Reg. ord. n. 88 del 2025 pubbl. su G.U. del 21/05/2025 n. 21
Ordinanza del Tribunale per i minorenni di Roma del 17/04/2025
Tra: K.D.R. O.
Oggetto:
Processo penale – Processo minorile – Sospensione del processo e messa alla prova – Modifiche normative ad opera del decreto-legge n.123 del 2023, come convertito – Esclusione dell’applicabilità delle disposizioni del comma 1 dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, ai delitti previsti dall’art. 609-bis cod. pen. (violenza sessuale), nelle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter cod. pen. – Contrasto con l’intero impianto normativo che regola il processo penale minorile, avente come finalità il recupero del minore deviante mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale – Inosservanza degli obblighi internazionali in relazione ai principi espressi in numerosi atti internazionali in tema di giustizia minorile – Disparità di trattamento rispetto agli imputati di reati anche più gravi, in considerazione della pena edittale e del rilevante allarme sociale ovvero perché rientranti nella legislazione antimafia – Violazione del principio di ragionevolezza.
Norme impugnate:
decreto del Presidente della Repubblica
del 22/09/1988
Num. 448
Art. 28
Co. 5
decreto-legge
del 15/09/2023
Num. 123
Art. 6
Co. 1
legge
del 13/11/2023
Num. 159
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 31
Co. 2
Costituzione
Art. 117
Co. 1
direttiva UE
Art.
Co.
direttiva UE
Art.
Co.
regole ONU per la protezione dei minori privati della libertà (regole de L'Avana)
Art.
Co.
Regole minime delle Nazioni unite sull'amministrazione della giustizia minorile (Regole di Pechino)
Art.
Co.
raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulle regole europee per i delinquenti minori che siano oggetto di sanzioni o di misure
Art.
Co.
Linee guida per una giustizia a misura di minore, adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa
Art.
Co.
Udienza Pubblica del 23 settembre 2025 rel. PETITTI
Testo dell'ordinanza
N. 88 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 aprile 2025
Ordinanza del 17 aprile 2025 del Tribunale per i minorenni di Roma
nel procedimento penale a carico di K.D.R. O..
Processo penale - Processo minorile - Sospensione del processo e
messa alla prova - Modifiche normative ad opera del decreto-legge
n. 123 del 2023, come convertito - Esclusione dell'applicabilita'
delle disposizioni del comma 1 dell'art. 28 del d.P.R. n. 448 del
1988, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, ai
delitti previsti dall'art. 609-bis cod. pen., nelle ipotesi
aggravate ai sensi dell'art. 609-ter cod. pen.
- Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448
(Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di
imputati minorenni), art. 28, comma 5-bis.
(GU n. 21 del 21-05-2025)
TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ROMA
Il Giudice dell'udienza preliminare composto da:
1) dr.ssa Paola Manfredonia - Presidente
2) dr.ssa Annarosa Porfilio - Giudice On.
3) dr. Roberto Saccomandi - Giudice On.
riunito in Camera di consiglio all'udienza del 17 aprile 2025 nel
procedimento indicato in epigrafe a carico di O K D R , nato a il
difeso d'ufficio dall'avv. Claudia Prioreschi, ha emesso la seguente
Ordinanza
All'esito delle indagini preliminari il pubblico ministero presso
questo tribunale chiedeva il rinvio a giudizio nei confronti di O K D
R imputato:
del reato previsto e punito dall'art. 609-bis ultimo comma cp e
art. 609-ter comma I nr. 5 cp, per aver costretto F G (di anni
quindici al momento dei fatti) a subire atti sessuali baciandola
contro la sua volonta' e toccandola ripetutamente sul seno e nelle
parti intime - infilandole la mano sotto le mutande - nonostante il
diniego piu' volte espresso dalla stessa, non in grado di opporsi
validamente a causa dell'assunzione di bevande alcoliche.
Comm. in il pomeriggio dell' .
Fissata l'udienza al 13 marzo 2025, sentito l'imputato, preso
atto della relazione ex art. 9 decreto del Presidente della
Repubblica n. 448/1988 dell'USSM e della relazione psicologica della
UOC TSMREE Asl RM 5 di Guidonia, il difensore chiedeva sollevarsi
questione di legittimita' costituzionale del comma 5-bis inserito
nell'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988
dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, che ha convertito, con
modificazioni, il decreto-legge 15 settembre 2023 n. 123 (cd. decreto
Caivano) recante «Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile,
alla poverta' educativa e alla criminalita' minorile» che ha escluso
la possibilita' di sospendere il processo con messa alla prova in
relazione a determinati reati, tra i quali la violenza sessuale
aggravata ai sensi dell'art. 609-ter del codice penale. Il comma
5-bis dell'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n.
448/1988 prevede infatti che «le disposizioni di cui al comma I non
si applicano ai delitti previsti ... dall'art. 609-bis del codice
penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art.
609-ter ...».
Il Collegio, ritenuta la rilevanza e la non manifesta
infondatezza della questione proposta, preso atto della incompletezza
della notifica alla persona offesa F G e agli esercenti la
responsabilita' genitoriale, rinviava il processo ad oggi per la
rinnovazione delle notifiche suindicate riservandosi il deposito
dell'ordinanza.
All'odierna udienza, sciolta la riserva, preso atto delle
conclusioni delle parti, il Collegio depositava la presente ordinanza
previa lettura del dispositivo.
L'imputazione contestata all'imputato riguarda il reato di cui
agli articoli 609-bis e 609-ter cp, commesso in data 1° giugno 2024.
All'odierno imputato e', dunque, preclusa de iure la possibilita'
di essere ammesso alla prova ai sensi del comma I dell'art. 28
decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, ed il Collegio
non puo' prendere in considerazione la richiesta avanzata nella
memoria dal difensore, che dovrebbe, pertanto, essere rigettata,
senza poter entrare nel merito della valutazione in ordine alla
relativa fattibilita' della messa alla prova.
Cio' premesso, occorre verificare la rilevanza e non manifesta
infondatezza della questione proposta.
Il vaglio di rilevanza della questione attiene alla verifica
dell'impossibilita', per il giudice a quo, di risolvere il caso
pratico sottoposto alla sua attenzione, indipendentemente dalla
risoluzione della questione stessa.
Sul punto della rilevanza, il Collegio, esaminati gli atti e
sentito l'imputato, ritiene che, in assenza della disposizione di cui
al comma 5-bis dell'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica
n. 448/1988, avrebbe potuto valutare positivamente la richiesta del
difensore di messa alla prova. Si ritengono, infatti, sussistenti
tutti i requisiti richiesti dal costante orientamento
giurisprudenziale minorile ai fini dell'ammissione alla messa alla
prova.
Occorre premettere che, sulla base del contenuto degli atti
processuali e delle dichiarazioni rese dall'imputato, non puo'
pervenirsi ad una pronuncia di proscioglimento nel merito dello
stesso; ne' emergono elementi per ritenere insussistente la capacita'
di intendere e di volere del minore, come piu' avanti specificato.
Per quanto attiene alla sussistenza dei presupposti per
l'ammissione all'istituto de quo, emerge dal contenuto degli atti
processuali, della denuncia della stessa persona offesa e dalle
dichiarazioni rese dall'imputato e dalle relazioni agli atti che il
compimento del reato non e' stato il prodotto di una scelta deviante
radicata da parte di un soggetto minorenne dalla personalita'
delinquenziale strutturata: il minore, infatti, e' incensurato,
frequenta regolarmente la scuola e un gruppo di catechesi presso la
Parrocchia di zona fa parte stabilmente di una squadra di calcio; il
contesto ambientale di appartenenza offre ampi spazi di recupero del
minore e lo stesso e' disponibile ad aderire ad un progetto educativo
anche con l'intervento dei servizi specialistici della ASL tenuto
conto delle fragilita' cognitive dell'imputato; il fatto non presenta
i connotati dell'irrilevanza ex art. 27 decreto del Presidente della
Repubblica n. 448/1988, non potendosi fondare la stessa sulla
contestazione dell'ultimo comma dell'art. 609-bis cp, il quale
introduce una circostanza attenuante ad effetto speciale che di per
se' non e' idonea a rendere tenue, nel caso di specie, il titolo del
reato, alla luce dell'aggravante contestata e del bene giuridico
tutelato (liberta' sessuale di un soggetto minore di eta') nonche'
delle sommarie informazioni rese dalla persona offesa F G circa la
dinamica dei fatti. Anche il perdono giudiziale (sebbene in astratto
concedibile, in quanto la pena irrogabile in concreto, tenuto conto
dell'ultimo comma dell'art. 609-bis e della minore eta', puo'
rientrare nei limiti edittali per la concessione dell'istituto
clemenziale) rappresenterebbe una definizione del processo deteriore
a fronte dell'applicazione della messa alla prova in quanto, da un
lato, la sentenza ex art. 169 cp verrebbe annotata sul certificato
penale fino al compimento dei 21 anni di eta' dell'imputato, con
indubbio pregiudizio per il medesimo, trattandosi di reato
«infamante» e stigmatizzante, dall'altro precluderebbe il tentativo
di recupero del minore anche sul piano di una maggiore
responsabilizzazione dello stesso in relazione alla corretta gestione
della sessualita', a fronte di una sua piena resipiscenza - come piu'
avanti precisato - e precluderebbe altresi' la possibilita' al
giudice di impartire prescrizioni dirette a promuovere, qualora
percorribile nel caso concreto, la conciliazione dell'imputato con la
persona offesa, la quale, nel processo penale minorile, attraverso
l'istituto della messa alla prova potrebbe beneficiare di azioni
riparative ovvero risarcitorie in senso lato, tenuto conto altresi'
dell'art. 10 decreto del Presidente della Repubblica n. 488/88 che
regola la inammissibilita' dell'azione civile per le restituzioni e
il risarcimento del danno cagionato dal reato. Infine, non puo'
essere ignorata l'eta' dell'imputato al momento della commissione del
fatto, 14 anni e sei mesi, caratteristica che fonda ulteriormente
l'opportunita' di un percorso rieducativo e risocializzante del
minore attraverso l'istituto della messa alla prova.
L'imputato ha ammesso l'addebito sin dalla fase delle indagini
preliminari, precisando di avere commesso il fatto mentre lui e la
ragazza erano ubriachi (entrambi avevano assunto alcolici
volontariamente) e gli amici lo incitavano a toccare la ragazza; il
giorno dopo le ha chiesto scusa e anche il giorno successivo, quando
aveva saputo che girava voce all'interno della scuola che lui aveva
«stuprato» G . L'imputato ha dichiarato di avere chiesto scusa anche
alla sorella della persona offesa, circostanza confermata dalla madre
di quest'ultima, sentita a sommarie informazioni.
Anche dal contenuto della denuncia della persona offesa e'
evidente la resipiscenza del minore: la persona offesa dopo i fatti
incontra due volte l'imputato, lui si scusa ribadendo che quel giorno
non aveva capito nulla perche' era ubriaco e si scusa nuovamente a
scuola, lei gli chiede come avrebbe reagito se alla sorella fosse
successa la stessa cosa e lui le risponde che avrebbe picchiato
l'autore della violenza e che i genitori avrebbero sporto denuncia.
Agli atti sono presenti screenshots dei messaggi intercorsi tra
l'imputato e la persona offesa dai quali emerge anche il timore da
parte dell'imputato di essere picchiato dagli amici della persona
offesa, circostanza che fonda ulteriormente la consapevolezza da
parte dell'imputato del disvalore di quanto commesso e, dunque, della
sua piena capacita' di intendere e di volere.
Sussiste, pertanto, una rimeditazione critica rispetto al reato
contestato autentica e non strumentale ed espressa immediatamente e
direttamente alla persona offesa all'indomani dei fatti accaduti con
lealta' e spontaneita' e prima ancora che venisse sporta denuncia.
Il Collegio ritiene dunque la sussistenza di tutti i requisiti di
merito in astratto necessari per l'ammissione dell'imputato alla
messa alla prova prevista dall'art. 28 decreto del Presidente della
Repubblica n. 448/1988.
La previsione di cui al comma 5-bis introdotto dalla legge 13
novembre 2023, n. 159, non consente la sospensione del processo e la
messa alla prova dell'odierno imputato avendo lo stesso commesso un
reato divenuto ostativo, neanche sotto il profilo di una valutazione
di un progetto di intervento elaborato dai servizi minorili
dell'amministrazione della giustizia in collaborazione con i servizi
socio-assistenziali degli enti locali, come previsto dall'art. 27 del
decreto legislativo n. 272/1989.
L'istituto della messa alla prova e' strutturato in base all'idea
che la stessa non debba incontrare limiti quanto alla tipologia dei
reati al punto che, in base alle indicazioni contenute nella sentenza
n. 412/90 della Corte costituzionale, che dichiaro' infondata la
questione di legittimita' costituzionale sollevata in relazione
all'art. 3 Cost. a carico degli articoli 28 e 30 nella parte in cui
non prevedevano per i reati puniti con la pena dell'ergastolo
l'applicabilita' della messa alla prova, furono introdotte dall'art.
44 decreto legislativo n. 12/1991 al primo comma dell'art. 28 le
parole «dell'ergastolo o» aggiungendo cosi' alla previsione relativa
alla durata della prova la menzione esplicita dell'ergastolo accanto
alla reclusione, chiarendo che la gravita' del reato non e'
astrattamente preclusiva dell'applicazione dell'istituto, superando
le iniziali perplessita' circa la presenza di eventuali limiti
all'esercizio del generale potere discrezionale del giudice di
disporre la messa alla prova.
Ed e' proprio su tale potere discrezionale che la Corte
costituzionale, con sentenza n. 139/2020, ha ulteriormente
specificato la peculiarita' dell'istituto: «la messa alla prova del
minore e' prevista per tutti i reati anche quelli di gravita'
massima, rispetto ai quali l'ordinamento sospende il processo in
vista dell'eventuale estinzione del reato per finalita' puramente
rieducative, quindi non perche' l'imputato lo richieda e il pubblico
ministero vi consenta, ma solo perche', ed in quanto, lo ritenga
opportuno un giudice strutturalmente idoneo a valutare la
personalita' del minore».
Nelle prassi applicative, l'esercizio di tale potere
discrezionale da' luogo anche ad una esclusione dell'applicazione
della messa alla prova nei casi di reati di massima gravita', e/o in
relazione ad imputati con personalita' deviante strutturata non
potendosi ritenere la concessione dell'istituto da parte dei giudici
minorili un mero automatismo processuale.
Da ultimo, la recente sentenza della Corte costituzionale n.
23/2025 ha ribadito come la messa alla prova, quale istituto di
protezione della gioventu', ai sensi dell'art. 31, secondo comma,
Cost., abbia «lo scopo primario di favorire l'uscita del minore dal
circuito penale, la piu' rapida possibile, soprattutto attraverso una
riflessione critica del giovane, sul proprio vissuto e la propria
condotta, in mancanza della quale l'istituto stesso diverrebbe mezzo
di pura deflazione, tra l'altro stimolando, per una sorta di
eterogenesi dei fini, calcoli opportunistici dell'indagato
minorenne».
Per quanto attiene al profilo della non manifesta infondatezza,
il giudice a quo non e' chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza o
meno, esame che e' appunto rimesso alla sola Corte costituzionale, ma
deve semplicemente respingere la questione quando si presenti
palesemente priva di ogni fondamento giuridico. La Corte
costituzionale ha poi aggiunto che il giudice a quo, prima di
rimettere la questione, deve preliminarmente tentare
l'interpretazione conforme a Costituzione, che tuttavia nel caso in
esame non appare possibile, in quanto tale operazione ermeneutica
comporterebbe l'applicazione di un istituto in presenza di
imputazioni espressamente escluse dal comma 5-bis dell'art. 28
decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988. Il Collegio
ritiene la non manifesta infondatezza della questione innanzitutto in
relazione alla violazione dell'art. 31, comma secondo, della
Costituzione. La preclusione introdotta dalla norma in esame
contrasta non solo con la ratio originaria dell'istituto, ma anche
con tutto l'impianto normativo che regola il processo penale
minorile, basandosi su una sorta di «non riducibilita' presunta» di
alcuni imputati minorenni fondata esclusivamente sulla commissione di
determinati reati e a prescindere dalla valutazione della loro
personalita' in netto contrasto anche con il principio di
individualizzazione espresso dall'art 9 decreto del Presidente della
Repubblica n. 448/1988 che permea l'intero processo penale minorile
sin dalla fase delle indagini preliminari e sino alla fase esecutiva
della sentenza di condanna, come evidenziato dal decreto legislativo
n. 121/2018.
Il processo penale minorile trova il proprio fondamento
costituzionale nel combinato disposto degli articoli 27 comma 3
secondo cui «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari
al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del
condannato» e nell'art. 31, comma 2, della Costituzione che recita
«La Repubblica protegge la maternita', l'infanzia e la gioventu',
favorendo gli istituti necessari a tale scopo» affidando, dunque, al
Legislatore il compito di individuare per gli imputati minorenni
strumenti sanzionatori che ne favoriscano il recupero tenendo conto
della specificita' della loro condizione psicofisica e del loro
livello evolutivo ed e', di conseguenza, volto principalmente al
recupero del minore autore di reato, mediante la sua rieducazione e
il suo reinserimento sociale, anche attraverso l'attenuazione
dell'offensivita' del processo e la sua rapida fuoriuscita dal
circuito penale, come piu' volte la Corte costituzionale ha affermato
(cfr. sentenze nn. 125 del 1992, 206 del 1987 e 222 del 1983).
Al fine del perseguimento di tali finalita' e dell'individuazione
della migliore risposta del sistema alla commissione del reato da
parte di un soggetto in formazione e in continua evoluzione, quale e'
il soggetto di minore eta', il giudice e' chiamato, di volta in
volta, ad esaminare la sua personalita' (principio di
individualizzazione sopra richiamato).
Infatti, in ogni stato e grado del procedimento minorile, come
statuito dall'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n.
448/1988, l'Autorita' giudiziaria deve acquisire «elementi circa le
condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali
del minorenne al fine di accertarne l'imputabilita' e il grado di
responsabilita', valutare la rilevanza sociale del fatto nonche'
disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali
provvedimenti civili».
La messa alla prova e', dunque, uno dei principali strumenti che
consente al giudice di valutare compiutamente la personalita' del
minore, sotto l'aspetto psichico, sociale e ambientale, in una
prospettiva dinamica, anche ai fini dell'apprezzamento dei risultati
degli interventi di sostegno disposti. Se, infatti, la personalita'
del minorenne e' avviata a possibile cambiamento (come emerge, nel
caso di specie, dalla relazioni dell'USSM redatta nei confronti
dell'imputato) e, all'esito dello svolgimento del programma
trattamentale di messa alla prova, il minorenne abbia dato prova del
superamento delle situazioni (anche sotto il profilo psicologico) che
hanno portato alla commissione del reato, l'ordinamento prevede che
il giudice possa dichiarare estinto il reato per esito positivo della
disposta prova ai sensi dell'art. 29 decreto del Presidente della
Repubblica n. 448/1988, essendo venuto meno l'interesse alla pretesa
punitiva per il raggiungimento delle finalita' di recupero del minore
e del suo reinserimento sociale.
I tempi di durata previsti per la messa alla prova (sino a tre
anni per i delitti piu' gravi), la possibilita' che la stessa sia
svolta per tutta la durata all'interno di comunita' di tipo educativo
o terapeutico (per la cura delle dipendenze o dei disturbi
psichiatrici, realizzando, cosi', anche la finalita' della tutela
della salute), la possibilita' di verifiche intermedie dell'andamento
del percorso, cosi' come la revocabilita' della sospensione e la
ripresa del processo, rappresentano elementi idonei a verificare, nel
tempo, la serieta' dell'impegno dell'imputato, scongiurando
strumentalizzazioni dell'istituto e adesioni «di comodo» al progetto
in una ottica dinamica della osservazione della personalita'.
Inoltre, la possibilita' di inserire, nel progetto di messa alla
prova, importanti momenti di confronto con i servizi specialistici (a
seconda dei casi, Consultorio Familiare, Neuropsichiatria Infantile,
SERD presso le Aziende Sanitarie Locali) e di supporto psicologico,
utili, in particolare, nei delitti caratterizzati da dinamiche
affettive disfunzionali (come spesso rilevabile nei casi di violenza
sessuale, maltrattamenti in famiglia e nei delitti di
pedopornografia) riduce il rischio di recidiva con indubbio beneficio
della generalita' dei consociati.
Come ampiamente argomentato dalla Corte costituzionale, nella
sentenza n. 125 del 1995 «la messa alla prova, in conclusione,
costituisce, nell'ambito degli istituti di favore tipici del processo
penale a carico dei minorenni, uno strumento particolarmente
qualificante, rispondendo, forse piu' di ogni altro, alle indicate
finalita' della giustizia minorile».
Prevedere un catalogo di reati (tra cui la violenza sessuale
aggravata in esame) in relazione ai quali e' preclusa iuris et de
iure all'imputato la possibilita' di accesso a questo importante
istituto di recupero e reinserimento sociale, senza possibilita' da
parte del giudice di valutare nel merito la richiesta, neanche sotto
il profilo della valutazione di una mera fattibilita', costituisce un
vulnus non solo di tutela e protezione del minore autore del reato,
ma anche dell'intera collettivita' contro i rischi di una possibile
recidiva, anche sotto il profilo, come sopra indicato, di impedire
l'avvio di processi di mediazione penale e/o di giustizia riparativa
con la persona offesa dal momento che i progetti di messa alla prova
possono coinvolgere anche le persone offese, soprattutto se minorenni
e vittime di particolari reati, quale quello in esame, prevedendo
specifiche prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e
a promuovere la conciliazione, ove ne ricorrano le condizioni.
E' stata la stessa Corte costituzionale, sia pure nella diversa
materia della esecuzione della pena detentiva, dichiarando
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a),
del codice di procedura penale, per violazione dell'art. 31, secondo
comma, della Costituzione, nella parte in cui non consentiva la
sospensione della esecuzione della pena detentiva nei confronti dei
minorenni condannati per i delitti ivi elencati (ossia quelli di cui
all'art. 4-bis legge 354/1975), ad escludere la possibilita' di
prevedere nei confronti dei minori «un rigido automatismo, fondato su
una presunzione di pericolosita' legata al titolo del reato commesso,
che esclude la valutazione del caso concreto e delle specifiche
esigenze del minore» (sentenza n. 90 del 28 aprile 2017).
La Corte costituzionale ha sempre ribadito che il fulcro della
giustizia minorile consiste in valutazioni fondate su prognosi
individualizzate, in grado di assolvere al compito del recupero del
minore deviante. E', infatti, costante nella giurisprudenza
costituzionale l'affermazione della esigenza che il sistema di
giustizia minorile sia caratterizzato fra l'altro dalla «necessita'
di valutazioni, da parte dello stesso giudice, fondate su prognosi
individualizzate in funzione del recupero del minore deviante»
(sentenze n. 143 del 1966, n. 182 del 1991, n. 128 del 1987, n. 222
del 1983 e n. 46 del 1978), esattamente su «prognosi particolarmente
individualizzate» (sentenza n. 78 del 1989), questo essendo «l'ambito
di quella protezione della gioventu' che trova fondamento nell'ultimo
comma 31 Cost.» (sentenze n. 128 del 1987 e n. 222 del 1983): vale a
dire della «esigenza di specifica individualizzazione e flessibilita'
del trattamento che l'evolutivita' della personalita' del minore e la
preminenza della funzione rieducativa richiedono» (sentenza n. 125
del 1992).
In questa cornice si colloca la citata pronuncia della Corte
costituzionale n. 139 del 6 luglio 2020 che, mettendo in relazione la
messa alla prova dell'adulto con la messa alla prova del minorenne,
ha statuito: «la messa alla prova del minore e' prevista per tutti i
reati anche quelli di gravita' massima, rispetto ai quali
l'ordinamento sospende il processo in vista dell'eventuale estinzione
del reato per finalita' puramente rieducative, quindi non perche'
l'imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta, ma solo
perche', ed in quanto, lo ritenga opportuno un giudice
strutturalmente idoneo a valutare la personalita' del minore». La
Corte costituzionale ha anche sottolineato l'eterogeneita'
teleologica tra la messa alla prova del minore e quella dell'adulto,
poiche' quest'ultima ha una innegabile componente sanzionatoria,
mentre l'altra ha funzione esclusivamente rieducativa (sentenze n. 75
del 2020 e n. 68 del 2019).
La previsione ex lege del divieto assoluto di accesso alla messa
alla prova, nei casi di violenza sessuale aggravata, appare inoltre
contrastare con l'art. 31, comma secondo, della Costituzione,
sottraendo al vaglio di un giudice specializzato e interdisciplinare
la possibilita' di valutare, caso per caso, la particolare condizione
del minore imputato, per rendere la risposta del processo penale
minorile aderente alla sua personalita' e maggiormente rispondente
alla finalita' rieducative, di recupero e di reinserimento sociale
del minore autore di reato.
Gli insegnamenti della Consulta si conformano altresi', ai
principi espressi in numerosi atti internazionali. Sul punto,
infatti, si sono espresse le Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa e
le istituzioni europee. In merito, vale la pena di ricordare le
regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, c.d.
regole di Pechino - Standard Minimum Rules for the Administration of
Juvenile Justice - (approvate dall'Assemblea Generale delle Nazioni
Unite in data 29 novembre 1985), che, riconoscendo la necessita' di
uno specifico sistema di giustizia minorile e anche i rischi connessi
al contatto del minore con la giustizia, raccomandano di ridurre al
minimo l'intervento giudiziario nei confronti dei minori autori di
reato, privilegiando le politiche sociali e la prevenzione. In
particolare, attribuiscono un forte ruolo al sistema dei servizi,
verso il quale il minore deviante dovrebbe poter essere indirizzato
col suo consenso dall'autorita' giudiziaria minorile e dalla stessa
polizia. La ricomposizione del conflitto sociale tra minore e vittima
e' caldamente raccomandata e deve essere attuata con azioni dirette a
riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con
la persona offesa.
Di analoga ispirazione sono le regole ONU per la protezione dei
minori privati della liberta' (approvate dall'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite in data 14 dicembre 1990), c.d. regole
dell'Havana, la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del
Consiglio d'Europa in data 5 novembre 2008 sulle regole del
trattamento per i condannati minorenni sottoposti a sanzioni o a
misure restrittive della liberta' personale, le linee guida su una
giustizia a misura di minore adottate dal Consiglio d'Europa nel
2010, nonche', da ultimo, la direttiva 2016/800 del Parlamento
europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulle garanzie
procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali
e la direttiva 2012/29/UE (c.d. Direttiva vittime).
Le indicazioni che accomunano tutti gli atti citati sono
essenzialmente riconducibili all'esigenza che le autorita' nazionali
ricorrano alla privazione della liberta' personale del condannato
minorenne quale misura di ultima istanza. Si richiede, inoltre, che
venga sempre privilegiato il ricorso alle misure alternative, che il
minore detenuto sia collocato in istituti separati rispetto a quelli
degli adulti e che gli venga garantito un trattamento penitenziario
specificamente disegnato sulle sue peculiari necessita'.
Si rilevano, pertanto, ragioni di contrasto con l'art. 117 primo
comma della Costituzione considerati i vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario sopra specificato e dagli obblighi
internazionali che ne conseguono.
Inoltre, si rilevano profili di irragionevolezza del criterio di
esclusione dei reati resi «ostativi» alla messa alla prova, che non
sono necessariamente i piu' gravi. Solo a titolo esemplificativo,
resta attuale la possibilita' di valutare l'istituto giuridico in
esame per i reati di cui all'art. 416-bis cp (Associazioni di tipo
mafioso anche straniere), aggravato ex art. 416-bis.1 cp, e agli
articoli 422 cp (Strage), 629 comma secondo cp (Estorsione aggravata)
e 630 cp (Sequestro di persona a scopo di estorsione).
Sostenere la possibilita' di operare un contemperamento ai
principi sopra enucleati per consentire al giudice minorile
valutazioni fondate su prognosi particolarmente individualizzate in
relazione ad alcuni delitti connotati da particolare violenza alla
persona ritenuti «ostativi» alla messa alla prova (sempre richiamando
i principi della Corte costituzionale che ha espressamente dichiarato
l'illegittimita' di tale modo di procedere, ad esempio in riferimento
ai reati «ostativi» ex art. 4-bis della legge 375/1975), sarebbe del
tutto irragionevole ed in palese contrasto, ad esempio, con la
legislazione antimafia.
La previsione di reati ostativi all'applicazione della messa alla
prova non consente di assicurare uniformemente la portata educativa
della risposta penale minorile, riesuma larvatamente la funzione
retributiva della giustizia penale soltanto per alcuni reati e
impedisce che possa essere valutata la personalita' del minorenne
autore del fatto.
Il ricorso allo strumento penale retributivo non appare,
pertanto, come la soluzione al problema della commissione di reati
gravi, ma piuttosto come la prova di un insuccesso delle strutture
sociali quali la famiglia, la scuola, le associazioni culturali,
assistenziali, sportive e di una pericolosa rassegnazione
all'intervento meramente punitivo, quasi sempre inutile, se non
dannoso nel percorso evolutivo di un soggetto minore di eta'.
Si evidenziano, quindi, anche profili di contrasto con l'art. 3
della Costituzione, nella misura in cui imputati di reati anche piu'
gravi, in considerazione della pena edittale prevista e del rilevante
allarme sociale che determinano (ad esempio, reati ex articoli 422 e
630 c.p.), ovvero perche' rientranti nella legislazione antimafia (ex
art. 416-bis codice penale o aggravati dall'art. 416-bis 1 c.p.),
avrebbero accesso all'istituto della messa alla prova, negato,
invece, all'odierno imputato.
Tale disparita' di trattamento non sarebbe, dunque, supportata da
criteri di ragionevolezza nelle scelte legislative, sempre qualora si
ritenesse di consentirle nella materia in esame in relazione al
principale ed assorbente contrasto con l'art. 31 secondo comma e 117
primo comma della Costituzione.
L'eventuale e tutto da dimostrare aumento quantitativo di
imputazioni per i reati ostativi alla messa alla prova individuati
dal Legislatore renderebbe ancor di piu' necessaria una analisi
approfondita ed individualizzata della personalita' del minore
imputato, del suo contesto familiare e sociale di provenienza per
cogliere le motivazioni del comportamento deviante, le sfumature e
l'intensita' del dolo, la presenza di eventuali dinamiche di gruppo,
per potere infine giungere, nel merito, ad ammettere od escludere la
messa alla prova, caso per caso e in relazione non soltanto al titolo
di reato contestato che finirebbe, come esplicitato dalla Corte
costituzionale nella citata sentenza n. 23/2025 con riferimento
all'istituto di cui all'art. 27-bis decreto del Presidente della
Repubblica n. 448/1988, «per apparire come l'unico dato certo sul
minore».
In conclusione, il comma 5-bis dell'art. 28 decreto del
Presidente della Repubblica n. 448/1988 impedisce al Collegio di
valutare la presenza dei presupposti per la sospensione del
procedimento e messa alla prova, con grave pregiudizio per le
esigenze di recupero e di reinserimento sociale dell'imputato, in
violazione dell'art. 31 secondo comma, 117 primo comma e 3 della
Costituzione per i profili di irragionevolezza sopra enucleati.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei termini dinanzi indicati, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 28, comma 5-bis, del decreto del Presidente
della Repubblica n. 448/1988 per contrasto con gli articoli 31
secondo comma, 117 primo comma e 3 della Costituzione, nella parte in
cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai
delitti previsti dall'art. 609-bis del codice penale limitatamente
alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter del codice penale.
Sospende il procedimento penale in corso e dispone l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' a O K D
R , ai suoi genitori e al difensore e al pubblico ministero.
Ordina che, a cura della cancelleria, l'ordinanza sia comunicata
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Segnala che, a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n.
196/2003 e successive modifiche, in caso di diffusione del presente
provvedimento dovranno essere omessi le generalita' e gli altri dati
identificativi dei minorenni.
Roma, 17 aprile 2025
Il Presidente: Manfredonia
Oggetto:
Processo penale – Processo minorile – Sospensione del processo e messa alla prova – Modifiche normative ad opera del decreto-legge n.123 del 2023, come convertito – Esclusione dell’applicabilità delle disposizioni del comma 1 dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, ai delitti previsti dall’art. 609-bis cod. pen. (violenza sessuale), nelle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter cod. pen. – Contrasto con l’intero impianto normativo che regola il processo penale minorile, avente come finalità il recupero del minore deviante mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale – Inosservanza degli obblighi internazionali in relazione ai principi espressi in numerosi atti internazionali in tema di giustizia minorile – Disparità di trattamento rispetto agli imputati di reati anche più gravi, in considerazione della pena edittale e del rilevante allarme sociale ovvero perché rientranti nella legislazione antimafia – Violazione del principio di ragionevolezza.
Norme impugnate:
decreto del Presidente della Repubblica del 22/09/1988 Num. 448 Art. 28 Co. 5
decreto-legge del 15/09/2023 Num. 123 Art. 6 Co. 1
legge del 13/11/2023 Num. 159
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 31 Co. 2
Costituzione Art. 117 Co. 1
direttiva UE Art. Co.
direttiva UE Art. Co.
regole ONU per la protezione dei minori privati della libertà (regole de L'Avana) Art. Co.
Regole minime delle Nazioni unite sull'amministrazione della giustizia minorile (Regole di Pechino) Art. Co.
raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulle regole europee per i delinquenti minori che siano oggetto di sanzioni o di misure Art. Co.
Linee guida per una giustizia a misura di minore, adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa Art. Co.
Udienza Pubblica del 23 settembre 2025 rel. PETITTI
Testo dell'ordinanza
N. 88 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 aprile 2025 Ordinanza del 17 aprile 2025 del Tribunale per i minorenni di Roma nel procedimento penale a carico di K.D.R. O.. Processo penale - Processo minorile - Sospensione del processo e messa alla prova - Modifiche normative ad opera del decreto-legge n. 123 del 2023, come convertito - Esclusione dell'applicabilita' delle disposizioni del comma 1 dell'art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, ai delitti previsti dall'art. 609-bis cod. pen., nelle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter cod. pen. - Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), art. 28, comma 5-bis. (GU n. 21 del 21-05-2025) TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ROMA Il Giudice dell'udienza preliminare composto da: 1) dr.ssa Paola Manfredonia - Presidente 2) dr.ssa Annarosa Porfilio - Giudice On. 3) dr. Roberto Saccomandi - Giudice On. riunito in Camera di consiglio all'udienza del 17 aprile 2025 nel procedimento indicato in epigrafe a carico di O K D R , nato a il difeso d'ufficio dall'avv. Claudia Prioreschi, ha emesso la seguente Ordinanza All'esito delle indagini preliminari il pubblico ministero presso questo tribunale chiedeva il rinvio a giudizio nei confronti di O K D R imputato: del reato previsto e punito dall'art. 609-bis ultimo comma cp e art. 609-ter comma I nr. 5 cp, per aver costretto F G (di anni quindici al momento dei fatti) a subire atti sessuali baciandola contro la sua volonta' e toccandola ripetutamente sul seno e nelle parti intime - infilandole la mano sotto le mutande - nonostante il diniego piu' volte espresso dalla stessa, non in grado di opporsi validamente a causa dell'assunzione di bevande alcoliche. Comm. in il pomeriggio dell' . Fissata l'udienza al 13 marzo 2025, sentito l'imputato, preso atto della relazione ex art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 dell'USSM e della relazione psicologica della UOC TSMREE Asl RM 5 di Guidonia, il difensore chiedeva sollevarsi questione di legittimita' costituzionale del comma 5-bis inserito nell'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 15 settembre 2023 n. 123 (cd. decreto Caivano) recante «Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla poverta' educativa e alla criminalita' minorile» che ha escluso la possibilita' di sospendere il processo con messa alla prova in relazione a determinati reati, tra i quali la violenza sessuale aggravata ai sensi dell'art. 609-ter del codice penale. Il comma 5-bis dell'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 prevede infatti che «le disposizioni di cui al comma I non si applicano ai delitti previsti ... dall'art. 609-bis del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter ...». Il Collegio, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione proposta, preso atto della incompletezza della notifica alla persona offesa F G e agli esercenti la responsabilita' genitoriale, rinviava il processo ad oggi per la rinnovazione delle notifiche suindicate riservandosi il deposito dell'ordinanza. All'odierna udienza, sciolta la riserva, preso atto delle conclusioni delle parti, il Collegio depositava la presente ordinanza previa lettura del dispositivo. L'imputazione contestata all'imputato riguarda il reato di cui agli articoli 609-bis e 609-ter cp, commesso in data 1° giugno 2024. All'odierno imputato e', dunque, preclusa de iure la possibilita' di essere ammesso alla prova ai sensi del comma I dell'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, ed il Collegio non puo' prendere in considerazione la richiesta avanzata nella memoria dal difensore, che dovrebbe, pertanto, essere rigettata, senza poter entrare nel merito della valutazione in ordine alla relativa fattibilita' della messa alla prova. Cio' premesso, occorre verificare la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione proposta. Il vaglio di rilevanza della questione attiene alla verifica dell'impossibilita', per il giudice a quo, di risolvere il caso pratico sottoposto alla sua attenzione, indipendentemente dalla risoluzione della questione stessa. Sul punto della rilevanza, il Collegio, esaminati gli atti e sentito l'imputato, ritiene che, in assenza della disposizione di cui al comma 5-bis dell'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, avrebbe potuto valutare positivamente la richiesta del difensore di messa alla prova. Si ritengono, infatti, sussistenti tutti i requisiti richiesti dal costante orientamento giurisprudenziale minorile ai fini dell'ammissione alla messa alla prova. Occorre premettere che, sulla base del contenuto degli atti processuali e delle dichiarazioni rese dall'imputato, non puo' pervenirsi ad una pronuncia di proscioglimento nel merito dello stesso; ne' emergono elementi per ritenere insussistente la capacita' di intendere e di volere del minore, come piu' avanti specificato. Per quanto attiene alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'istituto de quo, emerge dal contenuto degli atti processuali, della denuncia della stessa persona offesa e dalle dichiarazioni rese dall'imputato e dalle relazioni agli atti che il compimento del reato non e' stato il prodotto di una scelta deviante radicata da parte di un soggetto minorenne dalla personalita' delinquenziale strutturata: il minore, infatti, e' incensurato, frequenta regolarmente la scuola e un gruppo di catechesi presso la Parrocchia di zona fa parte stabilmente di una squadra di calcio; il contesto ambientale di appartenenza offre ampi spazi di recupero del minore e lo stesso e' disponibile ad aderire ad un progetto educativo anche con l'intervento dei servizi specialistici della ASL tenuto conto delle fragilita' cognitive dell'imputato; il fatto non presenta i connotati dell'irrilevanza ex art. 27 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, non potendosi fondare la stessa sulla contestazione dell'ultimo comma dell'art. 609-bis cp, il quale introduce una circostanza attenuante ad effetto speciale che di per se' non e' idonea a rendere tenue, nel caso di specie, il titolo del reato, alla luce dell'aggravante contestata e del bene giuridico tutelato (liberta' sessuale di un soggetto minore di eta') nonche' delle sommarie informazioni rese dalla persona offesa F G circa la dinamica dei fatti. Anche il perdono giudiziale (sebbene in astratto concedibile, in quanto la pena irrogabile in concreto, tenuto conto dell'ultimo comma dell'art. 609-bis e della minore eta', puo' rientrare nei limiti edittali per la concessione dell'istituto clemenziale) rappresenterebbe una definizione del processo deteriore a fronte dell'applicazione della messa alla prova in quanto, da un lato, la sentenza ex art. 169 cp verrebbe annotata sul certificato penale fino al compimento dei 21 anni di eta' dell'imputato, con indubbio pregiudizio per il medesimo, trattandosi di reato «infamante» e stigmatizzante, dall'altro precluderebbe il tentativo di recupero del minore anche sul piano di una maggiore responsabilizzazione dello stesso in relazione alla corretta gestione della sessualita', a fronte di una sua piena resipiscenza - come piu' avanti precisato - e precluderebbe altresi' la possibilita' al giudice di impartire prescrizioni dirette a promuovere, qualora percorribile nel caso concreto, la conciliazione dell'imputato con la persona offesa, la quale, nel processo penale minorile, attraverso l'istituto della messa alla prova potrebbe beneficiare di azioni riparative ovvero risarcitorie in senso lato, tenuto conto altresi' dell'art. 10 decreto del Presidente della Repubblica n. 488/88 che regola la inammissibilita' dell'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato. Infine, non puo' essere ignorata l'eta' dell'imputato al momento della commissione del fatto, 14 anni e sei mesi, caratteristica che fonda ulteriormente l'opportunita' di un percorso rieducativo e risocializzante del minore attraverso l'istituto della messa alla prova. L'imputato ha ammesso l'addebito sin dalla fase delle indagini preliminari, precisando di avere commesso il fatto mentre lui e la ragazza erano ubriachi (entrambi avevano assunto alcolici volontariamente) e gli amici lo incitavano a toccare la ragazza; il giorno dopo le ha chiesto scusa e anche il giorno successivo, quando aveva saputo che girava voce all'interno della scuola che lui aveva «stuprato» G . L'imputato ha dichiarato di avere chiesto scusa anche alla sorella della persona offesa, circostanza confermata dalla madre di quest'ultima, sentita a sommarie informazioni. Anche dal contenuto della denuncia della persona offesa e' evidente la resipiscenza del minore: la persona offesa dopo i fatti incontra due volte l'imputato, lui si scusa ribadendo che quel giorno non aveva capito nulla perche' era ubriaco e si scusa nuovamente a scuola, lei gli chiede come avrebbe reagito se alla sorella fosse successa la stessa cosa e lui le risponde che avrebbe picchiato l'autore della violenza e che i genitori avrebbero sporto denuncia. Agli atti sono presenti screenshots dei messaggi intercorsi tra l'imputato e la persona offesa dai quali emerge anche il timore da parte dell'imputato di essere picchiato dagli amici della persona offesa, circostanza che fonda ulteriormente la consapevolezza da parte dell'imputato del disvalore di quanto commesso e, dunque, della sua piena capacita' di intendere e di volere. Sussiste, pertanto, una rimeditazione critica rispetto al reato contestato autentica e non strumentale ed espressa immediatamente e direttamente alla persona offesa all'indomani dei fatti accaduti con lealta' e spontaneita' e prima ancora che venisse sporta denuncia. Il Collegio ritiene dunque la sussistenza di tutti i requisiti di merito in astratto necessari per l'ammissione dell'imputato alla messa alla prova prevista dall'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988. La previsione di cui al comma 5-bis introdotto dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, non consente la sospensione del processo e la messa alla prova dell'odierno imputato avendo lo stesso commesso un reato divenuto ostativo, neanche sotto il profilo di una valutazione di un progetto di intervento elaborato dai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, come previsto dall'art. 27 del decreto legislativo n. 272/1989. L'istituto della messa alla prova e' strutturato in base all'idea che la stessa non debba incontrare limiti quanto alla tipologia dei reati al punto che, in base alle indicazioni contenute nella sentenza n. 412/90 della Corte costituzionale, che dichiaro' infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata in relazione all'art. 3 Cost. a carico degli articoli 28 e 30 nella parte in cui non prevedevano per i reati puniti con la pena dell'ergastolo l'applicabilita' della messa alla prova, furono introdotte dall'art. 44 decreto legislativo n. 12/1991 al primo comma dell'art. 28 le parole «dell'ergastolo o» aggiungendo cosi' alla previsione relativa alla durata della prova la menzione esplicita dell'ergastolo accanto alla reclusione, chiarendo che la gravita' del reato non e' astrattamente preclusiva dell'applicazione dell'istituto, superando le iniziali perplessita' circa la presenza di eventuali limiti all'esercizio del generale potere discrezionale del giudice di disporre la messa alla prova. Ed e' proprio su tale potere discrezionale che la Corte costituzionale, con sentenza n. 139/2020, ha ulteriormente specificato la peculiarita' dell'istituto: «la messa alla prova del minore e' prevista per tutti i reati anche quelli di gravita' massima, rispetto ai quali l'ordinamento sospende il processo in vista dell'eventuale estinzione del reato per finalita' puramente rieducative, quindi non perche' l'imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta, ma solo perche', ed in quanto, lo ritenga opportuno un giudice strutturalmente idoneo a valutare la personalita' del minore». Nelle prassi applicative, l'esercizio di tale potere discrezionale da' luogo anche ad una esclusione dell'applicazione della messa alla prova nei casi di reati di massima gravita', e/o in relazione ad imputati con personalita' deviante strutturata non potendosi ritenere la concessione dell'istituto da parte dei giudici minorili un mero automatismo processuale. Da ultimo, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 23/2025 ha ribadito come la messa alla prova, quale istituto di protezione della gioventu', ai sensi dell'art. 31, secondo comma, Cost., abbia «lo scopo primario di favorire l'uscita del minore dal circuito penale, la piu' rapida possibile, soprattutto attraverso una riflessione critica del giovane, sul proprio vissuto e la propria condotta, in mancanza della quale l'istituto stesso diverrebbe mezzo di pura deflazione, tra l'altro stimolando, per una sorta di eterogenesi dei fini, calcoli opportunistici dell'indagato minorenne». Per quanto attiene al profilo della non manifesta infondatezza, il giudice a quo non e' chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza o meno, esame che e' appunto rimesso alla sola Corte costituzionale, ma deve semplicemente respingere la questione quando si presenti palesemente priva di ogni fondamento giuridico. La Corte costituzionale ha poi aggiunto che il giudice a quo, prima di rimettere la questione, deve preliminarmente tentare l'interpretazione conforme a Costituzione, che tuttavia nel caso in esame non appare possibile, in quanto tale operazione ermeneutica comporterebbe l'applicazione di un istituto in presenza di imputazioni espressamente escluse dal comma 5-bis dell'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988. Il Collegio ritiene la non manifesta infondatezza della questione innanzitutto in relazione alla violazione dell'art. 31, comma secondo, della Costituzione. La preclusione introdotta dalla norma in esame contrasta non solo con la ratio originaria dell'istituto, ma anche con tutto l'impianto normativo che regola il processo penale minorile, basandosi su una sorta di «non riducibilita' presunta» di alcuni imputati minorenni fondata esclusivamente sulla commissione di determinati reati e a prescindere dalla valutazione della loro personalita' in netto contrasto anche con il principio di individualizzazione espresso dall'art 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 che permea l'intero processo penale minorile sin dalla fase delle indagini preliminari e sino alla fase esecutiva della sentenza di condanna, come evidenziato dal decreto legislativo n. 121/2018. Il processo penale minorile trova il proprio fondamento costituzionale nel combinato disposto degli articoli 27 comma 3 secondo cui «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato» e nell'art. 31, comma 2, della Costituzione che recita «La Repubblica protegge la maternita', l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti necessari a tale scopo» affidando, dunque, al Legislatore il compito di individuare per gli imputati minorenni strumenti sanzionatori che ne favoriscano il recupero tenendo conto della specificita' della loro condizione psicofisica e del loro livello evolutivo ed e', di conseguenza, volto principalmente al recupero del minore autore di reato, mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, anche attraverso l'attenuazione dell'offensivita' del processo e la sua rapida fuoriuscita dal circuito penale, come piu' volte la Corte costituzionale ha affermato (cfr. sentenze nn. 125 del 1992, 206 del 1987 e 222 del 1983). Al fine del perseguimento di tali finalita' e dell'individuazione della migliore risposta del sistema alla commissione del reato da parte di un soggetto in formazione e in continua evoluzione, quale e' il soggetto di minore eta', il giudice e' chiamato, di volta in volta, ad esaminare la sua personalita' (principio di individualizzazione sopra richiamato). Infatti, in ogni stato e grado del procedimento minorile, come statuito dall'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, l'Autorita' giudiziaria deve acquisire «elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l'imputabilita' e il grado di responsabilita', valutare la rilevanza sociale del fatto nonche' disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili». La messa alla prova e', dunque, uno dei principali strumenti che consente al giudice di valutare compiutamente la personalita' del minore, sotto l'aspetto psichico, sociale e ambientale, in una prospettiva dinamica, anche ai fini dell'apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti. Se, infatti, la personalita' del minorenne e' avviata a possibile cambiamento (come emerge, nel caso di specie, dalla relazioni dell'USSM redatta nei confronti dell'imputato) e, all'esito dello svolgimento del programma trattamentale di messa alla prova, il minorenne abbia dato prova del superamento delle situazioni (anche sotto il profilo psicologico) che hanno portato alla commissione del reato, l'ordinamento prevede che il giudice possa dichiarare estinto il reato per esito positivo della disposta prova ai sensi dell'art. 29 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, essendo venuto meno l'interesse alla pretesa punitiva per il raggiungimento delle finalita' di recupero del minore e del suo reinserimento sociale. I tempi di durata previsti per la messa alla prova (sino a tre anni per i delitti piu' gravi), la possibilita' che la stessa sia svolta per tutta la durata all'interno di comunita' di tipo educativo o terapeutico (per la cura delle dipendenze o dei disturbi psichiatrici, realizzando, cosi', anche la finalita' della tutela della salute), la possibilita' di verifiche intermedie dell'andamento del percorso, cosi' come la revocabilita' della sospensione e la ripresa del processo, rappresentano elementi idonei a verificare, nel tempo, la serieta' dell'impegno dell'imputato, scongiurando strumentalizzazioni dell'istituto e adesioni «di comodo» al progetto in una ottica dinamica della osservazione della personalita'. Inoltre, la possibilita' di inserire, nel progetto di messa alla prova, importanti momenti di confronto con i servizi specialistici (a seconda dei casi, Consultorio Familiare, Neuropsichiatria Infantile, SERD presso le Aziende Sanitarie Locali) e di supporto psicologico, utili, in particolare, nei delitti caratterizzati da dinamiche affettive disfunzionali (come spesso rilevabile nei casi di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia e nei delitti di pedopornografia) riduce il rischio di recidiva con indubbio beneficio della generalita' dei consociati. Come ampiamente argomentato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 125 del 1995 «la messa alla prova, in conclusione, costituisce, nell'ambito degli istituti di favore tipici del processo penale a carico dei minorenni, uno strumento particolarmente qualificante, rispondendo, forse piu' di ogni altro, alle indicate finalita' della giustizia minorile». Prevedere un catalogo di reati (tra cui la violenza sessuale aggravata in esame) in relazione ai quali e' preclusa iuris et de iure all'imputato la possibilita' di accesso a questo importante istituto di recupero e reinserimento sociale, senza possibilita' da parte del giudice di valutare nel merito la richiesta, neanche sotto il profilo della valutazione di una mera fattibilita', costituisce un vulnus non solo di tutela e protezione del minore autore del reato, ma anche dell'intera collettivita' contro i rischi di una possibile recidiva, anche sotto il profilo, come sopra indicato, di impedire l'avvio di processi di mediazione penale e/o di giustizia riparativa con la persona offesa dal momento che i progetti di messa alla prova possono coinvolgere anche le persone offese, soprattutto se minorenni e vittime di particolari reati, quale quello in esame, prevedendo specifiche prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione, ove ne ricorrano le condizioni. E' stata la stessa Corte costituzionale, sia pure nella diversa materia della esecuzione della pena detentiva, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, per violazione dell'art. 31, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consentiva la sospensione della esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati (ossia quelli di cui all'art. 4-bis legge 354/1975), ad escludere la possibilita' di prevedere nei confronti dei minori «un rigido automatismo, fondato su una presunzione di pericolosita' legata al titolo del reato commesso, che esclude la valutazione del caso concreto e delle specifiche esigenze del minore» (sentenza n. 90 del 28 aprile 2017). La Corte costituzionale ha sempre ribadito che il fulcro della giustizia minorile consiste in valutazioni fondate su prognosi individualizzate, in grado di assolvere al compito del recupero del minore deviante. E', infatti, costante nella giurisprudenza costituzionale l'affermazione della esigenza che il sistema di giustizia minorile sia caratterizzato fra l'altro dalla «necessita' di valutazioni, da parte dello stesso giudice, fondate su prognosi individualizzate in funzione del recupero del minore deviante» (sentenze n. 143 del 1966, n. 182 del 1991, n. 128 del 1987, n. 222 del 1983 e n. 46 del 1978), esattamente su «prognosi particolarmente individualizzate» (sentenza n. 78 del 1989), questo essendo «l'ambito di quella protezione della gioventu' che trova fondamento nell'ultimo comma 31 Cost.» (sentenze n. 128 del 1987 e n. 222 del 1983): vale a dire della «esigenza di specifica individualizzazione e flessibilita' del trattamento che l'evolutivita' della personalita' del minore e la preminenza della funzione rieducativa richiedono» (sentenza n. 125 del 1992). In questa cornice si colloca la citata pronuncia della Corte costituzionale n. 139 del 6 luglio 2020 che, mettendo in relazione la messa alla prova dell'adulto con la messa alla prova del minorenne, ha statuito: «la messa alla prova del minore e' prevista per tutti i reati anche quelli di gravita' massima, rispetto ai quali l'ordinamento sospende il processo in vista dell'eventuale estinzione del reato per finalita' puramente rieducative, quindi non perche' l'imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta, ma solo perche', ed in quanto, lo ritenga opportuno un giudice strutturalmente idoneo a valutare la personalita' del minore». La Corte costituzionale ha anche sottolineato l'eterogeneita' teleologica tra la messa alla prova del minore e quella dell'adulto, poiche' quest'ultima ha una innegabile componente sanzionatoria, mentre l'altra ha funzione esclusivamente rieducativa (sentenze n. 75 del 2020 e n. 68 del 2019). La previsione ex lege del divieto assoluto di accesso alla messa alla prova, nei casi di violenza sessuale aggravata, appare inoltre contrastare con l'art. 31, comma secondo, della Costituzione, sottraendo al vaglio di un giudice specializzato e interdisciplinare la possibilita' di valutare, caso per caso, la particolare condizione del minore imputato, per rendere la risposta del processo penale minorile aderente alla sua personalita' e maggiormente rispondente alla finalita' rieducative, di recupero e di reinserimento sociale del minore autore di reato. Gli insegnamenti della Consulta si conformano altresi', ai principi espressi in numerosi atti internazionali. Sul punto, infatti, si sono espresse le Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa e le istituzioni europee. In merito, vale la pena di ricordare le regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, c.d. regole di Pechino - Standard Minimum Rules for the Administration of Juvenile Justice - (approvate dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in data 29 novembre 1985), che, riconoscendo la necessita' di uno specifico sistema di giustizia minorile e anche i rischi connessi al contatto del minore con la giustizia, raccomandano di ridurre al minimo l'intervento giudiziario nei confronti dei minori autori di reato, privilegiando le politiche sociali e la prevenzione. In particolare, attribuiscono un forte ruolo al sistema dei servizi, verso il quale il minore deviante dovrebbe poter essere indirizzato col suo consenso dall'autorita' giudiziaria minorile e dalla stessa polizia. La ricomposizione del conflitto sociale tra minore e vittima e' caldamente raccomandata e deve essere attuata con azioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa. Di analoga ispirazione sono le regole ONU per la protezione dei minori privati della liberta' (approvate dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in data 14 dicembre 1990), c.d. regole dell'Havana, la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa in data 5 novembre 2008 sulle regole del trattamento per i condannati minorenni sottoposti a sanzioni o a misure restrittive della liberta' personale, le linee guida su una giustizia a misura di minore adottate dal Consiglio d'Europa nel 2010, nonche', da ultimo, la direttiva 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2016 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali e la direttiva 2012/29/UE (c.d. Direttiva vittime). Le indicazioni che accomunano tutti gli atti citati sono essenzialmente riconducibili all'esigenza che le autorita' nazionali ricorrano alla privazione della liberta' personale del condannato minorenne quale misura di ultima istanza. Si richiede, inoltre, che venga sempre privilegiato il ricorso alle misure alternative, che il minore detenuto sia collocato in istituti separati rispetto a quelli degli adulti e che gli venga garantito un trattamento penitenziario specificamente disegnato sulle sue peculiari necessita'. Si rilevano, pertanto, ragioni di contrasto con l'art. 117 primo comma della Costituzione considerati i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario sopra specificato e dagli obblighi internazionali che ne conseguono. Inoltre, si rilevano profili di irragionevolezza del criterio di esclusione dei reati resi «ostativi» alla messa alla prova, che non sono necessariamente i piu' gravi. Solo a titolo esemplificativo, resta attuale la possibilita' di valutare l'istituto giuridico in esame per i reati di cui all'art. 416-bis cp (Associazioni di tipo mafioso anche straniere), aggravato ex art. 416-bis.1 cp, e agli articoli 422 cp (Strage), 629 comma secondo cp (Estorsione aggravata) e 630 cp (Sequestro di persona a scopo di estorsione). Sostenere la possibilita' di operare un contemperamento ai principi sopra enucleati per consentire al giudice minorile valutazioni fondate su prognosi particolarmente individualizzate in relazione ad alcuni delitti connotati da particolare violenza alla persona ritenuti «ostativi» alla messa alla prova (sempre richiamando i principi della Corte costituzionale che ha espressamente dichiarato l'illegittimita' di tale modo di procedere, ad esempio in riferimento ai reati «ostativi» ex art. 4-bis della legge 375/1975), sarebbe del tutto irragionevole ed in palese contrasto, ad esempio, con la legislazione antimafia. La previsione di reati ostativi all'applicazione della messa alla prova non consente di assicurare uniformemente la portata educativa della risposta penale minorile, riesuma larvatamente la funzione retributiva della giustizia penale soltanto per alcuni reati e impedisce che possa essere valutata la personalita' del minorenne autore del fatto. Il ricorso allo strumento penale retributivo non appare, pertanto, come la soluzione al problema della commissione di reati gravi, ma piuttosto come la prova di un insuccesso delle strutture sociali quali la famiglia, la scuola, le associazioni culturali, assistenziali, sportive e di una pericolosa rassegnazione all'intervento meramente punitivo, quasi sempre inutile, se non dannoso nel percorso evolutivo di un soggetto minore di eta'. Si evidenziano, quindi, anche profili di contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella misura in cui imputati di reati anche piu' gravi, in considerazione della pena edittale prevista e del rilevante allarme sociale che determinano (ad esempio, reati ex articoli 422 e 630 c.p.), ovvero perche' rientranti nella legislazione antimafia (ex art. 416-bis codice penale o aggravati dall'art. 416-bis 1 c.p.), avrebbero accesso all'istituto della messa alla prova, negato, invece, all'odierno imputato. Tale disparita' di trattamento non sarebbe, dunque, supportata da criteri di ragionevolezza nelle scelte legislative, sempre qualora si ritenesse di consentirle nella materia in esame in relazione al principale ed assorbente contrasto con l'art. 31 secondo comma e 117 primo comma della Costituzione. L'eventuale e tutto da dimostrare aumento quantitativo di imputazioni per i reati ostativi alla messa alla prova individuati dal Legislatore renderebbe ancor di piu' necessaria una analisi approfondita ed individualizzata della personalita' del minore imputato, del suo contesto familiare e sociale di provenienza per cogliere le motivazioni del comportamento deviante, le sfumature e l'intensita' del dolo, la presenza di eventuali dinamiche di gruppo, per potere infine giungere, nel merito, ad ammettere od escludere la messa alla prova, caso per caso e in relazione non soltanto al titolo di reato contestato che finirebbe, come esplicitato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 23/2025 con riferimento all'istituto di cui all'art. 27-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, «per apparire come l'unico dato certo sul minore». In conclusione, il comma 5-bis dell'art. 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 impedisce al Collegio di valutare la presenza dei presupposti per la sospensione del procedimento e messa alla prova, con grave pregiudizio per le esigenze di recupero e di reinserimento sociale dell'imputato, in violazione dell'art. 31 secondo comma, 117 primo comma e 3 della Costituzione per i profili di irragionevolezza sopra enucleati. P.Q.M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva, nei termini dinanzi indicati, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 5-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 per contrasto con gli articoli 31 secondo comma, 117 primo comma e 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai delitti previsti dall'art. 609-bis del codice penale limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter del codice penale. Sospende il procedimento penale in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' a O K D R , ai suoi genitori e al difensore e al pubblico ministero. Ordina che, a cura della cancelleria, l'ordinanza sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Segnala che, a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003 e successive modifiche, in caso di diffusione del presente provvedimento dovranno essere omessi le generalita' e gli altri dati identificativi dei minorenni. Roma, 17 aprile 2025 Il Presidente: Manfredonia