Reg. ord. n. 84 del 2025 pubbl. su G.U. del 21/05/2025 n. 21

Ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna  del 31/03/2025

Tra: A. G.

Oggetto:

Reati e pene – Pene sostitutive – Denunciata norma la quale prevede che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di cui all’art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell’ordine di esecuzione, “comporta la conversione nella semilibertà sostitutiva”, invece di stabilire che il mancato pagamento “comporta la conversione nella detenzione domiciliare sostitutiva” – In via conseguenziale, denunciata previsione la quale dispone che “la pena pecuniaria sarà convertita nella semilibertà sostitutiva”, invece delle parole “la pena pecuniaria sarà convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva” – Assetto normativo contraddittorio e irragionevole nella misura in cui stabilisce una forma sanzionatoria sproporzionata e restrittiva della libertà personale del condannato alla pena pecuniaria – Previsione della semilibertà sostitutiva, quale misura adeguata in sede di conversione della pena pecuniaria, in contrasto con i principi di proporzionalità intrinseca e coerenza – Lesione dei principi di uguaglianza sostanziale e ragionevolezza – Violazione della libertà personale.

Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 102; codice di procedura penale, art. 660, comma 3.

Costituzione, artt. 3, secondo comma e 13.

In via gradata: Reati e pene – Pene sostitutive – Mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di cui all’art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell’ordine di esecuzione – Denunciata norma che non prevede dopo le parole “ne comporta la conversione nella semilibertà sostitutiva” le parole “o nella detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l’art. 58.” – In via conseguenziale, denunciata previsione, la quale non dispone dopo le parole “la pena pecuniaria sarà convertita nella semilibertà sostitutiva”, le parole “o nella detenzione domiciliare sostitutiva” - Disparità di trattamento rispetto al tertium comparationis rappresentato dall’art. 71 della legge n. 689 del 1981 che, in caso di mancato pagamento entro il termine della pena pecuniaria, consente al magistrato di sorveglianza di sostituire la stessa scegliendo tra la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva – Lesione dei principio di ragionevolezza – Pregiudizio irragionevole che tale normativa, a parità di condizioni, arreca al principio di emenda della pena, non consentendo al magistrato di sorveglianza una valutazione individualizzata della posizione del condannato, imponendo una sola misura possibile, rispetto a quanto consentito in casi analoghi dall’art. 71 della legge n. 689 del 1981 – Violazione del principio di uguaglianza sostanziale – Violazione della libertà personale.

Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 102; codice di procedura penale, art. 660, comma 3.

Costituzione, artt. 3, comma secondo, 13 e 27, terzo comma.

Norme impugnate:

legge  del 24/11/1981  Num. 689  Art. 102

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 660  Co. 3



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.

Costituzione  Art. 13   Co.  

Costituzione  Art. 27   Co.




Testo dell'ordinanza

                        N. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 marzo 2025

Ordinanza del 31 marzo 2025 del Tribunale di sorveglianza di  Bologna
nel procedimento di sorveglianza nei confronti di A. G.. 
 
Reati e pene - Pene sostitutive - Denunciata norma la  quale  prevede
  che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine  di
  cui all'art. 660, comma 3, cod. proc. pen. indicato nell'ordine  di
  esecuzione,   "comporta   la   conversione    nella    semiliberta'
  sostitutiva",  invece  di  stabilire  che  il   mancato   pagamento
  "comporta la conversione nella detenzione domiciliare  sostitutiva"
  - In via conseguenziale, denunciata previsione la quale dispone che
  "la   pena   pecuniaria   sara'   convertita   nella   semiliberta'
  sostitutiva",  invece  delle  parole  "la  pena  pecuniaria   sara'
  convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva". 
In via gradata: Reati e pene - Pene sostitutive -  Mancato  pagamento
  della pena pecuniaria entro il termine di cui all'art.  660,  comma
  3, cod. proc. pen. indicato nell'ordine di esecuzione -  Denunciata
  norma che non prevede dopo le parole "ne  comporta  la  conversione
  nella semiliberta'  sostitutiva"  le  parole  "o  nella  detenzione
  domiciliare  sostitutiva.  Si  applica  l'art.  58."   -   In   via
  conseguenziale, denunciata previsione, la quale non dispone dopo le
  parole "la pena  pecuniaria  sara'  convertita  nella  semiliberta'
  sostitutiva",   le   parole   "o   nella   detenzione   domiciliare
  sostitutiva". 
- Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),  art.
  102; Codice di procedura penale, art. 660, comma 3. 


(GU n. 21 del 21-05-2025)

 
                 UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA 
                    Il Magistrato di sorveglianza 
 
    Letti gli atti relativi alla domanda di  conversione  della  pena
pecuniaria ex art. 660 c.p.p. proposta dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Ferrara nei confronti di G. A. nato a...,  ivi
residente in via..., in relazione alla pena  pecuniaria  di  3.000,00
euro di multa di cui alla sentenza n. 564/2023 emessa  dal  Tribunale
di Ferrara il 28 marzo 2023 (irrevocabile il 3 maggio 2023). 
 
                               Osserva 
 
    Con sentenza di applicazione della pena n.  564/2023  emessa  dal
Tribunale di Ferrara il 28 marzo 2023 G. A. e' stato condannato  alla
pena di anni due e giorni venti di  reclusione  e  3.000,00  euro  di
multa per i delitti di cui agli articoli 73,  comma  1,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990, 337 c.p. e 582 c.p. commessi
il... in... 
    La Procura della Repubblica di  Ferrara  con  provvedimento  SIEP
180/2023 del 25 marzo 2024 ha emesso ai sensi del  novello  art.  660
c.p.p. ordine di esecuzione della pena pecuniaria,  ingiungendo  alla
persona il pagamento entro novanta giorni e fornendo  all'interessato
tutti gli avvisi di legge previsti dal comma 3 dell'art. 660  c.p.p.;
in particolare, oltre agli avvertimenti in punto di conversione della
pena  pecuniaria,  rappresentando  al  condannato  la   facolta'   di
richiedere entro venti giorni la rateizzazione della pena pecuniaria. 
    L'ordine di esecuzione era notificato ai difensori  il  28  marzo
2024 ed al G. il 14 aprile 2024. 
    Pertanto, il termine per il pagamento della multa risulta scaduto
il 13 luglio 2024 senza che la persona vi prevedesse. 
    Accertato il  mancato  pagamento  e  l'assenza  di  richieste  di
rateizzazione nel termine di legge, la Procura di Ferrara  ha  dunque
trasmesso a questo Ufficio il 4 settembre 2024 ai sensi dell'art. 660
c.p.p. per procedere alla conversione della pena pecuniaria. 
    Era, pertanto, svolta attivita' istruttoria onde verificare se G.
versasse in  condizioni  di  insolvibilita',  ovvero  di  insolvenza,
demandandosi  accertamenti  ai  Carabinieri   di...   sulle   attuali
condizioni economiche del condannato. 
    In data 23 novembre 2024 giungeva riscontro istruttorio da  parte
dei Carabinieri  di...  (cui  gli  atti  erano  stati  trasmessi  per
competenza) che, pero', risultava carente in  ordine  alla  specifica
indicazione dei  redditi  dell'interessato;  la  nota,  infatti,  pur
indicando  che  G.  svolge  attivita'  lavorativa  presso   l'azienda
metallurgica  M.,  non   forniva   dati   sulla   consistenza   delle
retribuzioni a lui corrisposte.  A  fronte  della  disponibilita'  di
stabile occupazione lavorativa, si riteneva, inoltre, utile  ribadire
al condannato le diverse conseguenze previste  dall'art.  660  c.p.p.
per le ipotesi di insolvibilita' ed insolvenza (invero gia' contenute
nell'ordine di esecuzione della Procura), specificando gli esiti  del
procedimento nell'uno e nell'altro caso. 
    Si dava, dunque, mandato ai Carabinieri di...  di  integrare  gli
adempimenti istruttori. 
    In data 3 marzo 2025 perveniva verbale di dichiarazioni da  parte
del G. in cui la persona affermava di percepire redditi mensili  medi
per circa... euro netti e di essere disponibile  al  pagamento  della
pena pecuniaria, previa adeguata rateizzazione al fine di non gravare
sui propri mezzi di sussistenza. 
    Accertamenti presso la banca dati INPS, inoltre, consentivano  di
verificare che l'interessato nell'anno 2024 ha percepito redditi  per
26.195,00 euro. 
    Da  ultimo,  in  merito  alla  possibilita'  di  svolgere  lavoro
sostitutivo, la persona dichiarava di essere disponibile a svolgerli,
«solo e qualora emergessero elementi di insolvibilita' a suo carico». 
    Cio' posto,  l'attuale  assetto  normativo  imporrebbe  a  questa
Autorita'  Giudiziaria  di  procedere  alla  conversione  della  pena
pecuniaria non pagata in  semiliberta'  sostitutiva,  essendo  emersa
dagli atti che il mancato adempimento dell'ordine di esecuzione della
Procura discende non gia' da una condizione di insolvibilita', bensi'
da insolvenza da parte del G. 
    La persona, infatti, dispone  di  redditi  da  lavoro  dipendente
adeguati e sufficienti al pagamento della  pena  pecuniaria,  sia  in
unica  soluzione,  sebbene  con  un  certo   aggravio,   sia,   senza
particolari problemi, in forma rateizzata. 
    Tuttavia, la normativa, allo stadio attuale del procedimento, non
consente   al   Magistrato   di   Sorveglianza   di   disporre    una
ratealizzazione del pagamento, posto  che  G.  e'  decaduto  da  tale
possibilita', non  avendo  proposto  istanza  in  questo  senso  alla
Procura  di  Ferrara  secondo  le  scansioni   processuali   previste
dall'art. 660 c.p.p. 
    A  questo  punto,  dunque,  non  potrebbe  che   prendersi   atto
dell'insolvenza e provvedere ai sensi degli articoli 660 commi  3,  9
c.p.p. e 102, legge n.  689/1981  alla  conversione  della  pena  non
pagata nella pena della semiliberta' sostitutiva per  giorni  dodici,
secondo il criterio di ragguaglio per cui un giorno  di  semiliberta'
sostitutiva corrisponde a 250,00 euro di pena pecuniaria. 
    Tale esito, tuttavia, appare a questo Magistrato di  Sorveglianza
frutto  di  un  meccanismo  normativo  che,  per  un  verso,  risulta
particolarmente irragionevole nel bilanciamento tra gli interessi  in
gioco (effettivita' della sanzione pecuniaria -  liberta'  personale)
al punto da arrecare un vulnus sproporzionato ai beni  costituzionali
sottesi all'esecuzione penale, cui la materia delle  pene  pecuniarie
evidentemente afferisce nella misura in cui, oltre a punire  mediante
una sanzione che attinge il condannato  nella  sua  sfera  economica,
puo' condurre anche all'applicazione di  restrittive  della  liberta'
personale  o  comunque  limitative  di   diritti   costituzionalmente
tutelati dagli articoli 13, 15, 16, 27, comma 3  della  Costituzione;
per   altro   verso,   invece,   il   suddetto   meccanismo   risulta
intrinsecamente  contraddittorio,  essendo   minato   nella   propria
ragionevolezza da una lampante contraddizione  di  fondo  insita  nel
sistema di conversione risultante dagli articoli  660  c.p.p.,  71  e
102, legge n. 689/1981 tra le pene pecuniarie originarie  e  le  pene
pecuniarie sostitutive,  che  assoggetta  a  difformi  discipline  la
conversione in caso di insolvenza da parte del condannato,  compiendo
una scelta normativa che tratta  in  modo  differente  condizioni  di
fatto e di diritto del  tutto  assimilabili,  come  tale  lesiva  del
principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma 2 della
Costituzione oltre che del  principio  di  emenda  e  della  liberta'
personale del condannato. 
    In questi termini, la norma, si segnala  per  profili  di  dubbia
costituzionalita', che si ritengono non emendabili in via ermeneutica
e che, anche ai fini di una  applicazione  uniforme,  possono  essere
superati  esclusivamente   mediante   un   intervento   della   Corte
costituzionale. 
    L'esame delle questioni richiede una  previa  ricognizione  della
riforma che ha interessato il sistema delle pene  pecuniarie  con  la
riformulazione dell'art. 660 c.p.p., nonche'  dell'assetto  normativa
previgente,  al  fine  die  cogliere  la  portata   delle   modifiche
introdotte  e  ricostruire  in  chiave  sistematica  i  concetti   di
insolvibilita' insolvenza. 
    Con decreto legislativo n. 150/2022 (cosiddetta Riforma Cartabia)
il Governo in attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134 avente
ad oggetto «Delega al Governo per l'efficienza  del  processo  penale
nonche' in materia di giustizia  riparativa  e  disposizioni  per  la
celere definizione dei procedimenti giudiziari»  (Gazzetta  Ufficiale
n.  237  del  4  ottobre  2021),  ha,  tra  gli  altri  significativi
interventi,  ridisegnato  i  contorni  dell'esecuzione   delle   pene
pecuniarie. 
    La  direttrice  fondamentale   che   ha   ispirato   l'intervento
riformatore e' ben delineata dalla legge di delega all'art. 1,  comma
16, (1) ove si  esplicita  il  telos  di  garantire  effettivita'  al
sistema sanzionatorio nel suo complesso, razionalizzando la  materia,
introducendo procedure rapide  nell'esazione  di  quanto  dovuto  dal
condannato allo Stato e ripensando il sistema di conversione  secondo
principi di equita', efficienza ed effettivita' assicurando  certezza
della pena pecuniaria. 
    Invero, i dati circa l'esecuzione concreta delle pene pecuniarie,
riportati negli atti preparatori e nella  Relazione  Illustrativa  al
decreto legislativo,  (2)  apparivano  scantonanti,  evidenziando  la
diffusa ineffettivita' del sistema sanzionatorio pecuniario non  solo
nei confronti del  condannato  che  non  fosse  nelle  condizioni  di
provvedere al pagamento della pena pecuniaria, ma anche di coloro che
pur   avrebbero   potuto   essere   solvibile.   Costoro,    infatti,
semplicemente omettendo il pagamento potevano  accedere  a  forme  di
rateizzazione ovvero di conversione della sanzione ai sensi dell'art.
660 c.p.p. andando incontro a conseguenze giudicate  dal  legislatore
delegato particolarmente blande e dal minimo valore coercitivo. 
    A cio' si aggiunga che nel sistema previgente la pena  pecuniaria
era considerata un mero credito dello Stato verso il  condannato,  la
cui riscossione avveniva in via prioritaria mediante ruolo. 
    Tale circostanza che aveva condotto dapprima all'attribuzione  di
competenze per il recupero delle somme dovute  agli  Uffici  Recupero
Crediti degli Uffici giudiziari e, da ultimo,  con  legge  18  giugno
2009, n. 69, cui si deve l'introduzione  dell'art.  227-ter,  decreto
del Presidente della Repubblica n. 115/2002, a  mente  del  quale  la
riscossione mediante ruolo era attivata senza che  fosse  previamente
notificato dall'U.R.C. l'invito  al  pagamento,  devolvendo  l'intera
materia agli agenti  incaricati  della  riscossione,  con  lungaggini
procedurali che il piu'  delle  volte  esitavano  nella  prescrizione
della pena ai sensi degli articoli 172 e 173 c.p. 
    Solo a fronte dell'esito  negativo  di  tale  procedura,  dunque,
l'U.R.C. trasmetteva gli atti  alla  Procura  segnalando  la  mancata
riscossione della pena pecuniaria; l'autorita' requirente,  a  questo
punto, trasmetteva gli atti al  Magistrato  di  Sorveglianza  per  la
conversione ex art. 660 c.p.p. 
    Questi, da ultimo,  era  tenuto  a  svolgere  accertamenti  sulle
condizioni economiche dell'interessato, spesso a distanza di anni dai
fatti e dalla notifica delta cartella  di  pagamento,  incorrendo  in
difficolta'  nel  reperire  il  condannato  e  potendo  disporre   la
conversione  solo  previo  accertamento  della   insolvibilita'   del
condannato; nelle ipotesi di insolvenza, infatti,  il  Magistrato  di
Sorveglianza avrebbe dovuto ritrasmettere gli atti  alla  Procura  ed
alle autorita' competenti per la riscossione coattiva del credito. 
    Attivita' che,  statisticamente,  si  traduceva  in  un  continuo
inseguire senza esito chi si sottraeva al pagamento. 
    Porre  rimedio  a  questa  aporia  esecutiva,  nella  prospettiva
assunta  dal  legislatore,  era  dunque  necessario  non   solo   per
restituire   credibilita'   al   sistema   delle   pene    pecuniarie
atomisticamente considerato, ma anche, in una visione di sistema,  al
fine di perseguire l'erosione del carcero-centrismo che  caratterizza
il sistema sanzionatorio italiano, anche in ottica  deflattiva  della
popolazione carceraria. 
    Nei paesi in cui la pena pecuniaria viene percepita dai cittadini
come una forma di afflizione efficace ed effettiva,  infatti,  questa
puo'   rappresentare   anche   per   il   legislatore,   in    chiave
general-preventiva, una valida alternativa alla  pena  carceraria  in
quanto bastevole ad offrire tutela ai beni giuridici  protetti  dalle
norme penali. Considerazioni analoghe, invero, erano  state  espresse
anche dalla giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  in  diverse
sentenze: nella sentenza,  n.  279/2019  (3)  (seppur  in  un  obiter
dictum;   il   tema   centrale   della   sentenza    atteneva    alla
conoscenza/conoscibilita' della cartella  di  pagamento  nel  sistema
ante Cartabia in caso di notifica  mediante  irreperibilita');  nella
sentenza  n.  15/2020  (4)  (anche  qui,  come  notazione-monito   di
carattere generale avulsa  dal  tema  decidendum);  da  ultimo  nella
sentenza n. 28/2022, con un espresso riferimento alla legge delega n.
134/2021: «resta ferma, piu' in generale, la stringente  opportunita'
- piu' volte segnalata da questa Corte che il legislatore intervenga,
nell'attuazione  della  delega  stessa  ovvero  mediante   interventi
normativi ad hoc, a restituire  effettivita'  alla  pena  pecuniaria,
anche attraverso una revisione degli attuali meccanismi di esecuzione
forzata  e  di  conversione  in  pene   limitative   della   liberta'
personale». (5) 
    Per  perseguire  questi  obiettivi  il  legislatore  delegato  ha
ripensato  alla  radice  il   sistema,   ispirandosi   all'esperienza
comparata di altri paesi  europei,  come  viene  ben  espresso  nella
Relazione al decreto laddove si sottolinea che la  conversione  della
pena pecuniaria non eseguita in una pena  limitativa  della  liberta'
personale, negli ordinamenti in cui  e'  prevista,  non  e'  sorretta
dall'idea di una rinuncia alla riscossione di un credito dello Stato,
bensi' costruita sulla massima di esperienza per cui la  minaccia  di
sanzioni piu' gravi in caso di mancato pagamento  puo'  rappresentare
un'efficace controspinta alla decisione di  sottrarsi  al  pagamento:
«Non e' lo Stato a inseguire il creditore; e' il  condannalo,  autore
di un reato, che e' tenuto  al  pagamento  della  pena  irrogata  dal
giudice, onde non andare incontro a conseguenze piu' gravi». (6) 
    Cio' e' avvenuto anzitutto mediante l'assegnazione  alle  Procure
di  una  competenza  funzionale   nella   subjecta   materia,   prima
appannaggio degli Uffici Recupero Crediti  e  dei  concessionari  dei
servizi di riscossione (Equitalia - Agenzia delle Entrate), che  vede
gli organi requirenti promotori di un procedimento che inizia con  un
vero e proprio ordine di esecuzione anche per le pene pecuniarie. 
    Ma la vera innovazione e' rappresentata, sul  piano  concettuale,
da un radicale ripensamento del meccanismo di conversione che risulta
imperniato sulle distinte nozioni di insolvibilita' ed insolvenza. 
    Si tratta di concetti che  non  erano  estranei  alla  previgente
formulazione della norma, sebbene  la  disciplina  previgente  fosse,
meno rigida nel sanzionare l'insolvenza e nel fissare il  momento  in
cui dovesse essere compiuta la relativa valutazione. 
    - L'art. 660 c.p.p. nella sua  previgente  formulazione,  infatti
stabiliva ai commi 2 e 3: 
      «2. Quando e' accertata la  impossibilita'  di  esazione  della
pena pecuniaria  o  di  una  rata  di  essa,  il  pubblico  ministero
trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza  competente  per  la
conversione, il quale  provvede  previo  accertamento  dell'effettiva
insolvibilita' del condannato e, se ne  e'  il  caso,  della  persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria.  Se  la  pena  e'  stata
rateizzata, e' convertita la parte non ancora pagata. 
      3. In presenza di situazioni di insolvenza,  il  magistrato  di
sorveglianza puo'  disporre  la  rateizzazione  della  pena  a  norma
dell'art. 133-ter del codice penale, se essa non  e'  stata  disposta
con la sentenza di condanna ovvero puo' differire la conversione  per
un tempo non superiore a sei mesi. Alla scadenza del termine fissato,
se lo stato di insolvenza perdura, e' disposto un nuovo differimento,
altrimenti e' ordinata la conversione. Ai fini della estinzione della
pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il
quale l'esecuzione e' stola differita.». 
    - L'art.  102,  legge  n.  689/1981,  invece,  prevedeva  che  si
procedesse a conversione  solo  laddove  le  pene  pecuniari  fossero
rimaste ineseguite per insolvibilita'  del  condannato,  senza  nulla
disciplinare in caso di insolvenza colpevole. 
    Nel sistema previgente,  dunque,  la  Procura  procedeva  ad  una
richiesta di conversione a fronte  di  una  accertata  impossibilita'
dell'esazione,  ii  che  avveniva  sostanzialmente  su   segnalazione
dell'Ufficio Recupero Crediti in cui si dava  conto  dell'infruttuoso
esperimento delle procedure esattive mediante ruolo. 
    Gli atti erano  trasmessi  al  Magistrato  di  Sorveglianza  che,
previo  accertamento  delle  condizioni  economiche  del  condannato,
procedeva agli adempimenti successivi. Laddove avesse riscontrato una
condizione di insolvibilita', avrebbe dovuto procedere a  conversione
della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 102, legge n. 689/1981. 
    In  condizioni  di   insolvenza,   viceversa,   oltre   a   poter
ritrasmettere gli atti per l'avvio  delle  procedure  di  riscossione
coattiva, si aprivano ulteriori due alternative: la  possibilita'  di
rateizzare il pagamento, laddove la  rateizzazione  non  fosse  stata
disposta dal giudice; la possibilita' di differire il  pagamento  per
un  periodo  di  sei  mesi,  eventualmente  reiterabile  in  caso  di
permanenza dello stato di insolvenza. 
    In questo sistema, dunque, non vi era una specifica sanzione  per
l'insolvenza, ma anzi, colui che non avesse provveduto  al  pagamento
pur potendo farlo  avrebbe  avuto  dinnanzi  a  se'  la  facolta'  di
accedere alla rateizzazione  dello  stesso,  ovvero  al  differimento
della conversione, consentendo al condannato di far valere le proprie
condizioni economiche sub  specie  della  difficolta'  di  provvedere
illic et immediate a saldare quanto dovuto innanzi al  Magistrato  di
Sorveglianza. 
    Le nuove norme, invece, sono molto puntuali dal  punto  di  vista
lessicale, utilizzando insolvenza per indicare il  mancato  pagamento
colpevole  e  insolvibilita'  per  indicare  il   mancato   pagamento
incolpevole,  descrivendo  due  fattispecie  che  il   sistema   oggi
considera strettamente alternative ed a cui associa esiti diversi  in
sede di conversione. 
    Cio' emerge chiaramente da una analisi  complessiva  del  tessuto
normativa. 
    - L'art. 660 c.p.p.  prevede  al  comma  terzo  che  l'ordine  di
esecuzione della Procura contenga «l'avviso che, in mancanza, la pena
pecuniaria sara' convertita nella semiliberta' sostitutiva o, in caso
di  accertata  insolvibilita',  nel  lavoro  di   pubblica   utilita'
sostitutivo o nella  detenzione  domiciliare  sostitutiva,  ai  sensi
degli articoli 102 e 103  della  legge  24  novembre  1981,  n.  689,
ovvero, quando deve essere eseguita una pena pecuniaria  sostitutiva,
nella  semiliberta'  sostitutiva  o  nella   detenzione   domiciliare
sostitutiva, ovvero, in caso di accertata insolvibilita', nel  lavoro
di pubblica  utilita'  sostitutivo  o  nella  detenzione  domiciliare
sostitutiva, ai sensi dell'art. 71 della legge 24 novembre  1981,  n.
689. L'ordine di esecuzione contiene, inoltre, l'avviso al condannato
che, quando non e' gia' stato disposto nella sentenza o  nel  decreto
di condanna, entro venti giorni, puo' depositare presso la segreteria
del pubblico  ministero  istanza  di  pagamento  rateale  della  pena
pecuniaria, ai sensi dell'art. 133-ter del codice penale». 
    I commi da sette a dieci, invece, stabiliscono che: 
      «7. Quando accerta il mancato pagamento della pena  pecuniaria,
ovvero  di  una  rata  della  stessa,  entro  il   termine   indicato
nell'ordine di esecuzione, il pubblico ministero trasmette  gli  atti
al magistrato di sorveglianza competente per la conversione ai  sensi
degli articoli 102 e 103  della  legge  24  novembre  1981,  n.  689,
ovvero, quando si tratta di pena  pecuniaria  sostitutiva,  ai  sensi
dell'art. 71 della medesima legge n. 689 del 1981. In ogni  caso,  se
il pagamento della pena pecuniaria e' stato disposto in rate mensili,
e' convertita la parte non ancora pagata. 
      8. Il procedimento per la conversione  della  pena  pecuniaria,
anche sostitutiva, e' disciplinato dall'art. 667,  comma  4.  Per  la
conversione della pena pecuniaria, ai sensi degli articoli 71, 102  e
103 della legge 24 novembre  1981,  n.  689,  si  applica  in  quanto
compatibile, l'art. 545-bis, comma 2. 
      9. Il magistrato  di  sorveglianza  provvede  alla  conversione
della  pena  pecuniaria  con  ordinanza,  previo  accertamento  della
condizione di insolvenza ovvero di insolvibilita' del  condannato.  A
tal fine dispone le opportune indagini  nel  luogo  del  domicilio  o
della residenza, ovvero  dove  si  ha  ragione  di  ritenere  che  il
condannato  possieda  beni  o  cespiti  di  reddito  e  richiede,  se
necessario,  informazioni  agli  organi  finanziari  o   di   polizia
giudiziaria. 
      10. Quando il mancato pagamento della pena pecuniaria e' dovuto
a insolvibilita',  il  condannato  puo'  chiedere  al  magistrato  di
sorveglianza il differimento  della  conversione  per  un  tempo  non
superiore a sei mesi, rinnovabile per una sola volta se lo  stato  di
insolvibilita'  perdura.  Ai  fini  della   estinzione   della   pena
pecuniaria per decorso del tempo, non  si  tiene  conto  del  periodo
durante il quale la conversione e' stata differita.» 
    - L'art. 660 espressamente indica  che  la  pena  non  pagata  si
converte in una pena sostitutiva, secondo le modalita' di conversione
stabilite agli articoli 102 e 103, legge  n.  689/1981  per  le  pene
pecuniarie e all'art. 71 legge n. 689/1981  per  le  pene  pecuniarie
sostitutive di pene detentive brevi. 
    Ai sensi dell'art. 102, legge n. 689/1981, rubricato «Conversione
delle pene pecuniarie principali per mancato pagamento»,  laddove  la
persona non provveda al pagamento  della  pena  pecuniaria  entro  il
termine indicato nell'ordine di esecuzione, la  pena  pecuniaria  non
pagata si converte in semiliberta' sostitutiva per la durata  massima
di quattro anni, se la pena convertita e' quella della multa,  o  due
anni, se la pena convertita e' quella dell'ammenda. 
    Laddove la sentenza  abbia  disposto  il  pagamento  rateale,  la
condanna ha luogo per la sola parte residua. 
    Da ultimo, si prevede che  dopo  l'inizio  dell'esecuzione  della
pena convertita il condannato puo' in qualsiasi momento  far  cessare
la semiliberta', pagando la pena residua  e,  in  questo  caso,  puo'
essere ammesso nuovamente al pagamento rateale ex art. 133-ter c.p. 
    Sebbene  la  norma  non  lo  specifichi,  e'  chiaro  che  questa
disciplina trova applicazione nel caso in cui  il  mancato  pagamento
della pena pecuniaria non sia imputabile ad  insolvibilita',  ipotesi
disciplinata all'articolo  successivo,  ma  venga  in  considerazione
tutte le volte in cui la persona sia nelle condizioni  economiche  di
sostenere il pagamento e non vi provveda; si versa,  dunque,  in  una
ipotesi     di     insolvenza,     quale     mancato      adempimento
dell'obbligazione/ordine di pagamento emesso dalla Procura  entro  il
termine ivi indicato. 
    Trattandosi  di  inadempimento  colpevole,  la   conversione   si
realizza con la pena sostitutiva massima, vale a dire la semiliberta'
sostitutiva da  eseguirsi  in  carcere,  secondo  i  criteri  di  cui
all'art. 135 c.p. (250,00 euro per giorno di pena detentiva)  per  un
massimo di quattro anni, se la pena e' quella della multa, ovvero due
anni, se la pena e' quella dell'ammenda. 
    E' evidente la ratio che ha ispirato la scelta di prevedere,  per
l'insolvenza, non gia'  con  una  semplice  misura  limitativa  della
liberta' personale, ma una pena sostitutiva restrittiva che  realizza
una  forma   di   espiazione   propriamente   di   tipo   carcerario:
rappresentare    (o    forse    rectius    minacciare)    conseguenze
particolarmente  gravose  quali  la  detenzione   inframuraria   come
sanzione per il mancato pagamento da parte di chi pur potendo  pagare
non vi provveda, ottenendo auspicabilmente l'adempimento spontaneo da
parte del condannato. Si tratta di una scelta chiara e che  segue  le
limpide linee guida espresse nella Relazione gia' citata. 
    - L'art. 103, legge n. 689/1981, rubricato espressamente  Mancato
pagamento della pena pecuniaria per  insolvibilita'  del  condannato,
invece,  trova  applicazione  «Quando  le  condizioni  economiche   e
patrimoniali  del  condannato  al  momento  dell'esecuzione   rendono
impossibile il pagamento della multa o dell'ammenda entro il  termine
di  cui  all'art.  660  del  codice  di  procedura  penale   indicato
nell'ordine di esecuzione [...]», condizioni al ricorrere delle quali
si realizza la diversa fattispecie della insolvibilita':  la  persona
condannata versa in condizioni economiche che le rendono  impossibile
il  pagamento,  ma  trattasi  di  un  inadempimento  incolpevole  (ad
impossibilia nemo tenetur). 
    L'assenza di un rimprovero anche solo a titolo di  colpa  per  il
mancato adempimento spontaneo giustifica la scelta di  un  meccanismo
di conversione meno gravoso di quello previsto per  l'insolvenza  che
tuteli maggiormente ed in prima battuta  la  liberta'  personale  del
condannato. 
    Poiche' la persona non paga perche' non  puo',  laddove  la  pena
pecuniaria desse luogo  all'esecuzione  di  una  pena  con  carattere
detentivo, si finirebbe col reintrodurre meccanismi analoghi a quelli
previsti dal sistema vigente sotto il Codice Zanardelli ed il  Regime
Fascista, che, non valorizzando l'insolvibilita' del  condannato,  si
risolvevano in un sanzionare la poverta'; meccanismi che, invero, non
potrebbero avere cittadinanza  nell'ordinamento  Repubblicano,  anche
perche' espunti proprio ad opera della Corte costituzionale. 
    Dunque, la pena pecuniaria  non  pagata  si  converte,  ai  sensi
dell'art. 103, legge n. 689/1981 in  via  principale  nel  lavoro  di
pubblica utilita' sostitutivo ex art. 56-bis, legge  n.  689/1981  e,
solo  in  caso  di  opposizione  del  condannato,  nella   detenzione
domiciliare sostitutiva di cui all'art. 56, legge n. 689/1981. 
    La gradazione delle due misure riflette un modello bifasico,  che
merita  di   essere   vagliato   nella   sua   costruzione,   perche'
assiologicamente molto coerente con il discorso sin  qui  condotto  e
utile per le valutazioni  che  si  svolgeranno  nel  prosieguo  della
presente ordinanza. 
    Nel disporre la conversione  della  pena  pecuniaria  non  pagata
nella  misura  del  lavoro  di  pubblica  utilita'  sostitutivo,   il
legislatore utilizza la formula «si converte  in».  La  locuzione  e'
parzialmente difforme da quella utilizzata negli articoli 54 e 55 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 274/2000, corpus normativo
da cui la misura e' stata in massima parte mutuata. In  quella  sede,
infatti,  si  e'  previsto  che  il  lavoro  di   pubblica   utilita'
sostitutivo sia come sanzione principale, sia  quale  conversione  di
sanzione  pecuniaria  non  pagata,  possa  essere  disposto  solo  su
richiesta dell'interessato. La richiesta del condannato e',  infatti,
una condizione necessaria, poiche' l'imposizione di  una  prestazione
lavorativa coattiva potrebbe porsi in termini contrari  all'art.  117
della  Costituzione  rispetto  all'art.  4  CEDU,  laddove  la  norma
convenzionale vieta il lavoro forzato. 
    Nella  norma  in  esame,  invece,  pur   essendovi   spazio   per
l'acquisizione di una forma  di  consenso  da  parte  del  condannato
mediante l'opposizione, l'utilizzo del verbo all'indicativo  presente
«si converte» esprime un chiaro indirizzo di preferenza  legislativa:
questa si appunta sul lavoro di pubblica utilita' come prima  opzione
ordinamentale in quanto misura piu' lieve  e  priva  di  connotazioni
restrittive. 
    Il lavoro di pubblica utilita', infatti, non attinge la  liberta'
personale del condannato (art. 13 della Costituzione) ma  impone,  al
piu' una serie di limiti  ad  altri  diritti  pur  costituzionalmente
tutelati tra cui, in principalita', il diritto al lavoro  sub  specie
della liberta' nell'esercizio del diritto al lavoro  (art.  35  della
Costituzione),  che  viene  in  parte  limitata  sia   sull'an   (con
coinvolgimento anche  dell'art.  23  della  Costituzione)  che  nella
scelta  del  destinatario  della  prestazione   lavorativa   (dovendo
rivolgersi  verso  la  collettivita'  e  tramite  gli  enti  a   cio'
abilitati); sono  poi  attinti  da  limitazioni  in  via  secondaria,
mediante  il  richiamo  alte  prescrizioni  comuni  alle  altre  pene
sostitutive, il diritto di comunicazione (art. 15 della Costituzione;
nel vietare contatti e comunicazioni con determinati soggetti) ed  il
diritto  di   circolazione   (art.   16   della   Costituzione;   nel
circoscrivere la liberta' territoriale degli spostamenti e nel ritiro
del passaporto). 
    Dunque, la pena sostitutiva in esame si caratterizza come  misura
limitativa e priva di connotati coercitivi della liberta'  personale,
cosi' risultando quella piu' proporzionata a contemperare  i  diritti
in gioco: a fronte di una condizione di impossibilita' del condannato
di provvedere al pagamento  la  legge  individua  la  prima  risposta
ordinamentale idonea  e  proporzionata  a  consentire  comunque  alla
sanzione di spiegare un effetto afflittivo-rieducativo, in quella che
impone limiti che  non  restringono  la  liberta'  personale  di  chi
incolpevolmente non puo' adempiere alla sentenza di condanna. 
    Si tratta di scelta condivisibile e del  tutto  coerente  con  le
indicazioni offerte dalla legge delega, laddove  aveva  rimarcato  al
legislatore  delegato  la  necessita'  di  tenere  in   conto   nella
riorganizzazione della materia anche le esigenze di equita'. 
    Tuttavia, a fronte di una scelta dell'ordinamento che  imporrebbe
la conversione nella misura leviore, il rilievo di principi  di  pari
caratura    costituzionale    e    convenzionale    che    presidiano
l'incoercibilita' delle prestazioni lavorative, e'  alla  base  della
possibilita' che  la  norma  attribuisce  al  condannato  di  opporsi
all'esecuzione della misura  preferita  dalla  legge,  esprimendo  il
proprio dissenso ed accedendo cosi'  alla  piu'  grave  misura  della
detenzione domiciliare sostitutiva ex art. 56, legge n. 689/1981, dai
connotati piu'  marcatamente  restrittivi  della  liberta'  personale
(prevedendo obblighi di permanenza al domicilio  che  realizzano  una
forma  di  cattivita',  rilevante  ai  sensi   dell'art.   13   della
Costituzione). 
    Cio' che giustifica, in questo meccanismo, l'imposizione  di  una
misura restrittiva della liberta' personale in luogo di una meramente
limitativa non e', pero', la meta insolvibilita', bensi' la congiunta
ricorrenza  di  insolvibilita'  e  opposizione  al  lavoro,  in   cui
l'elemento discretivo e' dato dalla volonta' del condannato. 
    Solo il concorso della volonta' del condannato, dunque,  consente
l'inflizione di una misura restrittiva della  liberta'  personale  in
luogo di quella limitativa, secondo una  gradazione  degli  interessi
che attribuisce al condannato la disponibilita'  dei  propri  diritti
comprendente il potere di auto  imporsi  forme  di  coercizione  piu'
elevate di quelle ordinariamente volute dalla legge. 
    In altre parole: il volontario rifiuto della  misura  piu'  lieve
con accettazione della misura piu' grave  rende  compatibile  con  il
sistema quel che non  lo  sarebbe  in  prima  battuta,  vale  a  dire
l'applicazione di misura restrittiva in condizioni di insolvibilita'. 
    La norma reitera, poi, quanto previsto dall'art.  102,  legge  n.
689/1981 in punto di eventuale rateizzazione originaria e  cessazione
della misura, con possibilita' di accesso alla rateizzazione in corso
di esecuzione, stabilendo che laddove sia stato disposto il pagamento
rateale, la condanna ha luogo per la sola parte residua  e  che  dopo
l'inizio dell'esecuzione della pena convertita il condannato puo'  in
qualsiasi momento farne cessare l'esecuzione semiliberta', pagando la
pena residua eventualmente con pagamento rateale ex art. 133-ter c.p. 
    Se questa e' la disciplina prevista per la conversione delle pene
originariamente pecuniarie, la riforma ha poi previsto meccanismi  di
conversione parzialmente  divergenti  nel  caso  in  cui  il  mancato
pagamento riguardi non gia' una  pena  pecuniaria,  ma  una  sanzione
sostitutiva pecuniaria derivante da conversione di pena detentiva. La
disciplina e' gia'  richiamata  sinteticamente  nell'art.  660  e.  3
c.p.p. su citato, ma e' piu'  specificatamente  dettagliata  all'art.
71, legge n. 689/1981. 
    La norma, infatti,  stabilisce  al  comma  primo  che  alle  pene
pecuniarie sostitutive  di  pena  detentiva  si  applica  l'art.  660
c.p.p., in ossequio al principio generale di cui all'art.  57,  legge
n. 689/1981 che vede la pena  pecuniaria  sostitutiva  parificata  ad
ogni effetto di  legge  alla  pena  pecuniaria  originaria  (La  pena
pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva  della
pena detentiva). 
    Il comma  secondo,  invece,  prevede  che  nel  caso  di  mancato
pagamento alla scadenza della pena pecuniaria sostitutiva, la  stessa
e' revocata e convertita in  semiliberta'  sostitutiva  o  detenzione
domiciliare sostitutiva. Se e' stato disposto il  pagamento  rateale,
la revoca e la conversione operano a partire dal mancato pagamento di
una rata e solo limitatamente alla pena pecuniaria residua. 
    Il  comma  terzo,  invece,  prevede  che  laddove  le  condizioni
economiche  del  condannato  al   momento   dell'esecuzione   rendano
impossibile il pagamento entro la scadenza  indicata  nell'ordine  di
esecuzione della procura, la pena pecuniaria sostitutiva e'  revocata
e si converte nel lavoro di pubblica utilita' sostitutivo solo ove la
persona non vi si opponga, venendo viceversa convertita in detenzione
domiciliare sostitutiva. 
    La  norma,  da  ultimo,  richiama  l'ultimo  periodo  del   comma
precedente in punto di rateizzazione. 
    Dalla  disamina  condotta  sulla   normativa   complessiva   puo'
cogliersi la linea di demarcazione tracciata dal legislatore  per  le
diverse ipotesi di insolvenza e insolvibilita', distinguendo, dunque,
tra mancato pagamento colpevole e mancato pagamento incolpevole. 
    Il  nuovo  sistema,  come   visto,   nell'ottica   di   garantire
effettivita' ed efficacia deterrente rispetto al  mancato  pagamento,
e' ben piu' rigido non solo nel sanzionare il condannato inadempiente
con la conversione, ma anche nel fissare precise scansioni  temporali
in  cui  viene  in   rilievo   il   giudizio   sulla   insolvenza   o
insolvibilita',  ancorate  al  termine  di  pagamento  fissato  dalla
Procura, nonche' nel restringere le ipotesi in cui e' consentito dare
spazio alla  valutazione/rivalutazione  delle  condizioni  economiche
dell'interessato per l'accesso agii istituti del differimento e della
rateizzazione rispetto alle diverse condizioni  di  insolvibilita'  o
insolvenza. 
    Anzitutto, con l'emissione dell'ordine  di  esecuzione  da  parte
della  Procura  si  fissano  le  scansioni  temporali  per   valutare
insolvenza ed insolvibilita'; mentre prima, infatti, il giudizio  era
operato dal Magistrato di Sorveglianza senza un termine specifico  e,
dunque,  il  piu'  delle  volte  fa  ricorrenza  di   condizioni   di
insolvibilita' o insolvenza era attualizzata  al  momento  della  sua
valutazione da parte del Magistrato - che poteva intervenire anche  a
rilevante distanza temporale da quello in cui gli  atti  erano  stati
trasmessi   dalla   Procura,   con   conseguente   possibilita'    di
significative modifiche medio tempore -  tutta  la  nuova  disciplina
ancora la valutazione sulla ricorrenza della condizione di insolvenza
o  insolvibilita'  al  momento  della  scadenza   del   termine   per
l'adempimento spontaneo. 
    Si consideri, infatti, che gli articoli 102, 103 e 71,  legge  n.
689/1981 recano tutti la medesima formulazione: «il mancato pagamento
entro il termine indicato  nell'ordine  di  esecuzione»  comporta  la
conversione, salvo che  emerga  che  «le  condizioni  economiche  del
condannato  al  momento  dell'esecuzione   rendano   impossibile   il
pagamento entro il termine indicato nell'ordine di esecuzione». 
    E' evidente la ratio della limitazione normativa, tesa a dare  un
parametro   temporale   certo   entro   cui   valutare   le   ragioni
dell'inadempimento ed offrire, dunque, uno snodo procedurale  stabile
per determinare quali conseguenze derivino dal mancato  pagamento  in
ragione della colpevolezza o meno dello stesso; concetto ben espresso
dalla   Relazione   citata   laddove   si    legge    «L'accertamento
dell'insolvibilita'  del  condannato  riveste  un  ruolo  ancor  piu'
centrale nel riformato sistema di conversione della pena  pecuniaria,
dipendendo da esso applicazione della disciplina piu' severa  di  cui
all'art. 102, ovvero di quella piu' mite di cui all'art. 103»  (pagg.
275-276). 
    Secondo profilo di particolare interesse attiene  al  tema  della
possibilita' di accesso alla rateizzazione del pagamento. 
    Puo' ben accadere che la persona, pur non versando in  condizioni
di assoluta impossibilita' di  provvedere  al  pagamento,  in  quanto
percettrice  di  redditi  o  titolare  di  rendite  che  la   rendono
economicamente capiente, ove fosse tenuta a adempiere  alla  condanna
per l'intero in  unica  soluzione  andrebbe  incontro  a  difficolta'
economiche, non talmente gravi da configurare una insolvibilita'. 
    In  altre  parole,  la  persona  si  trova  in   una   condizione
intermedia,  che  potrebbe  essere  descritta   come   insolvibilita'
relativa  rispetto  all'ammontare  della  sanzione:  potrebbe  pagare
ratealmente, ma avrebbe difficolta' a farlo in unica soluzione. 
    In   questi   casi   l'ordinamento   prevede   l'istituto   delta
rateizzazione, per scongiurare esiti che potrebbero avere un  effetto
eccessivamente stigmatizzante, quando non anche criminogeno  -  nella
misura in cui le condizioni di  difficolta'  economico  rappresentano
secondo l'id  quod  plerumque  accidit  una  delle  principali  cause
dell'agire criminale - contrario dunque agli  obiettivi  assunti  dal
legislatore delegato ed al principio di emenda di  cui  all'art.  27,
comma 3 della Costituzione. 
    Sotto altro profilo, e' evidente che l'istituto sia  sorretto  da
un principio generale di favor dell'ordinamento  per  la  riscossione
della pena pecuniaria, che assegna alla procedura di  conversione  il
ruolo di extrema ratio del sistema. 
    La rateizzazione e' disciplinata all'art. 133-ter  c.p.  e  viene
concepita quale beneficio che  consente  di  agevolare  l'adempimento
dell'obbligazione di pagamento, adeguando la pretesa  di  riscossione
dello Stato alle condizioni  economiche  della  persona  le  concrete
modalita' esecutive della sanzione, dilazionandole nel tempo. 
    La rateizzazione  puo'  essere  in  prima  battuta  concessa  dal
giudice nella sentenza o nel decreto penale di condanna,  secondo  un
giudizio che deve tenere in considerazione le condizioni economiche e
patrimoniali del condannato, stabilendo un  numero  di  rate  che  la
legge indica da un minimo di sei ad un massimo  di  sessanta  (limiti
innalzati  dalla  riforma  Cartabia  rispetto  a  quelli  precedenti,
fissati in tre e trenta). 
    Laddove la rateizzazione sia gia' stata disposta dal  giudice  di
merito, la Procura  emette  ordine  di  esecuzione  gia'  rateizzato,
invitando la persona al  pagamento  della  prima  rata  entro  trenta
giorni, con l'avvertimento che, in caso di  mancato  pagamento  della
prima rata, e' prevista  revoca  automatica  del  beneficio  e  sara'
richiesto  il  pagamento  dell'intero  entro  i  successivi  sessanta
giorni, da effettuarsi sotto pena di conversione. 
    In caso di mancato pagamento, dunque, la Procura  richiedera'  al
Magistrato di Sorveglianza la conversione. 
    Nel caso in cui il giudice di  merito  non  abbia  effettuato  la
valutazione comparativa delle condizioni  economiche  del  condannato
rispetto alla sanzione, concedendo la  rateizzazione,  vi  e'  spazio
perche' provveda il Magistrato di  Sorveglianza;  si  tratta  di  una
possibilita' che tanto nella norma previgente che in quella di  nuovo
conio assume carattere residuale, potendo avvenire seno  ove  non  vi
sia stata rateizzazione in sede di merito. 
    Ma, mentre nel sistema anteriforma, ove non disposta dal  giudice
di merito, la valutazione sulla concedibilita' della rateizzazione si
collocava dopo la richiesta di conversione da parte della  Procura  e
solo  a  seguito  degli  accertamenti  svolti   dal   Magistrato   di
Sorveglianza che evidenziassero una condizione di insolvenza  (dunque
non in caso di insolvibilita'), nel novello art. 660 c.p.p. questa ha
due sedi ben distinte: una precedente alla richiesta  di  conversione
ed una successiva all'esecuzione della pena convertita. 
    La prima sede procedurale in cui  l'interessato  puo'  (o  meglio
deve) fare valere le proprie  condizioni  economiche  ai  fini  della
rateizzazione non disposta, infatti, e'  prevista  gia'  all'atto  di
emissione dell'ordine di esecuzione da parte delta Procura. 
    Questo, infatti, avra' ad oggetto l'intera  sanzione  pecuniaria,
con l'avviso all'interessato che entro venti  giorni  dalla  notifica
egli puo' richiedere il pagamento rateale, consentendo quindi di  far
valere le proprie condizioni  economiche  rispetto  al  pagamento  in
unica soluzione. 
    Si  apre,  a   questo   punto,   un   sub-procedimento   per   la
rateizzazione, in cui la Procura, presso la cui segreteria  l'istanza
deve  essere  presentata,  trasmette  gli  atti  al   Magistrato   di
Sorveglianza che provvede ai sensi dell'art.  667,  comma  4  c.p.p.,
secondo il procedimento camerale semplificato e non partecipato,  con
ordinanza comunicata  alle  parti  e  passibile  di  opposizione.  La
disciplina manca di un raccordo  quanto  alla  fase  successiva  alla
decisione dei  Magistrato,  tuttavia,  appare  evidente  che  laddove
questi conceda la rateizzazione e non vi sia opposizione, la  Procura
dovrebbe revocare l'ordine di esecuzione precedente ed emetterne  uno
nuovo che tenga conto della rateizzazione, posto che i  provvedimenti
della Procura in materia di esecuzione, per  costante  giurisprudenza
costituzionale   e   di   legittimita',   sono    atti    formalmente
amministrativi,  revocatili  in  autotutela  e  che   devono   essere
aggiornati alle sopravvenienze normative e di fatto  che  interessano
l'esecuzione, salvi gli effetti  esauritisi  dell'atto  compiuto  (si
veda in particolare Cass. Sez.  1,  n.  24831  del  15  giugno  2010,
Castaldi, Rv.  248046,  richiamata  recentemente  da  Cass.  Sez.  1,
sentenza n. 25212 del 3 maggio 2019). 
    In assenza di istanza di rateizzazione, o in  caso  di  decadenza
dal beneficio, e a fronte  del  mancato  pagamento  nel  termine,  il
Magistrato di Sorveglianza a norma del comma 9 dell'art.  660  c.p.p.
effettuera' le verifiche per stabilire se l'inadempimento dipende  da
una condizione di insolvenza o di insolvibilita'. 
    Laddove  ravvisi  che  il  condannato  non  abbia  provveduto  al
pagamento perche' insolvibile, potra' disporre ii differimento  della
conversione per un massimo di un anno, ai sensi dell'art. 660,  comma
10 c.p.p.; oppure procedere alla conversione ai sensi dell'art.  103,
legge n. 689/1981 o del terzo comma dell'art. 71, legge n. 689/1981. 
    Rispetto alla norma previgente, le modifiche sono  significative:
anzitutto, il differimento viene circoscritto alla  sola  ipotesi  di
insolvibilita', laddove la precedente dizione faceva riferimento alla
insolvenza. 
    Ma, se il  Magistrato  acceda  una  condizione  di  solvibilita',
essendo il condannato nelle condizioni di pagare, anche eventualmente
accedendo alla rateizzazione da cui e' decaduto o che non ha chiesto,
la norma offre  come  sola  alternativa  la  conversione  della  pena
pecuniaria  e  l'inizio  dell'esecuzione   della   pena   sostitutiva
convertita. Cio' perche' a questo punto della  procedura  la  persona
risultata non insolvibile sara' gia' stata messa nelle condizioni  di
provvedere al pagamento rateale: infatti, o il condannato  era  stato
ammesso al beneficio dal giudice di merito e vi e' decaduto;  ovvero,
pur a fronte degli avvertimenti contenuti nell'ordine di  esecuzione,
non ha avanzato richiesta di rateizzazione nei termini. 
    In entrambi i casi la persona non ha  adempiuto  colpevolmente  o
non si e' attivata in modo negligente,  rendendosi  passibile  di  un
rimprovero che legittima la conversione ai sensi dell'art. 102, legge
n. 689/1981. 
    Egli,  in  altre  parole,  avra'  esaurito  le  proprie   chances
affinche'  l'ordinamento  valuti   le   sue   condizioni   economiche
agevolandolo nei pagamenti, meritando l'avvio  dell'esecuzione  della
pena sostitutiva. 
    Ai sensi del comma 15 dell'art.  660  c.p.p.,  infatti,  solo  ad
esecuzione iniziata il condannato  potra'  far  cessare  l'espiazione
della pena sostitutiva pagando  e,  in  questo  caso,  potra'  essere
ammesso al pagamento rateale. L'esecuzione  della  pena  sostitutiva,
infatti, e' sospesa non gia' a partire dalla domanda di  pagamento  o
dall'accoglimento  della  richiesta  di  rateizzazione,  bensi'   dal
materiale pagamento integrale o della prima rata. 
    La norma di cui al comma 15 dell'art. 660 c.p.p. trova un proprio
omologo sul piano sostanziale negli articoli 102 comma 4 e 103, comma
4, legge n. 689/1981, e viene qui ad essere  ribadita  come  raccordo
processuale. 
    Si coglie bene in questa costruzione la rivoluzione  copernicana,
l'inversione prospettica propugnata dal  legislatore  della  riforma:
non e' piu' lo Stato ad inseguire il condannato  per  metterlo  nelle
condizioni di pagare sine die, ma e' il condannato a dover  adempiere
ed attivarsi per non incorrere in piu' gravi sanzioni: sanzioni  che,
se egli puo' pagare, prevedono la conversione della  pena  pecuniaria
in pena sostitutiva detentiva. 
    Una volta  esaurite  le  possibilita'  offerte  dall'ordinamento,
dunque, al condannato non resta che subire  le  conseguenze  previste
(la conversione), quasi ad istituire un  meccanismo  assimilabile  ad
una clausola solve et repete: prima paga con l'avvio  dell'esecuzione
la  tua  insolvenza  e  poi,  eventualmente,   si   ridiscutera'   di
rateizzazioni o pagamenti. 
    Cio', evidentemente, anche al fine di rendere la  minaccia  della
sanzione detentiva piu' efficace nell'opera  di  netto  al  pagamento
spontaneo  nei  termini,  rafforzando,  secondo  le  intenzioni   del
legislatore, il sistema nel suo complesso. 
    Cosi' ricostruiti i criteri di conversione  e  la  ratio  sottesa
alle scelte legislative operate in un  senso  e  nell'altro  rispetto
alle condizioni di insolvibilita' ed insolvenza, sia concesso operare
alcune considerazioni. 
    Sulla congruita' della scelta di prevedere la  conversione  della
pena pecuniaria in misure anche detentive di tipo carcerario, invero,
sorgono  a  questo  Magistrato  rilevanti  dubbi  di   compatibilita'
costituzionale. 
    Invero, sebbene le linee guida delle  opzioni  normative  seguite
dal  legislatore  della  riforma  trovano   costante   sponda   nella
giurisprudenza della Corte costituzionale, la Corte aveva nell'ultimo
monito  rivolto  al  legislatore  indicato  che  la   revisione   dei
meccanismi  di  conversione  avrebbe  dovuto/potuto  prevedere  anche
misure limitative. 
    Si e' gia' detto supra che i  concetti  di  misure  limitative  e
misure restrittive sembrerebbero non essere  pianamente  coincidenti.
Invero, mentre le prime sono misure che limitano alcune  liberta'  ed
impongono obblighi positivi, le seconde  sono  misure  che  prevedono
forme coercitive che attingono direttamente la liberta' personale. 
    In questo senso, la previsione che una pena pecuniaria,  in  sede
di conversione, diventi idonea a limitare anche la liberta' personale
potrebbe non essere del tutto coerente con il sistema costituzionale,
soprattutto   laddove   la   sua   materiale    esecuzione    preveda
l'incarcerazione del condannato. 
    La censura  che  qui  si  muove  si  colloca  sul  terreno  della
contraddittoria ed intrinseca irragionevolezza  dell'attuale  assetto
normativo, lesivo dell'art. 3, comma 2 della Costituzione e dell'art.
13 della Costituzione, nella  misura  in  cui  stabilisce  una  forma
sanzionatoria   sproporzionatamente   restrittiva   della    liberta'
personale   del   condannato   a   pena   pecuniaria.   L'ermeneutica
costituzionale, infatti, ha da tempo  enucleato  a  partire  da  tale
disposizione  -  secondo  costante  giurisprudenza   inaugurata   con
sentenza della Corte costituzionale n. 53 del 1958 - il principio  di
ragionevolezza come  canone  di  valutazione  delle  differenziazioni
normative e, poi, principio immanente al sistema costituzionale. 
    In origine ancorata nella sua operativita' al  raffronto  con  un
tertium comparationis secondo un giudizio triadico, la ragionevolezza
ha, infatti, negli anni assunto una propria autonomia operativa anche
ai fini del  sindacato  di  ragionevolezza  intrinseca  delle  scelte
normative (storicamente, a partire dalla sentenza n. 1130 del 1988). 
    In questa veste autonoma, il principio e' stato in parte debitore
delle statuizioni di principio e metodologiche emerse  in  seno  alla
giurisprudenza  del  Bundesverfassungsgericht  ed  al  principio   di
proporzionalita'  che,  a  partire  dalla  sentenza  Apotheken-Urteil
dell'11  giugno  1958,  l'omologa  Corte  tedesca  ha  elaborato  per
valutare le interferenze ed i criteri  di  composizione  tra  diritti
antinomici  o  tra  diritti  individuali   ed   esigenze   collettive
meritevoli di tutela. Non  sempre,  infatti,  la  limitazione  di  un
diritto rappresenta, per cio' solo, una lesione dello stesso. 
    L'ermeneutica internazionale in tema di diritti  fondamentali  e'
chiara nell'indicare che  l'esercizio  dei  diritti  da  parte  della
persona in concreto puo'  (e  a  volte  deve)  essere  operativamente
limitato in presenza di ingressi contrapposti, eventualmente  a  loro
volta espressivi di diritti  fondamentali  di  altri  soggetti  o  di
interessi parimenti meritevoli di tutela tali da porsi, nel  caso  di
specie, in  termini  antinomici  rispetto  alla  piena  soddisfazione
dell'interesse fatto valere dalla persona. 
    E' ampia, sul punto, la giurisprudenza della Corte di  Strasburgo
che ha piu' volte chiarito come i diritti sanciti dalla Convenzione -
ad eccezione di quelli incomprimibili di cui agli articoli 3, 4 e 7 -
non debbano essere intesi in termini assoluti nel  loro  esercizio  e
che possano subire una compressione o financo un sacrificio,  laddove
cio' risulti  necessario  per  garantire  altri  diritti  o  esigenze
egualmente meritevoli di tutela. 
    Quel che preme rilevare, in questa sede,  e'  come  la  Corte  di
Strasburgo, nelle materie in cui e'  stata  chiamata  ad  esprimersi,
abbia indicato le condizioni (generalmente mediante l'elaborazione di
test) che possono portare a ritenere adeguato  al  caso  concreto  il
sacrificio imposto ai diritti tutelati nella  Convenzione,  adottando
un approccio che, lungi dall'esaurirsi ad una statica  considerazione
dei diritti fondamentali, legge gli stessi nel loro dinamico farsi  e
comporsi, alla ricerca di quell'equilibrio che realizzi, a parita' di
tutela dell'uno, il minor sacrificio possibile  dell'altro;  ma  che,
astrattamente,  non  preclude  anche  l'instaurazione  di   legittimi
rapporti di subvalenza/prevalenza tra diritti antinomici. 
    L'ermeneutica della nostra Corte costituzionale  si  inserisce  a
pieno titolo nel solco di tale corrente  di  pensiero,  spiccatamente
figlia del costituzionalismo  contemporaneo  europeo,  e  vede  nella
ragionevolezza con cui vengono maneggiati i diritti  un  limite  alle
scelte discrezionali del legislatore. 
    Negli  ultimi  anni  la  Corte  ha  utilizzato  il  canone  della
ragionevolezza per garantire  un  sindacato  sempre  piu'  attento  e
puntuale alla proporzionalita' delle scelte  legislative  nell'ottica
di garantire tutela adeguata ai  principi  costituzionali,  valutando
che il legislatore eserciti ponderatamente  la  discrezionalita'  che
gli  e'  propria,  sino  a  sanzionarne  il  mancato  esercizio,  con
conseguente vuoto  di  tutela  per  i  diritti  costituzionalmente  e
convenzionalmente tutelati (si veda da ultimo  C.  cost.  10/2024  in
tema di sessualità-affettivita' inframuraria). 
    Il sindacato di ragionevolezza si articola nei  sotto-criteri  di
adeguatezza  del  mezzo  rispetto  allo  scopo  perseguito,  coerenza
interna  rispetto  alle  altre  scelte  sistematiche  e,  da  ultimo,
proporzionalita' della soluzione  normativa  tra  il  sacrificio  che
questa impone al  diritto  limitato  ed  il  vantaggio  che  realizza
rispetto all'altro diritto/interesse che si intende tutelare. 
    Alla  luce  di  tali  principi,  la  scelta  della   semiliberta'
sostitutiva quale misura adeguata in sede di conversione di una  pena
pecuniaria appare non rispettare i criteri  indicati,  risultando  in
radice di dubbia proporzionalita' e coerenza. 
    Quanto al profilo della  adeguatezza  dello  strumento,  potrebbe
ritenersi che la conversione della  pena  pecuniaria  in  forme  lato
sensu  detentive  sia  un  rimedio  adeguato  al  mancato   pagamento
colpevole, che realizza  una  sostanziale  fuga  dalla  sanzione.  In
questi   termini,   alla   luce   del   rimprovera   ulteriore   dato
dall'insolvenza, che lo Stato attinga  la  liberta'  personale  della
persona per sanzionare il fatto di reato puo' rappresentare un  mezzo
adeguato rispetto allo scopo, vale a dire evitare che la legge penale
e  le  pene  da  essa  stabilite   rimangano   inseguite;   obiettivo
legittimamente perseguito dal legislatore  nella  misura  in  cui  il
senso di impunita' all'interno di un organismo sociale non  puo'  che
risolversi in un klimax ascendente di aggressione ai  beni  giuridici
presidiati dalle  norme  penali.  Il  che,  laddove  si  verificasse,
rischierebbe di minare  in  radice  le  fondamenta  della  convivenza
civile e dell'organizzazione sociale tutta. 
    Ma,  cio'  posto,  e'  sul   piano   della   coerenza   e   della
proporzionalita' che il mezzo scelto dal legislatore appare  ultroneo
e non armonico. 
    Sebbene, infatti, la norma e l'impianto della riforma considerino
la semiliberta' sostitutiva una pena meno afflittiva della reclusione
e  dell'arresto,  sulla  premessa  di   una   antologica   differenza
qualitative tra le pene indicate, un approccio  piu'  realistico  non
puo' non far considerare che tale premessa e', invero, frutto di  una
malcelata truffa delle etichette. 
    La semiliberta',  infatti,  anche  nel  sistema  delle  forme  di
esecuzione penali esterne di cui alla legge n. 354/1975, e'  definita
un regime detentivo e non una vera e propria misura alternativa  alla
detenzione; cio' in quanto, materialmente, la semi liberta' si  espia
in carcere. 
    In questo senso, non basta, a parere dello scrivente,  aggiungere
il termine sostitutiva per mutare la sostanza della pena in questione
che rimane di tipo carcerario. 
    E  cio',  alla  luce  delle  statuizioni  di   principio   emerse
all'interno  della  giurisprudenza  convenzionale  sull'art.  7  CEDU
(sentenza  Del  Rio  Prada  v.  Spain)  poi   accolte   dalla   Corte
costituzionale  a  partire  dalla  sentenza  32/2020,  non  puo'  non
incidere nella valutazione della congruita' legislativa di  scegliere
tale misura ai fini della conversione della pena pecuniaria. 
    Invero,  la  semiliberta'  sostitutiva  comporta   una   modifica
qualitativa della pena nell'alternativa dentro-fuori dal carcere, che
in questo caso accede, peraltro, ad una pena  che  o  strutturalmente
(nel caso della pena  pecuniaria  originaria)  ovvero  a  seguito  di
valutazione puntuale del giudice  (nel  caso  della  pena  pecuniaria
sostitutiva) non dovrebbe avere carattere inframurario. 
    E' evidente lo spirito che ha animato il  legislatore  in  questo
senso: incutere il  metus  del  carcere  per  ottenere  il  pagamento
spontaneo. 
    Tuttavia, le perplessita'  sollevate  sul  piano  assiologico  in
questa sede risultano rilevanti al punto da far dubitare fondatamente
della legittimita' di questa  opzione  normativa,  sotto  il  profilo
della sua proporzionalita' intrinseca  e  la  sua  coerenza  con  gli
obiettivi deflattivi della popolazione carceraria fatti propri  dalla
riforma. 
    Il legislatore, infatti, avrebbe, a  parere  di  questo  giudice,
dovuto individuare nella detenzione domiciliare sostitutiva la misura
principe per le ipotesi di insolvenza. 
    Tale  misura,  infatti,  e'  quella  che  realizza   il   miglior
contemperamento delle esigenze punitive  del  reato  e  sanzionatorie
dell'omesso  pagamento  con  quelle  de  liberiate  dell'interessato,
evitando che una pena che  non  avrebbe  dovuto  essere  eseguita  in
carcere ne determini l'incarcerazione. 
    Invero, la detenzione domiciliare sostitutiva e'  misura  che  e'
gia' prevista per  la  sostituzione  delle  pene  detentive  entro  i
quattro anni e che e' portatrice di un apparato  prescrittivo  idoneo
ad essere afflittivo, tanto quanto flessibile e  modulabile  in  base
alla gravita' del fatto e dell'insolvenza del condannato. 
    La stessa, dunque, potrebbe fornire  una  risposta  proporzionata
all'insolvenza,  adeguata  anche   all'ottenimento   dell'adempimento
spontaneo, dietro minaccia di conversione della pena in una  sanzione
comunque restrittiva della liberta' personale. 
    Una  tale  opzione,  dunque,  realizzerebbe  un  piu'   ponderato
equilibrio tra i beni costituzionali in gioco e  le  finalita'  della
riforma, individuando quella misura che, a parita'  di  tutela  delle
esigenze  di  esecuzione  penali,  realizzi  il   minimo   sacrificio
necessario della restrizione della liberta' personale, anche in punto
di qualita' della restrizione comminata dall'ordinamento. 
    In questi termini, l'art. 102, legge n. 689/1981, a parere  dello
scrivente, e' da ritenersi incostituzionale, per violazione dell'art.
3, comma 2 della Costituzione  e  dell'art.  13  della  Costituzione,
nella parte in cui  prevede  che  il  mancato  pagamento  della  pena
pecuniaria  entro  i   termini   «comporta   la   conversione   nella
semiliberta'  sostitutiva»  invece  di  stabilire  che   il   mancato
pagamento  «comporta  la  conversione  nella  detenzione  domiciliare
sostitutiva». 
    In  via  subordinata,   anche   laddove   si   volesse   ritenere
costituzionalmente   compatibile   la   scelta   della   semiliberta'
sostitutiva  rispetto  ad  una  condizione   di   insolvenza,   balza
all'occhio  nel  sistema  delineato  dal  legislatore  una   radicale
discrasia tra i  meccanismi  di  conversione  previsti  per  le  pene
pecuniarie originarie  e  quelli  previsti  per  le  pene  pecuniarie
sostitutive delle pene detentive brevi. 
    Le  due  discipline  sono  del  tutto   omologhe   in   caso   di
insolvibilita' prevedendo tanto l'art. 103, legge n. 689/1981  quanto
l'art. 71, comma 3, legge  n.  689/1981  la  prioritaria  conversione
della pena pecuniaria non pagata  nel  lavoro  di  pubblica  utilita'
sostitutivo  e,  solo  a  fronte  di  opposizione   del   condannato,
l'applicazione detenzione domiciliare sostitutiva. 
    Viceversa,  in  caso  di  insolvenza  le  norme  di   riferimento
prevedono esiti parzialmente difformi. 
    - L'art. 102, legge n. 689/1981, infatti, stabilisce che in  caso
di mancato pagamento colpevole la pena pecuniaria si  converta  nella
semiliberta' sostitutiva, prevedendo un'unica modalita' di esecuzione
possibile. 
    - L'art. 71, legge n. 689/1981, invece, prevede  che  al  mancato
pagamento entro il termine consegua la revoca della  pena  pecuniaria
sostitutiva e - in deroga ai principi generali delle pene sostitutive
per cui le  stesse  in  caso  di  revoca  si  convertono  nella  pena
originariamente sostituita - consente al Magistrato  di  Sorveglianza
di  sostituire  la  stessa   scegliendo   alternativamente   tra   la
semiliberta' sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva. 
    Le ragioni che hanno portato a questo disallineamento  delle  due
discipline non sono, invero, chiarissime; sul  piano  assiologico  ed
operativo,  infatti,  posto  che  non   si   ravvisano   profili   di
incompatibilita'  costituzionale   nella   conversione   della   pena
pecuniaria in forme di esecuzione carceraria in caso  di  insolvenza,
si ravvisa invero una sostanziale sovrapponibilita'  dei  presupposti
di fatto e di diritto alle base delle due diverse ipotesi. 
    In entrambi i casi, la conversione trova proprio in  un  medesimo
fatto: il  mancato  pagamento  della  pena  pecuniaria  per  condotta
colpevole del condannato. 
    Circostanza che avrebbe richiesto, e che a parere dello scrivente
Magistrato costituzionalmente richiede, quantomeno  l'assoggettamento
delle due fattispecie alla medesima disciplina, cosi'  come  previsto
nel caso di insolvibilita'. 
    L'attuale assetto normativo, infatti, pare  arrecare  un  patente
vulnus al principio di uguaglianza sostanziale  di  cui  all'art.  3,
comma   2   della   Costituzione,   connotandosi   in   termini    di
irragionevolezza per la disparita' di  trattamento  che  l'art.  102,
legge  n.  689/1981  prevede  rispetto   al   tertium   comparationis
rappresentato dall'art. 71, legge n. 689/1981;  nonche'  all'art.  3,
comma 2, in relazione all'art. 27, comma 3 della Costituzione per  il
pregiudizio irragionevole che, a parita' di condizioni, la  normativa
nel suo complesso e l'art. 102, legge n. 689/1981 arreca al principio
di emenda, nella misura  in  cui  non  consentite  al  Magistrato  di
Sorveglianza una valutazione  individualizzata  della  posizione  del
condannato, imponendo una sola misura possibile,  rispetto  a  quanto
consentito in casi analoghi dall'art. 71, legge n. 689/1981. 
    In questa seconda prospettiva,  il  canone  della  ragionevolezza
viene in rilievo nella sua veste classica  di  sindacato  comparativo
tra due opzioni normative  difformi  che,  pero',  hanno  ad  oggetto
situazioni  identiche  da  un  punto  di  vista  sostanziale  e  che,
nell'ipotesi  sostenuta  da  questo  rimettente,  dovrebbero   essere
percio' assoggettate alla comune disciplina. 
    Per  sostenere  l'illegittimita'  costituzionale,  dunque,   deve
valutarsi,  anzitutto,  se  le  due   posizioni   sostanziali   siano
effettivamente le medesime; interrogativo  al  quale  si  ritiene  di
dover dare  una  risposta  certamente  positiva,  richiamandosi,  per
brevita', a quanto su esposto circa la coincidenza  delle  situazioni
di fatto nelle ipotesi di insolvenza. 
    Sia consentito, pero', avvalorare la tesi della coincidenza della
situazione di fatto che si produce  all'atto  del  mancato  pagamento
della  pena  pecuniaria  originaria  o   di   una   pena   pecuniaria
sostitutiva, evidenziando che e' lo stesso  legislatore  a  prevedere
una disciplina sostanzialmente comune, laddove il  mancato  pagamento
derivi da  insolvibilita'  agli  articoli  103,  comma  3,  legge  n.
689/1981 e 71, comma 3 legge n. 689/1981. 
    In questo senso, e'  evidente  che  le  due  fattispecie  possono
normativamente  soggiacere  ad  una  disciplina  comune  o   comunque
analoga. 
    L'elemento discretivo e  di  divaricazione  della  disciplina  si
rinviene solo sul terreno della insolvenza. 
    Occorre, a questo punto, verificare se  l'opzione  normativa  sia
sorretta da una ratio adeguata che consenta di valutare in termini di
ragionevolezza questa differenziazione. 
    Il  testo  di  legge,  in  se',  non  aiuta  molto;  al  fine  di
comprendere  quale  sia  stato  il  percorso   logico   seguito   dal
legislatore delegato, e poter dunque  vagliare  la  ragionevolezza  e
coerenza intrinseca della scelta legislativa, appare dunque opportuno
riportare quanto indicato nella gia'  citata  relazione  al  decreto,
laddove si esplicitano i contenuti del secondo  comma  dell'art.  71,
legge n. 689/1981 e dell'art. 102, legge n. 689/1981. 
    Con riferimento all'art. 71 legge n. 689/1981, la Relazione cosi'
si esprime: 
      «Il secondo comma disciplina in modo innovativo  l'ipotesi  del
mancato pagamento colpevole, che non dipende cioe' da una  situazione
di impossibilita' di  adempiere  all'obbligo,  bensi'  da  un  fatto,
volontario o  colposo,  del  condannato,  che  puo'  pagare  la  pena
pecuniaria ma non la paga entro il termine  indicato  nell'ordine  di
esecuzione  del  pubblico  ministero.  La  conseguenza  del   mancato
pagamento  e'  la   revoca   della   pena   pecuniaria   sostitutiva,
analogamente a quanto avviene per le  altre  pene  sostitutive  delle
pene detentive brevi, in caso di mancata esecuzione  (cfr.  art.  66,
comma 1, legge n. 689/1981). La  conversione  della  pena  pecuniaria
sostitutiva non eseguita  e'  disciplinata  dall'art.  71,  legge  n.
689/1981 in deroga alla disciplina generale dell'art.  66,  legge  n.
689/1981: si prevede, infatti, la  conversione  in  pene  sostitutive
piu' gravi e in nessun  caso  nella  pena  detentiva  sostituita.  La
gravita' delle pene sostitutive da conversione,  in  particolare,  e'
graduata  a  seconda  della  natura  colpevole  (secondo   comma)   o
incolpevole (terzo comma) del mancato pagamento. 
    Si e' escluso di prevedere la conversione della  pena  pecuniaria
sostitutiva   nella   corrispondente   pena   detentiva    sostituita
(reclusione o arresto) per ragioni  di  coerenza  con  la  scelta  di
fondo, operata in tema  di  conversione  delle  pene  pecuniarie  non
eseguite (cfr. articoli  102  e  103,  legge  n.  689/1981),  di  non
prevedere la conversione della pena  pecuniaria  nella  reclusione  o
nell'arresto. Una scelta diversa, non percorsa nemmeno dalla legge n.
689/1981, ora riformata, sarebbe possibile (consentita  dall'art.  1,
comma 17, lett. m), della legge delega) e  non  irragionevole,  posto
che, alle spalle della pena pecuniaria sostitutiva, vi  e'  una  pena
detentiva alla quale si ritornerebbe. Senonche' si ritiene  opportuno
far prevalere l'esigenza di scongiurare il pericolo  che  proprio  la
pena sostitutiva piu' mite, per eccellenza, possa  convertirsi  nella
reclusione o  nell'arresto  per  periodi  di  breve  durata,  pari  o
inferiori  a  un  anno,  comportando  un   esito   contrastante   con
l'obiettivo generale della lotta alla pena detentiva  breve.  D'altra
parte, la modularita' progressiva delle  altre  pene  sostitutive  da
conversione, non prive  anche  di  connotazioni  detentive,  soddisfa
adeguatamente le esigenze  di  prevenzione  correlate  alla  minaccia
legale di una pena da conversione, in caso di mancato pagamento della
pena pecuniaria sostitutiva. Si individuano infatti,  quali  pene  da
conversione  per  il  mancato  e  colpevole  pagamento   della   pena
pecuniaria, la semiliberta' sostitutiva e la  detenzione  domiciliare
sostitutiva.   La   revoca   della   pena   pecuniaria    sostitutiva
colpevolmente non eseguita, pertanto, comporta una nuova sostituzione
della pena detentiva  sostituita,  che  il  giudice  puo'  effettuare
scegliendo tra  semiliberta'  o  detenzione  domiciliare,  secondo  i
criteri ordinari  di  cui  all'art.  58,  disposizione  espressamente
richiamata. Viene esclusa  la  possibilita'  di  convertire  la  pena
pecuniaria sostitutiva in lavoro di pubblica utilita': si e'  infatti
ritenuto opportuno e ragionevole riservare tale possibilita', come si
dira' subito, all'ipotesi del mancato pagamento incolpevole. Cio' per
garantire una progressione fra le pene da conversione,  proporzionata
alla  colpevolezza  del  condannato   inadempiente   all'obbligo   di
pagamento». 
    Con riferimento all'art.  102,  legge  n.  689/1981,  invece,  la
Relazione cosi' argomenta: 
      «La conversione in caso  di  mancato  pagamento  colpevole,  da
parte di chi non paga la multa e l'ammenda pur potendolo fare, e' una
novita'  introdotta  dal  presente  decreto.  La  legge  minaccia  la
conversione in una pena limitativa  della  liberta'  personale,  piu'
grave  della  pena  pecuniaria  per  assicurare  l'effettivita'   del
pagamento della pena  pecuniaria  stessa.  A  differenza  delle  pene
detentive, infatti, per essere eseguite le pene pecuniarie richiedono
la collaborazione  del  condannato.  Il  fallimento  del  sistema  di
recupero  crediti,  che  ha  tradizionalmente  adottato   il   nostro
ordinamento, dimostra come sia  opportuno  e  necessario  indurre  il
condannato al pagamento, onde evitare conseguenze peggiori. 
    Le pene da conversione della pena pecuniaria ineseguita assolvono
a una duplice funzione:  sanzionano  sia  il  mancato  pagamento  (se
colpevole), sia il reato commesso, sostituendosi alla pena pecuniaria
principale,   rimasta   ineseguita.   Alla    luce    dei    principi
costituzionali,  e  nei  limiti  della  legge  delega,  e'   pertanto
necessario  adeguare  la  disciplina  della  conversione  tanto  alla
colpevolezza del condannato, riferita al  mancato  pagamento,  quanto
alla gravita' del reato commesso. Sotto il primo profilo,  la  scelta
e' di ribadire,  anche  per  la  conversione  delle  pene  pecuniarie
principali,  come  per  quelle  sostitutive  (cfr.   art.   71),   la
distinzione  tra  le  ipotesi  di  mancato  pagamento   colpevole   e
incolpevole (per insolvibilita' del condannato). Le due ipotesi  sono
disciplinate, rispettivamente, dagli articoli 102 e 103. 
    La pena da conversione piu' grave, la semiliberta',  e'  prevista
in caso di mancato pagamento colpevole. La pena da  conversione  meno
grave, il lavoro di pubblica utilita' (e, in subordine, solo in  caso
di opposizione al lavoro,  la  detenzione  domiciliare)  e'  prevista
invece per l'ipotesi del  mancato  pagamento  incolpevole  (dovuto  a
insolvibilita', cioe' alle condizioni economiche e  patrimoniali  del
condannato)». 
    Da una lettura dei  due  passi,  puo'  cogliersi  che  l'elemento
discretivo  tenuto  in  conto  dal  legislatore  pare   esser   stato
rappresentato dalla volonta' di minacciare conseguenze  esemplari  in
caso di mancato pagamento della pena pecuniaria, che  consentano  non
solo di sanzionare l'insolvenza, ma anche di  punire  il  reato  alla
base della condanna, la cui sanzione e' rimasta ineseguita. 
    La semiliberta' sostitutiva  prevista  dall'art.  102,  legge  n.
689/981, dunque, viene presentata quale misura che realizza  entrambi
questi scopi, associando alla minaccia di una misura limitativa della
liberta' personale anche profili sanzionatori del reato. 
    Viceversa, nel caso della pena pecuniaria sostitutiva, sembra che
il legislatore abbia ragionato nei termini di un fenomeno di revoca e
aggravamento della pena  sostitutiva  per  mancata  esecuzione  della
misura, con riespansione del  potere  di  sostituzione  che,  dunque,
ritornando al Magistrato di Sorveglianza come  potere  originario  di
sostituzione  della  pena  detentiva  breve,  gli  consentirebbe   di
scegliere la misura  piu'  adatta  applicando  l'art.  58,  legge  n.
689/1981. 
    Tuttavia, nel  mancato  pagamento  per  insolvenza  colpevole  la
scelta della pena da applicare in sostituzione e' circoscritta ad una
delle due pene  sostitutive  detentive,  riservandosi  il  lavoro  di
pubblica   utilita'   sostitutivo   all'ipotesi   dell'insolvibilita'
incolpevole. 
    Sarebbe, dunque, il gema  della  misura  da  convertire  ad  aver
guidato la scelta legislativa nell'uno e nell'altro caso. 
    Alla base di questa differenziazione si potrebbe cogliere  l'idea
che mentre le pene pecuniarie originarie di solito accedono  a  reati
gravi quale  sanzione  principale,  la  pena  pecuniaria  sostitutiva
rappresenterebbe, secondo la prospettiva assunta dal  legislatore  la
piu' mite risposta che l'ordinamento offre ad una sanzione  detentiva
contenuta entro l'anno e, in ipotesi, cio' evidenzierebbe tale misura
come statisticamente applicabile a delitti di minore gravita'. 
    Si tratta, tuttavia, di argomenti che, invero, appaiono  non  del
tutto   condivisibili   e,   anzi,   scolorano   verso   la   patente
irragionevolezza. 
    Quanto alla tesi per cui la pena  pecuniaria  originaria  sarebbe
espressiva di maggiore pericolosita' sociale, giova  evidenziare  che
nel sistema sanzionatorio classico,  la  pena  pecuniaria  e'  sempre
considerata meno afflittiva della pena detentiva. 
    In questo senso, sostenere che le pene pecuniarie sostitutive  di
pene detentive brevi siano la  piu'  mite  risposta  dell'ordinamento
alla violazione della legge penale appare, quantomeno, frutto di  una
lettura  semplicistica,  se   non   proprio   erronea   del   sistema
complessivo. 
    Invero,  non  puo'   dubitarsi   che   rispetto   ad   una   pena
originariamente  detentiva,  detenzione  o  arresto,   passibile   di
conversione in pena pecuniaria, una pena  originariamente  pecuniaria
quale la multa e, a fortiori, l'ammenda,  sia  sempre  da  intendersi
come sanzione penalmente piu' mite. 
    Cio' in considerazione del fatto che se l'una vede  tramutata  la
propria natura da detentiva a pecuniaria in forza di una  valutazione
concreta  operata  dal  giudice,  la  prima  e'  gia'   in   astratto
selezionata dal legislatore come per la  adeguata  alla  gravita'  di
quel fatto, nel senso che  tipicamente  lo  stesso  non  richiede  il
presidio  di  sanzioni  di  tipo  coercitivo,  sulla  base   di   una
valutazione di politica criminale e  di  tutela  dei  beni  giuridici
operata a monte dal legislatore. 
    E' dunque sul piano della tipizzazione normativa, al netto  della
possibilita' di valorizzare situazioni specifiche  e  concrete  sulla
base della giurisprudenza CEDU in tema di matiere penale, che pure ha
trovato opportunamente eco nella giurisprudenza costituzionale (ci si
riferisce alla sentenza n. 223/2018 della Corte costituzionale),  che
l'assedia maggiore gravita' della pena pecuniaria originaria rispetto
alla  pena  pecuniaria  sostitutiva  di  pena  detentiva  risulta  un
argomento non convincente e non puo' ragionevolmente essere  accolto.
Men che meno, dunque, sulla base di un  tale  argomento  si  potrebbe
validamente stabilire una differente disciplina  per  situazioni  del
tutto analoghe, prevedendo che a fronte di un medesimo  comportamento
colpevole del condannato per il mancato pagamento nell'un caso  possa
darsi luogo solo  ad  applicazione  della  semiliberta'  sostitutiva,
mentre nell'altro sia consentito al giudice di  scegliere  la  misura
piu'  adeguata  tra  la  semiliberta'  sostitutiva  e  la  detenzione
domiciliare sostitutiva. 
    Cio' appare ancor piu' irrazionale laddove si consideri che e' lo
stesso legislatore delegato a stabilire, all'art. 57,  ultimo  comma,
legge n. 689/1981 che «la pena pecuniaria si  considera  sempre  come
tale, anche se sostitutiva della pena detentiva», cosi' indicando che
ai  fini  dell'ordinamento  l'originarieta'  o  meno   della   natura
pecuniaria della sanzione non e' (o quantomeno non  dovrebbe  essere)
elemento rilevante. 
    Ma, anche laddove si volesse accogliere una tale  prospettazione,
e,  dunque,  si  volesse  dare  un  maggior  risalto  alle   esigenze
securitarie nel caso della conversione di  una  pena  originariamente
pecuniaria, la scelta di prevedere la sola  semiliberta'  sostitutiva
apparirebbe comunque normativamente sproporzionata;  e  cio'  sia  in
astratto,  sia  in  concreto  alla  luce  delle   altre   norme   che
disciplinano il fenomeno della conversione della pena pecuniaria. 
    Si  consideri  che  l'art.  660,  comma   8   c.p.p.   stabilisce
espressamente che nel procedere alla conversione secondo gli articoli
71, 102 e 103, legge n. 689/1981 si  applica  in  quanto  compatibile
l'art. 545-bis c.p.p.,  norma  che  detta  sul  piano  processuale  i
criteri di scelta delle pene sostitutive e che richiama, a sua volta,
l'art. 58, legge  n.  689/1981,  dedicato  sul  piano  sostanziale  a
dettagliare i canoni di giudizio che devono guidare il giudice  nella
decisione sull'ammissione o meno alle pene sostitutive e nella scelta
della pena sostitutiva da applicare in concreto. 
    Da una lettura delle  disposizioni  di  legge  richiamate  emerge
chiaramente che nel decidere l'an della sostituzione  della  pena  e,
poi, nel selezionare la specifica misura con cui sostituire  la  pena
detentiva breve, il giudice e' chiamato a  operare  un  giudizio  che
investe, tra gli altri elementi, la gravita' del fatto,  le  esigenze
di sicurezza sociale, nonche' l'adeguatezza della pena sostitutiva  a
contemperare questi ultimi con la finalita' di reinserimento  sociale
del condannato. 
    Il che, dunque, significa che anche all'interno della conversione
della pena pecuniaria vi sarebbe gia' spazio per recuperare non  gia'
in astratto, ma in concreto, ed  individualizzando  il  giudizio,  la
maggiore o minore gravita' del fatto ai  fini  della  scelta  tra  la
misura piu' grave (semiliberta' sostitutiva) e quella meno coercitiva
(detenzione  domiciliare  sostitutiva);  come,  peraltro,   e'   gia'
previsto dall'art. 71, legge n. 689/1981. 
    Quanto alla considerazione per cui nel caso della norma da ultimo
citata, la conversione della pena  pecuniaria  sostitutiva  viene  ad
essere vista come una sorta di aggravamento della pena  sostitutiva.,
si tratta anche in questo caso di un argomento non dirimente. 
    Invero, a prescindere se si voglia intendere  la  conversione  in
caso  di  insolvenza  colpevole  come  aggravamento   di   una   pena
sostitutiva piu' mite o quale sanzione per il  mancato  pagamento  di
una pena pecunia, rimane il fatto che ambedue  le  norme  assumono  a
presupposto per la propria applicazione il mancato pagamento da parte
di chi potrebbe pagare, prevedendo, come la si voglia  intendere,  un
meccanismo  sostanzialmente  sanzionatorio  dell'insolvenza.  Che  il
medesimo presupposto di fatto e di diritto possa condurre a normative
divergenti in ragione del genus della pena cui accede (pene  che,  si
ribadisce, lo stesso legislatore parifica per tutti gli altri effetti
di legge)  appare  frutto  di  una  patente  incongruenza  sul  piano
sostanziale. 
    Sia poi concesso considerare gli esiti paradossali  cui  perviene
lo schema normativo della cui costituzionalita' si dubita. 
    Una pena originariamente pecuniaria che, in ipotesi, mai  avrebbe
potuto essere eseguita mediante forme coercitive di tipo detentivo  e
carcerario, in caso di mancato pagamento importa obbligatoriamente la
carcerazione del condannato; come la si voglia vestire, infatti,  non
basta  l'aggettivo   sostitutiva   a   mutare   la   sostanza   della
semiliberta'. Questa rimane sostanzialmente una pena qualitativamente
carceraria. 
    Viceversa, una pena originariamente detentiva, sia pur  contenuta
entro l'anno, che ordinariamente avrebbe  ben  potuto  condurre  alla
carcerazione del condannato, laddove convertita  in  pena  pecuniaria
che non  venga  pagata,  puo'  comportare  o  la  carcerazione  della
persona, ma anche l'accesso a forme detentive di tipo domiciliare che
non prevedono contatto con l'istituzione carceraria. 
    Ne' basterebbe a rendere ragionevole questo sistema  l'argomento,
che pur potrebbe cogliersi alla luce dell'analisi supra condotta, per
cui la previsione del solo carcere per la  pena  pecuniaria  dovrebbe
avere efficacia deterrente rispetto all'inadempimento dell'obbligo di
pagare  e,  dunque,  rappresenterebbe  un  necessario   presidio   di
effettivita' della sanzione pecuniaria. 
    Se si fosse voluto davvero  perseguire  tale  obiettivo,  invero,
allora  si  sarebbe  dovuto  prevedere  il   medesimo   criterio   di
conversione anche rispetto alla pena pecuniaria sostitutiva. 
    Viceversa, il disallineamento tra le due discipline  pare  frutto
di un non ponderato esercizio della discrezionalita' legislativa, che
finisce con il sanzionare piu' gravemente una  pena  pecuniaria  tout
court rispetto ad una pena pecuniaria originariamente detentiva. 
    Il che, oltre che discriminatorio, e'  del  tutto  irragionevole,
con ingiustificata lesione anche dell'art. 13 della Costituzione. 
    Quanto alla lesione dell'art. 27, comma 3 della Costituzione,  in
sintesi, non puo' non considerarsi che la rigidita' della norma,  nel
prevedere la sola pena sostitutiva massima in  sede  di  conversione,
frustra il principio di emenda e la tendenziale finalita' rieducativa
della pena. 
    Non consentire  al  Magistrato  di  Sorveglianza  di  gradare  ed
individualizzare il trattamento lato sensu detentivo, precludendo  in
radice la scelta tra la misura piu' grave e quella meno afflittiva di
tipo domiciliare, espone il sistema al rischio di sanzionare troppo. 
    E una pena sproporzionata  e',  invero,  una  pena  difficilmente
percepibile come giusta da  chi  la  subisce,  il  che  impedisce  al
condannato di compiere quel percorso interiore di accettazione  della
condanna e della sanzione necessario per l'emenda. 
    Si tratta di concetti ormai acquisiti nella giurisprudenza  della
Corte costituzionale; si pensi al grande lavorio della Consulta negli
ultimi anni in punto di ragionevolezza dei limiti edittali che ha, da
ultimo, visto cadere sotto la scure del legislatore  negativo  l'art.
628, comma 3 c.p. 
    Mutatis mutandis, le  statuizioni  di  principio  espresse  dalla
richiamata giurisprudenza non possono non  avere  cittadinanza  anche
nel settore in esame. 
    In fin dei conti, lo si e' ampiamente argomentato supra, rispetto
alla conversione della pena pecuniaria per  colpevole  inadempimento,
cio' che  giustifica  l'applicazione  di  restrizioni  alla  liberta'
personale e' il rimprovero per il mancato pagamento. La  conversione,
dunque, e' si' un modo di far espiare in modo diverso  una  pena  non
pagata, ma e' altresi' rispetto all'insolvenza (diversamente che  per
l'insolvibilita') un meccanismo sanzionatorio. 
    Meccanismo che, quantomeno  rispetto  alle  pene  pecuniarie,  ai
sensi  dell'art.  102,  legge  n.  689/1981  e'  del  tutto   rigido,
risolvendosi in  un  automatismo  applicativo  sproporzionato  e,  in
ultima analisi, potenzialmente ingiusto. 
    Poiche' la medesima condizione e' stata assunta dal  legislatore,
nel medesimo corpus normativo, ai fini di  prevedere  una  disciplina
che consente di modulare la risposta ordinamentale tra un massimo  ed
un minimo di afflizione  della  liberta'  personale,  non  si  vedono
ragioni per non estendere quest'ultima opzione anche  nell'art.  102,
legge n. 689/1981. 
    A parere di chi scrive, dunque, l'attuale disciplina  incorre  in
un evidente cortocircuito  assiologico  e  logico,  che  deve  essere
ricondotto a costituzionalita',  dichiarando  l'art.  102,  legge  n.
689/1981 incostituzionale nella parte in  cui  non  prevede  dopo  le
parole «ne comporta la conversione nella semiliberta' sostitutiva» le
parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l'art.
58» si' come stabilito nell'art. 71, legge n. 689/1981,  nonche',  in
via conseguenziale, dichiarando incostituzionale l'art. 660, comma  3
c.p.p. nella parte in cui disciplina gli avvisi al condannato,  nella
parte  in  cui  non  prevede  dopo  le  parole  «nella   semiliberta'
sostitutiva» le parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva». 
    Le questioni qui poste sono  certamente  rilevanti  nel  caso  di
specie, posto che G. si trova esattamente nella condizione  descritta
dall'art. 102, legge n.  689/1981:  egli,  pur  avendo  ricevuto  gli
avvisi da parte della Procura, non ha provveduto al  pagamento  della
pena pecuniaria ne' ha richiesto la rateizzazione della stessa  entro
i termini previsti dalla nuova disciplina. 
    E', dunque, decaduto dalla possibilita' di  consentire  a  questo
Magistrato  di  procedere  alta  rateizzazione,  che   potrebbe   ben
consentirgli  si  provvedere  al  pagamento  secondo  modalita'  meno
gravose. 
    Eppure, e' persona che lavora stabilmente da diversi anni  e  che
ha percepito redditi da lavoro dipendente per  circa  27.000,00  euro
nel 2024, attualmente assunto con busta paga di quasi  2.000,00  euro
mensili; con qualche sforzo, dunque, egli ben potrebbe  anche  pagare
in unica soluzione. 
    A fronte di questa condizione, questo giudice  sarebbe  costretto
dalla  disciplina  attuale  a  convertire  la  pena  in  semiliberta'
sostitutiva, determinando la carcerazione del condannato. 
    E, solo una volta incarcerato, ed a semiliberta' in  corso,  egli
potra' far valere l'eventuale richiesta di pagamento rateale. 
    Laddove,  invece,  vi  fosse  l'intervento   auspicato   in   via
principale  questo  giudice   potrebbe   valutare   direttamente   la
concessione della  detenzione  domiciliare  sostitutiva;  laddove  la
Corte  accogliesse  la  subordinata,  nel  presente  procedimento  si
potrebbe scegliere tra quest'ultima e la semiliberta' sostitutiva. 
    Eventualmente (in termini astratti) anche scegliendo ad esito  di
un giudizio di merito, per la semiliberta'. Invero, la Corte ha ormai
affermato una nozione di  rilevanza  della  questione  che  prescinde
dall'eventuale diretta  incidenza  sull'esito  del  giudizio  a  quo,
descritta come rilevanza giudicata. 
    Secondo tale orientamento, ormai maggioritario  e  condiviso,  il
requisito di rilevanza sussiste  anche  qualora  la  decisione  della
Corte sia idonea ad incidere nel giudizio a qua anche solo nel  senso
di     imporre     al      giudice      un      diverso      percorso
logico-giuridico-argomentativo, pur  rimanendo  in  ipotesi  identico
l'esito del giudizio. 
    Circostanze che si verificano, invero, nel caso di specie,  posto
che la norma impedisce anche solo di  esaminare  la  possibilita'  di
applicare, in luogo della  semiliberta'  sostitutiva,  la  detenzione
domiciliare sostitutiva. E cio' basti quanto alla rilevanza. 
    Le  questioni,  inoltre,  per  quanto  su  esposto  appaiono  non
manifestamente infondate e non  emendabili  mediante  interpretazioni
costituzionalmente orientate. 
    Invero, il dato normativo, per come  ricostruito  sia  alla  luce
della sua dimensione testuale, sia in ragione di una  interpretazione
teleologica che valorizzi la volonta' legislativa, non lascia margine
per un  esito  diverso  da  quello  di  applicare  la  semi  liberta'
sostitutiva all'ipotesi dell'insolvenza. 
    Ne' potrebbe tentare di valorizzarsi la possibilita'  di  accesso
alla rateizzazione al di fuori delle ipotesi  previste  dalla  legge,
che cesella  minuziosamente  i  canoni  e  le  tempistiche  cui  deve
attenersi il Magistrato di Sorveglianza nel relativo giudizio. 
    L'interpretazione conforme, infatti, (con la felice  immagine  di
autorevole dottrina) non puo' diventare un letto di Procuste, in  cui
la norma viene tagliuzzata e rimodulata per farla entrare  nell'alveo
costituzionale snaturandone le fattezze. 
    A  fronte  di  queste  considerazioni,  si   ritiene   di   dover
interrompere  il   procedimento   e   sollevare   le   questioni   di
costituzionalita' su esposte, nella loro dimensione gradata di cui si
e' detto supra. 
    La declaratoria di  incostituzionalita',  inoltre,  ove  accolta,
dovrebbe attingere anche l'art. 660, comma 3 c.p.p., nella  parte  in
cui richiama, al  fine  di  darne  avviso  al  condannato,  le  norme
sostanziali  in  punto  di  modalita'  di  conversione   della   pena
pecuniaria. 

(1) Art. 1, comma 16 della legge delega: «Nell'esercizio della delega
    di cui al comma 1, i decreti  legislativi  recanti  modifiche  al
    codice di procedura penale, al codice  penale  e  alla  collegala
    legislazione speciale in materia di pena pecuniaria, al  fine  di
    restituire effettivita' alla stessa, sono adottati  nel  rispetto
    dei seguenti principi e criteri direttivi:  a)  razionalizzare  e
    semplificare il procedimento di esecuzione delle pene pecuniarie;
    b)  rivedere,  secondo  criteri   di   equita',   efficienza   ed
    effettivita', i meccanismi e la procedura  di  conversione  della
    pena pecuniaria in caso di mancato  pagamento  per  insolvenza  o
    insolvibilita'   del   condannato;   c)    prevedere    procedure
    amministrative efficaci, che assicurino  l'effettiva  riscossione
    della pena pecuniaria e la sua conversione  in  caso  di  mancato
    pagamento».  

(2) Cfr. «Decreto  legislativo  recante  attuazione  della  legge  27
    settembre 2021 n. 134 recante delega al governo per  l'efficienza
    del processo penale nonche' in materia di giustizia riparativa  e
    disposizioni  per  la   celere   definizione   dei   procedimenti
    giudiziari - Relazione Illustrativa»  pubblicata  nella  Gazzetta
    Ufficiale - Serie generale  -  n.  245  del  19  ottobre  2022  -
    Supplemento straordinario n. 5.  

(3) Cfr. Corte  costituzionale,  sentenza  n.  279/2019  «Gia'  nella
    sentenza  n.  108  del  1987,  questa  Corte  aveva  invocato  un
    Intervento del legislatore  sulla  disciplina  processuale  della
    conversione, ritenuta inficiala da «difetti che  la  rendono  non
    pienamente adeguata ai principi costituzionali in materia, e  che
    possono indirettamente frenare un piu' ampio  ricorso  alla  pena
    pecuniaria, da molti auspicato». Un simile monito deve essere ora
    ribadito. Il procedimento di esecuzione  della  pena  pecuniaria,
    del quale i provvedimenti di conversione  costituiscono  una  dei
    possibili esiti, e' oggi ancor piu' farraginoso di quanto non  lo
    fosse  nel  1987,  prevedendo   l'intervento,   in   successione,
    dell'ufficio  del  giudice  dell'esecuzione,  dell'agente   della
    riscossione,  del  pubblico  ministero  e   del   magistrato   di
    sorveglianza. A tutti  questi  soggetti  sono  demandati  plurimi
    adempimenti piu' o meno complessi,  che  tuttavia  non  riescono,
    allo stato, ad assicurare ne' adeguati tassi di riscossione delle
    pene pecuniarie, ne' l'effettivita' della conversione delle  pene
    pecuniarie non  pagate.  Tale  situazione,  oggetto  di  diagnosi
    risalenti in dottrina, fa si' che  la  pena  268  pecuniaria  non
    riesca a costituire in Italia un'alternativa  credibile  rispetto
    alle pene privative della liberta', come accade invece  in  molti
    altri ordinamenti». 

(4) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 15/2020 § 3 «soltanto  una
    disciplina della pena  pecuniaria  in  grado  di  garantirne  una
    commisurazione da parte  del  giudice  proporzionata  tanto  alla
    gravita' del reato quanto alle condizioni economiche del  reo,  e
    assieme  di  assicurarne  poi   l'effettiva   riscossione,   puo'
    costituire una seria alternativa alla pena detentiva, cosi'  come
    di fatto accade in molti altri ordinamenti contemporanei»  

(5) Cfr.  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  134/2021  §   8   del
    Considerato in diritto, a chiusura della sentenza. 

(6) Cosi'  testualmente  a  pag.  271  «Decreto  legislativo  recante
    attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 recante delega al
    governo per l'efficienza del processo penale nonche'  in  materia
    di giustizia riparativa e disposizioni per la celere  definizione
    dei procedimenti giudiziari - Relazione Illustrativa»  pubblicata
    nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 245 del 19 ottobre
    2022 - Supplemento straordinario n. 5. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei  termini  indicati,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 102, legge n. 689/1981 per violazione dell'art. 3, comma  2
della Costituzione e dell'art. 13 della Costituzione nella  parte  in
cui prevede che il mancato pagamento della pena  pecuniaria  entro  i
termini «comporta  la  conversione  nella  semiliberta'  sostitutiva»
invece di stabilire che il mancato pagamento «comporta la conversione
nella  detenzione   domiciliare   sostitutiva»;   nonche',   in   via
conseguenziale, questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
660, comma  3  c.p.p.  nella  parte  in  cui  prevede  che  «la  pena
pecuniaria sara' convertita nella  semiliberta'  sostitutiva»  invece
delle parole «la pena pecuniaria sara'  convertita  nella  detenzione
domiciliare sostitutiva» invece  delle  parole  «la  pena  pecuniaria
sara' convertita nella detenzione domiciliare sostitutiva». 
    In via gradata, solleva, nei termini indicati  in  parte  motiva,
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  102,  legge  n.
689/1981 per violazione degli articoli 3, comma 2 della Costituzione,
in relazione all'art. 13 ed all'art. 27, comma 3 della  Costituzione,
nella parte in cui  non  prevede  dopo  le  parole  «ne  comporta  la
conversione  nella  semiliberta'  sostitutiva»  le  parole  «o  nella
detenzione domiciliare sostitutiva. Si applica l'art. 58.»,  nonche',
in  via  conseguenziale,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 660, comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede dopo  le
parole  «la  pena  pecuniaria  sara'  convertita  nella  semiliberta'
sostitutiva» le parole «o nella detenzione domiciliare sostitutiva». 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Dispone  che,  a  cura  della   Cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed  al   Pubblico
ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei  ministri,  e  che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Cosi' deciso in Bologna, il 31 marzo 2025 
 
             Il Magistrato di sorveglianza: Romano Ezio