Reg. ord. n. 84 del 2025 pubbl. su G.U. del 21/05/2025 n. 21
Ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna del 31/03/2025
Tra: A. G.
Oggetto:
Reati e pene – Pene sostitutive – Denunciata norma la quale prevede che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di cui all’art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell’ordine di esecuzione, “comporta la conversione nella semilibertà sostitutiva”, invece di stabilire che il mancato pagamento “comporta la conversione nella detenzione domiciliare sostitutiva” – In via conseguenziale, denunciata previsione la quale dispone che “la pena pecuniaria sarà convertita nella semilibertà sostitutiva”, invece delle parole “la pena pecuniaria sarà convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva” – Assetto normativo contraddittorio e irragionevole nella misura in cui stabilisce una forma sanzionatoria sproporzionata e restrittiva della libertà personale del condannato alla pena pecuniaria – Previsione della semilibertà sostitutiva, quale misura adeguata in sede di conversione della pena pecuniaria, in contrasto con i principi di proporzionalità intrinseca e coerenza – Lesione dei principi di uguaglianza sostanziale e ragionevolezza – Violazione della libertà personale.
Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 102; codice di procedura penale, art. 660, comma 3.
Costituzione, artt. 3, secondo comma e 13.
In via gradata: Reati e pene – Pene sostitutive – Mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di cui all’art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell’ordine di esecuzione – Denunciata norma che non prevede dopo le parole “ne comporta la conversione nella semilibertà sostitutiva” le parole “o nella detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l’art. 58.” – In via conseguenziale, denunciata previsione, la quale non dispone dopo le parole “la pena pecuniaria sarà convertita nella semilibertà sostitutiva”, le parole “o nella detenzione domiciliare sostitutiva” - Disparità di trattamento rispetto al tertium comparationis rappresentato dall’art. 71 della legge n. 689 del 1981 che, in caso di mancato pagamento entro il termine della pena pecuniaria, consente al magistrato di sorveglianza di sostituire la stessa scegliendo tra la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva – Lesione dei principio di ragionevolezza – Pregiudizio irragionevole che tale normativa, a parità di condizioni, arreca al principio di emenda della pena, non consentendo al magistrato di sorveglianza una valutazione individualizzata della posizione del condannato, imponendo una sola misura possibile, rispetto a quanto consentito in casi analoghi dall’art. 71 della legge n. 689 del 1981 – Violazione del principio di uguaglianza sostanziale – Violazione della libertà personale.
Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 102; codice di procedura penale, art. 660, comma 3.
Costituzione, artt. 3, comma secondo, 13 e 27, terzo comma.
Norme impugnate:
legge
del 24/11/1981
Num. 689
Art. 102
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 660
Co. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co. 2
Costituzione
Art. 13
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 marzo 2025
Ordinanza del 31 marzo 2025 del Tribunale di sorveglianza di Bologna
nel procedimento di sorveglianza nei confronti di A. G..
Reati e pene - Pene sostitutive - Denunciata norma la quale prevede
che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di
cui all'art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell'ordine di
esecuzione, "comporta la conversione nella semiliberta'
sostitutiva", invece di stabilire che il mancato pagamento
"comporta la conversione nella detenzione domiciliare sostitutiva"
- In via conseguenziale, denunciata previsione la quale dispone che
"la pena pecuniaria sara' convertita nella semiliberta'
sostitutiva", invece delle parole "la pena pecuniaria sara'
convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva".
In via gradata: Reati e pene - Pene sostitutive - Mancato pagamento
della pena pecuniaria entro il termine di cui all'art. 660, comma
3, cod. proc. pen. indicato nell'ordine di esecuzione - Denunciata
norma che non prevede dopo le parole "ne comporta la conversione
nella semiliberta' sostitutiva" le parole "o nella detenzione
domiciliare sostitutiva. Si applica l'art. 58." - In via
conseguenziale, denunciata previsione, la quale non dispone dopo le
parole "la pena pecuniaria sara' convertita nella semiliberta'
sostitutiva", le parole "o nella detenzione domiciliare
sostitutiva".
- Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art.
102; Codice di procedura penale, art. 660, comma 3.
(GU n. 21 del 21-05-2025)
UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA
Il Magistrato di sorveglianza
Letti gli atti relativi alla domanda di conversione della pena
pecuniaria ex art. 660 c.p.p. proposta dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Ferrara nei confronti di G. A. nato a..., ivi
residente in via..., in relazione alla pena pecuniaria di 3.000,00
euro di multa di cui alla sentenza n. 564/2023 emessa dal Tribunale
di Ferrara il 28 marzo 2023 (irrevocabile il 3 maggio 2023).
Osserva
Con sentenza di applicazione della pena n. 564/2023 emessa dal
Tribunale di Ferrara il 28 marzo 2023 G. A. e' stato condannato alla
pena di anni due e giorni venti di reclusione e 3.000,00 euro di
multa per i delitti di cui agli articoli 73, comma 1, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990, 337 c.p. e 582 c.p. commessi
il... in...
La Procura della Repubblica di Ferrara con provvedimento SIEP
180/2023 del 25 marzo 2024 ha emesso ai sensi del novello art. 660
c.p.p. ordine di esecuzione della pena pecuniaria, ingiungendo alla
persona il pagamento entro novanta giorni e fornendo all'interessato
tutti gli avvisi di legge previsti dal comma 3 dell'art. 660 c.p.p.;
in particolare, oltre agli avvertimenti in punto di conversione della
pena pecuniaria, rappresentando al condannato la facolta' di
richiedere entro venti giorni la rateizzazione della pena pecuniaria.
L'ordine di esecuzione era notificato ai difensori il 28 marzo
2024 ed al G. il 14 aprile 2024.
Pertanto, il termine per il pagamento della multa risulta scaduto
il 13 luglio 2024 senza che la persona vi prevedesse.
Accertato il mancato pagamento e l'assenza di richieste di
rateizzazione nel termine di legge, la Procura di Ferrara ha dunque
trasmesso a questo Ufficio il 4 settembre 2024 ai sensi dell'art. 660
c.p.p. per procedere alla conversione della pena pecuniaria.
Era, pertanto, svolta attivita' istruttoria onde verificare se G.
versasse in condizioni di insolvibilita', ovvero di insolvenza,
demandandosi accertamenti ai Carabinieri di... sulle attuali
condizioni economiche del condannato.
In data 23 novembre 2024 giungeva riscontro istruttorio da parte
dei Carabinieri di... (cui gli atti erano stati trasmessi per
competenza) che, pero', risultava carente in ordine alla specifica
indicazione dei redditi dell'interessato; la nota, infatti, pur
indicando che G. svolge attivita' lavorativa presso l'azienda
metallurgica M., non forniva dati sulla consistenza delle
retribuzioni a lui corrisposte. A fronte della disponibilita' di
stabile occupazione lavorativa, si riteneva, inoltre, utile ribadire
al condannato le diverse conseguenze previste dall'art. 660 c.p.p.
per le ipotesi di insolvibilita' ed insolvenza (invero gia' contenute
nell'ordine di esecuzione della Procura), specificando gli esiti del
procedimento nell'uno e nell'altro caso.
Si dava, dunque, mandato ai Carabinieri di... di integrare gli
adempimenti istruttori.
In data 3 marzo 2025 perveniva verbale di dichiarazioni da parte
del G. in cui la persona affermava di percepire redditi mensili medi
per circa... euro netti e di essere disponibile al pagamento della
pena pecuniaria, previa adeguata rateizzazione al fine di non gravare
sui propri mezzi di sussistenza.
Accertamenti presso la banca dati INPS, inoltre, consentivano di
verificare che l'interessato nell'anno 2024 ha percepito redditi per
26.195,00 euro.
Da ultimo, in merito alla possibilita' di svolgere lavoro
sostitutivo, la persona dichiarava di essere disponibile a svolgerli,
«solo e qualora emergessero elementi di insolvibilita' a suo carico».
Cio' posto, l'attuale assetto normativo imporrebbe a questa
Autorita' Giudiziaria di procedere alla conversione della pena
pecuniaria non pagata in semiliberta' sostitutiva, essendo emersa
dagli atti che il mancato adempimento dell'ordine di esecuzione della
Procura discende non gia' da una condizione di insolvibilita', bensi'
da insolvenza da parte del G.
La persona, infatti, dispone di redditi da lavoro dipendente
adeguati e sufficienti al pagamento della pena pecuniaria, sia in
unica soluzione, sebbene con un certo aggravio, sia, senza
particolari problemi, in forma rateizzata.
Tuttavia, la normativa, allo stadio attuale del procedimento, non
consente al Magistrato di Sorveglianza di disporre una
ratealizzazione del pagamento, posto che G. e' decaduto da tale
possibilita', non avendo proposto istanza in questo senso alla
Procura di Ferrara secondo le scansioni processuali previste
dall'art. 660 c.p.p.
A questo punto, dunque, non potrebbe che prendersi atto
dell'insolvenza e provvedere ai sensi degli articoli 660 commi 3, 9
c.p.p. e 102, legge n. 689/1981 alla conversione della pena non
pagata nella pena della semiliberta' sostitutiva per giorni dodici,
secondo il criterio di ragguaglio per cui un giorno di semiliberta'
sostitutiva corrisponde a 250,00 euro di pena pecuniaria.
Tale esito, tuttavia, appare a questo Magistrato di Sorveglianza
frutto di un meccanismo normativo che, per un verso, risulta
particolarmente irragionevole nel bilanciamento tra gli interessi in
gioco (effettivita' della sanzione pecuniaria - liberta' personale)
al punto da arrecare un vulnus sproporzionato ai beni costituzionali
sottesi all'esecuzione penale, cui la materia delle pene pecuniarie
evidentemente afferisce nella misura in cui, oltre a punire mediante
una sanzione che attinge il condannato nella sua sfera economica,
puo' condurre anche all'applicazione di restrittive della liberta'
personale o comunque limitative di diritti costituzionalmente
tutelati dagli articoli 13, 15, 16, 27, comma 3 della Costituzione;
per altro verso, invece, il suddetto meccanismo risulta
intrinsecamente contraddittorio, essendo minato nella propria
ragionevolezza da una lampante contraddizione di fondo insita nel
sistema di conversione risultante dagli articoli 660 c.p.p., 71 e
102, legge n. 689/1981 tra le pene pecuniarie originarie e le pene
pecuniarie sostitutive, che assoggetta a difformi discipline la
conversione in caso di insolvenza da parte del condannato, compiendo
una scelta normativa che tratta in modo differente condizioni di
fatto e di diritto del tutto assimilabili, come tale lesiva del
principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma 2 della
Costituzione oltre che del principio di emenda e della liberta'
personale del condannato.
In questi termini, la norma, si segnala per profili di dubbia
costituzionalita', che si ritengono non emendabili in via ermeneutica
e che, anche ai fini di una applicazione uniforme, possono essere
superati esclusivamente mediante un intervento della Corte
costituzionale.
L'esame delle questioni richiede una previa ricognizione della
riforma che ha interessato il sistema delle pene pecuniarie con la
riformulazione dell'art. 660 c.p.p., nonche' dell'assetto normativa
previgente, al fine die cogliere la portata delle modifiche
introdotte e ricostruire in chiave sistematica i concetti di
insolvibilita' insolvenza.
Con decreto legislativo n. 150/2022 (cosiddetta Riforma Cartabia)
il Governo in attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134 avente
ad oggetto «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale
nonche' in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la
celere definizione dei procedimenti giudiziari» (Gazzetta Ufficiale
n. 237 del 4 ottobre 2021), ha, tra gli altri significativi
interventi, ridisegnato i contorni dell'esecuzione delle pene
pecuniarie.
La direttrice fondamentale che ha ispirato l'intervento
riformatore e' ben delineata dalla legge di delega all'art. 1, comma
16, (1) ove si esplicita il telos di garantire effettivita' al
sistema sanzionatorio nel suo complesso, razionalizzando la materia,
introducendo procedure rapide nell'esazione di quanto dovuto dal
condannato allo Stato e ripensando il sistema di conversione secondo
principi di equita', efficienza ed effettivita' assicurando certezza
della pena pecuniaria.
Invero, i dati circa l'esecuzione concreta delle pene pecuniarie,
riportati negli atti preparatori e nella Relazione Illustrativa al
decreto legislativo, (2) apparivano scantonanti, evidenziando la
diffusa ineffettivita' del sistema sanzionatorio pecuniario non solo
nei confronti del condannato che non fosse nelle condizioni di
provvedere al pagamento della pena pecuniaria, ma anche di coloro che
pur avrebbero potuto essere solvibile. Costoro, infatti,
semplicemente omettendo il pagamento potevano accedere a forme di
rateizzazione ovvero di conversione della sanzione ai sensi dell'art.
660 c.p.p. andando incontro a conseguenze giudicate dal legislatore
delegato particolarmente blande e dal minimo valore coercitivo.
A cio' si aggiunga che nel sistema previgente la pena pecuniaria
era considerata un mero credito dello Stato verso il condannato, la
cui riscossione avveniva in via prioritaria mediante ruolo.
Tale circostanza che aveva condotto dapprima all'attribuzione di
competenze per il recupero delle somme dovute agli Uffici Recupero
Crediti degli Uffici giudiziari e, da ultimo, con legge 18 giugno
2009, n. 69, cui si deve l'introduzione dell'art. 227-ter, decreto
del Presidente della Repubblica n. 115/2002, a mente del quale la
riscossione mediante ruolo era attivata senza che fosse previamente
notificato dall'U.R.C. l'invito al pagamento, devolvendo l'intera
materia agli agenti incaricati della riscossione, con lungaggini
procedurali che il piu' delle volte esitavano nella prescrizione
della pena ai sensi degli articoli 172 e 173 c.p.
Solo a fronte dell'esito negativo di tale procedura, dunque,
l'U.R.C. trasmetteva gli atti alla Procura segnalando la mancata
riscossione della pena pecuniaria; l'autorita' requirente, a questo
punto, trasmetteva gli atti al Magistrato di Sorveglianza per la
conversione ex art. 660 c.p.p.
Questi, da ultimo, era tenuto a svolgere accertamenti sulle
condizioni economiche dell'interessato, spesso a distanza di anni dai
fatti e dalla notifica delta cartella di pagamento, incorrendo in
difficolta' nel reperire il condannato e potendo disporre la
conversione solo previo accertamento della insolvibilita' del
condannato; nelle ipotesi di insolvenza, infatti, il Magistrato di
Sorveglianza avrebbe dovuto ritrasmettere gli atti alla Procura ed
alle autorita' competenti per la riscossione coattiva del credito.
Attivita' che, statisticamente, si traduceva in un continuo
inseguire senza esito chi si sottraeva al pagamento.
Porre rimedio a questa aporia esecutiva, nella prospettiva
assunta dal legislatore, era dunque necessario non solo per
restituire credibilita' al sistema delle pene pecuniarie
atomisticamente considerato, ma anche, in una visione di sistema, al
fine di perseguire l'erosione del carcero-centrismo che caratterizza
il sistema sanzionatorio italiano, anche in ottica deflattiva della
popolazione carceraria.
Nei paesi in cui la pena pecuniaria viene percepita dai cittadini
come una forma di afflizione efficace ed effettiva, infatti, questa
puo' rappresentare anche per il legislatore, in chiave
general-preventiva, una valida alternativa alla pena carceraria in
quanto bastevole ad offrire tutela ai beni giuridici protetti dalle
norme penali. Considerazioni analoghe, invero, erano state espresse
anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in diverse
sentenze: nella sentenza, n. 279/2019 (3) (seppur in un obiter
dictum; il tema centrale della sentenza atteneva alla
conoscenza/conoscibilita' della cartella di pagamento nel sistema
ante Cartabia in caso di notifica mediante irreperibilita'); nella
sentenza n. 15/2020 (4) (anche qui, come notazione-monito di
carattere generale avulsa dal tema decidendum); da ultimo nella
sentenza n. 28/2022, con un espresso riferimento alla legge delega n.
134/2021: «resta ferma, piu' in generale, la stringente opportunita'
- piu' volte segnalata da questa Corte che il legislatore intervenga,
nell'attuazione della delega stessa ovvero mediante interventi
normativi ad hoc, a restituire effettivita' alla pena pecuniaria,
anche attraverso una revisione degli attuali meccanismi di esecuzione
forzata e di conversione in pene limitative della liberta'
personale». (5)
Per perseguire questi obiettivi il legislatore delegato ha
ripensato alla radice il sistema, ispirandosi all'esperienza
comparata di altri paesi europei, come viene ben espresso nella
Relazione al decreto laddove si sottolinea che la conversione della
pena pecuniaria non eseguita in una pena limitativa della liberta'
personale, negli ordinamenti in cui e' prevista, non e' sorretta
dall'idea di una rinuncia alla riscossione di un credito dello Stato,
bensi' costruita sulla massima di esperienza per cui la minaccia di
sanzioni piu' gravi in caso di mancato pagamento puo' rappresentare
un'efficace controspinta alla decisione di sottrarsi al pagamento:
«Non e' lo Stato a inseguire il creditore; e' il condannalo, autore
di un reato, che e' tenuto al pagamento della pena irrogata dal
giudice, onde non andare incontro a conseguenze piu' gravi». (6)
Cio' e' avvenuto anzitutto mediante l'assegnazione alle Procure
di una competenza funzionale nella subjecta materia, prima
appannaggio degli Uffici Recupero Crediti e dei concessionari dei
servizi di riscossione (Equitalia - Agenzia delle Entrate), che vede
gli organi requirenti promotori di un procedimento che inizia con un
vero e proprio ordine di esecuzione anche per le pene pecuniarie.
Ma la vera innovazione e' rappresentata, sul piano concettuale,
da un radicale ripensamento del meccanismo di conversione che risulta
imperniato sulle distinte nozioni di insolvibilita' ed insolvenza.
Si tratta di concetti che non erano estranei alla previgente
formulazione della norma, sebbene la disciplina previgente fosse,
meno rigida nel sanzionare l'insolvenza e nel fissare il momento in
cui dovesse essere compiuta la relativa valutazione.
- L'art. 660 c.p.p. nella sua previgente formulazione, infatti
stabiliva ai commi 2 e 3:
«2. Quando e' accertata la impossibilita' di esazione della
pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero
trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente per la
conversione, il quale provvede previo accertamento dell'effettiva
insolvibilita' del condannato e, se ne e' il caso, della persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Se la pena e' stata
rateizzata, e' convertita la parte non ancora pagata.
3. In presenza di situazioni di insolvenza, il magistrato di
sorveglianza puo' disporre la rateizzazione della pena a norma
dell'art. 133-ter del codice penale, se essa non e' stata disposta
con la sentenza di condanna ovvero puo' differire la conversione per
un tempo non superiore a sei mesi. Alla scadenza del termine fissato,
se lo stato di insolvenza perdura, e' disposto un nuovo differimento,
altrimenti e' ordinata la conversione. Ai fini della estinzione della
pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il
quale l'esecuzione e' stola differita.».
- L'art. 102, legge n. 689/1981, invece, prevedeva che si
procedesse a conversione solo laddove le pene pecuniari fossero
rimaste ineseguite per insolvibilita' del condannato, senza nulla
disciplinare in caso di insolvenza colpevole.
Nel sistema previgente, dunque, la Procura procedeva ad una
richiesta di conversione a fronte di una accertata impossibilita'
dell'esazione, ii che avveniva sostanzialmente su segnalazione
dell'Ufficio Recupero Crediti in cui si dava conto dell'infruttuoso
esperimento delle procedure esattive mediante ruolo.
Gli atti erano trasmessi al Magistrato di Sorveglianza che,
previo accertamento delle condizioni economiche del condannato,
procedeva agli adempimenti successivi. Laddove avesse riscontrato una
condizione di insolvibilita', avrebbe dovuto procedere a conversione
della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 102, legge n. 689/1981.
In condizioni di insolvenza, viceversa, oltre a poter
ritrasmettere gli atti per l'avvio delle procedure di riscossione
coattiva, si aprivano ulteriori due alternative: la possibilita' di
rateizzare il pagamento, laddove la rateizzazione non fosse stata
disposta dal giudice; la possibilita' di differire il pagamento per
un periodo di sei mesi, eventualmente reiterabile in caso di
permanenza dello stato di insolvenza.
In questo sistema, dunque, non vi era una specifica sanzione per
l'insolvenza, ma anzi, colui che non avesse provveduto al pagamento
pur potendo farlo avrebbe avuto dinnanzi a se' la facolta' di
accedere alla rateizzazione dello stesso, ovvero al differimento
della conversione, consentendo al condannato di far valere le proprie
condizioni economiche sub specie della difficolta' di provvedere
illic et immediate a saldare quanto dovuto innanzi al Magistrato di
Sorveglianza.
Le nuove norme, invece, sono molto puntuali dal punto di vista
lessicale, utilizzando insolvenza per indicare il mancato pagamento
colpevole e insolvibilita' per indicare il mancato pagamento
incolpevole, descrivendo due fattispecie che il sistema oggi
considera strettamente alternative ed a cui associa esiti diversi in
sede di conversione.
Cio' emerge chiaramente da una analisi complessiva del tessuto
normativa.
- L'art. 660 c.p.p. prevede al comma terzo che l'ordine di
esecuzione della Procura contenga «l'avviso che, in mancanza, la pena
pecuniaria sara' convertita nella semiliberta' sostitutiva o, in caso
di accertata insolvibilita', nel lavoro di pubblica utilita'
sostitutivo o nella detenzione domiciliare sostitutiva, ai sensi
degli articoli 102 e 103 della legge 24 novembre 1981, n. 689,
ovvero, quando deve essere eseguita una pena pecuniaria sostitutiva,
nella semiliberta' sostitutiva o nella detenzione domiciliare
sostitutiva, ovvero, in caso di accertata insolvibilita', nel lavoro
di pubblica utilita' sostitutivo o nella detenzione domiciliare
sostitutiva, ai sensi dell'art. 71 della legge 24 novembre 1981, n.
689. L'ordine di esecuzione contiene, inoltre, l'avviso al condannato
che, quando non e' gia' stato disposto nella sentenza o nel decreto
di condanna, entro venti giorni, puo' depositare presso la segreteria
del pubblico ministero istanza di pagamento rateale della pena
pecuniaria, ai sensi dell'art. 133-ter del codice penale».
I commi da sette a dieci, invece, stabiliscono che:
«7. Quando accerta il mancato pagamento della pena pecuniaria,
ovvero di una rata della stessa, entro il termine indicato
nell'ordine di esecuzione, il pubblico ministero trasmette gli atti
al magistrato di sorveglianza competente per la conversione ai sensi
degli articoli 102 e 103 della legge 24 novembre 1981, n. 689,
ovvero, quando si tratta di pena pecuniaria sostitutiva, ai sensi
dell'art. 71 della medesima legge n. 689 del 1981. In ogni caso, se
il pagamento della pena pecuniaria e' stato disposto in rate mensili,
e' convertita la parte non ancora pagata.
8. Il procedimento per la conversione della pena pecuniaria,
anche sostitutiva, e' disciplinato dall'art. 667, comma 4. Per la
conversione della pena pecuniaria, ai sensi degli articoli 71, 102 e
103 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si applica in quanto
compatibile, l'art. 545-bis, comma 2.
9. Il magistrato di sorveglianza provvede alla conversione
della pena pecuniaria con ordinanza, previo accertamento della
condizione di insolvenza ovvero di insolvibilita' del condannato. A
tal fine dispone le opportune indagini nel luogo del domicilio o
della residenza, ovvero dove si ha ragione di ritenere che il
condannato possieda beni o cespiti di reddito e richiede, se
necessario, informazioni agli organi finanziari o di polizia
giudiziaria.
10. Quando il mancato pagamento della pena pecuniaria e' dovuto
a insolvibilita', il condannato puo' chiedere al magistrato di
sorveglianza il differimento della conversione per un tempo non
superiore a sei mesi, rinnovabile per una sola volta se lo stato di
insolvibilita' perdura. Ai fini della estinzione della pena
pecuniaria per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo
durante il quale la conversione e' stata differita.»
- L'art. 660 espressamente indica che la pena non pagata si
converte in una pena sostitutiva, secondo le modalita' di conversione
stabilite agli articoli 102 e 103, legge n. 689/1981 per le pene
pecuniarie e all'art. 71 legge n. 689/1981 per le pene pecuniarie
sostitutive di pene detentive brevi.
Ai sensi dell'art. 102, legge n. 689/1981, rubricato «Conversione
delle pene pecuniarie principali per mancato pagamento», laddove la
persona non provveda al pagamento della pena pecuniaria entro il
termine indicato nell'ordine di esecuzione, la pena pecuniaria non
pagata si converte in semiliberta' sostitutiva per la durata massima
di quattro anni, se la pena convertita e' quella della multa, o due
anni, se la pena convertita e' quella dell'ammenda.
Laddove la sentenza abbia disposto il pagamento rateale, la
condanna ha luogo per la sola parte residua.
Da ultimo, si prevede che dopo l'inizio dell'esecuzione della
pena convertita il condannato puo' in qualsiasi momento far cessare
la semiliberta', pagando la pena residua e, in questo caso, puo'
essere ammesso nuovamente al pagamento rateale ex art. 133-ter c.p.
Sebbene la norma non lo specifichi, e' chiaro che questa
disciplina trova applicazione nel caso in cui il mancato pagamento
della pena pecuniaria non sia imputabile ad insolvibilita', ipotesi
disciplinata all'articolo successivo, ma venga in considerazione
tutte le volte in cui la persona sia nelle condizioni economiche di
sostenere il pagamento e non vi provveda; si versa, dunque, in una
ipotesi di insolvenza, quale mancato adempimento
dell'obbligazione/ordine di pagamento emesso dalla Procura entro il
termine ivi indicato.
Trattandosi di inadempimento colpevole, la conversione si
realizza con la pena sostitutiva massima, vale a dire la semiliberta'
sostitutiva da eseguirsi in carcere, secondo i criteri di cui
all'art. 135 c.p. (250,00 euro per giorno di pena detentiva) per un
massimo di quattro anni, se la pena e' quella della multa, ovvero due
anni, se la pena e' quella dell'ammenda.
E' evidente la ratio che ha ispirato la scelta di prevedere, per
l'insolvenza, non gia' con una semplice misura limitativa della
liberta' personale, ma una pena sostitutiva restrittiva che realizza
una forma di espiazione propriamente di tipo carcerario:
rappresentare (o forse rectius minacciare) conseguenze
particolarmente gravose quali la detenzione inframuraria come
sanzione per il mancato pagamento da parte di chi pur potendo pagare
non vi provveda, ottenendo auspicabilmente l'adempimento spontaneo da
parte del condannato. Si tratta di una scelta chiara e che segue le
limpide linee guida espresse nella Relazione gia' citata.
- L'art. 103, legge n. 689/1981, rubricato espressamente Mancato
pagamento della pena pecuniaria per insolvibilita' del condannato,
invece, trova applicazione «Quando le condizioni economiche e
patrimoniali del condannato al momento dell'esecuzione rendono
impossibile il pagamento della multa o dell'ammenda entro il termine
di cui all'art. 660 del codice di procedura penale indicato
nell'ordine di esecuzione [...]», condizioni al ricorrere delle quali
si realizza la diversa fattispecie della insolvibilita': la persona
condannata versa in condizioni economiche che le rendono impossibile
il pagamento, ma trattasi di un inadempimento incolpevole (ad
impossibilia nemo tenetur).
L'assenza di un rimprovero anche solo a titolo di colpa per il
mancato adempimento spontaneo giustifica la scelta di un meccanismo
di conversione meno gravoso di quello previsto per l'insolvenza che
tuteli maggiormente ed in prima battuta la liberta' personale del
condannato.
Poiche' la persona non paga perche' non puo', laddove la pena
pecuniaria desse luogo all'esecuzione di una pena con carattere
detentivo, si finirebbe col reintrodurre meccanismi analoghi a quelli
previsti dal sistema vigente sotto il Codice Zanardelli ed il Regime
Fascista, che, non valorizzando l'insolvibilita' del condannato, si
risolvevano in un sanzionare la poverta'; meccanismi che, invero, non
potrebbero avere cittadinanza nell'ordinamento Repubblicano, anche
perche' espunti proprio ad opera della Corte costituzionale.
Dunque, la pena pecuniaria non pagata si converte, ai sensi
dell'art. 103, legge n. 689/1981 in via principale nel lavoro di
pubblica utilita' sostitutivo ex art. 56-bis, legge n. 689/1981 e,
solo in caso di opposizione del condannato, nella detenzione
domiciliare sostitutiva di cui all'art. 56, legge n. 689/1981.
La gradazione delle due misure riflette un modello bifasico, che
merita di essere vagliato nella sua costruzione, perche'
assiologicamente molto coerente con il discorso sin qui condotto e
utile per le valutazioni che si svolgeranno nel prosieguo della
presente ordinanza.
Nel disporre la conversione della pena pecuniaria non pagata
nella misura del lavoro di pubblica utilita' sostitutivo, il
legislatore utilizza la formula «si converte in». La locuzione e'
parzialmente difforme da quella utilizzata negli articoli 54 e 55 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 274/2000, corpus normativo
da cui la misura e' stata in massima parte mutuata. In quella sede,
infatti, si e' previsto che il lavoro di pubblica utilita'
sostitutivo sia come sanzione principale, sia quale conversione di
sanzione pecuniaria non pagata, possa essere disposto solo su
richiesta dell'interessato. La richiesta del condannato e', infatti,
una condizione necessaria, poiche' l'imposizione di una prestazione
lavorativa coattiva potrebbe porsi in termini contrari all'art. 117
della Costituzione rispetto all'art. 4 CEDU, laddove la norma
convenzionale vieta il lavoro forzato.
Nella norma in esame, invece, pur essendovi spazio per
l'acquisizione di una forma di consenso da parte del condannato
mediante l'opposizione, l'utilizzo del verbo all'indicativo presente
«si converte» esprime un chiaro indirizzo di preferenza legislativa:
questa si appunta sul lavoro di pubblica utilita' come prima opzione
ordinamentale in quanto misura piu' lieve e priva di connotazioni
restrittive.
Il lavoro di pubblica utilita', infatti, non attinge la liberta'
personale del condannato (art. 13 della Costituzione) ma impone, al
piu' una serie di limiti ad altri diritti pur costituzionalmente
tutelati tra cui, in principalita', il diritto al lavoro sub specie
della liberta' nell'esercizio del diritto al lavoro (art. 35 della
Costituzione), che viene in parte limitata sia sull'an (con
coinvolgimento anche dell'art. 23 della Costituzione) che nella
scelta del destinatario della prestazione lavorativa (dovendo
rivolgersi verso la collettivita' e tramite gli enti a cio'
abilitati); sono poi attinti da limitazioni in via secondaria,
mediante il richiamo alte prescrizioni comuni alle altre pene
sostitutive, il diritto di comunicazione (art. 15 della Costituzione;
nel vietare contatti e comunicazioni con determinati soggetti) ed il
diritto di circolazione (art. 16 della Costituzione; nel
circoscrivere la liberta' territoriale degli spostamenti e nel ritiro
del passaporto).
Dunque, la pena sostitutiva in esame si caratterizza come misura
limitativa e priva di connotati coercitivi della liberta' personale,
cosi' risultando quella piu' proporzionata a contemperare i diritti
in gioco: a fronte di una condizione di impossibilita' del condannato
di provvedere al pagamento la legge individua la prima risposta
ordinamentale idonea e proporzionata a consentire comunque alla
sanzione di spiegare un effetto afflittivo-rieducativo, in quella che
impone limiti che non restringono la liberta' personale di chi
incolpevolmente non puo' adempiere alla sentenza di condanna.
Si tratta di scelta condivisibile e del tutto coerente con le
indicazioni offerte dalla legge delega, laddove aveva rimarcato al
legislatore delegato la necessita' di tenere in conto nella
riorganizzazione della materia anche le esigenze di equita'.
Tuttavia, a fronte di una scelta dell'ordinamento che imporrebbe
la conversione nella misura leviore, il rilievo di principi di pari
caratura costituzionale e convenzionale che presidiano
l'incoercibilita' delle prestazioni lavorative, e' alla base della
possibilita' che la norma attribuisce al condannato di opporsi
all'esecuzione della misura preferita dalla legge, esprimendo il
proprio dissenso ed accedendo cosi' alla piu' grave misura della
detenzione domiciliare sostitutiva ex art. 56, legge n. 689/1981, dai
connotati piu' marcatamente restrittivi della liberta' personale
(prevedendo obblighi di permanenza al domicilio che realizzano una
forma di cattivita', rilevante ai sensi dell'art. 13 della
Costituzione).
Cio' che giustifica, in questo meccanismo, l'imposizione di una
misura restrittiva della liberta' personale in luogo di una meramente
limitativa non e', pero', la meta insolvibilita', bensi' la congiunta
ricorrenza di insolvibilita' e opposizione al lavoro, in cui
l'elemento discretivo e' dato dalla volonta' del condannato.
Solo il concorso della volonta' del condannato, dunque, consente
l'inflizione di una misura restrittiva della liberta' personale in
luogo di quella limitativa, secondo una gradazione degli interessi
che attribuisce al condannato la disponibilita' dei propri diritti
comprendente il potere di auto imporsi forme di coercizione piu'
elevate di quelle ordinariamente volute dalla legge.
In altre parole: il volontario rifiuto della misura piu' lieve
con accettazione della misura piu' grave rende compatibile con il
sistema quel che non lo sarebbe in prima battuta, vale a dire
l'applicazione di misura restrittiva in condizioni di insolvibilita'.
La norma reitera, poi, quanto previsto dall'art. 102, legge n.
689/1981 in punto di eventuale rateizzazione originaria e cessazione
della misura, con possibilita' di accesso alla rateizzazione in corso
di esecuzione, stabilendo che laddove sia stato disposto il pagamento
rateale, la condanna ha luogo per la sola parte residua e che dopo
l'inizio dell'esecuzione della pena convertita il condannato puo' in
qualsiasi momento farne cessare l'esecuzione semiliberta', pagando la
pena residua eventualmente con pagamento rateale ex art. 133-ter c.p.
Se questa e' la disciplina prevista per la conversione delle pene
originariamente pecuniarie, la riforma ha poi previsto meccanismi di
conversione parzialmente divergenti nel caso in cui il mancato
pagamento riguardi non gia' una pena pecuniaria, ma una sanzione
sostitutiva pecuniaria derivante da conversione di pena detentiva. La
disciplina e' gia' richiamata sinteticamente nell'art. 660 e. 3
c.p.p. su citato, ma e' piu' specificatamente dettagliata all'art.
71, legge n. 689/1981.
La norma, infatti, stabilisce al comma primo che alle pene
pecuniarie sostitutive di pena detentiva si applica l'art. 660
c.p.p., in ossequio al principio generale di cui all'art. 57, legge
n. 689/1981 che vede la pena pecuniaria sostitutiva parificata ad
ogni effetto di legge alla pena pecuniaria originaria (La pena
pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della
pena detentiva).
Il comma secondo, invece, prevede che nel caso di mancato
pagamento alla scadenza della pena pecuniaria sostitutiva, la stessa
e' revocata e convertita in semiliberta' sostitutiva o detenzione
domiciliare sostitutiva. Se e' stato disposto il pagamento rateale,
la revoca e la conversione operano a partire dal mancato pagamento di
una rata e solo limitatamente alla pena pecuniaria residua.
Il comma terzo, invece, prevede che laddove le condizioni
economiche del condannato al momento dell'esecuzione rendano
impossibile il pagamento entro la scadenza indicata nell'ordine di
esecuzione della procura, la pena pecuniaria sostitutiva e' revocata
e si converte nel lavoro di pubblica utilita' sostitutivo solo ove la
persona non vi si opponga, venendo viceversa convertita in detenzione
domiciliare sostitutiva.
La norma, da ultimo, richiama l'ultimo periodo del comma
precedente in punto di rateizzazione.
Dalla disamina condotta sulla normativa complessiva puo'
cogliersi la linea di demarcazione tracciata dal legislatore per le
diverse ipotesi di insolvenza e insolvibilita', distinguendo, dunque,
tra mancato pagamento colpevole e mancato pagamento incolpevole.
Il nuovo sistema, come visto, nell'ottica di garantire
effettivita' ed efficacia deterrente rispetto al mancato pagamento,
e' ben piu' rigido non solo nel sanzionare il condannato inadempiente
con la conversione, ma anche nel fissare precise scansioni temporali
in cui viene in rilievo il giudizio sulla insolvenza o
insolvibilita', ancorate al termine di pagamento fissato dalla
Procura, nonche' nel restringere le ipotesi in cui e' consentito dare
spazio alla valutazione/rivalutazione delle condizioni economiche
dell'interessato per l'accesso agii istituti del differimento e della
rateizzazione rispetto alle diverse condizioni di insolvibilita' o
insolvenza.
Anzitutto, con l'emissione dell'ordine di esecuzione da parte
della Procura si fissano le scansioni temporali per valutare
insolvenza ed insolvibilita'; mentre prima, infatti, il giudizio era
operato dal Magistrato di Sorveglianza senza un termine specifico e,
dunque, il piu' delle volte fa ricorrenza di condizioni di
insolvibilita' o insolvenza era attualizzata al momento della sua
valutazione da parte del Magistrato - che poteva intervenire anche a
rilevante distanza temporale da quello in cui gli atti erano stati
trasmessi dalla Procura, con conseguente possibilita' di
significative modifiche medio tempore - tutta la nuova disciplina
ancora la valutazione sulla ricorrenza della condizione di insolvenza
o insolvibilita' al momento della scadenza del termine per
l'adempimento spontaneo.
Si consideri, infatti, che gli articoli 102, 103 e 71, legge n.
689/1981 recano tutti la medesima formulazione: «il mancato pagamento
entro il termine indicato nell'ordine di esecuzione» comporta la
conversione, salvo che emerga che «le condizioni economiche del
condannato al momento dell'esecuzione rendano impossibile il
pagamento entro il termine indicato nell'ordine di esecuzione».
E' evidente la ratio della limitazione normativa, tesa a dare un
parametro temporale certo entro cui valutare le ragioni
dell'inadempimento ed offrire, dunque, uno snodo procedurale stabile
per determinare quali conseguenze derivino dal mancato pagamento in
ragione della colpevolezza o meno dello stesso; concetto ben espresso
dalla Relazione citata laddove si legge «L'accertamento
dell'insolvibilita' del condannato riveste un ruolo ancor piu'
centrale nel riformato sistema di conversione della pena pecuniaria,
dipendendo da esso applicazione della disciplina piu' severa di cui
all'art. 102, ovvero di quella piu' mite di cui all'art. 103» (pagg.
275-276).
Secondo profilo di particolare interesse attiene al tema della
possibilita' di accesso alla rateizzazione del pagamento.
Puo' ben accadere che la persona, pur non versando in condizioni
di assoluta impossibilita' di provvedere al pagamento, in quanto
percettrice di redditi o titolare di rendite che la rendono
economicamente capiente, ove fosse tenuta a adempiere alla condanna
per l'intero in unica soluzione andrebbe incontro a difficolta'
economiche, non talmente gravi da configurare una insolvibilita'.
In altre parole, la persona si trova in una condizione
intermedia, che potrebbe essere descritta come insolvibilita'
relativa rispetto all'ammontare della sanzione: potrebbe pagare
ratealmente, ma avrebbe difficolta' a farlo in unica soluzione.
In questi casi l'ordinamento prevede l'istituto delta
rateizzazione, per scongiurare esiti che potrebbero avere un effetto
eccessivamente stigmatizzante, quando non anche criminogeno - nella
misura in cui le condizioni di difficolta' economico rappresentano
secondo l'id quod plerumque accidit una delle principali cause
dell'agire criminale - contrario dunque agli obiettivi assunti dal
legislatore delegato ed al principio di emenda di cui all'art. 27,
comma 3 della Costituzione.
Sotto altro profilo, e' evidente che l'istituto sia sorretto da
un principio generale di favor dell'ordinamento per la riscossione
della pena pecuniaria, che assegna alla procedura di conversione il
ruolo di extrema ratio del sistema.
La rateizzazione e' disciplinata all'art. 133-ter c.p. e viene
concepita quale beneficio che consente di agevolare l'adempimento
dell'obbligazione di pagamento, adeguando la pretesa di riscossione
dello Stato alle condizioni economiche della persona le concrete
modalita' esecutive della sanzione, dilazionandole nel tempo.
La rateizzazione puo' essere in prima battuta concessa dal
giudice nella sentenza o nel decreto penale di condanna, secondo un
giudizio che deve tenere in considerazione le condizioni economiche e
patrimoniali del condannato, stabilendo un numero di rate che la
legge indica da un minimo di sei ad un massimo di sessanta (limiti
innalzati dalla riforma Cartabia rispetto a quelli precedenti,
fissati in tre e trenta).
Laddove la rateizzazione sia gia' stata disposta dal giudice di
merito, la Procura emette ordine di esecuzione gia' rateizzato,
invitando la persona al pagamento della prima rata entro trenta
giorni, con l'avvertimento che, in caso di mancato pagamento della
prima rata, e' prevista revoca automatica del beneficio e sara'
richiesto il pagamento dell'intero entro i successivi sessanta
giorni, da effettuarsi sotto pena di conversione.
In caso di mancato pagamento, dunque, la Procura richiedera' al
Magistrato di Sorveglianza la conversione.
Nel caso in cui il giudice di merito non abbia effettuato la
valutazione comparativa delle condizioni economiche del condannato
rispetto alla sanzione, concedendo la rateizzazione, vi e' spazio
perche' provveda il Magistrato di Sorveglianza; si tratta di una
possibilita' che tanto nella norma previgente che in quella di nuovo
conio assume carattere residuale, potendo avvenire seno ove non vi
sia stata rateizzazione in sede di merito.
Ma, mentre nel sistema anteriforma, ove non disposta dal giudice
di merito, la valutazione sulla concedibilita' della rateizzazione si
collocava dopo la richiesta di conversione da parte della Procura e
solo a seguito degli accertamenti svolti dal Magistrato di
Sorveglianza che evidenziassero una condizione di insolvenza (dunque
non in caso di insolvibilita'), nel novello art. 660 c.p.p. questa ha
due sedi ben distinte: una precedente alla richiesta di conversione
ed una successiva all'esecuzione della pena convertita.
La prima sede procedurale in cui l'interessato puo' (o meglio
deve) fare valere le proprie condizioni economiche ai fini della
rateizzazione non disposta, infatti, e' prevista gia' all'atto di
emissione dell'ordine di esecuzione da parte delta Procura.
Questo, infatti, avra' ad oggetto l'intera sanzione pecuniaria,
con l'avviso all'interessato che entro venti giorni dalla notifica
egli puo' richiedere il pagamento rateale, consentendo quindi di far
valere le proprie condizioni economiche rispetto al pagamento in
unica soluzione.
Si apre, a questo punto, un sub-procedimento per la
rateizzazione, in cui la Procura, presso la cui segreteria l'istanza
deve essere presentata, trasmette gli atti al Magistrato di
Sorveglianza che provvede ai sensi dell'art. 667, comma 4 c.p.p.,
secondo il procedimento camerale semplificato e non partecipato, con
ordinanza comunicata alle parti e passibile di opposizione. La
disciplina manca di un raccordo quanto alla fase successiva alla
decisione dei Magistrato, tuttavia, appare evidente che laddove
questi conceda la rateizzazione e non vi sia opposizione, la Procura
dovrebbe revocare l'ordine di esecuzione precedente ed emetterne uno
nuovo che tenga conto della rateizzazione, posto che i provvedimenti
della Procura in materia di esecuzione, per costante giurisprudenza
costituzionale e di legittimita', sono atti formalmente
amministrativi, revocatili in autotutela e che devono essere
aggiornati alle sopravvenienze normative e di fatto che interessano
l'esecuzione, salvi gli effetti esauritisi dell'atto compiuto (si
veda in particolare Cass. Sez. 1, n. 24831 del 15 giugno 2010,
Castaldi, Rv. 248046, richiamata recentemente da Cass. Sez. 1,
sentenza n. 25212 del 3 maggio 2019).
In assenza di istanza di rateizzazione, o in caso di decadenza
dal beneficio, e a fronte del mancato pagamento nel termine, il
Magistrato di Sorveglianza a norma del comma 9 dell'art. 660 c.p.p.
effettuera' le verifiche per stabilire se l'inadempimento dipende da
una condizione di insolvenza o di insolvibilita'.
Laddove ravvisi che il condannato non abbia provveduto al
pagamento perche' insolvibile, potra' disporre ii differimento della
conversione per un massimo di un anno, ai sensi dell'art. 660, comma
10 c.p.p.; oppure procedere alla conversione ai sensi dell'art. 103,
legge n. 689/1981 o del terzo comma dell'art. 71, legge n. 689/1981.
Rispetto alla norma previgente, le modifiche sono significative:
anzitutto, il differimento viene circoscritto alla sola ipotesi di
insolvibilita', laddove la precedente dizione faceva riferimento alla
insolvenza.
Ma, se il Magistrato acceda una condizione di solvibilita',
essendo il condannato nelle condizioni di pagare, anche eventualmente
accedendo alla rateizzazione da cui e' decaduto o che non ha chiesto,
la norma offre come sola alternativa la conversione della pena
pecuniaria e l'inizio dell'esecuzione della pena sostitutiva
convertita. Cio' perche' a questo punto della procedura la persona
risultata non insolvibile sara' gia' stata messa nelle condizioni di
provvedere al pagamento rateale: infatti, o il condannato era stato
ammesso al beneficio dal giudice di merito e vi e' decaduto; ovvero,
pur a fronte degli avvertimenti contenuti nell'ordine di esecuzione,
non ha avanzato richiesta di rateizzazione nei termini.
In entrambi i casi la persona non ha adempiuto colpevolmente o
non si e' attivata in modo negligente, rendendosi passibile di un
rimprovero che legittima la conversione ai sensi dell'art. 102, legge
n. 689/1981.
Egli, in altre parole, avra' esaurito le proprie chances
affinche' l'ordinamento valuti le sue condizioni economiche
agevolandolo nei pagamenti, meritando l'avvio dell'esecuzione della
pena sostitutiva.
Ai sensi del comma 15 dell'art. 660 c.p.p., infatti, solo ad
esecuzione iniziata il condannato potra' far cessare l'espiazione
della pena sostitutiva pagando e, in questo caso, potra' essere
ammesso al pagamento rateale. L'esecuzione della pena sostitutiva,
infatti, e' sospesa non gia' a partire dalla domanda di pagamento o
dall'accoglimento della richiesta di rateizzazione, bensi' dal
materiale pagamento integrale o della prima rata.
La norma di cui al comma 15 dell'art. 660 c.p.p. trova un proprio
omologo sul piano sostanziale negli articoli 102 comma 4 e 103, comma
4, legge n. 689/1981, e viene qui ad essere ribadita come raccordo
processuale.
Si coglie bene in questa costruzione la rivoluzione copernicana,
l'inversione prospettica propugnata dal legislatore della riforma:
non e' piu' lo Stato ad inseguire il condannato per metterlo nelle
condizioni di pagare sine die, ma e' il condannato a dover adempiere
ed attivarsi per non incorrere in piu' gravi sanzioni: sanzioni che,
se egli puo' pagare, prevedono la conversione della pena pecuniaria
in pena sostitutiva detentiva.
Una volta esaurite le possibilita' offerte dall'ordinamento,
dunque, al condannato non resta che subire le conseguenze previste
(la conversione), quasi ad istituire un meccanismo assimilabile ad
una clausola solve et repete: prima paga con l'avvio dell'esecuzione
la tua insolvenza e poi, eventualmente, si ridiscutera' di
rateizzazioni o pagamenti.
Cio', evidentemente, anche al fine di rendere la minaccia della
sanzione detentiva piu' efficace nell'opera di netto al pagamento
spontaneo nei termini, rafforzando, secondo le intenzioni del
legislatore, il sistema nel suo complesso.
Cosi' ricostruiti i criteri di conversione e la ratio sottesa
alle scelte legislative operate in un senso e nell'altro rispetto
alle condizioni di insolvibilita' ed insolvenza, sia concesso operare
alcune considerazioni.
Sulla congruita' della scelta di prevedere la conversione della
pena pecuniaria in misure anche detentive di tipo carcerario, invero,
sorgono a questo Magistrato rilevanti dubbi di compatibilita'
costituzionale.
Invero, sebbene le linee guida delle opzioni normative seguite
dal legislatore della riforma trovano costante sponda nella
giurisprudenza della Corte costituzionale, la Corte aveva nell'ultimo
monito rivolto al legislatore indicato che la revisione dei
meccanismi di conversione avrebbe dovuto/potuto prevedere anche
misure limitative.
Si e' gia' detto supra che i concetti di misure limitative e
misure restrittive sembrerebbero non essere pianamente coincidenti.
Invero, mentre le prime sono misure che limitano alcune liberta' ed
impongono obblighi positivi, le seconde sono misure che prevedono
forme coercitive che attingono direttamente la liberta' personale.
In questo senso, la previsione che una pena pecuniaria, in sede
di conversione, diventi idonea a limitare anche la liberta' personale
potrebbe non essere del tutto coerente con il sistema costituzionale,
soprattutto laddove la sua materiale esecuzione preveda
l'incarcerazione del condannato.
La censura che qui si muove si colloca sul terreno della
contraddittoria ed intrinseca irragionevolezza dell'attuale assetto
normativo, lesivo dell'art. 3, comma 2 della Costituzione e dell'art.
13 della Costituzione, nella misura in cui stabilisce una forma
sanzionatoria sproporzionatamente restrittiva della liberta'
personale del condannato a pena pecuniaria. L'ermeneutica
costituzionale, infatti, ha da tempo enucleato a partire da tale
disposizione - secondo costante giurisprudenza inaugurata con
sentenza della Corte costituzionale n. 53 del 1958 - il principio di
ragionevolezza come canone di valutazione delle differenziazioni
normative e, poi, principio immanente al sistema costituzionale.
In origine ancorata nella sua operativita' al raffronto con un
tertium comparationis secondo un giudizio triadico, la ragionevolezza
ha, infatti, negli anni assunto una propria autonomia operativa anche
ai fini del sindacato di ragionevolezza intrinseca delle scelte
normative (storicamente, a partire dalla sentenza n. 1130 del 1988).
In questa veste autonoma, il principio e' stato in parte debitore
delle statuizioni di principio e metodologiche emerse in seno alla
giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht ed al principio di
proporzionalita' che, a partire dalla sentenza Apotheken-Urteil
dell'11 giugno 1958, l'omologa Corte tedesca ha elaborato per
valutare le interferenze ed i criteri di composizione tra diritti
antinomici o tra diritti individuali ed esigenze collettive
meritevoli di tutela. Non sempre, infatti, la limitazione di un
diritto rappresenta, per cio' solo, una lesione dello stesso.
L'ermeneutica internazionale in tema di diritti fondamentali e'
chiara nell'indicare che l'esercizio dei diritti da parte della
persona in concreto puo' (e a volte deve) essere operativamente
limitato in presenza di ingressi contrapposti, eventualmente a loro
volta espressivi di diritti fondamentali di altri soggetti o di
interessi parimenti meritevoli di tutela tali da porsi, nel caso di
specie, in termini antinomici rispetto alla piena soddisfazione
dell'interesse fatto valere dalla persona.
E' ampia, sul punto, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo
che ha piu' volte chiarito come i diritti sanciti dalla Convenzione -
ad eccezione di quelli incomprimibili di cui agli articoli 3, 4 e 7 -
non debbano essere intesi in termini assoluti nel loro esercizio e
che possano subire una compressione o financo un sacrificio, laddove
cio' risulti necessario per garantire altri diritti o esigenze
egualmente meritevoli di tutela.
Quel che preme rilevare, in questa sede, e' come la Corte di
Strasburgo, nelle materie in cui e' stata chiamata ad esprimersi,
abbia indicato le condizioni (generalmente mediante l'elaborazione di
test) che possono portare a ritenere adeguato al caso concreto il
sacrificio imposto ai diritti tutelati nella Convenzione, adottando
un approccio che, lungi dall'esaurirsi ad una statica considerazione
dei diritti fondamentali, legge gli stessi nel loro dinamico farsi e
comporsi, alla ricerca di quell'equilibrio che realizzi, a parita' di
tutela dell'uno, il minor sacrificio possibile dell'altro; ma che,
astrattamente, non preclude anche l'instaurazione di legittimi
rapporti di subvalenza/prevalenza tra diritti antinomici.
L'ermeneutica della nostra Corte costituzionale si inserisce a
pieno titolo nel solco di tale corrente di pensiero, spiccatamente
figlia del costituzionalismo contemporaneo europeo, e vede nella
ragionevolezza con cui vengono maneggiati i diritti un limite alle
scelte discrezionali del legislatore.
Negli ultimi anni la Corte ha utilizzato il canone della
ragionevolezza per garantire un sindacato sempre piu' attento e
puntuale alla proporzionalita' delle scelte legislative nell'ottica
di garantire tutela adeguata ai principi costituzionali, valutando
che il legislatore eserciti ponderatamente la discrezionalita' che
gli e' propria, sino a sanzionarne il mancato esercizio, con
conseguente vuoto di tutela per i diritti costituzionalmente e
convenzionalmente tutelati (si veda da ultimo C. cost. 10/2024 in
tema di sessualità -affettivita' inframuraria).
Il sindacato di ragionevolezza si articola nei sotto-criteri di
adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo perseguito, coerenza
interna rispetto alle altre scelte sistematiche e, da ultimo,
proporzionalita' della soluzione normativa tra il sacrificio che
questa impone al diritto limitato ed il vantaggio che realizza
rispetto all'altro diritto/interesse che si intende tutelare.
Alla luce di tali principi, la scelta della semiliberta'
sostitutiva quale misura adeguata in sede di conversione di una pena
pecuniaria appare non rispettare i criteri indicati, risultando in
radice di dubbia proporzionalita' e coerenza.
Quanto al profilo della adeguatezza dello strumento, potrebbe
ritenersi che la conversione della pena pecuniaria in forme lato
sensu detentive sia un rimedio adeguato al mancato pagamento
colpevole, che realizza una sostanziale fuga dalla sanzione. In
questi termini, alla luce del rimprovera ulteriore dato
dall'insolvenza, che lo Stato attinga la liberta' personale della
persona per sanzionare il fatto di reato puo' rappresentare un mezzo
adeguato rispetto allo scopo, vale a dire evitare che la legge penale
e le pene da essa stabilite rimangano inseguite; obiettivo
legittimamente perseguito dal legislatore nella misura in cui il
senso di impunita' all'interno di un organismo sociale non puo' che
risolversi in un klimax ascendente di aggressione ai beni giuridici
presidiati dalle norme penali. Il che, laddove si verificasse,
rischierebbe di minare in radice le fondamenta della convivenza
civile e dell'organizzazione sociale tutta.
Ma, cio' posto, e' sul piano della coerenza e della
proporzionalita' che il mezzo scelto dal legislatore appare ultroneo
e non armonico.
Sebbene, infatti, la norma e l'impianto della riforma considerino
la semiliberta' sostitutiva una pena meno afflittiva della reclusione
e dell'arresto, sulla premessa di una antologica differenza
qualitative tra le pene indicate, un approccio piu' realistico non
puo' non far considerare che tale premessa e', invero, frutto di una
malcelata truffa delle etichette.
La semiliberta', infatti, anche nel sistema delle forme di
esecuzione penali esterne di cui alla legge n. 354/1975, e' definita
un regime detentivo e non una vera e propria misura alternativa alla
detenzione; cio' in quanto, materialmente, la semi liberta' si espia
in carcere.
In questo senso, non basta, a parere dello scrivente, aggiungere
il termine sostitutiva per mutare la sostanza della pena in questione
che rimane di tipo carcerario.
E cio', alla luce delle statuizioni di principio emerse
all'interno della giurisprudenza convenzionale sull'art. 7 CEDU
(sentenza Del Rio Prada v. Spain) poi accolte dalla Corte
costituzionale a partire dalla sentenza 32/2020, non puo' non
incidere nella valutazione della congruita' legislativa di scegliere
tale misura ai fini della conversione della pena pecuniaria.
Invero, la semiliberta' sostitutiva comporta una modifica
qualitativa della pena nell'alternativa dentro-fuori dal carcere, che
in questo caso accede, peraltro, ad una pena che o strutturalmente
(nel caso della pena pecuniaria originaria) ovvero a seguito di
valutazione puntuale del giudice (nel caso della pena pecuniaria
sostitutiva) non dovrebbe avere carattere inframurario.
E' evidente lo spirito che ha animato il legislatore in questo
senso: incutere il metus del carcere per ottenere il pagamento
spontaneo.
Tuttavia, le perplessita' sollevate sul piano assiologico in
questa sede risultano rilevanti al punto da far dubitare fondatamente
della legittimita' di questa opzione normativa, sotto il profilo
della sua proporzionalita' intrinseca e la sua coerenza con gli
obiettivi deflattivi della popolazione carceraria fatti propri dalla
riforma.
Il legislatore, infatti, avrebbe, a parere di questo giudice,
dovuto individuare nella detenzione domiciliare sostitutiva la misura
principe per le ipotesi di insolvenza.
Tale misura, infatti, e' quella che realizza il miglior
contemperamento delle esigenze punitive del reato e sanzionatorie
dell'omesso pagamento con quelle de liberiate dell'interessato,
evitando che una pena che non avrebbe dovuto essere eseguita in
carcere ne determini l'incarcerazione.
Invero, la detenzione domiciliare sostitutiva e' misura che e'
gia' prevista per la sostituzione delle pene detentive entro i
quattro anni e che e' portatrice di un apparato prescrittivo idoneo
ad essere afflittivo, tanto quanto flessibile e modulabile in base
alla gravita' del fatto e dell'insolvenza del condannato.
La stessa, dunque, potrebbe fornire una risposta proporzionata
all'insolvenza, adeguata anche all'ottenimento dell'adempimento
spontaneo, dietro minaccia di conversione della pena in una sanzione
comunque restrittiva della liberta' personale.
Una tale opzione, dunque, realizzerebbe un piu' ponderato
equilibrio tra i beni costituzionali in gioco e le finalita' della
riforma, individuando quella misura che, a parita' di tutela delle
esigenze di esecuzione penali, realizzi il minimo sacrificio
necessario della restrizione della liberta' personale, anche in punto
di qualita' della restrizione comminata dall'ordinamento.
In questi termini, l'art. 102, legge n. 689/1981, a parere dello
scrivente, e' da ritenersi incostituzionale, per violazione dell'art.
3, comma 2 della Costituzione e dell'art. 13 della Costituzione,
nella parte in cui prevede che il mancato pagamento della pena
pecuniaria entro i termini «comporta la conversione nella
semiliberta' sostitutiva» invece di stabilire che il mancato
pagamento «comporta la conversione nella detenzione domiciliare
sostitutiva».
In via subordinata, anche laddove si volesse ritenere
costituzionalmente compatibile la scelta della semiliberta'
sostitutiva rispetto ad una condizione di insolvenza, balza
all'occhio nel sistema delineato dal legislatore una radicale
discrasia tra i meccanismi di conversione previsti per le pene
pecuniarie originarie e quelli previsti per le pene pecuniarie
sostitutive delle pene detentive brevi.
Le due discipline sono del tutto omologhe in caso di
insolvibilita' prevedendo tanto l'art. 103, legge n. 689/1981 quanto
l'art. 71, comma 3, legge n. 689/1981 la prioritaria conversione
della pena pecuniaria non pagata nel lavoro di pubblica utilita'
sostitutivo e, solo a fronte di opposizione del condannato,
l'applicazione detenzione domiciliare sostitutiva.
Viceversa, in caso di insolvenza le norme di riferimento
prevedono esiti parzialmente difformi.
- L'art. 102, legge n. 689/1981, infatti, stabilisce che in caso
di mancato pagamento colpevole la pena pecuniaria si converta nella
semiliberta' sostitutiva, prevedendo un'unica modalita' di esecuzione
possibile.
- L'art. 71, legge n. 689/1981, invece, prevede che al mancato
pagamento entro il termine consegua la revoca della pena pecuniaria
sostitutiva e - in deroga ai principi generali delle pene sostitutive
per cui le stesse in caso di revoca si convertono nella pena
originariamente sostituita - consente al Magistrato di Sorveglianza
di sostituire la stessa scegliendo alternativamente tra la
semiliberta' sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva.
Le ragioni che hanno portato a questo disallineamento delle due
discipline non sono, invero, chiarissime; sul piano assiologico ed
operativo, infatti, posto che non si ravvisano profili di
incompatibilita' costituzionale nella conversione della pena
pecuniaria in forme di esecuzione carceraria in caso di insolvenza,
si ravvisa invero una sostanziale sovrapponibilita' dei presupposti
di fatto e di diritto alle base delle due diverse ipotesi.
In entrambi i casi, la conversione trova proprio in un medesimo
fatto: il mancato pagamento della pena pecuniaria per condotta
colpevole del condannato.
Circostanza che avrebbe richiesto, e che a parere dello scrivente
Magistrato costituzionalmente richiede, quantomeno l'assoggettamento
delle due fattispecie alla medesima disciplina, cosi' come previsto
nel caso di insolvibilita'.
L'attuale assetto normativo, infatti, pare arrecare un patente
vulnus al principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3,
comma 2 della Costituzione, connotandosi in termini di
irragionevolezza per la disparita' di trattamento che l'art. 102,
legge n. 689/1981 prevede rispetto al tertium comparationis
rappresentato dall'art. 71, legge n. 689/1981; nonche' all'art. 3,
comma 2, in relazione all'art. 27, comma 3 della Costituzione per il
pregiudizio irragionevole che, a parita' di condizioni, la normativa
nel suo complesso e l'art. 102, legge n. 689/1981 arreca al principio
di emenda, nella misura in cui non consentite al Magistrato di
Sorveglianza una valutazione individualizzata della posizione del
condannato, imponendo una sola misura possibile, rispetto a quanto
consentito in casi analoghi dall'art. 71, legge n. 689/1981.
In questa seconda prospettiva, il canone della ragionevolezza
viene in rilievo nella sua veste classica di sindacato comparativo
tra due opzioni normative difformi che, pero', hanno ad oggetto
situazioni identiche da un punto di vista sostanziale e che,
nell'ipotesi sostenuta da questo rimettente, dovrebbero essere
percio' assoggettate alla comune disciplina.
Per sostenere l'illegittimita' costituzionale, dunque, deve
valutarsi, anzitutto, se le due posizioni sostanziali siano
effettivamente le medesime; interrogativo al quale si ritiene di
dover dare una risposta certamente positiva, richiamandosi, per
brevita', a quanto su esposto circa la coincidenza delle situazioni
di fatto nelle ipotesi di insolvenza.
Sia consentito, pero', avvalorare la tesi della coincidenza della
situazione di fatto che si produce all'atto del mancato pagamento
della pena pecuniaria originaria o di una pena pecuniaria
sostitutiva, evidenziando che e' lo stesso legislatore a prevedere
una disciplina sostanzialmente comune, laddove il mancato pagamento
derivi da insolvibilita' agli articoli 103, comma 3, legge n.
689/1981 e 71, comma 3 legge n. 689/1981.
In questo senso, e' evidente che le due fattispecie possono
normativamente soggiacere ad una disciplina comune o comunque
analoga.
L'elemento discretivo e di divaricazione della disciplina si
rinviene solo sul terreno della insolvenza.
Occorre, a questo punto, verificare se l'opzione normativa sia
sorretta da una ratio adeguata che consenta di valutare in termini di
ragionevolezza questa differenziazione.
Il testo di legge, in se', non aiuta molto; al fine di
comprendere quale sia stato il percorso logico seguito dal
legislatore delegato, e poter dunque vagliare la ragionevolezza e
coerenza intrinseca della scelta legislativa, appare dunque opportuno
riportare quanto indicato nella gia' citata relazione al decreto,
laddove si esplicitano i contenuti del secondo comma dell'art. 71,
legge n. 689/1981 e dell'art. 102, legge n. 689/1981.
Con riferimento all'art. 71 legge n. 689/1981, la Relazione cosi'
si esprime:
«Il secondo comma disciplina in modo innovativo l'ipotesi del
mancato pagamento colpevole, che non dipende cioe' da una situazione
di impossibilita' di adempiere all'obbligo, bensi' da un fatto,
volontario o colposo, del condannato, che puo' pagare la pena
pecuniaria ma non la paga entro il termine indicato nell'ordine di
esecuzione del pubblico ministero. La conseguenza del mancato
pagamento e' la revoca della pena pecuniaria sostitutiva,
analogamente a quanto avviene per le altre pene sostitutive delle
pene detentive brevi, in caso di mancata esecuzione (cfr. art. 66,
comma 1, legge n. 689/1981). La conversione della pena pecuniaria
sostitutiva non eseguita e' disciplinata dall'art. 71, legge n.
689/1981 in deroga alla disciplina generale dell'art. 66, legge n.
689/1981: si prevede, infatti, la conversione in pene sostitutive
piu' gravi e in nessun caso nella pena detentiva sostituita. La
gravita' delle pene sostitutive da conversione, in particolare, e'
graduata a seconda della natura colpevole (secondo comma) o
incolpevole (terzo comma) del mancato pagamento.
Si e' escluso di prevedere la conversione della pena pecuniaria
sostitutiva nella corrispondente pena detentiva sostituita
(reclusione o arresto) per ragioni di coerenza con la scelta di
fondo, operata in tema di conversione delle pene pecuniarie non
eseguite (cfr. articoli 102 e 103, legge n. 689/1981), di non
prevedere la conversione della pena pecuniaria nella reclusione o
nell'arresto. Una scelta diversa, non percorsa nemmeno dalla legge n.
689/1981, ora riformata, sarebbe possibile (consentita dall'art. 1,
comma 17, lett. m), della legge delega) e non irragionevole, posto
che, alle spalle della pena pecuniaria sostitutiva, vi e' una pena
detentiva alla quale si ritornerebbe. Senonche' si ritiene opportuno
far prevalere l'esigenza di scongiurare il pericolo che proprio la
pena sostitutiva piu' mite, per eccellenza, possa convertirsi nella
reclusione o nell'arresto per periodi di breve durata, pari o
inferiori a un anno, comportando un esito contrastante con
l'obiettivo generale della lotta alla pena detentiva breve. D'altra
parte, la modularita' progressiva delle altre pene sostitutive da
conversione, non prive anche di connotazioni detentive, soddisfa
adeguatamente le esigenze di prevenzione correlate alla minaccia
legale di una pena da conversione, in caso di mancato pagamento della
pena pecuniaria sostitutiva. Si individuano infatti, quali pene da
conversione per il mancato e colpevole pagamento della pena
pecuniaria, la semiliberta' sostitutiva e la detenzione domiciliare
sostitutiva. La revoca della pena pecuniaria sostitutiva
colpevolmente non eseguita, pertanto, comporta una nuova sostituzione
della pena detentiva sostituita, che il giudice puo' effettuare
scegliendo tra semiliberta' o detenzione domiciliare, secondo i
criteri ordinari di cui all'art. 58, disposizione espressamente
richiamata. Viene esclusa la possibilita' di convertire la pena
pecuniaria sostitutiva in lavoro di pubblica utilita': si e' infatti
ritenuto opportuno e ragionevole riservare tale possibilita', come si
dira' subito, all'ipotesi del mancato pagamento incolpevole. Cio' per
garantire una progressione fra le pene da conversione, proporzionata
alla colpevolezza del condannato inadempiente all'obbligo di
pagamento».
Con riferimento all'art. 102, legge n. 689/1981, invece, la
Relazione cosi' argomenta:
«La conversione in caso di mancato pagamento colpevole, da
parte di chi non paga la multa e l'ammenda pur potendolo fare, e' una
novita' introdotta dal presente decreto. La legge minaccia la
conversione in una pena limitativa della liberta' personale, piu'
grave della pena pecuniaria per assicurare l'effettivita' del
pagamento della pena pecuniaria stessa. A differenza delle pene
detentive, infatti, per essere eseguite le pene pecuniarie richiedono
la collaborazione del condannato. Il fallimento del sistema di
recupero crediti, che ha tradizionalmente adottato il nostro
ordinamento, dimostra come sia opportuno e necessario indurre il
condannato al pagamento, onde evitare conseguenze peggiori.
Le pene da conversione della pena pecuniaria ineseguita assolvono
a una duplice funzione: sanzionano sia il mancato pagamento (se
colpevole), sia il reato commesso, sostituendosi alla pena pecuniaria
principale, rimasta ineseguita. Alla luce dei principi
costituzionali, e nei limiti della legge delega, e' pertanto
necessario adeguare la disciplina della conversione tanto alla
colpevolezza del condannato, riferita al mancato pagamento, quanto
alla gravita' del reato commesso. Sotto il primo profilo, la scelta
e' di ribadire, anche per la conversione delle pene pecuniarie
principali, come per quelle sostitutive (cfr. art. 71), la
distinzione tra le ipotesi di mancato pagamento colpevole e
incolpevole (per insolvibilita' del condannato). Le due ipotesi sono
disciplinate, rispettivamente, dagli articoli 102 e 103.
La pena da conversione piu' grave, la semiliberta', e' prevista
in caso di mancato pagamento colpevole. La pena da conversione meno
grave, il lavoro di pubblica utilita' (e, in subordine, solo in caso
di opposizione al lavoro, la detenzione domiciliare) e' prevista
invece per l'ipotesi del mancato pagamento incolpevole (dovuto a
insolvibilita', cioe' alle condizioni economiche e patrimoniali del
condannato)».
Da una lettura dei due passi, puo' cogliersi che l'elemento
discretivo tenuto in conto dal legislatore pare esser stato
rappresentato dalla volonta' di minacciare conseguenze esemplari in
caso di mancato pagamento della pena pecuniaria, che consentano non
solo di sanzionare l'insolvenza, ma anche di punire il reato alla
base della condanna, la cui sanzione e' rimasta ineseguita.
La semiliberta' sostitutiva prevista dall'art. 102, legge n.
689/981, dunque, viene presentata quale misura che realizza entrambi
questi scopi, associando alla minaccia di una misura limitativa della
liberta' personale anche profili sanzionatori del reato.
Viceversa, nel caso della pena pecuniaria sostitutiva, sembra che
il legislatore abbia ragionato nei termini di un fenomeno di revoca e
aggravamento della pena sostitutiva per mancata esecuzione della
misura, con riespansione del potere di sostituzione che, dunque,
ritornando al Magistrato di Sorveglianza come potere originario di
sostituzione della pena detentiva breve, gli consentirebbe di
scegliere la misura piu' adatta applicando l'art. 58, legge n.
689/1981.
Tuttavia, nel mancato pagamento per insolvenza colpevole la
scelta della pena da applicare in sostituzione e' circoscritta ad una
delle due pene sostitutive detentive, riservandosi il lavoro di
pubblica utilita' sostitutivo all'ipotesi dell'insolvibilita'
incolpevole.
Sarebbe, dunque, il gema della misura da convertire ad aver
guidato la scelta legislativa nell'uno e nell'altro caso.
Alla base di questa differenziazione si potrebbe cogliere l'idea
che mentre le pene pecuniarie originarie di solito accedono a reati
gravi quale sanzione principale, la pena pecuniaria sostitutiva
rappresenterebbe, secondo la prospettiva assunta dal legislatore la
piu' mite risposta che l'ordinamento offre ad una sanzione detentiva
contenuta entro l'anno e, in ipotesi, cio' evidenzierebbe tale misura
come statisticamente applicabile a delitti di minore gravita'.
Si tratta, tuttavia, di argomenti che, invero, appaiono non del
tutto condivisibili e, anzi, scolorano verso la patente
irragionevolezza.
Quanto alla tesi per cui la pena pecuniaria originaria sarebbe
espressiva di maggiore pericolosita' sociale, giova evidenziare che
nel sistema sanzionatorio classico, la pena pecuniaria e' sempre
considerata meno afflittiva della pena detentiva.
In questo senso, sostenere che le pene pecuniarie sostitutive di
pene detentive brevi siano la piu' mite risposta dell'ordinamento
alla violazione della legge penale appare, quantomeno, frutto di una
lettura semplicistica, se non proprio erronea del sistema
complessivo.
Invero, non puo' dubitarsi che rispetto ad una pena
originariamente detentiva, detenzione o arresto, passibile di
conversione in pena pecuniaria, una pena originariamente pecuniaria
quale la multa e, a fortiori, l'ammenda, sia sempre da intendersi
come sanzione penalmente piu' mite.
Cio' in considerazione del fatto che se l'una vede tramutata la
propria natura da detentiva a pecuniaria in forza di una valutazione
concreta operata dal giudice, la prima e' gia' in astratto
selezionata dal legislatore come per la adeguata alla gravita' di
quel fatto, nel senso che tipicamente lo stesso non richiede il
presidio di sanzioni di tipo coercitivo, sulla base di una
valutazione di politica criminale e di tutela dei beni giuridici
operata a monte dal legislatore.
E' dunque sul piano della tipizzazione normativa, al netto della
possibilita' di valorizzare situazioni specifiche e concrete sulla
base della giurisprudenza CEDU in tema di matiere penale, che pure ha
trovato opportunamente eco nella giurisprudenza costituzionale (ci si
riferisce alla sentenza n. 223/2018 della Corte costituzionale), che
l'assedia maggiore gravita' della pena pecuniaria originaria rispetto
alla pena pecuniaria sostitutiva di pena detentiva risulta un
argomento non convincente e non puo' ragionevolmente essere accolto.
Men che meno, dunque, sulla base di un tale argomento si potrebbe
validamente stabilire una differente disciplina per situazioni del
tutto analoghe, prevedendo che a fronte di un medesimo comportamento
colpevole del condannato per il mancato pagamento nell'un caso possa
darsi luogo solo ad applicazione della semiliberta' sostitutiva,
mentre nell'altro sia consentito al giudice di scegliere la misura
piu' adeguata tra la semiliberta' sostitutiva e la detenzione
domiciliare sostitutiva.
Cio' appare ancor piu' irrazionale laddove si consideri che e' lo
stesso legislatore delegato a stabilire, all'art. 57, ultimo comma,
legge n. 689/1981 che «la pena pecuniaria si considera sempre come
tale, anche se sostitutiva della pena detentiva», cosi' indicando che
ai fini dell'ordinamento l'originarieta' o meno della natura
pecuniaria della sanzione non e' (o quantomeno non dovrebbe essere)
elemento rilevante.
Ma, anche laddove si volesse accogliere una tale prospettazione,
e, dunque, si volesse dare un maggior risalto alle esigenze
securitarie nel caso della conversione di una pena originariamente
pecuniaria, la scelta di prevedere la sola semiliberta' sostitutiva
apparirebbe comunque normativamente sproporzionata; e cio' sia in
astratto, sia in concreto alla luce delle altre norme che
disciplinano il fenomeno della conversione della pena pecuniaria.
Si consideri che l'art. 660, comma 8 c.p.p. stabilisce
espressamente che nel procedere alla conversione secondo gli articoli
71, 102 e 103, legge n. 689/1981 si applica in quanto compatibile
l'art. 545-bis c.p.p., norma che detta sul piano processuale i
criteri di scelta delle pene sostitutive e che richiama, a sua volta,
l'art. 58, legge n. 689/1981, dedicato sul piano sostanziale a
dettagliare i canoni di giudizio che devono guidare il giudice nella
decisione sull'ammissione o meno alle pene sostitutive e nella scelta
della pena sostitutiva da applicare in concreto.
Da una lettura delle disposizioni di legge richiamate emerge
chiaramente che nel decidere l'an della sostituzione della pena e,
poi, nel selezionare la specifica misura con cui sostituire la pena
detentiva breve, il giudice e' chiamato a operare un giudizio che
investe, tra gli altri elementi, la gravita' del fatto, le esigenze
di sicurezza sociale, nonche' l'adeguatezza della pena sostitutiva a
contemperare questi ultimi con la finalita' di reinserimento sociale
del condannato.
Il che, dunque, significa che anche all'interno della conversione
della pena pecuniaria vi sarebbe gia' spazio per recuperare non gia'
in astratto, ma in concreto, ed individualizzando il giudizio, la
maggiore o minore gravita' del fatto ai fini della scelta tra la
misura piu' grave (semiliberta' sostitutiva) e quella meno coercitiva
(detenzione domiciliare sostitutiva); come, peraltro, e' gia'
previsto dall'art. 71, legge n. 689/1981.
Quanto alla considerazione per cui nel caso della norma da ultimo
citata, la conversione della pena pecuniaria sostitutiva viene ad
essere vista come una sorta di aggravamento della pena sostitutiva.,
si tratta anche in questo caso di un argomento non dirimente.
Invero, a prescindere se si voglia intendere la conversione in
caso di insolvenza colpevole come aggravamento di una pena
sostitutiva piu' mite o quale sanzione per il mancato pagamento di
una pena pecunia, rimane il fatto che ambedue le norme assumono a
presupposto per la propria applicazione il mancato pagamento da parte
di chi potrebbe pagare, prevedendo, come la si voglia intendere, un
meccanismo sostanzialmente sanzionatorio dell'insolvenza. Che il
medesimo presupposto di fatto e di diritto possa condurre a normative
divergenti in ragione del genus della pena cui accede (pene che, si
ribadisce, lo stesso legislatore parifica per tutti gli altri effetti
di legge) appare frutto di una patente incongruenza sul piano
sostanziale.
Sia poi concesso considerare gli esiti paradossali cui perviene
lo schema normativo della cui costituzionalita' si dubita.
Una pena originariamente pecuniaria che, in ipotesi, mai avrebbe
potuto essere eseguita mediante forme coercitive di tipo detentivo e
carcerario, in caso di mancato pagamento importa obbligatoriamente la
carcerazione del condannato; come la si voglia vestire, infatti, non
basta l'aggettivo sostitutiva a mutare la sostanza della
semiliberta'. Questa rimane sostanzialmente una pena qualitativamente
carceraria.
Viceversa, una pena originariamente detentiva, sia pur contenuta
entro l'anno, che ordinariamente avrebbe ben potuto condurre alla
carcerazione del condannato, laddove convertita in pena pecuniaria
che non venga pagata, puo' comportare o la carcerazione della
persona, ma anche l'accesso a forme detentive di tipo domiciliare che
non prevedono contatto con l'istituzione carceraria.
Ne' basterebbe a rendere ragionevole questo sistema l'argomento,
che pur potrebbe cogliersi alla luce dell'analisi supra condotta, per
cui la previsione del solo carcere per la pena pecuniaria dovrebbe
avere efficacia deterrente rispetto all'inadempimento dell'obbligo di
pagare e, dunque, rappresenterebbe un necessario presidio di
effettivita' della sanzione pecuniaria.
Se si fosse voluto davvero perseguire tale obiettivo, invero,
allora si sarebbe dovuto prevedere il medesimo criterio di
conversione anche rispetto alla pena pecuniaria sostitutiva.
Viceversa, il disallineamento tra le due discipline pare frutto
di un non ponderato esercizio della discrezionalita' legislativa, che
finisce con il sanzionare piu' gravemente una pena pecuniaria tout
court rispetto ad una pena pecuniaria originariamente detentiva.
Il che, oltre che discriminatorio, e' del tutto irragionevole,
con ingiustificata lesione anche dell'art. 13 della Costituzione.
Quanto alla lesione dell'art. 27, comma 3 della Costituzione, in
sintesi, non puo' non considerarsi che la rigidita' della norma, nel
prevedere la sola pena sostitutiva massima in sede di conversione,
frustra il principio di emenda e la tendenziale finalita' rieducativa
della pena.
Non consentire al Magistrato di Sorveglianza di gradare ed
individualizzare il trattamento lato sensu detentivo, precludendo in
radice la scelta tra la misura piu' grave e quella meno afflittiva di
tipo domiciliare, espone il sistema al rischio di sanzionare troppo.
E una pena sproporzionata e', invero, una pena difficilmente
percepibile come giusta da chi la subisce, il che impedisce al
condannato di compiere quel percorso interiore di accettazione della
condanna e della sanzione necessario per l'emenda.
Si tratta di concetti ormai acquisiti nella giurisprudenza della
Corte costituzionale; si pensi al grande lavorio della Consulta negli
ultimi anni in punto di ragionevolezza dei limiti edittali che ha, da
ultimo, visto cadere sotto la scure del legislatore negativo l'art.
628, comma 3 c.p.
Mutatis mutandis, le statuizioni di principio espresse dalla
richiamata giurisprudenza non possono non avere cittadinanza anche
nel settore in esame.
In fin dei conti, lo si e' ampiamente argomentato supra, rispetto
alla conversione della pena pecuniaria per colpevole inadempimento,
cio' che giustifica l'applicazione di restrizioni alla liberta'
personale e' il rimprovero per il mancato pagamento. La conversione,
dunque, e' si' un modo di far espiare in modo diverso una pena non
pagata, ma e' altresi' rispetto all'insolvenza (diversamente che per
l'insolvibilita') un meccanismo sanzionatorio.
Meccanismo che, quantomeno rispetto alle pene pecuniarie, ai
sensi dell'art. 102, legge n. 689/1981 e' del tutto rigido,
risolvendosi in un automatismo applicativo sproporzionato e, in
ultima analisi, potenzialmente ingiusto.
Poiche' la medesima condizione e' stata assunta dal legislatore,
nel medesimo corpus normativo, ai fini di prevedere una disciplina
che consente di modulare la risposta ordinamentale tra un massimo ed
un minimo di afflizione della liberta' personale, non si vedono
ragioni per non estendere quest'ultima opzione anche nell'art. 102,
legge n. 689/1981.
A parere di chi scrive, dunque, l'attuale disciplina incorre in
un evidente cortocircuito assiologico e logico, che deve essere
ricondotto a costituzionalita', dichiarando l'art. 102, legge n.
689/1981 incostituzionale nella parte in cui non prevede dopo le
parole «ne comporta la conversione nella semiliberta' sostitutiva» le
parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l'art.
58» si' come stabilito nell'art. 71, legge n. 689/1981, nonche', in
via conseguenziale, dichiarando incostituzionale l'art. 660, comma 3
c.p.p. nella parte in cui disciplina gli avvisi al condannato, nella
parte in cui non prevede dopo le parole «nella semiliberta'
sostitutiva» le parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva».
Le questioni qui poste sono certamente rilevanti nel caso di
specie, posto che G. si trova esattamente nella condizione descritta
dall'art. 102, legge n. 689/1981: egli, pur avendo ricevuto gli
avvisi da parte della Procura, non ha provveduto al pagamento della
pena pecuniaria ne' ha richiesto la rateizzazione della stessa entro
i termini previsti dalla nuova disciplina.
E', dunque, decaduto dalla possibilita' di consentire a questo
Magistrato di procedere alta rateizzazione, che potrebbe ben
consentirgli si provvedere al pagamento secondo modalita' meno
gravose.
Eppure, e' persona che lavora stabilmente da diversi anni e che
ha percepito redditi da lavoro dipendente per circa 27.000,00 euro
nel 2024, attualmente assunto con busta paga di quasi 2.000,00 euro
mensili; con qualche sforzo, dunque, egli ben potrebbe anche pagare
in unica soluzione.
A fronte di questa condizione, questo giudice sarebbe costretto
dalla disciplina attuale a convertire la pena in semiliberta'
sostitutiva, determinando la carcerazione del condannato.
E, solo una volta incarcerato, ed a semiliberta' in corso, egli
potra' far valere l'eventuale richiesta di pagamento rateale.
Laddove, invece, vi fosse l'intervento auspicato in via
principale questo giudice potrebbe valutare direttamente la
concessione della detenzione domiciliare sostitutiva; laddove la
Corte accogliesse la subordinata, nel presente procedimento si
potrebbe scegliere tra quest'ultima e la semiliberta' sostitutiva.
Eventualmente (in termini astratti) anche scegliendo ad esito di
un giudizio di merito, per la semiliberta'. Invero, la Corte ha ormai
affermato una nozione di rilevanza della questione che prescinde
dall'eventuale diretta incidenza sull'esito del giudizio a quo,
descritta come rilevanza giudicata.
Secondo tale orientamento, ormai maggioritario e condiviso, il
requisito di rilevanza sussiste anche qualora la decisione della
Corte sia idonea ad incidere nel giudizio a qua anche solo nel senso
di imporre al giudice un diverso percorso
logico-giuridico-argomentativo, pur rimanendo in ipotesi identico
l'esito del giudizio.
Circostanze che si verificano, invero, nel caso di specie, posto
che la norma impedisce anche solo di esaminare la possibilita' di
applicare, in luogo della semiliberta' sostitutiva, la detenzione
domiciliare sostitutiva. E cio' basti quanto alla rilevanza.
Le questioni, inoltre, per quanto su esposto appaiono non
manifestamente infondate e non emendabili mediante interpretazioni
costituzionalmente orientate.
Invero, il dato normativo, per come ricostruito sia alla luce
della sua dimensione testuale, sia in ragione di una interpretazione
teleologica che valorizzi la volonta' legislativa, non lascia margine
per un esito diverso da quello di applicare la semi liberta'
sostitutiva all'ipotesi dell'insolvenza.
Ne' potrebbe tentare di valorizzarsi la possibilita' di accesso
alla rateizzazione al di fuori delle ipotesi previste dalla legge,
che cesella minuziosamente i canoni e le tempistiche cui deve
attenersi il Magistrato di Sorveglianza nel relativo giudizio.
L'interpretazione conforme, infatti, (con la felice immagine di
autorevole dottrina) non puo' diventare un letto di Procuste, in cui
la norma viene tagliuzzata e rimodulata per farla entrare nell'alveo
costituzionale snaturandone le fattezze.
A fronte di queste considerazioni, si ritiene di dover
interrompere il procedimento e sollevare le questioni di
costituzionalita' su esposte, nella loro dimensione gradata di cui si
e' detto supra.
La declaratoria di incostituzionalita', inoltre, ove accolta,
dovrebbe attingere anche l'art. 660, comma 3 c.p.p., nella parte in
cui richiama, al fine di darne avviso al condannato, le norme
sostanziali in punto di modalita' di conversione della pena
pecuniaria.
(1) Art. 1, comma 16 della legge delega: «Nell'esercizio della delega
di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti modifiche al
codice di procedura penale, al codice penale e alla collegala
legislazione speciale in materia di pena pecuniaria, al fine di
restituire effettivita' alla stessa, sono adottati nel rispetto
dei seguenti principi e criteri direttivi: a) razionalizzare e
semplificare il procedimento di esecuzione delle pene pecuniarie;
b) rivedere, secondo criteri di equita', efficienza ed
effettivita', i meccanismi e la procedura di conversione della
pena pecuniaria in caso di mancato pagamento per insolvenza o
insolvibilita' del condannato; c) prevedere procedure
amministrative efficaci, che assicurino l'effettiva riscossione
della pena pecuniaria e la sua conversione in caso di mancato
pagamento».
(2) Cfr. «Decreto legislativo recante attuazione della legge 27
settembre 2021 n. 134 recante delega al governo per l'efficienza
del processo penale nonche' in materia di giustizia riparativa e
disposizioni per la celere definizione dei procedimenti
giudiziari - Relazione Illustrativa» pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale - Serie generale - n. 245 del 19 ottobre 2022 -
Supplemento straordinario n. 5.
(3) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 279/2019 «Gia' nella
sentenza n. 108 del 1987, questa Corte aveva invocato un
Intervento del legislatore sulla disciplina processuale della
conversione, ritenuta inficiala da «difetti che la rendono non
pienamente adeguata ai principi costituzionali in materia, e che
possono indirettamente frenare un piu' ampio ricorso alla pena
pecuniaria, da molti auspicato». Un simile monito deve essere ora
ribadito. Il procedimento di esecuzione della pena pecuniaria,
del quale i provvedimenti di conversione costituiscono una dei
possibili esiti, e' oggi ancor piu' farraginoso di quanto non lo
fosse nel 1987, prevedendo l'intervento, in successione,
dell'ufficio del giudice dell'esecuzione, dell'agente della
riscossione, del pubblico ministero e del magistrato di
sorveglianza. A tutti questi soggetti sono demandati plurimi
adempimenti piu' o meno complessi, che tuttavia non riescono,
allo stato, ad assicurare ne' adeguati tassi di riscossione delle
pene pecuniarie, ne' l'effettivita' della conversione delle pene
pecuniarie non pagate. Tale situazione, oggetto di diagnosi
risalenti in dottrina, fa si' che la pena 268 pecuniaria non
riesca a costituire in Italia un'alternativa credibile rispetto
alle pene privative della liberta', come accade invece in molti
altri ordinamenti».
(4) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 15/2020 § 3 «soltanto una
disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una
commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla
gravita' del reato quanto alle condizioni economiche del reo, e
assieme di assicurarne poi l'effettiva riscossione, puo'
costituire una seria alternativa alla pena detentiva, cosi' come
di fatto accade in molti altri ordinamenti contemporanei»
(5) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 134/2021 § 8 del
Considerato in diritto, a chiusura della sentenza.
(6) Cosi' testualmente a pag. 271 «Decreto legislativo recante
attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 recante delega al
governo per l'efficienza del processo penale nonche' in materia
di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione
dei procedimenti giudiziari - Relazione Illustrativa» pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 245 del 19 ottobre
2022 - Supplemento straordinario n. 5.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei termini indicati, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 102, legge n. 689/1981 per violazione dell'art. 3, comma 2
della Costituzione e dell'art. 13 della Costituzione nella parte in
cui prevede che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro i
termini «comporta la conversione nella semiliberta' sostitutiva»
invece di stabilire che il mancato pagamento «comporta la conversione
nella detenzione domiciliare sostitutiva»; nonche', in via
conseguenziale, questione di legittimita' costituzionale dell'art.
660, comma 3 c.p.p. nella parte in cui prevede che «la pena
pecuniaria sara' convertita nella semiliberta' sostitutiva» invece
delle parole «la pena pecuniaria sara' convertita nella detenzione
domiciliare sostitutiva» invece delle parole «la pena pecuniaria
sara' convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva».
In via gradata, solleva, nei termini indicati in parte motiva,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 102, legge n.
689/1981 per violazione degli articoli 3, comma 2 della Costituzione,
in relazione all'art. 13 ed all'art. 27, comma 3 della Costituzione,
nella parte in cui non prevede dopo le parole «ne comporta la
conversione nella semiliberta' sostitutiva» le parole «o nella
detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l'art. 58.», nonche',
in via conseguenziale, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 660, comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede dopo le
parole «la pena pecuniaria sara' convertita nella semiliberta'
sostitutiva» le parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva».
Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale.
Dispone che, a cura della Cancelleria, gli atti siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico
ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Cosi' deciso in Bologna, il 31 marzo 2025
Il Magistrato di sorveglianza: Romano Ezio
Oggetto:
Reati e pene – Pene sostitutive – Denunciata norma la quale prevede che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di cui all’art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell’ordine di esecuzione, “comporta la conversione nella semilibertà sostitutiva”, invece di stabilire che il mancato pagamento “comporta la conversione nella detenzione domiciliare sostitutiva” – In via conseguenziale, denunciata previsione la quale dispone che “la pena pecuniaria sarà convertita nella semilibertà sostitutiva”, invece delle parole “la pena pecuniaria sarà convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva” – Assetto normativo contraddittorio e irragionevole nella misura in cui stabilisce una forma sanzionatoria sproporzionata e restrittiva della libertà personale del condannato alla pena pecuniaria – Previsione della semilibertà sostitutiva, quale misura adeguata in sede di conversione della pena pecuniaria, in contrasto con i principi di proporzionalità intrinseca e coerenza – Lesione dei principi di uguaglianza sostanziale e ragionevolezza – Violazione della libertà personale.
Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 102; codice di procedura penale, art. 660, comma 3.
Costituzione, artt. 3, secondo comma e 13.
In via gradata: Reati e pene – Pene sostitutive – Mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di cui all’art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell’ordine di esecuzione – Denunciata norma che non prevede dopo le parole “ne comporta la conversione nella semilibertà sostitutiva” le parole “o nella detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l’art. 58.” – In via conseguenziale, denunciata previsione, la quale non dispone dopo le parole “la pena pecuniaria sarà convertita nella semilibertà sostitutiva”, le parole “o nella detenzione domiciliare sostitutiva” - Disparità di trattamento rispetto al tertium comparationis rappresentato dall’art. 71 della legge n. 689 del 1981 che, in caso di mancato pagamento entro il termine della pena pecuniaria, consente al magistrato di sorveglianza di sostituire la stessa scegliendo tra la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva – Lesione dei principio di ragionevolezza – Pregiudizio irragionevole che tale normativa, a parità di condizioni, arreca al principio di emenda della pena, non consentendo al magistrato di sorveglianza una valutazione individualizzata della posizione del condannato, imponendo una sola misura possibile, rispetto a quanto consentito in casi analoghi dall’art. 71 della legge n. 689 del 1981 – Violazione del principio di uguaglianza sostanziale – Violazione della libertà personale.
Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 102; codice di procedura penale, art. 660, comma 3.
Costituzione, artt. 3, comma secondo, 13 e 27, terzo comma.
Norme impugnate:
legge del 24/11/1981 Num. 689 Art. 102
codice di procedura penale del Num. Art. 660 Co. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co. 2
Costituzione Art. 13 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 marzo 2025 Ordinanza del 31 marzo 2025 del Tribunale di sorveglianza di Bologna nel procedimento di sorveglianza nei confronti di A. G.. Reati e pene - Pene sostitutive - Denunciata norma la quale prevede che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di cui all'art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell'ordine di esecuzione, "comporta la conversione nella semiliberta' sostitutiva", invece di stabilire che il mancato pagamento "comporta la conversione nella detenzione domiciliare sostitutiva" - In via conseguenziale, denunciata previsione la quale dispone che "la pena pecuniaria sara' convertita nella semiliberta' sostitutiva", invece delle parole "la pena pecuniaria sara' convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva". In via gradata: Reati e pene - Pene sostitutive - Mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di cui all'art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell'ordine di esecuzione - Denunciata norma che non prevede dopo le parole "ne comporta la conversione nella semiliberta' sostitutiva" le parole "o nella detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l'art. 58." - In via conseguenziale, denunciata previsione, la quale non dispone dopo le parole "la pena pecuniaria sara' convertita nella semiliberta' sostitutiva", le parole "o nella detenzione domiciliare sostitutiva". - Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 102; Codice di procedura penale, art. 660, comma 3. (GU n. 21 del 21-05-2025) UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA Il Magistrato di sorveglianza Letti gli atti relativi alla domanda di conversione della pena pecuniaria ex art. 660 c.p.p. proposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ferrara nei confronti di G. A. nato a..., ivi residente in via..., in relazione alla pena pecuniaria di 3.000,00 euro di multa di cui alla sentenza n. 564/2023 emessa dal Tribunale di Ferrara il 28 marzo 2023 (irrevocabile il 3 maggio 2023). Osserva Con sentenza di applicazione della pena n. 564/2023 emessa dal Tribunale di Ferrara il 28 marzo 2023 G. A. e' stato condannato alla pena di anni due e giorni venti di reclusione e 3.000,00 euro di multa per i delitti di cui agli articoli 73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, 337 c.p. e 582 c.p. commessi il... in... La Procura della Repubblica di Ferrara con provvedimento SIEP 180/2023 del 25 marzo 2024 ha emesso ai sensi del novello art. 660 c.p.p. ordine di esecuzione della pena pecuniaria, ingiungendo alla persona il pagamento entro novanta giorni e fornendo all'interessato tutti gli avvisi di legge previsti dal comma 3 dell'art. 660 c.p.p.; in particolare, oltre agli avvertimenti in punto di conversione della pena pecuniaria, rappresentando al condannato la facolta' di richiedere entro venti giorni la rateizzazione della pena pecuniaria. L'ordine di esecuzione era notificato ai difensori il 28 marzo 2024 ed al G. il 14 aprile 2024. Pertanto, il termine per il pagamento della multa risulta scaduto il 13 luglio 2024 senza che la persona vi prevedesse. Accertato il mancato pagamento e l'assenza di richieste di rateizzazione nel termine di legge, la Procura di Ferrara ha dunque trasmesso a questo Ufficio il 4 settembre 2024 ai sensi dell'art. 660 c.p.p. per procedere alla conversione della pena pecuniaria. Era, pertanto, svolta attivita' istruttoria onde verificare se G. versasse in condizioni di insolvibilita', ovvero di insolvenza, demandandosi accertamenti ai Carabinieri di... sulle attuali condizioni economiche del condannato. In data 23 novembre 2024 giungeva riscontro istruttorio da parte dei Carabinieri di... (cui gli atti erano stati trasmessi per competenza) che, pero', risultava carente in ordine alla specifica indicazione dei redditi dell'interessato; la nota, infatti, pur indicando che G. svolge attivita' lavorativa presso l'azienda metallurgica M., non forniva dati sulla consistenza delle retribuzioni a lui corrisposte. A fronte della disponibilita' di stabile occupazione lavorativa, si riteneva, inoltre, utile ribadire al condannato le diverse conseguenze previste dall'art. 660 c.p.p. per le ipotesi di insolvibilita' ed insolvenza (invero gia' contenute nell'ordine di esecuzione della Procura), specificando gli esiti del procedimento nell'uno e nell'altro caso. Si dava, dunque, mandato ai Carabinieri di... di integrare gli adempimenti istruttori. In data 3 marzo 2025 perveniva verbale di dichiarazioni da parte del G. in cui la persona affermava di percepire redditi mensili medi per circa... euro netti e di essere disponibile al pagamento della pena pecuniaria, previa adeguata rateizzazione al fine di non gravare sui propri mezzi di sussistenza. Accertamenti presso la banca dati INPS, inoltre, consentivano di verificare che l'interessato nell'anno 2024 ha percepito redditi per 26.195,00 euro. Da ultimo, in merito alla possibilita' di svolgere lavoro sostitutivo, la persona dichiarava di essere disponibile a svolgerli, «solo e qualora emergessero elementi di insolvibilita' a suo carico». Cio' posto, l'attuale assetto normativo imporrebbe a questa Autorita' Giudiziaria di procedere alla conversione della pena pecuniaria non pagata in semiliberta' sostitutiva, essendo emersa dagli atti che il mancato adempimento dell'ordine di esecuzione della Procura discende non gia' da una condizione di insolvibilita', bensi' da insolvenza da parte del G. La persona, infatti, dispone di redditi da lavoro dipendente adeguati e sufficienti al pagamento della pena pecuniaria, sia in unica soluzione, sebbene con un certo aggravio, sia, senza particolari problemi, in forma rateizzata. Tuttavia, la normativa, allo stadio attuale del procedimento, non consente al Magistrato di Sorveglianza di disporre una ratealizzazione del pagamento, posto che G. e' decaduto da tale possibilita', non avendo proposto istanza in questo senso alla Procura di Ferrara secondo le scansioni processuali previste dall'art. 660 c.p.p. A questo punto, dunque, non potrebbe che prendersi atto dell'insolvenza e provvedere ai sensi degli articoli 660 commi 3, 9 c.p.p. e 102, legge n. 689/1981 alla conversione della pena non pagata nella pena della semiliberta' sostitutiva per giorni dodici, secondo il criterio di ragguaglio per cui un giorno di semiliberta' sostitutiva corrisponde a 250,00 euro di pena pecuniaria. Tale esito, tuttavia, appare a questo Magistrato di Sorveglianza frutto di un meccanismo normativo che, per un verso, risulta particolarmente irragionevole nel bilanciamento tra gli interessi in gioco (effettivita' della sanzione pecuniaria - liberta' personale) al punto da arrecare un vulnus sproporzionato ai beni costituzionali sottesi all'esecuzione penale, cui la materia delle pene pecuniarie evidentemente afferisce nella misura in cui, oltre a punire mediante una sanzione che attinge il condannato nella sua sfera economica, puo' condurre anche all'applicazione di restrittive della liberta' personale o comunque limitative di diritti costituzionalmente tutelati dagli articoli 13, 15, 16, 27, comma 3 della Costituzione; per altro verso, invece, il suddetto meccanismo risulta intrinsecamente contraddittorio, essendo minato nella propria ragionevolezza da una lampante contraddizione di fondo insita nel sistema di conversione risultante dagli articoli 660 c.p.p., 71 e 102, legge n. 689/1981 tra le pene pecuniarie originarie e le pene pecuniarie sostitutive, che assoggetta a difformi discipline la conversione in caso di insolvenza da parte del condannato, compiendo una scelta normativa che tratta in modo differente condizioni di fatto e di diritto del tutto assimilabili, come tale lesiva del principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma 2 della Costituzione oltre che del principio di emenda e della liberta' personale del condannato. In questi termini, la norma, si segnala per profili di dubbia costituzionalita', che si ritengono non emendabili in via ermeneutica e che, anche ai fini di una applicazione uniforme, possono essere superati esclusivamente mediante un intervento della Corte costituzionale. L'esame delle questioni richiede una previa ricognizione della riforma che ha interessato il sistema delle pene pecuniarie con la riformulazione dell'art. 660 c.p.p., nonche' dell'assetto normativa previgente, al fine die cogliere la portata delle modifiche introdotte e ricostruire in chiave sistematica i concetti di insolvibilita' insolvenza. Con decreto legislativo n. 150/2022 (cosiddetta Riforma Cartabia) il Governo in attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134 avente ad oggetto «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonche' in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari» (Gazzetta Ufficiale n. 237 del 4 ottobre 2021), ha, tra gli altri significativi interventi, ridisegnato i contorni dell'esecuzione delle pene pecuniarie. La direttrice fondamentale che ha ispirato l'intervento riformatore e' ben delineata dalla legge di delega all'art. 1, comma 16, (1) ove si esplicita il telos di garantire effettivita' al sistema sanzionatorio nel suo complesso, razionalizzando la materia, introducendo procedure rapide nell'esazione di quanto dovuto dal condannato allo Stato e ripensando il sistema di conversione secondo principi di equita', efficienza ed effettivita' assicurando certezza della pena pecuniaria. Invero, i dati circa l'esecuzione concreta delle pene pecuniarie, riportati negli atti preparatori e nella Relazione Illustrativa al decreto legislativo, (2) apparivano scantonanti, evidenziando la diffusa ineffettivita' del sistema sanzionatorio pecuniario non solo nei confronti del condannato che non fosse nelle condizioni di provvedere al pagamento della pena pecuniaria, ma anche di coloro che pur avrebbero potuto essere solvibile. Costoro, infatti, semplicemente omettendo il pagamento potevano accedere a forme di rateizzazione ovvero di conversione della sanzione ai sensi dell'art. 660 c.p.p. andando incontro a conseguenze giudicate dal legislatore delegato particolarmente blande e dal minimo valore coercitivo. A cio' si aggiunga che nel sistema previgente la pena pecuniaria era considerata un mero credito dello Stato verso il condannato, la cui riscossione avveniva in via prioritaria mediante ruolo. Tale circostanza che aveva condotto dapprima all'attribuzione di competenze per il recupero delle somme dovute agli Uffici Recupero Crediti degli Uffici giudiziari e, da ultimo, con legge 18 giugno 2009, n. 69, cui si deve l'introduzione dell'art. 227-ter, decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, a mente del quale la riscossione mediante ruolo era attivata senza che fosse previamente notificato dall'U.R.C. l'invito al pagamento, devolvendo l'intera materia agli agenti incaricati della riscossione, con lungaggini procedurali che il piu' delle volte esitavano nella prescrizione della pena ai sensi degli articoli 172 e 173 c.p. Solo a fronte dell'esito negativo di tale procedura, dunque, l'U.R.C. trasmetteva gli atti alla Procura segnalando la mancata riscossione della pena pecuniaria; l'autorita' requirente, a questo punto, trasmetteva gli atti al Magistrato di Sorveglianza per la conversione ex art. 660 c.p.p. Questi, da ultimo, era tenuto a svolgere accertamenti sulle condizioni economiche dell'interessato, spesso a distanza di anni dai fatti e dalla notifica delta cartella di pagamento, incorrendo in difficolta' nel reperire il condannato e potendo disporre la conversione solo previo accertamento della insolvibilita' del condannato; nelle ipotesi di insolvenza, infatti, il Magistrato di Sorveglianza avrebbe dovuto ritrasmettere gli atti alla Procura ed alle autorita' competenti per la riscossione coattiva del credito. Attivita' che, statisticamente, si traduceva in un continuo inseguire senza esito chi si sottraeva al pagamento. Porre rimedio a questa aporia esecutiva, nella prospettiva assunta dal legislatore, era dunque necessario non solo per restituire credibilita' al sistema delle pene pecuniarie atomisticamente considerato, ma anche, in una visione di sistema, al fine di perseguire l'erosione del carcero-centrismo che caratterizza il sistema sanzionatorio italiano, anche in ottica deflattiva della popolazione carceraria. Nei paesi in cui la pena pecuniaria viene percepita dai cittadini come una forma di afflizione efficace ed effettiva, infatti, questa puo' rappresentare anche per il legislatore, in chiave general-preventiva, una valida alternativa alla pena carceraria in quanto bastevole ad offrire tutela ai beni giuridici protetti dalle norme penali. Considerazioni analoghe, invero, erano state espresse anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in diverse sentenze: nella sentenza, n. 279/2019 (3) (seppur in un obiter dictum; il tema centrale della sentenza atteneva alla conoscenza/conoscibilita' della cartella di pagamento nel sistema ante Cartabia in caso di notifica mediante irreperibilita'); nella sentenza n. 15/2020 (4) (anche qui, come notazione-monito di carattere generale avulsa dal tema decidendum); da ultimo nella sentenza n. 28/2022, con un espresso riferimento alla legge delega n. 134/2021: «resta ferma, piu' in generale, la stringente opportunita' - piu' volte segnalata da questa Corte che il legislatore intervenga, nell'attuazione della delega stessa ovvero mediante interventi normativi ad hoc, a restituire effettivita' alla pena pecuniaria, anche attraverso una revisione degli attuali meccanismi di esecuzione forzata e di conversione in pene limitative della liberta' personale». (5) Per perseguire questi obiettivi il legislatore delegato ha ripensato alla radice il sistema, ispirandosi all'esperienza comparata di altri paesi europei, come viene ben espresso nella Relazione al decreto laddove si sottolinea che la conversione della pena pecuniaria non eseguita in una pena limitativa della liberta' personale, negli ordinamenti in cui e' prevista, non e' sorretta dall'idea di una rinuncia alla riscossione di un credito dello Stato, bensi' costruita sulla massima di esperienza per cui la minaccia di sanzioni piu' gravi in caso di mancato pagamento puo' rappresentare un'efficace controspinta alla decisione di sottrarsi al pagamento: «Non e' lo Stato a inseguire il creditore; e' il condannalo, autore di un reato, che e' tenuto al pagamento della pena irrogata dal giudice, onde non andare incontro a conseguenze piu' gravi». (6) Cio' e' avvenuto anzitutto mediante l'assegnazione alle Procure di una competenza funzionale nella subjecta materia, prima appannaggio degli Uffici Recupero Crediti e dei concessionari dei servizi di riscossione (Equitalia - Agenzia delle Entrate), che vede gli organi requirenti promotori di un procedimento che inizia con un vero e proprio ordine di esecuzione anche per le pene pecuniarie. Ma la vera innovazione e' rappresentata, sul piano concettuale, da un radicale ripensamento del meccanismo di conversione che risulta imperniato sulle distinte nozioni di insolvibilita' ed insolvenza. Si tratta di concetti che non erano estranei alla previgente formulazione della norma, sebbene la disciplina previgente fosse, meno rigida nel sanzionare l'insolvenza e nel fissare il momento in cui dovesse essere compiuta la relativa valutazione. - L'art. 660 c.p.p. nella sua previgente formulazione, infatti stabiliva ai commi 2 e 3: «2. Quando e' accertata la impossibilita' di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente per la conversione, il quale provvede previo accertamento dell'effettiva insolvibilita' del condannato e, se ne e' il caso, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Se la pena e' stata rateizzata, e' convertita la parte non ancora pagata. 3. In presenza di situazioni di insolvenza, il magistrato di sorveglianza puo' disporre la rateizzazione della pena a norma dell'art. 133-ter del codice penale, se essa non e' stata disposta con la sentenza di condanna ovvero puo' differire la conversione per un tempo non superiore a sei mesi. Alla scadenza del termine fissato, se lo stato di insolvenza perdura, e' disposto un nuovo differimento, altrimenti e' ordinata la conversione. Ai fini della estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il quale l'esecuzione e' stola differita.». - L'art. 102, legge n. 689/1981, invece, prevedeva che si procedesse a conversione solo laddove le pene pecuniari fossero rimaste ineseguite per insolvibilita' del condannato, senza nulla disciplinare in caso di insolvenza colpevole. Nel sistema previgente, dunque, la Procura procedeva ad una richiesta di conversione a fronte di una accertata impossibilita' dell'esazione, ii che avveniva sostanzialmente su segnalazione dell'Ufficio Recupero Crediti in cui si dava conto dell'infruttuoso esperimento delle procedure esattive mediante ruolo. Gli atti erano trasmessi al Magistrato di Sorveglianza che, previo accertamento delle condizioni economiche del condannato, procedeva agli adempimenti successivi. Laddove avesse riscontrato una condizione di insolvibilita', avrebbe dovuto procedere a conversione della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 102, legge n. 689/1981. In condizioni di insolvenza, viceversa, oltre a poter ritrasmettere gli atti per l'avvio delle procedure di riscossione coattiva, si aprivano ulteriori due alternative: la possibilita' di rateizzare il pagamento, laddove la rateizzazione non fosse stata disposta dal giudice; la possibilita' di differire il pagamento per un periodo di sei mesi, eventualmente reiterabile in caso di permanenza dello stato di insolvenza. In questo sistema, dunque, non vi era una specifica sanzione per l'insolvenza, ma anzi, colui che non avesse provveduto al pagamento pur potendo farlo avrebbe avuto dinnanzi a se' la facolta' di accedere alla rateizzazione dello stesso, ovvero al differimento della conversione, consentendo al condannato di far valere le proprie condizioni economiche sub specie della difficolta' di provvedere illic et immediate a saldare quanto dovuto innanzi al Magistrato di Sorveglianza. Le nuove norme, invece, sono molto puntuali dal punto di vista lessicale, utilizzando insolvenza per indicare il mancato pagamento colpevole e insolvibilita' per indicare il mancato pagamento incolpevole, descrivendo due fattispecie che il sistema oggi considera strettamente alternative ed a cui associa esiti diversi in sede di conversione. Cio' emerge chiaramente da una analisi complessiva del tessuto normativa. - L'art. 660 c.p.p. prevede al comma terzo che l'ordine di esecuzione della Procura contenga «l'avviso che, in mancanza, la pena pecuniaria sara' convertita nella semiliberta' sostitutiva o, in caso di accertata insolvibilita', nel lavoro di pubblica utilita' sostitutivo o nella detenzione domiciliare sostitutiva, ai sensi degli articoli 102 e 103 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ovvero, quando deve essere eseguita una pena pecuniaria sostitutiva, nella semiliberta' sostitutiva o nella detenzione domiciliare sostitutiva, ovvero, in caso di accertata insolvibilita', nel lavoro di pubblica utilita' sostitutivo o nella detenzione domiciliare sostitutiva, ai sensi dell'art. 71 della legge 24 novembre 1981, n. 689. L'ordine di esecuzione contiene, inoltre, l'avviso al condannato che, quando non e' gia' stato disposto nella sentenza o nel decreto di condanna, entro venti giorni, puo' depositare presso la segreteria del pubblico ministero istanza di pagamento rateale della pena pecuniaria, ai sensi dell'art. 133-ter del codice penale». I commi da sette a dieci, invece, stabiliscono che: «7. Quando accerta il mancato pagamento della pena pecuniaria, ovvero di una rata della stessa, entro il termine indicato nell'ordine di esecuzione, il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente per la conversione ai sensi degli articoli 102 e 103 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ovvero, quando si tratta di pena pecuniaria sostitutiva, ai sensi dell'art. 71 della medesima legge n. 689 del 1981. In ogni caso, se il pagamento della pena pecuniaria e' stato disposto in rate mensili, e' convertita la parte non ancora pagata. 8. Il procedimento per la conversione della pena pecuniaria, anche sostitutiva, e' disciplinato dall'art. 667, comma 4. Per la conversione della pena pecuniaria, ai sensi degli articoli 71, 102 e 103 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si applica in quanto compatibile, l'art. 545-bis, comma 2. 9. Il magistrato di sorveglianza provvede alla conversione della pena pecuniaria con ordinanza, previo accertamento della condizione di insolvenza ovvero di insolvibilita' del condannato. A tal fine dispone le opportune indagini nel luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si ha ragione di ritenere che il condannato possieda beni o cespiti di reddito e richiede, se necessario, informazioni agli organi finanziari o di polizia giudiziaria. 10. Quando il mancato pagamento della pena pecuniaria e' dovuto a insolvibilita', il condannato puo' chiedere al magistrato di sorveglianza il differimento della conversione per un tempo non superiore a sei mesi, rinnovabile per una sola volta se lo stato di insolvibilita' perdura. Ai fini della estinzione della pena pecuniaria per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il quale la conversione e' stata differita.» - L'art. 660 espressamente indica che la pena non pagata si converte in una pena sostitutiva, secondo le modalita' di conversione stabilite agli articoli 102 e 103, legge n. 689/1981 per le pene pecuniarie e all'art. 71 legge n. 689/1981 per le pene pecuniarie sostitutive di pene detentive brevi. Ai sensi dell'art. 102, legge n. 689/1981, rubricato «Conversione delle pene pecuniarie principali per mancato pagamento», laddove la persona non provveda al pagamento della pena pecuniaria entro il termine indicato nell'ordine di esecuzione, la pena pecuniaria non pagata si converte in semiliberta' sostitutiva per la durata massima di quattro anni, se la pena convertita e' quella della multa, o due anni, se la pena convertita e' quella dell'ammenda. Laddove la sentenza abbia disposto il pagamento rateale, la condanna ha luogo per la sola parte residua. Da ultimo, si prevede che dopo l'inizio dell'esecuzione della pena convertita il condannato puo' in qualsiasi momento far cessare la semiliberta', pagando la pena residua e, in questo caso, puo' essere ammesso nuovamente al pagamento rateale ex art. 133-ter c.p. Sebbene la norma non lo specifichi, e' chiaro che questa disciplina trova applicazione nel caso in cui il mancato pagamento della pena pecuniaria non sia imputabile ad insolvibilita', ipotesi disciplinata all'articolo successivo, ma venga in considerazione tutte le volte in cui la persona sia nelle condizioni economiche di sostenere il pagamento e non vi provveda; si versa, dunque, in una ipotesi di insolvenza, quale mancato adempimento dell'obbligazione/ordine di pagamento emesso dalla Procura entro il termine ivi indicato. Trattandosi di inadempimento colpevole, la conversione si realizza con la pena sostitutiva massima, vale a dire la semiliberta' sostitutiva da eseguirsi in carcere, secondo i criteri di cui all'art. 135 c.p. (250,00 euro per giorno di pena detentiva) per un massimo di quattro anni, se la pena e' quella della multa, ovvero due anni, se la pena e' quella dell'ammenda. E' evidente la ratio che ha ispirato la scelta di prevedere, per l'insolvenza, non gia' con una semplice misura limitativa della liberta' personale, ma una pena sostitutiva restrittiva che realizza una forma di espiazione propriamente di tipo carcerario: rappresentare (o forse rectius minacciare) conseguenze particolarmente gravose quali la detenzione inframuraria come sanzione per il mancato pagamento da parte di chi pur potendo pagare non vi provveda, ottenendo auspicabilmente l'adempimento spontaneo da parte del condannato. Si tratta di una scelta chiara e che segue le limpide linee guida espresse nella Relazione gia' citata. - L'art. 103, legge n. 689/1981, rubricato espressamente Mancato pagamento della pena pecuniaria per insolvibilita' del condannato, invece, trova applicazione «Quando le condizioni economiche e patrimoniali del condannato al momento dell'esecuzione rendono impossibile il pagamento della multa o dell'ammenda entro il termine di cui all'art. 660 del codice di procedura penale indicato nell'ordine di esecuzione [...]», condizioni al ricorrere delle quali si realizza la diversa fattispecie della insolvibilita': la persona condannata versa in condizioni economiche che le rendono impossibile il pagamento, ma trattasi di un inadempimento incolpevole (ad impossibilia nemo tenetur). L'assenza di un rimprovero anche solo a titolo di colpa per il mancato adempimento spontaneo giustifica la scelta di un meccanismo di conversione meno gravoso di quello previsto per l'insolvenza che tuteli maggiormente ed in prima battuta la liberta' personale del condannato. Poiche' la persona non paga perche' non puo', laddove la pena pecuniaria desse luogo all'esecuzione di una pena con carattere detentivo, si finirebbe col reintrodurre meccanismi analoghi a quelli previsti dal sistema vigente sotto il Codice Zanardelli ed il Regime Fascista, che, non valorizzando l'insolvibilita' del condannato, si risolvevano in un sanzionare la poverta'; meccanismi che, invero, non potrebbero avere cittadinanza nell'ordinamento Repubblicano, anche perche' espunti proprio ad opera della Corte costituzionale. Dunque, la pena pecuniaria non pagata si converte, ai sensi dell'art. 103, legge n. 689/1981 in via principale nel lavoro di pubblica utilita' sostitutivo ex art. 56-bis, legge n. 689/1981 e, solo in caso di opposizione del condannato, nella detenzione domiciliare sostitutiva di cui all'art. 56, legge n. 689/1981. La gradazione delle due misure riflette un modello bifasico, che merita di essere vagliato nella sua costruzione, perche' assiologicamente molto coerente con il discorso sin qui condotto e utile per le valutazioni che si svolgeranno nel prosieguo della presente ordinanza. Nel disporre la conversione della pena pecuniaria non pagata nella misura del lavoro di pubblica utilita' sostitutivo, il legislatore utilizza la formula «si converte in». La locuzione e' parzialmente difforme da quella utilizzata negli articoli 54 e 55 del decreto del Presidente della Repubblica n. 274/2000, corpus normativo da cui la misura e' stata in massima parte mutuata. In quella sede, infatti, si e' previsto che il lavoro di pubblica utilita' sostitutivo sia come sanzione principale, sia quale conversione di sanzione pecuniaria non pagata, possa essere disposto solo su richiesta dell'interessato. La richiesta del condannato e', infatti, una condizione necessaria, poiche' l'imposizione di una prestazione lavorativa coattiva potrebbe porsi in termini contrari all'art. 117 della Costituzione rispetto all'art. 4 CEDU, laddove la norma convenzionale vieta il lavoro forzato. Nella norma in esame, invece, pur essendovi spazio per l'acquisizione di una forma di consenso da parte del condannato mediante l'opposizione, l'utilizzo del verbo all'indicativo presente «si converte» esprime un chiaro indirizzo di preferenza legislativa: questa si appunta sul lavoro di pubblica utilita' come prima opzione ordinamentale in quanto misura piu' lieve e priva di connotazioni restrittive. Il lavoro di pubblica utilita', infatti, non attinge la liberta' personale del condannato (art. 13 della Costituzione) ma impone, al piu' una serie di limiti ad altri diritti pur costituzionalmente tutelati tra cui, in principalita', il diritto al lavoro sub specie della liberta' nell'esercizio del diritto al lavoro (art. 35 della Costituzione), che viene in parte limitata sia sull'an (con coinvolgimento anche dell'art. 23 della Costituzione) che nella scelta del destinatario della prestazione lavorativa (dovendo rivolgersi verso la collettivita' e tramite gli enti a cio' abilitati); sono poi attinti da limitazioni in via secondaria, mediante il richiamo alte prescrizioni comuni alle altre pene sostitutive, il diritto di comunicazione (art. 15 della Costituzione; nel vietare contatti e comunicazioni con determinati soggetti) ed il diritto di circolazione (art. 16 della Costituzione; nel circoscrivere la liberta' territoriale degli spostamenti e nel ritiro del passaporto). Dunque, la pena sostitutiva in esame si caratterizza come misura limitativa e priva di connotati coercitivi della liberta' personale, cosi' risultando quella piu' proporzionata a contemperare i diritti in gioco: a fronte di una condizione di impossibilita' del condannato di provvedere al pagamento la legge individua la prima risposta ordinamentale idonea e proporzionata a consentire comunque alla sanzione di spiegare un effetto afflittivo-rieducativo, in quella che impone limiti che non restringono la liberta' personale di chi incolpevolmente non puo' adempiere alla sentenza di condanna. Si tratta di scelta condivisibile e del tutto coerente con le indicazioni offerte dalla legge delega, laddove aveva rimarcato al legislatore delegato la necessita' di tenere in conto nella riorganizzazione della materia anche le esigenze di equita'. Tuttavia, a fronte di una scelta dell'ordinamento che imporrebbe la conversione nella misura leviore, il rilievo di principi di pari caratura costituzionale e convenzionale che presidiano l'incoercibilita' delle prestazioni lavorative, e' alla base della possibilita' che la norma attribuisce al condannato di opporsi all'esecuzione della misura preferita dalla legge, esprimendo il proprio dissenso ed accedendo cosi' alla piu' grave misura della detenzione domiciliare sostitutiva ex art. 56, legge n. 689/1981, dai connotati piu' marcatamente restrittivi della liberta' personale (prevedendo obblighi di permanenza al domicilio che realizzano una forma di cattivita', rilevante ai sensi dell'art. 13 della Costituzione). Cio' che giustifica, in questo meccanismo, l'imposizione di una misura restrittiva della liberta' personale in luogo di una meramente limitativa non e', pero', la meta insolvibilita', bensi' la congiunta ricorrenza di insolvibilita' e opposizione al lavoro, in cui l'elemento discretivo e' dato dalla volonta' del condannato. Solo il concorso della volonta' del condannato, dunque, consente l'inflizione di una misura restrittiva della liberta' personale in luogo di quella limitativa, secondo una gradazione degli interessi che attribuisce al condannato la disponibilita' dei propri diritti comprendente il potere di auto imporsi forme di coercizione piu' elevate di quelle ordinariamente volute dalla legge. In altre parole: il volontario rifiuto della misura piu' lieve con accettazione della misura piu' grave rende compatibile con il sistema quel che non lo sarebbe in prima battuta, vale a dire l'applicazione di misura restrittiva in condizioni di insolvibilita'. La norma reitera, poi, quanto previsto dall'art. 102, legge n. 689/1981 in punto di eventuale rateizzazione originaria e cessazione della misura, con possibilita' di accesso alla rateizzazione in corso di esecuzione, stabilendo che laddove sia stato disposto il pagamento rateale, la condanna ha luogo per la sola parte residua e che dopo l'inizio dell'esecuzione della pena convertita il condannato puo' in qualsiasi momento farne cessare l'esecuzione semiliberta', pagando la pena residua eventualmente con pagamento rateale ex art. 133-ter c.p. Se questa e' la disciplina prevista per la conversione delle pene originariamente pecuniarie, la riforma ha poi previsto meccanismi di conversione parzialmente divergenti nel caso in cui il mancato pagamento riguardi non gia' una pena pecuniaria, ma una sanzione sostitutiva pecuniaria derivante da conversione di pena detentiva. La disciplina e' gia' richiamata sinteticamente nell'art. 660 e. 3 c.p.p. su citato, ma e' piu' specificatamente dettagliata all'art. 71, legge n. 689/1981. La norma, infatti, stabilisce al comma primo che alle pene pecuniarie sostitutive di pena detentiva si applica l'art. 660 c.p.p., in ossequio al principio generale di cui all'art. 57, legge n. 689/1981 che vede la pena pecuniaria sostitutiva parificata ad ogni effetto di legge alla pena pecuniaria originaria (La pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva). Il comma secondo, invece, prevede che nel caso di mancato pagamento alla scadenza della pena pecuniaria sostitutiva, la stessa e' revocata e convertita in semiliberta' sostitutiva o detenzione domiciliare sostitutiva. Se e' stato disposto il pagamento rateale, la revoca e la conversione operano a partire dal mancato pagamento di una rata e solo limitatamente alla pena pecuniaria residua. Il comma terzo, invece, prevede che laddove le condizioni economiche del condannato al momento dell'esecuzione rendano impossibile il pagamento entro la scadenza indicata nell'ordine di esecuzione della procura, la pena pecuniaria sostitutiva e' revocata e si converte nel lavoro di pubblica utilita' sostitutivo solo ove la persona non vi si opponga, venendo viceversa convertita in detenzione domiciliare sostitutiva. La norma, da ultimo, richiama l'ultimo periodo del comma precedente in punto di rateizzazione. Dalla disamina condotta sulla normativa complessiva puo' cogliersi la linea di demarcazione tracciata dal legislatore per le diverse ipotesi di insolvenza e insolvibilita', distinguendo, dunque, tra mancato pagamento colpevole e mancato pagamento incolpevole. Il nuovo sistema, come visto, nell'ottica di garantire effettivita' ed efficacia deterrente rispetto al mancato pagamento, e' ben piu' rigido non solo nel sanzionare il condannato inadempiente con la conversione, ma anche nel fissare precise scansioni temporali in cui viene in rilievo il giudizio sulla insolvenza o insolvibilita', ancorate al termine di pagamento fissato dalla Procura, nonche' nel restringere le ipotesi in cui e' consentito dare spazio alla valutazione/rivalutazione delle condizioni economiche dell'interessato per l'accesso agii istituti del differimento e della rateizzazione rispetto alle diverse condizioni di insolvibilita' o insolvenza. Anzitutto, con l'emissione dell'ordine di esecuzione da parte della Procura si fissano le scansioni temporali per valutare insolvenza ed insolvibilita'; mentre prima, infatti, il giudizio era operato dal Magistrato di Sorveglianza senza un termine specifico e, dunque, il piu' delle volte fa ricorrenza di condizioni di insolvibilita' o insolvenza era attualizzata al momento della sua valutazione da parte del Magistrato - che poteva intervenire anche a rilevante distanza temporale da quello in cui gli atti erano stati trasmessi dalla Procura, con conseguente possibilita' di significative modifiche medio tempore - tutta la nuova disciplina ancora la valutazione sulla ricorrenza della condizione di insolvenza o insolvibilita' al momento della scadenza del termine per l'adempimento spontaneo. Si consideri, infatti, che gli articoli 102, 103 e 71, legge n. 689/1981 recano tutti la medesima formulazione: «il mancato pagamento entro il termine indicato nell'ordine di esecuzione» comporta la conversione, salvo che emerga che «le condizioni economiche del condannato al momento dell'esecuzione rendano impossibile il pagamento entro il termine indicato nell'ordine di esecuzione». E' evidente la ratio della limitazione normativa, tesa a dare un parametro temporale certo entro cui valutare le ragioni dell'inadempimento ed offrire, dunque, uno snodo procedurale stabile per determinare quali conseguenze derivino dal mancato pagamento in ragione della colpevolezza o meno dello stesso; concetto ben espresso dalla Relazione citata laddove si legge «L'accertamento dell'insolvibilita' del condannato riveste un ruolo ancor piu' centrale nel riformato sistema di conversione della pena pecuniaria, dipendendo da esso applicazione della disciplina piu' severa di cui all'art. 102, ovvero di quella piu' mite di cui all'art. 103» (pagg. 275-276). Secondo profilo di particolare interesse attiene al tema della possibilita' di accesso alla rateizzazione del pagamento. Puo' ben accadere che la persona, pur non versando in condizioni di assoluta impossibilita' di provvedere al pagamento, in quanto percettrice di redditi o titolare di rendite che la rendono economicamente capiente, ove fosse tenuta a adempiere alla condanna per l'intero in unica soluzione andrebbe incontro a difficolta' economiche, non talmente gravi da configurare una insolvibilita'. In altre parole, la persona si trova in una condizione intermedia, che potrebbe essere descritta come insolvibilita' relativa rispetto all'ammontare della sanzione: potrebbe pagare ratealmente, ma avrebbe difficolta' a farlo in unica soluzione. In questi casi l'ordinamento prevede l'istituto delta rateizzazione, per scongiurare esiti che potrebbero avere un effetto eccessivamente stigmatizzante, quando non anche criminogeno - nella misura in cui le condizioni di difficolta' economico rappresentano secondo l'id quod plerumque accidit una delle principali cause dell'agire criminale - contrario dunque agli obiettivi assunti dal legislatore delegato ed al principio di emenda di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione. Sotto altro profilo, e' evidente che l'istituto sia sorretto da un principio generale di favor dell'ordinamento per la riscossione della pena pecuniaria, che assegna alla procedura di conversione il ruolo di extrema ratio del sistema. La rateizzazione e' disciplinata all'art. 133-ter c.p. e viene concepita quale beneficio che consente di agevolare l'adempimento dell'obbligazione di pagamento, adeguando la pretesa di riscossione dello Stato alle condizioni economiche della persona le concrete modalita' esecutive della sanzione, dilazionandole nel tempo. La rateizzazione puo' essere in prima battuta concessa dal giudice nella sentenza o nel decreto penale di condanna, secondo un giudizio che deve tenere in considerazione le condizioni economiche e patrimoniali del condannato, stabilendo un numero di rate che la legge indica da un minimo di sei ad un massimo di sessanta (limiti innalzati dalla riforma Cartabia rispetto a quelli precedenti, fissati in tre e trenta). Laddove la rateizzazione sia gia' stata disposta dal giudice di merito, la Procura emette ordine di esecuzione gia' rateizzato, invitando la persona al pagamento della prima rata entro trenta giorni, con l'avvertimento che, in caso di mancato pagamento della prima rata, e' prevista revoca automatica del beneficio e sara' richiesto il pagamento dell'intero entro i successivi sessanta giorni, da effettuarsi sotto pena di conversione. In caso di mancato pagamento, dunque, la Procura richiedera' al Magistrato di Sorveglianza la conversione. Nel caso in cui il giudice di merito non abbia effettuato la valutazione comparativa delle condizioni economiche del condannato rispetto alla sanzione, concedendo la rateizzazione, vi e' spazio perche' provveda il Magistrato di Sorveglianza; si tratta di una possibilita' che tanto nella norma previgente che in quella di nuovo conio assume carattere residuale, potendo avvenire seno ove non vi sia stata rateizzazione in sede di merito. Ma, mentre nel sistema anteriforma, ove non disposta dal giudice di merito, la valutazione sulla concedibilita' della rateizzazione si collocava dopo la richiesta di conversione da parte della Procura e solo a seguito degli accertamenti svolti dal Magistrato di Sorveglianza che evidenziassero una condizione di insolvenza (dunque non in caso di insolvibilita'), nel novello art. 660 c.p.p. questa ha due sedi ben distinte: una precedente alla richiesta di conversione ed una successiva all'esecuzione della pena convertita. La prima sede procedurale in cui l'interessato puo' (o meglio deve) fare valere le proprie condizioni economiche ai fini della rateizzazione non disposta, infatti, e' prevista gia' all'atto di emissione dell'ordine di esecuzione da parte delta Procura. Questo, infatti, avra' ad oggetto l'intera sanzione pecuniaria, con l'avviso all'interessato che entro venti giorni dalla notifica egli puo' richiedere il pagamento rateale, consentendo quindi di far valere le proprie condizioni economiche rispetto al pagamento in unica soluzione. Si apre, a questo punto, un sub-procedimento per la rateizzazione, in cui la Procura, presso la cui segreteria l'istanza deve essere presentata, trasmette gli atti al Magistrato di Sorveglianza che provvede ai sensi dell'art. 667, comma 4 c.p.p., secondo il procedimento camerale semplificato e non partecipato, con ordinanza comunicata alle parti e passibile di opposizione. La disciplina manca di un raccordo quanto alla fase successiva alla decisione dei Magistrato, tuttavia, appare evidente che laddove questi conceda la rateizzazione e non vi sia opposizione, la Procura dovrebbe revocare l'ordine di esecuzione precedente ed emetterne uno nuovo che tenga conto della rateizzazione, posto che i provvedimenti della Procura in materia di esecuzione, per costante giurisprudenza costituzionale e di legittimita', sono atti formalmente amministrativi, revocatili in autotutela e che devono essere aggiornati alle sopravvenienze normative e di fatto che interessano l'esecuzione, salvi gli effetti esauritisi dell'atto compiuto (si veda in particolare Cass. Sez. 1, n. 24831 del 15 giugno 2010, Castaldi, Rv. 248046, richiamata recentemente da Cass. Sez. 1, sentenza n. 25212 del 3 maggio 2019). In assenza di istanza di rateizzazione, o in caso di decadenza dal beneficio, e a fronte del mancato pagamento nel termine, il Magistrato di Sorveglianza a norma del comma 9 dell'art. 660 c.p.p. effettuera' le verifiche per stabilire se l'inadempimento dipende da una condizione di insolvenza o di insolvibilita'. Laddove ravvisi che il condannato non abbia provveduto al pagamento perche' insolvibile, potra' disporre ii differimento della conversione per un massimo di un anno, ai sensi dell'art. 660, comma 10 c.p.p.; oppure procedere alla conversione ai sensi dell'art. 103, legge n. 689/1981 o del terzo comma dell'art. 71, legge n. 689/1981. Rispetto alla norma previgente, le modifiche sono significative: anzitutto, il differimento viene circoscritto alla sola ipotesi di insolvibilita', laddove la precedente dizione faceva riferimento alla insolvenza. Ma, se il Magistrato acceda una condizione di solvibilita', essendo il condannato nelle condizioni di pagare, anche eventualmente accedendo alla rateizzazione da cui e' decaduto o che non ha chiesto, la norma offre come sola alternativa la conversione della pena pecuniaria e l'inizio dell'esecuzione della pena sostitutiva convertita. Cio' perche' a questo punto della procedura la persona risultata non insolvibile sara' gia' stata messa nelle condizioni di provvedere al pagamento rateale: infatti, o il condannato era stato ammesso al beneficio dal giudice di merito e vi e' decaduto; ovvero, pur a fronte degli avvertimenti contenuti nell'ordine di esecuzione, non ha avanzato richiesta di rateizzazione nei termini. In entrambi i casi la persona non ha adempiuto colpevolmente o non si e' attivata in modo negligente, rendendosi passibile di un rimprovero che legittima la conversione ai sensi dell'art. 102, legge n. 689/1981. Egli, in altre parole, avra' esaurito le proprie chances affinche' l'ordinamento valuti le sue condizioni economiche agevolandolo nei pagamenti, meritando l'avvio dell'esecuzione della pena sostitutiva. Ai sensi del comma 15 dell'art. 660 c.p.p., infatti, solo ad esecuzione iniziata il condannato potra' far cessare l'espiazione della pena sostitutiva pagando e, in questo caso, potra' essere ammesso al pagamento rateale. L'esecuzione della pena sostitutiva, infatti, e' sospesa non gia' a partire dalla domanda di pagamento o dall'accoglimento della richiesta di rateizzazione, bensi' dal materiale pagamento integrale o della prima rata. La norma di cui al comma 15 dell'art. 660 c.p.p. trova un proprio omologo sul piano sostanziale negli articoli 102 comma 4 e 103, comma 4, legge n. 689/1981, e viene qui ad essere ribadita come raccordo processuale. Si coglie bene in questa costruzione la rivoluzione copernicana, l'inversione prospettica propugnata dal legislatore della riforma: non e' piu' lo Stato ad inseguire il condannato per metterlo nelle condizioni di pagare sine die, ma e' il condannato a dover adempiere ed attivarsi per non incorrere in piu' gravi sanzioni: sanzioni che, se egli puo' pagare, prevedono la conversione della pena pecuniaria in pena sostitutiva detentiva. Una volta esaurite le possibilita' offerte dall'ordinamento, dunque, al condannato non resta che subire le conseguenze previste (la conversione), quasi ad istituire un meccanismo assimilabile ad una clausola solve et repete: prima paga con l'avvio dell'esecuzione la tua insolvenza e poi, eventualmente, si ridiscutera' di rateizzazioni o pagamenti. Cio', evidentemente, anche al fine di rendere la minaccia della sanzione detentiva piu' efficace nell'opera di netto al pagamento spontaneo nei termini, rafforzando, secondo le intenzioni del legislatore, il sistema nel suo complesso. Cosi' ricostruiti i criteri di conversione e la ratio sottesa alle scelte legislative operate in un senso e nell'altro rispetto alle condizioni di insolvibilita' ed insolvenza, sia concesso operare alcune considerazioni. Sulla congruita' della scelta di prevedere la conversione della pena pecuniaria in misure anche detentive di tipo carcerario, invero, sorgono a questo Magistrato rilevanti dubbi di compatibilita' costituzionale. Invero, sebbene le linee guida delle opzioni normative seguite dal legislatore della riforma trovano costante sponda nella giurisprudenza della Corte costituzionale, la Corte aveva nell'ultimo monito rivolto al legislatore indicato che la revisione dei meccanismi di conversione avrebbe dovuto/potuto prevedere anche misure limitative. Si e' gia' detto supra che i concetti di misure limitative e misure restrittive sembrerebbero non essere pianamente coincidenti. Invero, mentre le prime sono misure che limitano alcune liberta' ed impongono obblighi positivi, le seconde sono misure che prevedono forme coercitive che attingono direttamente la liberta' personale. In questo senso, la previsione che una pena pecuniaria, in sede di conversione, diventi idonea a limitare anche la liberta' personale potrebbe non essere del tutto coerente con il sistema costituzionale, soprattutto laddove la sua materiale esecuzione preveda l'incarcerazione del condannato. La censura che qui si muove si colloca sul terreno della contraddittoria ed intrinseca irragionevolezza dell'attuale assetto normativo, lesivo dell'art. 3, comma 2 della Costituzione e dell'art. 13 della Costituzione, nella misura in cui stabilisce una forma sanzionatoria sproporzionatamente restrittiva della liberta' personale del condannato a pena pecuniaria. L'ermeneutica costituzionale, infatti, ha da tempo enucleato a partire da tale disposizione - secondo costante giurisprudenza inaugurata con sentenza della Corte costituzionale n. 53 del 1958 - il principio di ragionevolezza come canone di valutazione delle differenziazioni normative e, poi, principio immanente al sistema costituzionale. In origine ancorata nella sua operativita' al raffronto con un tertium comparationis secondo un giudizio triadico, la ragionevolezza ha, infatti, negli anni assunto una propria autonomia operativa anche ai fini del sindacato di ragionevolezza intrinseca delle scelte normative (storicamente, a partire dalla sentenza n. 1130 del 1988). In questa veste autonoma, il principio e' stato in parte debitore delle statuizioni di principio e metodologiche emerse in seno alla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht ed al principio di proporzionalita' che, a partire dalla sentenza Apotheken-Urteil dell'11 giugno 1958, l'omologa Corte tedesca ha elaborato per valutare le interferenze ed i criteri di composizione tra diritti antinomici o tra diritti individuali ed esigenze collettive meritevoli di tutela. Non sempre, infatti, la limitazione di un diritto rappresenta, per cio' solo, una lesione dello stesso. L'ermeneutica internazionale in tema di diritti fondamentali e' chiara nell'indicare che l'esercizio dei diritti da parte della persona in concreto puo' (e a volte deve) essere operativamente limitato in presenza di ingressi contrapposti, eventualmente a loro volta espressivi di diritti fondamentali di altri soggetti o di interessi parimenti meritevoli di tutela tali da porsi, nel caso di specie, in termini antinomici rispetto alla piena soddisfazione dell'interesse fatto valere dalla persona. E' ampia, sul punto, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo che ha piu' volte chiarito come i diritti sanciti dalla Convenzione - ad eccezione di quelli incomprimibili di cui agli articoli 3, 4 e 7 - non debbano essere intesi in termini assoluti nel loro esercizio e che possano subire una compressione o financo un sacrificio, laddove cio' risulti necessario per garantire altri diritti o esigenze egualmente meritevoli di tutela. Quel che preme rilevare, in questa sede, e' come la Corte di Strasburgo, nelle materie in cui e' stata chiamata ad esprimersi, abbia indicato le condizioni (generalmente mediante l'elaborazione di test) che possono portare a ritenere adeguato al caso concreto il sacrificio imposto ai diritti tutelati nella Convenzione, adottando un approccio che, lungi dall'esaurirsi ad una statica considerazione dei diritti fondamentali, legge gli stessi nel loro dinamico farsi e comporsi, alla ricerca di quell'equilibrio che realizzi, a parita' di tutela dell'uno, il minor sacrificio possibile dell'altro; ma che, astrattamente, non preclude anche l'instaurazione di legittimi rapporti di subvalenza/prevalenza tra diritti antinomici. L'ermeneutica della nostra Corte costituzionale si inserisce a pieno titolo nel solco di tale corrente di pensiero, spiccatamente figlia del costituzionalismo contemporaneo europeo, e vede nella ragionevolezza con cui vengono maneggiati i diritti un limite alle scelte discrezionali del legislatore. Negli ultimi anni la Corte ha utilizzato il canone della ragionevolezza per garantire un sindacato sempre piu' attento e puntuale alla proporzionalita' delle scelte legislative nell'ottica di garantire tutela adeguata ai principi costituzionali, valutando che il legislatore eserciti ponderatamente la discrezionalita' che gli e' propria, sino a sanzionarne il mancato esercizio, con conseguente vuoto di tutela per i diritti costituzionalmente e convenzionalmente tutelati (si veda da ultimo C. cost. 10/2024 in tema di sessualità -affettivita' inframuraria). Il sindacato di ragionevolezza si articola nei sotto-criteri di adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo perseguito, coerenza interna rispetto alle altre scelte sistematiche e, da ultimo, proporzionalita' della soluzione normativa tra il sacrificio che questa impone al diritto limitato ed il vantaggio che realizza rispetto all'altro diritto/interesse che si intende tutelare. Alla luce di tali principi, la scelta della semiliberta' sostitutiva quale misura adeguata in sede di conversione di una pena pecuniaria appare non rispettare i criteri indicati, risultando in radice di dubbia proporzionalita' e coerenza. Quanto al profilo della adeguatezza dello strumento, potrebbe ritenersi che la conversione della pena pecuniaria in forme lato sensu detentive sia un rimedio adeguato al mancato pagamento colpevole, che realizza una sostanziale fuga dalla sanzione. In questi termini, alla luce del rimprovera ulteriore dato dall'insolvenza, che lo Stato attinga la liberta' personale della persona per sanzionare il fatto di reato puo' rappresentare un mezzo adeguato rispetto allo scopo, vale a dire evitare che la legge penale e le pene da essa stabilite rimangano inseguite; obiettivo legittimamente perseguito dal legislatore nella misura in cui il senso di impunita' all'interno di un organismo sociale non puo' che risolversi in un klimax ascendente di aggressione ai beni giuridici presidiati dalle norme penali. Il che, laddove si verificasse, rischierebbe di minare in radice le fondamenta della convivenza civile e dell'organizzazione sociale tutta. Ma, cio' posto, e' sul piano della coerenza e della proporzionalita' che il mezzo scelto dal legislatore appare ultroneo e non armonico. Sebbene, infatti, la norma e l'impianto della riforma considerino la semiliberta' sostitutiva una pena meno afflittiva della reclusione e dell'arresto, sulla premessa di una antologica differenza qualitative tra le pene indicate, un approccio piu' realistico non puo' non far considerare che tale premessa e', invero, frutto di una malcelata truffa delle etichette. La semiliberta', infatti, anche nel sistema delle forme di esecuzione penali esterne di cui alla legge n. 354/1975, e' definita un regime detentivo e non una vera e propria misura alternativa alla detenzione; cio' in quanto, materialmente, la semi liberta' si espia in carcere. In questo senso, non basta, a parere dello scrivente, aggiungere il termine sostitutiva per mutare la sostanza della pena in questione che rimane di tipo carcerario. E cio', alla luce delle statuizioni di principio emerse all'interno della giurisprudenza convenzionale sull'art. 7 CEDU (sentenza Del Rio Prada v. Spain) poi accolte dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza 32/2020, non puo' non incidere nella valutazione della congruita' legislativa di scegliere tale misura ai fini della conversione della pena pecuniaria. Invero, la semiliberta' sostitutiva comporta una modifica qualitativa della pena nell'alternativa dentro-fuori dal carcere, che in questo caso accede, peraltro, ad una pena che o strutturalmente (nel caso della pena pecuniaria originaria) ovvero a seguito di valutazione puntuale del giudice (nel caso della pena pecuniaria sostitutiva) non dovrebbe avere carattere inframurario. E' evidente lo spirito che ha animato il legislatore in questo senso: incutere il metus del carcere per ottenere il pagamento spontaneo. Tuttavia, le perplessita' sollevate sul piano assiologico in questa sede risultano rilevanti al punto da far dubitare fondatamente della legittimita' di questa opzione normativa, sotto il profilo della sua proporzionalita' intrinseca e la sua coerenza con gli obiettivi deflattivi della popolazione carceraria fatti propri dalla riforma. Il legislatore, infatti, avrebbe, a parere di questo giudice, dovuto individuare nella detenzione domiciliare sostitutiva la misura principe per le ipotesi di insolvenza. Tale misura, infatti, e' quella che realizza il miglior contemperamento delle esigenze punitive del reato e sanzionatorie dell'omesso pagamento con quelle de liberiate dell'interessato, evitando che una pena che non avrebbe dovuto essere eseguita in carcere ne determini l'incarcerazione. Invero, la detenzione domiciliare sostitutiva e' misura che e' gia' prevista per la sostituzione delle pene detentive entro i quattro anni e che e' portatrice di un apparato prescrittivo idoneo ad essere afflittivo, tanto quanto flessibile e modulabile in base alla gravita' del fatto e dell'insolvenza del condannato. La stessa, dunque, potrebbe fornire una risposta proporzionata all'insolvenza, adeguata anche all'ottenimento dell'adempimento spontaneo, dietro minaccia di conversione della pena in una sanzione comunque restrittiva della liberta' personale. Una tale opzione, dunque, realizzerebbe un piu' ponderato equilibrio tra i beni costituzionali in gioco e le finalita' della riforma, individuando quella misura che, a parita' di tutela delle esigenze di esecuzione penali, realizzi il minimo sacrificio necessario della restrizione della liberta' personale, anche in punto di qualita' della restrizione comminata dall'ordinamento. In questi termini, l'art. 102, legge n. 689/1981, a parere dello scrivente, e' da ritenersi incostituzionale, per violazione dell'art. 3, comma 2 della Costituzione e dell'art. 13 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro i termini «comporta la conversione nella semiliberta' sostitutiva» invece di stabilire che il mancato pagamento «comporta la conversione nella detenzione domiciliare sostitutiva». In via subordinata, anche laddove si volesse ritenere costituzionalmente compatibile la scelta della semiliberta' sostitutiva rispetto ad una condizione di insolvenza, balza all'occhio nel sistema delineato dal legislatore una radicale discrasia tra i meccanismi di conversione previsti per le pene pecuniarie originarie e quelli previsti per le pene pecuniarie sostitutive delle pene detentive brevi. Le due discipline sono del tutto omologhe in caso di insolvibilita' prevedendo tanto l'art. 103, legge n. 689/1981 quanto l'art. 71, comma 3, legge n. 689/1981 la prioritaria conversione della pena pecuniaria non pagata nel lavoro di pubblica utilita' sostitutivo e, solo a fronte di opposizione del condannato, l'applicazione detenzione domiciliare sostitutiva. Viceversa, in caso di insolvenza le norme di riferimento prevedono esiti parzialmente difformi. - L'art. 102, legge n. 689/1981, infatti, stabilisce che in caso di mancato pagamento colpevole la pena pecuniaria si converta nella semiliberta' sostitutiva, prevedendo un'unica modalita' di esecuzione possibile. - L'art. 71, legge n. 689/1981, invece, prevede che al mancato pagamento entro il termine consegua la revoca della pena pecuniaria sostitutiva e - in deroga ai principi generali delle pene sostitutive per cui le stesse in caso di revoca si convertono nella pena originariamente sostituita - consente al Magistrato di Sorveglianza di sostituire la stessa scegliendo alternativamente tra la semiliberta' sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva. Le ragioni che hanno portato a questo disallineamento delle due discipline non sono, invero, chiarissime; sul piano assiologico ed operativo, infatti, posto che non si ravvisano profili di incompatibilita' costituzionale nella conversione della pena pecuniaria in forme di esecuzione carceraria in caso di insolvenza, si ravvisa invero una sostanziale sovrapponibilita' dei presupposti di fatto e di diritto alle base delle due diverse ipotesi. In entrambi i casi, la conversione trova proprio in un medesimo fatto: il mancato pagamento della pena pecuniaria per condotta colpevole del condannato. Circostanza che avrebbe richiesto, e che a parere dello scrivente Magistrato costituzionalmente richiede, quantomeno l'assoggettamento delle due fattispecie alla medesima disciplina, cosi' come previsto nel caso di insolvibilita'. L'attuale assetto normativo, infatti, pare arrecare un patente vulnus al principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma 2 della Costituzione, connotandosi in termini di irragionevolezza per la disparita' di trattamento che l'art. 102, legge n. 689/1981 prevede rispetto al tertium comparationis rappresentato dall'art. 71, legge n. 689/1981; nonche' all'art. 3, comma 2, in relazione all'art. 27, comma 3 della Costituzione per il pregiudizio irragionevole che, a parita' di condizioni, la normativa nel suo complesso e l'art. 102, legge n. 689/1981 arreca al principio di emenda, nella misura in cui non consentite al Magistrato di Sorveglianza una valutazione individualizzata della posizione del condannato, imponendo una sola misura possibile, rispetto a quanto consentito in casi analoghi dall'art. 71, legge n. 689/1981. In questa seconda prospettiva, il canone della ragionevolezza viene in rilievo nella sua veste classica di sindacato comparativo tra due opzioni normative difformi che, pero', hanno ad oggetto situazioni identiche da un punto di vista sostanziale e che, nell'ipotesi sostenuta da questo rimettente, dovrebbero essere percio' assoggettate alla comune disciplina. Per sostenere l'illegittimita' costituzionale, dunque, deve valutarsi, anzitutto, se le due posizioni sostanziali siano effettivamente le medesime; interrogativo al quale si ritiene di dover dare una risposta certamente positiva, richiamandosi, per brevita', a quanto su esposto circa la coincidenza delle situazioni di fatto nelle ipotesi di insolvenza. Sia consentito, pero', avvalorare la tesi della coincidenza della situazione di fatto che si produce all'atto del mancato pagamento della pena pecuniaria originaria o di una pena pecuniaria sostitutiva, evidenziando che e' lo stesso legislatore a prevedere una disciplina sostanzialmente comune, laddove il mancato pagamento derivi da insolvibilita' agli articoli 103, comma 3, legge n. 689/1981 e 71, comma 3 legge n. 689/1981. In questo senso, e' evidente che le due fattispecie possono normativamente soggiacere ad una disciplina comune o comunque analoga. L'elemento discretivo e di divaricazione della disciplina si rinviene solo sul terreno della insolvenza. Occorre, a questo punto, verificare se l'opzione normativa sia sorretta da una ratio adeguata che consenta di valutare in termini di ragionevolezza questa differenziazione. Il testo di legge, in se', non aiuta molto; al fine di comprendere quale sia stato il percorso logico seguito dal legislatore delegato, e poter dunque vagliare la ragionevolezza e coerenza intrinseca della scelta legislativa, appare dunque opportuno riportare quanto indicato nella gia' citata relazione al decreto, laddove si esplicitano i contenuti del secondo comma dell'art. 71, legge n. 689/1981 e dell'art. 102, legge n. 689/1981. Con riferimento all'art. 71 legge n. 689/1981, la Relazione cosi' si esprime: «Il secondo comma disciplina in modo innovativo l'ipotesi del mancato pagamento colpevole, che non dipende cioe' da una situazione di impossibilita' di adempiere all'obbligo, bensi' da un fatto, volontario o colposo, del condannato, che puo' pagare la pena pecuniaria ma non la paga entro il termine indicato nell'ordine di esecuzione del pubblico ministero. La conseguenza del mancato pagamento e' la revoca della pena pecuniaria sostitutiva, analogamente a quanto avviene per le altre pene sostitutive delle pene detentive brevi, in caso di mancata esecuzione (cfr. art. 66, comma 1, legge n. 689/1981). La conversione della pena pecuniaria sostitutiva non eseguita e' disciplinata dall'art. 71, legge n. 689/1981 in deroga alla disciplina generale dell'art. 66, legge n. 689/1981: si prevede, infatti, la conversione in pene sostitutive piu' gravi e in nessun caso nella pena detentiva sostituita. La gravita' delle pene sostitutive da conversione, in particolare, e' graduata a seconda della natura colpevole (secondo comma) o incolpevole (terzo comma) del mancato pagamento. Si e' escluso di prevedere la conversione della pena pecuniaria sostitutiva nella corrispondente pena detentiva sostituita (reclusione o arresto) per ragioni di coerenza con la scelta di fondo, operata in tema di conversione delle pene pecuniarie non eseguite (cfr. articoli 102 e 103, legge n. 689/1981), di non prevedere la conversione della pena pecuniaria nella reclusione o nell'arresto. Una scelta diversa, non percorsa nemmeno dalla legge n. 689/1981, ora riformata, sarebbe possibile (consentita dall'art. 1, comma 17, lett. m), della legge delega) e non irragionevole, posto che, alle spalle della pena pecuniaria sostitutiva, vi e' una pena detentiva alla quale si ritornerebbe. Senonche' si ritiene opportuno far prevalere l'esigenza di scongiurare il pericolo che proprio la pena sostitutiva piu' mite, per eccellenza, possa convertirsi nella reclusione o nell'arresto per periodi di breve durata, pari o inferiori a un anno, comportando un esito contrastante con l'obiettivo generale della lotta alla pena detentiva breve. D'altra parte, la modularita' progressiva delle altre pene sostitutive da conversione, non prive anche di connotazioni detentive, soddisfa adeguatamente le esigenze di prevenzione correlate alla minaccia legale di una pena da conversione, in caso di mancato pagamento della pena pecuniaria sostitutiva. Si individuano infatti, quali pene da conversione per il mancato e colpevole pagamento della pena pecuniaria, la semiliberta' sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva. La revoca della pena pecuniaria sostitutiva colpevolmente non eseguita, pertanto, comporta una nuova sostituzione della pena detentiva sostituita, che il giudice puo' effettuare scegliendo tra semiliberta' o detenzione domiciliare, secondo i criteri ordinari di cui all'art. 58, disposizione espressamente richiamata. Viene esclusa la possibilita' di convertire la pena pecuniaria sostitutiva in lavoro di pubblica utilita': si e' infatti ritenuto opportuno e ragionevole riservare tale possibilita', come si dira' subito, all'ipotesi del mancato pagamento incolpevole. Cio' per garantire una progressione fra le pene da conversione, proporzionata alla colpevolezza del condannato inadempiente all'obbligo di pagamento». Con riferimento all'art. 102, legge n. 689/1981, invece, la Relazione cosi' argomenta: «La conversione in caso di mancato pagamento colpevole, da parte di chi non paga la multa e l'ammenda pur potendolo fare, e' una novita' introdotta dal presente decreto. La legge minaccia la conversione in una pena limitativa della liberta' personale, piu' grave della pena pecuniaria per assicurare l'effettivita' del pagamento della pena pecuniaria stessa. A differenza delle pene detentive, infatti, per essere eseguite le pene pecuniarie richiedono la collaborazione del condannato. Il fallimento del sistema di recupero crediti, che ha tradizionalmente adottato il nostro ordinamento, dimostra come sia opportuno e necessario indurre il condannato al pagamento, onde evitare conseguenze peggiori. Le pene da conversione della pena pecuniaria ineseguita assolvono a una duplice funzione: sanzionano sia il mancato pagamento (se colpevole), sia il reato commesso, sostituendosi alla pena pecuniaria principale, rimasta ineseguita. Alla luce dei principi costituzionali, e nei limiti della legge delega, e' pertanto necessario adeguare la disciplina della conversione tanto alla colpevolezza del condannato, riferita al mancato pagamento, quanto alla gravita' del reato commesso. Sotto il primo profilo, la scelta e' di ribadire, anche per la conversione delle pene pecuniarie principali, come per quelle sostitutive (cfr. art. 71), la distinzione tra le ipotesi di mancato pagamento colpevole e incolpevole (per insolvibilita' del condannato). Le due ipotesi sono disciplinate, rispettivamente, dagli articoli 102 e 103. La pena da conversione piu' grave, la semiliberta', e' prevista in caso di mancato pagamento colpevole. La pena da conversione meno grave, il lavoro di pubblica utilita' (e, in subordine, solo in caso di opposizione al lavoro, la detenzione domiciliare) e' prevista invece per l'ipotesi del mancato pagamento incolpevole (dovuto a insolvibilita', cioe' alle condizioni economiche e patrimoniali del condannato)». Da una lettura dei due passi, puo' cogliersi che l'elemento discretivo tenuto in conto dal legislatore pare esser stato rappresentato dalla volonta' di minacciare conseguenze esemplari in caso di mancato pagamento della pena pecuniaria, che consentano non solo di sanzionare l'insolvenza, ma anche di punire il reato alla base della condanna, la cui sanzione e' rimasta ineseguita. La semiliberta' sostitutiva prevista dall'art. 102, legge n. 689/981, dunque, viene presentata quale misura che realizza entrambi questi scopi, associando alla minaccia di una misura limitativa della liberta' personale anche profili sanzionatori del reato. Viceversa, nel caso della pena pecuniaria sostitutiva, sembra che il legislatore abbia ragionato nei termini di un fenomeno di revoca e aggravamento della pena sostitutiva per mancata esecuzione della misura, con riespansione del potere di sostituzione che, dunque, ritornando al Magistrato di Sorveglianza come potere originario di sostituzione della pena detentiva breve, gli consentirebbe di scegliere la misura piu' adatta applicando l'art. 58, legge n. 689/1981. Tuttavia, nel mancato pagamento per insolvenza colpevole la scelta della pena da applicare in sostituzione e' circoscritta ad una delle due pene sostitutive detentive, riservandosi il lavoro di pubblica utilita' sostitutivo all'ipotesi dell'insolvibilita' incolpevole. Sarebbe, dunque, il gema della misura da convertire ad aver guidato la scelta legislativa nell'uno e nell'altro caso. Alla base di questa differenziazione si potrebbe cogliere l'idea che mentre le pene pecuniarie originarie di solito accedono a reati gravi quale sanzione principale, la pena pecuniaria sostitutiva rappresenterebbe, secondo la prospettiva assunta dal legislatore la piu' mite risposta che l'ordinamento offre ad una sanzione detentiva contenuta entro l'anno e, in ipotesi, cio' evidenzierebbe tale misura come statisticamente applicabile a delitti di minore gravita'. Si tratta, tuttavia, di argomenti che, invero, appaiono non del tutto condivisibili e, anzi, scolorano verso la patente irragionevolezza. Quanto alla tesi per cui la pena pecuniaria originaria sarebbe espressiva di maggiore pericolosita' sociale, giova evidenziare che nel sistema sanzionatorio classico, la pena pecuniaria e' sempre considerata meno afflittiva della pena detentiva. In questo senso, sostenere che le pene pecuniarie sostitutive di pene detentive brevi siano la piu' mite risposta dell'ordinamento alla violazione della legge penale appare, quantomeno, frutto di una lettura semplicistica, se non proprio erronea del sistema complessivo. Invero, non puo' dubitarsi che rispetto ad una pena originariamente detentiva, detenzione o arresto, passibile di conversione in pena pecuniaria, una pena originariamente pecuniaria quale la multa e, a fortiori, l'ammenda, sia sempre da intendersi come sanzione penalmente piu' mite. Cio' in considerazione del fatto che se l'una vede tramutata la propria natura da detentiva a pecuniaria in forza di una valutazione concreta operata dal giudice, la prima e' gia' in astratto selezionata dal legislatore come per la adeguata alla gravita' di quel fatto, nel senso che tipicamente lo stesso non richiede il presidio di sanzioni di tipo coercitivo, sulla base di una valutazione di politica criminale e di tutela dei beni giuridici operata a monte dal legislatore. E' dunque sul piano della tipizzazione normativa, al netto della possibilita' di valorizzare situazioni specifiche e concrete sulla base della giurisprudenza CEDU in tema di matiere penale, che pure ha trovato opportunamente eco nella giurisprudenza costituzionale (ci si riferisce alla sentenza n. 223/2018 della Corte costituzionale), che l'assedia maggiore gravita' della pena pecuniaria originaria rispetto alla pena pecuniaria sostitutiva di pena detentiva risulta un argomento non convincente e non puo' ragionevolmente essere accolto. Men che meno, dunque, sulla base di un tale argomento si potrebbe validamente stabilire una differente disciplina per situazioni del tutto analoghe, prevedendo che a fronte di un medesimo comportamento colpevole del condannato per il mancato pagamento nell'un caso possa darsi luogo solo ad applicazione della semiliberta' sostitutiva, mentre nell'altro sia consentito al giudice di scegliere la misura piu' adeguata tra la semiliberta' sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva. Cio' appare ancor piu' irrazionale laddove si consideri che e' lo stesso legislatore delegato a stabilire, all'art. 57, ultimo comma, legge n. 689/1981 che «la pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva», cosi' indicando che ai fini dell'ordinamento l'originarieta' o meno della natura pecuniaria della sanzione non e' (o quantomeno non dovrebbe essere) elemento rilevante. Ma, anche laddove si volesse accogliere una tale prospettazione, e, dunque, si volesse dare un maggior risalto alle esigenze securitarie nel caso della conversione di una pena originariamente pecuniaria, la scelta di prevedere la sola semiliberta' sostitutiva apparirebbe comunque normativamente sproporzionata; e cio' sia in astratto, sia in concreto alla luce delle altre norme che disciplinano il fenomeno della conversione della pena pecuniaria. Si consideri che l'art. 660, comma 8 c.p.p. stabilisce espressamente che nel procedere alla conversione secondo gli articoli 71, 102 e 103, legge n. 689/1981 si applica in quanto compatibile l'art. 545-bis c.p.p., norma che detta sul piano processuale i criteri di scelta delle pene sostitutive e che richiama, a sua volta, l'art. 58, legge n. 689/1981, dedicato sul piano sostanziale a dettagliare i canoni di giudizio che devono guidare il giudice nella decisione sull'ammissione o meno alle pene sostitutive e nella scelta della pena sostitutiva da applicare in concreto. Da una lettura delle disposizioni di legge richiamate emerge chiaramente che nel decidere l'an della sostituzione della pena e, poi, nel selezionare la specifica misura con cui sostituire la pena detentiva breve, il giudice e' chiamato a operare un giudizio che investe, tra gli altri elementi, la gravita' del fatto, le esigenze di sicurezza sociale, nonche' l'adeguatezza della pena sostitutiva a contemperare questi ultimi con la finalita' di reinserimento sociale del condannato. Il che, dunque, significa che anche all'interno della conversione della pena pecuniaria vi sarebbe gia' spazio per recuperare non gia' in astratto, ma in concreto, ed individualizzando il giudizio, la maggiore o minore gravita' del fatto ai fini della scelta tra la misura piu' grave (semiliberta' sostitutiva) e quella meno coercitiva (detenzione domiciliare sostitutiva); come, peraltro, e' gia' previsto dall'art. 71, legge n. 689/1981. Quanto alla considerazione per cui nel caso della norma da ultimo citata, la conversione della pena pecuniaria sostitutiva viene ad essere vista come una sorta di aggravamento della pena sostitutiva., si tratta anche in questo caso di un argomento non dirimente. Invero, a prescindere se si voglia intendere la conversione in caso di insolvenza colpevole come aggravamento di una pena sostitutiva piu' mite o quale sanzione per il mancato pagamento di una pena pecunia, rimane il fatto che ambedue le norme assumono a presupposto per la propria applicazione il mancato pagamento da parte di chi potrebbe pagare, prevedendo, come la si voglia intendere, un meccanismo sostanzialmente sanzionatorio dell'insolvenza. Che il medesimo presupposto di fatto e di diritto possa condurre a normative divergenti in ragione del genus della pena cui accede (pene che, si ribadisce, lo stesso legislatore parifica per tutti gli altri effetti di legge) appare frutto di una patente incongruenza sul piano sostanziale. Sia poi concesso considerare gli esiti paradossali cui perviene lo schema normativo della cui costituzionalita' si dubita. Una pena originariamente pecuniaria che, in ipotesi, mai avrebbe potuto essere eseguita mediante forme coercitive di tipo detentivo e carcerario, in caso di mancato pagamento importa obbligatoriamente la carcerazione del condannato; come la si voglia vestire, infatti, non basta l'aggettivo sostitutiva a mutare la sostanza della semiliberta'. Questa rimane sostanzialmente una pena qualitativamente carceraria. Viceversa, una pena originariamente detentiva, sia pur contenuta entro l'anno, che ordinariamente avrebbe ben potuto condurre alla carcerazione del condannato, laddove convertita in pena pecuniaria che non venga pagata, puo' comportare o la carcerazione della persona, ma anche l'accesso a forme detentive di tipo domiciliare che non prevedono contatto con l'istituzione carceraria. Ne' basterebbe a rendere ragionevole questo sistema l'argomento, che pur potrebbe cogliersi alla luce dell'analisi supra condotta, per cui la previsione del solo carcere per la pena pecuniaria dovrebbe avere efficacia deterrente rispetto all'inadempimento dell'obbligo di pagare e, dunque, rappresenterebbe un necessario presidio di effettivita' della sanzione pecuniaria. Se si fosse voluto davvero perseguire tale obiettivo, invero, allora si sarebbe dovuto prevedere il medesimo criterio di conversione anche rispetto alla pena pecuniaria sostitutiva. Viceversa, il disallineamento tra le due discipline pare frutto di un non ponderato esercizio della discrezionalita' legislativa, che finisce con il sanzionare piu' gravemente una pena pecuniaria tout court rispetto ad una pena pecuniaria originariamente detentiva. Il che, oltre che discriminatorio, e' del tutto irragionevole, con ingiustificata lesione anche dell'art. 13 della Costituzione. Quanto alla lesione dell'art. 27, comma 3 della Costituzione, in sintesi, non puo' non considerarsi che la rigidita' della norma, nel prevedere la sola pena sostitutiva massima in sede di conversione, frustra il principio di emenda e la tendenziale finalita' rieducativa della pena. Non consentire al Magistrato di Sorveglianza di gradare ed individualizzare il trattamento lato sensu detentivo, precludendo in radice la scelta tra la misura piu' grave e quella meno afflittiva di tipo domiciliare, espone il sistema al rischio di sanzionare troppo. E una pena sproporzionata e', invero, una pena difficilmente percepibile come giusta da chi la subisce, il che impedisce al condannato di compiere quel percorso interiore di accettazione della condanna e della sanzione necessario per l'emenda. Si tratta di concetti ormai acquisiti nella giurisprudenza della Corte costituzionale; si pensi al grande lavorio della Consulta negli ultimi anni in punto di ragionevolezza dei limiti edittali che ha, da ultimo, visto cadere sotto la scure del legislatore negativo l'art. 628, comma 3 c.p. Mutatis mutandis, le statuizioni di principio espresse dalla richiamata giurisprudenza non possono non avere cittadinanza anche nel settore in esame. In fin dei conti, lo si e' ampiamente argomentato supra, rispetto alla conversione della pena pecuniaria per colpevole inadempimento, cio' che giustifica l'applicazione di restrizioni alla liberta' personale e' il rimprovero per il mancato pagamento. La conversione, dunque, e' si' un modo di far espiare in modo diverso una pena non pagata, ma e' altresi' rispetto all'insolvenza (diversamente che per l'insolvibilita') un meccanismo sanzionatorio. Meccanismo che, quantomeno rispetto alle pene pecuniarie, ai sensi dell'art. 102, legge n. 689/1981 e' del tutto rigido, risolvendosi in un automatismo applicativo sproporzionato e, in ultima analisi, potenzialmente ingiusto. Poiche' la medesima condizione e' stata assunta dal legislatore, nel medesimo corpus normativo, ai fini di prevedere una disciplina che consente di modulare la risposta ordinamentale tra un massimo ed un minimo di afflizione della liberta' personale, non si vedono ragioni per non estendere quest'ultima opzione anche nell'art. 102, legge n. 689/1981. A parere di chi scrive, dunque, l'attuale disciplina incorre in un evidente cortocircuito assiologico e logico, che deve essere ricondotto a costituzionalita', dichiarando l'art. 102, legge n. 689/1981 incostituzionale nella parte in cui non prevede dopo le parole «ne comporta la conversione nella semiliberta' sostitutiva» le parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l'art. 58» si' come stabilito nell'art. 71, legge n. 689/1981, nonche', in via conseguenziale, dichiarando incostituzionale l'art. 660, comma 3 c.p.p. nella parte in cui disciplina gli avvisi al condannato, nella parte in cui non prevede dopo le parole «nella semiliberta' sostitutiva» le parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva». Le questioni qui poste sono certamente rilevanti nel caso di specie, posto che G. si trova esattamente nella condizione descritta dall'art. 102, legge n. 689/1981: egli, pur avendo ricevuto gli avvisi da parte della Procura, non ha provveduto al pagamento della pena pecuniaria ne' ha richiesto la rateizzazione della stessa entro i termini previsti dalla nuova disciplina. E', dunque, decaduto dalla possibilita' di consentire a questo Magistrato di procedere alta rateizzazione, che potrebbe ben consentirgli si provvedere al pagamento secondo modalita' meno gravose. Eppure, e' persona che lavora stabilmente da diversi anni e che ha percepito redditi da lavoro dipendente per circa 27.000,00 euro nel 2024, attualmente assunto con busta paga di quasi 2.000,00 euro mensili; con qualche sforzo, dunque, egli ben potrebbe anche pagare in unica soluzione. A fronte di questa condizione, questo giudice sarebbe costretto dalla disciplina attuale a convertire la pena in semiliberta' sostitutiva, determinando la carcerazione del condannato. E, solo una volta incarcerato, ed a semiliberta' in corso, egli potra' far valere l'eventuale richiesta di pagamento rateale. Laddove, invece, vi fosse l'intervento auspicato in via principale questo giudice potrebbe valutare direttamente la concessione della detenzione domiciliare sostitutiva; laddove la Corte accogliesse la subordinata, nel presente procedimento si potrebbe scegliere tra quest'ultima e la semiliberta' sostitutiva. Eventualmente (in termini astratti) anche scegliendo ad esito di un giudizio di merito, per la semiliberta'. Invero, la Corte ha ormai affermato una nozione di rilevanza della questione che prescinde dall'eventuale diretta incidenza sull'esito del giudizio a quo, descritta come rilevanza giudicata. Secondo tale orientamento, ormai maggioritario e condiviso, il requisito di rilevanza sussiste anche qualora la decisione della Corte sia idonea ad incidere nel giudizio a qua anche solo nel senso di imporre al giudice un diverso percorso logico-giuridico-argomentativo, pur rimanendo in ipotesi identico l'esito del giudizio. Circostanze che si verificano, invero, nel caso di specie, posto che la norma impedisce anche solo di esaminare la possibilita' di applicare, in luogo della semiliberta' sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva. E cio' basti quanto alla rilevanza. Le questioni, inoltre, per quanto su esposto appaiono non manifestamente infondate e non emendabili mediante interpretazioni costituzionalmente orientate. Invero, il dato normativo, per come ricostruito sia alla luce della sua dimensione testuale, sia in ragione di una interpretazione teleologica che valorizzi la volonta' legislativa, non lascia margine per un esito diverso da quello di applicare la semi liberta' sostitutiva all'ipotesi dell'insolvenza. Ne' potrebbe tentare di valorizzarsi la possibilita' di accesso alla rateizzazione al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, che cesella minuziosamente i canoni e le tempistiche cui deve attenersi il Magistrato di Sorveglianza nel relativo giudizio. L'interpretazione conforme, infatti, (con la felice immagine di autorevole dottrina) non puo' diventare un letto di Procuste, in cui la norma viene tagliuzzata e rimodulata per farla entrare nell'alveo costituzionale snaturandone le fattezze. A fronte di queste considerazioni, si ritiene di dover interrompere il procedimento e sollevare le questioni di costituzionalita' su esposte, nella loro dimensione gradata di cui si e' detto supra. La declaratoria di incostituzionalita', inoltre, ove accolta, dovrebbe attingere anche l'art. 660, comma 3 c.p.p., nella parte in cui richiama, al fine di darne avviso al condannato, le norme sostanziali in punto di modalita' di conversione della pena pecuniaria. (1) Art. 1, comma 16 della legge delega: «Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale, al codice penale e alla collegala legislazione speciale in materia di pena pecuniaria, al fine di restituire effettivita' alla stessa, sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) razionalizzare e semplificare il procedimento di esecuzione delle pene pecuniarie; b) rivedere, secondo criteri di equita', efficienza ed effettivita', i meccanismi e la procedura di conversione della pena pecuniaria in caso di mancato pagamento per insolvenza o insolvibilita' del condannato; c) prevedere procedure amministrative efficaci, che assicurino l'effettiva riscossione della pena pecuniaria e la sua conversione in caso di mancato pagamento». (2) Cfr. «Decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 recante delega al governo per l'efficienza del processo penale nonche' in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari - Relazione Illustrativa» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 245 del 19 ottobre 2022 - Supplemento straordinario n. 5. (3) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 279/2019 «Gia' nella sentenza n. 108 del 1987, questa Corte aveva invocato un Intervento del legislatore sulla disciplina processuale della conversione, ritenuta inficiala da «difetti che la rendono non pienamente adeguata ai principi costituzionali in materia, e che possono indirettamente frenare un piu' ampio ricorso alla pena pecuniaria, da molti auspicato». Un simile monito deve essere ora ribadito. Il procedimento di esecuzione della pena pecuniaria, del quale i provvedimenti di conversione costituiscono una dei possibili esiti, e' oggi ancor piu' farraginoso di quanto non lo fosse nel 1987, prevedendo l'intervento, in successione, dell'ufficio del giudice dell'esecuzione, dell'agente della riscossione, del pubblico ministero e del magistrato di sorveglianza. A tutti questi soggetti sono demandati plurimi adempimenti piu' o meno complessi, che tuttavia non riescono, allo stato, ad assicurare ne' adeguati tassi di riscossione delle pene pecuniarie, ne' l'effettivita' della conversione delle pene pecuniarie non pagate. Tale situazione, oggetto di diagnosi risalenti in dottrina, fa si' che la pena 268 pecuniaria non riesca a costituire in Italia un'alternativa credibile rispetto alle pene privative della liberta', come accade invece in molti altri ordinamenti». (4) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 15/2020 § 3 «soltanto una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla gravita' del reato quanto alle condizioni economiche del reo, e assieme di assicurarne poi l'effettiva riscossione, puo' costituire una seria alternativa alla pena detentiva, cosi' come di fatto accade in molti altri ordinamenti contemporanei» (5) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 134/2021 § 8 del Considerato in diritto, a chiusura della sentenza. (6) Cosi' testualmente a pag. 271 «Decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 recante delega al governo per l'efficienza del processo penale nonche' in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari - Relazione Illustrativa» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 245 del 19 ottobre 2022 - Supplemento straordinario n. 5. P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva, nei termini indicati, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 102, legge n. 689/1981 per violazione dell'art. 3, comma 2 della Costituzione e dell'art. 13 della Costituzione nella parte in cui prevede che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro i termini «comporta la conversione nella semiliberta' sostitutiva» invece di stabilire che il mancato pagamento «comporta la conversione nella detenzione domiciliare sostitutiva»; nonche', in via conseguenziale, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 660, comma 3 c.p.p. nella parte in cui prevede che «la pena pecuniaria sara' convertita nella semiliberta' sostitutiva» invece delle parole «la pena pecuniaria sara' convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva» invece delle parole «la pena pecuniaria sara' convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva». In via gradata, solleva, nei termini indicati in parte motiva, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 102, legge n. 689/1981 per violazione degli articoli 3, comma 2 della Costituzione, in relazione all'art. 13 ed all'art. 27, comma 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede dopo le parole «ne comporta la conversione nella semiliberta' sostitutiva» le parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l'art. 58.», nonche', in via conseguenziale, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 660, comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede dopo le parole «la pena pecuniaria sara' convertita nella semiliberta' sostitutiva» le parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva». Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone che, a cura della Cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Bologna, il 31 marzo 2025 Il Magistrato di sorveglianza: Romano Ezio