Reg. ord. n. 74 del 2025 pubbl. su G.U. del 30/04/2025 n. 18
Ordinanza del Tribunale di Catania del 17/02/2025
Tra: E.A. L. C/ Assessorato delle infrastrutture e della mobilità della Regione Siciliana
Oggetto:
Salute (Tutela della) – Profilassi internazionale – Certificazione verde COVID-19 (cosiddetto green pass) – Obbligo, dal 15 ottobre 2021 al 31 dicembre 2021, per il personale delle amministrazioni pubbliche (nel caso di specie: dipendenti della Regione siciliana) di possedere ed esibire la certificazione verde COVID-19 ai fini dell’accesso ai luoghi di lavoro – Inadempimento – Effetti – Previsione che il lavoratore è considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della certificazione o al termine del 31 dicembre 2021, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro – Previsione che per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione, né altro compenso o emolumento, comunque denominati – Denunciata introduzione di un obbligo surrettizio di vaccinazione – Violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità – Lesione della dignità della persona, sia in relazione alla preclusione di ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni della vita, sia in relazione all’obbligo di sottoposizione, ogni due giorni, al tampone – Violazione del diritto all’identità personale e all’esplicazione della personalità sul luogo di lavoro – Lesione del diritto al lavoro – Irragionevolezza della previsione dell’obbligo di possesso del green pass per tutti i lavoratori senza distinzioni di mansioni – Lesione del diritto alla salute – Lesione della dignità umana conseguente alla sottoposizione a un trattamento sanitario assimilato a un trattamento sanitario obbligatorio – Violazione dei principi di eguaglianza e di proporzionalità derivanti dall’esclusione dal riconoscimento dell’indennità alimentare, rispetto ai lavoratori sospesi ai quali viene contestata una condotta illecita (disciplinare o penale).
- Decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165, art. 1, introduttivo dell’art. 9-quinquies nel decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87.
- Costituzione artt. 2, 3, 4, 32, commi primo e secondo, e 36.
Salute (Tutela della) – Profilassi internazionale – Vaccinazioni per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 – Previsione dell’obbligo vaccinale per i cittadini italiani e di altri Stati membri dell’Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché per gli stranieri di cui agli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 286 del 1998, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età – Obbligo di possedere, ai fini dell’accesso ai luoghi di lavoro, le certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione – Inadempimento – Effetti – Previsione che il lavoratore è considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della certificazione o al termine del 15 giugno 2022, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro – Previsione che per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione, né altro compenso o emolumento, comunque denominati – Violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità – Lesione della dignità della persona, in relazione alla preclusione di ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni della vita – Violazione del diritto all’identità personale e all’esplicazione della personalità sul luogo di lavoro – Lesione del diritto al lavoro – Irragionevolezza della previsione dell’obbligo di vaccinazione per tutti i soggetti ultracinquantenni, sotto il profilo dell’individuazione della platea dei destinatari basata sulla mera età anagrafica – Irragionevolezza della previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti di tutti i lavoratori senza distinzioni di mansioni – Lesione del diritto alla salute – Lesione della dignità umana conseguente al trattamento sanitario – Violazione dei principi di eguaglianza e di proporzionalità derivanti dall’esclusione dal riconoscimento dell’indennità alimentare, rispetto ai lavoratori sospesi ai quali viene contestata una condotta illecita (disciplinare o penale).
- Decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 4 marzo 2022, n. 18, art. 1, introduttivo degli artt. 4-quater, 4-quinquies e 4-sexies nel decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76.
- Costituzione artt. 2, 3, 4, 32, commi primo e secondo, e 36.
Norme impugnate:
decreto-legge del 21/09/2021 Num. 127 Art. 1
legge del 19/11/2021 Num. 165
decreto-legge del 22/04/2021 Num. 52 Art. 9
legge del 17/06/2021 Num. 87
decreto-legge del 07/01/2022 Num. 1 Art. 1
legge del 04/03/2022 Num. 18
decreto-legge del 01/04/2021 Num. 44 Art. 4
decreto-legge del 01/04/2021 Num. 44 Art. 4
decreto-legge del 01/04/2021 Num. 44 Art. 4
legge del 28/05/2021 Num. 76
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 2 Co.
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 4 Co.
Costituzione Art. 32 Co. 1
Costituzione Art. 32 Co. 2
Costituzione Art. 36 Co.
Camera di Consiglio del 17 novembre 2025 rel. SANDULLI M. A.
Testo dell'ordinanza
N. 74 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 2025 Ordinanza del 17 febbraio 2025 del Tribunale di Catania nel procedimento civile promosso da E.A. L. e G.B.R. C. contro Assessorato delle infrastrutture e della mobilita' della Regione siciliana. Salute (Tutela della) - Profilassi internazionale - Certificazione verde COVID-19 (cosiddetto green pass) - Obbligo, dal 15 ottobre 2021 al 31 dicembre 2021, per il personale delle amministrazioni pubbliche (nel caso di specie: dipendenti della Regione siciliana) di possedere ed esibire la certificazione verde COVID-19 ai fini dell'accesso ai luoghi di lavoro - Inadempimento - Effetti - Previsione che il lavoratore e' considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della certificazione o al termine del 31 dicembre 2021, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro - Previsione che per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione, ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati. Salute (Tutela della) - Profilassi internazionale - Vaccinazioni per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 - Previsione dell'obbligo vaccinale per i cittadini italiani e di altri Stati membri dell'Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonche' per gli stranieri di cui agli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 286 del 1998, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di eta' - Obbligo di possedere, ai fini dell'accesso ai luoghi di lavoro, le certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione - Inadempimento - Effetti - Previsione che il lavoratore e' considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della certificazione o al termine del 15 giugno 2022, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro - Previsione che per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione, ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati. - Decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165, art. 1; decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1 (Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore), convertito, con modificazioni, nella legge 4 marzo 2022, n. 18, art. 1. (GU n. 18 del 30-04-2025) TRIBUNALE DI CATANIA Sezione lavoro Il Tribunale di Catania in funzione di giudice del lavoro, nella persona del dott. Giuseppe Tripi, all'esito dell'udienza del 7 febbraio 2024, trattata in forma scritta o cartolare ex art. 127-ter del codice di procedura civile, ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale (articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87) nella causa iscritta al n. 2412/2022 R.G.L. Promossa da L. E. A. e C. G. B. R., con il patrocinio degli avv.ti Francesca Marchi e Claudia Giacquinta - ricorrenti. Contro assessorato infrastrutture e mobilita' - Dipartimento infrastrutture mobilita' e trasporti della Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania - resistente. 1. Ricostruzione dei fatti. Le parti ricorrenti in epigrafe indicate sono dipendenti a tempo indeterminato della Regione Sicilia e prestano (o, quantomeno, prestavano al momento del deposito del ricorso) servizio presso l'Ufficio provinciale della motorizzazione civile di Catania, la sig.ra L. nella qualifica di istruttore direttivo e la sig.ra C. nella qualifica di operatore amministrativo. Con ricorso depositato in data 26 marzo 2022, le ricorrenti hanno esposto che, a decorrere dal 15 ottobre 2021, e' stato impedito loro di accedere nella sede di servizio in attuazione della previsione di cui al decreto-legge n. 127/2021, convertito dalla legge n. 165/2021, esse non essendosi sottoposte alla vaccinazione imposta per contrastare il fenomeno epidemiologico SARS-CoV-2 e, pertanto, essendo sprovviste della relativa certificazione (c.d. green pass); hanno lamentato, che, a decorrere da tale data, sono state considerate assenti dal lavoro e non hanno piu' percepito la retribuzione, ne' qualsiasi altro emolumento legato al rapporto di lavoro, e che e' stata loro chiesta la restituzione degli stipendi che, comunque, erano stati loro versati per il mese di ottobre, novembre e, in parte, dicembre 2021. Deducendo il loro stato di necessita' economica discendente dal venir meno della fonte di sostentamento che era assicurato dal godimento della retribuzione, hanno chiesto in via d'urgenza al Tribunale adito di essere reintegrate nel posto di lavoro, con il pagamento delle retribuzioni dovute al momento dell'interdizione dal luogo di lavoro sino all'effettiva reintegra, ovvero, in subordine, di disporre il pagamento di un congruo assegno alimentare, in attesa della definizione del processo. Nel merito, previa, ove necessario, disapplicazione della normativa sopra citata e remissione alla Corte costituzionale delle relative questioni di legittimita' costituzionale, hanno domandato di accertare, dichiarare e ritenere il loro diritto ad essere immediatamente reintegrate nel posto di lavoro e ad ottenere il pagamento della retribuzione, e di ogni altro emolumento comunque denominato, incluso il versamento dei contributi pensionistici direttamente all'ente previdenziale, con decorrenza dal 15 ottobre 2021, o in via meramente gradata con decorrenza dal 15 febbraio 2022, e fino alla effettiva reintegra, con conseguente condanna della parte resistente alla immediata reintegra delle lavoratrici ed al pagamento delle somme pretese; in via meramente gradata, hanno chiesto di accertare e dichiarare il loro diritto, per il periodo ricompreso tra il 15 ottobre 2021 e l'effettiva ripresa del servizio, a percepire quanto meno un assegno c.d. alimentare, in ragione del 50% della retribuzione corrente, o di quella diversa, maggior o minore, somma che dovesse essere ritenuta equa e di giustizia, oltre agli assegni per i carichi di famiglia. A sostegno delle loro domande, le ricorrenti hanno dedotto: la illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 32 della Costituzione, delle disposizioni (art. 1) del decreto-legge n. 1/2022, convertito dalla legge n. 21/2022, che, introducendo l'art. 4-quater del decreto-legge n. 44 del 2021, hanno sancito l'obbligo vaccinale per tutti i soggetti ultracinquantenni (fossero o non fossero lavoratori), argomentando sulla base del carattere sperimentale della vaccinazione anti COVID-19 e della mancanza di certezze in ordine alla idoneita' del vaccino ad impedire la circolazione del virus (dal positivo riscontro della quale soltanto discenderebbe l'esigenza di tutelare l'interesse collettivo alla salute a scapito del diritto fondamentale del singolo ad autodeterminarsi in materia di tutela della salute propria) e alla inesistenza di ripercussioni negative (sotto forma di effetti avversi o malori improvvisi o compromissione del sistema immunitario) per coloro che alla vaccinazione si sottopongano; la illegittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 1, 2, 4, 32 e 36 della Costituzione, degli articoli 1, 2 e 3 del decreto-legge n. 127/2021, convertito dalla legge n. 165/2021, che, introducendo gli articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies del decreto-legge n. 52/2021, convertito dalla legge n. 87/2021, hanno stabilito, a decorrere dal 15 ottobre 2021, il divieto di accedere ai luoghi di lavoro per i lavoratori del settore pubblico e del settore privato che non fossero in possesso e, su richiesta, non avessero esibito il certificato verde attestante lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 o lo stato di guarigione dall'infezione da SARS-CoV-2 o l'effettuazione, con esito negativo, di un test antigenico rapido o molecolare, atteso che tale divieto andrebbe ritenuto illegittimo, sproporzionato e discriminatorio, in quanto impediva lo svolgimento dell'attivita' lavorativa e comportava la perdita della retribuzione, senza al contempo impedire la circolazione della infezione e men che mai garantire la sicurezza del luogo di lavoro, ne' varrebbe a giustificare tale divieto la possibilita' offerta al lavoratore di ottenere un certificato temporaneo, previa effettuazione di un tampone, perche' sottoporsi ogni quarantotto ore ad un tempone si sarebbe tradotto in una inammissibile ulteriore discriminazione, in quanto il lavoratore in tal modo, a parita' di funzioni, avrebbe verrebbe percepito una retribuzione, di fatto, inferiore (al netto dei costi da sostenersi); l'illegittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 1, 2, 4, 32 e 36 della Costituzione, dell'art. 1, del decreto-legge n. 1/2022, convertito dalla legge n. 21/2022, che, introducendo l'art. 4-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2021, ha previsto il divieto di accedere ai luoghi di lavoro per tutti i lavoratori, pubblici e privati, ultracinquantenni che non fossero in possesso del certificato verde da vaccinazione o guarigione, cosi' impedendo lo svolgimento di attivita' lavorativa e privando della retribuzione tutti i lavoratori che avessero piu' di cinquanta anni, apparendo come una misura sproporzionata (prevista per tutti i lavoratori ultracinquantenni, a prescindere dal tipo di mansioni svolte e dalle modalita' di esecuzione della prestazione, e senza prevedere forme alternative di esecuzione della prestazione, come il lavoro agile), inefficace a contenere la diffusione del virus e coercitiva, imponendo al lavoratore di scegliere tra il sottoporsi alla vaccinazione e il perdere il proprio lavoro e la propria fonte di sostentamento, di fatto risultando una forma di trattamento sanitario obbligatorio; l'illegittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 2, 3, e 36 della Costituzione, dell'art. 1, del decreto-legge n. 1/2022, convertito dalla legge n. 21/2022, che introducendo l'art 4-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2021, ha sancito la mancata spettanza della retribuzione e di ogni altro emolumento connesso al rapporto di lavoro per i lavoratori ultracinquantenni che non fossero in possesso del super green pass o del green pass rafforzato, senza prevedere la corresponsione di un assegno alimentare idoneo a garantire loro un minimo vitale per il sostentamento, assegno che, avendo natura assistenziale, viene generalmente riconosciuto ai lavoratori in caso di sospensione disciplinare o cautelare, e cio' a fronte di una condotta libera e lecita del soggetto (quale sarebbe quella di non sottoporsi alla vaccinazione), espressamente ritenuta dalla legge priva di rilevanza disciplinare. Instauratosi il contraddittorio, l'amministrazione resistente si e' regolarmente costituita in giudizio per il tramite dell'avvocatura erariale, la quale, alla luce della normativa in discussione, ha chiesto il rigetto del ricorso. All'udienza fissata per la trattazione dell'istanza cautelare, il difensore delle ricorrenti ha dato atto che le stesse erano state riammesse in servizio in data 2 maggio 2022 ed ha dichiarato di rinunciare al ricorso proposto in via d'urgenza, per cui il giudice ha dichiarato non luogo a provvedere sulla domanda cautelare. Indi, rinviato il procedimento su richiesta del difensore delle ricorrenti, ritenuta la causa matura per la decisione e concesso termine per note difensive, all'esito dell'udienza del 7 febbraio 2025, trattata in forma scritta o cartolare ex art. 127-ter del codice di procedura civile, e' stata emessa la presente ordinanza. 2. Ricognizione normativa. Giova effettuare una breve ricostruzione del quadro normativo vigente, per quanto di interesse per le questioni oggetto di causa. Gli articoli 1, 2 e 3 del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 novembre 2021, n. 165, ha introdotto gli articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, stabilendo, a decorrere dal 15 ottobre 2021 e fino alla cessazione dello stato di emergenza, il divieto di accedere ai luoghi di lavoro per i lavoratori del settore pubblico (compresi i magistrati, i soggetti titolari di cariche elettive o di cariche istituzionali di vertice, i membri ed i dipendenti degli organi costituzionali, degli organi di rilievo costituzionale e delle autorita' amministrative indipendenti) e del settore privato, nonche' per «tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attivita' lavorativa o di formazione o di volontariato presso le amministrazioni» pubbliche o presso aziende private, «anche sulla base di contratti esterni» che non fossero in possesso e, su richiesta, non avessero esibito il c.d. certificato verde attestante lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2 (c.d. super green pass) o lo stato di guarigione dall'infezione da SARS-CoV-2 (c.d. green pass rafforzato) o l'effettuazione, con esito negativo, di un test antigenico rapido o molecolare (c.d. green pass base), cio' «al fine di prevenire la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2» e «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza» (cosi' si esprimono i citati articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies). Il comma 3 dei suddetti articoli 9-quinquies e 9-septies e il comma 7 del citato art. 9-sexies escludono dall'applicazione delle disposizioni in tema di divieto di accesso ai luoghi di lavoro «i soggetti esentati dalla somministrazione del vaccino sulla base di idonea certificazione medica». Ed ancora, per quello che rileva in questa sede, il comma 6 dei medesimi articoli 9-quinquies e 9-septies, poi, prevede che il personale, «nel caso in cui comunichi di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o qualora risulti privo della predetta certificazione al momento dell'accesso al luogo di lavoro, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, e' considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della predetta certificazione» e, comunque, non oltre la «cessazione dello stato di emergenza, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per i giorni di assenza ingiustificata di cui al primo periodo non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati.». Analogamente, il comma 2, dell'art. 9-sexies, con specifico riferimento al personale di magistratura, dispone che «l'assenza dall'ufficio conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde COVID-19 [...] e' considerata assenza ingiustificata con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per i giorni di assenza ingiustificata di cui al primo periodo non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati.». L'art. 1, del decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2022, n. 18, ha introdotto l'art. 4-quater del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, il quale, a decorrere dall'8 gennaio 2022 e fino al 15 giugno 2022, «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza», ha sancito l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 per tutti i soggetti, cittadini italiani o stranieri residenti in Italia, «che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di eta'», salvo che, «in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale dell'assistito o dal medico vaccinatore», la vaccinazione venga «omessa o differita». Il citato decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1, ha poi introdotto nel decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, l'art. 4-quinquies, il quale stabilisce che, a decorrere dal 15 febbraio 2022, tutti i lavoratori, pubblici e privati, ultracinquantenni «ai quali si applica l'obbligo vaccinale di cui» al precedente art. 4-quater, «per l'accesso ai luoghi di lavoro nell'ambito del territorio nazionale, devono possedere e sono tenuti a esibire una delle certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione», con esclusione, quindi, della rilevanza tale scopo del c.d. green pass base da esito negativo di tampone. Il quarto ed il quinto comma dello stesso art. 4-quinquies, poi, prevedono che i lavoratori ultracinquantenni destinatari dell'obbligo vaccinale, qualora «comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 di cui al comma 1 o risultino privi della stessa al momento dell'accesso ai luoghi di lavoro, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro,» non possono accedere «ai luoghi di lavoro» e «sono considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, fino alla presentazione della predetta certificazione e, comunque, non oltre il 15 giugno 2022. Per i giorni di assenza ingiustificata di cui al primo periodo, non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati.». 3. Rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale. Le parti ricorrenti, come gia' anticipato, sono dipendenti a tempo indeterminato della Regione Sicilia e rivestono profili professionali di natura amministrativa. Le stesse non hanno ritenuto, a decorrere dal 15 ottobre 2021, di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19 e, a decorrere dall'8 gennaio 2022, di adempiere all'obbligo vaccinale prescritto per tutti i soggetti ultracinquantenni, ne' hanno allegato di essersi sottoposte, di volta in volta, a tampone o di versare in una delle ipotesi per cui la vaccinazione poteva essere omessa o differita, ragioni per le quali le stesse, a decorrere dal 15 ottobre 2021, sono state interdette dall'accedere al luogo di lavoro e sono state considerate assenti dal servizio, con conseguente privazione totale della retribuzione e di qualsiasi altro emolumento connesso alla prestazione lavorativa. La disciplina prevista dall'art. 9-quinquies del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 e dall'art. 4-quinquies del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, sul punto, appare pero' chiara ed inequivoca nello stabilire che i dipendenti pubblici che non siano in possesso del certificato verde da avvenuta vaccinazione o da guarigione o, nella prima fase, da esito negativo di tampone non potessero accedere ai luoghi di lavoro e fossero considerati assenti ingiustificati dal servizio, «senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro.», e, sotto il profilo economico, nello stabilire che, «per i giorni di assenza ingiustificata non» erano «dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati.». Cosi' come appare analogamente ed inequivoca la disciplina dettata dall'art. 4-quater del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, laddove sancisce l'obbligo vaccinale per tutti i soggetti ultracinquantenni, prevedendo un obbligo generale di compiere un adempimento sanitario ben determinato, con una dizione che non sembra suscettibile di diversa interpretazione, e dall'art. 4-quinquies del citato decreto-legge, laddove ha previsto che i lavoratori ultracinquantenni sottoposti all'obbligo vaccinale, per potere accedere ai luoghi di lavoro, dovevano «possedere» ed erano «tenuti a esibire una delle certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione», e laddove, in caso contrario, gli stessi erano considerati assenti ingiustificati e non avessero diritto alla retribuzione e a qualsivoglia altro «compenso o emolumento, comunque denominati.». Le disposizioni legislative sopra menzionate, quindi, dato il loro disposto certo e preciso, non prestano il fianco ad una pluralita' di soluzioni interpretative astrattamente possibili. Per quanto precede, non si reputa percorribile la strada dell'interpretazione costituzionalmente orientata o adeguata delle disposizioni in esame, interpretazione che, viceversa, trova il proprio spazio esplicativo soltanto in presenza di incertezza ed equivocita' del testo normativo. La Corte costituzionale, invero, ha piu' volte affermato che «l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimita' costituzionale» (cosi' ex multis sentenza n. 91 del 20 maggio 2013; sentenza n. 78 del 5 aprile 2012; sentenza n. 26 del 25 gennaio 2010; sentenza n. 219 dell'11 giugno 2008). L'imprescindibile e chiaro tenore letterale delle disposizioni in esame ne comporta un'applicazione obbligata in tutti i casi in cui la parte non si sia sottoposta a vaccinazione o, in alternativa, non si trovi nella situazione di avvenuta guarigione o, prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 1/2022, non abbia effettuato, con esito negativo, un tampone e, nella seconda fase, non abbia assolto l'obbligo vaccinale, senza possibilita' di attribuire ad essa un significato diverso da quello di cui si sospetta la illegittimita'. Non appare quindi possibile, allo stato del diritto vigente, dichiarare la illegittimita' della interdizione dal lavoro delle ricorrenti e della conseguente mancata corresponsione della retribuzione nei loro confronti, ne' appare possibile riconoscere alle parti ricorrenti l'assegno alimentare ovvero ogni altra forma di tutela economica di natura assistenziale. La questione che si pone appare dunque rilevante, posto che, solo ove le disposizioni di cui si chiede lo scrutinio di costituzionalita' venissero ritenute illegittime, nella parte in cui, appunto, impongono l'esclusione dal contesto lavorativo delle ricorrenti ed il conseguente venir meno del loro diritto al correlato trattamento retributivo, ivi compresa l'erogazione di un assegno alimentare o di qualsiasi altro emolumento di natura assistenziale, le domande attoree potrebbero trovare accoglimento. 4. Non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale. 4.1. Verranno unitariamente esposte le ritenute ragioni di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2022, n. 18, che, introducendo l'art. 4-quater del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, ha sancito l'obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni, e dell'art. 1 del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 novembre 2021, n. 165, che introducendo l'art. 9-quinquies del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, ha stabilito il divieto di accesso al luogo di lavoro per i soggetti ivi menzionati, in quanto analoghi sono i presupposti applicativi (mancata vaccinazione) e analoghe sono le conseguenze previste, nell'un caso, per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale e, nell'altro caso, per la mancata sottoposizione a vaccinazione (salve, sia nel primo che nel secondo caso, le ipotesi di esenzione o guarigione), e cioe' la sostanziale esclusione dal mondo del lavoro, con la conseguente perdita del relativo trattamento economico: e' possibile quindi ritenere che gia' il citato articolo (cosi' come anche gli articoli 2 e 3) del decreto-legge n. 127/2021 contenessero un obbligo surrettizio di vaccinazione, essi ponendo i lavoratori di fronte all'alternativa ineludibile di vaccinarsi (qualora non guariti o esentati o, come vedremo, qualora non intendessero sottoporsi a tampone ogni due giorni) o di essere temporaneamente estromessi dal posto di lavoro. Allo stesso modo, verranno unitariamente analizzate le ritenute ragioni di illegittimita' costituzionale delle suddette disposizioni, nella parte in cui le stesse, in maniera del tutto sovrapponibile anche sul piano testuale, hanno stabilito la perdita della retribuzione e di ogni «altro compenso o emolumento, comunque denominati» (e, quindi, anche di qualsiasi assegno alimentare) per i lavoratori considerati assenti dal servizio perche' non vaccinati (o non guariti o esentati). 4.2. Possibile violazione degli articoli 2, 3, 4 e 36 della Costituzione. Un primo dubbio che riguarda le disposizioni impugnate e' quello relativo alla compatibilita' delle stesse con i principi desumibili dagli articoli 2, 3, 4 e 36 della Costituzione. Una prima criticita' concerne la possibile violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalita' desumibile dall'art. 3 della Costituzione, nonche' del principio di tutela della dignita' della persona umana di cui all'art. 2 della Costituzione. Sul punto, giova osservare che l'art. 2 della Costituzione, nel prevedere una particolare tutela dell'individuo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita' (tra cui rientrano i luoghi di lavoro), non sembra permettere l'adozione di misure che, per l'intransigenza e il rigorismo che le connoti, possano arrivare fino al punto di ledere la dignita' della persona, circostanza che sicuramente si verifica quando, come disposto dalle norme denunciate, a questa si precluda l'accesso al luogo di lavoro e ad ogni forma di trattamento retributivo, normalmente destinato al sostentamento proprio e della propria famiglia. Cio' e' stato affermato, anche di recente, dalla giurisprudenza costituzionale, financo nei riguardi di coloro che hanno gravemente «violato il patto di solidarieta' sociale che e' alla base della convivenza civile», cioe' i condannati per i gravissimi reati di cui agli articoli 270-bis del codice penale (associazione finalizzata al terrorismo o all'eversione dell'ordine democratico), 280 del codice penale (attentato per finalita' terroristiche o di eversione), 289-bis del codice penale (sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione), 416-bis del codice penale (associazione di tipo mafioso), 416-ter del codice penale (scambio elettorale politico-mafioso) e 422 del codice penale (strage) del codice penale, nonche' per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo (Corte costituzionale, 20 luglio 2021, n. 137). In tale occasione, la Corte ha ricordato che la possibilita' di modulare la disciplina delle misure assistenziali «non puo' pregiudicare quelle prestazioni che si configurano come misure di sostegno indispensabili per una vita dignitosa, cosi' come anche per le provvidenze destinate al soddisfacimento di bisogni primari e volte alla garanzia per la stessa sopravvivenza, la cui attribuzione comporta il coinvolgimento di una serie di principi, tutti di rilievo costituzionale (tra cui l'art. 2 della Costituzione)», ed ha quindi dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 61, legge n. 92/2012, nella parte in cui prevedeva la revoca delle prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, quali l'indennita' di disoccupazione, l'assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili, nei confronti di coloro che, condannati per i reati sopra elencati, scontino la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere. Sebbene quella esaminata dalla Corte riguardi fattispecie diversa da quella oggi in scrutinio, i principi dalla stessa evidenziati sembrano (a fortiori) applicabili anche al caso di specie, laddove il mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale o, comunque, la mancata vaccinazione non sono considerati dallo stesso legislatore come atti penalmente o disciplinarmente rilevanti (il sesto comma degli articoli 9-quinquies e 9-septies del decreto-legge n. 52/2021 e il quinto comma dell'art. 4-quinquies del decreto-legge n. 44/2021 escludono qualsiasi tipo di «conseguenze disciplinari») e, cionondimeno, il lavoratore ultracinquantenne o, comunque, per il periodo anteriore all'introduzione del relativo obbligo, il lavoratore non vaccinato si vede, non solo impossibilitato a svolgere la propria prestazione lavorativa a seguito del divieto di accesso al luogo di lavoro e della correlata assenza dal servizio, ma anche deprivato persino di quegli istituti, come l'assegno alimentare, che - come si vedra' piu' ampiamente infra, § 4.5. - gli verrebbero invece garantiti laddove fosse sospeso poiche' coinvolto in un procedimento penale e disciplinare, con misure anche restrittive della liberta' personale, e dunque per procedimenti riguardanti il suo coinvolgimento in reati anche di oggettiva gravita'. Giova, peraltro, considerare che il lavoratore non vaccinato, escluso dal contesto lavorativo, non puo' accedere a quegli istituti che tutelano i lavoratori in caso di perdita dell'occupazione, quale, ad es., l'indennita' di disoccupazione, perche' non acquisisce lo status di lavoratore disoccupato (conservando il posto di lavoro, ancorche' svuotato del suo contenuto tipico), essendo tale provvidenza in ogni modo preclusa ai lavoratori pubblici a tempo indeterminato, ne' puo' fruire - in quanto in eta' lavorativa - di quelle provvidenze che presuppongono una determinata anzianita' anagrafica (ad es., l'assegno sociale). I lavoratori ultracinquantenni inadempienti all'obbligo vaccinale o, per il periodo anteriore, i lavoratori comunque non vaccinati, quindi, perdono ogni possibilita' di far fronte alle esigenze basilari della loro vita, non potendo fare affidamento su alcuna forma di sostegno economico, e, ancor prima e ancor piu' significativamente, si trovano ad essere privati del diritto fondamentale alla libera esplicazione della loro personalita' sul luogo di lavoro, gli stessi, per effetto delle norme qui denunciate, non potendo piu' frequentare l'ambiente di lavoro, mantenere i rapporti con i colleghi e con gli utenti e arricchire sul campo la loro qualificazione professionale. E' pertanto ovvio che i lavoratori non vaccinati, costretti a restare a casa in condizioni di piena inoperosita', hanno subito una grave e perdurante lesione della loro sfera di dignita' personale e di integrita' morale, finendo per essere ingiustificatamente ghettizzati e discriminati rispetto alla generalita' dei lavoratori e questo per effetto di una loro scelta - quella di non vaccinarsi - libera e consapevole, non costituente ne' reato ne' illecito disciplinare. Cosi' come deve ritenersi lesiva del valore della dignita' personale la previsione secondo la quale, sotto il vigore del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, il lavoratore non vaccinato (qualora sprovvisto di certificazione di avvenuta guarigione) era costretto a sottoporsi ogni due giorni al tampone che, oltre a provocare inevitabili fastidi e sofferenze a livello fisico (provocate dall'inserimento ripetuto dell'apposito attrezzo nelle narici o nella faringe) e sottrazione di tempo di vita alle ordinarie occupazioni personali, a lungo andare comportava un notevole esborso economico per gli interessati. Sotto tali profili, quindi, le norme denunciate sembrano lesive, oltre che del principio di eguaglianza e non discriminazione di cui all'art. 3 della Costituzione, anche del diritto dei lavoratori non vaccinati alla loro identita' personale, ricondotto dalla Corte costituzionale alla previsione di cui all'art. 2 della Costituzione, da intendere come il diritto ad essere se stesso, «con la acquisizione di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano e, al tempo stesso, qualificano l'individuo»; identita' che costituisce «un bene per se' medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno e' riconosciuto il diritto a che la sua individualita' sia preservata» (sentenza n. 13 del 1994); in definitiva, secondo il giudice delle leggi, l'art. 2 della Costituzione si pone quale presidio per «l'integrita' della sfera personale [dell'uomo] e la sua liberta' di autodeterminarsi nella vita privata» (sentenza n. 332 del 2000). Ora, sebbene non si ignori che l'impianto del decreto-legge n. 127/2021 e del decreto-legge n. 1/2022, sia ispirato, almeno nelle intenzioni del legislatore, alla finalita' «di prevenire la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2» e «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza», nell'ambito di una situazione emergenziale e del tutto straordinaria, le conseguenze che esso implica nella sfera del dipendente non vaccinato appaiono tuttavia eccessivamente sproporzionate e sbilanciate, nell'ottica della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti, tra cui, innanzitutto, la dignita' della persona, bene protetto da plurime previsioni della Carta, quali gli articoli 2, 3, 32, comma 2, 36, 41 della Costituzione. E' forse ultroneo rammentare che il diritto al lavoro costituisca una delle principali prerogative dell'individuo, su cui si radica l'ordinamento italiano, che trova protezione nell'ambito dei «principi fondamentali» della Carta costituzionale (articoli 1, 4) e che viene tutelato, non solo in quanto strumento attraverso cui ciascuno puo' sviluppare la propria personalita' (art. 2), potendo cosi' concorrere al progresso materiale e spirituale della societa' (art. 4), ma innanzitutto perche' costituisce il mezzo per assicurare alla persona e al rispettivo nucleo familiare, attraverso la giusta retribuzione, il diritto fondamentale di vivere un'esistenza libera e dignitosa (art. 36 della Costituzione). Nel momento in cui la legge, nel precludere al lavoratore non vaccinato la possibilita' di espletare la prestazione lavorativa (anziche' applicare altre soluzioni, ad es.: la sottoposizione del lavoratore ad un rigido sistema di controllo tramite test di rilevazione del virus; l'assegnazione a mansioni diverse, ove possibili, etc.), non consente neppure che lo stesso possa fruire di un sostentamento minimo per far fronte alle proprie esigenze basilari, essa, cosi' facendo, non puo' che esporsi al dubbio di rivelarsi eccessivamente sbilanciata e sproporzionata, ad eccessivo detrimento del valore della dignita' della persona, con possibile violazione, oltre che dell'art. 2, anche dell'art. 3 della Costituzione. L'art. 1 del decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1, nel sancire l'obbligo vaccinale generalizzato ed indiscriminato per tutti i soggetti ultracinquantenni, inoltre, sembra violare il principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione anche sotto il profilo della individuazione della platea dei soggetti destinatari: invero, anziche' individuare l'ambito applicativo dei soggetti cui riferire l'obbligo di vaccinazione in base ad effettive esigenze di tutela della salute individuale e di prevenzione della diffusione del virus (cosa che sarebbe accaduto ove, ad esempio, fossero stati indicati come destinatari dell'obbligo i soggetti vulnerabili o fragili perche' immunodepressi o immunocompromessi, come i malati oncologici o coloro che sono sottoposti a trapianto di organi), il legislatore, prevedendo che fossero obbligati a sottoporsi alla vaccinazione tutti coloro che avessero «compiuto il cinquantesimo anno», ha ancorato la previsione dell'obbligo vaccinale ad una soglia di eta' anagrafica, senza che sia dato comprendere le ragioni oggettive di natura sanitaria per quali una persona sana di cinquanta anni fosse tenuta a vaccinarsi, mentre un soggetto immunodepresso e fragile di quarantanove anni, viceversa, fosse esentato dal correlativo obbligo. Deve reputarsi, quindi, che, sotto tale profilo, il legislatore abbia operato una scelta fondata su un elemento caduco, labile ed effimero, quale e' quello connesso alla mera eta' anagrafica, anziche' individuare le categorie dei soggetti destinatari dell'obbligo vaccinale sulla scorta di oggettive, specifiche e comprovate esigenze di natura medica, curativa e preventiva. E' pertanto configurabile una violazione dell'art. 3 della Costituzione ed una ingiustificata disparita' di trattamento tra coloro che, a parita' di condizioni di salute, al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge che ha sancito l'obbligo vaccinale, avevano compiuto il cinquantesimo anno di eta' e coloro che, viceversa, fossero quarantanovenni o di poco piu' giovani. Si rammenti al riguardo che il principio di ragionevolezza desumibile dall'art. 3 della Costituzione impone che la legge regoli in maniera uguale situazioni uguali e in maniera razionalmente diversa situazioni diverse, con la conseguenza che la disparita' di trattamento trova giustificazione nella diversita' delle situazioni disciplinate: «il principio di uguaglianza e' violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in eguali situazioni» (sentenza n. 15 del 1960), poiche' «l'art. 3 della Costituzione vieta disparita' di trattamento di situazioni simili e discriminazioni irragionevoli» (sentenza n. 96 del 1980). In altri termini, l'art. 3 della Costituzione «deve assicurare ad ognuno eguaglianza di trattamento, quando eguali siano le condizioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono per la loro applicazione» (sentenza n. 3 del 1957), con la conseguenza che il principio risulta violato «quando, di fronte a situazioni obiettivamente omogenee, si ha una disciplina giuridica differenziata, determinando discriminazioni arbitrarie ed ingiustificate» (sentenza n. 111 del 1981). Non puo' infine sottacersi che nelle fattispecie esaminate nelle sentenze della Corte costituzionale numeri 14, 15 e 16 del 2023 (sulle quali v. infra il paragrafo 4.3.), la prima e la terza relative all'obbligo vaccinale per il personale sanitario e la seconda relativa ai lavoratori impiegati in strutture residenziali socio-sanitarie e socio-assistenziali, le disposizioni allora censurate, a differenza di quelle denunciate in questa sede, avevano introdotto un obbligo vaccinale settoriale e non generalizzato, che poteva sembrare coerente con la peculiare posizione degli operatori sanitari e la specifica ratio dell'obbligo vaccinale loro imposto, individuabile nella esigenza di tenuta dei presidi ospedalieri e di garanzia, per i pazienti che necessitano di cura e assistenza, di poterle ricevere in condizioni di massima sicurezza e di minor rischio di contagio possibile. E cio', appunto, a differenza della fattispecie oggi scrutinata, nella quale si discute della legittimita' costituzionale di norme di legge che hanno introdotto un obbligo vaccinale generalizzato per tutti i soggetti ultracinquantenni e di un obbligo di possesso del green pass e, quindi, di sottoporsi a vaccinazione indistintamente per tutti i lavoratori, senza operare alcuna ragionevole distinzione tra lavoratori addetti a mansioni comportanti contatti costanti con il pubblico degli utenti (in relazione alle quali avrebbero potuto astrattamente ipotizzarsi esigenze di contenimento del rischio di contagio) e lavoratori (come sembrano essere le odierne ricorrenti, assegnate ad un ufficio della Motorizzazione civile) adibiti a mansioni non comportanti tali rischi. 4.3. Possibile violazione dell'art. 32, comma 1, della Costituzione. Altro dubbio di legittimita' costituzionale delle norme in discussione si pone sotto il profilo dell'art. 32 della Costituzione sul diritto alla salute essendo evidente e pacifico che la vaccinazione obbligatoria (cosi' come l'obbligo vaccinale surrettizio di cui si e' sopra detto in relazione al periodo anteriore all'entrata in vigore del decreto-legge n. 1 del 2022) si sostanzia in un trattamento sanitario obbligatorio. Al riguardo, si deve rammentare che, in materia di vaccinazioni obbligatorie, la Corte costituzionale ha costantemente affermato che, con specifico riferimento all'art. 32 della Costituzione, un trattamento sanitario obbligatorio, disposto ex lege, e' ammissibile alle seguenti condizioni: a) «se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi e' assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacche' e' proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettivita', a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale»; b) se vi sia «la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi e' assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneita' e scarsa entita', appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili»; c) sei nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - sia prevista comunque la corresponsione di una «equa indennita'» in favore del danneggiato (cosi' ex multis le sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990). Gli stessi principi sono stati ribaditi dalle sentenze del giudice delle leggi che, nel corso del 2023, sono intervenute in materia di vaccinazione anti SARS-CoV-2, e cioe' la n. 14 e la n. 16 del 9 febbraio 2023, relative all'obbligo vaccinale per il personale sanitario, e la n. 15 del 9 febbraio 2023, relativa ai lavoratori impiegati in strutture residenziali socio-sanitarie e socio-assistenziali, sebbene lo scrivente organo giudicante sia consapevole che, con tali decisioni, la Corte ha unanimemente dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionale che erano state sollevate da svariati giudici a quo, ritenendo «non irragionevole il bilanciamento operato dal legislatore fra le liberta' individuali e il diritto fondamentale alla salute, definito dall'art. 32 della Costituzione anche come interesse della collettivita'» (cosi' si esprime, con efficace sinteticita', la relazione annuale del presidente della Corte costituzionale del 18 marzo 2024). In questa direzione, la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che l'art. 32 della Costituzione postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilita' a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati) con il coesistente diritto degli altri e, quindi, con l'interesse della collettivita' (sentenze n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990). Come espresso nella sentenza n. 218 del 1994, la tutela della salute implica anche il «dovere dell'individuo di non ledere ne' porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunita', che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari». Nell'ambito di questo contemperamento tra le due declinazioni, individuale e collettiva, del diritto alla salute, l'imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio trova giustificazione in quel principio di solidarieta' che rappresenta «la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 75 del 1992). Allo stesso tempo, pero', la Corte costituzionale ha sostenuto che il bene della salute e' tutelato dall'art. 32, comma 1, della Costituzione, «non solo come interesse della collettivita', ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo» (sentenza n. 351 del 1991) che impone piena ed esaustiva tutela (sentenza n. 307 del 1990 e n. 455 del 1990), in quanto «diritto primario ed assoluto pienamente operante anche nei rapporti tra privati», oltre che «in ambito pubblicistico» (sentenza n. 218 del 1994, n. 202 del 1991, n. 559 del 1987, n. 184 del 1986 e n. 88 del 1979). E cio' a conferma della consapevolezza del legislatore che l'obbligo al trattamento sanitario costituisce pur sempre un'eccezione rispetto al principio, di cui e' espressione l'art. 32 della Costituzione, della libera determinazione dell'individuo in materia sanitaria (Cassazione civile - Sez. III, 5 luglio 2017, n. 16503). Ebbene, con riferimento alle disposizioni di cui si sospetta la illegittimita' costituzionale, va sicuramente ritenuta ricorrente la condizione di cui alla citata lettera c), atteso che, per il periodo successivo all'introduzione dell'obbligo vaccinale, il soggetto danneggiato ha diritto all'indennizzo previsto dall'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, per tutti i casi di «vaccinazioni obbligatorie» da cui siano derivate lesioni o infermita', mentre, per il periodo anteriore, analoga tutela indennitaria e' stata introdotta dall'art. 20, comma uno, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 marzo 2022, n. 25, il quale ha inserito nell'art. 1 della citata legge n. 210/1992 il comma 1-bis, ai sensi del quale l'indennizzo «spetta, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge, anche a coloro che abbiano riportato lesioni o infermita', dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrita' psico-fisica, a causa della vaccinazione anti SARS-CoV-2 raccomandata dall'autorita' sanitaria italiana». Dubbia, invece, e' la sussistenza delle condizioni descritte alle suddette lettere a) e b). Ed invero, a fronte dell'emergenza epidemiologica determinata dal rapido diffondersi di un nuovo virus che, tuttavia, generalmente provocava, almeno sulle persone sane, sintomi meramente para-influenzali, il legislatore ha preferito adottare misure costrittive e generalizzate, imponendo, prima di fatto e poi di diritto, la sottoposizione ad una nuova tecnica vaccinale (quella c.d. a mRNA o RNA messaggero) che, sebbene non strettamente sperimentale, era stata testata e sperimentata in condizioni di frettolosita' e di emergenza e, conseguentemente, subordinata ad autorizzazione condizionata; laddove, a fronte del diffondersi del nuovo virus, cosi' come si e' sempre fatto per l'influenza stagionale, sarebbe stato maggiormente ragionevole affidarsi al principio di auto-responsabilita' personale, confidando nella prudenza e nella cautela di coloro che, affetti dal morbo, avrebbero dovuto evitare di uscire da casa e di avere contatti con estranei, nonche' al principio di raccomandazione della vaccinazione, in virtu' del quale le pubbliche autorita', mediante campagne vaccinali ed altre opportune iniziative informative, dovrebbero tentare di suggerire e consigliare i cittadini, convincendo la massa dei pazienti a sottoporsi volontariamente e coscientemente alla vaccinazione, dopo avere meditato ed essersi formati liberamente una propria opinione al riguardo. Inoltre, rappresenta un dato acquisito che la vaccinazione non ha impedito l'ulteriore circolazione del virus, i soggetti vaccinati potendo ugualmente contagiarsi e contagiare, ma, tutt'al piu', ha evitato, nei confronti di taluni di soggetti fragili, l'ospedalizzazione, il ricovero nei reparti di terapia intensiva ed il decesso, per cui, in mancanza di efficacia nel contenere e limitare la diffusione virale, deve ritenersi mancante il requisito consistente nella finalita' di «preservare lo stato di salute degli altri». Peraltro, nello stesso foglio illustrativo di uno dei vaccini maggiormente utilizzati durante la campagna vaccinale del 2021/2022, quale e' il Comirnaty sviluppato dalla azienda Pfizer-BionTech, non e' riportato, quale effetto del vaccino, quello di prevenire l'infezione da Sars-CoV-2, bensi' quello di limitare gli effetti dannosi della malattia COVID-19 causata dal virus: «Comirnaty e' un vaccino utilizzato per la prevenzione di COVID-19, malattia causata da SARS-CoV-2», specificando peraltro che «Comirnaty potrebbe non proteggere completamente tutti coloro che lo ricevono, e la durata della protezione non e' nota» (foglietto illustrativo reperibile sul sito web istituzionale dell'AIFA). Infine, quanto alla condizione sopra menzionata sub c), deve reputarsi che la vaccinazione per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 abbia prodotto, in coloro che ad essa si sono sottoposti, conseguenze lesive che appaiano superiori e piu' significative di quelle normali ed insite in ogni trattamento sanitario o farmacologico e, pertanto, non «tollerabili». E' cronaca di tutti i giorni il fatto che persone giovani e sane, a volte anche atleti e sportivi famosi, vengano colpite da «malori improvvisi» che ne provocano la menomazione o, in alcuni casi, la morte. Deve quindi ritenersi necessaria una rivisitazione degli orientamenti giurisprudenziali fin qui espressi sulla base di dati ormai superati, nel senso che il vaccino contro il SARS-CoV-2 ha inciso negativamente sullo stato di salute di coloro che sono obbligati a vaccinarsi, oltre quelle conseguenze «che appaiano normali e, pertanto, tollerabili», la sua inoculazione provocando il rischio di insorgenza di eventi avversi gravi e/o fatali. Lo stesso rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini anti-COVID-19 dell'A.I.F.A. (27 dicembre 2020 - 26 dicembre 2022), pubblicato sul sito ufficiale dell'Agenzia (https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1315190/Rapporto_sorveglianz a_vaccini_COVID-19_14), nel confermare la sicurezza dei vaccini, analizza le percentuali delle segnalazioni di sospetti effetti avversi, non gravi (reazioni locali nel sito di somministrazione, febbre e stanchezza/astenia, parestesie agli arti di durata limitata, cefalee di vario genere e capogiri o vertigini, artralgie o mialgie diffuse e dolori a livello di singole articolazioni, patologie gastrointestinali, come nausea, vomito e diarrea) e gravi (shock anafilattico, parestesie durature, miocardite, pericardite, paralisi periferica del nervo facciale), anche in rapporto alle diverse fasce di eta' e al sesso, e dei casi in cui e' stato rilevato il nesso di causalita'. Ed ancora, si deve ricordare che uno degli studi piu' importanti e recenti, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista specializzata «Vaccine» del 2 aprile 2024 (consultabile sul sito COVID-19 vaccines and adverse events of special interest: A multinational Global Vaccine Data Network (GVDN) cohort study of 99 million vaccinated individuals - ScienceDirect), sulla scorta del monitoraggio delle condizioni cliniche di oltre 99 milioni di persone vaccinate in otto Paesi diversi, ha riscontrato importanti e gravi effetti avversi correlati alla somministrazione del vaccino contro il SARS-CoV-2, essendo stati accertati casi particolarmente frequenti di miocardite (infiammazione del muscolo cardiaco), di pericardite (infiammazione del sacco sottile che copre il cuore), di sindrome di Guillain-Barre' (debolezza muscolare e alterazione della sensibilita') e di trombosi del seno venoso cerebrale (tipo di coagulo di sangue nel cervello); sono stati altresi' identificati possibili segnali di mielite trasversa (infiammazione di una parte del midollo spinale) dopo vaccini a vettore virale e di encefalomielite acuta disseminata (infiammazione e gonfiore nel cervello e nel midollo spinale) dopo l'identificazione di vaccini a vettore virale e mRNA. 4.3. Possibile violazione dell'art. 32, comma 2, della Costituzione. Sospetti ulteriori di incostituzionalita' delle norme censurate esistono rispetto all'art. 32, comma 2, della Costituzione, nella misura in cui esso dispone che, anche nei casi di trattamenti sanitari obbligatori disposti per legge, quest'ultima «non puo' in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Le stesse norme interposte, tra cui la legge 23 dicembre, 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, nel ribadire che gli accertamenti e trattamenti sanitari «sono di norma volontari» (art. 33, comma 1), specifica che nei casi in cui la legge prevede che possano essere disposti dall'autorita' sanitaria «questi devono avvenire nel rispetto della dignita' della persona e dei diritti civili e politici.» (art. 33, comma 2, legge n. 833 cit.). Sebbene la legge possa prevedere l'obbligatorieta' di determinati trattamenti sanitari, sono rarissimi, ed ancorati a precisi presupposti, i casi in cui l'ordinamento consente la possibilita' di eseguirli contro la volonta' della persona (ad es., e' il caso del T.S.O.), valendo da sempre il principio che gli accertamenti ed i trattamenti obbligatori debbano essere «accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi e' obbligato» e che «L'unita' sanitaria locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti organici tra servizi e comunita'» (art. 33, comma 5, legge n. 833/1978). La Corte costituzionale ha sottolineato al riguardo che deve essere salvaguardata in ogni caso la «dignita' della persona, che comprende anche il diritto alla riservatezza sul proprio stato di salute ed al mantenimento della vita lavorativa e di relazione compatibile con tale stato» (sentenza n. 218 del 1994, secondo la quale «il rispetto della persona esige l'efficace protezione della riservatezza, necessaria anche per contrastare il rischio di emarginazione nella vita lavorativa e di relazione.»). Ebbene, per quanto sopra detto, deve ritenersi che le estreme e draconiane conseguenze imposte ex lege per i lavoratori non sottoposti a vaccinazione (esclusione dalla sede lavorativa, emarginazione dal contesto lavorativo, assenza dal lavoro, privazione di qualsiasi emolumento legato al rapporto di lavoro), con il necessario clamore creatosi agli occhi dei colleghi e degli utenti, abbiano determinato negli interessati la lesione del loro diritto alla riservatezza e al mantenimento della loro vita lavorative e di relazione. 4.2. Possibile ulteriore violazione dell'art. 3 della Costituzione. Come gia' accennato, l'impossibilita' del lavoratore non vaccinato, estromesso dal lavoro, di accedere a forme di assistenza minime, come quella dell'assegno alimentare (comunque denominato), sembra integrare un'ulteriore violazione dell'art. 3 della Costituzione, per violazione del principio di eguaglianza e per irragionevolezza, posto che impedisce anche l'applicazione di quelle misure di sostegno previste persino in caso di sospensione cautelare del lavoratore, laddove quest'ultimo abbia commesso (o sia sospettato di aver integrato) la commissione di determinati fatti costituenti reato, idonei a determinare anche l'irrogazione di sanzioni disciplinari. Nel tempo, l'ordinamento ha sempre previsto tali forme di sostentamento, riconoscendo in favore del lavoratore pubblico, nel periodo di sospensione, un assegno alimentare o altri istituti sostanzialmente analoghi. Si considerino, a titolo esemplificativo: l'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, recante il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, secondo cui «All'impiegato sospeso e' concesso un assegno alimentare in misura non superiore alla meta' dello stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia»; l'art. 500 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante il testo unico del personale scolastico, contenente analoga disposizione anche in materia di sospensione disciplinare; gli articoli 10, 21, comma 4, e 22, comma 4 del decreto legislativo del 23 febbraio 2006, n. 109, recante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, i quali contengono la previsione dell'erogazione dell'assegno alimentare sia nelle ipotesi di sospensione disciplinare (art. 10 del decreto legislativo n. 109 cit.), sia nelle ipotesi di sospensione cautelare, obbligatoria o facoltativa (articoli 21, comma 4, e 22, comma 4 del decreto legislativo n. 109 cit.); l'art. 920, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, contenente il «Codice dell'ordinamento militare», ai sensi del quale, in tutti i casi di sospensione dal servizio (sospensione obbligatoria a seguito di condanna penale definitiva a pena detentiva, sospensione precauzionale, obbligatoria o facoltativa, in connessione a procedimento penale, sospensione precauzionale facoltativa in corso di procedimento disciplinare) al militare sospeso «dall'impiego compete la meta' degli assegni a carattere fisso e continuativo». La stessa contrattazione collettiva del pubblico impiego privatizzato ex art. 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, competente a regolare «la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni», ex art. 55, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, prevede l'assegno alimentare nei casi di sospensione cautelare del dipendente, anche laddove quest'ultima si protragga per un notevole arco temporale, in quanto disposta in attesa degli esiti di un procedimento penale, e dunque anche per fatti ritenuti di oggettiva gravita' e disvalore sociale. Si consideri, per quanto riguarda il comparto dei dipendenti della Regione Sicilia non appartenenti alla qualifica dirigenziale, a cui afferisce il rapporto di lavoro delle parti ricorrenti, l'art. 75, comma 1, del C.C.R.L. del 9 maggio 2019, relativo al triennio giuridico ed economico 2016/2018, il quale prevede la conservazione del diritto alla retribuzione nell'ipotesi di sospensione cautelare disposta (per un massimo di giorni trenta) in corso di procedimento disciplinare. Si valuti, ancor di piu', l'art. 76, comma 7, del suddetto C.C.R.L., il quale prevede in caso di sospensione cautelare, obbligatoria o facoltativa, per la pendenza di un procedimento penale a carico del dipendente, l'erogazione in favore dello stesso di «un'indennita' pari al 50% dello stipendio tabellare, nonche' gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione individuale di anzianita', ove spettanti». Si consideri che tale indennita', del tutto sovrapponibile all'istituto dell'assegno alimentare previsto dall'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, viene riconosciuta in tutti i casi di sospensione cautelare individuati dall'art. 76 del C.C.R.L., e, dunque, anche laddove il dipendente sia «colpito da misura restrittiva della liberta' personale» (art. 76, comma 1) ovvero anche nel caso in cui il dipendente «venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della liberta' personale o questa sia comunque cessata, qualora l'Azienda o ente disponga, ai sensi dell'art. 55-ter del decreto legislativo n. 165 del 2001, la sospensione del procedimento disciplinare fino al termine di quello penale» (art. 76, comma 2). Trattasi di indennita' che viene riconosciuta anche per periodi molto ampi di sospensione, come risulta dalla lettura dell'art. 76, comma 6, C.C.R.L., secondo cui la sospensione dal servizio eventualmente disposta a causa di procedimento penale conserva efficacia, se non revocata, per un periodo non superiore a cinque anni. Alla luce di quanto previsto, genera dubbi di possibile violazione dell'art. 3, della Costituzione, una previsione, quale quella formante oggetto delle disposizioni impugnate, che, a fronte di una condotta (il mancato adempimento dell'obbligo vaccinale o, comunque, la mancata sottoposizione a vaccinazione) non integrante illecito ne' sul versante disciplinare, ne' sul versante penale, e che riguarda una fattispecie introdotta in una fase del tutto emergenziale, in un contesto del tutto eccezionale, neghi ai lavoratori non vaccinati persino la corresponsione di quelle indennita' - come l'assegno alimentare - generalmente riconosciute dall'ordinamento per far fronte ai bisogni alimentari basilari del lavoratore sospeso, anche laddove quest'ultimo sia coinvolto in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravita', posto che cio' sembra generare una irragionevole disparita' di trattamento, peraltro a scapito di quelle condotte che proprio per previsione legislativa sono esenti da alcun tipo di rilievo. P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Visti gli articoli 2, 3, 4, 32 e 36 della Costituzione; Ritenuto, in relazione alle suddette disposizioni, rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale relative: all'art. 1 del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 novembre 2021, n. 165, nella parte in cui prevede che, «ai fini dell'accesso ai luoghi di lavoro, nell'ambito del territorio nazionale, ... e' fatto obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, una delle certificazioni verdi COVID-19 da vaccinazione, guarigione o test,», nonche' nella parte in cui prevede che il lavoratore pubblico privo di certificazione verde «e' considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della predetta certificazione» e, comunque, non oltre la «cessazione dello stato di emergenza» e che «per i giorni di assenza ingiustificata di cui al primo periodo non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati.»; all'art. 1. del decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2022, n. 18, nella parte in cui prevede che l'obbligo vaccinale per la prevenzione del COVID-19 si «applica» a tutti i cittadini «che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di eta'», che tutti i lavoratori, pubblici e privati, ultracinquantenni «ai quali si applica l'obbligo vaccinale» «per l'accesso ai luoghi di lavoro nell'ambito del territorio nazionale, devono possedere e sono tenuti a esibire una delle certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione» e che i lavoratori ultracinquantenni destinatari dell'obbligo vaccinale, qualora «comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 di cui al comma 1 o risultino privi della stessa al momento dell'accesso ai luoghi di lavoro» non possono accedere «ai luoghi di lavoro» e «sono considerati assenti ingiustificati» e che «per i giorni di assenza ingiustificata ..., non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati.»; Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Catania, 14 febbraio 2025 Il giudice del lavoro: Tripi