 
    Nel merito eccepiva l'infondatezza del ricorso e la mancata prova
della colpa grave e, in via subordinata, l'assenza di apporto causale
e la prescrizione dell'azione. 
    2.3 Con memoria del 15 ottobre 2024 si costituiva in giudizio  il
convenuto B      ,  il  quale  formulava  eccezione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  133  c.g.c.  considerata  la  complessita'
dell'indagine e la ristrettezza dei termini del giudizio, poiche'  il
ristretto  termine  per   la   costituzione   (trenta   giorni)   non
consentirebbe neanche l'accesso agli atti (di cui all'art.  22  della
legge n. 241/1990), da cui la violazione degli  artt.  3,  24  e  111
della Costituzione. 
    Nel merito eccepiva l'infondatezza della  richiesta,  nonche'  la
carenza dell'elemento soggettivo. 
    2.4 Con memoria dell'11 novembre 2024 si costituiva il  convenuto
C       ,  il  quale  eccepiva  in  via  preliminare  il  difetto  di
giurisdizione in relazione alla parte della domanda con la  quale  la
Procura erariale ha chiesto l'irrogazione della sanzione di status. 
    Sempre in via preliminare, in  rito,  eccepiva  la  nullita'  per
indeterminatezza delle  contestazioni  mosse,  senza  specificare  le
condotte e senza tener conto delle deleghe. 
    In  via   preliminare,   nel   merito,   eccepiva   l'intervenuta
prescrizione  sia   sulla   sanzione   pecuniaria   che   su   quella
interdittiva. 
    Nel  merito  eccepiva   la   carenza   probatoria   e   l'assenza
dell'elemento soggettivo. 
    Infine,  il  convenuto  formulava   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 248, quinto comma, del TUEL, nella parte  in
cui  prevede  l'irrogazione  delle  sanzioni  di   stato   per   aver
contribuito al verificarsi  del  dissesto  finanziario  senza  alcuna
proporzionalita' della sanzione rispetto alla gravita' della condotta
e/o e all'elemento psicologico del dolo  o  della  colpa  grave,  per
violazione degli artt. 3 e 27, secondo comma,  della  Costituzione  e
dell'art. 49, comma 3, CDFUE, con richiesta di  rinvio  pregiudiziale
alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. 
    2.5 Con memoria dell'8 novembre 2024 si costituivano in  giudizio
i revisori dei conti  F     ,  S      e  B    ,  i  quali  eccepivano
l'inammissibilita' e/o improcedibilita' poiche' il rito sanzionatorio
resterebbe   circoscritto   alle   sole   sanzioni   e   non    anche
all'interdizione  dalle  cariche  nelle  amministrazioni  locali  che
richiederebbe un accertamento con rito ordinario e vi  sarebbe  anche
una violazione del principio del ne bis in idem. 
    Eccepivano poi la prescrizione, la carenza dei  presupposti  (sia
dell'elemento  soggettivo  che  del  nesso   causale),   argomentando
ampiamente  nel  merito  delle   contestazioni,   nonche'   l'erronea
quantificazione delle misure sanzionatorie ed interdittive. 
    2.6 Con comparsa del 7 novembre 2024 si costituiva  il  convenuto
M     ,  il  quale  eccepiva  l'inammissibilita'  della  domanda  per
violazione art. 248, comma 5, del Tuel, il cui  regime  sanzionatorio
riguarda il «dissesto» e non  la  mancata  attuazione  del  Piano  di
riequilibrio. Inoltre, eccepiva che il convenuto era stato  assessore
solo per  un  anno  e  non  per  due  esercizi  come  indicato  dalla
giurisprudenza. 
    Nel merito eccepiva la carenza  del  collegamento  causale  e  la
relativa  assenza  di  prova;  veniva  peraltro   rappresentato   che
l'esercizio      non aveva inciso sull'inesatta attuazione del PRFP. 
    Vaniva poi indicata la carenza di «colpa grave»  e  la  rilevanza
del principio di buona fede. 
    Infine, lamentava  la  violazione  art.  134,  comma  2,  decreto
legislativo n. 174/2016 per la  mancata  graduazione  delle  sanzioni
irrogate. 
    2.7 Con memoria dell'8 novembre 2024 si costituiva in giudizio il
convenuto  O       ,   il   quale   eccepiva   in   via   preliminare
l'inammissibilita' del ricorso, poiche' il rito dell'art. 133  c.g.c.
e' sommario e l'accertamento della responsabilita' deve  avvenire  in
sede ordinaria. 
    Sempre in via preliminare,  nel  merito,  eccepiva  l'intervenuta
prescrizione e nel merito l'infondatezza della  pretesa  argomentando
sulle contestazioni mosse; eccepiva inoltre  l'assenza  dell'elemento
soggettivo. 
    2.8 Con memoria del 23 novembre 2024 si costituiva in giudizio la
convenuta P    , che eccepiva in via  preliminare  l'inammissibilita'
del ricorso per mancato rispetto dei termini a  difesa  chiedendo  il
rinvio dell'udienza. 
    Veniva  altresi'  eccepita  l'inammissibilita'  del  ricorso  per
violazione  dell'art.  133  c.g.c.,  in   relazione   alle   sanzioni
interdittive, alla luce della pronuncia  delle  Sezioni  Unite  della
Cassazione n. 13205/2024 e delle Sezioni Riunite n.  4/2022,  nonche'
inammissibilita' per genericita' poiche' le posizioni  dei  convenuti
sarebbero state accomunate da una responsabilita' collettiva. 
    Eccepiva  poi  l'inammissibilita'  del  ricorso  per   violazione
dell'art. 248, comma 5, TUEL per difetto dei  presupposti  e  in  via
subordinata per illogicita' nella  determinazione  e  quantificazione
della   sanzione   pecuniaria;   eccepiva    inoltre    l'intervenuta
prescrizione. 
    2.9 Con memoria dell'8 novembre 2024 la convenuta S      eccepiva
in via preliminare l'inammissibilita' del ricorso,  poiche'  il  rito
dell'art.   133   c.g.c.   e'   sommario   e   l'accertamento   della
responsabilita' deve avvenire in sede ordinaria. 
    Sempre in via preliminare,  nel  merito,  eccepiva  l'intervenuta
prescrizione e nel merito l'infondatezza della  pretesa  argomentando
nel merito delle  contestazioni  mosse;  eccepiva  inoltre  l'assenza
dell'elemento soggettivo. 
    2.10  Con  memoria  dell'8  novembre  2024   il   convenuto   S  
 articolava difese sovrapponibili a  quelle  di  S     ,  richiamando
anche la brevita' del periodo in contestazione. 
    2.11 Con memoria del 13 novembre 2024 la convenuta S     eccepiva
in via preliminare la violazione del termine a difesa,  chiedendo  il
rinvio dell'udienza. 
    Eccepiva poi l'inammissibilita' del ricorso  perche'  l'art.  133
c.g.c.  riserva  alla  Corte  dei  conti  l'applicazione  della  sola
sanzione pecuniaria e non anche quella politica. 
    La  convenuta  formulava  poi   eccezione   d'incostituzionalita'
dell'art. 248 commi 5 e 5-bis del TUEL per contrasto  con  gli  artt.
111, 3, 25 e 51 Costituzione, e nel  merito  eccepiva  l'infondatezza
del  ricorso  e  la  mancata  prova  della  colpa  grave  e,  in  via
subordinata,  l'assenza  di  apporto  causale   e   la   prescrizione
dell'azione, con difese sovrapponibili a quelle del convenuto B    . 
    2.12 Con memoria del 25 novembre 2024 il convenuto V     eccepiva
in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione rispetto alle misure
interdittive. 
    Eccepiva poi l'incostituzionalita' dell'art. 248, comma 5, c.g.c.
rispetto agli artt. 3 e 51 Costituzione per violazione  dei  principi
costituzionali  di   gradualita'   sanzionatoria,   proporzionalita',
ragionevolezza e parita' di trattamento. 
    Nel merito il convenuto eccepiva l'infondatezza  dell'azione  per
difetto di prova e  carenze  istruttorie,  carenza  dei  presupposti,
difetto del nesso di causalita' e dell'elemento psicologico,  nonche'
omessa valutazione di fatti ed atti rilevanti ai fini del giudizio. 
    In via subordinata chiedeva di  ridurre  entita'  della  sanzione
pecuniaria al minimo edittale. 
    2.13  Con  memoria  dell'8  novembre  2024  il   convenuto   V   
 articolava difese sovrapponibili a quelle di S   . 
    3.  Nella  camera  di  consiglio  del  26  novembre  2024,  vista
l'eccezione preliminare di S    R   e P   F    L    di violazione del
termine di trenta giorni previsto dall'art. 133, comma 5, c.g.c. e la
richiesta di rinvio a cui la Procura non si opponeva, con ordinanza a
verbale veniva disposto il rinvio all'udienza di discussione  del  12
gennaio 2025. 
    4. Con note del 17 dicembre 2024 il convenuto M     richiamava la
propria  memoria  di  costituzione  rilevando  l'inammissibilita'  ed
improcedibilita' del ricorso, l'intervenuta prescrizione dell'azione,
l'infondatezza della pretesa sanzionatoria per carenza del  requisito
di carica dell'assessore M   per almeno due esercizi  finanziari,  la
carenza  del  nesso   causale,   la   circostanza   che   l'esercizio
finanziario        non ha influito sulla asserita non attuazione  del
PRFP, la violazione dell'art. 248, comma 5,  decreto  legislativo  n.
267/2000, la carenza di «colpa grave», la rilevanza del principio  di
buona fede e la mancata graduazione delle sanzioni irrogate. 
    5. All'udienza camerale del 13 gennaio 2025 le parti concludevano
come da verbale d'udienza. 
    La causa veniva trattenuta in decisione. 
 
                     Considerato in diritto che 
 
    6.  In  via  pregiudiziale  viene  in  rilievo   l'eccezione   di
incostituzionalita' dell'art. 248, comma  5,  TUEL,  per  difetto  di
motivazione e violazione dell'art.  3  Cost.,  nella  parte  in  cui,
avendo  previsto  per  gli  amministratori  comunali   una   sanzione
interdittiva in misura fissa decennale, impedisce di  considerare  il
diverso grado  di  responsabilita' -  colpa  grave  o  dolo  -  e  di
commisurare  la  sanzione  rispetto  alla  gravita'  del  fatto,  con
violazione dei principi costituzionali di gradualita'  sanzionatoria,
proporzionalita', ragionevolezza, e parita' di  trattamento  previsti
dall'art.  3  della   Costituzione;   eccezione   prospettata   anche
confrontando la  disparita'  di  trattamento  con  i  componenti  del
collegio dei revisori, nei cui confronti la misura interdittiva  puo'
essere graduata entro la durata massima di dieci anni, come  previsto
dal comma 5-bis dello stesso art.  248  TUEL,  aggiunto  dall'art.  3
decreto-legge n. 174 del 2012,  convertivo  dalla  legge  7  dicembre
2012, n. 213. 
    La questione di legittimita' costituzionale sollevata deve essere
esaminata, in via pregiudiziale rispetto  ad  ogni  altra  eccezione,
alla luce della sua rilevanza e non manifesta infondatezza. 
    Tali profili devono avere come punto di  partenza  la  disciplina
dell'art. 248, comma  5,  TUEL  e  la  sua  portata  nell'ordinamento
interno come tracciato dalla giurisprudenza. 
    In particolare, la norma nella  sua  formulazione  antecedente  a
quella attuale prevedeva che «gli amministratori  che  la  Corte  dei
conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo  grado,  di  danni
cagionati con dolo o colpa  grave,  nei  cinque  anni  precedenti  il
verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire,  per  un
periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei  conti
di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri  enti,
istituzioni ed organismi pubblici e privati, ove la  Corte,  valutate
le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto,  accerti
che questo e' diretta conseguenza delle azioni od  omissioni  per  le
quali l'amministratore e' stato riconosciuto responsabile», oltre  ad
ulteriori specifiche incandidabilita' per i sindaci.  Il  legislatore
e' intervenuto con l'art. 3, comma 1, lett. s) del  decreto-legge  n.
174 del 2012, convertito  con  modifiche  dalla  legge  n.  213/2012,
novellando il comma 5.  In  particolare,  la  nuova  formulazione  ha
previsto  che  «gli  amministratori  che  la  Corte  dei   conti   ha
riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver  contribuito
con  condotte,  dolose  o  gravemente  colpose,  sia   omissive   che
commissive, al verificarsi  del  dissesto  finanziario,  non  possono
ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di  assessore,  di
revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti  locali
presso altri enti, istituzioni  ed  organismi  pubblici  e  privati»,
mantenendo le ulteriori incandidabilita' per i Sindaci e specificando
che «Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le  sezioni
giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione
pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di  venti
volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di  commissione
della violazione». 
    La novella, dunque, oltre ad  introdurre  la  previsione  di  una
sanzione pecuniaria, ha eliminato il limite  di  indagine  ai  cinque
anni precedenti al dissesto e  ha  previsto  che  la  responsabilita'
possa  essere  riferita  anche  a   quelle   condotte   che   abbiano
semplicemente «contribuito» al verificarsi  del  dissesto,  in  luogo
della   precedente   impostazione   del   dissesto   quale   «diretta
conseguenza» delle condotte; quindi, vengono in rilievo quelle azioni
ed omissioni  che  abbiano  anche  solo  facilitato  o  aggravato  il
dissesto e, dunque, che si  siano  poste  in  termini  di  contributo
concausale  e  non  di  necessaria  sufficienza  alla   realizzazione
dell'evento dissesto. 
    Sotto la vigenza della  nuova  disciplina  si  e'  registrato  un
contrasto tra  alcune  pronunce  in  cui  il  giudice  contabile,  in
applicazione dell'art. 248, comma 5, TUEL, ha espressamente  irrogato
la sanzione relativa  all'incandidabilita'  degli  amministratori,  a
fronte di altre nelle quali si  e'  limitato  all'accertamento  della
responsabilita' rimettendo  l'irrogazione  della  sanzione  ad  altra
autorita'  amministrativa  («Dal  medesimo  ed   unico   accertamento
discendono, infatti, due effetti: quello di  condanna  alla  sanzione
pecuniaria, cosi' come previsto dall'art. 248, comma  5  e  5-bis,  e
quello dichiarativo, automatico  e  conseguenziale,  in  ordine  alla
sussistenza  dei  presupposti  per  l'applicazione   delle   sanzioni
interdittive o di status previste dai medesimi  commi,  che  verranno
poi irrogate dall'autorita'  amministrativa  competente»,  Corte  dei
conti, Sez. Giur. Calabria, sent. n.  122/2021).  Su  tale  contrasto
sono intervenute le Sezioni Riunite della Corte dei  conti  (sentenza
n. 4/2022/QM) che hanno indicato il principio  secondo  cui  «Con  il
rito sanzionatorio previsto dagli artt. 133 e ss. del c.g.c.  possono
valutarsi l'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dai comma
5 e 5-bis dell'art. 248 del  decreto  legislativo  n.  267/2000  e  i
presupposti di fatto che determinano le connesse misure interdittive,
previste dai medesimi commi quali effetto  giuridico  della  condotta
sanzionata». In  particolare,  nel  corpo  delle  argomentazioni,  la
sentenza ha ritenuto che «le sanzioni interdittive  (o  "di  status")
conseguono di diritto all'unico  accertamento  della  responsabilita'
alla  contribuzione  del  dissesto,  nell'ambito  del  medesimo  rito
sanzionatorio,   in   quanto   il   positivo    accertamento    della
responsabilita' da contribuzione al dissesto si pone come  condizione
necessaria per la  sussistenza  dei  presupposti  per  l'applicazione
delle citate sanzioni  di  status:  da  tale  accertamento  discende,
infatti, il duplice effetto della condanna alla sanzione pecuniaria e
quello dichiarativo, automatico  e  consequenziale,  in  ordine  alla
sussistenza  dei  presupposti  per  l'applicazione   delle   sanzioni
interdittive di cui innanzi; - il  giudice  contabile,  pertanto,  ha
cognizione piena su entrambi  gli  effetti  che  derivano  dall'unico
accertamento in ordine alla responsabilita'  degli  amministratori  e
dei revisori che abbiano contribuito, con dolo o colpa  grave  e  con
condotte omissive o commissive, al verificarsi del dissesto». 
    Successivamente sono intervenute anche  le  Sezioni  Unite  della
Corte di cassazione con l'ordinanza  n.  13205/2024  sul  riparto  di
giurisdizione rilevando che «la giurisdizione della Corte  dei  conti
si radica, secondo quanto previsto  dalla  citata  norma,  sull'unico
accertamento in ordine alla sussistenza  del  nesso  causale  fra  la
condotta tenuta ed il conseguente dissesto che non richiede piu'  una
causalita' diretta, bensi' il solo contributo  causale,  ma  da  esso
consegue l'irrogazione delle sole sanzioni pecuniarie, tra un  minimo
e un massimo stabilito dalla norma. Invece, le sanzioni interdittive,
stabilite per  gli  ex  amministratori  (differentemente  che  per  i
revisori contabili) in  misura  fissa,  sono  un  effetto  automatico
previsto  dalla  legge,  cosi'  da   non   rendere   necessaria   una
declaratoria  ("comando")  del  giudice.  Dal   medesimo   ed   unico
accertamento discendono dunque due effetti: quello di  condanna  alla
sanzione pecuniaria, cosi' come previsto dall'art.  248,  comma  5  e
5-bis, del TUEL,  e  quello  automatico  e  conseguenziale,  di  sola
«sussistenza  dei  presupposti  per  l'applicazione  delle   sanzioni
interdittive o di status previste dai medesimi commi»,  che  verranno
poi   applicate   dall'autorita'   amministrativa   competente.    In
definitiva,  il  legislatore,  con  l'art.  248,  comma  5,  che  qui
interessa, del TUEL, nel testo risultante dalle modifiche  del  2012,
ha inteso attribuire espressamente al giudice contabile il potere  di
valutare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione  non  solo
delle sanzioni pecuniarie ma anche delle sanzioni c.d.  interdittive,
ma queste ultime conseguono come effetto automatico dell'accertamento
della responsabilita'  per  dissesto.  Le  sanzioni  c.d.  di  status
discendono dunque non dalla volonta' del giudice, ma  dalla  volonta'
del legislatore, sulla  quale  la  volizione  giudiziale,  una  volta
espressasi sull'an  della  responsabilita',  non  puo'  incidere.  Ne
consegue che la decisione del giudice contabile, una volta  accertata
la  responsabilita'  dell'ex  amministratore  dell'Ente   locale   da
dissesto, ha e deve avere, riguardo  alle  misure  c.d.  interdittive
(quelle qui in esame),  una  chiara  portata  meramente  dichiarativa
della voluntas legis e dunque deve limitarsi  all'accertamento  della
sussistenza dei presupposti per  il  divieto  previsto  dalla  legge,
restando la relativa declaratoria-applicazione compito dell'autorita'
amministrativa competente». Cio' premesso sulla  portata  dell'azione
del giudice contabile rispetto agli effetti di legge sullo status, il
giudizio sottoposto all'esame della Sezione attiene - per la parte di
cui si  discute  -  all'accertamento  di  responsabilita'  per  «aver
contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose,  sia  omissive
che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario»  e,  dunque,
dei presupposti per poter poi  irrogare  (il  giudice  contabile)  la
sanzione pecuniaria nei termini edittali (da cinque a venti volte  la
retribuzione mensile lorda) previsti dalla norma, mentre  l'ulteriore
divieto  di  ricoprire  cariche   e,   dunque,   quella   che   viene
impropriamente indicata come sanzione  sullo  status  politico  degli
amministratori e' un effetto  ultroneo  ed  automatico  che  consegue
all'accertamento dei presupposti  (responsabilita')  da  parte  della
Corte  dei  conti,  ma  che  viene  poi  materialmente  disposto  con
provvedimento amministrativo da altra autorita' competente, la quale,
stando  al  dato  testuale  della  norma,   non   ha   pero'   alcuna
discrezionalita' in  merito  all'an  e  al  quantum  temporale  della
«sanzione» (personale) da irrogare. 
    Da questi elementi  discende,  dunque,  l'esame  sulla  rilevanza
dell'eccezione e del  relativo  profilo  d'incostituzionalita'  della
norma. 
    A  tal  fine  occorre  evidenziare  che  dalla  natura  meramente
dichiarativa del provvedimento (e  dal  relativo  accertamento  della
sussistenza dei presupposti) discende l'effetto  automatico  relativo
allo status, rispetto al quale l'autorita' amministrativa preposta e'
tenuta ad adottare  il  relativo  provvedimento  senza  alcun  potere
decisionale.  Ora,  la  circostanza  che  la  pronuncia  del  giudice
contabile incida solo in via mediata sull'irrogazione della  sanzione
relativa allo status, non elimina  di  per  se'  la  rilevanza  della
questione ai fini della decisione, considerato che l'effetto primo  e
diretto e'  proprio  l'accertamento  dei  presupposti  di  legge  per
l'applicazione delle condizioni di status,  rispetto  alle  quali  la
Corte di cassazione ha appunto chiarito  che  esse  discendono  dalla
volonta' del legislatore «sulla quale la  volizione  giudiziale,  una
volta espressasi sull'an della responsabilita', non  puo'  incidere».
Dunque, le limitazioni di status cosi' congeniate si  configurano  di
fatto come un procedimento bifasico, la prima parte sull'accertamento
dei presupposti di fatto  e  di  diritto  di  natura  giurisdizionale
rimessa  alla  Corte  dei  conti  e   quella   successiva   di   mera
determinazione sull'incandidabilita' (e divieto di ricoprire cariche)
in termini  fissi  e  non  modulabili  di  competenza  dell'autorita'
amministrativa. Seguendo tale impostazione, l'unico momento nel quale
gli    effetti    pregiudizievoli    dell'accertamento    (dell'unico
accertamento a duplice effetto sanzionatorio, pecuniario e di status)
possono  essere  censurati  di  incostituzionalita'  e'  proprio   il
giudizio dinanzi alla Corte dei conti che non puo' non tener conto  -
ai fini dell'eccezione - degli effetti  di  legge  consequenziali  al
proprio   decisum,   ancorche'   poi   irrogati    da    un'autorita'
amministrativa. 
    Ne'  potrebbe  il  giudice  contabile  scindere  i  due   momenti
disconoscendo - ai fini della rilevanza - gli effetti  che  la  legge
collega espressamente  al  proprio  accertamento,  nel  rispetto  del
rapporto necessario tra protasi ed apodosi. 
    Peraltro,  per  come  la  norma  e'   strutturata,   emerge   che
l'accertamento della Corte  dei  conti  sul  contributo  al  dissesto
finanziario ha come primo effetto voluto dal legislatore e  vincolato
alla pronuncia (seppur poi irrogato da  altro  soggetto)  proprio  il
divieto  di  ricoprire   determinate   cariche   pubbliche   e   solo
successivamente  (ultimo  capoverso  del   comma   5)   la   sanzione
pecuniaria.  Quindi,  essendo  la  condizione  di  status  l'elemento
principale   che   consegue   al   provvedimento   che   accerta   la
responsabilita'  delle  condotte,  la   questione   di   legittimita'
costituzionale della  norma  rileva  necessariamente  ai  fini  della
decisione, non potendosi separare  l'accertamento  (prima)  dai  suoi
effetti  (poi)  sulla  condizione  di  status  (sebbene  mediati  dal
provvedimento amministrativo), essendo effetto consequenziale  e  non
discrezionale («l'incandidabilita' non e' una "sanzione  di  status",
ma e' un effetto ex lege che limita  il  diritto  (costituzionalmente
garantito  a  ogni  cittadino  dall'art.  51  Cost.)   all'elettorato
passivo,  in   un   delicato   bilanciamento   con   altri   principi
costituzionali sanciti dagli artt. 54 e 97 Cost. Quando la norma  che
pone  il  divieto,   prescrive,   ai   fini   dell'applicazione,   la
comunicazione  all'autorita'  amministrativa,  a  questa  compete  il
potere-dovere di procedere in conformita'»,  cfr.  Corte  dei  conti,
sentenza Sez. II App., n. 173 del 26 giugno 2023). 
    Ne' potrebbe superarsi la rilevanza della questione -  in  questa
sede - sulla considerazione  che  l'incostituzionalita'  della  norma
potrebbe essere fatta valere successivamente  a  valle  dell'adozione
dell'atto  amministrativo  sull'incandidabilita',   nella   fase   di
eventuale impugnazione. Infatti, partendo dal  concetto  di  unicita'
dell'accertamento in ordine alla sussistenza del nesso causale fra la
condotta tenuta dall'amministratore  ed  il  conseguente  dissesto  e
all'effetto «automatico previsto dalla legge, cosi'  da  non  rendere
necessaria una declaratoria («comando») del giudice»,  come  indicato
dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, viene in evidenza  che
il momento topico nel quale l'eccezione assume rilevanza  e'  proprio
quello nel quale la condotta degli amministratori viene  giudicata  e
rispetto alla quale l'eccezione di incostituzionalita'  della  norma,
per violazione del principio di  ragionevolezza  non  prevedendo  una
sanzione di status con termini differenziati  rispetto  alle  singole
condotte in luogo del termine fisso decennale,  assume  la  rilevanza
nei termini piu' ampi. 
    In tal senso, l'eccezione sollevata ha  rilievo  in  questa  sede
contabile perche' la violazione dell'art. 3 (in  rapporto  anche  con
l'art. 51) della Costituzione e' riferita proprio alla necessita'  di
ancorare  l'estensione  temporale  delle  limitazioni  sullo   status
(effetto automatico che non necessita del comando del  giudice)  alle
condotte, il cui accertamento unico avviene dinanzi  alla  Corte  dei
conti e, dunque, in tale momento -  anche  ai  fini  accertativi  del
contributo causale (e delle sue modalita') - gli effetti di legge  (e
il relativo parametro di costituzionalita') incidono sulla decisione. 
    Peraltro, anche a voler ritenere che  l'effetto  di  legge  sullo
status non sia una conseguenza diretta della  pronuncia  del  giudice
contabile, ma un effetto «indiretto» dell'accertamento, in ogni  caso
la questione sarebbe rilevante, dovendosi necessariamente riferire la
valutazione sulla costituzionalita' delle norme da applicare a  tutti
gli effetti che la decisione genera. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza   si   evidenzia   che
dall'impostazione della «interpretazione adeguatrice» della  sentenza
della Corte  costituzionale  n.  356  del  1996  («le  leggi  non  si
dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile  darne
interpretazioni  incostituzionali  (e  qualche  giudice  ritenga   di
darne),   ma   perche'   e'   impossibile    darne    interpretazioni
costituzionali», cfr.  §  4)  e  dalla  successiva  previsione  della
necessita'  di  «verificare,  prima  di  sollevare  la  questione  di
costituzionalita', la concreta possibilita' di attribuire alla  norma
denunciata un significato diverso  da  quello  censurato  e  tale  da
superare i prospettati dubbi di  legittimita'  costituzionale»  (ord.
322/2001, penultimo cpv. della  parte  in  fatto  e  diritto)  si  e'
passati alla tesi contenuta nella sentenza n. 235/2014  (secondo  cui
la non condivisione della possibile soluzione ermeneutica conforme  a
Costituzione, in quanto  sufficientemente  argomentata,  «non  rileva
piu' in termini di inammissibilita' - ma solo, in tesi, di  eventuale
non fondatezza - della questione in esame», cfr. § 5 del  considerato
in diritto) e a quella della sentenza  n.  262  del  2015  («ai  fini
dell'ammissibilita' della questione, e' sufficiente che il giudice  a
quo esplori la possibilita' di un'interpretazione conforme alla Carta
fondamentale  e,  come  avviene  nel  caso  di  specie,  la   escluda
consapevolmente»,  cfr.  §  2.3  del  considerato  in  diritto),  per
approdare ai principi indicati nella sentenza n. 42 del 2017  (§  2.2
del considerato in diritto, secondo cui «Se, dunque, "le leggi non si
dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile  darne
interpretazioni  incostituzionali  (e  qualche  giudice  ritenga   di
darne)" (sentenza n. 356 del 1996), cio' non significa che,  ove  sia
improbabile    o    difficile     prospettarne     un'interpretazione
costituzionalmente  orientata,  la   questione   non   debba   essere
scrutinata nel merito. Anzi, tale scrutinio, ricorrendo  le  predette
condizioni, si rivela, come nella specie, necessario,  pure  solo  al
fine di stabilire se la soluzione conforme a  Costituzione  rifiutata
dal giudice rimettente sia invece possibile»).  Sulla  base  di  tali
criteri  deve  essere  scrutinata  la  domanda   sulla   legittimita'
dell'art. 248, comma 5 del TUEL per  violazione  dell'art.  3,  della
Costituzione,   laddove    ha    previsto    l'effetto    di    legge
dell'incandidabilita' e il divieto di ricoprire  determinate  cariche
per un termine determinato e fisso di dieci anni, prescindendo  dalla
natura gravemente colposa o dolosa della condotta (o dell'entita' del
contributo causale all'evento dissesto). 
    Sul punto occorre premettere che il vaglio  di  costituzionalita'
richiesto ha come punto di riferimento indiscutibile l'uso del potere
discrezionale del Parlamento su cui non e' previsto  alcun  sindacato
(art. 28 della  legge  n.  87  del  1953),  quindi  ben  potrebbe  il
legislatore prevedere -  in  linea  astratta  -  la  contrazione  dei
diritti di elettorato passivo per un  periodo  di  dieci  anni  quale
misura afflittiva e, ancor di piu', special preventiva per  il  danno
che  gli  amministratori  hanno  provocato  (rectius  contribuito   a
provocare) con il dissesto dell'ente. Tuttavia, tale  limitazione  e'
estremamente pervasiva andando ad incidere sui  diritti  riconosciuti
dall'art. 51 della Costituzione - in tanto e' ammissibile  in  quanto
sia conforme al principio di ragionevolezza, avendo anche riguardo al
modo in cui il legislatore ha normato situazioni simili. 
    In  questo  senso   vengono   in   rilievo   alcune   fattispecie
rappresentative di  casi  simili,  ma  con  discipline  diverse,  che
denoterebbero una disparita' di trattamento; in particolare: 
      da  un  lato  alcune  difese  hanno  richiamato  la  previsione
dell'art.  248,  comma  5-bis,  del  TUEL  che,  con  riferimento  ai
revisori, prevede un termine massimo della sanzione e, dunque, la sua
modulabilita'; 
      dall'altro lato vengono in rilievo le  previsioni  del  decreto
legislativo n. 235/2012 in tema di incandidabilita' (la cui  relativa
giurisprudenza costituzionale era stata indicata in alcuni precedenti
pronunce,     a     supporto     del      rigetto      dell'eccezione
d'incostituzionalita'). 
    Quanto alla previsione  di  un  limite  massimo  del  divieto  di
ricoprire cariche (e, dunque, modulabile) per i membri  del  collegio
dei revisori, si ritiene che il termine  di  paragone  sia  privo  di
pregio,   considerato   che   diversi    sono    i    ruoli    svolti
dall'amministratore e dal revisore e diversa  e'  la  responsabilita'
che le due figure rivestono nelle dinamiche dell'ente.  Il  revisore,
infatti, sebbene dotato di specifiche  competenze  professionali,  e'
comunque un soggetto che svolge funzione di ausilio  e  di  controllo
dell'attivita'  posta  in  essere  dagli  amministratori   i   quali,
avvalendosi dell'attivita' degli uffici tecnici, gestiscono  la  cosa
pubblica, avendo il potere  e  relativo  dovere  di  operare  per  il
meglio, in condizioni ordinarie, e con particolare oculatezza per  il
risanamento, nella gestione di crisi dell'ente (quale  la  condizione
di predissesto, con  piano  di  riequilibrio  approvato,  di  cui  si
discute). La diversa qualifica soggettiva (e di  funzioni)  configura
dunque fattispecie che non sono in alcun modo sovrapponibili. 
    Quanto  invece  all'eccepita   incostituzionalita'   riferita   a
gradualita'  sanzionatoria,  proporzionalita',  ragionevolezza  della
sanzione, nonche' disparita'  di  trattamento  previsti  dall'art.  3
della  Costituzione,  si  osserva  che  il  termine  fisso  decennale
indicato,  di  per  se',  non  ha  alcun   rilievo   o   profilo   di
incostituzionalita', essendo un  termine  (pari  a  due  consiliature
complete)   evidentemente   ritenuto    congruo    dal    legislatore
nell?esercizio della sua discrezionalita' normativa. 
    In merito, peraltro, non puo' non indicarsi il ruolo centrale che
assume  nell'ordinamento  -  e,   di   riflesso,   nella   previsione
sanzionatoria - il bilancio dello Stato (alla cui tutela la norma  e'
orientata), a cui concorre necessariamente quello  dei  singoli  enti
locali, anche alla luce del principio di equita' intragenerazionale e
intergenerazionale a cui l'equilibrio del bilancio e' preposto (Corte
cost. sent. n.  18/2019,  sent.  n.  115/2020,  sent.  n.  246/2021),
incidente altresi' sul legame fiduciario che caratterizza il  mandato
elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti (Corte  cost.
sent. n. 228/2017) e in ragione della necessita' per l'amministratore
di porre in essere  azioni  indispensabili  ad  incentivare  il  buon
andamento dei servizi e pratiche di amministrazione  ispirate  a  una
oculata e proficua spendita delle risorse della collettivita' (in tal
senso, Corte cost. sentenze n. 235  del  2021  e  n.  18  del  2019).
Quindi, in adesione a tale impostazione la previsione incisiva  sullo
status personale prevista dal legislatore  (preclusione  a  ricoprire
cariche  per  dieci   anni)   -   confortata   dalla   giurisprudenza
costituzionale - non  presenterebbe  profili  di  incostituzionalita'
laddove messa in relazione solamente con  il  bilancio  dello  Stato,
atteso che esso ha comunque un  ruolo  fondamentale  superindividuale
destinato ad  incidere  sulla  vita  dell'intera  cittadinanza  e  in
termini intragenerazionali, rispetto al quale l'interesse del singolo
(nei  cui  confronti  sono  state  accertate  delle  responsabilita')
sarebbe recessivo, con  l'effetto  che  la  limitazione  del  diritto
costituzionale   all'elettorato   passivo   troverebbe    ragionevole
giustificazione nell'esigenza di tutelare l'equilibrio di bilancio. 
    Tuttavia, se letta nel sistema della  incandidabilita'  ex  lege,
allora la previsione dell'art. 248, comma 5, TUEL  si  evidenzia  per
alcune  peculiarita'  di  fondo  che  non  sono  giustificate   dalla
preminenza del bilancio dello Stato e dell'equilibrio a cui  esso  e'
orientato (art. 97 Cost.) e che stridono con il rispetto dei  criteri
di  gradualita'  «sanzionatoria»,  proporzionalita',  ragionevolezza,
nonche' di parita' di trattamento ai quali la stessa discrezionalita'
del legislatore deve conformarsi. 
    In  particolare,  fermi  restando  i  principi   espressi   dalla
giurisprudenza costituzionale, appare non manifestamente infondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale  laddove  prospetta  come
irragionevole la previsione di  una  automatica  incandidabilita'  (e
divieto di ricoprire cariche) per un termine fisso di dieci anni  per
una condotta, anche di  natura  gravemente  colposa,  che  abbia  non
«determinato» (come nella  versione  originaria  della  disposizione,
rispetto alla quale l'eccezione d'incostituzionalita' avrebbe assunto
diverso rilievo), ma anche solo «contribuito» - peraltro senza limiti
di tempo - al dissesto dell'ente. 
    Vengono infatti unificate ai fini dell'incandidabilita', violando
irragionevolmente  il  principio  di  parita'  di  trattamento  e  di
proporzionalita',  le  condotte  connotate  da   dolo   che   abbiano
determinato con contributo estensivamente incisivo  e  protratto  nel
tempo il dissesto dell'ente con quelle condotte, invece, connotate da
colpa grave, circoscritte magari  a  singoli  episodi  risalenti  nel
tempo  (anche  a  consiliature  antecedenti  un  eventuale  piano  di
riequilibrio finanziario),  ma  che  secondo  la  nuova  formulazione
abbiano comunque  «contribuito»,  ancorche'  in  maniera  minima,  al
dissesto dell'ente. La previsione di una incandidabilita' (divieto di
ricoprire cariche) decennale, ancorche' non  sia  configurabile  come
sanzione nei termini indicati  dalla  giurisprudenza,  in  ogni  caso
incide  inevitabilmente  nella   vita   (e,   dunque,   sui   diritti
costituzionalmente  garantiti)  degli  amministratori  e,   pertanto,
l'effetto  ex  lege  previsto  dal  legislatore  deve  rientrare  nel
parametro della ragionevolezza  riferita,  da  un  lato,  al  diritto
all'elettorato passivo di cui all'art. 51 cost. e,  dall'altro,  alla
tutela degli interessi costituzionali protetti dagli artt. 54  e  97,
della Costituzione. 
    Sul punto, la giurisprudenza costituzionale - relativa al profilo
della sanzione personale (disciplinare), ma ragionevolmente  valevole
alla fattispecie di cui si discute attesa la eadem ratio  sostanziale
che  le  caratterizza  -  ha  indicato   che   il   requisito   della
proporzionalita' «puo', normalmente, essere soddisfatto  soltanto  da
una valutazione individualizzata della gravita'  dell'illecito,  alla
quale la risposta sanzionatoria  deve  essere  calibrata  (su  questo
corollario  del  principio  di  proporzionalita'  rispetto   a   ogni
tipologia di sanzione, sentenza n. 112 del  2019,  punto  8.1.4.  del
Considerato in diritto, nonche' - in materia penale - sentenza n. 197
del 2023, punti 5.2.1. e  5.5.1.  del  Considerato  in  diritto).  Le
sanzioni fisse sono, per contro,  tendenzialmente  in  contrasto  con
questo principio, a meno che - come questa Corte ha ritenuto nel caso
deciso con la sentenza n. 197 del 2018 (punto 8  del  Considerato  in
diritto) - esse risultino non manifestamente sproporzionate  rispetto
all'intera gamma dei  comportamenti  riconducibili  alla  fattispecie
astratta dell'illecito sanzionato (ancora in materia penale, sentenze
n. 195 del 2023, punto 6.1. del Considerato in  diritto;  n.  94  del
2023, punto 13 del Considerato in diritto; n.  222  del  2018,  punto
7.1. del Considerato in diritto;  nonche',  in  materia  di  sanzioni
amministrative, sentenze n. 40 del 2023, punto 5.2.  del  Considerato
in diritto; n. 266 del 2022, punto 5.4.3. del Considerato in diritto;
n. 185 del 2021, punto 6 del Considerato in diritto). Al di fuori  di
questa ipotesi, che presuppone un certo grado  di  omogeneita'  della
fattispecie astratta sotto il profilo della gravita' delle condotte a
essa  riconducibili,  il  corollario  dell'individualizzazione  della
sanzione esige una gradualita' della risposta, affinche'  essa  possa
risultare adeguata al concreto disvalore della condotta» (Corte cost.
sentenza n. 51/2024, § 3.3.1 del considerato in diritto). 
    Inoltre, tale irragionevolezza emergerebbe  anche  dal  raffronto
con altre fattispecie. Sul  punto  si  osserva  che  lo  stesso  TUEL
prevede, all'art. 143, comma 11, l'ipotesi d'incandidabilita' per gli
amministratori, relativa allo scioglimento dei  consigli  comunali  e
provinciali  conseguente   a   fenomeni   di   infiltrazione   e   di
condizionamento di tipo mafioso o similare, disponendo espressamente,
fatte salve misure interdittive o accessorie, che «gli amministratori
responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di
cui al presente articolo non possono essere candidati  alle  elezioni
per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e  per  il
Parlamento europeo  nonche'  alle  elezioni  regionali,  provinciali,
comunali e circoscrizionali, in relazione  ai  due  turni  elettorali
successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilita'
sia  dichiarata  con  provvedimento  definitivo».  Tale   fattispecie
ricorre nell'ipotesi, disciplinata dal  primo  comma  dell'art.  143,
allorquando «emergono  concreti,  univoci  e  rilevanti  elementi  su
collegamenti diretti o indiretti con la criminalita'  organizzata  di
tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo  77,
comma 2, ovvero su forme di condizionamento  degli  stessi,  tali  da
determinare  un'alterazione  del  procedimento  di  formazione  della
volonta' degli organi elettivi ed amministrativi e  da  compromettere
il buon andamento o l'imparzialita' delle amministrazioni comunali  e
provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei  servizi  ad  esse
affidati, ovvero che risultino tali da arrecare  grave  e  perdurante
pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica». 
    Oltre questa fattispecie viene in rilievo anche l'ipotesi di  cui
al decreto legislativo n. 235/2012. In particolare,  con  riferimento
agli enti locali, l'art. 10 prevede l'incandidabilita' alle  elezioni
provinciali, comunali e circoscrizionali e  comunque  il  divieto  di
ricoprire  la   carica   di   amministratore   (sindaco,   assessore,
consigliere,  etc.),  per  coloro  che   hanno   riportato   condanne
definitive per fattispecie delittuose di particolare rilievo  sociale
(associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti,  in
tema  di  immigrazione  e  terrorismo,  diverse  ipotesi  di  delitti
compiuti da pubblici ufficiali contro  la  pubblica  amministrazione,
quali peculato, concussione, corruzione, etc.), oltre alle ipotesi di
condanna  definitiva  per  delitti  non  colposi  con  condanna   non
inferiore a due anni di reclusione e  alle  ipotesi  di  applicazione
definitiva di misura di prevenzione per appartenenza ad  associazioni
(tra cui quella di tipo mafioso). Rispetto a tali ipotesi,  tuttavia,
l'art. 15, comma 3, prevede che «La sentenza  di  riabilitazione,  ai
sensi degli articoli 178 e seguenti del  codice  penale,  e'  l'unica
causa di estinzione anticipata dell'incandidabilita' e ne comporta la
cessazione per il periodo di tempo residuo». 
    Dunque, il legislatore, pur di  fronte  ad  ipotesi  di  condanna
definitiva per delitti che  incidono  significativamente  nella  vita
della pubblica amministrazione (si pensi oltre all'ipotesi  dell'art.
416-bis c.p. anche al peculato, concussione o corruzione), prevede la
possibilita' di limitare l'incandidabilita' e, cosi',  restituire  al
condannato il diritto elettorale passivo,  tramite  l'istituto  della
riabilitazione.  Per  contro,  tale  possibilita'   di   porre   fine
all'incandidabilita'   e'   preclusa   nell'ipotesi   in    cui    un
amministratore, a titolo di colpa  grave,  con  la  propria  condotta
anche risalente nel tempo, abbia «contribuito» al dissesto dell'ente.
Tale disparita' di  trattamento  sembra  indicare  la  non  manifesta
infondatezza  dell'eccezione  di  incostituzionalita'  della   norma,
rispetto al parametro dell'art. 3 della  Costituzione,  sollevata  in
giudizio. Se  nelle  due  fattispecie  indicate  la  contrazione  del
diritto   di   elettorato   passivo   trova   una   sua    necessaria
giustificazione costituzionale con riferimento a quelle omissioni che
incidono   o   sulle   condizioni   morali    degli    amministratori
(incandidabilita'  ai  sensi  del  dereto  legislativo  n.  235/2012,
relativa a  condanne  definitive)  o  a  responsabilita'  relative  a
infiltrazioni mafiose (art. 143, comma 11, TUEL),  la  stessa  misura
appare irragionevole - considerato  che  viene  applicata  in  misura
fissa e non graduata - rispetto ad ipotesi  in  cui  non  solo  manca
l'incisivita'  dell'infiltrazione  mafiosa  (elemento   che   inquina
l'intero apparato amministrativo  non  solo  da  un  punto  di  vista
economico,  ma  anche  morale  e  di  rispetto  della  legalita')   o
l'accertamento definitivo di reati  associativi  o  connessi  con  la
funzione pubblica esercitata a danno dell'amministrazione stessa,  ma
addirittura si potrebbe assistere a condotte risalenti nel tempo (non
essendo  piu'  previsto  il  termine  degli  ultimi   cinque   anni),
caratterizzate  da  colpa  grave  (espressione  Dell'incapacita'   di
amministrare)  e  che  hanno  meramente  «contribuito»  al  dissesto,
eventualmente anche in maniera marginale  (in  luogo  del  precedente
«determinato»). Rispetto alla stessa norma, dunque, il termine  fisso
d'incandidabilita' (o divieto di ricoprire determinate  cariche)  per
dieci anni appare irragionevole laddove unifica sia ipotesi di  colpa
grave che  dolo,  nonche'  condotte  «determinanti»  con  quelle  che
esprimono  un  mero  «contributo»,  senza  alcuna   possibilita'   di
distinzione e di graduazione. Inoltre, proprio perche' il profilo  di
incostituzionalita' ai fini della  non  manifesta  infondatezza  deve
essere vagliato alla luce di discipline simili, non  appare  sorretto
da proporzionalita' la previsione di incandidabilita' per un  periodo
di dieci anni per gli amministratori  che  hanno  solo  «contribuito»
anche in un tempo remoto e a titolo  di  colpa  grave,  senza  alcuna
possibilita' di emendazione, a  fronte  di  ipotesi  in  cui  pur  in
presenza di  condanna  in  sede  penale  (es.  ex  art.  10,  decreto
legislativo  n.  235/2012)  con  conseguente   incandidabilita',   e'
prevista la possibilita' di poter tornare a far parte dell'elettorato
passivo, grazie alla sentenza di riabilitazione ex artt. 178 ss. c.p. 
    In   altri   termini,   il   principio   di   ragionevolezza    e
proporzionalita' nella previsione dell'art. 248, comma  5,  TUEL  non
appare rispettato, laddove  viene  trattata  con  maggior  rigore  la
semplice ipotesi di colpa grave per un  mero  contributo  causale  al
dissesto,  ancorche'  risalente  nel  tempo   (con   incandidabilita'
assoluta per dieci  anni)  rispetto  alle  ipotesi,  ad  esempio,  di
condanna definitiva per reati di associazione  mafiosa  o  contro  la
pubblica amministrazione, per le quali e' prevista la possibilita' di
riabilitazione. 
    Peraltro, la stessa norma appare irragionevole e  contraddittoria
sotto un altro profilo. Infatti, ove si ritenesse  non  irragionevole
il divieto di ricoprire determinate  cariche  per  dieci  anni  degli
amministratori che hanno contribuito al dissesto dell'ente,  rispetto
a condotte  che  incidono  sulla  stessa  moralita'  ed  onesta'  dei
medesimi e che vedono  la  possibilita'  di  ridurre  o  far  cessare
l'incandidabilita', in ragione della  prevalenza  delle  esigenze  di
tutela del bilancio potenzialmente  pregiudicato  dalla  mala  gestio
degli amministratori, si' da evitare che continuino ad  amministrare,
viene in rilievo la  circostanza  che  agli  stessi  e'  preclusa  la
possibilita' per dieci anni di ricoprire la carica di  assessore,  di
revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti  locali
presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici  e  privati,  ma
possono essere  eletti  Sindaci  e  quindi  gestire  non  la  singola
attivita' delegata, ma l'intera amministrazione comunale. 
    Per  tali  ragioni  l'impossibilita'  di   interpretare   secondo
Costituzione  la  norma  induce  a  prospettare   la   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.   248,   comma   5,   decreto
legislativo n. 267/2000, laddove dispone per  gli  amministratori  il
divieto di ricoprire incarichi di assessore, di revisore dei conti di
enti locali e di rappresentante di enti  locali  presso  altri  enti,
istituzioni ed organismi pubblici e privati (e per i sindaci le altre
specifiche incandidabilita'), per un periodo fisso di  dieci  anni  e
non graduabile, a fronte  di  condotte  che  abbiano  contribuito  al
dissesto dell'ente, sia a titolo di dolo che di colpa grave. 
    7.  Pertanto,  ai  sensi  e  per  gli  effetti  degli  artt.  134
Costituzione  e  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,   devono
dichiararsi rilevanti e non manifestamente infondate le questioni  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 248, comma 5,  del  decreto
legislativo n. 267/2000 sopra  prospettate,  e  deve  di  conseguenza
disporsi la sospensione del giudizio in oggetto, tenuto  conto  anche
dell'opportunita' di procedere alla trattazione unitaria di tutte  le
posizioni, ordinando l'immediata trasmissione degli atti  alla  Corte
costituzionale e gli altri adempimenti a cura  della  Cancelleria  di
cui al dispositivo. 
    8. Le spese  del  giudizio  saranno  liquidate  alla  definizione
integrale del merito della presente controversia. 

 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la  Calabria,  in
composizione  monocratica,  non  definitivamente   pronunciando   con
riferimento al giudizio  ex  art.  133  c.g.c.  relativo  a  giudizio
sanzionatorio iscritto al n. 24057 del Registro di Segreteria. 
    Visti l'art. 134 Costituzione e  l'articolo  23  della  legge  11
marzo 1953, n. 87. 
    Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in riferimento
agli artt. 3 e 51 della Costituzione, le  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 248, comma 5,  del  decreto  legislativo  n.
267/2000, prospettate nei termini di cui in motivazione. 
    Ordina la sospensione del giudizio; 
    Ordina alla Segreteria della Sezione di provvedere: 
      all'immediata    trasmissione    degli    atti    alla    Corte
costituzionale; 
      alla notificazione  della  presente  ordinanza  alle  parti  in
causa, al Pubblico  Ministero  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;  
      alla comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti delle
Camere del Parlamento; 
      ad ogni altro adempimento di competenza. 
    Spese del giudizio al definitivo. 
      Cosi' deciso in Catanzaro nella  camera  di  consiglio  del  13
gennaio 2025. 
 
                       Il Giudice: Tarantelli