Reg. ord. n. 81 del 2025 pubbl. su G.U. del 14/05/2025 n. 20

Ordinanza del Tribunale di Catania  del 21/02/2025

Tra: S. G.

Oggetto:

Reati e pene – Sospensione condizionale della pena – Limiti – Previsione che la sospensione condizionale della pena non può essere concessa a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione – Disposizione legislativa la quale impedisce che la riabilitazione del condannato a pena detentiva per delitto estingua ogni altro effetto penale della condanna – Denunciata disciplina la quale impone che la pena per la commissione di un reato sia comunque irrogata senza considerare l’intervenuta riabilitazione e quindi tutti gli elementi idonei a mostrare una ridotta capacità a delinquere dell’imputato – Contrasto con il principio di proporzionalità della pena – Indiscriminata applicazione della sanzione per il secondo reato che comporta l’inflizione di una pena sproporzionata e percepita come ingiusta dal condannato – Lesione dei principi di uguaglianza e rieducazione – Normativa che, al fine di prevenire la recidiva, non considera l’evolversi della personalità del reo, comportando una smisurata amplificazione della finalità general-preventiva della pena – Lesione dei principi di ragionevolezza e offensività del reato.

Norme impugnate:

codice penale  del  Num.  Art. 164  Co. 2

codice penale  del  Num.  Art. 178



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 25   Co.  

Costituzione  Art. 27   Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 81 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 2025

Ordinanza  del  21  febbraio  2025  del  Tribunale  di  Catania   nel
procedimento penale a carico di S. G.. 
 
Reati e pene  -  Sospensione  condizionale  della  pena  -  Limiti  -
  Previsione che la sospensione  condizionale  della  pena  non  puo'
  essere concessa a chi ha riportato una precedente condanna  a  pena
  detentiva per delitto, anche se e' intervenuta la riabilitazione  -
  Disposizione legislativa la quale impedisce che  la  riabilitazione
  del condannato a pena detentiva per  delitto  estingua  ogni  altro
  effetto penale della condanna. 
- Codice penale, artt. 164, secondo comma, numero 1)  e  178,  ultimo
  inciso. 


(GU n. 20 del 14-05-2025)

 
                        TRIBUNALE DI CATANIA 
           Ufficio del giudice per le indagini preliminari 
 
    Il giudice  dott.  Anna  Maria  Cristaldi,  nel  procedimento  n.
4336/2022 rgnr e n. 3357/2023 RGIP a carico di G.S., nato a  ...,  il
..., con domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia; 
    Difeso  di  fiducia  dall'avv.  Giuseppe  Musumeci  del  Foro  di
Catania; 
    Imputato del reato previsto e punito dall'art. 589-bis del codice
penale, commesso in ... l'... (data del decesso); 
    letti gli atti  e  sciogliendo  la  riserva  all'udienza  del  13
settembre 2024. 
 
                               Osserva 
 
    Il PM, in data 19 aprile 2023 ha chiesto il rinvio a giudizio  di
G.S. in relazione al delitto  di  cui  all'art.  589-bis  del  codice
penale. 
    In data 5 giugno 2024 il difensore  del  G.,  munito  di  procura
speciale ha chiesto la definizione del procedimento con  applicazione
di pena concordata, determinata nella misura definitiva di anni  uno,
mesi due, giorni sei di reclusione  e  subordinata  alla  concessione
della sospensione condizionale della pena. 
    Il PM ha prestato il consenso con nota del 27 maggio 2024. 
    Dagli atti del procedimento risulta che il G. con sentenza  della
Corte di appello di Catania del 31 ottobre  1968,  in  riforma  della
sentenza emessa dal Tribunale di Catania in data 10 ottobre 1967  era
stato condannato alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione ed
alla multa (convertita) di euro 30,99  in  relazione  al  delitto  di
furto aggravato; detta condanna e'  divenuta  definitiva  in  data  4
novembre 1968. 
    Lo stesso G.  con  sentenza  del  Tribunale  di  Catania  del  30
novembre 1976, irrevocabile il 19 marzo  1977  era  stato,  altresi',
condannato alla pena di giorni cinque di arresto e (convertito)  euro
5,16 di ammenda, in relazione al  reato  di  violazione  delle  norme
sull'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli natanti. 
    In data 17 marzo 1988 la Corte di appello di Catania ha  concesso
al G.  la  riabilitazione,  in  relazione  alle  due  condanne  sopra
indicate. 
    Osta, pertanto all'applicazione  della  sospensione  condizionale
richiesta dall'imputato il disposto dell'art. 164, secondo comma  del
codice penale, laddove si prevede che  «la  sospensione  condizionale
della pena non puo' essere conceduta:  1)  a  chi  ha  riportato  una
precedente condanna  a  pena  detentiva  per  delitto,  anche  se  e'
intervenuta la riabilitazione». 
    Nel caso di specie, la condanna ad anni  due  e  mesi  cinque  di
reclusione, superando il  limite  di  cui  all'art.  163  del  codice
penale, e', quindi, preclusiva  alla  concessione  della  sospensione
condizionale della pena, a  cui  e'  subordinata  la  sopra  indicata
richiesta di patteggiamento. 
    Pertanto, all'udienza del 21 giugno  2024,  il  giudice  indicava
alle parti detta oggettiva preclusione. 
    All'udienza del 13 settembre 2024, il difensore del  G.  eccepiva
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 164, secondo comma,  n.  1)
del codice penale, per contrasto  con  gli  articoli  3  e  27  della
Costituzione, «esprimendo essa [preclusione] una presunzione assoluta
incompatibile con  i  principi  di  uguaglianza  e  con  la  funzione
rieducativa della pena, impedendo che il  giudice  del  merito  possa
formulare una qualsiasi  valutazione  in  concreto  di  pericolosita'
attuale  di  adeguatezza  o  meritevolezza  del  beneficio  da  parte
dell'imputato che  risulta  gia'  condannato».  Lo  stesso  difensore
chiedeva, quindi, che  valutata  la  rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza   della   questione   venga   sollevata   questione   di
legittimita' costituzionale della disposizione dell'art. 164, secondo
comma, n. 1) del codice  penale,  nella  parte  in  cui  preclude  la
concessione della  sospensione  condizionale  della  pena  a  chi  ha
riportato una precedente  condanna  a  pena  detentiva  per  delitto,
superiore ai limiti dell'art. 163 del  codice  penale,  anche  se  e'
intervenuta la riabilitazione, per contrasto con gli articoli 3 e 27,
terzo comma della Costituzione. 
    Il PM riteneva la questione irrilevante. Il giudice si  riservava
di decidere. 
1. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 
    1.1. L'imputato, tramite il difensore  procuratore  speciale,  ha
sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  164,
secondo comma, n. 1 del codice penale, nella parte in cui dispone che
la sospensione condizionale della pena non puo' essere concessa a chi
e' stato condannato ad una pena detentiva per  un  delitto,  malgrado
sia intervenuta la riabilitazione. Secondo l'imputato tale divieto si
risolve  in  un'occasione  di   contrasto   con   l'art.   27   della
Costituzione, e  cioe'  con  la  funzione  rieducatrice  della  pena,
nonche' con il principio di eguaglianza per l'irragionevolezza  della
previsione. Nell'applicazione del cd beneficio vale la considerazione
dei limiti temporali delle pene siccome precisati dall'art.  163  del
codice penale, nel testo riformulato nel 1974. 
    Invero, la preclusione contenuta nella disposizione dell'art. 164
non risulta tener conto in maniera compiuta e razionale del principio
di personalizzazione della sanzione oltre che con quello che  assegna
al giudice di determinare di volta in volta la pena (in  senso  lato)
da applicare sulla base delle circostanze in fatto e delle  modalita'
di integrazione dei reati  oltre  che  in  base  per  l'appunto  alla
personalita' del reo. 
    1.2. Non sussistono i presupposti per proscioglimento ex art. 129
del codice di procedura penale. Il reato contestato all'imputato  per
i suoi limiti edittali rientra tra quelli per i quali  e'  consentita
l'irrogazione  di  una  sanzione   cui   applicare   la   sospensione
condizionale. Per lo stato degli atti la pena concordata ex art.  444
del codice di procedura penale, rientra nei parametri di legge. 
    1.3. In base, pero', al certificato penale in atti, l'imputato e'
stato condannato alla pena di anni due e mesi  cinque  di  reclusione
per il delitto di furto aggravato da Appello Catania 31 ottobre  1968
e - per quanto possa  rilevare  -  alla  pena  di  giorni  cinque  da
Tribunale Catania 30 novembre 1976, per  la  violazione  delle  norme
sull'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli e natanti. 
    Con sentenza Appello Catania 17 marzo 1988 il G. ha  ottenuto  la
riabilitazione in ordine ai due reati. 
    1.4. In ragione dell'art. 164, secondo comma, n.  1)  del  codice
penale, questo giudice dovrebbe dichiarare inammissibile  o  comunque
respingere  l'istanza  di  sospensione  condizionale  della  pena  e,
quindi,  non  accogliere  l'istanza  di  patteggiamento  o  di   pena
concordata ex art. 444 del codice di procedura penale, alla luce  del
disposto ai sensi del quale la sospensione  condizionale  della  pena
non puo' essere concessa a chi e' stato condannato per delitto ad una
pena superiore ai limiti dell'art. 163 del codice penale,  «anche  se
e' intervenuta la riabilitazione». 
    Questo rende rilevante ex art.  23  della  legge  n.  87/1953  la
questione di costituzionalita' dell'inciso appena riportato,  perche'
la disposizione in esso riportata rende inapplicabile alla vicenda di
specie l'istituto del  patteggiamento  ex  art.  444  del  codice  di
procedura penale, ed obbliga  questo  giudice  a  respingere  in  via
preliminare l'istanza di pena concordata. 
    1.5. Laddove viceversa la norma qui  censurata  fosse  dichiarata
costituzionalmente  illegittima  non  si   profilerebbe   la   citata
condizione  ostativa  all'ammissione  alla  sospensione  condizionale
della pena e  la  relativa  istanza  potrebbe  essere  esaminata  nel
merito. Sul punto puo' riferirsi che la stessa  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 174/2022, relativa al diverso istituto della  messa
in prova, ma con  argomentazioni  di  carattere  generale  riferibili
anche alla sospensione condizionale della pena di  cui  all'art.  164
del codice penale, ha considerato che «l'accoglimento della questione
avrebbe infatti, nella prospettiva del giudice a  quo,  l'effetto  di
rimuovere  la  preclusione  oggi  opposta  a  una  possibile  seconda
concessione del  beneficio  previsto  dalla  disposizione  censurata,
consentendogli cosi' di valutare nel merito [...] se  sussistano  gli
ulteriori presupposti delineati dagli  articoli  168-bis  del  codice
penale e 464-bis e 464-quater del  codice  di  procedura  penale  per
l'accesso  all'istituto  in  questione.  [...]  Ne',  ai  fini  della
motivazione sulla rilevanza della questione, sarebbe stato necessario
per il giudice rimettente diffondersi sulla sussistenza dei requisiti
del beneficio in  capo  a  entrambi  gli  imputati,  posto  che  tale
valutazione  e'   logicamente   successiva   alla   rimozione   della
preclusione stabilita dalla disposizione censurata,  che  allo  stato
vieta in modo assoluto - secondo  la  lettura  del  rimettente  -  la
concessione del beneficio a chi ne abbia gia' fruito». 
    Analogamente   a   quanto   riportato,   nel   caso   di   specie
l'accoglimento della questione, con la  conseguente  rimozione  della
preclusione ad oggi esistente, consentirebbe di valutare  nel  merito
l'istanza e deciderla. 
    1.6. La rilevanza  della  questione  non  viene  meno  neanche  a
considerare  che,  per  l'eta'  raggiunta,  l'imputato  potrebbe  non
scontare la sanzione eventualmente inflittagli. E cio' per un duplice
ordine di motivi.  Per  un  verso,  infatti,  l'applicazione  di  una
sanzione comporta, comunque, in assenza di  sospensione  l'esecuzione
di una  sanzione.  Peraltro,  la  decisione  circa  le  modalita'  di
applicazione della sanzione e' temporalmente e logicamente successiva
a quella circa la sua comminazione  e  presuppone  per  l'intanto  la
condanna che e' qui in questione. Inoltre, poi, la  stessa  modalita'
di applicazione della sanzione puo' essere affidata alla  valutazione
di altro decisore, di modo che per l'intanto a  questo  tribunale  si
pone il problema di applicare l'art. 164, secondo comma,  n.  1)  del
codice penale. 
    Le prospettive di ammissione a benefici penitenziari o  a  misure
alternative alla detenzione si pongono in ogni caso  all'esterno  del
perimetro di  decisione  di  questo  giudice  circa  l'applicabilita'
dell'art. 164 del codice penale. 
2. Non  manifesta  infondatezza  della  questione  sollevata  in  via
incidentale. 
    2.1.  La  questione  qui  sollevata  attiene  alla   legittimita'
costituzionale dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale,
nella parte in cui dispone che la sospensione condizionale della pena
non puo' essere concessa «a chi ha riportato una precedente  condanna
a  pena  detentiva  per  delitto,  anche   se   e'   intervenuta   la
riabilitazione».  Cio'  inibisce   di   attribuire   efficacia   alla
riabilitazione ed impedisce al giudice di valutare tempi, modalita' e
circostanze dei reati riconosciuti integrati dall'imputato. 
    2.2. La questione non appare manifestamente infondata sulla  base
delle rationes a presupposti della riabilitazione prevista  dall'art.
178 del codice penale e della sospensione  condizionale  disciplinata
dall'art.  164  del  codice   penale   del   1930   e,   soprattutto,
dell'insegnamento della Corte costituzionale in piu' decisioni. 
    2.3. La riabilitazione e' oggi prevista dall'art. 178 del  codice
penale; essa «estingue le pene  accessorie  ed  ogni  effetto  penale
della  condanna,  salvo  che  la  legge  disponga  altrimenti».  Puo'
anticiparsi che tra tali deroghe e/o  eccezione  all'eliminazione  di
«ogni effetto penale» vi e' appunto quella  prevista  dall'art.  164,
secondo comma del codice penale. 
    In  generale,  e  per  come  e'  noto,   la   riabilitazione   e'
disciplinata dal codice penale del 1930 tra le  cause  di  estinzione
della pena e, quindi, tra istituti come la morte del reo, il  decorso
del tempo, l'indulto e la grazia, la non menzione della condanna e la
liberazione condizionale, cioe'  tra  cause  del  tutto  diverse  che
attengono sia a circostanze oggettive, come a  vicende  di  carattere
soggettivo. 
    Per quanto contenuta gia' nel  codice  Zanardelli  del  1889,  la
riabilitazione  risulta  oggi  uno  degli  strumenti  di   attuazione
dell'art. 27 della Costituzione, e della funzione rieducatrice  della
pena. In un certo senso puo' definirsi un istituto costituzionalmente
necessario,  perche'  sancisce   l'intervenuta   «rieducazione»   del
condannato, e cio' fa attenuare la natura di beneficio a  favore  del
condannato  per  farle  assumere  quella  di  una  vera   e   propria
aspettativa giuridicamente tutelata a fronte delle «prove effettive e
costanti di buona condotta», cioe' dell'accertamento che,  dopo  aver
scontato la sanzione, il reo si e' integrato nella comunita'. 
    Ne discende che anche la limitazione contenuta nell'art. 178  del
codice penale deve essere intesa in maniera rigorosa e restrittiva e,
soprattutto, che le ipotesi in cui dalla riabilitazione  non  cessano
tutti gli effetti debbono trovare adeguata giustificazioni in ragione
di particolari esigenze costituzionali. 
    La riabilitazione del condannato passa, del resto, attraverso  il
rigoroso accertamento svolto in sede giurisdizionale,  «acquisita  la
documentazione necessaria», art. 583 del codice di procedura  penale,
e quindi anche con  l'ausilio  degli  operatori  specialisti  in  una
visione integrata che guarda alla personalita' del reo  grazie  anche
agli apporti di vari esperti. 
    2.4. Nel testo originario del 1930, all'art. 164, u.c., il codice
penale considerava la sospensione  condizionale  come  una  sorta  di
(ulteriore) beneficio che potesse  utilizzarsi  una  sola  volta  nel
corso dell'esistenza, legata com'era all'idea che il  reato  segnasse
pressoche' per sempre la vita del colpevole. E' vero che  l'art.  164
del codice penale, si apre con il richiamo dell'art. 133  e,  quindi,
con i criteri di commisurazione della sanzione in base alla  gravita'
del reato ed alla capacita' a  delinquere  del  medesimo  reo;  esso,
presuppone, cioe', che il reo sia tale sulla base di alcuni indici  e
che di fatto  lo  rimarra',  anche  se  gia'  allora  la  sospensione
condizionale era comunque legata alla valutazione del giudice «che il
colpevole si asterra' dal commettere ulteriori reati». 
    L'ultimo comma dell'art. 164 del codice penale e'  stato  oggetto
di una travagliata vicenda. La sentenza della Corte costituzionale n.
86/1970 «ammise la possibilita' della concessione quando  il  secondo
reato si legasse  con  vincolo  della  continuazione  a  quello  gia'
precedentemente punito con pena  sospesa».  La  sentenza  n.  73/1971
«ritenne tale possibilita' anche nel caso di nuova  condanna  per  un
delitto commesso anteriormente alla precedente e sempre che  la  pena
da infliggere, cumulata con quella gia' sospesa,  non  sorpassasse  i
limiti stabiliti per l'applicabilita' del beneficio». E'  intervenuto
il legislatore con il decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, 
    convertito, con modificazioni, proprio sull'art. 12 nella legge 7
giugno 1974, n. 220. E, cio' nonostante, a causa del  fatto  che  «4.
... che la dizione finale della  norma  present[a]  delle  ambiguita'
tali da legittimare il dubbio che il suo significato originario,  non
ostante le modifiche apportate,  sia  rimasto  immutato»,  e'  dovuta
intervenire  ancora  la  Corte  costituzionale  con  la  sentenza  n.
95/1976,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'    costituzionale
dell'ultimo comma «nella parte in cui  non  consente  la  concessione
della sospensione condizionale della pena a chi ha gia' riportato una
precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa, qualora
la pena da infliggere cumulata con quella irrogata  con  la  condanna
precedente non superi i limiti stabiliti  dall'art.  163  del  codice
penale». 
    Della sentenza n. 95/1976 va qui riportato il paragrafo 5, in cui
il giudice costituzionale osservo' come non potersi  comprendere  «5.
... come  possa  essere  giustificata  la  mancata  previsione  della
possibilita' di  concedere  la  sospensione  condizionale  a  chi  ha
riportato una precedente condanna per delitto a  pena  detentiva,  la
cui esecuzione non sia stata sospesa,  quando  tale  possibilita'  e'
invece prevista nell'ipotesi  in  cui  la  precedente  condanna  alla
reclusione sia stata sospesa. 
    A giustificarla  non  e'  certo  idonea  l'affermazione  che  nel
secondo caso gia' esiste una  valutazione  prognostica  positiva  che
spetta al  nuovo  giudice  verificare,  alla  luce  del  nuovo  fatto
intervenuto, mentre nel primo caso esiste, al contrario, un  giudizio
negativo che potrebbe ritenersi convalidato e  confermato  dai  fatti
successivamente intervenuti. 
    La commissione di un nuovo reato da parte di chi ha riportato una
precedente  condanna,  potrebbe   semmai   dimostrare,   coi   fatti,
l'erroneita' della valutazione, compiuta dal primo giudice,  di  nota
recidivita' del reo e che quest'ultimo non merita un trattamento piu'
favorevole di quello riservato a chi di tale valutazione non abbia  a
giovarsi. 
    D'altra parte, e cio' sembra decisivo,  poiche'  la  personalita'
umana e' soggetta ad evoluzione e cambiamenti, non appare ragionevole
condizionare  l'apprezzamento  sulla  proclivita'  al   delitto   del
colpevole da formularsi in occasione  della  seconda  condanna,  alla
valutazione effettuata in tempo precedente o  addirittura  remoto  da
altro giudice. E  non  e'  da  escludersi  che  l'esecuzione  di  una
precedente condanna possa avere  determinato  l'evoluzione  in  senso
positivo della personalita' del condannato». 
    Gia'  allora,  insomma,  la  Corte   costituzionale   noto'   che
l'esclusione della sospensione condizionale per il  fatto  di  essere
stato condannato a pena detentiva per delitto  risulta(va)  piuttosto
sospetta e che, al contrario, si  richiede(va)  un  giudizio  fondato
sull'attualita'. 
    Il problema di costituzionalita' oggi all'attenzione  -  l'essere
l'art. 164 del codice  penale  illegittimo  nella  parte  in  cui  fa
derivare dalla  precedente  condanna  l'inibizione  alla  sospensione
condizionale - sembra essere posto gia' da quella sentenza  de  1976,
che  ha  sempre  richiesto  un  giudizio  prognostico  di   esclusiva
competenza del giudice sulla possibilita' che il reo «si asterra' dal
commettere ulteriori reati», basata  sul  criterio  di  attualita'  e
sulla considerazione piena delle circostanze e della personalita' del
colpevole. 
    2.5. La restrittiva impostazione del codice del 1930  spiega  che
la sospensione condizionale non possa essere concessa nemmeno «se  e'
intervenuta la riabilitazione», come se lo stigma sociale  perseguiti
il reo per  tutta  la  vita  ed  a  prescindere  da  qualsiasi  altra
considerazione  ovvero  da  svolgimenti  in  fatto  che  diano  prova
dell'allontanamento  definitivo  della  persona  dal  reato  e  dalla
«cultura» che si esprime a  mezzo  della  sua  commissione.  Potrebbe
dirsi che l'integrazione di un reato perseguita per sempre la persona
del reo, senza considerare attivita' future che lo stesso possa  aver
posto in essere. 
    2.6. Questa visione della sospensione condizionale puo' risultare
in contrasto con l'art. 27 della Costituzione e con  i  principi  ivi
contenuti. 
    La questione qui prospettata puo' essere  riferita  a  mezzo  dei
richiami alla giurisprudenza della Corte costituzionale. 
    Cosi', nella sentenza n. 236/2016, il giudice  costituzionale  ha
rilevato come sia costante «4.2. ... la  considerazione  secondo  cui
l'art. 3 della Costituzione esige che la pena  sia  proporzionata  al
disvalore del  fatto  illecito  commesso,  in  modo  che  il  sistema
sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed
a quella di tutela delle  posizioni  individuali.  E  la  tutela  del
principio di proporzionalita', nel campo del diritto penale,  conduce
a  «negare   legittimita'   alle   incriminazioni   che,   anche   se
presumibilmente  idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali   di
prevenzione, producono, attraverso la pena, danni  all'individuo  (ai
suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette  incriminazioni»
(sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989)». 
    Ha ricordato l'art. 49, numero 3), CDFUE, a tenore del quale  «le
pene inflitte non devono essere sproporzionate  rispetto  al  reato».
Per la Corte «il principio di proporzionalita' esige un'articolazione
legale del sistema sanzionatorio che  renda  possibile  l'adeguamento
della pena alle effettive responsabilita'  personali,  svolgendo  una
funzione di giustizia, e anche di tutela delle posizioni  individuali
e di limite della potesta' punitiva statale, in armonia con il "volto
costituzionale" del sistema penale (sentenza n. 50 del 1980)». 
    Ed ha continuato affermando «che, alla luce  dell'art.  27  della
Costituzione, il principio della  finalita'  rieducativa  della  pena
costituisce  "una  delle   qualita'   essenziali   e   generali   che
caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano
da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in
concreto si estingue" (sentenza n. 313 del 1990; si vedano  anche  le
sentenze n. 183 del 2011 e n. 129 del 2008). Esso, pertanto, non vale
per la sola fase esecutiva, ma obbliga tanto il legislatore quanto  i
giudici della  cognizione  (sentenza  n.  313  del  1990).  Anche  la
finalita'  rieducativa   della   pena,   nell'illuminare   l'astratta
previsione normativa, richiede «un costante principio di  proporzione
tra qualita' e quantita' della sanzione,  da  una  parte,  e  offesa,
dall'altra» (sentenza n. 251 del 2012 e, ancora, sentenza n. 341  del
1994), mentre la palese sproporzione del  sacrificio  della  liberta'
personale produce «una vanificazione del fine rieducativo della  pena
prescritto dall'art. 27,  terzo  comma  della  Costituzione,  che  di
quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale  in  relazione
allo stato di detenzione» (sentenza n. 343 del 1993). 
    Laddove  la   proporzione   tra   sanzione   e   offesa   difetti
manifestamente, perche' alla carica offensiva insita  nella  condotta
descritta dalla fattispecie  normativa  il  legislatore  abbia  fatto
corrispondere conseguenze punitive di entita'  spropositata,  non  ne
potra' che discendere  una  compromissione  ab  initio  del  processo
rieducativo, processo  al  quale  il  reo  tendera'  a  non  prestare
adesione,  gia'  solo  per  la  percezione  di  subire  una  condanna
profondamente ingiusta (sentenze n. 251 e n. 68 del 2012), del  tutto
svincolata dalla gravita' della propria condotta e dal  disvalore  da
essa espressa». 
    Ha concluso che «in tale contesto, una particolare asprezza della
risposta sanzionatoria determina  percio'  una  violazione  congiunta
degli articoli 3  e  27  della  Costituzione,  essendo  lesi  sia  il
principio di proporzionalita' della pena rispetto alla  gravita'  del
fatto commesso, sia quello della  finalita'  rieducativa  della  pena
(sentenza n. 68 del 2012, che richiama le sentenze n. 341 del 1994  e
n. 343 del 1993)». 
    Questa decisione e' significativa perche' fa pressoche' il  punto
sul rapporto tra pena e istituti che  attengono  alla  sua  finalita'
rieducativa. 
    2.7. Come ricordato dalla sentenza della Corte costituzionale  n.
208/2024,   «3.1.   -   Lungi   dall'esprimere   generiche    istanze
indulgenziali o di immotivata "fuga  dalla  sanzione"  nei  confronti
degli autori di reato, tanto la sospensione condizionale  della  pena
quanto la non menzione della condanna nel certificato del  casellario
giudiziale sono  istituti  chiave  nell'ottica  della  funzione  oggi
costituzionalmente assegnata alla  pena  dall'art.  27,  terzo  comma
della Costituzione. 
    La sospensione condizionale - introdotta in Italia dalla legge 26
giugno 1904, n. 267 (Sospensione della esecuzione delle  sentenze  di
condanna) per i condannati a pena detentiva di  norma  non  superiore
alla  durata  di  sei  mesi,  poi  progressivamente  estesa  sino   a
raggiungere i limiti attuali - fu sin dalla sua origine pensata  come
funzionale ad assicurare nel condannato per reati di non  particolare
gravita' un effetto di monito associato  alla  sentenza  di  condanna
pronunciata  nei  suoi  confronti,   risparmiandogli   tuttavia,   in
particolare nel caso di prima condanna, l'esperienza del carcere.  Da
tempo la dottrina aveva, in effetti, mostrato come le pene  detentive
brevi - troppo brevi per provocare un  cammino  di  rieducazione,  ma
gia' idonee a  esporre  il  condannato  all'influenza  di  subculture
criminali e, comunque, a interrompere  le  sue  relazioni  affettive,
familiari,  sociali,  lavorative  con  la  comunita'  -  producessero
importanti effetti criminogeni e desocializzanti (sul punto, sentenza
n. 28 del 2022, punto 5.1. del Considerato in diritto). 
    Tale ratio essenziale e' ancor oggi alla  base  dell'istituto.  E
cio' in piena armonia con il principio costituzionale della finalita'
rieducativa  della  pena  di  cui  all'art.  27,  terzo  comma  della
Costituzione: finalita' che  la  sospensione  condizionale  persegue,
peraltro, non solo in forma negativa - evitando i menzionati  effetti
criminogeni e desocializzanti della pena detentiva breve -, ma  anche
attraverso  la  minaccia  di  revoca  del  beneficio,   che   stimola
l'astensione da ulteriori reati da parte del  condannato  durante  il
periodo di sospensione, nonche' attraverso gli  obblighi  riparatori,
ripristinatori o di recupero che, secondo i casi, possono  o  debbono
essere imposti al  condannato  ai  sensi  dell'art.  165  del  codice
penale,  conferendo  cosi'  un   contenuto   risocializzativo   anche
"positivo" al beneficio». 
    2.8. Insomma,  la  connotazione  della  sospensione  condizionale
della pena quale beneficio octroye risulta superata dal principio  di
personalita'   della   sanzione   introdotto   dall'art.   27   della
Costituzione, ed ancor di piu'  dal  principio  di  rieducazione  del
condannato, il cui esito, una volta accertato positivamente, non puo'
comportare piu' che il  reo  sia  avvinto  alla  dinamica  del  reato
commesso, specie se a distanza di tempo e malgrado la  riabilitazione
ottenuta. 
    2.9. L'art. 27 della Costituzione, insomma, pare aver abbandonato
la concezione della riabilitazione e della  sospensione  condizionale
come benefici ottriatamente concessi, ed al  contrario  ne  ha  fatti
strumenti che mirano - assieme alla riparazione del  danno  provocato
dal reato ed  alla  tutela  della  vittima  di  quest'ultimo  -  alla
rieducazione del condannato e ad  offrirgli  opportuna  occasione  di
risocializzazione. 
    2.10. Cio' passa di necessita' attraverso l'intervento  decisorio
del giudice, cioe' a  dire  quel  potere  discrezionale  del  giudice
nell'applicazione della pena ex art. 132 del codice  penale,  che  si
esercita si' nei limiti della legge in base appunto al  principio  di
legalita', ma che pure e' presupposto necessario  della  personalita'
della pena. Lo stesso art. 133 del codice penale, che  per  l'appunto
e' citato dall'art. 164  del  codice  penale,  e'  in  questa  chiave
riletto attraverso  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
che fa dell'irrogazione della sanzione lo strumento  di  rieducazione
del reo.  Ed  in  questa  concezione  tutti  gli  istituti  man  mano
configurati  dal  diritto  positivo,  compreso  quindi  quello  della
sospensione  condizionale   della   pena,   contribuiscono   a   dare
effettivita' al citato valore. 
    2.11. La giurisprudenza costituzionale  ha  fatto  largo  uso  di
questi concetti. 
    Ad  esempio,  nella  sentenza  n.  197/2023,  che  pure  riguarda
l'omicidio del codice, ha ricordato di aver «piu' volte  sottolineato
che il  principio  di  proporzionalita'  della  pena,  desunto  dagli
articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, esige "che  la  pena
sia  adeguatamente  calibrata  non  solo  al  concreto  contenuto  di
offensivita' del fatto di reato per gli interessi protetti, ma  anche
al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo", il quale a  sua
volta "dipende in maniera determinante non solo dal  contenuto  della
volonta' criminosa dolosa o colposa) e dal grado  del  dolo  o  della
colpa, ma  anche  dalla  eventuale  presenza  di  fattori  che  hanno
influito sul processo motivazionale dell'autore,  rendendolo  piu'  o
meno rimproverabile"  (sentenza  n.  73  del  2020,  punto  4.2.  del
Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 94 del  2023,
punto 10.3. del Considerato in diritto;  sentenza  n.  55  del  2021,
punto  8  del   Considerato   in   diritto).   Il   principio   della
"personalita'" della responsabilita' penale, sancito dal primo  comma
dell'art. 27 della Costituzione, richiede d'altra parte che  la  pena
applicata a ciascun autore di reato costituisca "una risposta - oltre
che non sproporzionata -  il  piu'  possibile  ʻindividualizzataʼ,  e
dunque calibrata sulla situazione del singolo  condannato"  (sentenza
n. 222 del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto)». 
    2.12. Nella stessa sentenza, sempre riguardo l'omicidio,  ma  con
argomentazioni relative a tutti i reati, ha notato che «attraverso il
flessibile strumento del bilanciamento tra le circostanze, il  nostro
ordinamento consente  dunque  al  giudice  di  commisurare  una  pena
maggiormente calibrata rispetto all'intensita'  del  disvalore  della
singola condotta omicida, nel rispetto  dei  principi  costituzionali
appena menzionati, nonche' di tener conto  di  ulteriori  circostanze
che - pur non incidendo sul minor  grado  di  disvalore  oggettivo  o
soggettivo del  fatto  di  reato  -  esprimono  tuttavia  una  minore
necessita' di applicare una pena nei confronti  del  suo  autore,  in
considerazione ad esempio della sua condotta successiva al reato. 
    5.2.3.  Grazie  al   complesso   delle   circostanze   attenuanti
applicabili  all'omicidio  e  alla  loro  possibile  prevalenza   nel
giudizio di bilanciamento  con  eventuali  aggravanti,  le  soluzioni
sanzionatorie cui puo' pervenire il giudice  italiano  si  avvicinano
almeno in parte, negli esiti, a quelle cui e' possibile  giungere  in
numerosi altri ordinamenti contemporanei, nei  quali  l'articolazione
delle  diverse  figure  di  omicidio  volontario  e  delle   relative
circostanze attenuanti consente una significativa  modulazione  della
risposta sanzionatoria, in ragione della diversa gravita' di ciascuna
condotta omicida». 
    2.13. La stessa sentenza si e' spinta a considerare  il  «bisogno
di pena» che si richiede al giudice di  valutare  a  carico  del  reo
attraverso l'utilizzo delle  circostanze  attenuanti  (o  in  diverse
ipotesi: aggravanti). 
    2.14. Il precedente e' stato riportato  perche'  esso  mostra  la
tendenza  nella   giurisprudenza   della   Corte   costituzionale   a
commisurare la sanzione alle circostanze di fatto ed alla persona del
reo, evitando ogni automatismo che sarebbe per definizione  contrario
ai valori costituzionali che si fondano  sul  rilievo  della  persona
umana, compreso il reo, e sulla rieducazione di quest'ultimo. 
    2.15.  Poiche',  pero',  l'applicazione  dell'art.  164,  secondo
comma, n. 1) del codice penale, finisce nei fatti per dare prevalenza
alla recidiva rispetto  ad  ogni  altro  profilo  -  compreso  quello
dell'intervenuta riabilitazione - va ricordata  Corte  costituzionale
n. 188/2023 che fa per cosi' dire il punto sulla questione  dell'art.
69, u.c., del codice penale. 
    «In numerose precedenti  occasioni  questa  Corte  ha  dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 69,  quarto  comma  del  codice
penale, nella parte in cui prevedeva  il  divieto  di  prevalenza  di
altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all'art. 99,
quarto comma del codice penale. In particolare nella recente sentenza
n. 94 del 2023 (punto 10  del  Considerato  in  diritto)  sono  state
rammentate e sinteticamente illustrate  e  varie  rationes  decidendi
sottese alle sentenze anteriori, riconducibili peraltro  all'esigenza
di mantenere - con le parole della successiva  sentenza  n.  141  del
2023 (punto 3.1.  del  Considerato  in  diritto)  -  "un  conveniente
rapporto di equilibrio tra la gravita' (oggettiva e  soggettiva)  del
singolo fatto di reato e la severita' della  risposta  sanzionatoria,
evitando in particolare quella che la sentenza ʻcapostipiteʼ  n.  251
del  2012  gia'  aveva  definito  l'ʻabnorme   enfatizzazione   delle
componenti  soggettive  riconducibili  alla  recidiva  reiterata,   a
detrimento  delle  componenti  oggettive  del  reatoʼ  (punto  5  del
Considerato in diritto) creata dall'art. 69, quarto comma del  codice
penale."». 
    2.16. Ed infatti, a ripetere le parole di quest'ultima  sentenza,
la precedente commissione di un reato, e quindi  il  godimento  della
sospensione condizionale della pena in quell'occasione, si  manifesta
come una sorte di enfatizzazione enorme della recidiva, a prescindere
da qualsivoglia considerazione delle componenti oggettive  del  reato
come anche di quelle soggettive, giacche' non si tiene nemmeno  conto
delle attuali condizioni del reo e della riabilitazione intervenuta. 
    2.17. Insomma, il sistema degli articoli 178  e  164  del  codice
penale, risulta sbilanciato ed irrazionale in violazione  del  canone
di ragionevolezza dell'art. 3 della Costituzione:  per  un  verso  la
riabilitazione dovrebbe far venir meno  «ogni  altro  effetto  penale
della condanna»; ma poi l'art. 164, secondo comma,  vanifica  l'esito
medesimo della riabilitazione. 
    2.18. Allora, a ripetere le parole  di  Corte  costituzionale  n.
188/2023, anche per l'art. 164,  secondo  comma,  n.  1)  del  codice
penale, puo' dubitarsi che quest'ultimo  «ridonda  anzitutto  in  una
violazione del canone della proporzionalita' della pena fondato sugli
articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, il quale si oppone a
che siano comminate dal legislatore -  e  conseguentemente  applicate
dal  giudice  -  pene  manifestamente  sproporzionate   rispetto   al
disvalore oggettivo e soggettivo del reato (sentenza n. 141 del 2023,
punto 3.2. del Considerato in diritto)». Per lo stesso motivo  «Dalla
norma  censurata  scaturisce  altresi'  un  vulnus  al  principio  di
offensivita' di cui all'art. 25, secondo comma della Costituzione, il
quale esige che la pena  sia  sempre  essenzialmente  concepita  come
risposta a un singolo «fatto» di reato, e non sia  invece  utilizzata
come misura primariamente  volta  al  controllo  della  pericolosita'
sociale  del  suo  autore,  rivelata  dalle  sue  qualita'  personali
(sostanzialmente in questo senso sentenza n. 249 del  2010,  punto  9
del Considerato in diritto, nonche' - con  riferimento  specifico  al
divieto di cui all'art. 69, quarto comma del codice penale - sentenze
n. 205 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto; n. 105 del 2014,
punto 4 del Considerato in diritto; n. 251  del  2012,  punto  5  del
Considerato in diritto)». 
    2.19. L'art. 164, secondo comma del codice  penale,  nella  parte
qui indubbiata risulta contraddittorio perche'  esclude  quel  potere
discrezionale del giudice che, invece, gli articoli  132  e  133  del
codice penale, gli attribuiscono; ed in contrasto con il principio di
proporzionalita' della pena; ed  appare  sproporzionato  perche'  non
permette di considerare le vicende successive alla  consumazione  del
«primo» reato, il tempo trascorso tra l'uno e l'altro reato, il nesso
tra gli stessi, l'intervenuta rieducazione  del  reo  a  seguito  del
«primo» reato. 
    2.20. La stessa dottrina penalistica ha riconosciuto  l'esistenza
di un diritto fondamentale a non subire pene sproporzionate, ancorato
al  principio  di  eguaglianza  declinato  sia   quale   divieto   di
irragionevoli disparita'  di  trattamento  sanzionatorio,  sia  quale
esigenza di non manifesta  irragionevolezza  intrinseca;  e  che  per
quanto diverso dal diritto (principio)  alla  rieducazione  partecipa
con quest'ultimo di una lettura che guarda al passato e  quindi  alla
gravita' del fatto commesso, ma anche non trascura la tensione  verso
gli obiettivi del recupero, della riparazione, della  riconciliazione
e del reinserimento sociale del condannato. 
    2.21. In altri termini non  appaiono  ragioni  costituzionalmente
significative perche' l'intervenuta riabilitazione dell'imputato  per
reati  pregressi  non  debba  consentire  -  ricorrendone  le   altre
condizioni - la sospensione condizionale  della  pena  a  fronte  del
giudizio «che il  colpevole  si  asterra'  dal  commettere  ulteriori
reati». L'inciso dell'art. 178 del codice penale, non («salvo che  la
legge disponga altrimenti») non puo' riguardare l'applicazione  della
sospensione condizionale. 
    La disciplina qui indubbiata riguarda la  disposizione  dell'art.
164, secondo comma, n. 1 del codice penale, ma l'eventuale intervento
di codesta Corte potrebbe riguardare anche l'art. 178, ultimo  inciso
del codice penale. Per questo e' sollevata questione di  legittimita'
anche di tale disposizione, nella prospettiva gia' ricordata  che  le
limitazioni e/o le eccezioni disposte dal legislatore per evitare che
si estingua «ogni altro effetto penale della  condanna»  non  possono
considerarsi  rimesse  alla  insindacabile  scelta  legislativa,   ma
debbono al contrario  trovare  fondamento  in  valori  costituzionali
cogenti, giacche' le stesse alla fine non sono altro che deroghe alla
funzione rieducatrice della pena. 
    2.22. In una prospettiva  sistematica  potrebbe  opporsi  che  e'
onere del legislatore stabilire le  condizioni  e  le  modalita'  per
riconoscere la riabilitazione e  la  sospensione  condizionale  della
pena, cosi' come rientra nella sua discrezionalita' ex art. 28  della
legge n. 87/1953 definire i limiti di applicazione della  sospensione
condizionale, come ha fatto per l'appunto con gli articoli 163 e 164.
u.c. del codice penale, ad esempio Corte costituzionale n.  377/1990,
n. 85/1997, n. 475/2002. 
    Eppero', rimane costituzionalmente dubbio che,  in  ogni  caso  e
prescindendo da ogni circostanza  e  considerazione,  sia  sempre  di
ostacolo  alla  sospensione   condizionale   l'aver   riportato   una
precedenza condanna a pena detentiva per delitto. 
    Se, infatti, e' vero che nello Stato  di  diritto  l'applicazione
delle sanzioni e, di converso, anche degli strumenti alternativi  (in
senso lato) come la  sospensione  condizionale  della  pena,  non  e'
rimessa  alla  totale  discrezionalita'  del  giudice,  ma   ad   una
valutazione da esercitare nel rispetto di  parametri  prefissati  dal
legislatore  secondo  una  graduazione  che  potrebbe  essere   anche
dettagliata;  e'  anche  vero  che  l'ordinamento   penale   ispirato
dall'art.   27   della   Costituzione   respinge   ogni   automatismo
meccanicistico. 
    2.23. In questa prospettiva la questione  di  legittimita'  degli
articoli 164, secondo comma, n. 1, e 178, ultimo  inciso  del  codice
penale, non risulta manifestamente infondata e va rimessa alla  Corte
costituzionale. 
    Tempo addietro Cassazione n. 3019/1974 ha ritenuto inesistente  a
proposito dell'art. 164 il dubbio di costituzionalita' per  contrasto
con principio di eguaglianza e del divieto di  discriminazioni  sulla
base della considerazione che  la  condotta  antisociale  di  chi  ha
commesso  «nuovi»  reati  anche  dopo  l'intervenuta   riabilitazione
dimostra che lo stesso soggetto persiste nel  reato  e,  quindi,  non
consente un  giudizio  prognostico  favorevole  come  quello  che  si
richiede ai sensi dell'art. 164 del codice penale.  L'idea  e'  stata
che il trattamento  sanzionatorio  andasse  operato  soprattutto  dal
legislatore e che questi potesse indicare i parametri con maggiore  o
minore grado di dettaglio: nella  stessa  disciplina  codicistica,  a
fianco di disposizioni molto generali, quale l'art.  133  del  codice
penale, che stabilisce gli elementi da cui desumere la  gravita'  del
reato, sarebbe stato possibile designare altre maggiormente puntuali,
quali quelle che precludono la concessione del beneficio in questione
al delinquente o contravventore abituale o professionale ovvero a chi
e' stato pur riabilitato (art. 164, secondo comma).  Al  legislatore,
non sarebbe, quindi, inibito prevedere che alla  condanna,  anche  se
seguita dalla  riabilitazione,  residuino  «effetti  penali»  al  cui
novero  andrebbe  ascritto  quello  in   esame.   Stando   a   quella
impostazione, pertanto,  l'istituto  della  sospensione  condizionale
della pena troverebbe il  suo  presupposto  fondante  nella  prognosi
favorevole  sulla  futura  condotta  del  condannato:  prognosi   che
potrebbe  essere  formulata  solo  quando  ricorrano  i   presupposti
stabiliti dal legislatore. 
    Tale   lettura   risulta,   pero',   in    contrasto    con    la
personalizzazione della pena, la quale invece respinge - come  si  e'
piu' volte anticipato - irragionevoli e sproporzionati automatismi  e
richiede che per ogni condannato si costruisca quasi  un  trattamento
individualizzato che di necessita' richiede la decisione da  adottare
in sede giurisdizionale e che consideri circostanze e  modalita'  dei
fatti come lo sviluppo della  personalita'  del  reo  nel  corso  del
tempo. 
    Soprattutto la sentenza della Cassazione  del  1974  (sarebbe  il
legislatore che stabilisce le condizioni  per  concedere  benefici  e
sarebbe di sua competenza operare la  «prognosi»  circa  la  condotta
futura del condannato) sembra essere stata da subito ripudiata  dalla
di poco successiva sentenza della Corte  costituzionale  n.  95/1976,
che invece ha dato risalto  alla  valutazione  individualizzante  del
giudice ed, in particolare, del giudice del piu' recente procedimento
per l'ovvia attualita' di siffatto apprezzamento. 
    2.24. Insomma, il divieto posto al giudice dall'art. 164, secondo
comma, n. 1) del codice penale,  nella  parte  in  cui  impedisce  di
concedere la sospensione condizionale a chi  e'  stato  condannato  a
pena detentiva per delitto oltre i limiti indicati dall'art.  163,  e
malgrado  sia  intervenuta  riabilitazione,  nonche'  dell'art.  178,
ultimo comma, appare in contrasto: 
        con  i  principi  di  proporzionalita'  della  pena   sanciti
dall'art. 27 e di uguaglianza-ragionevolezza, poiche' impone  che  la
pena per la commissione di  un  reato  sia  comunque  irrogata  senza
considerare  l'intervenuta   riabilitazione,   cioe'   l'accertamento
operato  in  sede  giurisdizionale  dell'effettiva  rieducazione  del
condannato e del suo fattivo inserimento  nel  contesto  sociale,  e,
quindi, di tutti gli elementi idonei a mostrare una ridotta capacita'
a delinquere dell'imputato; 
        sempre con i principi di uguaglianza e rieducazione,  poiche'
l'indiscriminata applicazione  della  sanzione  per  «secondo  reato»
comporta l'inflizione di una pena sproporzionata, e dunque  percepita
come ingiusta dal condannato; 
        con  il  principio  di  ragionevolezza  e   con   quello   di
offensivita' del reato ex art. 25 della  Costituzione,  poiche'  -  a
fronte della necessita' di prevenire  la  recidiva  -  non  considera
l'evolversi della personalita' del reo e  finisce  per  comportare  -
«una smisurata amplificazione, in chiave deterrente, della  finalita'
general-preventiva della pena [...] avendo a che  fare  con  la  fase
della punizione,  [e]  dispiega  effetti  di  prevenzione  pressoche'
nulli, implicando pero' un rilevantissimo sacrificio del principio di
uguaglianza e del principio di proporzionalita' della pena». 
    2.25. Pertanto, si rende necessario  sospendere  il  giudizio  in
corso ed i relativi termini di prescrizione,  fino  alla  definizione
del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. 

 
                              P. Q. M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di
cui in  motivazione,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del  codice  penale  e  dell'art.
178, ultimo inciso del codice penale, in riferimento agli articoli 3,
25 e 27 della Costituzione. 
    Sospende il presente giudizio sino alla decisione sulla  proposta
questione di legittimita' costituzionale. 
    Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale  della
presente ordinanza e degli atti del procedimento,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri,  nonche'  per  la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica e  per  la  successiva  trasmissione  del  fascicolo
processuale alla Corte costituzionale. 
    Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23,  comma  4,  legge  n.
87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza  e  che,
pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o  devono
considerarsi presenti,ex art. 148, comma 5 del  codice  di  procedura
penale. 
      Catania, 21 febbraio 2025 
 
                        Il giudice: Cristaldi