Reg. ord. n. 81 del 2025 pubbl. su G.U. del 14/05/2025 n. 20
Ordinanza del Tribunale di Catania del 21/02/2025
Tra: S. G.
Oggetto:
Reati e pene – Sospensione condizionale della pena – Limiti – Previsione che la sospensione condizionale della pena non può essere concessa a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione – Disposizione legislativa la quale impedisce che la riabilitazione del condannato a pena detentiva per delitto estingua ogni altro effetto penale della condanna – Denunciata disciplina la quale impone che la pena per la commissione di un reato sia comunque irrogata senza considerare l’intervenuta riabilitazione e quindi tutti gli elementi idonei a mostrare una ridotta capacità a delinquere dell’imputato – Contrasto con il principio di proporzionalità della pena – Indiscriminata applicazione della sanzione per il secondo reato che comporta l’inflizione di una pena sproporzionata e percepita come ingiusta dal condannato – Lesione dei principi di uguaglianza e rieducazione – Normativa che, al fine di prevenire la recidiva, non considera l’evolversi della personalità del reo, comportando una smisurata amplificazione della finalità general-preventiva della pena – Lesione dei principi di ragionevolezza e offensività del reato.
Norme impugnate:
codice penale
del
Num.
Art. 164
Co. 2
codice penale
del
Num.
Art. 178
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 25
Co.
Costituzione
Art. 27
Co.
Testo dell'ordinanza
N. 81 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 2025
Ordinanza del 21 febbraio 2025 del Tribunale di Catania nel
procedimento penale a carico di S. G..
Reati e pene - Sospensione condizionale della pena - Limiti -
Previsione che la sospensione condizionale della pena non puo'
essere concessa a chi ha riportato una precedente condanna a pena
detentiva per delitto, anche se e' intervenuta la riabilitazione -
Disposizione legislativa la quale impedisce che la riabilitazione
del condannato a pena detentiva per delitto estingua ogni altro
effetto penale della condanna.
- Codice penale, artt. 164, secondo comma, numero 1) e 178, ultimo
inciso.
(GU n. 20 del 14-05-2025)
TRIBUNALE DI CATANIA
Ufficio del giudice per le indagini preliminari
Il giudice dott. Anna Maria Cristaldi, nel procedimento n.
4336/2022 rgnr e n. 3357/2023 RGIP a carico di G.S., nato a ..., il
..., con domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia;
Difeso di fiducia dall'avv. Giuseppe Musumeci del Foro di
Catania;
Imputato del reato previsto e punito dall'art. 589-bis del codice
penale, commesso in ... l'... (data del decesso);
letti gli atti e sciogliendo la riserva all'udienza del 13
settembre 2024.
Osserva
Il PM, in data 19 aprile 2023 ha chiesto il rinvio a giudizio di
G.S. in relazione al delitto di cui all'art. 589-bis del codice
penale.
In data 5 giugno 2024 il difensore del G., munito di procura
speciale ha chiesto la definizione del procedimento con applicazione
di pena concordata, determinata nella misura definitiva di anni uno,
mesi due, giorni sei di reclusione e subordinata alla concessione
della sospensione condizionale della pena.
Il PM ha prestato il consenso con nota del 27 maggio 2024.
Dagli atti del procedimento risulta che il G. con sentenza della
Corte di appello di Catania del 31 ottobre 1968, in riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Catania in data 10 ottobre 1967 era
stato condannato alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione ed
alla multa (convertita) di euro 30,99 in relazione al delitto di
furto aggravato; detta condanna e' divenuta definitiva in data 4
novembre 1968.
Lo stesso G. con sentenza del Tribunale di Catania del 30
novembre 1976, irrevocabile il 19 marzo 1977 era stato, altresi',
condannato alla pena di giorni cinque di arresto e (convertito) euro
5,16 di ammenda, in relazione al reato di violazione delle norme
sull'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli natanti.
In data 17 marzo 1988 la Corte di appello di Catania ha concesso
al G. la riabilitazione, in relazione alle due condanne sopra
indicate.
Osta, pertanto all'applicazione della sospensione condizionale
richiesta dall'imputato il disposto dell'art. 164, secondo comma del
codice penale, laddove si prevede che «la sospensione condizionale
della pena non puo' essere conceduta: 1) a chi ha riportato una
precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se e'
intervenuta la riabilitazione».
Nel caso di specie, la condanna ad anni due e mesi cinque di
reclusione, superando il limite di cui all'art. 163 del codice
penale, e', quindi, preclusiva alla concessione della sospensione
condizionale della pena, a cui e' subordinata la sopra indicata
richiesta di patteggiamento.
Pertanto, all'udienza del 21 giugno 2024, il giudice indicava
alle parti detta oggettiva preclusione.
All'udienza del 13 settembre 2024, il difensore del G. eccepiva
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 164, secondo comma, n. 1)
del codice penale, per contrasto con gli articoli 3 e 27 della
Costituzione, «esprimendo essa [preclusione] una presunzione assoluta
incompatibile con i principi di uguaglianza e con la funzione
rieducativa della pena, impedendo che il giudice del merito possa
formulare una qualsiasi valutazione in concreto di pericolosita'
attuale di adeguatezza o meritevolezza del beneficio da parte
dell'imputato che risulta gia' condannato». Lo stesso difensore
chiedeva, quindi, che valutata la rilevanza e la non manifesta
infondatezza della questione venga sollevata questione di
legittimita' costituzionale della disposizione dell'art. 164, secondo
comma, n. 1) del codice penale, nella parte in cui preclude la
concessione della sospensione condizionale della pena a chi ha
riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto,
superiore ai limiti dell'art. 163 del codice penale, anche se e'
intervenuta la riabilitazione, per contrasto con gli articoli 3 e 27,
terzo comma della Costituzione.
Il PM riteneva la questione irrilevante. Il giudice si riservava
di decidere.
1. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale.
1.1. L'imputato, tramite il difensore procuratore speciale, ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 164,
secondo comma, n. 1 del codice penale, nella parte in cui dispone che
la sospensione condizionale della pena non puo' essere concessa a chi
e' stato condannato ad una pena detentiva per un delitto, malgrado
sia intervenuta la riabilitazione. Secondo l'imputato tale divieto si
risolve in un'occasione di contrasto con l'art. 27 della
Costituzione, e cioe' con la funzione rieducatrice della pena,
nonche' con il principio di eguaglianza per l'irragionevolezza della
previsione. Nell'applicazione del cd beneficio vale la considerazione
dei limiti temporali delle pene siccome precisati dall'art. 163 del
codice penale, nel testo riformulato nel 1974.
Invero, la preclusione contenuta nella disposizione dell'art. 164
non risulta tener conto in maniera compiuta e razionale del principio
di personalizzazione della sanzione oltre che con quello che assegna
al giudice di determinare di volta in volta la pena (in senso lato)
da applicare sulla base delle circostanze in fatto e delle modalita'
di integrazione dei reati oltre che in base per l'appunto alla
personalita' del reo.
1.2. Non sussistono i presupposti per proscioglimento ex art. 129
del codice di procedura penale. Il reato contestato all'imputato per
i suoi limiti edittali rientra tra quelli per i quali e' consentita
l'irrogazione di una sanzione cui applicare la sospensione
condizionale. Per lo stato degli atti la pena concordata ex art. 444
del codice di procedura penale, rientra nei parametri di legge.
1.3. In base, pero', al certificato penale in atti, l'imputato e'
stato condannato alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione
per il delitto di furto aggravato da Appello Catania 31 ottobre 1968
e - per quanto possa rilevare - alla pena di giorni cinque da
Tribunale Catania 30 novembre 1976, per la violazione delle norme
sull'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli e natanti.
Con sentenza Appello Catania 17 marzo 1988 il G. ha ottenuto la
riabilitazione in ordine ai due reati.
1.4. In ragione dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice
penale, questo giudice dovrebbe dichiarare inammissibile o comunque
respingere l'istanza di sospensione condizionale della pena e,
quindi, non accogliere l'istanza di patteggiamento o di pena
concordata ex art. 444 del codice di procedura penale, alla luce del
disposto ai sensi del quale la sospensione condizionale della pena
non puo' essere concessa a chi e' stato condannato per delitto ad una
pena superiore ai limiti dell'art. 163 del codice penale, «anche se
e' intervenuta la riabilitazione».
Questo rende rilevante ex art. 23 della legge n. 87/1953 la
questione di costituzionalita' dell'inciso appena riportato, perche'
la disposizione in esso riportata rende inapplicabile alla vicenda di
specie l'istituto del patteggiamento ex art. 444 del codice di
procedura penale, ed obbliga questo giudice a respingere in via
preliminare l'istanza di pena concordata.
1.5. Laddove viceversa la norma qui censurata fosse dichiarata
costituzionalmente illegittima non si profilerebbe la citata
condizione ostativa all'ammissione alla sospensione condizionale
della pena e la relativa istanza potrebbe essere esaminata nel
merito. Sul punto puo' riferirsi che la stessa Corte costituzionale
nella sentenza n. 174/2022, relativa al diverso istituto della messa
in prova, ma con argomentazioni di carattere generale riferibili
anche alla sospensione condizionale della pena di cui all'art. 164
del codice penale, ha considerato che «l'accoglimento della questione
avrebbe infatti, nella prospettiva del giudice a quo, l'effetto di
rimuovere la preclusione oggi opposta a una possibile seconda
concessione del beneficio previsto dalla disposizione censurata,
consentendogli cosi' di valutare nel merito [...] se sussistano gli
ulteriori presupposti delineati dagli articoli 168-bis del codice
penale e 464-bis e 464-quater del codice di procedura penale per
l'accesso all'istituto in questione. [...] Ne', ai fini della
motivazione sulla rilevanza della questione, sarebbe stato necessario
per il giudice rimettente diffondersi sulla sussistenza dei requisiti
del beneficio in capo a entrambi gli imputati, posto che tale
valutazione e' logicamente successiva alla rimozione della
preclusione stabilita dalla disposizione censurata, che allo stato
vieta in modo assoluto - secondo la lettura del rimettente - la
concessione del beneficio a chi ne abbia gia' fruito».
Analogamente a quanto riportato, nel caso di specie
l'accoglimento della questione, con la conseguente rimozione della
preclusione ad oggi esistente, consentirebbe di valutare nel merito
l'istanza e deciderla.
1.6. La rilevanza della questione non viene meno neanche a
considerare che, per l'eta' raggiunta, l'imputato potrebbe non
scontare la sanzione eventualmente inflittagli. E cio' per un duplice
ordine di motivi. Per un verso, infatti, l'applicazione di una
sanzione comporta, comunque, in assenza di sospensione l'esecuzione
di una sanzione. Peraltro, la decisione circa le modalita' di
applicazione della sanzione e' temporalmente e logicamente successiva
a quella circa la sua comminazione e presuppone per l'intanto la
condanna che e' qui in questione. Inoltre, poi, la stessa modalita'
di applicazione della sanzione puo' essere affidata alla valutazione
di altro decisore, di modo che per l'intanto a questo tribunale si
pone il problema di applicare l'art. 164, secondo comma, n. 1) del
codice penale.
Le prospettive di ammissione a benefici penitenziari o a misure
alternative alla detenzione si pongono in ogni caso all'esterno del
perimetro di decisione di questo giudice circa l'applicabilita'
dell'art. 164 del codice penale.
2. Non manifesta infondatezza della questione sollevata in via
incidentale.
2.1. La questione qui sollevata attiene alla legittimita'
costituzionale dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale,
nella parte in cui dispone che la sospensione condizionale della pena
non puo' essere concessa «a chi ha riportato una precedente condanna
a pena detentiva per delitto, anche se e' intervenuta la
riabilitazione». Cio' inibisce di attribuire efficacia alla
riabilitazione ed impedisce al giudice di valutare tempi, modalita' e
circostanze dei reati riconosciuti integrati dall'imputato.
2.2. La questione non appare manifestamente infondata sulla base
delle rationes a presupposti della riabilitazione prevista dall'art.
178 del codice penale e della sospensione condizionale disciplinata
dall'art. 164 del codice penale del 1930 e, soprattutto,
dell'insegnamento della Corte costituzionale in piu' decisioni.
2.3. La riabilitazione e' oggi prevista dall'art. 178 del codice
penale; essa «estingue le pene accessorie ed ogni effetto penale
della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti». Puo'
anticiparsi che tra tali deroghe e/o eccezione all'eliminazione di
«ogni effetto penale» vi e' appunto quella prevista dall'art. 164,
secondo comma del codice penale.
In generale, e per come e' noto, la riabilitazione e'
disciplinata dal codice penale del 1930 tra le cause di estinzione
della pena e, quindi, tra istituti come la morte del reo, il decorso
del tempo, l'indulto e la grazia, la non menzione della condanna e la
liberazione condizionale, cioe' tra cause del tutto diverse che
attengono sia a circostanze oggettive, come a vicende di carattere
soggettivo.
Per quanto contenuta gia' nel codice Zanardelli del 1889, la
riabilitazione risulta oggi uno degli strumenti di attuazione
dell'art. 27 della Costituzione, e della funzione rieducatrice della
pena. In un certo senso puo' definirsi un istituto costituzionalmente
necessario, perche' sancisce l'intervenuta «rieducazione» del
condannato, e cio' fa attenuare la natura di beneficio a favore del
condannato per farle assumere quella di una vera e propria
aspettativa giuridicamente tutelata a fronte delle «prove effettive e
costanti di buona condotta», cioe' dell'accertamento che, dopo aver
scontato la sanzione, il reo si e' integrato nella comunita'.
Ne discende che anche la limitazione contenuta nell'art. 178 del
codice penale deve essere intesa in maniera rigorosa e restrittiva e,
soprattutto, che le ipotesi in cui dalla riabilitazione non cessano
tutti gli effetti debbono trovare adeguata giustificazioni in ragione
di particolari esigenze costituzionali.
La riabilitazione del condannato passa, del resto, attraverso il
rigoroso accertamento svolto in sede giurisdizionale, «acquisita la
documentazione necessaria», art. 583 del codice di procedura penale,
e quindi anche con l'ausilio degli operatori specialisti in una
visione integrata che guarda alla personalita' del reo grazie anche
agli apporti di vari esperti.
2.4. Nel testo originario del 1930, all'art. 164, u.c., il codice
penale considerava la sospensione condizionale come una sorta di
(ulteriore) beneficio che potesse utilizzarsi una sola volta nel
corso dell'esistenza, legata com'era all'idea che il reato segnasse
pressoche' per sempre la vita del colpevole. E' vero che l'art. 164
del codice penale, si apre con il richiamo dell'art. 133 e, quindi,
con i criteri di commisurazione della sanzione in base alla gravita'
del reato ed alla capacita' a delinquere del medesimo reo; esso,
presuppone, cioe', che il reo sia tale sulla base di alcuni indici e
che di fatto lo rimarra', anche se gia' allora la sospensione
condizionale era comunque legata alla valutazione del giudice «che il
colpevole si asterra' dal commettere ulteriori reati».
L'ultimo comma dell'art. 164 del codice penale e' stato oggetto
di una travagliata vicenda. La sentenza della Corte costituzionale n.
86/1970 «ammise la possibilita' della concessione quando il secondo
reato si legasse con vincolo della continuazione a quello gia'
precedentemente punito con pena sospesa». La sentenza n. 73/1971
«ritenne tale possibilita' anche nel caso di nuova condanna per un
delitto commesso anteriormente alla precedente e sempre che la pena
da infliggere, cumulata con quella gia' sospesa, non sorpassasse i
limiti stabiliti per l'applicabilita' del beneficio». E' intervenuto
il legislatore con il decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99,
convertito, con modificazioni, proprio sull'art. 12 nella legge 7
giugno 1974, n. 220. E, cio' nonostante, a causa del fatto che «4.
... che la dizione finale della norma present[a] delle ambiguita'
tali da legittimare il dubbio che il suo significato originario, non
ostante le modifiche apportate, sia rimasto immutato», e' dovuta
intervenire ancora la Corte costituzionale con la sentenza n.
95/1976, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'ultimo comma «nella parte in cui non consente la concessione
della sospensione condizionale della pena a chi ha gia' riportato una
precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa, qualora
la pena da infliggere cumulata con quella irrogata con la condanna
precedente non superi i limiti stabiliti dall'art. 163 del codice
penale».
Della sentenza n. 95/1976 va qui riportato il paragrafo 5, in cui
il giudice costituzionale osservo' come non potersi comprendere «5.
... come possa essere giustificata la mancata previsione della
possibilita' di concedere la sospensione condizionale a chi ha
riportato una precedente condanna per delitto a pena detentiva, la
cui esecuzione non sia stata sospesa, quando tale possibilita' e'
invece prevista nell'ipotesi in cui la precedente condanna alla
reclusione sia stata sospesa.
A giustificarla non e' certo idonea l'affermazione che nel
secondo caso gia' esiste una valutazione prognostica positiva che
spetta al nuovo giudice verificare, alla luce del nuovo fatto
intervenuto, mentre nel primo caso esiste, al contrario, un giudizio
negativo che potrebbe ritenersi convalidato e confermato dai fatti
successivamente intervenuti.
La commissione di un nuovo reato da parte di chi ha riportato una
precedente condanna, potrebbe semmai dimostrare, coi fatti,
l'erroneita' della valutazione, compiuta dal primo giudice, di nota
recidivita' del reo e che quest'ultimo non merita un trattamento piu'
favorevole di quello riservato a chi di tale valutazione non abbia a
giovarsi.
D'altra parte, e cio' sembra decisivo, poiche' la personalita'
umana e' soggetta ad evoluzione e cambiamenti, non appare ragionevole
condizionare l'apprezzamento sulla proclivita' al delitto del
colpevole da formularsi in occasione della seconda condanna, alla
valutazione effettuata in tempo precedente o addirittura remoto da
altro giudice. E non e' da escludersi che l'esecuzione di una
precedente condanna possa avere determinato l'evoluzione in senso
positivo della personalita' del condannato».
Gia' allora, insomma, la Corte costituzionale noto' che
l'esclusione della sospensione condizionale per il fatto di essere
stato condannato a pena detentiva per delitto risulta(va) piuttosto
sospetta e che, al contrario, si richiede(va) un giudizio fondato
sull'attualita'.
Il problema di costituzionalita' oggi all'attenzione - l'essere
l'art. 164 del codice penale illegittimo nella parte in cui fa
derivare dalla precedente condanna l'inibizione alla sospensione
condizionale - sembra essere posto gia' da quella sentenza de 1976,
che ha sempre richiesto un giudizio prognostico di esclusiva
competenza del giudice sulla possibilita' che il reo «si asterra' dal
commettere ulteriori reati», basata sul criterio di attualita' e
sulla considerazione piena delle circostanze e della personalita' del
colpevole.
2.5. La restrittiva impostazione del codice del 1930 spiega che
la sospensione condizionale non possa essere concessa nemmeno «se e'
intervenuta la riabilitazione», come se lo stigma sociale perseguiti
il reo per tutta la vita ed a prescindere da qualsiasi altra
considerazione ovvero da svolgimenti in fatto che diano prova
dell'allontanamento definitivo della persona dal reato e dalla
«cultura» che si esprime a mezzo della sua commissione. Potrebbe
dirsi che l'integrazione di un reato perseguita per sempre la persona
del reo, senza considerare attivita' future che lo stesso possa aver
posto in essere.
2.6. Questa visione della sospensione condizionale puo' risultare
in contrasto con l'art. 27 della Costituzione e con i principi ivi
contenuti.
La questione qui prospettata puo' essere riferita a mezzo dei
richiami alla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Cosi', nella sentenza n. 236/2016, il giudice costituzionale ha
rilevato come sia costante «4.2. ... la considerazione secondo cui
l'art. 3 della Costituzione esige che la pena sia proporzionata al
disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema
sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed
a quella di tutela delle posizioni individuali. E la tutela del
principio di proporzionalita', nel campo del diritto penale, conduce
a «negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se
presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di
prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni»
(sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989)».
Ha ricordato l'art. 49, numero 3), CDFUE, a tenore del quale «le
pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato».
Per la Corte «il principio di proporzionalita' esige un'articolazione
legale del sistema sanzionatorio che renda possibile l'adeguamento
della pena alle effettive responsabilita' personali, svolgendo una
funzione di giustizia, e anche di tutela delle posizioni individuali
e di limite della potesta' punitiva statale, in armonia con il "volto
costituzionale" del sistema penale (sentenza n. 50 del 1980)».
Ed ha continuato affermando «che, alla luce dell'art. 27 della
Costituzione, il principio della finalita' rieducativa della pena
costituisce "una delle qualita' essenziali e generali che
caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano
da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in
concreto si estingue" (sentenza n. 313 del 1990; si vedano anche le
sentenze n. 183 del 2011 e n. 129 del 2008). Esso, pertanto, non vale
per la sola fase esecutiva, ma obbliga tanto il legislatore quanto i
giudici della cognizione (sentenza n. 313 del 1990). Anche la
finalita' rieducativa della pena, nell'illuminare l'astratta
previsione normativa, richiede «un costante principio di proporzione
tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra» (sentenza n. 251 del 2012 e, ancora, sentenza n. 341 del
1994), mentre la palese sproporzione del sacrificio della liberta'
personale produce «una vanificazione del fine rieducativo della pena
prescritto dall'art. 27, terzo comma della Costituzione, che di
quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione
allo stato di detenzione» (sentenza n. 343 del 1993).
Laddove la proporzione tra sanzione e offesa difetti
manifestamente, perche' alla carica offensiva insita nella condotta
descritta dalla fattispecie normativa il legislatore abbia fatto
corrispondere conseguenze punitive di entita' spropositata, non ne
potra' che discendere una compromissione ab initio del processo
rieducativo, processo al quale il reo tendera' a non prestare
adesione, gia' solo per la percezione di subire una condanna
profondamente ingiusta (sentenze n. 251 e n. 68 del 2012), del tutto
svincolata dalla gravita' della propria condotta e dal disvalore da
essa espressa».
Ha concluso che «in tale contesto, una particolare asprezza della
risposta sanzionatoria determina percio' una violazione congiunta
degli articoli 3 e 27 della Costituzione, essendo lesi sia il
principio di proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del
fatto commesso, sia quello della finalita' rieducativa della pena
(sentenza n. 68 del 2012, che richiama le sentenze n. 341 del 1994 e
n. 343 del 1993)».
Questa decisione e' significativa perche' fa pressoche' il punto
sul rapporto tra pena e istituti che attengono alla sua finalita'
rieducativa.
2.7. Come ricordato dalla sentenza della Corte costituzionale n.
208/2024, «3.1. - Lungi dall'esprimere generiche istanze
indulgenziali o di immotivata "fuga dalla sanzione" nei confronti
degli autori di reato, tanto la sospensione condizionale della pena
quanto la non menzione della condanna nel certificato del casellario
giudiziale sono istituti chiave nell'ottica della funzione oggi
costituzionalmente assegnata alla pena dall'art. 27, terzo comma
della Costituzione.
La sospensione condizionale - introdotta in Italia dalla legge 26
giugno 1904, n. 267 (Sospensione della esecuzione delle sentenze di
condanna) per i condannati a pena detentiva di norma non superiore
alla durata di sei mesi, poi progressivamente estesa sino a
raggiungere i limiti attuali - fu sin dalla sua origine pensata come
funzionale ad assicurare nel condannato per reati di non particolare
gravita' un effetto di monito associato alla sentenza di condanna
pronunciata nei suoi confronti, risparmiandogli tuttavia, in
particolare nel caso di prima condanna, l'esperienza del carcere. Da
tempo la dottrina aveva, in effetti, mostrato come le pene detentive
brevi - troppo brevi per provocare un cammino di rieducazione, ma
gia' idonee a esporre il condannato all'influenza di subculture
criminali e, comunque, a interrompere le sue relazioni affettive,
familiari, sociali, lavorative con la comunita' - producessero
importanti effetti criminogeni e desocializzanti (sul punto, sentenza
n. 28 del 2022, punto 5.1. del Considerato in diritto).
Tale ratio essenziale e' ancor oggi alla base dell'istituto. E
cio' in piena armonia con il principio costituzionale della finalita'
rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma della
Costituzione: finalita' che la sospensione condizionale persegue,
peraltro, non solo in forma negativa - evitando i menzionati effetti
criminogeni e desocializzanti della pena detentiva breve -, ma anche
attraverso la minaccia di revoca del beneficio, che stimola
l'astensione da ulteriori reati da parte del condannato durante il
periodo di sospensione, nonche' attraverso gli obblighi riparatori,
ripristinatori o di recupero che, secondo i casi, possono o debbono
essere imposti al condannato ai sensi dell'art. 165 del codice
penale, conferendo cosi' un contenuto risocializzativo anche
"positivo" al beneficio».
2.8. Insomma, la connotazione della sospensione condizionale
della pena quale beneficio octroye risulta superata dal principio di
personalita' della sanzione introdotto dall'art. 27 della
Costituzione, ed ancor di piu' dal principio di rieducazione del
condannato, il cui esito, una volta accertato positivamente, non puo'
comportare piu' che il reo sia avvinto alla dinamica del reato
commesso, specie se a distanza di tempo e malgrado la riabilitazione
ottenuta.
2.9. L'art. 27 della Costituzione, insomma, pare aver abbandonato
la concezione della riabilitazione e della sospensione condizionale
come benefici ottriatamente concessi, ed al contrario ne ha fatti
strumenti che mirano - assieme alla riparazione del danno provocato
dal reato ed alla tutela della vittima di quest'ultimo - alla
rieducazione del condannato e ad offrirgli opportuna occasione di
risocializzazione.
2.10. Cio' passa di necessita' attraverso l'intervento decisorio
del giudice, cioe' a dire quel potere discrezionale del giudice
nell'applicazione della pena ex art. 132 del codice penale, che si
esercita si' nei limiti della legge in base appunto al principio di
legalita', ma che pure e' presupposto necessario della personalita'
della pena. Lo stesso art. 133 del codice penale, che per l'appunto
e' citato dall'art. 164 del codice penale, e' in questa chiave
riletto attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata
che fa dell'irrogazione della sanzione lo strumento di rieducazione
del reo. Ed in questa concezione tutti gli istituti man mano
configurati dal diritto positivo, compreso quindi quello della
sospensione condizionale della pena, contribuiscono a dare
effettivita' al citato valore.
2.11. La giurisprudenza costituzionale ha fatto largo uso di
questi concetti.
Ad esempio, nella sentenza n. 197/2023, che pure riguarda
l'omicidio del codice, ha ricordato di aver «piu' volte sottolineato
che il principio di proporzionalita' della pena, desunto dagli
articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, esige "che la pena
sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di
offensivita' del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche
al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo", il quale a sua
volta "dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della
volonta' criminosa dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della
colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno
influito sul processo motivazionale dell'autore, rendendolo piu' o
meno rimproverabile" (sentenza n. 73 del 2020, punto 4.2. del
Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 94 del 2023,
punto 10.3. del Considerato in diritto; sentenza n. 55 del 2021,
punto 8 del Considerato in diritto). Il principio della
"personalita'" della responsabilita' penale, sancito dal primo comma
dell'art. 27 della Costituzione, richiede d'altra parte che la pena
applicata a ciascun autore di reato costituisca "una risposta - oltre
che non sproporzionata - il piu' possibile ʻindividualizzataʼ, e
dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato" (sentenza
n. 222 del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto)».
2.12. Nella stessa sentenza, sempre riguardo l'omicidio, ma con
argomentazioni relative a tutti i reati, ha notato che «attraverso il
flessibile strumento del bilanciamento tra le circostanze, il nostro
ordinamento consente dunque al giudice di commisurare una pena
maggiormente calibrata rispetto all'intensita' del disvalore della
singola condotta omicida, nel rispetto dei principi costituzionali
appena menzionati, nonche' di tener conto di ulteriori circostanze
che - pur non incidendo sul minor grado di disvalore oggettivo o
soggettivo del fatto di reato - esprimono tuttavia una minore
necessita' di applicare una pena nei confronti del suo autore, in
considerazione ad esempio della sua condotta successiva al reato.
5.2.3. Grazie al complesso delle circostanze attenuanti
applicabili all'omicidio e alla loro possibile prevalenza nel
giudizio di bilanciamento con eventuali aggravanti, le soluzioni
sanzionatorie cui puo' pervenire il giudice italiano si avvicinano
almeno in parte, negli esiti, a quelle cui e' possibile giungere in
numerosi altri ordinamenti contemporanei, nei quali l'articolazione
delle diverse figure di omicidio volontario e delle relative
circostanze attenuanti consente una significativa modulazione della
risposta sanzionatoria, in ragione della diversa gravita' di ciascuna
condotta omicida».
2.13. La stessa sentenza si e' spinta a considerare il «bisogno
di pena» che si richiede al giudice di valutare a carico del reo
attraverso l'utilizzo delle circostanze attenuanti (o in diverse
ipotesi: aggravanti).
2.14. Il precedente e' stato riportato perche' esso mostra la
tendenza nella giurisprudenza della Corte costituzionale a
commisurare la sanzione alle circostanze di fatto ed alla persona del
reo, evitando ogni automatismo che sarebbe per definizione contrario
ai valori costituzionali che si fondano sul rilievo della persona
umana, compreso il reo, e sulla rieducazione di quest'ultimo.
2.15. Poiche', pero', l'applicazione dell'art. 164, secondo
comma, n. 1) del codice penale, finisce nei fatti per dare prevalenza
alla recidiva rispetto ad ogni altro profilo - compreso quello
dell'intervenuta riabilitazione - va ricordata Corte costituzionale
n. 188/2023 che fa per cosi' dire il punto sulla questione dell'art.
69, u.c., del codice penale.
«In numerose precedenti occasioni questa Corte ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 69, quarto comma del codice
penale, nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza di
altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all'art. 99,
quarto comma del codice penale. In particolare nella recente sentenza
n. 94 del 2023 (punto 10 del Considerato in diritto) sono state
rammentate e sinteticamente illustrate e varie rationes decidendi
sottese alle sentenze anteriori, riconducibili peraltro all'esigenza
di mantenere - con le parole della successiva sentenza n. 141 del
2023 (punto 3.1. del Considerato in diritto) - "un conveniente
rapporto di equilibrio tra la gravita' (oggettiva e soggettiva) del
singolo fatto di reato e la severita' della risposta sanzionatoria,
evitando in particolare quella che la sentenza ʻcapostipiteʼ n. 251
del 2012 gia' aveva definito l'ʻabnorme enfatizzazione delle
componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a
detrimento delle componenti oggettive del reatoʼ (punto 5 del
Considerato in diritto) creata dall'art. 69, quarto comma del codice
penale."».
2.16. Ed infatti, a ripetere le parole di quest'ultima sentenza,
la precedente commissione di un reato, e quindi il godimento della
sospensione condizionale della pena in quell'occasione, si manifesta
come una sorte di enfatizzazione enorme della recidiva, a prescindere
da qualsivoglia considerazione delle componenti oggettive del reato
come anche di quelle soggettive, giacche' non si tiene nemmeno conto
delle attuali condizioni del reo e della riabilitazione intervenuta.
2.17. Insomma, il sistema degli articoli 178 e 164 del codice
penale, risulta sbilanciato ed irrazionale in violazione del canone
di ragionevolezza dell'art. 3 della Costituzione: per un verso la
riabilitazione dovrebbe far venir meno «ogni altro effetto penale
della condanna»; ma poi l'art. 164, secondo comma, vanifica l'esito
medesimo della riabilitazione.
2.18. Allora, a ripetere le parole di Corte costituzionale n.
188/2023, anche per l'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice
penale, puo' dubitarsi che quest'ultimo «ridonda anzitutto in una
violazione del canone della proporzionalita' della pena fondato sugli
articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, il quale si oppone a
che siano comminate dal legislatore - e conseguentemente applicate
dal giudice - pene manifestamente sproporzionate rispetto al
disvalore oggettivo e soggettivo del reato (sentenza n. 141 del 2023,
punto 3.2. del Considerato in diritto)». Per lo stesso motivo «Dalla
norma censurata scaturisce altresi' un vulnus al principio di
offensivita' di cui all'art. 25, secondo comma della Costituzione, il
quale esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come
risposta a un singolo «fatto» di reato, e non sia invece utilizzata
come misura primariamente volta al controllo della pericolosita'
sociale del suo autore, rivelata dalle sue qualita' personali
(sostanzialmente in questo senso sentenza n. 249 del 2010, punto 9
del Considerato in diritto, nonche' - con riferimento specifico al
divieto di cui all'art. 69, quarto comma del codice penale - sentenze
n. 205 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto; n. 105 del 2014,
punto 4 del Considerato in diritto; n. 251 del 2012, punto 5 del
Considerato in diritto)».
2.19. L'art. 164, secondo comma del codice penale, nella parte
qui indubbiata risulta contraddittorio perche' esclude quel potere
discrezionale del giudice che, invece, gli articoli 132 e 133 del
codice penale, gli attribuiscono; ed in contrasto con il principio di
proporzionalita' della pena; ed appare sproporzionato perche' non
permette di considerare le vicende successive alla consumazione del
«primo» reato, il tempo trascorso tra l'uno e l'altro reato, il nesso
tra gli stessi, l'intervenuta rieducazione del reo a seguito del
«primo» reato.
2.20. La stessa dottrina penalistica ha riconosciuto l'esistenza
di un diritto fondamentale a non subire pene sproporzionate, ancorato
al principio di eguaglianza declinato sia quale divieto di
irragionevoli disparita' di trattamento sanzionatorio, sia quale
esigenza di non manifesta irragionevolezza intrinseca; e che per
quanto diverso dal diritto (principio) alla rieducazione partecipa
con quest'ultimo di una lettura che guarda al passato e quindi alla
gravita' del fatto commesso, ma anche non trascura la tensione verso
gli obiettivi del recupero, della riparazione, della riconciliazione
e del reinserimento sociale del condannato.
2.21. In altri termini non appaiono ragioni costituzionalmente
significative perche' l'intervenuta riabilitazione dell'imputato per
reati pregressi non debba consentire - ricorrendone le altre
condizioni - la sospensione condizionale della pena a fronte del
giudizio «che il colpevole si asterra' dal commettere ulteriori
reati». L'inciso dell'art. 178 del codice penale, non («salvo che la
legge disponga altrimenti») non puo' riguardare l'applicazione della
sospensione condizionale.
La disciplina qui indubbiata riguarda la disposizione dell'art.
164, secondo comma, n. 1 del codice penale, ma l'eventuale intervento
di codesta Corte potrebbe riguardare anche l'art. 178, ultimo inciso
del codice penale. Per questo e' sollevata questione di legittimita'
anche di tale disposizione, nella prospettiva gia' ricordata che le
limitazioni e/o le eccezioni disposte dal legislatore per evitare che
si estingua «ogni altro effetto penale della condanna» non possono
considerarsi rimesse alla insindacabile scelta legislativa, ma
debbono al contrario trovare fondamento in valori costituzionali
cogenti, giacche' le stesse alla fine non sono altro che deroghe alla
funzione rieducatrice della pena.
2.22. In una prospettiva sistematica potrebbe opporsi che e'
onere del legislatore stabilire le condizioni e le modalita' per
riconoscere la riabilitazione e la sospensione condizionale della
pena, cosi' come rientra nella sua discrezionalita' ex art. 28 della
legge n. 87/1953 definire i limiti di applicazione della sospensione
condizionale, come ha fatto per l'appunto con gli articoli 163 e 164.
u.c. del codice penale, ad esempio Corte costituzionale n. 377/1990,
n. 85/1997, n. 475/2002.
Eppero', rimane costituzionalmente dubbio che, in ogni caso e
prescindendo da ogni circostanza e considerazione, sia sempre di
ostacolo alla sospensione condizionale l'aver riportato una
precedenza condanna a pena detentiva per delitto.
Se, infatti, e' vero che nello Stato di diritto l'applicazione
delle sanzioni e, di converso, anche degli strumenti alternativi (in
senso lato) come la sospensione condizionale della pena, non e'
rimessa alla totale discrezionalita' del giudice, ma ad una
valutazione da esercitare nel rispetto di parametri prefissati dal
legislatore secondo una graduazione che potrebbe essere anche
dettagliata; e' anche vero che l'ordinamento penale ispirato
dall'art. 27 della Costituzione respinge ogni automatismo
meccanicistico.
2.23. In questa prospettiva la questione di legittimita' degli
articoli 164, secondo comma, n. 1, e 178, ultimo inciso del codice
penale, non risulta manifestamente infondata e va rimessa alla Corte
costituzionale.
Tempo addietro Cassazione n. 3019/1974 ha ritenuto inesistente a
proposito dell'art. 164 il dubbio di costituzionalita' per contrasto
con principio di eguaglianza e del divieto di discriminazioni sulla
base della considerazione che la condotta antisociale di chi ha
commesso «nuovi» reati anche dopo l'intervenuta riabilitazione
dimostra che lo stesso soggetto persiste nel reato e, quindi, non
consente un giudizio prognostico favorevole come quello che si
richiede ai sensi dell'art. 164 del codice penale. L'idea e' stata
che il trattamento sanzionatorio andasse operato soprattutto dal
legislatore e che questi potesse indicare i parametri con maggiore o
minore grado di dettaglio: nella stessa disciplina codicistica, a
fianco di disposizioni molto generali, quale l'art. 133 del codice
penale, che stabilisce gli elementi da cui desumere la gravita' del
reato, sarebbe stato possibile designare altre maggiormente puntuali,
quali quelle che precludono la concessione del beneficio in questione
al delinquente o contravventore abituale o professionale ovvero a chi
e' stato pur riabilitato (art. 164, secondo comma). Al legislatore,
non sarebbe, quindi, inibito prevedere che alla condanna, anche se
seguita dalla riabilitazione, residuino «effetti penali» al cui
novero andrebbe ascritto quello in esame. Stando a quella
impostazione, pertanto, l'istituto della sospensione condizionale
della pena troverebbe il suo presupposto fondante nella prognosi
favorevole sulla futura condotta del condannato: prognosi che
potrebbe essere formulata solo quando ricorrano i presupposti
stabiliti dal legislatore.
Tale lettura risulta, pero', in contrasto con la
personalizzazione della pena, la quale invece respinge - come si e'
piu' volte anticipato - irragionevoli e sproporzionati automatismi e
richiede che per ogni condannato si costruisca quasi un trattamento
individualizzato che di necessita' richiede la decisione da adottare
in sede giurisdizionale e che consideri circostanze e modalita' dei
fatti come lo sviluppo della personalita' del reo nel corso del
tempo.
Soprattutto la sentenza della Cassazione del 1974 (sarebbe il
legislatore che stabilisce le condizioni per concedere benefici e
sarebbe di sua competenza operare la «prognosi» circa la condotta
futura del condannato) sembra essere stata da subito ripudiata dalla
di poco successiva sentenza della Corte costituzionale n. 95/1976,
che invece ha dato risalto alla valutazione individualizzante del
giudice ed, in particolare, del giudice del piu' recente procedimento
per l'ovvia attualita' di siffatto apprezzamento.
2.24. Insomma, il divieto posto al giudice dall'art. 164, secondo
comma, n. 1) del codice penale, nella parte in cui impedisce di
concedere la sospensione condizionale a chi e' stato condannato a
pena detentiva per delitto oltre i limiti indicati dall'art. 163, e
malgrado sia intervenuta riabilitazione, nonche' dell'art. 178,
ultimo comma, appare in contrasto:
con i principi di proporzionalita' della pena sanciti
dall'art. 27 e di uguaglianza-ragionevolezza, poiche' impone che la
pena per la commissione di un reato sia comunque irrogata senza
considerare l'intervenuta riabilitazione, cioe' l'accertamento
operato in sede giurisdizionale dell'effettiva rieducazione del
condannato e del suo fattivo inserimento nel contesto sociale, e,
quindi, di tutti gli elementi idonei a mostrare una ridotta capacita'
a delinquere dell'imputato;
sempre con i principi di uguaglianza e rieducazione, poiche'
l'indiscriminata applicazione della sanzione per «secondo reato»
comporta l'inflizione di una pena sproporzionata, e dunque percepita
come ingiusta dal condannato;
con il principio di ragionevolezza e con quello di
offensivita' del reato ex art. 25 della Costituzione, poiche' - a
fronte della necessita' di prevenire la recidiva - non considera
l'evolversi della personalita' del reo e finisce per comportare -
«una smisurata amplificazione, in chiave deterrente, della finalita'
general-preventiva della pena [...] avendo a che fare con la fase
della punizione, [e] dispiega effetti di prevenzione pressoche'
nulli, implicando pero' un rilevantissimo sacrificio del principio di
uguaglianza e del principio di proporzionalita' della pena».
2.25. Pertanto, si rende necessario sospendere il giudizio in
corso ed i relativi termini di prescrizione, fino alla definizione
del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
P. Q. M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di
cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale e dell'art.
178, ultimo inciso del codice penale, in riferimento agli articoli 3,
25 e 27 della Costituzione.
Sospende il presente giudizio sino alla decisione sulla proposta
questione di legittimita' costituzionale.
Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della
presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della
documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso.
Manda alla cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo
processuale alla Corte costituzionale.
Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23, comma 4, legge n.
87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e che,
pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono
considerarsi presenti,ex art. 148, comma 5 del codice di procedura
penale.
Catania, 21 febbraio 2025
Il giudice: Cristaldi
Oggetto:
Reati e pene – Sospensione condizionale della pena – Limiti – Previsione che la sospensione condizionale della pena non può essere concessa a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione – Disposizione legislativa la quale impedisce che la riabilitazione del condannato a pena detentiva per delitto estingua ogni altro effetto penale della condanna – Denunciata disciplina la quale impone che la pena per la commissione di un reato sia comunque irrogata senza considerare l’intervenuta riabilitazione e quindi tutti gli elementi idonei a mostrare una ridotta capacità a delinquere dell’imputato – Contrasto con il principio di proporzionalità della pena – Indiscriminata applicazione della sanzione per il secondo reato che comporta l’inflizione di una pena sproporzionata e percepita come ingiusta dal condannato – Lesione dei principi di uguaglianza e rieducazione – Normativa che, al fine di prevenire la recidiva, non considera l’evolversi della personalità del reo, comportando una smisurata amplificazione della finalità general-preventiva della pena – Lesione dei principi di ragionevolezza e offensività del reato.
Norme impugnate:
codice penale del Num. Art. 164 Co. 2
codice penale del Num. Art. 178
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 25 Co.
Costituzione Art. 27 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 81 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 2025 Ordinanza del 21 febbraio 2025 del Tribunale di Catania nel procedimento penale a carico di S. G.. Reati e pene - Sospensione condizionale della pena - Limiti - Previsione che la sospensione condizionale della pena non puo' essere concessa a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se e' intervenuta la riabilitazione - Disposizione legislativa la quale impedisce che la riabilitazione del condannato a pena detentiva per delitto estingua ogni altro effetto penale della condanna. - Codice penale, artt. 164, secondo comma, numero 1) e 178, ultimo inciso. (GU n. 20 del 14-05-2025) TRIBUNALE DI CATANIA Ufficio del giudice per le indagini preliminari Il giudice dott. Anna Maria Cristaldi, nel procedimento n. 4336/2022 rgnr e n. 3357/2023 RGIP a carico di G.S., nato a ..., il ..., con domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia; Difeso di fiducia dall'avv. Giuseppe Musumeci del Foro di Catania; Imputato del reato previsto e punito dall'art. 589-bis del codice penale, commesso in ... l'... (data del decesso); letti gli atti e sciogliendo la riserva all'udienza del 13 settembre 2024. Osserva Il PM, in data 19 aprile 2023 ha chiesto il rinvio a giudizio di G.S. in relazione al delitto di cui all'art. 589-bis del codice penale. In data 5 giugno 2024 il difensore del G., munito di procura speciale ha chiesto la definizione del procedimento con applicazione di pena concordata, determinata nella misura definitiva di anni uno, mesi due, giorni sei di reclusione e subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena. Il PM ha prestato il consenso con nota del 27 maggio 2024. Dagli atti del procedimento risulta che il G. con sentenza della Corte di appello di Catania del 31 ottobre 1968, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Catania in data 10 ottobre 1967 era stato condannato alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione ed alla multa (convertita) di euro 30,99 in relazione al delitto di furto aggravato; detta condanna e' divenuta definitiva in data 4 novembre 1968. Lo stesso G. con sentenza del Tribunale di Catania del 30 novembre 1976, irrevocabile il 19 marzo 1977 era stato, altresi', condannato alla pena di giorni cinque di arresto e (convertito) euro 5,16 di ammenda, in relazione al reato di violazione delle norme sull'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli natanti. In data 17 marzo 1988 la Corte di appello di Catania ha concesso al G. la riabilitazione, in relazione alle due condanne sopra indicate. Osta, pertanto all'applicazione della sospensione condizionale richiesta dall'imputato il disposto dell'art. 164, secondo comma del codice penale, laddove si prevede che «la sospensione condizionale della pena non puo' essere conceduta: 1) a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se e' intervenuta la riabilitazione». Nel caso di specie, la condanna ad anni due e mesi cinque di reclusione, superando il limite di cui all'art. 163 del codice penale, e', quindi, preclusiva alla concessione della sospensione condizionale della pena, a cui e' subordinata la sopra indicata richiesta di patteggiamento. Pertanto, all'udienza del 21 giugno 2024, il giudice indicava alle parti detta oggettiva preclusione. All'udienza del 13 settembre 2024, il difensore del G. eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale, per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, «esprimendo essa [preclusione] una presunzione assoluta incompatibile con i principi di uguaglianza e con la funzione rieducativa della pena, impedendo che il giudice del merito possa formulare una qualsiasi valutazione in concreto di pericolosita' attuale di adeguatezza o meritevolezza del beneficio da parte dell'imputato che risulta gia' condannato». Lo stesso difensore chiedeva, quindi, che valutata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione venga sollevata questione di legittimita' costituzionale della disposizione dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale, nella parte in cui preclude la concessione della sospensione condizionale della pena a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, superiore ai limiti dell'art. 163 del codice penale, anche se e' intervenuta la riabilitazione, per contrasto con gli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione. Il PM riteneva la questione irrilevante. Il giudice si riservava di decidere. 1. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 1.1. L'imputato, tramite il difensore procuratore speciale, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 164, secondo comma, n. 1 del codice penale, nella parte in cui dispone che la sospensione condizionale della pena non puo' essere concessa a chi e' stato condannato ad una pena detentiva per un delitto, malgrado sia intervenuta la riabilitazione. Secondo l'imputato tale divieto si risolve in un'occasione di contrasto con l'art. 27 della Costituzione, e cioe' con la funzione rieducatrice della pena, nonche' con il principio di eguaglianza per l'irragionevolezza della previsione. Nell'applicazione del cd beneficio vale la considerazione dei limiti temporali delle pene siccome precisati dall'art. 163 del codice penale, nel testo riformulato nel 1974. Invero, la preclusione contenuta nella disposizione dell'art. 164 non risulta tener conto in maniera compiuta e razionale del principio di personalizzazione della sanzione oltre che con quello che assegna al giudice di determinare di volta in volta la pena (in senso lato) da applicare sulla base delle circostanze in fatto e delle modalita' di integrazione dei reati oltre che in base per l'appunto alla personalita' del reo. 1.2. Non sussistono i presupposti per proscioglimento ex art. 129 del codice di procedura penale. Il reato contestato all'imputato per i suoi limiti edittali rientra tra quelli per i quali e' consentita l'irrogazione di una sanzione cui applicare la sospensione condizionale. Per lo stato degli atti la pena concordata ex art. 444 del codice di procedura penale, rientra nei parametri di legge. 1.3. In base, pero', al certificato penale in atti, l'imputato e' stato condannato alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione per il delitto di furto aggravato da Appello Catania 31 ottobre 1968 e - per quanto possa rilevare - alla pena di giorni cinque da Tribunale Catania 30 novembre 1976, per la violazione delle norme sull'assicurazione obbligatoria degli autoveicoli e natanti. Con sentenza Appello Catania 17 marzo 1988 il G. ha ottenuto la riabilitazione in ordine ai due reati. 1.4. In ragione dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale, questo giudice dovrebbe dichiarare inammissibile o comunque respingere l'istanza di sospensione condizionale della pena e, quindi, non accogliere l'istanza di patteggiamento o di pena concordata ex art. 444 del codice di procedura penale, alla luce del disposto ai sensi del quale la sospensione condizionale della pena non puo' essere concessa a chi e' stato condannato per delitto ad una pena superiore ai limiti dell'art. 163 del codice penale, «anche se e' intervenuta la riabilitazione». Questo rende rilevante ex art. 23 della legge n. 87/1953 la questione di costituzionalita' dell'inciso appena riportato, perche' la disposizione in esso riportata rende inapplicabile alla vicenda di specie l'istituto del patteggiamento ex art. 444 del codice di procedura penale, ed obbliga questo giudice a respingere in via preliminare l'istanza di pena concordata. 1.5. Laddove viceversa la norma qui censurata fosse dichiarata costituzionalmente illegittima non si profilerebbe la citata condizione ostativa all'ammissione alla sospensione condizionale della pena e la relativa istanza potrebbe essere esaminata nel merito. Sul punto puo' riferirsi che la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 174/2022, relativa al diverso istituto della messa in prova, ma con argomentazioni di carattere generale riferibili anche alla sospensione condizionale della pena di cui all'art. 164 del codice penale, ha considerato che «l'accoglimento della questione avrebbe infatti, nella prospettiva del giudice a quo, l'effetto di rimuovere la preclusione oggi opposta a una possibile seconda concessione del beneficio previsto dalla disposizione censurata, consentendogli cosi' di valutare nel merito [...] se sussistano gli ulteriori presupposti delineati dagli articoli 168-bis del codice penale e 464-bis e 464-quater del codice di procedura penale per l'accesso all'istituto in questione. [...] Ne', ai fini della motivazione sulla rilevanza della questione, sarebbe stato necessario per il giudice rimettente diffondersi sulla sussistenza dei requisiti del beneficio in capo a entrambi gli imputati, posto che tale valutazione e' logicamente successiva alla rimozione della preclusione stabilita dalla disposizione censurata, che allo stato vieta in modo assoluto - secondo la lettura del rimettente - la concessione del beneficio a chi ne abbia gia' fruito». Analogamente a quanto riportato, nel caso di specie l'accoglimento della questione, con la conseguente rimozione della preclusione ad oggi esistente, consentirebbe di valutare nel merito l'istanza e deciderla. 1.6. La rilevanza della questione non viene meno neanche a considerare che, per l'eta' raggiunta, l'imputato potrebbe non scontare la sanzione eventualmente inflittagli. E cio' per un duplice ordine di motivi. Per un verso, infatti, l'applicazione di una sanzione comporta, comunque, in assenza di sospensione l'esecuzione di una sanzione. Peraltro, la decisione circa le modalita' di applicazione della sanzione e' temporalmente e logicamente successiva a quella circa la sua comminazione e presuppone per l'intanto la condanna che e' qui in questione. Inoltre, poi, la stessa modalita' di applicazione della sanzione puo' essere affidata alla valutazione di altro decisore, di modo che per l'intanto a questo tribunale si pone il problema di applicare l'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale. Le prospettive di ammissione a benefici penitenziari o a misure alternative alla detenzione si pongono in ogni caso all'esterno del perimetro di decisione di questo giudice circa l'applicabilita' dell'art. 164 del codice penale. 2. Non manifesta infondatezza della questione sollevata in via incidentale. 2.1. La questione qui sollevata attiene alla legittimita' costituzionale dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale, nella parte in cui dispone che la sospensione condizionale della pena non puo' essere concessa «a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se e' intervenuta la riabilitazione». Cio' inibisce di attribuire efficacia alla riabilitazione ed impedisce al giudice di valutare tempi, modalita' e circostanze dei reati riconosciuti integrati dall'imputato. 2.2. La questione non appare manifestamente infondata sulla base delle rationes a presupposti della riabilitazione prevista dall'art. 178 del codice penale e della sospensione condizionale disciplinata dall'art. 164 del codice penale del 1930 e, soprattutto, dell'insegnamento della Corte costituzionale in piu' decisioni. 2.3. La riabilitazione e' oggi prevista dall'art. 178 del codice penale; essa «estingue le pene accessorie ed ogni effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti». Puo' anticiparsi che tra tali deroghe e/o eccezione all'eliminazione di «ogni effetto penale» vi e' appunto quella prevista dall'art. 164, secondo comma del codice penale. In generale, e per come e' noto, la riabilitazione e' disciplinata dal codice penale del 1930 tra le cause di estinzione della pena e, quindi, tra istituti come la morte del reo, il decorso del tempo, l'indulto e la grazia, la non menzione della condanna e la liberazione condizionale, cioe' tra cause del tutto diverse che attengono sia a circostanze oggettive, come a vicende di carattere soggettivo. Per quanto contenuta gia' nel codice Zanardelli del 1889, la riabilitazione risulta oggi uno degli strumenti di attuazione dell'art. 27 della Costituzione, e della funzione rieducatrice della pena. In un certo senso puo' definirsi un istituto costituzionalmente necessario, perche' sancisce l'intervenuta «rieducazione» del condannato, e cio' fa attenuare la natura di beneficio a favore del condannato per farle assumere quella di una vera e propria aspettativa giuridicamente tutelata a fronte delle «prove effettive e costanti di buona condotta», cioe' dell'accertamento che, dopo aver scontato la sanzione, il reo si e' integrato nella comunita'. Ne discende che anche la limitazione contenuta nell'art. 178 del codice penale deve essere intesa in maniera rigorosa e restrittiva e, soprattutto, che le ipotesi in cui dalla riabilitazione non cessano tutti gli effetti debbono trovare adeguata giustificazioni in ragione di particolari esigenze costituzionali. La riabilitazione del condannato passa, del resto, attraverso il rigoroso accertamento svolto in sede giurisdizionale, «acquisita la documentazione necessaria», art. 583 del codice di procedura penale, e quindi anche con l'ausilio degli operatori specialisti in una visione integrata che guarda alla personalita' del reo grazie anche agli apporti di vari esperti. 2.4. Nel testo originario del 1930, all'art. 164, u.c., il codice penale considerava la sospensione condizionale come una sorta di (ulteriore) beneficio che potesse utilizzarsi una sola volta nel corso dell'esistenza, legata com'era all'idea che il reato segnasse pressoche' per sempre la vita del colpevole. E' vero che l'art. 164 del codice penale, si apre con il richiamo dell'art. 133 e, quindi, con i criteri di commisurazione della sanzione in base alla gravita' del reato ed alla capacita' a delinquere del medesimo reo; esso, presuppone, cioe', che il reo sia tale sulla base di alcuni indici e che di fatto lo rimarra', anche se gia' allora la sospensione condizionale era comunque legata alla valutazione del giudice «che il colpevole si asterra' dal commettere ulteriori reati». L'ultimo comma dell'art. 164 del codice penale e' stato oggetto di una travagliata vicenda. La sentenza della Corte costituzionale n. 86/1970 «ammise la possibilita' della concessione quando il secondo reato si legasse con vincolo della continuazione a quello gia' precedentemente punito con pena sospesa». La sentenza n. 73/1971 «ritenne tale possibilita' anche nel caso di nuova condanna per un delitto commesso anteriormente alla precedente e sempre che la pena da infliggere, cumulata con quella gia' sospesa, non sorpassasse i limiti stabiliti per l'applicabilita' del beneficio». E' intervenuto il legislatore con il decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito, con modificazioni, proprio sull'art. 12 nella legge 7 giugno 1974, n. 220. E, cio' nonostante, a causa del fatto che «4. ... che la dizione finale della norma present[a] delle ambiguita' tali da legittimare il dubbio che il suo significato originario, non ostante le modifiche apportate, sia rimasto immutato», e' dovuta intervenire ancora la Corte costituzionale con la sentenza n. 95/1976, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'ultimo comma «nella parte in cui non consente la concessione della sospensione condizionale della pena a chi ha gia' riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa, qualora la pena da infliggere cumulata con quella irrogata con la condanna precedente non superi i limiti stabiliti dall'art. 163 del codice penale». Della sentenza n. 95/1976 va qui riportato il paragrafo 5, in cui il giudice costituzionale osservo' come non potersi comprendere «5. ... come possa essere giustificata la mancata previsione della possibilita' di concedere la sospensione condizionale a chi ha riportato una precedente condanna per delitto a pena detentiva, la cui esecuzione non sia stata sospesa, quando tale possibilita' e' invece prevista nell'ipotesi in cui la precedente condanna alla reclusione sia stata sospesa. A giustificarla non e' certo idonea l'affermazione che nel secondo caso gia' esiste una valutazione prognostica positiva che spetta al nuovo giudice verificare, alla luce del nuovo fatto intervenuto, mentre nel primo caso esiste, al contrario, un giudizio negativo che potrebbe ritenersi convalidato e confermato dai fatti successivamente intervenuti. La commissione di un nuovo reato da parte di chi ha riportato una precedente condanna, potrebbe semmai dimostrare, coi fatti, l'erroneita' della valutazione, compiuta dal primo giudice, di nota recidivita' del reo e che quest'ultimo non merita un trattamento piu' favorevole di quello riservato a chi di tale valutazione non abbia a giovarsi. D'altra parte, e cio' sembra decisivo, poiche' la personalita' umana e' soggetta ad evoluzione e cambiamenti, non appare ragionevole condizionare l'apprezzamento sulla proclivita' al delitto del colpevole da formularsi in occasione della seconda condanna, alla valutazione effettuata in tempo precedente o addirittura remoto da altro giudice. E non e' da escludersi che l'esecuzione di una precedente condanna possa avere determinato l'evoluzione in senso positivo della personalita' del condannato». Gia' allora, insomma, la Corte costituzionale noto' che l'esclusione della sospensione condizionale per il fatto di essere stato condannato a pena detentiva per delitto risulta(va) piuttosto sospetta e che, al contrario, si richiede(va) un giudizio fondato sull'attualita'. Il problema di costituzionalita' oggi all'attenzione - l'essere l'art. 164 del codice penale illegittimo nella parte in cui fa derivare dalla precedente condanna l'inibizione alla sospensione condizionale - sembra essere posto gia' da quella sentenza de 1976, che ha sempre richiesto un giudizio prognostico di esclusiva competenza del giudice sulla possibilita' che il reo «si asterra' dal commettere ulteriori reati», basata sul criterio di attualita' e sulla considerazione piena delle circostanze e della personalita' del colpevole. 2.5. La restrittiva impostazione del codice del 1930 spiega che la sospensione condizionale non possa essere concessa nemmeno «se e' intervenuta la riabilitazione», come se lo stigma sociale perseguiti il reo per tutta la vita ed a prescindere da qualsiasi altra considerazione ovvero da svolgimenti in fatto che diano prova dell'allontanamento definitivo della persona dal reato e dalla «cultura» che si esprime a mezzo della sua commissione. Potrebbe dirsi che l'integrazione di un reato perseguita per sempre la persona del reo, senza considerare attivita' future che lo stesso possa aver posto in essere. 2.6. Questa visione della sospensione condizionale puo' risultare in contrasto con l'art. 27 della Costituzione e con i principi ivi contenuti. La questione qui prospettata puo' essere riferita a mezzo dei richiami alla giurisprudenza della Corte costituzionale. Cosi', nella sentenza n. 236/2016, il giudice costituzionale ha rilevato come sia costante «4.2. ... la considerazione secondo cui l'art. 3 della Costituzione esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali. E la tutela del principio di proporzionalita', nel campo del diritto penale, conduce a «negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni» (sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989)». Ha ricordato l'art. 49, numero 3), CDFUE, a tenore del quale «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». Per la Corte «il principio di proporzionalita' esige un'articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile l'adeguamento della pena alle effettive responsabilita' personali, svolgendo una funzione di giustizia, e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potesta' punitiva statale, in armonia con il "volto costituzionale" del sistema penale (sentenza n. 50 del 1980)». Ed ha continuato affermando «che, alla luce dell'art. 27 della Costituzione, il principio della finalita' rieducativa della pena costituisce "una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue" (sentenza n. 313 del 1990; si vedano anche le sentenze n. 183 del 2011 e n. 129 del 2008). Esso, pertanto, non vale per la sola fase esecutiva, ma obbliga tanto il legislatore quanto i giudici della cognizione (sentenza n. 313 del 1990). Anche la finalita' rieducativa della pena, nell'illuminare l'astratta previsione normativa, richiede «un costante principio di proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra» (sentenza n. 251 del 2012 e, ancora, sentenza n. 341 del 1994), mentre la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale produce «una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma della Costituzione, che di quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione» (sentenza n. 343 del 1993). Laddove la proporzione tra sanzione e offesa difetti manifestamente, perche' alla carica offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa il legislatore abbia fatto corrispondere conseguenze punitive di entita' spropositata, non ne potra' che discendere una compromissione ab initio del processo rieducativo, processo al quale il reo tendera' a non prestare adesione, gia' solo per la percezione di subire una condanna profondamente ingiusta (sentenze n. 251 e n. 68 del 2012), del tutto svincolata dalla gravita' della propria condotta e dal disvalore da essa espressa». Ha concluso che «in tale contesto, una particolare asprezza della risposta sanzionatoria determina percio' una violazione congiunta degli articoli 3 e 27 della Costituzione, essendo lesi sia il principio di proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del fatto commesso, sia quello della finalita' rieducativa della pena (sentenza n. 68 del 2012, che richiama le sentenze n. 341 del 1994 e n. 343 del 1993)». Questa decisione e' significativa perche' fa pressoche' il punto sul rapporto tra pena e istituti che attengono alla sua finalita' rieducativa. 2.7. Come ricordato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 208/2024, «3.1. - Lungi dall'esprimere generiche istanze indulgenziali o di immotivata "fuga dalla sanzione" nei confronti degli autori di reato, tanto la sospensione condizionale della pena quanto la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale sono istituti chiave nell'ottica della funzione oggi costituzionalmente assegnata alla pena dall'art. 27, terzo comma della Costituzione. La sospensione condizionale - introdotta in Italia dalla legge 26 giugno 1904, n. 267 (Sospensione della esecuzione delle sentenze di condanna) per i condannati a pena detentiva di norma non superiore alla durata di sei mesi, poi progressivamente estesa sino a raggiungere i limiti attuali - fu sin dalla sua origine pensata come funzionale ad assicurare nel condannato per reati di non particolare gravita' un effetto di monito associato alla sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti, risparmiandogli tuttavia, in particolare nel caso di prima condanna, l'esperienza del carcere. Da tempo la dottrina aveva, in effetti, mostrato come le pene detentive brevi - troppo brevi per provocare un cammino di rieducazione, ma gia' idonee a esporre il condannato all'influenza di subculture criminali e, comunque, a interrompere le sue relazioni affettive, familiari, sociali, lavorative con la comunita' - producessero importanti effetti criminogeni e desocializzanti (sul punto, sentenza n. 28 del 2022, punto 5.1. del Considerato in diritto). Tale ratio essenziale e' ancor oggi alla base dell'istituto. E cio' in piena armonia con il principio costituzionale della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma della Costituzione: finalita' che la sospensione condizionale persegue, peraltro, non solo in forma negativa - evitando i menzionati effetti criminogeni e desocializzanti della pena detentiva breve -, ma anche attraverso la minaccia di revoca del beneficio, che stimola l'astensione da ulteriori reati da parte del condannato durante il periodo di sospensione, nonche' attraverso gli obblighi riparatori, ripristinatori o di recupero che, secondo i casi, possono o debbono essere imposti al condannato ai sensi dell'art. 165 del codice penale, conferendo cosi' un contenuto risocializzativo anche "positivo" al beneficio». 2.8. Insomma, la connotazione della sospensione condizionale della pena quale beneficio octroye risulta superata dal principio di personalita' della sanzione introdotto dall'art. 27 della Costituzione, ed ancor di piu' dal principio di rieducazione del condannato, il cui esito, una volta accertato positivamente, non puo' comportare piu' che il reo sia avvinto alla dinamica del reato commesso, specie se a distanza di tempo e malgrado la riabilitazione ottenuta. 2.9. L'art. 27 della Costituzione, insomma, pare aver abbandonato la concezione della riabilitazione e della sospensione condizionale come benefici ottriatamente concessi, ed al contrario ne ha fatti strumenti che mirano - assieme alla riparazione del danno provocato dal reato ed alla tutela della vittima di quest'ultimo - alla rieducazione del condannato e ad offrirgli opportuna occasione di risocializzazione. 2.10. Cio' passa di necessita' attraverso l'intervento decisorio del giudice, cioe' a dire quel potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena ex art. 132 del codice penale, che si esercita si' nei limiti della legge in base appunto al principio di legalita', ma che pure e' presupposto necessario della personalita' della pena. Lo stesso art. 133 del codice penale, che per l'appunto e' citato dall'art. 164 del codice penale, e' in questa chiave riletto attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata che fa dell'irrogazione della sanzione lo strumento di rieducazione del reo. Ed in questa concezione tutti gli istituti man mano configurati dal diritto positivo, compreso quindi quello della sospensione condizionale della pena, contribuiscono a dare effettivita' al citato valore. 2.11. La giurisprudenza costituzionale ha fatto largo uso di questi concetti. Ad esempio, nella sentenza n. 197/2023, che pure riguarda l'omicidio del codice, ha ricordato di aver «piu' volte sottolineato che il principio di proporzionalita' della pena, desunto dagli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, esige "che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensivita' del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo", il quale a sua volta "dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volonta' criminosa dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell'autore, rendendolo piu' o meno rimproverabile" (sentenza n. 73 del 2020, punto 4.2. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 94 del 2023, punto 10.3. del Considerato in diritto; sentenza n. 55 del 2021, punto 8 del Considerato in diritto). Il principio della "personalita'" della responsabilita' penale, sancito dal primo comma dell'art. 27 della Costituzione, richiede d'altra parte che la pena applicata a ciascun autore di reato costituisca "una risposta - oltre che non sproporzionata - il piu' possibile ʻindividualizzataʼ, e dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato" (sentenza n. 222 del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto)». 2.12. Nella stessa sentenza, sempre riguardo l'omicidio, ma con argomentazioni relative a tutti i reati, ha notato che «attraverso il flessibile strumento del bilanciamento tra le circostanze, il nostro ordinamento consente dunque al giudice di commisurare una pena maggiormente calibrata rispetto all'intensita' del disvalore della singola condotta omicida, nel rispetto dei principi costituzionali appena menzionati, nonche' di tener conto di ulteriori circostanze che - pur non incidendo sul minor grado di disvalore oggettivo o soggettivo del fatto di reato - esprimono tuttavia una minore necessita' di applicare una pena nei confronti del suo autore, in considerazione ad esempio della sua condotta successiva al reato. 5.2.3. Grazie al complesso delle circostanze attenuanti applicabili all'omicidio e alla loro possibile prevalenza nel giudizio di bilanciamento con eventuali aggravanti, le soluzioni sanzionatorie cui puo' pervenire il giudice italiano si avvicinano almeno in parte, negli esiti, a quelle cui e' possibile giungere in numerosi altri ordinamenti contemporanei, nei quali l'articolazione delle diverse figure di omicidio volontario e delle relative circostanze attenuanti consente una significativa modulazione della risposta sanzionatoria, in ragione della diversa gravita' di ciascuna condotta omicida». 2.13. La stessa sentenza si e' spinta a considerare il «bisogno di pena» che si richiede al giudice di valutare a carico del reo attraverso l'utilizzo delle circostanze attenuanti (o in diverse ipotesi: aggravanti). 2.14. Il precedente e' stato riportato perche' esso mostra la tendenza nella giurisprudenza della Corte costituzionale a commisurare la sanzione alle circostanze di fatto ed alla persona del reo, evitando ogni automatismo che sarebbe per definizione contrario ai valori costituzionali che si fondano sul rilievo della persona umana, compreso il reo, e sulla rieducazione di quest'ultimo. 2.15. Poiche', pero', l'applicazione dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale, finisce nei fatti per dare prevalenza alla recidiva rispetto ad ogni altro profilo - compreso quello dell'intervenuta riabilitazione - va ricordata Corte costituzionale n. 188/2023 che fa per cosi' dire il punto sulla questione dell'art. 69, u.c., del codice penale. «In numerose precedenti occasioni questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 69, quarto comma del codice penale, nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma del codice penale. In particolare nella recente sentenza n. 94 del 2023 (punto 10 del Considerato in diritto) sono state rammentate e sinteticamente illustrate e varie rationes decidendi sottese alle sentenze anteriori, riconducibili peraltro all'esigenza di mantenere - con le parole della successiva sentenza n. 141 del 2023 (punto 3.1. del Considerato in diritto) - "un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravita' (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severita' della risposta sanzionatoria, evitando in particolare quella che la sentenza ʻcapostipiteʼ n. 251 del 2012 gia' aveva definito l'ʻabnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reatoʼ (punto 5 del Considerato in diritto) creata dall'art. 69, quarto comma del codice penale."». 2.16. Ed infatti, a ripetere le parole di quest'ultima sentenza, la precedente commissione di un reato, e quindi il godimento della sospensione condizionale della pena in quell'occasione, si manifesta come una sorte di enfatizzazione enorme della recidiva, a prescindere da qualsivoglia considerazione delle componenti oggettive del reato come anche di quelle soggettive, giacche' non si tiene nemmeno conto delle attuali condizioni del reo e della riabilitazione intervenuta. 2.17. Insomma, il sistema degli articoli 178 e 164 del codice penale, risulta sbilanciato ed irrazionale in violazione del canone di ragionevolezza dell'art. 3 della Costituzione: per un verso la riabilitazione dovrebbe far venir meno «ogni altro effetto penale della condanna»; ma poi l'art. 164, secondo comma, vanifica l'esito medesimo della riabilitazione. 2.18. Allora, a ripetere le parole di Corte costituzionale n. 188/2023, anche per l'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale, puo' dubitarsi che quest'ultimo «ridonda anzitutto in una violazione del canone della proporzionalita' della pena fondato sugli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione, il quale si oppone a che siano comminate dal legislatore - e conseguentemente applicate dal giudice - pene manifestamente sproporzionate rispetto al disvalore oggettivo e soggettivo del reato (sentenza n. 141 del 2023, punto 3.2. del Considerato in diritto)». Per lo stesso motivo «Dalla norma censurata scaturisce altresi' un vulnus al principio di offensivita' di cui all'art. 25, secondo comma della Costituzione, il quale esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come risposta a un singolo «fatto» di reato, e non sia invece utilizzata come misura primariamente volta al controllo della pericolosita' sociale del suo autore, rivelata dalle sue qualita' personali (sostanzialmente in questo senso sentenza n. 249 del 2010, punto 9 del Considerato in diritto, nonche' - con riferimento specifico al divieto di cui all'art. 69, quarto comma del codice penale - sentenze n. 205 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto; n. 105 del 2014, punto 4 del Considerato in diritto; n. 251 del 2012, punto 5 del Considerato in diritto)». 2.19. L'art. 164, secondo comma del codice penale, nella parte qui indubbiata risulta contraddittorio perche' esclude quel potere discrezionale del giudice che, invece, gli articoli 132 e 133 del codice penale, gli attribuiscono; ed in contrasto con il principio di proporzionalita' della pena; ed appare sproporzionato perche' non permette di considerare le vicende successive alla consumazione del «primo» reato, il tempo trascorso tra l'uno e l'altro reato, il nesso tra gli stessi, l'intervenuta rieducazione del reo a seguito del «primo» reato. 2.20. La stessa dottrina penalistica ha riconosciuto l'esistenza di un diritto fondamentale a non subire pene sproporzionate, ancorato al principio di eguaglianza declinato sia quale divieto di irragionevoli disparita' di trattamento sanzionatorio, sia quale esigenza di non manifesta irragionevolezza intrinseca; e che per quanto diverso dal diritto (principio) alla rieducazione partecipa con quest'ultimo di una lettura che guarda al passato e quindi alla gravita' del fatto commesso, ma anche non trascura la tensione verso gli obiettivi del recupero, della riparazione, della riconciliazione e del reinserimento sociale del condannato. 2.21. In altri termini non appaiono ragioni costituzionalmente significative perche' l'intervenuta riabilitazione dell'imputato per reati pregressi non debba consentire - ricorrendone le altre condizioni - la sospensione condizionale della pena a fronte del giudizio «che il colpevole si asterra' dal commettere ulteriori reati». L'inciso dell'art. 178 del codice penale, non («salvo che la legge disponga altrimenti») non puo' riguardare l'applicazione della sospensione condizionale. La disciplina qui indubbiata riguarda la disposizione dell'art. 164, secondo comma, n. 1 del codice penale, ma l'eventuale intervento di codesta Corte potrebbe riguardare anche l'art. 178, ultimo inciso del codice penale. Per questo e' sollevata questione di legittimita' anche di tale disposizione, nella prospettiva gia' ricordata che le limitazioni e/o le eccezioni disposte dal legislatore per evitare che si estingua «ogni altro effetto penale della condanna» non possono considerarsi rimesse alla insindacabile scelta legislativa, ma debbono al contrario trovare fondamento in valori costituzionali cogenti, giacche' le stesse alla fine non sono altro che deroghe alla funzione rieducatrice della pena. 2.22. In una prospettiva sistematica potrebbe opporsi che e' onere del legislatore stabilire le condizioni e le modalita' per riconoscere la riabilitazione e la sospensione condizionale della pena, cosi' come rientra nella sua discrezionalita' ex art. 28 della legge n. 87/1953 definire i limiti di applicazione della sospensione condizionale, come ha fatto per l'appunto con gli articoli 163 e 164. u.c. del codice penale, ad esempio Corte costituzionale n. 377/1990, n. 85/1997, n. 475/2002. Eppero', rimane costituzionalmente dubbio che, in ogni caso e prescindendo da ogni circostanza e considerazione, sia sempre di ostacolo alla sospensione condizionale l'aver riportato una precedenza condanna a pena detentiva per delitto. Se, infatti, e' vero che nello Stato di diritto l'applicazione delle sanzioni e, di converso, anche degli strumenti alternativi (in senso lato) come la sospensione condizionale della pena, non e' rimessa alla totale discrezionalita' del giudice, ma ad una valutazione da esercitare nel rispetto di parametri prefissati dal legislatore secondo una graduazione che potrebbe essere anche dettagliata; e' anche vero che l'ordinamento penale ispirato dall'art. 27 della Costituzione respinge ogni automatismo meccanicistico. 2.23. In questa prospettiva la questione di legittimita' degli articoli 164, secondo comma, n. 1, e 178, ultimo inciso del codice penale, non risulta manifestamente infondata e va rimessa alla Corte costituzionale. Tempo addietro Cassazione n. 3019/1974 ha ritenuto inesistente a proposito dell'art. 164 il dubbio di costituzionalita' per contrasto con principio di eguaglianza e del divieto di discriminazioni sulla base della considerazione che la condotta antisociale di chi ha commesso «nuovi» reati anche dopo l'intervenuta riabilitazione dimostra che lo stesso soggetto persiste nel reato e, quindi, non consente un giudizio prognostico favorevole come quello che si richiede ai sensi dell'art. 164 del codice penale. L'idea e' stata che il trattamento sanzionatorio andasse operato soprattutto dal legislatore e che questi potesse indicare i parametri con maggiore o minore grado di dettaglio: nella stessa disciplina codicistica, a fianco di disposizioni molto generali, quale l'art. 133 del codice penale, che stabilisce gli elementi da cui desumere la gravita' del reato, sarebbe stato possibile designare altre maggiormente puntuali, quali quelle che precludono la concessione del beneficio in questione al delinquente o contravventore abituale o professionale ovvero a chi e' stato pur riabilitato (art. 164, secondo comma). Al legislatore, non sarebbe, quindi, inibito prevedere che alla condanna, anche se seguita dalla riabilitazione, residuino «effetti penali» al cui novero andrebbe ascritto quello in esame. Stando a quella impostazione, pertanto, l'istituto della sospensione condizionale della pena troverebbe il suo presupposto fondante nella prognosi favorevole sulla futura condotta del condannato: prognosi che potrebbe essere formulata solo quando ricorrano i presupposti stabiliti dal legislatore. Tale lettura risulta, pero', in contrasto con la personalizzazione della pena, la quale invece respinge - come si e' piu' volte anticipato - irragionevoli e sproporzionati automatismi e richiede che per ogni condannato si costruisca quasi un trattamento individualizzato che di necessita' richiede la decisione da adottare in sede giurisdizionale e che consideri circostanze e modalita' dei fatti come lo sviluppo della personalita' del reo nel corso del tempo. Soprattutto la sentenza della Cassazione del 1974 (sarebbe il legislatore che stabilisce le condizioni per concedere benefici e sarebbe di sua competenza operare la «prognosi» circa la condotta futura del condannato) sembra essere stata da subito ripudiata dalla di poco successiva sentenza della Corte costituzionale n. 95/1976, che invece ha dato risalto alla valutazione individualizzante del giudice ed, in particolare, del giudice del piu' recente procedimento per l'ovvia attualita' di siffatto apprezzamento. 2.24. Insomma, il divieto posto al giudice dall'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale, nella parte in cui impedisce di concedere la sospensione condizionale a chi e' stato condannato a pena detentiva per delitto oltre i limiti indicati dall'art. 163, e malgrado sia intervenuta riabilitazione, nonche' dell'art. 178, ultimo comma, appare in contrasto: con i principi di proporzionalita' della pena sanciti dall'art. 27 e di uguaglianza-ragionevolezza, poiche' impone che la pena per la commissione di un reato sia comunque irrogata senza considerare l'intervenuta riabilitazione, cioe' l'accertamento operato in sede giurisdizionale dell'effettiva rieducazione del condannato e del suo fattivo inserimento nel contesto sociale, e, quindi, di tutti gli elementi idonei a mostrare una ridotta capacita' a delinquere dell'imputato; sempre con i principi di uguaglianza e rieducazione, poiche' l'indiscriminata applicazione della sanzione per «secondo reato» comporta l'inflizione di una pena sproporzionata, e dunque percepita come ingiusta dal condannato; con il principio di ragionevolezza e con quello di offensivita' del reato ex art. 25 della Costituzione, poiche' - a fronte della necessita' di prevenire la recidiva - non considera l'evolversi della personalita' del reo e finisce per comportare - «una smisurata amplificazione, in chiave deterrente, della finalita' general-preventiva della pena [...] avendo a che fare con la fase della punizione, [e] dispiega effetti di prevenzione pressoche' nulli, implicando pero' un rilevantissimo sacrificio del principio di uguaglianza e del principio di proporzionalita' della pena». 2.25. Pertanto, si rende necessario sospendere il giudizio in corso ed i relativi termini di prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 164, secondo comma, n. 1) del codice penale e dell'art. 178, ultimo inciso del codice penale, in riferimento agli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione. Sospende il presente giudizio sino alla decisione sulla proposta questione di legittimita' costituzionale. Dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte costituzionale. Da' atto, anche ai fini di cui all'art. 23, comma 4, legge n. 87/1953, che la presente ordinanza e' stata letta in udienza e che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono considerarsi presenti,ex art. 148, comma 5 del codice di procedura penale. Catania, 21 febbraio 2025 Il giudice: Cristaldi