Reg. ord. n. 88 del 2025 pubbl. su G.U. del 21/05/2025 n. 21

Ordinanza del Tribunale per i minorenni di Roma  del 17/04/2025

Tra: K.D.R. O.

Oggetto:

Processo penale – Processo minorile – Sospensione del processo e messa alla prova – Modifiche normative ad opera del decreto-legge n.123 del 2023, come convertito – Esclusione dell’applicabilità delle disposizioni del comma 1 dell’art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, in tema di sospensione del processo con messa alla prova, ai delitti previsti dall’art. 609-bis cod. pen. (violenza sessuale), nelle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter cod. pen. – Contrasto con l’intero impianto normativo che regola il processo penale minorile, avente come finalità il recupero del minore deviante mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale – Inosservanza degli obblighi internazionali in relazione ai principi espressi in numerosi atti internazionali in tema di giustizia minorile – Disparità di trattamento rispetto agli imputati di reati anche più gravi, in considerazione della pena edittale e del rilevante allarme sociale ovvero perché rientranti nella legislazione antimafia – Violazione del principio di ragionevolezza.

Norme impugnate:

decreto del Presidente della Repubblica  del 22/09/1988  Num. 448  Art. 28  Co. 5

decreto-legge  del 15/09/2023  Num. 123  Art. 6  Co. 1

legge  del 13/11/2023  Num. 159



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 31   Co.

Costituzione  Art. 117   Co.

direttiva UE  Art.    Co.  

direttiva UE  Art.    Co.  

regole ONU per la protezione dei minori privati della libertà (regole de L'Avana)  Art.    Co.  

Regole minime delle Nazioni unite sull'amministrazione della giustizia minorile (Regole di Pechino)  Art.    Co.  

raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulle regole europee per i delinquenti minori che siano oggetto di sanzioni o di misure  Art.    Co.  

Linee guida per una giustizia a misura di minore, adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa  Art.    Co.  



Udienza Pubblica del 23 settembre 2025 rel. PETITTI


Testo dell'ordinanza

                        N. 88 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 aprile 2025

Ordinanza del 17 aprile 2025 del Tribunale per i  minorenni  di  Roma
nel procedimento penale a carico di K.D.R. O.. 
 
Processo penale - Processo minorile  -  Sospensione  del  processo  e
  messa alla prova - Modifiche normative ad opera  del  decreto-legge
  n. 123 del 2023, come convertito -  Esclusione  dell'applicabilita'
  delle disposizioni del comma 1 dell'art. 28 del d.P.R. n.  448  del
  1988, in tema di sospensione del processo con messa alla prova,  ai
  delitti  previsti  dall'art.  609-bis  cod.  pen.,  nelle   ipotesi
  aggravate ai sensi dell'art. 609-ter cod. pen. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988,  n.  448
  (Approvazione delle disposizioni sul processo penale  a  carico  di
  imputati minorenni), art. 28, comma 5-bis. 


(GU n. 21 del 21-05-2025)

 
                  TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ROMA 
 
    Il Giudice dell'udienza preliminare composto da: 
      1) dr.ssa Paola Manfredonia - Presidente 
      2) dr.ssa Annarosa Porfilio - Giudice On. 
      3) dr. Roberto Saccomandi - Giudice On. 
    riunito in Camera di consiglio all'udienza del 17 aprile 2025 nel
procedimento indicato in epigrafe a carico di O K D R  ,  nato  a  il
difeso d'ufficio dall'avv. Claudia Prioreschi, ha emesso la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    All'esito delle indagini preliminari il pubblico ministero presso
questo tribunale chiedeva il rinvio a giudizio nei confronti di O K D
R imputato: 
    del reato previsto e punito dall'art. 609-bis ultimo comma  cp  e
art. 609-ter comma I nr. 5 cp,  per  aver  costretto  F  G  (di  anni
quindici al momento dei fatti)  a  subire  atti  sessuali  baciandola
contro la sua volonta' e toccandola ripetutamente sul  seno  e  nelle
parti intime - infilandole la mano sotto le mutande -  nonostante  il
diniego piu' volte espresso dalla stessa, non  in  grado  di  opporsi
validamente a causa dell'assunzione di bevande alcoliche. 
    Comm. in         il pomeriggio dell'         . 
    Fissata l'udienza al 13 marzo  2025,  sentito  l'imputato,  preso
atto  della  relazione  ex  art.  9  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 448/1988 dell'USSM e della relazione psicologica  della
UOC TSMREE Asl RM 5 di Guidonia,  il  difensore  chiedeva  sollevarsi
questione di legittimita' costituzionale  del  comma  5-bis  inserito
nell'art. 28 decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  448/1988
dalla legge  13  novembre  2023,  n.  159,  che  ha  convertito,  con
modificazioni, il decreto-legge 15 settembre 2023 n. 123 (cd. decreto
Caivano) recante «Misure urgenti di contrasto al  disagio  giovanile,
alla poverta' educativa e alla criminalita' minorile» che ha  escluso
la possibilita' di sospendere il processo con  messa  alla  prova  in
relazione a determinati reati,  tra  i  quali  la  violenza  sessuale
aggravata ai sensi dell'art. 609-ter  del  codice  penale.  Il  comma
5-bis  dell'art.  28  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
448/1988 prevede infatti che «le disposizioni di cui al comma  I  non
si applicano ai delitti previsti ...  dall'art.  609-bis  del  codice
penale, limitatamente  alle  ipotesi  aggravate  ai  sensi  dell'art.
609-ter ...». 
    Il  Collegio,  ritenuta  la  rilevanza   e   la   non   manifesta
infondatezza della questione proposta, preso atto della incompletezza
della  notifica  alla  persona  offesa  F  G  e  agli  esercenti   la
responsabilita' genitoriale, rinviava il  processo  ad  oggi  per  la
rinnovazione delle  notifiche  suindicate  riservandosi  il  deposito
dell'ordinanza. 
    All'odierna  udienza,  sciolta  la  riserva,  preso  atto   delle
conclusioni delle parti, il Collegio depositava la presente ordinanza
previa lettura del dispositivo. 
    L'imputazione contestata all'imputato riguarda il  reato  di  cui
agli articoli 609-bis e 609-ter cp, commesso in data 1° giugno 2024. 
    All'odierno imputato e', dunque, preclusa de iure la possibilita'
di essere ammesso alla prova  ai  sensi  del  comma  I  dell'art.  28
decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, ed  il  Collegio
non puo' prendere  in  considerazione  la  richiesta  avanzata  nella
memoria dal difensore,  che  dovrebbe,  pertanto,  essere  rigettata,
senza poter entrare nel  merito  della  valutazione  in  ordine  alla
relativa fattibilita' della messa alla prova. 
    Cio' premesso, occorre verificare la rilevanza  e  non  manifesta
infondatezza della questione proposta. 
    Il vaglio di rilevanza  della  questione  attiene  alla  verifica
dell'impossibilita', per il giudice  a  quo,  di  risolvere  il  caso
pratico  sottoposto  alla  sua  attenzione,  indipendentemente  dalla
risoluzione della questione stessa. 
    Sul punto della rilevanza, il  Collegio,  esaminati  gli  atti  e
sentito l'imputato, ritiene che, in assenza della disposizione di cui
al comma 5-bis dell'art. 28 decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 448/1988, avrebbe potuto valutare positivamente la  richiesta  del
difensore di messa alla prova.  Si  ritengono,  infatti,  sussistenti
tutti   i   requisiti    richiesti    dal    costante    orientamento
giurisprudenziale minorile ai fini dell'ammissione  alla  messa  alla
prova. 
    Occorre premettere che,  sulla  base  del  contenuto  degli  atti
processuali  e  delle  dichiarazioni  rese  dall'imputato,  non  puo'
pervenirsi ad una  pronuncia  di  proscioglimento  nel  merito  dello
stesso; ne' emergono elementi per ritenere insussistente la capacita'
di intendere e di volere del minore, come piu' avanti specificato. 
    Per  quanto  attiene  alla  sussistenza   dei   presupposti   per
l'ammissione all'istituto de quo, emerge  dal  contenuto  degli  atti
processuali, della denuncia  della  stessa  persona  offesa  e  dalle
dichiarazioni rese dall'imputato e dalle relazioni agli atti  che  il
compimento del reato non e' stato il prodotto di una scelta  deviante
radicata  da  parte  di  un  soggetto  minorenne  dalla  personalita'
delinquenziale  strutturata:  il  minore,  infatti,  e'  incensurato,
frequenta regolarmente la scuola e un gruppo di catechesi  presso  la
Parrocchia di zona fa parte stabilmente di una squadra di calcio;  il
contesto ambientale di appartenenza offre ampi spazi di recupero  del
minore e lo stesso e' disponibile ad aderire ad un progetto educativo
anche con l'intervento dei servizi  specialistici  della  ASL  tenuto
conto delle fragilita' cognitive dell'imputato; il fatto non presenta
i connotati dell'irrilevanza ex art. 27 decreto del Presidente  della
Repubblica  n.  448/1988,  non  potendosi  fondare  la  stessa  sulla
contestazione  dell'ultimo  comma  dell'art.  609-bis  cp,  il  quale
introduce una circostanza attenuante ad effetto speciale che  di  per
se' non e' idonea a rendere tenue, nel caso di specie, il titolo  del
reato, alla luce dell'aggravante  contestata  e  del  bene  giuridico
tutelato (liberta' sessuale di un soggetto minore  di  eta')  nonche'
delle sommarie informazioni rese dalla persona offesa F  G  circa  la
dinamica dei fatti. Anche il perdono giudiziale (sebbene in  astratto
concedibile, in quanto la pena irrogabile in concreto,  tenuto  conto
dell'ultimo  comma  dell'art.  609-bis  e  della  minore  eta',  puo'
rientrare  nei  limiti  edittali  per  la  concessione  dell'istituto
clemenziale) rappresenterebbe una definizione del processo  deteriore
a fronte dell'applicazione della messa alla prova in  quanto,  da  un
lato, la sentenza ex art. 169 cp verrebbe  annotata  sul  certificato
penale fino al compimento dei 21  anni  di  eta'  dell'imputato,  con
indubbio  pregiudizio  per  il   medesimo,   trattandosi   di   reato
«infamante» e stigmatizzante, dall'altro precluderebbe  il  tentativo
di  recupero  del  minore   anche   sul   piano   di   una   maggiore
responsabilizzazione dello stesso in relazione alla corretta gestione
della sessualita', a fronte di una sua piena resipiscenza - come piu'
avanti precisato  -  e  precluderebbe  altresi'  la  possibilita'  al
giudice di  impartire  prescrizioni  dirette  a  promuovere,  qualora
percorribile nel caso concreto, la conciliazione dell'imputato con la
persona offesa, la quale, nel processo  penale  minorile,  attraverso
l'istituto della messa alla  prova  potrebbe  beneficiare  di  azioni
riparative ovvero risarcitorie in senso lato, tenuto  conto  altresi'
dell'art. 10 decreto del Presidente della Repubblica  n.  488/88  che
regola la inammissibilita' dell'azione civile per le  restituzioni  e
il risarcimento del danno  cagionato  dal  reato.  Infine,  non  puo'
essere ignorata l'eta' dell'imputato al momento della commissione del
fatto, 14 anni e sei mesi,  caratteristica  che  fonda  ulteriormente
l'opportunita' di  un  percorso  rieducativo  e  risocializzante  del
minore attraverso l'istituto della messa alla prova. 
    L'imputato ha ammesso l'addebito sin dalla  fase  delle  indagini
preliminari, precisando di avere commesso il fatto mentre  lui  e  la
ragazza   erano   ubriachi   (entrambi   avevano   assunto   alcolici
volontariamente) e gli amici lo incitavano a toccare la  ragazza;  il
giorno dopo le ha chiesto scusa e anche il giorno successivo,  quando
aveva saputo che girava voce all'interno della scuola che  lui  aveva
«stuprato» G . L'imputato ha dichiarato di avere chiesto scusa  anche
alla sorella della persona offesa, circostanza confermata dalla madre
di quest'ultima, sentita a sommarie informazioni. 
    Anche dal  contenuto  della  denuncia  della  persona  offesa  e'
evidente la resipiscenza del minore: la persona offesa dopo  i  fatti
incontra due volte l'imputato, lui si scusa ribadendo che quel giorno
non aveva capito nulla perche' era ubriaco e si  scusa  nuovamente  a
scuola, lei gli chiede come avrebbe reagito  se  alla  sorella  fosse
successa la stessa cosa e  lui  le  risponde  che  avrebbe  picchiato
l'autore della violenza e che i genitori avrebbero  sporto  denuncia.
Agli atti sono  presenti  screenshots  dei  messaggi  intercorsi  tra
l'imputato e la persona offesa dai quali emerge anche  il  timore  da
parte dell'imputato di essere picchiato  dagli  amici  della  persona
offesa, circostanza che  fonda  ulteriormente  la  consapevolezza  da
parte dell'imputato del disvalore di quanto commesso e, dunque, della
sua piena capacita' di intendere e di volere. 
    Sussiste, pertanto, una rimeditazione critica rispetto  al  reato
contestato autentica e non strumentale ed espressa  immediatamente  e
direttamente alla persona offesa all'indomani dei fatti accaduti  con
lealta' e spontaneita' e prima ancora che venisse sporta denuncia. 
    Il Collegio ritiene dunque la sussistenza di tutti i requisiti di
merito in astratto  necessari  per  l'ammissione  dell'imputato  alla
messa alla prova prevista dall'art. 28 decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 448/1988. 
    La previsione di cui al comma 5-bis  introdotto  dalla  legge  13
novembre 2023, n. 159, non consente la sospensione del processo e  la
messa alla prova dell'odierno imputato avendo lo stesso  commesso  un
reato divenuto ostativo, neanche sotto il profilo di una  valutazione
di  un  progetto  di  intervento  elaborato  dai   servizi   minorili
dell'amministrazione della giustizia in collaborazione con i  servizi
socio-assistenziali degli enti locali, come previsto dall'art. 27 del
decreto legislativo n. 272/1989. 
    L'istituto della messa alla prova e' strutturato in base all'idea
che la stessa non debba incontrare limiti quanto alla  tipologia  dei
reati al punto che, in base alle indicazioni contenute nella sentenza
n. 412/90 della Corte  costituzionale,  che  dichiaro'  infondata  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  in  relazione
all'art. 3 Cost. a carico degli articoli 28 e 30 nella parte  in  cui
non prevedevano  per  i  reati  puniti  con  la  pena  dell'ergastolo
l'applicabilita' della messa alla prova, furono introdotte  dall'art.
44 decreto legislativo n. 12/1991 al  primo  comma  dell'art.  28  le
parole «dell'ergastolo o» aggiungendo cosi' alla previsione  relativa
alla durata della prova la menzione esplicita dell'ergastolo  accanto
alla  reclusione,  chiarendo  che  la  gravita'  del  reato  non   e'
astrattamente preclusiva dell'applicazione  dell'istituto,  superando
le iniziali  perplessita'  circa  la  presenza  di  eventuali  limiti
all'esercizio  del  generale  potere  discrezionale  del  giudice  di
disporre la messa alla prova. 
    Ed  e'  proprio  su  tale  potere  discrezionale  che  la   Corte
costituzionale,  con   sentenza   n.   139/2020,   ha   ulteriormente
specificato la peculiarita' dell'istituto: «la messa alla  prova  del
minore e' prevista  per  tutti  i  reati  anche  quelli  di  gravita'
massima, rispetto ai quali  l'ordinamento  sospende  il  processo  in
vista dell'eventuale estinzione del  reato  per  finalita'  puramente
rieducative, quindi non perche' l'imputato lo richieda e il  pubblico
ministero vi consenta, ma solo perche',  ed  in  quanto,  lo  ritenga
opportuno  un  giudice   strutturalmente   idoneo   a   valutare   la
personalita' del minore». 
    Nelle   prassi   applicative,   l'esercizio   di   tale    potere
discrezionale da' luogo anche  ad  una  esclusione  dell'applicazione
della messa alla prova nei casi di reati di massima gravita', e/o  in
relazione ad  imputati  con  personalita'  deviante  strutturata  non
potendosi ritenere la concessione dell'istituto da parte dei  giudici
minorili un mero automatismo processuale. 
    Da ultimo, la recente  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
23/2025 ha ribadito come la  messa  alla  prova,  quale  istituto  di
protezione della gioventu', ai sensi  dell'art.  31,  secondo  comma,
Cost., abbia «lo scopo primario di favorire l'uscita del  minore  dal
circuito penale, la piu' rapida possibile, soprattutto attraverso una
riflessione critica del giovane, sul proprio  vissuto  e  la  propria
condotta, in mancanza della quale l'istituto stesso diverrebbe  mezzo
di  pura  deflazione,  tra  l'altro  stimolando,  per  una  sorta  di
eterogenesi   dei   fini,   calcoli   opportunistici    dell'indagato
minorenne». 
    Per quanto attiene al profilo della non  manifesta  infondatezza,
il giudice a quo non e' chiamato a pronunciarsi  sulla  fondatezza  o
meno, esame che e' appunto rimesso alla sola Corte costituzionale, ma
deve  semplicemente  respingere  la  questione  quando  si   presenti
palesemente  priva   di   ogni   fondamento   giuridico.   La   Corte
costituzionale ha poi  aggiunto  che  il  giudice  a  quo,  prima  di
rimettere    la    questione,    deve     preliminarmente     tentare
l'interpretazione conforme a Costituzione, che tuttavia nel  caso  in
esame non appare possibile, in  quanto  tale  operazione  ermeneutica
comporterebbe  l'applicazione  di  un   istituto   in   presenza   di
imputazioni  espressamente  escluse  dal  comma  5-bis  dell'art.  28
decreto del Presidente della  Repubblica  n.  448/1988.  Il  Collegio
ritiene la non manifesta infondatezza della questione innanzitutto in
relazione  alla  violazione  dell'art.  31,  comma   secondo,   della
Costituzione.  La  preclusione  introdotta  dalla  norma   in   esame
contrasta non solo con la ratio originaria  dell'istituto,  ma  anche
con  tutto  l'impianto  normativo  che  regola  il  processo   penale
minorile, basandosi su una sorta di «non riducibilita'  presunta»  di
alcuni imputati minorenni fondata esclusivamente sulla commissione di
determinati reati  e  a  prescindere  dalla  valutazione  della  loro
personalita'  in  netto  contrasto  anche   con   il   principio   di
individualizzazione espresso dall'art 9 decreto del Presidente  della
Repubblica n. 448/1988 che permea l'intero processo  penale  minorile
sin dalla fase delle indagini preliminari e sino alla fase  esecutiva
della sentenza di condanna, come evidenziato dal decreto  legislativo
n. 121/2018. 
    Il  processo  penale  minorile  trova   il   proprio   fondamento
costituzionale nel combinato  disposto  degli  articoli  27  comma  3
secondo cui «Le pene non possono consistere in  trattamenti  contrari
al  senso  di  umanita'  e  devono  tendere  alla  rieducazione   del
condannato» e nell'art. 31, comma 2, della  Costituzione  che  recita
«La Repubblica protegge la maternita',  l'infanzia  e  la  gioventu',
favorendo gli istituti necessari a tale scopo» affidando, dunque,  al
Legislatore il compito di  individuare  per  gli  imputati  minorenni
strumenti sanzionatori che ne favoriscano il recupero  tenendo  conto
della specificita' della  loro  condizione  psicofisica  e  del  loro
livello evolutivo ed e',  di  conseguenza,  volto  principalmente  al
recupero del minore autore di reato, mediante la sua  rieducazione  e
il  suo  reinserimento  sociale,  anche   attraverso   l'attenuazione
dell'offensivita' del  processo  e  la  sua  rapida  fuoriuscita  dal
circuito penale, come piu' volte la Corte costituzionale ha affermato
(cfr. sentenze nn. 125 del 1992, 206 del 1987 e 222 del 1983). 
    Al fine del perseguimento di tali finalita' e dell'individuazione
della migliore risposta del sistema alla  commissione  del  reato  da
parte di un soggetto in formazione e in continua evoluzione, quale e'
il soggetto di minore eta', il  giudice  e'  chiamato,  di  volta  in
volta,   ad   esaminare   la   sua   personalita'    (principio    di
individualizzazione sopra richiamato). 
    Infatti, in ogni stato e grado del  procedimento  minorile,  come
statuito dall'art. 9 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
448/1988, l'Autorita' giudiziaria deve acquisire «elementi  circa  le
condizioni e le risorse personali, familiari,  sociali  e  ambientali
del minorenne al fine di accertarne l'imputabilita'  e  il  grado  di
responsabilita', valutare la  rilevanza  sociale  del  fatto  nonche'
disporre  le  adeguate  misure  penali  e  adottare   gli   eventuali
provvedimenti civili». 
    La messa alla prova e', dunque, uno dei principali strumenti  che
consente al giudice di valutare  compiutamente  la  personalita'  del
minore, sotto  l'aspetto  psichico,  sociale  e  ambientale,  in  una
prospettiva dinamica, anche ai fini dell'apprezzamento dei  risultati
degli interventi di sostegno disposti. Se, infatti,  la  personalita'
del minorenne e' avviata a possibile cambiamento  (come  emerge,  nel
caso di specie,  dalla  relazioni  dell'USSM  redatta  nei  confronti
dell'imputato)  e,  all'esito   dello   svolgimento   del   programma
trattamentale di messa alla prova, il minorenne abbia dato prova  del
superamento delle situazioni (anche sotto il profilo psicologico) che
hanno portato alla commissione del reato, l'ordinamento  prevede  che
il giudice possa dichiarare estinto il reato per esito positivo della
disposta prova ai sensi dell'art. 29  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 448/1988, essendo venuto meno l'interesse alla  pretesa
punitiva per il raggiungimento delle finalita' di recupero del minore
e del suo reinserimento sociale. 
    I tempi di durata previsti per la messa alla prova  (sino  a  tre
anni per i delitti piu' gravi), la possibilita'  che  la  stessa  sia
svolta per tutta la durata all'interno di comunita' di tipo educativo
o  terapeutico  (per  la  cura  delle  dipendenze  o   dei   disturbi
psichiatrici, realizzando, cosi', anche  la  finalita'  della  tutela
della salute), la possibilita' di verifiche intermedie dell'andamento
del percorso, cosi' come la  revocabilita'  della  sospensione  e  la
ripresa del processo, rappresentano elementi idonei a verificare, nel
tempo,   la   serieta'   dell'impegno   dell'imputato,   scongiurando
strumentalizzazioni dell'istituto e adesioni «di comodo» al  progetto
in  una  ottica  dinamica  della  osservazione  della   personalita'.
Inoltre, la possibilita' di inserire,  nel  progetto  di  messa  alla
prova, importanti momenti di confronto con i servizi specialistici (a
seconda dei casi, Consultorio Familiare, Neuropsichiatria  Infantile,
SERD presso le Aziende Sanitarie Locali) e di  supporto  psicologico,
utili,  in  particolare,  nei  delitti  caratterizzati  da  dinamiche
affettive disfunzionali (come spesso rilevabile nei casi di  violenza
sessuale,   maltrattamenti   in   famiglia   e   nei    delitti    di
pedopornografia) riduce il rischio di recidiva con indubbio beneficio
della generalita' dei consociati. 
    Come ampiamente argomentato  dalla  Corte  costituzionale,  nella
sentenza n. 125 del  1995  «la  messa  alla  prova,  in  conclusione,
costituisce, nell'ambito degli istituti di favore tipici del processo
penale  a  carico  dei  minorenni,  uno   strumento   particolarmente
qualificante, rispondendo, forse piu' di ogni  altro,  alle  indicate
finalita' della giustizia minorile». 
    Prevedere un catalogo di reati  (tra  cui  la  violenza  sessuale
aggravata in esame) in relazione ai quali e'  preclusa  iuris  et  de
iure all'imputato la possibilita'  di  accesso  a  questo  importante
istituto di recupero e reinserimento sociale, senza  possibilita'  da
parte del giudice di valutare nel merito la richiesta, neanche  sotto
il profilo della valutazione di una mera fattibilita', costituisce un
vulnus non solo di tutela e protezione del minore autore  del  reato,
ma anche dell'intera collettivita' contro i rischi di  una  possibile
recidiva, anche sotto il profilo, come sopra  indicato,  di  impedire
l'avvio di processi di mediazione penale e/o di giustizia  riparativa
con la persona offesa dal momento che i progetti di messa alla  prova
possono coinvolgere anche le persone offese, soprattutto se minorenni
e vittime di particolari reati, quale  quello  in  esame,  prevedendo
specifiche prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e
a promuovere la conciliazione, ove ne ricorrano le condizioni. 
    E' stata la stessa Corte costituzionale, sia pure  nella  diversa
materia  della   esecuzione   della   pena   detentiva,   dichiarando
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9,  lettera  a),
del codice di procedura penale, per violazione dell'art. 31,  secondo
comma, della Costituzione, nella  parte  in  cui  non  consentiva  la
sospensione della esecuzione della pena detentiva nei  confronti  dei
minorenni condannati per i delitti ivi elencati (ossia quelli di  cui
all'art. 4-bis legge  354/1975),  ad  escludere  la  possibilita'  di
prevedere nei confronti dei minori «un rigido automatismo, fondato su
una presunzione di pericolosita' legata al titolo del reato commesso,
che esclude la valutazione  del  caso  concreto  e  delle  specifiche
esigenze del minore» (sentenza n. 90 del 28 aprile 2017). 
    La Corte costituzionale ha sempre ribadito che  il  fulcro  della
giustizia  minorile  consiste  in  valutazioni  fondate  su  prognosi
individualizzate, in grado di assolvere al compito del  recupero  del
minore  deviante.  E',   infatti,   costante   nella   giurisprudenza
costituzionale  l'affermazione  della  esigenza  che  il  sistema  di
giustizia minorile sia caratterizzato fra l'altro  dalla  «necessita'
di valutazioni, da parte dello stesso giudice,  fondate  su  prognosi
individualizzate  in  funzione  del  recupero  del  minore  deviante»
(sentenze n. 143 del 1966, n. 182 del 1991, n. 128 del 1987,  n.  222
del 1983 e n. 46 del 1978), esattamente su «prognosi  particolarmente
individualizzate» (sentenza n. 78 del 1989), questo essendo «l'ambito
di quella protezione della gioventu' che trova fondamento nell'ultimo
comma 31 Cost.» (sentenze n. 128 del 1987 e n. 222 del 1983): vale  a
dire della «esigenza di specifica individualizzazione e flessibilita'
del trattamento che l'evolutivita' della personalita' del minore e la
preminenza della funzione rieducativa richiedono»  (sentenza  n.  125
del 1992). 
    In questa cornice si colloca  la  citata  pronuncia  della  Corte
costituzionale n. 139 del 6 luglio 2020 che, mettendo in relazione la
messa alla prova dell'adulto con la messa alla prova  del  minorenne,
ha statuito: «la messa alla prova del minore e' prevista per tutti  i
reati  anche  quelli  di  gravita'   massima,   rispetto   ai   quali
l'ordinamento sospende il processo in vista dell'eventuale estinzione
del reato per finalita' puramente  rieducative,  quindi  non  perche'
l'imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta,  ma  solo
perche',  ed   in   quanto,   lo   ritenga   opportuno   un   giudice
strutturalmente idoneo a valutare la  personalita'  del  minore».  La
Corte   costituzionale   ha   anche   sottolineato    l'eterogeneita'
teleologica tra la messa alla prova del minore e quella  dell'adulto,
poiche' quest'ultima  ha  una  innegabile  componente  sanzionatoria,
mentre l'altra ha funzione esclusivamente rieducativa (sentenze n. 75
del 2020 e n. 68 del 2019). 
    La previsione ex lege del divieto assoluto di accesso alla  messa
alla prova, nei casi di violenza sessuale aggravata,  appare  inoltre
contrastare  con  l'art.  31,  comma  secondo,  della   Costituzione,
sottraendo al vaglio di un giudice specializzato e  interdisciplinare
la possibilita' di valutare, caso per caso, la particolare condizione
del minore imputato, per rendere  la  risposta  del  processo  penale
minorile aderente alla sua personalita'  e  maggiormente  rispondente
alla finalita' rieducative, di recupero e  di  reinserimento  sociale
del minore autore di reato. 
    Gli  insegnamenti  della  Consulta  si  conformano  altresi',  ai
principi  espressi  in  numerosi  atti  internazionali.  Sul   punto,
infatti, si sono espresse le Nazioni Unite, il Consiglio  d'Europa  e
le istituzioni europee. In merito,  vale  la  pena  di  ricordare  le
regole minime per l'amministrazione della  giustizia  minorile,  c.d.
regole di Pechino - Standard Minimum Rules for the Administration  of
Juvenile Justice - (approvate dall'Assemblea Generale  delle  Nazioni
Unite in data 29 novembre 1985), che, riconoscendo la  necessita'  di
uno specifico sistema di giustizia minorile e anche i rischi connessi
al contatto del minore con la giustizia, raccomandano di  ridurre  al
minimo l'intervento giudiziario nei confronti dei  minori  autori  di
reato, privilegiando  le  politiche  sociali  e  la  prevenzione.  In
particolare, attribuiscono un forte ruolo  al  sistema  dei  servizi,
verso il quale il minore deviante dovrebbe poter  essere  indirizzato
col suo consenso dall'autorita' giudiziaria minorile e  dalla  stessa
polizia. La ricomposizione del conflitto sociale tra minore e vittima
e' caldamente raccomandata e deve essere attuata con azioni dirette a
riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con
la persona offesa. 
    Di analoga ispirazione sono le regole ONU per la  protezione  dei
minori privati  della  liberta'  (approvate  dall'Assemblea  Generale
delle  Nazioni  Unite  in  data  14  dicembre  1990),   c.d.   regole
dell'Havana,  la  Raccomandazione  del  Comitato  dei  Ministri   del
Consiglio  d'Europa  in  data  5  novembre  2008  sulle  regole   del
trattamento per i condannati minorenni  sottoposti  a  sanzioni  o  a
misure restrittive della liberta' personale, le linee  guida  su  una
giustizia a misura di minore  adottate  dal  Consiglio  d'Europa  nel
2010, nonche',  da  ultimo,  la  direttiva  2016/800  del  Parlamento
europeo  e  del  Consiglio  dell'11  maggio   2016   sulle   garanzie
procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti  penali
e la direttiva 2012/29/UE (c.d. Direttiva vittime). 
    Le  indicazioni  che  accomunano  tutti  gli  atti  citati   sono
essenzialmente riconducibili all'esigenza che le autorita'  nazionali
ricorrano alla privazione della  liberta'  personale  del  condannato
minorenne quale misura di ultima istanza. Si richiede,  inoltre,  che
venga sempre privilegiato il ricorso alle misure alternative, che  il
minore detenuto sia collocato in istituti separati rispetto a  quelli
degli adulti e che gli venga garantito un  trattamento  penitenziario
specificamente disegnato sulle sue peculiari necessita'. 
    Si rilevano, pertanto, ragioni di contrasto con l'art. 117  primo
comma   della   Costituzione   considerati   i   vincoli    derivanti
dall'ordinamento  comunitario  sopra  specificato  e  dagli  obblighi
internazionali che ne conseguono. 
    Inoltre, si rilevano profili di irragionevolezza del criterio  di
esclusione dei reati resi «ostativi» alla messa alla prova,  che  non
sono necessariamente i piu' gravi.  Solo  a  titolo  esemplificativo,
resta attuale la possibilita' di  valutare  l'istituto  giuridico  in
esame per i reati di cui all'art. 416-bis cp  (Associazioni  di  tipo
mafioso anche straniere), aggravato ex  art.  416-bis.1  cp,  e  agli
articoli 422 cp (Strage), 629 comma secondo cp (Estorsione aggravata)
e 630 cp (Sequestro di persona a scopo di estorsione). 
    Sostenere  la  possibilita'  di  operare  un  contemperamento  ai
principi  sopra  enucleati  per  consentire   al   giudice   minorile
valutazioni fondate su prognosi particolarmente  individualizzate  in
relazione ad alcuni delitti connotati da  particolare  violenza  alla
persona ritenuti «ostativi» alla messa alla prova (sempre richiamando
i principi della Corte costituzionale che ha espressamente dichiarato
l'illegittimita' di tale modo di procedere, ad esempio in riferimento
ai reati «ostativi» ex art. 4-bis della legge 375/1975), sarebbe  del
tutto irragionevole ed  in  palese  contrasto,  ad  esempio,  con  la
legislazione antimafia. 
    La previsione di reati ostativi all'applicazione della messa alla
prova non consente di assicurare uniformemente la  portata  educativa
della risposta penale  minorile,  riesuma  larvatamente  la  funzione
retributiva della  giustizia  penale  soltanto  per  alcuni  reati  e
impedisce che possa essere valutata  la  personalita'  del  minorenne
autore del fatto. 
    Il  ricorso  allo  strumento  penale  retributivo   non   appare,
pertanto, come la soluzione al problema della  commissione  di  reati
gravi, ma piuttosto come la prova di un  insuccesso  delle  strutture
sociali quali la famiglia,  la  scuola,  le  associazioni  culturali,
assistenziali,   sportive   e   di   una   pericolosa   rassegnazione
all'intervento meramente  punitivo,  quasi  sempre  inutile,  se  non
dannoso nel percorso evolutivo di un soggetto minore di eta'. 
    Si evidenziano, quindi, anche profili di contrasto con  l'art.  3
della Costituzione, nella misura in cui imputati di reati anche  piu'
gravi, in considerazione della pena edittale prevista e del rilevante
allarme sociale che determinano (ad esempio, reati ex articoli 422  e
630 c.p.), ovvero perche' rientranti nella legislazione antimafia (ex
art. 416-bis codice penale o aggravati  dall'art.  416-bis  1  c.p.),
avrebbero  accesso  all'istituto  della  messa  alla  prova,  negato,
invece, all'odierno imputato. 
    Tale disparita' di trattamento non sarebbe, dunque, supportata da
criteri di ragionevolezza nelle scelte legislative, sempre qualora si
ritenesse di consentirle nella  materia  in  esame  in  relazione  al
principale ed assorbente contrasto con l'art. 31 secondo comma e  117
primo comma della Costituzione. 
    L'eventuale  e  tutto  da  dimostrare  aumento  quantitativo   di
imputazioni per i reati ostativi alla messa  alla  prova  individuati
dal Legislatore renderebbe  ancor  di  piu'  necessaria  una  analisi
approfondita  ed  individualizzata  della  personalita'  del   minore
imputato, del suo contesto familiare e  sociale  di  provenienza  per
cogliere le motivazioni del comportamento deviante,  le  sfumature  e
l'intensita' del dolo, la presenza di eventuali dinamiche di  gruppo,
per potere infine giungere, nel merito, ad ammettere od escludere  la
messa alla prova, caso per caso e in relazione non soltanto al titolo
di reato contestato  che  finirebbe,  come  esplicitato  dalla  Corte
costituzionale nella  citata  sentenza  n.  23/2025  con  riferimento
all'istituto di cui all'art.  27-bis  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 448/1988, «per apparire come  l'unico  dato  certo  sul
minore». 
    In  conclusione,  il  comma  5-bis  dell'art.  28   decreto   del
Presidente della Repubblica n.  448/1988  impedisce  al  Collegio  di
valutare  la  presenza  dei  presupposti  per  la   sospensione   del
procedimento e  messa  alla  prova,  con  grave  pregiudizio  per  le
esigenze di recupero e di  reinserimento  sociale  dell'imputato,  in
violazione dell'art. 31 secondo comma, 117  primo  comma  e  3  della
Costituzione per i profili di irragionevolezza sopra enucleati. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei   termini   dinanzi   indicati,   questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 28, comma 5-bis, del decreto del  Presidente
della Repubblica n.  448/1988  per  contrasto  con  gli  articoli  31
secondo comma, 117 primo comma e 3 della Costituzione, nella parte in
cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai
delitti previsti dall'art. 609-bis del  codice  penale  limitatamente
alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 609-ter del codice penale. 
    Sospende il procedimento penale in corso  e  dispone  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' a O K  D
R , ai suoi genitori e al difensore e al pubblico ministero. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, l'ordinanza sia  comunicata
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Segnala che, a norma dell'art.  52  del  decreto  legislativo  n.
196/2003 e successive modifiche, in caso di diffusione  del  presente
provvedimento dovranno essere omessi le generalita' e gli altri  dati
identificativi dei minorenni. 
      Roma, 17 aprile 2025 
 
                     Il Presidente: Manfredonia