Reg. ord. n. 74 del 2025 pubbl. su G.U. del 30/04/2025 n. 18

Ordinanza del Tribunale di Catania  del 17/02/2025

Tra: E.A. L.  C/ Assessorato delle infrastrutture e della mobilità della Regione Siciliana



Oggetto:

Salute (Tutela della) – Profilassi internazionale – Certificazione verde COVID-19 (cosiddetto green pass) – Obbligo, dal 15 ottobre 2021 al 31 dicembre 2021, per il personale delle amministrazioni pubbliche (nel caso di specie: dipendenti della Regione siciliana) di possedere ed esibire la certificazione verde COVID-19 ai fini dell’accesso ai luoghi di lavoro – Inadempimento – Effetti – Previsione che il lavoratore è considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della certificazione o al termine del 31 dicembre 2021, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro – Previsione che per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione, né altro compenso o emolumento, comunque denominati – Denunciata introduzione di un obbligo surrettizio di vaccinazione – Violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità – Lesione della dignità della persona, sia in relazione alla preclusione di ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni della vita, sia in relazione all’obbligo di sottoposizione, ogni due giorni, al tampone – Violazione del diritto all’identità personale e all’esplicazione della personalità sul luogo di lavoro – Lesione del diritto al lavoro – Irragionevolezza della previsione dell’obbligo di possesso del green pass per tutti i lavoratori senza distinzioni di mansioni – Lesione del diritto alla salute – Lesione della dignità umana conseguente alla sottoposizione a un trattamento sanitario assimilato a un trattamento sanitario obbligatorio – Violazione dei principi di eguaglianza e di proporzionalità derivanti dall’esclusione dal riconoscimento dell’indennità alimentare, rispetto ai lavoratori sospesi ai quali viene contestata una condotta illecita (disciplinare o penale).

- Decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165, art. 1, introduttivo dell’art. 9-quinquies nel decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87.

- Costituzione artt. 2, 3, 4, 32, commi primo e secondo, e 36.

Salute (Tutela della) – Profilassi internazionale – Vaccinazioni per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 – Previsione dell’obbligo vaccinale per i cittadini italiani e di altri Stati membri dell’Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché per gli stranieri di cui agli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 286 del 1998, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età – Obbligo di possedere, ai fini dell’accesso ai luoghi di lavoro, le certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione – Inadempimento – Effetti – Previsione che il lavoratore è considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della certificazione o al termine del 15 giugno 2022, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro – Previsione che per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione, né altro compenso o emolumento, comunque denominati – Violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità – Lesione della dignità della persona, in relazione alla preclusione di ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni della vita – Violazione del diritto all’identità personale e all’esplicazione della personalità sul luogo di lavoro – Lesione del diritto al lavoro – Irragionevolezza della previsione dell’obbligo di vaccinazione per tutti i soggetti ultracinquantenni, sotto il profilo dell’individuazione della platea dei destinatari basata sulla mera età anagrafica – Irragionevolezza della previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti di tutti i lavoratori senza distinzioni di mansioni – Lesione del diritto alla salute – Lesione della dignità umana conseguente al trattamento sanitario – Violazione dei principi di eguaglianza e di proporzionalità derivanti dall’esclusione dal riconoscimento dell’indennità alimentare, rispetto ai lavoratori sospesi ai quali viene contestata una condotta illecita (disciplinare o penale).

- Decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 4 marzo 2022, n. 18, art. 1, introduttivo degli artt. 4-quater, 4-quinquies e 4-sexies nel decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76.

- Costituzione artt. 2, 3, 4, 32, commi primo e secondo, e 36.

Norme impugnate:

decreto-legge  del 21/09/2021  Num. 127  Art. 1

legge  del 19/11/2021  Num. 165

decreto-legge  del 22/04/2021  Num. 52  Art. 9

legge  del 17/06/2021  Num. 87

decreto-legge  del 07/01/2022  Num. 1  Art. 1

legge  del 04/03/2022  Num. 18

decreto-legge  del 01/04/2021  Num. 44  Art. 4

decreto-legge  del 01/04/2021  Num. 44  Art. 4

decreto-legge  del 01/04/2021  Num. 44  Art. 4

legge  del 28/05/2021  Num. 76



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 32   Co.

Costituzione  Art. 32   Co.

Costituzione  Art. 36   Co.  



Camera di Consiglio del 17 novembre 2025 rel. SANDULLI M. A.


Testo dell'ordinanza

                        N. 74 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 2025

Ordinanza  del  17  febbraio  2025  del  Tribunale  di  Catania   nel
procedimento  civile  promosso  da  E.A.  L.  e  G.B.R.   C.   contro
Assessorato delle infrastrutture  e  della  mobilita'  della  Regione
siciliana. 
 
Salute (Tutela della) - Profilassi  internazionale  -  Certificazione
  verde COVID-19 (cosiddetto green pass) - Obbligo,  dal  15  ottobre
  2021 al 31 dicembre 2021, per il  personale  delle  amministrazioni
  pubbliche (nel caso di specie: dipendenti della Regione  siciliana)
  di possedere ed esibire la certificazione verde  COVID-19  ai  fini
  dell'accesso ai luoghi  di  lavoro  -  Inadempimento  -  Effetti  -
  Previsione che il lavoratore e' considerato assente  ingiustificato
  fino alla presentazione della certificazione o al  termine  del  31
  dicembre 2021, senza conseguenze disciplinari e  con  diritto  alla
  conservazione del posto di lavoro - Previsione che per i giorni  di
  assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione,  ne'  altro
  compenso o emolumento, comunque denominati. 
Salute (Tutela della) - Profilassi internazionale - Vaccinazioni  per
  la  prevenzione   dell'infezione   da   SARS-CoV-2   -   Previsione
  dell'obbligo vaccinale per i cittadini italiani e  di  altri  Stati
  membri dell'Unione europea residenti nel  territorio  dello  Stato,
  nonche' per gli stranieri di cui agli artt. 34 e 35 del  d.lgs.  n.
  286 del 1998, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di eta'  -
  Obbligo di possedere, ai fini dell'accesso ai luoghi di lavoro,  le
  certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione  o  di  guarigione  -
  Inadempimento  -  Effetti  -  Previsione  che  il   lavoratore   e'
  considerato assente ingiustificato fino  alla  presentazione  della
  certificazione o al termine del 15 giugno 2022,  senza  conseguenze
  disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro -
  Previsione che per i giorni  di  assenza  ingiustificata  non  sono
  dovuti la retribuzione, ne' altro compenso o  emolumento,  comunque
  denominati. 
- Decreto-legge  21  settembre  2021,  n.  127  (Misure  urgenti  per
  assicurare lo  svolgimento  in  sicurezza  del  lavoro  pubblico  e
  privato  mediante  l'estensione   dell'ambito   applicativo   della
  certificazione verde COVID-19 e il  rafforzamento  del  sistema  di
  screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19  novembre
  2021, n. 165, art. 1; decreto-legge 7 gennaio 2022,  n.  1  (Misure
  urgenti per fronteggiare l'emergenza COVID-19, in  particolare  nei
  luoghi di lavoro, nelle scuole e negli  istituti  della  formazione
  superiore), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  4  marzo
  2022, n. 18, art. 1. 


(GU n. 18 del 30-04-2025)

 
                        TRIBUNALE DI CATANIA 
 
 
                           Sezione lavoro 
 
    Il Tribunale di Catania in funzione di giudice del lavoro,  nella
persona del  dott.  Giuseppe  Tripi,  all'esito  dell'udienza  del  7
febbraio 2024, trattata in forma scritta o cartolare ex art.  127-ter
del codice di procedura civile, ha pronunciato la seguente  ordinanza
di  rimessione  alla  Corte  costituzionale   (articoli   134   della
Costituzione e 23 della legge 11  marzo  1953,  n.  87)  nella  causa
iscritta al n. 2412/2022 R.G.L. 
    Promossa da L. E. A. e C. G.  B.  R.,  con  il  patrocinio  degli
avv.ti Francesca Marchi e Claudia Giacquinta - ricorrenti. 
    Contro assessorato  infrastrutture  e  mobilita'  -  Dipartimento
infrastrutture mobilita' e  trasporti  della  Regione  Siciliana,  in
persona del legale rappresentante  pro  tempore,  con  il  patrocinio
dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania - resistente. 
1. Ricostruzione dei fatti. 
    Le parti ricorrenti in epigrafe indicate sono dipendenti a  tempo
indeterminato  della  Regione  Sicilia  e  prestano  (o,  quantomeno,
prestavano al momento  del  deposito  del  ricorso)  servizio  presso
l'Ufficio provinciale della  motorizzazione  civile  di  Catania,  la
sig.ra L. nella qualifica di istruttore  direttivo  e  la  sig.ra  C.
nella qualifica di operatore amministrativo. 
    Con ricorso depositato in data 26 marzo 2022, le ricorrenti hanno
esposto che, a decorrere dal 15 ottobre 2021, e' stato impedito  loro
di accedere nella sede di servizio in attuazione della previsione  di
cui al decreto-legge n. 127/2021, convertito dalla legge n. 165/2021,
esse  non  essendosi  sottoposte  alla   vaccinazione   imposta   per
contrastare  il  fenomeno  epidemiologico  SARS-CoV-2  e,   pertanto,
essendo sprovviste della relativa certificazione (c.d.  green  pass);
hanno  lamentato,  che,  a  decorrere  da  tale  data,   sono   state
considerate  assenti  dal  lavoro  e  non  hanno  piu'  percepito  la
retribuzione, ne' qualsiasi altro emolumento legato  al  rapporto  di
lavoro, e che e' stata loro chiesta la  restituzione  degli  stipendi
che, comunque, erano stati loro  versati  per  il  mese  di  ottobre,
novembre e, in parte, dicembre 2021. 
    Deducendo il loro stato di necessita' economica  discendente  dal
venir meno della  fonte  di  sostentamento  che  era  assicurato  dal
godimento della retribuzione,  hanno  chiesto  in  via  d'urgenza  al
Tribunale adito di essere reintegrate nel posto  di  lavoro,  con  il
pagamento delle retribuzioni dovute al momento dell'interdizione  dal
luogo di lavoro sino all'effettiva reintegra, ovvero,  in  subordine,
di disporre il pagamento di un congruo assegno alimentare, in  attesa
della definizione del processo. 
    Nel  merito,  previa,  ove  necessario,   disapplicazione   della
normativa sopra citata e remissione alla Corte  costituzionale  delle
relative questioni di legittimita' costituzionale, hanno domandato di
accertare,  dichiarare  e  ritenere  il  loro   diritto   ad   essere
immediatamente reintegrate nel posto  di  lavoro  e  ad  ottenere  il
pagamento della retribuzione, e di  ogni  altro  emolumento  comunque
denominato,  incluso  il  versamento  dei  contributi   pensionistici
direttamente all'ente previdenziale, con decorrenza  dal  15  ottobre
2021, o in via meramente gradata con decorrenza dal 15 febbraio 2022,
e fino alla effettiva reintegra, con conseguente condanna della parte
resistente alla immediata reintegra delle lavoratrici ed al pagamento
delle somme pretese; in  via  meramente  gradata,  hanno  chiesto  di
accertare e dichiarare il loro diritto, per il periodo ricompreso tra
il 15 ottobre 2021 e l'effettiva ripresa del  servizio,  a  percepire
quanto meno un assegno c.d. alimentare,  in  ragione  del  50%  della
retribuzione corrente, o di quella diversa, maggior o  minore,  somma
che dovesse essere ritenuta equa e di giustizia, oltre  agli  assegni
per i carichi di famiglia. 
    A sostegno delle loro domande, le ricorrenti hanno dedotto: 
        la illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 32
della Costituzione, delle disposizioni (art. 1) del decreto-legge  n.
1/2022, convertito dalla legge n. 21/2022, che,  introducendo  l'art.
4-quater del decreto-legge n. 44 del 2021,  hanno  sancito  l'obbligo
vaccinale per tutti  i  soggetti  ultracinquantenni  (fossero  o  non
fossero  lavoratori),   argomentando   sulla   base   del   carattere
sperimentale della vaccinazione anti COVID-19  e  della  mancanza  di
certezze  in  ordine  alla  idoneita'  del  vaccino  ad  impedire  la
circolazione del virus (dal positivo riscontro della  quale  soltanto
discenderebbe l'esigenza  di  tutelare  l'interesse  collettivo  alla
salute  a  scapito  del   diritto   fondamentale   del   singolo   ad
autodeterminarsi in materia di tutela della salute  propria)  e  alla
inesistenza di ripercussioni negative (sotto forma di effetti avversi
o malori improvvisi o compromissione  del  sistema  immunitario)  per
coloro che alla vaccinazione si sottopongano; 
        la  illegittimita'  costituzionale,  per   violazione   degli
articoli 1, 2, 4, 32 e 36 della Costituzione, degli articoli 1, 2 e 3
del decreto-legge n. 127/2021, convertito dalla  legge  n.  165/2021,
che, introducendo gli articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies  del
decreto-legge n. 52/2021, convertito dalla legge  n.  87/2021,  hanno
stabilito, a decorrere dal 15 ottobre 2021, il divieto di accedere ai
luoghi di lavoro per i lavoratori del settore pubblico e del  settore
privato che non fossero in possesso e,  su  richiesta,  non  avessero
esibito  il  certificato  verde  attestante  lo  stato  di   avvenuta
vaccinazione  contro  il  SARS-CoV-2  o  lo   stato   di   guarigione
dall'infezione da SARS-CoV-2 o l'effettuazione, con  esito  negativo,
di un test antigenico rapido o molecolare, atteso  che  tale  divieto
andrebbe ritenuto illegittimo, sproporzionato e  discriminatorio,  in
quanto impediva lo svolgimento dell'attivita' lavorativa e comportava
la  perdita  della  retribuzione,  senza  al  contempo  impedire   la
circolazione della infezione e men che mai garantire la sicurezza del
luogo  di  lavoro,  ne'  varrebbe  a  giustificare  tale  divieto  la
possibilita'  offerta  al  lavoratore  di  ottenere  un   certificato
temporaneo, previa effettuazione di un  tampone,  perche'  sottoporsi
ogni quarantotto ore  ad  un  tempone  si  sarebbe  tradotto  in  una
inammissibile ulteriore discriminazione, in quanto il  lavoratore  in
tal modo, a parita'  di  funzioni,  avrebbe  verrebbe  percepito  una
retribuzione, di fatto, inferiore (al netto dei costi da sostenersi); 
        l'illegittimita'   costituzionale,   per   violazione   degli
articoli 1, 2, 4,  32  e  36  della  Costituzione,  dell'art.  1, del
decreto-legge n. 1/2022, convertito  dalla  legge  n.  21/2022,  che,
introducendo l'art. 4-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2021,  ha
previsto il divieto di accedere ai  luoghi  di  lavoro  per  tutti  i
lavoratori, pubblici e privati, ultracinquantenni che non fossero  in
possesso del certificato verde da vaccinazione  o  guarigione,  cosi'
impedendo lo svolgimento di attivita'  lavorativa  e  privando  della
retribuzione tutti i lavoratori che avessero piu' di cinquanta  anni,
apparendo come  una  misura  sproporzionata  (prevista  per  tutti  i
lavoratori ultracinquantenni, a  prescindere  dal  tipo  di  mansioni
svolte e dalle modalita' di esecuzione  della  prestazione,  e  senza
prevedere forme alternative di esecuzione della prestazione, come  il
lavoro agile), inefficace a  contenere  la  diffusione  del  virus  e
coercitiva, imponendo al lavoratore di scegliere  tra  il  sottoporsi
alla vaccinazione e il perdere il proprio lavoro e la  propria  fonte
di sostentamento,  di  fatto  risultando  una  forma  di  trattamento
sanitario obbligatorio; 
        l'illegittimita'   costituzionale,   per   violazione   degli
articoli  2,  3,  e  36  della   Costituzione,   dell'art.   1,   del
decreto-legge n. 1/2022,  convertito  dalla  legge  n.  21/2022,  che
introducendo l'art 4-quinquies del decreto-legge n. 44 del  2021,  ha
sancito la mancata spettanza  della  retribuzione  e  di  ogni  altro
emolumento  connesso  al  rapporto  di  lavoro   per   i   lavoratori
ultracinquantenni che non fossero in possesso del super green pass  o
del green pass rafforzato, senza prevedere la  corresponsione  di  un
assegno alimentare idoneo a garantire loro un minimo  vitale  per  il
sostentamento,  assegno  che,  avendo  natura  assistenziale,   viene
generalmente  riconosciuto  ai  lavoratori  in  caso  di  sospensione
disciplinare o cautelare, e cio' a fronte di una  condotta  libera  e
lecita del soggetto (quale sarebbe  quella  di  non  sottoporsi  alla
vaccinazione), espressamente ritenuta dalla legge priva di  rilevanza
disciplinare. 
    Instauratosi il contraddittorio, l'amministrazione resistente  si
e' regolarmente costituita in giudizio per il tramite dell'avvocatura
erariale, la quale, alla luce  della  normativa  in  discussione,  ha
chiesto il rigetto del ricorso. 
    All'udienza fissata per la trattazione dell'istanza cautelare, il
difensore delle ricorrenti ha dato atto che  le  stesse  erano  state
riammesse in servizio in data 2  maggio  2022  ed  ha  dichiarato  di
rinunciare al ricorso proposto in via d'urgenza, per cui  il  giudice
ha dichiarato non luogo a provvedere sulla domanda cautelare. 
    Indi, rinviato il procedimento su richiesta del  difensore  delle
ricorrenti, ritenuta la causa matura  per  la  decisione  e  concesso
termine per note difensive, all'esito  dell'udienza  del  7  febbraio
2025, trattata in forma scritta  o  cartolare  ex  art.  127-ter  del
codice di procedura civile, e' stata emessa la presente ordinanza. 
2. Ricognizione normativa. 
    Giova effettuare una breve  ricostruzione  del  quadro  normativo
vigente, per quanto di interesse per le questioni oggetto di causa. 
    Gli articoli 1, 2 e 3 del decreto-legge  21  settembre  2021,  n.
127, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 novembre 2021,  n.
165, ha introdotto gli articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies del
decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, stabilendo,  a  decorrere  dal  15
ottobre 2021 e fino alla cessazione  dello  stato  di  emergenza,  il
divieto di accedere ai luoghi di lavoro per i lavoratori del  settore
pubblico (compresi i  magistrati,  i  soggetti  titolari  di  cariche
elettive o di  cariche  istituzionali  di  vertice,  i  membri  ed  i
dipendenti degli  organi  costituzionali,  degli  organi  di  rilievo
costituzionale e delle autorita' amministrative indipendenti)  e  del
settore privato, nonche'  per  «tutti  i  soggetti  che  svolgono,  a
qualsiasi titolo, la propria attivita' lavorativa o di  formazione  o
di volontariato presso le amministrazioni» pubbliche o presso aziende
private, «anche sulla base di contratti esterni» che non  fossero  in
possesso e, su richiesta, non avessero esibito  il  c.d.  certificato
verde  attestante  lo  stato  di  avvenuta  vaccinazione  contro   il
SARS-CoV-2  (c.d.  super  green  pass)  o  lo  stato  di   guarigione
dall'infezione  da  SARS-CoV-2  (c.d.  green   pass   rafforzato)   o
l'effettuazione, con esito negativo, di un test antigenico  rapido  o
molecolare (c.d. green pass base), cio'  «al  fine  di  prevenire  la
diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2» e «al fine  di  tutelare  la
salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza»  (cosi'
si esprimono i citati articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies). 
    Il comma 3 dei suddetti articoli 9-quinquies  e  9-septies  e  il
comma 7 del citato art. 9-sexies  escludono  dall'applicazione  delle
disposizioni in tema di divieto di accesso ai  luoghi  di  lavoro  «i
soggetti esentati dalla somministrazione del vaccino  sulla  base  di
idonea certificazione medica». 
    Ed ancora, per quello che rileva in questa sede, il comma  6  dei
medesimi articoli  9-quinquies  e  9-septies,  poi,  prevede  che  il
personale, «nel caso in cui comunichi di non essere in possesso della
certificazione verde COVID-19 o qualora risulti privo della  predetta
certificazione al momento dell'accesso al luogo di lavoro, al fine di
tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro,
e' considerato assente ingiustificato fino alla  presentazione  della
predetta certificazione» e, comunque, non oltre la «cessazione  dello
stato di emergenza, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla
conservazione del  rapporto  di  lavoro.  Per  i  giorni  di  assenza
ingiustificata  di  cui  al  primo  periodo  non   sono   dovuti   la
retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati.». 
    Analogamente, il  comma  2,  dell'art.  9-sexies,  con  specifico
riferimento al personale  di  magistratura,  dispone  che  «l'assenza
dall'ufficio  conseguente  al  mancato  possesso   o   alla   mancata
esibizione della certificazione verde COVID-19 [...]  e'  considerata
assenza ingiustificata con diritto alla conservazione del rapporto di
lavoro. Per i giorni  di  assenza  ingiustificata  di  cui  al  primo
periodo  non  sono  dovuti  la  retribuzione  ne'  altro  compenso  o
emolumento, comunque denominati.». 
    L'art. 1, del decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1, convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 marzo 2022, n. 18, ha introdotto  l'art.
4-quater del decreto-legge 1° aprile 2021,  n.  44,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge  28  maggio  2021,  n.  76,  il  quale,  a
decorrere dall'8 gennaio 2022 e fino al 15 giugno 2022, «al  fine  di
tutelare la  salute  pubblica  e  mantenere  adeguate  condizioni  di
sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza», ha
sancito l'obbligo vaccinale  per  la  prevenzione  dell'infezione  da
SARS-CoV-2 per tutti  i  soggetti,  cittadini  italiani  o  stranieri
residenti in Italia, «che abbiano compiuto il cinquantesimo  anno  di
eta'», salvo che, «in caso di accertato pericolo per  la  salute,  in
relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal
medico di medicina generale dell'assistito o dal medico vaccinatore»,
la vaccinazione venga «omessa o differita». 
    Il citato decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1, ha  poi  introdotto
nel decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, l'art. 4-quinquies, il quale
stabilisce che, a decorrere dal 15 febbraio 2022, tutti i lavoratori,
pubblici e privati, ultracinquantenni «ai quali si applica  l'obbligo
vaccinale di cui» al precedente  art.  4-quater,  «per  l'accesso  ai
luoghi  di  lavoro  nell'ambito  del  territorio  nazionale,   devono
possedere e sono tenuti a  esibire  una  delle  certificazioni  verdi
COVID-19 di vaccinazione o di guarigione»,  con  esclusione,  quindi,
della rilevanza tale scopo del c.d. green pass base da esito negativo
di tampone. 
    Il quarto ed il quinto comma dello stesso art. 4-quinquies,  poi,
prevedono che i lavoratori ultracinquantenni destinatari dell'obbligo
vaccinale, qualora «comunichino  di  non  essere  in  possesso  della
certificazione verde COVID-19 di cui al comma  1  o  risultino  privi
della stessa al momento dell'accesso ai luoghi di lavoro, al fine  di
tutelare la salute e  la  sicurezza  dei  lavoratori  nei  luoghi  di
lavoro,»  non  possono  accedere  «ai  luoghi  di  lavoro»  e   «sono
considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari  e
con diritto alla conservazione del  rapporto  di  lavoro,  fino  alla
presentazione della predetta certificazione e, comunque, non oltre il
15 giugno 2022. Per i giorni di  assenza  ingiustificata  di  cui  al
primo periodo, non sono dovuti la retribuzione ne' altro  compenso  o
emolumento, comunque denominati.». 
3. Rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    Le parti ricorrenti, come  gia'  anticipato,  sono  dipendenti  a
tempo  indeterminato  della  Regione  Sicilia  e  rivestono   profili
professionali di natura amministrativa. 
    Le stesse non hanno ritenuto, a decorrere dal 15 ottobre 2021, di
sottoporsi alla vaccinazione anti  COVID-19  e,  a  decorrere  dall'8
gennaio 2022, di adempiere all'obbligo vaccinale prescritto per tutti
i  soggetti  ultracinquantenni,  ne'  hanno   allegato   di   essersi
sottoposte, di volta in volta, a tampone o di versare  in  una  delle
ipotesi per cui la vaccinazione poteva  essere  omessa  o  differita,
ragioni per le quali le stesse, a decorrere dal 15 ottobre 2021, sono
state interdette dall'accedere  al  luogo  di  lavoro  e  sono  state
considerate assenti dal servizio, con conseguente  privazione  totale
della retribuzione e di  qualsiasi  altro  emolumento  connesso  alla
prestazione lavorativa. 
    La disciplina prevista dall'art. 9-quinquies del decreto-legge 22
aprile 2021, n. 52  e  dall'art.  4-quinquies  del  decreto-legge  1°
aprile 2021, n. 44, sul punto,  appare  pero'  chiara  ed  inequivoca
nello stabilire che i dipendenti pubblici che non siano  in  possesso
del certificato verde da avvenuta vaccinazione  o  da  guarigione  o,
nella prima fase, da esito negativo di tampone non potessero accedere
ai luoghi di lavoro e fossero considerati assenti ingiustificati  dal
servizio,  «senza  conseguenze  disciplinari  e  con   diritto   alla
conservazione  del  rapporto  di  lavoro.»,  e,  sotto   il   profilo
economico,  nello  stabilire  che,   «per   i   giorni   di   assenza
ingiustificata non» erano «dovuti la retribuzione ne' altro  compenso
o emolumento, comunque denominati.». 
    Cosi'  come  appare  analogamente  ed  inequivoca  la  disciplina
dettata dall'art. 4-quater del decreto-legge 1° aprile 2021,  n.  44,
laddove  sancisce  l'obbligo   vaccinale   per   tutti   i   soggetti
ultracinquantenni, prevedendo un  obbligo  generale  di  compiere  un
adempimento sanitario ben determinato, con una dizione che non sembra
suscettibile di diversa interpretazione, e dall'art. 4-quinquies  del
citato  decreto-legge,  laddove  ha   previsto   che   i   lavoratori
ultracinquantenni  sottoposti  all'obbligo  vaccinale,   per   potere
accedere ai luoghi di lavoro, dovevano «possedere» ed erano «tenuti a
esibire una delle certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o  di
guarigione»,  e  laddove,  in  caso  contrario,  gli   stessi   erano
considerati  assenti  ingiustificati  e  non  avessero  diritto  alla
retribuzione e a qualsivoglia altro «compenso o emolumento,  comunque
denominati.». 
    Le disposizioni legislative sopra  menzionate,  quindi,  dato  il
loro disposto  certo  e  preciso,  non  prestano  il  fianco  ad  una
pluralita' di soluzioni interpretative astrattamente possibili. 
    Per  quanto  precede,  non  si  reputa  percorribile  la   strada
dell'interpretazione costituzionalmente orientata  o  adeguata  delle
disposizioni in  esame,  interpretazione  che,  viceversa,  trova  il
proprio spazio esplicativo soltanto  in  presenza  di  incertezza  ed
equivocita' del testo normativo. 
    La Corte costituzionale, invero,  ha  piu'  volte  affermato  che
«l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del  quale
il tentativo interpretativo deve cedere  il  passo  al  sindacato  di
legittimita' costituzionale» (cosi' ex multis sentenza n. 91  del  20
maggio 2013; sentenza n. 78 del 5 aprile 2012; sentenza n. 26 del  25
gennaio 2010; sentenza n. 219 dell'11 giugno 2008). 
    L'imprescindibile e chiaro tenore letterale delle disposizioni in
esame ne comporta un'applicazione obbligata in tutti i casi in cui la
parte non si sia sottoposta a vaccinazione o, in alternativa, non  si
trovi nella situazione di avvenuta guarigione o,  prima  dell'entrata
in vigore del decreto-legge n.  1/2022,  non  abbia  effettuato,  con
esito negativo, un tampone e, nella seconda fase, non  abbia  assolto
l'obbligo vaccinale, senza possibilita'  di  attribuire  ad  essa  un
significato diverso da quello di cui si sospetta la illegittimita'. 
    Non appare quindi possibile,  allo  stato  del  diritto  vigente,
dichiarare la illegittimita'  della  interdizione  dal  lavoro  delle
ricorrenti  e  della   conseguente   mancata   corresponsione   della
retribuzione nei loro confronti,  ne'  appare  possibile  riconoscere
alle parti ricorrenti l'assegno alimentare ovvero ogni altra forma di
tutela economica di natura assistenziale. 
    La questione che si pone appare dunque rilevante, posto che, solo
ove  le   disposizioni   di   cui   si   chiede   lo   scrutinio   di
costituzionalita' venissero ritenute illegittime, nella parte in cui,
appunto,  impongono  l'esclusione  dal  contesto   lavorativo   delle
ricorrenti ed il conseguente venir meno del loro diritto al correlato
trattamento retributivo, ivi  compresa  l'erogazione  di  un  assegno
alimentare o di qualsiasi altro emolumento di  natura  assistenziale,
le domande attoree potrebbero trovare accoglimento. 
4.  Non  manifesta  infondatezza  delle  questioni  di   legittimita'
costituzionale. 
    4.1.  Verranno  unitariamente  esposte  le  ritenute  ragioni  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 7 gennaio
2022, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo  2022,
n. 18, che, introducendo l'art. 4-quater del decreto-legge 1°  aprile
2021, n. 44, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  28  maggio
2021,   n.   76,   ha   sancito   l'obbligo   vaccinale    per    gli
ultracinquantenni, e dell'art. 1 del decreto-legge 21 settembre 2021,
n. 127, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 novembre  2021,
n. 165, che introducendo  l'art.  9-quinquies  del  decreto-legge  22
aprile 2021, n. 52, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  17
giugno 2021, n. 87, ha stabilito il divieto di accesso  al  luogo  di
lavoro per i soggetti ivi  menzionati,  in  quanto  analoghi  sono  i
presupposti applicativi (mancata vaccinazione)  e  analoghe  sono  le
conseguenze previste, nell'un caso, per l'inadempimento  dell'obbligo
vaccinale  e,  nell'altro  caso,  per  la  mancata  sottoposizione  a
vaccinazione (salve, sia nel primo che nel secondo caso,  le  ipotesi
di esenzione o guarigione), e cioe'  la  sostanziale  esclusione  dal
mondo del lavoro, con la conseguente perdita del relativo trattamento
economico: e' possibile quindi ritenere che gia' il  citato  articolo
(cosi' come anche gli articoli 2 e 3) del decreto-legge  n.  127/2021
contenessero un obbligo surrettizio di vaccinazione, essi  ponendo  i
lavoratori  di  fronte  all'alternativa  ineludibile  di   vaccinarsi
(qualora  non  guariti  o  esentati  o,  come  vedremo,  qualora  non
intendessero sottoporsi a  tampone  ogni  due  giorni)  o  di  essere
temporaneamente estromessi dal posto di lavoro. 
    Allo stesso modo, verranno unitariamente analizzate  le  ritenute
ragioni di illegittimita' costituzionale delle suddette disposizioni,
nella parte in cui le stesse, in  maniera  del  tutto  sovrapponibile
anche  sul  piano  testuale,  hanno  stabilito   la   perdita   della
retribuzione  e  di  ogni  «altro  compenso  o  emolumento,  comunque
denominati» (e, quindi, anche di qualsiasi assegno alimentare) per  i
lavoratori considerati assenti dal servizio perche' non vaccinati  (o
non guariti o esentati). 
    4.2. Possibile violazione degli articoli  2,  3,  4  e  36  della
Costituzione. 
    Un primo dubbio che riguarda le disposizioni impugnate e'  quello
relativo alla compatibilita' delle stesse con i  principi  desumibili
dagli articoli 2, 3, 4 e 36 della Costituzione. 
    Una  prima  criticita'  concerne  la  possibile  violazione   del
principio  di  ragionevolezza  e   di   proporzionalita'   desumibile
dall'art. 3 della Costituzione, nonche' del principio di tutela della
dignita' della persona umana di cui all'art. 2 della Costituzione. 
    Sul punto, giova osservare che l'art. 2 della  Costituzione,  nel
prevedere una particolare tutela dell'individuo,  sia  come  singolo,
sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua  personalita'  (tra
cui rientrano i luoghi di lavoro), non sembra  permettere  l'adozione
di misure che, per l'intransigenza e il  rigorismo  che  le  connoti,
possano arrivare fino al punto di ledere la dignita'  della  persona,
circostanza che sicuramente si verifica quando, come  disposto  dalle
norme denunciate, a questa si precluda l'accesso al luogo di lavoro e
ad ogni forma di trattamento retributivo,  normalmente  destinato  al
sostentamento proprio e della propria famiglia. 
    Cio' e' stato affermato, anche di recente,  dalla  giurisprudenza
costituzionale, financo nei riguardi di coloro che  hanno  gravemente
«violato il patto di solidarieta' sociale  che  e'  alla  base  della
convivenza civile», cioe' i condannati per i gravissimi reati di  cui
agli articoli 270-bis del codice penale (associazione finalizzata  al
terrorismo o all'eversione dell'ordine democratico), 280  del  codice
penale  (attentato  per  finalita'  terroristiche  o  di  eversione),
289-bis del codice penale (sequestro di persona a scopo di terrorismo
o di eversione), 416-bis del  codice  penale  (associazione  di  tipo
mafioso),   416-ter   del   codice   penale    (scambio    elettorale
politico-mafioso) e 422 del codice penale (strage) del codice penale,
nonche' per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni  previste
dal predetto art. 416-bis ovvero al  fine  di  agevolare  l'attivita'
delle   associazioni   previste   dallo   stesso   articolo    (Corte
costituzionale, 20 luglio 2021, n. 137). 
    In tale occasione, la Corte ha ricordato che la  possibilita'  di
modulare  la  disciplina  delle  misure   assistenziali   «non   puo'
pregiudicare quelle prestazioni che si  configurano  come  misure  di
sostegno indispensabili per una vita dignitosa, cosi' come anche  per
le provvidenze destinate al  soddisfacimento  di  bisogni  primari  e
volte alla garanzia per la stessa sopravvivenza, la cui  attribuzione
comporta il coinvolgimento di una serie di principi, tutti di rilievo
costituzionale (tra cui l'art. 2 della Costituzione)», ed  ha  quindi
dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma  61,
legge n. 92/2012, nella  parte  in  cui  prevedeva  la  revoca  delle
prestazioni, comunque denominate in base alla  legislazione  vigente,
quali l'indennita' di disoccupazione, l'assegno sociale, la  pensione
sociale e la pensione per  gli  invalidi  civili,  nei  confronti  di
coloro che, condannati per i reati sopra elencati, scontino  la  pena
in regime alternativo alla detenzione in carcere. 
    Sebbene quella esaminata dalla Corte riguardi fattispecie diversa
da quella oggi in scrutinio,  i  principi  dalla  stessa  evidenziati
sembrano (a fortiori) applicabili anche al caso di specie, laddove il
mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale o, comunque,  la  mancata
vaccinazione non sono considerati dallo stesso legislatore come  atti
penalmente  o  disciplinarmente  rilevanti  (il  sesto  comma   degli
articoli 9-quinquies e 9-septies del decreto-legge n.  52/2021  e  il
quinto comma  dell'art.  4-quinquies  del  decreto-legge  n.  44/2021
escludono  qualsiasi   tipo   di   «conseguenze   disciplinari»)   e,
cionondimeno, il lavoratore ultracinquantenne  o,  comunque,  per  il
periodo  anteriore  all'introduzione   del   relativo   obbligo,   il
lavoratore non vaccinato si vede, non solo impossibilitato a svolgere
la propria prestazione lavorativa a seguito del divieto di accesso al
luogo di lavoro e della correlata  assenza  dal  servizio,  ma  anche
deprivato persino di quegli istituti, come l'assegno alimentare,  che
- come si vedra' piu'  ampiamente  infra,  §  4.5. -  gli  verrebbero
invece garantiti  laddove  fosse  sospeso  poiche'  coinvolto  in  un
procedimento penale e  disciplinare,  con  misure  anche  restrittive
della liberta' personale, e dunque per  procedimenti  riguardanti  il
suo coinvolgimento in reati anche di oggettiva gravita'. 
    Giova, peraltro, considerare che  il  lavoratore  non  vaccinato,
escluso dal contesto lavorativo, non puo' accedere a quegli  istituti
che tutelano i lavoratori in caso di perdita dell'occupazione, quale,
ad es., l'indennita' di disoccupazione,  perche'  non  acquisisce  lo
status di lavoratore disoccupato (conservando  il  posto  di  lavoro,
ancorche'  svuotato  del  suo   contenuto   tipico),   essendo   tale
provvidenza in ogni modo preclusa  ai  lavoratori  pubblici  a  tempo
indeterminato, ne' puo' fruire - in quanto in eta'  lavorativa  -  di
quelle  provvidenze  che  presuppongono  una  determinata  anzianita'
anagrafica (ad es., l'assegno sociale). 
    I lavoratori ultracinquantenni inadempienti all'obbligo vaccinale
o, per il periodo anteriore, i  lavoratori  comunque  non  vaccinati,
quindi,  perdono  ogni  possibilita'  di  far  fronte  alle  esigenze
basilari della loro vita, non  potendo  fare  affidamento  su  alcuna
forma  di  sostegno  economico,  e,  ancor   prima   e   ancor   piu'
significativamente,  si  trovano  ad  essere  privati   del   diritto
fondamentale alla libera esplicazione  della  loro  personalita'  sul
luogo di lavoro, gli stessi, per effetto delle norme qui  denunciate,
non potendo  piu'  frequentare  l'ambiente  di  lavoro,  mantenere  i
rapporti con i colleghi e con gli utenti e arricchire  sul  campo  la
loro qualificazione professionale. 
    E' pertanto ovvio che i lavoratori  non  vaccinati,  costretti  a
restare a casa in condizioni di piena inoperosita', hanno subito  una
grave e perdurante lesione della loro sfera di dignita'  personale  e
di  integrita'  morale,  finendo   per   essere   ingiustificatamente
ghettizzati e discriminati rispetto alla generalita' dei lavoratori e
questo per effetto di una loro scelta - quella di  non  vaccinarsi  -
libera  e  consapevole,  non  costituente  ne'  reato  ne'   illecito
disciplinare. 
    Cosi' come  deve  ritenersi  lesiva  del  valore  della  dignita'
personale la  previsione  secondo  la  quale,  sotto  il  vigore  del
decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, il lavoratore non  vaccinato
(qualora sprovvisto di certificazione  di  avvenuta  guarigione)  era
costretto a sottoporsi ogni  due  giorni  al  tampone  che,  oltre  a
provocare  inevitabili  fastidi  e  sofferenze   a   livello   fisico
(provocate dall'inserimento  ripetuto  dell'apposito  attrezzo  nelle
narici o nella faringe) e sottrazione di tempo di vita alle ordinarie
occupazioni personali, a lungo andare comportava un notevole  esborso
economico per gli interessati. 
    Sotto tali profili, quindi, le norme denunciate sembrano  lesive,
oltre che del principio di eguaglianza e non discriminazione  di  cui
all'art. 3 della Costituzione, anche del diritto dei  lavoratori  non
vaccinati alla  loro  identita'  personale,  ricondotto  dalla  Corte
costituzionale alla previsione di cui all'art. 2 della  Costituzione,
da  intendere  come  il  diritto  ad  essere  se  stesso,   «con   la
acquisizione di idee ed esperienze, con le  convinzioni  ideologiche,
religiose, morali e sociali che differenziano  e,  al  tempo  stesso,
qualificano l'individuo»; identita' che costituisce «un bene per  se'
medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai
pregi e dai  difetti  del  soggetto,  di  guisa  che  a  ciascuno  e'
riconosciuto il diritto a che la sua individualita'  sia  preservata»
(sentenza n. 13 del 1994); in definitiva, secondo  il  giudice  delle
leggi, l'art.  2  della  Costituzione  si  pone  quale  presidio  per
«l'integrita' della sfera personale [dell'uomo] e la sua liberta'  di
autodeterminarsi nella vita privata» (sentenza n. 332 del 2000). 
    Ora, sebbene non si ignori che l'impianto  del  decreto-legge  n.
127/2021 e del decreto-legge n. 1/2022, sia  ispirato,  almeno  nelle
intenzioni  del  legislatore,  alla  finalita'   «di   prevenire   la
diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2» e «al fine  di  tutelare  la
salute  pubblica  e  mantenere  adeguate  condizioni  di  sicurezza»,
nell'ambito di una situazione emergenziale e del tutto straordinaria,
le conseguenze che  esso  implica  nella  sfera  del  dipendente  non
vaccinato   appaiono   tuttavia   eccessivamente   sproporzionate   e
sbilanciate, nell'ottica della necessaria considerazione degli  altri
valori costituzionali coinvolti, tra cui, innanzitutto,  la  dignita'
della persona, bene protetto da plurime previsioni della Carta, quali
gli articoli 2, 3, 32, comma 2, 36, 41 della Costituzione. 
    E' forse ultroneo rammentare che il diritto al lavoro costituisca
una delle principali prerogative dell'individuo,  su  cui  si  radica
l'ordinamento  italiano,  che  trova   protezione   nell'ambito   dei
«principi fondamentali» della Carta costituzionale (articoli 1, 4)  e
che viene tutelato, non  solo  in  quanto  strumento  attraverso  cui
ciascuno puo' sviluppare la propria personalita'  (art.  2),  potendo
cosi' concorrere al progresso materiale e spirituale  della  societa'
(art. 4), ma innanzitutto perche' costituisce il mezzo per assicurare
alla persona e al rispettivo nucleo familiare, attraverso  la  giusta
retribuzione, il diritto fondamentale di vivere un'esistenza libera e
dignitosa (art. 36 della Costituzione). 
    Nel momento in cui la legge, nel  precludere  al  lavoratore  non
vaccinato la possibilita'  di  espletare  la  prestazione  lavorativa
(anziche' applicare altre soluzioni, ad es.:  la  sottoposizione  del
lavoratore  ad  un  rigido  sistema  di  controllo  tramite  test  di
rilevazione  del  virus;  l'assegnazione  a  mansioni  diverse,   ove
possibili, etc.), non consente neppure che lo stesso possa fruire  di
un  sostentamento  minimo  per  far  fronte  alle  proprie   esigenze
basilari, essa, cosi' facendo, non puo'  che  esporsi  al  dubbio  di
rivelarsi eccessivamente sbilanciata e sproporzionata,  ad  eccessivo
detrimento del valore della dignita'  della  persona,  con  possibile
violazione,  oltre  che  dell'art.  2,  anche   dell'art.   3   della
Costituzione. 
    L'art. 1 del decreto-legge 7 gennaio  2022,  n.  1,  nel  sancire
l'obbligo vaccinale  generalizzato  ed  indiscriminato  per  tutti  i
soggetti ultracinquantenni, inoltre, sembra violare il  principio  di
ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione anche  sotto  il  profilo
della individuazione della platea dei soggetti  destinatari:  invero,
anziche' individuare l'ambito applicativo dei soggetti  cui  riferire
l'obbligo di vaccinazione in base ad  effettive  esigenze  di  tutela
della salute individuale e di prevenzione della diffusione del  virus
(cosa che sarebbe accaduto ove, ad esempio,  fossero  stati  indicati
come  destinatari  dell'obbligo  i  soggetti  vulnerabili  o  fragili
perche' immunodepressi o immunocompromessi, come i malati  oncologici
o coloro che sono sottoposti a trapianto di organi), il  legislatore,
prevedendo che fossero obbligati a sottoporsi alla vaccinazione tutti
coloro che avessero «compiuto il cinquantesimo anno», ha ancorato  la
previsione dell'obbligo vaccinale ad una soglia di  eta'  anagrafica,
senza che  sia  dato  comprendere  le  ragioni  oggettive  di  natura
sanitaria per quali una persona sana di cinquanta anni fosse tenuta a
vaccinarsi,  mentre  un  soggetto   immunodepresso   e   fragile   di
quarantanove anni, viceversa, fosse esentato dal correlativo obbligo. 
    Deve reputarsi, quindi, che, sotto tale profilo,  il  legislatore
abbia operato una scelta fondata su un  elemento  caduco,  labile  ed
effimero,  quale  e'  quello  connesso  alla  mera  eta'  anagrafica,
anziche'  individuare   le   categorie   dei   soggetti   destinatari
dell'obbligo  vaccinale  sulla  scorta  di  oggettive,  specifiche  e
comprovate esigenze di natura medica, curativa e preventiva. 
    E'  pertanto  configurabile  una  violazione  dell'art.  3  della
Costituzione ed una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra
coloro  che,  a  parita'  di  condizioni  di   salute,   al   momento
dell'entrata in vigore del decreto-legge  che  ha  sancito  l'obbligo
vaccinale, avevano compiuto il cinquantesimo anno di  eta'  e  coloro
che, viceversa, fossero quarantanovenni o di poco piu' giovani. 
    Si rammenti  al  riguardo  che  il  principio  di  ragionevolezza
desumibile dall'art. 3 della Costituzione impone che la legge  regoli
in maniera  uguale  situazioni  uguali  e  in  maniera  razionalmente
diversa situazioni diverse, con la conseguenza che la  disparita'  di
trattamento trova giustificazione nella diversita'  delle  situazioni
disciplinate: «il principio di uguaglianza e' violato anche quando la
legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso  ai
cittadini che si trovino in eguali situazioni» (sentenza  n.  15  del
1960), poiche' «l'art.  3  della  Costituzione  vieta  disparita'  di
trattamento di situazioni  simili  e  discriminazioni  irragionevoli»
(sentenza n. 96 del 1980). 
    In altri termini, l'art. 3 della Costituzione «deve assicurare ad
ognuno eguaglianza di trattamento, quando eguali siano le  condizioni
soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono
per  la  loro  applicazione»  (sentenza  n.  3  del  1957),  con   la
conseguenza che il principio risulta violato  «quando,  di  fronte  a
situazioni obiettivamente omogenee, si ha  una  disciplina  giuridica
differenziata,    determinando    discriminazioni    arbitrarie    ed
ingiustificate» (sentenza n. 111 del 1981). 
    Non puo' infine sottacersi che nelle fattispecie esaminate  nelle
sentenze della Corte costituzionale numeri  14,  15  e  16  del  2023
(sulle quali v. infra  il  paragrafo  4.3.),  la  prima  e  la  terza
relative all'obbligo  vaccinale  per  il  personale  sanitario  e  la
seconda relativa ai lavoratori impiegati  in  strutture  residenziali
socio-sanitarie  e  socio-assistenziali,   le   disposizioni   allora
censurate, a differenza di quelle denunciate in questa sede,  avevano
introdotto un obbligo vaccinale settoriale e non  generalizzato,  che
poteva sembrare coerente con la peculiare posizione  degli  operatori
sanitari e la specifica ratio dell'obbligo  vaccinale  loro  imposto,
individuabile nella esigenza di tenuta dei presidi ospedalieri  e  di
garanzia, per i pazienti che necessitano di  cura  e  assistenza,  di
poterle ricevere in  condizioni  di  massima  sicurezza  e  di  minor
rischio di contagio possibile. 
    E cio', appunto, a differenza della fattispecie oggi  scrutinata,
nella quale si discute della legittimita' costituzionale di norme  di
legge che hanno introdotto un  obbligo  vaccinale  generalizzato  per
tutti i soggetti ultracinquantenni e di un obbligo  di  possesso  del
green pass e, quindi, di sottoporsi  a  vaccinazione  indistintamente
per tutti i lavoratori, senza operare alcuna ragionevole  distinzione
tra lavoratori addetti a mansioni comportanti contatti  costanti  con
il pubblico degli utenti (in relazione alle  quali  avrebbero  potuto
astrattamente ipotizzarsi esigenze di  contenimento  del  rischio  di
contagio) e lavoratori (come sembrano essere le  odierne  ricorrenti,
assegnate ad  un  ufficio  della  Motorizzazione  civile)  adibiti  a
mansioni non comportanti tali rischi. 
    4.3.  Possibile  violazione  dell'art.   32,   comma   1,   della
Costituzione. 
    Altro  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  delle  norme  in
discussione si pone sotto il profilo dell'art. 32 della  Costituzione
sul  diritto  alla  salute  essendo  evidente  e  pacifico   che   la
vaccinazione obbligatoria (cosi' come l'obbligo vaccinale surrettizio
di  cui  si  e'  sopra  detto  in  relazione  al  periodo   anteriore
all'entrata in vigore del decreto-legge n. 1 del 2022)  si  sostanzia
in un trattamento sanitario obbligatorio. 
    Al riguardo, si deve rammentare che, in materia  di  vaccinazioni
obbligatorie, la Corte costituzionale ha costantemente affermato che,
con  specifico  riferimento  all'art.  32  della   Costituzione,   un
trattamento sanitario obbligatorio, disposto ex lege, e'  ammissibile
alle seguenti condizioni: a) «se il trattamento sia diretto non  solo
a migliorare o  a  preservare  lo  stato  di  salute  di  chi  vi  e'
assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute  degli  altri,
giacche' e' proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute  come
interesse della collettivita',  a  giustificare  la  compressione  di
quella  autodeterminazione  dell'uomo  che  inerisce  al  diritto  di
ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale»; b)  se  vi  sia
«la previsione che esso  non  incida  negativamente  sullo  stato  di
salute di colui che vi e' assoggettato, salvo  che  per  quelle  sole
conseguenze,  che,  per  la  loro  temporaneita'  e  scarsa  entita',
appaiano  normali  di  ogni   intervento   sanitario   e,   pertanto,
tollerabili»; c) sei nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute  del
soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio  -  ivi  compresa  la
malattia contratta per contagio causato da vaccinazione  profilattica
- sia prevista comunque la corresponsione di una «equa indennita'» in
favore del danneggiato (cosi' ex multis le sentenze n. 258 del 1994 e
n. 307 del 1990). 
    Gli stessi  principi  sono  stati  ribaditi  dalle  sentenze  del
giudice delle leggi che, nel corso  del  2023,  sono  intervenute  in
materia di vaccinazione anti SARS-CoV-2, e cioe' la n. 14 e la n.  16
del 9 febbraio 2023, relative all'obbligo vaccinale per il  personale
sanitario, e la n. 15 del 9 febbraio  2023,  relativa  ai  lavoratori
impiegati    in    strutture    residenziali    socio-sanitarie     e
socio-assistenziali,  sebbene  lo  scrivente  organo  giudicante  sia
consapevole  che,  con  tali  decisioni,  la  Corte  ha  unanimemente
dichiarato non fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionale
che erano state sollevate da svariati giudici a quo,  ritenendo  «non
irragionevole  il  bilanciamento  operato  dal  legislatore  fra   le
liberta' individuali e il diritto fondamentale alla salute,  definito
dall'art.  32  della  Costituzione   anche   come   interesse   della
collettivita'» (cosi'  si  esprime,  con  efficace  sinteticita',  la
relazione annuale del presidente della Corte  costituzionale  del  18
marzo 2024). 
    In questa direzione, la  Corte  costituzionale  ha  ripetutamente
affermato che l'art. 32  della  Costituzione  postula  il  necessario
contemperamento del diritto alla salute del singolo  (anche  nel  suo
contenuto negativo di non assoggettabilita'  a  trattamenti  sanitari
non richiesti o non accettati) con il coesistente diritto degli altri
e, quindi, con l'interesse della collettivita'  (sentenze  n.  5  del
2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990). 
    Come espresso nella sentenza n. 218 del  1994,  la  tutela  della
salute implica anche il «dovere  dell'individuo  di  non  ledere  ne'
porre a rischio con il proprio comportamento  la  salute  altrui,  in
osservanza del principio generale che vede  il  diritto  di  ciascuno
trovare  un  limite  nel  reciproco  riconoscimento   e   nell'eguale
protezione  del  coesistente  diritto  degli  altri.  Le  simmetriche
posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi
essenziali della comunita', che possono richiedere la  sottoposizione
della persona a trattamenti sanitari  obbligatori,  posti  in  essere
anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la  soggezione
di essa ad oneri particolari». 
    Nell'ambito di questo contemperamento tra  le  due  declinazioni,
individuale e collettiva, del diritto alla salute,  l'imposizione  di
un trattamento sanitario obbligatorio trova giustificazione  in  quel
principio di solidarieta' che rappresenta «la base  della  convivenza
sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza  n.  75
del 1992). 
    Allo stesso tempo, pero', la Corte  costituzionale  ha  sostenuto
che il bene della salute e' tutelato dall'art.  32,  comma  1,  della
Costituzione, «non solo come interesse della collettivita', ma  anche
e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo» (sentenza  n.
351 del 1991) che impone piena ed esaustiva tutela (sentenza  n.  307
del 1990 e n. 455 del 1990), in quanto «diritto primario ed  assoluto
pienamente operante anche nei rapporti tra privati»,  oltre  che  «in
ambito pubblicistico» (sentenza n. 218 del 1994, n. 202 del 1991,  n.
559 del 1987, n. 184 del 1986 e n. 88 del 1979). 
    E cio'  a  conferma  della  consapevolezza  del  legislatore  che
l'obbligo   al   trattamento   sanitario   costituisce   pur   sempre
un'eccezione rispetto al principio, di cui e' espressione  l'art.  32
della Costituzione, della  libera  determinazione  dell'individuo  in
materia sanitaria (Cassazione civile - Sez. III, 5  luglio  2017,  n.
16503). 
    Ebbene, con riferimento alle disposizioni di cui si  sospetta  la
illegittimita' costituzionale, va sicuramente ritenuta ricorrente  la
condizione di cui alla citata lettera c), atteso che, per il  periodo
successivo  all'introduzione  dell'obbligo  vaccinale,  il   soggetto
danneggiato ha diritto all'indennizzo previsto dall'art. 1, comma  1,
della  legge  25  febbraio  1992,  n.  210,  per  tutti  i  casi   di
«vaccinazioni  obbligatorie»  da  cui  siano   derivate   lesioni   o
infermita',  mentre,  per  il  periodo  anteriore,   analoga   tutela
indennitaria  e'  stata  introdotta  dall'art.  20,  comma  uno,  del
decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 23 marzo 2022, n. 25, il quale ha  inserito  nell'art.  1
della citata legge n. 210/1992 il comma 1-bis,  ai  sensi  del  quale
l'indennizzo «spetta, alle condizioni  e  nei  modi  stabiliti  dalla
presente legge, anche  a  coloro  che  abbiano  riportato  lesioni  o
infermita', dalle quali sia derivata una menomazione permanente della
integrita' psico-fisica, a causa della vaccinazione  anti  SARS-CoV-2
raccomandata dall'autorita' sanitaria italiana». 
    Dubbia, invece, e' la sussistenza delle condizioni descritte alle
suddette lettere a) e b). 
    Ed invero, a fronte dell'emergenza epidemiologica determinata dal
rapido diffondersi di un  nuovo  virus  che,  tuttavia,  generalmente
provocava,   almeno   sulle   persone   sane,    sintomi    meramente
para-influenzali,  il  legislatore  ha  preferito   adottare   misure
costrittive e generalizzate, imponendo,  prima  di  fatto  e  poi  di
diritto, la sottoposizione ad una  nuova  tecnica  vaccinale  (quella
c.d.  a  mRNA  o  RNA  messaggero)  che,  sebbene  non   strettamente
sperimentale, era stata  testata  e  sperimentata  in  condizioni  di
frettolosita' e di  emergenza  e,  conseguentemente,  subordinata  ad
autorizzazione condizionata; laddove, a fronte  del  diffondersi  del
nuovo  virus,  cosi'  come  si  e'  sempre  fatto   per   l'influenza
stagionale,  sarebbe  stato  maggiormente  ragionevole  affidarsi  al
principio  di  auto-responsabilita'   personale,   confidando   nella
prudenza e nella cautela di coloro che, affetti dal morbo,  avrebbero
dovuto evitare di uscire da casa e di avere  contatti  con  estranei,
nonche' al principio di raccomandazione della vaccinazione, in virtu'
del quale le pubbliche  autorita',  mediante  campagne  vaccinali  ed
altre  opportune  iniziative  informative,  dovrebbero   tentare   di
suggerire  e  consigliare  i  cittadini,  convincendo  la  massa  dei
pazienti  a  sottoporsi   volontariamente   e   coscientemente   alla
vaccinazione, dopo avere meditato ed essersi formati liberamente  una
propria opinione al riguardo. 
    Inoltre, rappresenta un dato acquisito che la vaccinazione non ha
impedito l'ulteriore circolazione del  virus,  i  soggetti  vaccinati
potendo ugualmente contagiarsi e contagiare,  ma,  tutt'al  piu',  ha
evitato,   nei   confronti   di   taluni   di    soggetti    fragili,
l'ospedalizzazione, il ricovero nei reparti di terapia  intensiva  ed
il decesso, per  cui,  in  mancanza  di  efficacia  nel  contenere  e
limitare la diffusione virale, deve ritenersi mancante  il  requisito
consistente nella finalita' di «preservare lo stato di  salute  degli
altri». 
    Peraltro, nello stesso foglio illustrativo  di  uno  dei  vaccini
maggiormente utilizzati durante la campagna vaccinale del  2021/2022,
quale e' il Comirnaty sviluppato dalla azienda  Pfizer-BionTech,  non
e'  riportato,  quale  effetto  del  vaccino,  quello  di   prevenire
l'infezione da Sars-CoV-2, bensi'  quello  di  limitare  gli  effetti
dannosi della malattia COVID-19 causata dal virus: «Comirnaty  e'  un
vaccino utilizzato per la prevenzione di COVID-19,  malattia  causata
da SARS-CoV-2», specificando peraltro  che  «Comirnaty  potrebbe  non
proteggere completamente tutti coloro che lo ricevono,  e  la  durata
della protezione non e' nota» (foglietto illustrativo reperibile  sul
sito web istituzionale dell'AIFA). 
    Infine, quanto alla condizione  sopra  menzionata  sub  c),  deve
reputarsi che la vaccinazione per la  prevenzione  dell'infezione  da
SARS-CoV-2 abbia prodotto, in coloro che ad essa si sono  sottoposti,
conseguenze lesive che appaiano superiori  e  piu'  significative  di
quelle  normali  ed  insite   in   ogni   trattamento   sanitario   o
farmacologico e, pertanto, non «tollerabili». 
    E' cronaca di tutti i giorni il fatto che persone giovani e sane,
a volte anche atleti e sportivi famosi, vengano  colpite  da  «malori
improvvisi» che ne provocano la menomazione o,  in  alcuni  casi,  la
morte. 
    Deve  quindi  ritenersi  necessaria   una   rivisitazione   degli
orientamenti giurisprudenziali fin qui espressi sulla  base  di  dati
ormai superati, nel senso che il  vaccino  contro  il  SARS-CoV-2  ha
inciso negativamente  sullo  stato  di  salute  di  coloro  che  sono
obbligati  a  vaccinarsi,  oltre  quelle  conseguenze  «che  appaiano
normali e, pertanto, tollerabili», la sua inoculazione provocando  il
rischio di insorgenza di eventi avversi gravi e/o fatali. 
    Lo  stesso  rapporto  annuale   sulla   sicurezza   dei   vaccini
anti-COVID-19 dell'A.I.F.A. (27 dicembre 2020 -  26  dicembre  2022),
pubblicato       sul        sito        ufficiale        dell'Agenzia
(https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1315190/Rapporto_sorveglianz
a_vaccini_COVID-19_14), nel  confermare  la  sicurezza  dei  vaccini,
analizza  le  percentuali  delle  segnalazioni  di  sospetti  effetti
avversi, non gravi (reazioni locali  nel  sito  di  somministrazione,
febbre e stanchezza/astenia, parestesie agli arti di durata limitata,
cefalee di vario genere e capogiri o vertigini, artralgie  o  mialgie
diffuse e  dolori  a  livello  di  singole  articolazioni,  patologie
gastrointestinali, come nausea, vomito  e  diarrea)  e  gravi  (shock
anafilattico, parestesie durature, miocardite, pericardite,  paralisi
periferica del nervo facciale), anche in rapporto alle diverse  fasce
di eta' e al sesso, e dei casi in cui e' stato rilevato il  nesso  di
causalita'. 
    Ed ancora, si deve ricordare che uno degli studi piu'  importanti
e recenti, i  cui  risultati  sono  stati  pubblicati  sulla  rivista
specializzata «Vaccine» del 2  aprile  2024  (consultabile  sul  sito
COVID-19  vaccines  and  adverse  events  of  special   interest:   A
multinational Global Vaccine Data Network (GVDN) cohort study  of  99
million vaccinated individuals -  ScienceDirect),  sulla  scorta  del
monitoraggio delle condizioni cliniche di oltre 99 milioni di persone
vaccinate in otto Paesi diversi, ha riscontrato  importanti  e  gravi
effetti avversi correlati alla somministrazione del vaccino contro il
SARS-CoV-2, essendo stati accertati casi particolarmente frequenti di
miocardite  (infiammazione  del  muscolo  cardiaco),  di  pericardite
(infiammazione del sacco sottile che copre il cuore), di sindrome  di
Guillain-Barre'   (debolezza   muscolare    e    alterazione    della
sensibilita') e di  trombosi  del  seno  venoso  cerebrale  (tipo  di
coagulo di sangue nel cervello);  sono  stati  altresi'  identificati
possibili segnali di mielite trasversa (infiammazione  di  una  parte
del  midollo  spinale)  dopo  vaccini   a   vettore   virale   e   di
encefalomielite  acuta  disseminata  (infiammazione  e  gonfiore  nel
cervello e nel midollo spinale) dopo l'identificazione di  vaccini  a
vettore virale e mRNA. 
    4.3.  Possibile  violazione  dell'art.   32,   comma   2,   della
Costituzione. 
    Sospetti ulteriori di incostituzionalita' delle  norme  censurate
esistono rispetto all'art. 32, comma  2,  della  Costituzione,  nella
misura in cui  esso  dispone  che,  anche  nei  casi  di  trattamenti
sanitari obbligatori disposti per legge, quest'ultima  «non  puo'  in
nessun caso violare i  limiti  imposti  dal  rispetto  della  persona
umana». 
    Le stesse norme interposte, tra cui la legge 23  dicembre,  1978,
n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, nel ribadire che
gli accertamenti e trattamenti sanitari  «sono  di  norma  volontari»
(art. 33, comma 1), specifica che nei casi in cui  la  legge  prevede
che possano essere disposti dall'autorita' sanitaria  «questi  devono
avvenire nel rispetto della dignita'  della  persona  e  dei  diritti
civili e politici.» (art. 33, comma 2, legge n. 833 cit.). 
    Sebbene la legge possa prevedere l'obbligatorieta' di determinati
trattamenti  sanitari,  sono  rarissimi,  ed   ancorati   a   precisi
presupposti, i casi in cui l'ordinamento consente la possibilita'  di
eseguirli contro la volonta' della persona (ad es., e'  il  caso  del
T.S.O.), valendo da sempre il principio che  gli  accertamenti  ed  i
trattamenti obbligatori debbano essere  «accompagnati  da  iniziative
rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi
vi e' obbligato» e che «L'unita' sanitaria locale opera  per  ridurre
il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori,  sviluppando
le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i  rapporti
organici tra servizi  e  comunita'»  (art.  33,  comma  5,  legge  n.
833/1978). 
    La Corte costituzionale ha  sottolineato  al  riguardo  che  deve
essere salvaguardata in ogni caso la  «dignita'  della  persona,  che
comprende anche il diritto alla riservatezza  sul  proprio  stato  di
salute ed al  mantenimento  della  vita  lavorativa  e  di  relazione
compatibile con tale stato» (sentenza n. 218  del  1994,  secondo  la
quale «il rispetto della persona esige  l'efficace  protezione  della
riservatezza,  necessaria  anche  per  contrastare  il   rischio   di
emarginazione nella vita lavorativa e di relazione.»). 
    Ebbene, per quanto sopra detto, deve ritenersi che le  estreme  e
draconiane  conseguenze  imposte  ex  lege  per  i   lavoratori   non
sottoposti  a  vaccinazione  (esclusione   dalla   sede   lavorativa,
emarginazione dal contesto lavorativo, assenza dal lavoro, privazione
di qualsiasi  emolumento  legato  al  rapporto  di  lavoro),  con  il
necessario clamore creatosi agli occhi dei colleghi e  degli  utenti,
abbiano determinato negli interessati la  lesione  del  loro  diritto
alla riservatezza e al mantenimento della loro vita lavorative  e  di
relazione. 
    4.2.   Possibile   ulteriore   violazione   dell'art.   3   della
Costituzione. 
    Come  gia'  accennato,  l'impossibilita'   del   lavoratore   non
vaccinato, estromesso dal lavoro, di accedere a forme  di  assistenza
minime, come quella dell'assegno  alimentare  (comunque  denominato),
sembra  integrare   un'ulteriore   violazione   dell'art.   3   della
Costituzione, per violazione  del  principio  di  eguaglianza  e  per
irragionevolezza, posto che impedisce anche l'applicazione di  quelle
misure di sostegno previste persino in caso di sospensione  cautelare
del lavoratore, laddove quest'ultimo abbia commesso (o sia sospettato
di aver integrato) la commissione di  determinati  fatti  costituenti
reato,  idonei  a  determinare  anche   l'irrogazione   di   sanzioni
disciplinari. 
    Nel  tempo,  l'ordinamento  ha  sempre  previsto  tali  forme  di
sostentamento, riconoscendo in favore del  lavoratore  pubblico,  nel
periodo di  sospensione,  un  assegno  alimentare  o  altri  istituti
sostanzialmente analoghi. 
    Si considerino, a titolo esemplificativo: 
        l'art. 82 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  10
gennaio 1957,  n.  3,  recante  il  testo  unico  delle  disposizioni
concernenti lo statuto degli impiegati civili  dello  Stato,  secondo
cui «All'impiegato sospeso  e'  concesso  un  assegno  alimentare  in
misura non superiore alla meta' dello stipendio,  oltre  gli  assegni
per carichi di famiglia»; 
        l'art. 500 del decreto legislativo 16 aprile  1994,  n.  297,
recante il testo unico del personale scolastico,  contenente  analoga
disposizione anche in materia di sospensione disciplinare; 
        gli articoli 10, 21, comma 4,  e  22,  comma  4  del  decreto
legislativo del 23 febbraio 2006, n. 109, recante la disciplina degli
illeciti  disciplinari  dei  magistrati,  i   quali   contengono   la
previsione dell'erogazione dell'assegno alimentare sia nelle  ipotesi
di sospensione disciplinare (art. 10 del decreto legislativo  n.  109
cit.), sia nelle ipotesi di  sospensione  cautelare,  obbligatoria  o
facoltativa (articoli  21,  comma  4,  e  22,  comma  4  del  decreto
legislativo n. 109 cit.); 
        l'art. 920, comma 1, del decreto legislativo 15  marzo  2010,
n. 66, contenente il «Codice dell'ordinamento militare», ai sensi del
quale, in tutti i  casi  di  sospensione  dal  servizio  (sospensione
obbligatoria  a  seguito  di  condanna  penale  definitiva   a   pena
detentiva, sospensione precauzionale, obbligatoria o facoltativa,  in
connessione  a   procedimento   penale,   sospensione   precauzionale
facoltativa  in  corso  di  procedimento  disciplinare)  al  militare
sospeso «dall'impiego compete la  meta'  degli  assegni  a  carattere
fisso e continuativo». 
    La  stessa  contrattazione  collettiva   del   pubblico   impiego
privatizzato ex art. 2, comma 2, del  decreto  legislativo  30  marzo
2001, n. 165, competente a regolare «la tipologia delle infrazioni  e
delle  relative  sanzioni»,  ex  art.  55,  comma  2,   del   decreto
legislativo n. 165/2001, prevede l'assegno  alimentare  nei  casi  di
sospensione cautelare del dipendente, anche laddove  quest'ultima  si
protragga per un notevole  arco  temporale,  in  quanto  disposta  in
attesa degli esiti di un procedimento  penale,  e  dunque  anche  per
fatti ritenuti di oggettiva gravita' e disvalore sociale. 
    Si consideri, per quanto  riguarda  il  comparto  dei  dipendenti
della Regione Sicilia non appartenenti alla qualifica dirigenziale, a
cui afferisce il rapporto di lavoro delle  parti  ricorrenti,  l'art.
75, comma 1, del C.C.R.L. del 9 maggio  2019,  relativo  al  triennio
giuridico ed economico 2016/2018, il quale prevede  la  conservazione
del diritto alla retribuzione nell'ipotesi di  sospensione  cautelare
disposta (per un massimo di giorni trenta) in corso  di  procedimento
disciplinare. 
    Si valuti, ancor di  piu',  l'art.  76,  comma  7,  del  suddetto
C.C.R.L.,  il  quale  prevede  in  caso  di  sospensione   cautelare,
obbligatoria o facoltativa, per la pendenza di un procedimento penale
a carico del dipendente,  l'erogazione  in  favore  dello  stesso  di
«un'indennita' pari al 50% dello  stipendio  tabellare,  nonche'  gli
assegni  del  nucleo  familiare  e  la  retribuzione  individuale  di
anzianita', ove spettanti». 
    Si  consideri  che  tale  indennita',  del  tutto  sovrapponibile
all'istituto  dell'assegno  alimentare  previsto  dall'art.  82   del
decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, viene riconosciuta
in tutti i casi di sospensione cautelare individuati dall'art. 76 del
C.C.R.L., e, dunque, anche laddove  il  dipendente  sia  «colpito  da
misura restrittiva della  liberta'  personale»  (art.  76,  comma  1)
ovvero anche nel caso  in  cui  il  dipendente  «venga  sottoposto  a
procedimento penale che non comporti la  restrizione  della  liberta'
personale o questa sia comunque cessata,  qualora  l'Azienda  o  ente
disponga, ai sensi dell'art. 55-ter del decreto  legislativo  n.  165
del 2001,  la  sospensione  del  procedimento  disciplinare  fino  al
termine di quello penale» (art. 76, comma 2). 
    Trattasi di indennita' che viene riconosciuta anche  per  periodi
molto ampi di sospensione, come risulta dalla lettura  dell'art.  76,
comma  6,  C.C.R.L.,  secondo  cui  la   sospensione   dal   servizio
eventualmente  disposta  a  causa  di  procedimento  penale  conserva
efficacia, se non revocata, per un periodo  non  superiore  a  cinque
anni. 
    Alla  luce  di  quanto  previsto,  genera  dubbi   di   possibile
violazione dell'art. 3, della  Costituzione,  una  previsione,  quale
quella formante oggetto delle disposizioni impugnate, che,  a  fronte
di una condotta (il mancato  adempimento  dell'obbligo  vaccinale  o,
comunque, la mancata sottoposizione a  vaccinazione)  non  integrante
illecito ne' sul versante disciplinare, ne' sul  versante  penale,  e
che riguarda  una  fattispecie  introdotta  in  una  fase  del  tutto
emergenziale,  in  un  contesto  del  tutto  eccezionale,  neghi   ai
lavoratori  non  vaccinati  persino  la  corresponsione   di   quelle
indennita' - come l'assegno alimentare  -  generalmente  riconosciute
dall'ordinamento per far fronte ai bisogni  alimentari  basilari  del
lavoratore sospeso,  anche  laddove  quest'ultimo  sia  coinvolto  in
procedimenti penali e disciplinari per fatti di  oggettiva  gravita',
posto che  cio'  sembra  generare  una  irragionevole  disparita'  di
trattamento, peraltro a scapito di quelle condotte  che  proprio  per
previsione legislativa sono esenti da alcun tipo di rilievo. 

 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23,  legge  11  marzo
1953, n. 87; 
    Visti gli articoli 2, 3, 4, 32 e 36 della Costituzione; 
    Ritenuto, in relazione alle suddette  disposizioni,  rilevanti  e
non   manifestamente   infondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale relative: 
        all'art. 1 del  decreto-legge  21  settembre  2021,  n.  127,
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 novembre 2021, n.  165,
nella parte in cui prevede che, «ai fini dell'accesso  ai  luoghi  di
lavoro, nell'ambito del territorio nazionale, ... e' fatto obbligo di
possedere e di esibire, su richiesta, una delle certificazioni  verdi
COVID-19 da vaccinazione, guarigione o test,», nonche' nella parte in
cui prevede che il lavoratore pubblico privo di certificazione  verde
«e' considerato assente ingiustificato fino alla presentazione  della
predetta certificazione» e, comunque, non oltre la «cessazione  dello
stato di emergenza» e che «per i giorni di assenza ingiustificata  di
cui al primo periodo  non  sono  dovuti  la  retribuzione  ne'  altro
compenso o emolumento, comunque denominati.»; 
        all'art.  1.  del  decreto-legge  7  gennaio  2022,   n.   1,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2022, n. 18, nella
parte in cui prevede che l'obbligo vaccinale per la  prevenzione  del
COVID-19 si «applica» a tutti i cittadini «che  abbiano  compiuto  il
cinquantesimo anno di eta'»,  che  tutti  i  lavoratori,  pubblici  e
privati, ultracinquantenni «ai quali si applica l'obbligo  vaccinale»
«per  l'accesso  ai  luoghi  di  lavoro  nell'ambito  del  territorio
nazionale, devono  possedere  e  sono  tenuti  a  esibire  una  delle
certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione» e  che
i lavoratori ultracinquantenni  destinatari  dell'obbligo  vaccinale,
qualora «comunichino di non essere in possesso  della  certificazione
verde COVID-19 di cui al comma 1 o risultino privi  della  stessa  al
momento dell'accesso ai luoghi di lavoro» non  possono  accedere  «ai
luoghi di lavoro» e «sono considerati assenti ingiustificati»  e  che
«per i giorni di assenza  ingiustificata  ...,  non  sono  dovuti  la
retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominati.»; 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga
notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del
Senato della Repubblica. 
        Catania, 14 febbraio 2025 
 
                    Il giudice del lavoro: Tripi