Reg. ord. n. 90 del 2025 pubbl. su G.U. del 21/05/2025 n. 21
Ordinanza del Tribunale di Torino del 09/04/2025
Tra: D. R.
Oggetto:
Reati e pene – Abrogazione dell’art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio) – Inosservanza degli obblighi internazionali, in relazione agli artt. 7, paragrafo 4, 19 e 65 della Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 (cosiddetta Convenzione di Merida).
Norme impugnate:
legge
del 09/08/2024
Num. 114
Art. 1
Co. 1
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 11
Co.
Costituzione
Art. 117
Co. 1
Convenzione ONU contro la corruzione del 2003
Art. 7
Co.
Convenzione ONU contro la corruzione del 2003
Art. 19
Co.
Convenzione ONU contro la corruzione del 2003
Art. 65
Co.
Testo dell'ordinanza
N. 90 ORDINANZA (Atto di promovimento) 09 aprile 2025
Ordinanza del 9 aprile 2025 del Tribunale di Torino nel procedimento
penale a carico di D. R. e G. S..
Reati e pene - Abrogazione dell'art. 323 del codice penale (Abuso
d'ufficio).
- Legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice
di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice
dell'ordinamento militare), art. 1, comma 1, lettera b).
(GU n. 21 del 21-05-2025)
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
Sezione terza penale
Il Tribunale, composto dai seguenti magistrati:
dott. Paolo Gallo - Presidente;
dott.ssa Elena Rocci - giudice;
dott.ssa Giulia Maccari - giudice,
alla pubblica udienza del 9 aprile 2025 ha pronunciato la
seguente ordinanza nella causa penale contro:
1) R D , nato il a , elettivamente
domiciliato presso l'avv. Paolo Botasso del Foro di Cuneo - avv.ti
Paolo Botasso del Foro di Cuneo e Federico Burlando del Foro di
Torino;
2) S G , nata il a , elettivamente
domiciliata presso il difensore - avv. Gino Obert del Foro di Torino.
Imputati dei reati di cui al decreto dispositivo del giudizio
emesso dal G.U.P. di questo Tribunale in data 28 novembre 2023.
In esito all'istruttoria dibattimentale,
Osserva
1. Sintesi dei fatti di causa. rilevanza della questione.
Alla stregua delle prove acquisite, e impregiudicata ogni diversa
ricostruzione e valutazione in sede di decisione di merito,
dall'istruttoria espletata emerge quanto segue.
Il processo ha ad oggetto una serie di comportamenti materiali ed
atti amministrativi adottati nell'anno dal sindaco del Comune
di -l'imputato R D - e sfociata, all'inizio
del , in provvedimenti lesivi della posizione professionale di
due responsabili amministrativi del medesimo Comune: Z P
e G G
1-a): vicende relative a Z P
Nell'estate si stava svolgendo nel Comune di un
concorso pubblico per l'assunzione di un «istruttore
amministrativo-contabile». Al concorso prese parte l'imputata S
G , che con il sindaco R aveva rapporti personali
improntati a viva cordialita' (1) La commissione esaminatrice era
composta dal segretario comunale P C (presidente) e da
due responsabili amministrativi del comune: i dottori L G
e P Z . Quest'ultimo predispose i quiz a risposta
plurima da somministrare ai candidati per la prova preselettiva, e
nella mattinata del li consegno' al presidente di commissione
P . Nell'occasione era presente anche il sindaco R , il
quale chiese a Z di visionare i quesiti. Z oppose un
rifiuto, facendo rilevare che i quesiti erano segreti, ma il
segretario comunale appoggio' la richiesta, sostenendo che nella sua
qualita' di sindaco il R poteva prendere visione dei test. Alla
fine Z si tacque e consegno' i test al P ; quest'ultimo
li «giro'» seduta stante al sindaco R , che li visiono' per
circa un quarto d'ora (v. dep. Z , pagg. 29 - 31 della
trascrizione).
Alle ore dello stesso giorno riprese il dialogo WhatsApp
tra il sindaco R e la candidata S
R : «Ciao G come va? Sei alle prese con lo studio?».
S : «Eh si', D Sono un po' stanca ... Sale anche l'ansia
... ».
R : «Se posso darti un consiglio, preparati su domande di
logica e cultura generale e sul tecnico sugli appalti e sul TUEL
(funzioni organi competenti e sugli articoli legati al bilancio).».
Nel pomeriggio Z P : denuncio' ai Carabinieri quanto
era accaduto poche ore prima.
Il successivo , negli uffici del Comune di il sindaco
R e il segretario comunale P , raggiunti da personale
dell'Arma dei Carabinieri, furono informati di essere sottoposti a
indagini per concorso in rivelazione di segreti d'ufficio e furono
invitati a nominare un difensore ed eleggere domicilio per le
notificazioni (v. verbali in atti).
1-b): vicende relative a G G
Sono descritte nel verbale di s.i. del predetto in data 8 gennaio
2021, acquisito agli atti su accordo delle parti, e sono coeve a
quelle narrate da Z nell'autunno era in corso di redazione il
nuovo piano regolatore del Comune di , per il quale erano stati
incaricati il responsabile dell'Area «territorio», G G ,
e due professionisti esterni, gli architetti C M e F
B .
Nell'imminenza del deposito del piano, in data il sindaco
R telefono' a G e gli chiese di accertare e riferire se,
con le nuove norme, sarebbero stati fattibili alcuni interventi sul
territorio a cui erano interessate due imprese: le ditte C
(recupero inerti) e G (centri commerciali).
G tento' di sottarsi alla richiesta rispondendo che gli
sembrava prematura: il sindaco R «ando' su tutte le furie» e
aggiunse che lui era il sindaco e gli si doveva obbedienza.
Avuta poi copia del nuovo piano, e prima che la Giunta lo
approvasse, R chiese a G di apportarvi alcune modifiche,
«giusto nella parte riguardante le aziende citate» (verbale 8 gennaio
2021, pag. 2).
A quel punto intervennero anche i due professionisti esterni per
esprimere il loro stupore.
Segui' un incontro dai toni molto accesi, in esito al quale gli
incaricati della redazione del piano dissero al sindaco che non
intendevano recepire i «compitini fatti da altri» (ibidem). Il piano
regolatore fu infine approvato nella sua veste originaria, senza
variazioni.
1-c): la riorganizzazione dei servizi comunali nelle feste
natalizie del
Trascorsi pochi giorni dopo i fatti sin qui sintetizzati, in
data fu reso noto che nella seduta della giunta comunale del
sarebbe stata deliberata una urgente riorganizzazione dei servizi
del Comune di
In effetti il convocata in videoconferenza, la giunta
(sindaco, vicesindaco e tre assessori) delibero' quanto segue (v.
delibera del , agli atti in copia): «per una maggiore
efficienza, efficacia ed economicita'» i servizi dell'amministrazione
comunale, che fino a quel momento erano sei, vennero ridotti a
quattro. Piu' in particolare vennero soppressi:
1) il servizio segreteria e affari generali - demografico,
fino ad allora diretto da Z P ;
2) il servizio tecnico - lavori pubblici e manutenzione, fino
ad allora diretto da G G .
Le loro competenze vennero accorpate a quelle degli altri quattro
servizi che rimanevano in vita. La delibera fu dichiarata urgente e
di immediata esecutivita'. Ben quattro responsabili di servizio su
sei (=non solo Z e G , ma anche le dottoresse D F
e L G ) reagirono immediatamente: lo stesso
inoltrarono a sindaco, giunta e consiglio comunale una missiva in cui
lamentavano che la riorganizzazione fosse stata «decisa
improvvisamente» e «senza nessun confronto e coinvolgimento
preventivo ... dei funzionari interessati», senza considerare la
necessita' di adeguare le strutture (software ecc.) e dilapidando il
patrimonio di esperienza dei due responsabili che venivano privati
del loro servizio. La missiva affermava infine che la delibera andava
in «direzione opposta all'asserito intento di miglioramento
dell'efficacia, efficienza ed economicita' dell'organizzazione
dell'ente».
Pochi giorni dopo segui' l'attuazione della riorganizzazione: con
quattro identici provvedimenti del , privi di motivazione, il
sindaco R designo' i responsabili dei quattro servizi
superstiti, escludendo proprio Z e G .
Costoro persero percio' le loro posizioni di responsabili di
servizio e con esse le correlate indennita' e chances.
I testi M e Z (pagg. 13 e 49 trascrizione ud. 3
dicembre 2024) hanno infine riferito che, qualche tempo dopo, la
descritta riorganizzazione fu sconfessata dagli stessi organi
comunali, i quali re-istituirono il servizio segreteria e affidarono
la gestione del personale a una ditta esterna.
La pubblica accusa -e il G.U.P. che ha disposto il rinvio a
giudizio degli imputati- hanno ritenuto che gli atti di nomina dei
capi-servizio abbiano avuto funzione meramente ritorsiva nei
confronti dei due responsabili di servizio -Z e G - i
quali, rispettivamente, avevano denunciato la violazione del segreto
d'ufficio e si erano opposti alle iniziative del sindaco R
durante la redazione del nuovo piano regolatore. Siffatto intento
ritorsivo, sempre secondo l'impostazione accusatoria, fu perseguito
con atti compiuti in violazione di specifiche disposizioni di legge.
Precisamente:
gli articoli l, 2, 5 e 6 del decreto legislativo n. 165/2001
(«Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche»), perche' gli atti di nomina dei
capi-servizio avevano funzione essenzialmente discriminatoria e non
satisfattiva del pubblico interesse;
l'art. 3 legge n. 241/1990, trattandosi di provvedimenti
privi di motivazione; la pubblica accusa ha evidenziato che in tali
provvedimenti mancava ogni valutazione comparativa -titoli,
anzianita' di servizio ecc.- dei sei funzionari in servizio,
valutazione che era assolutamente necessaria al fine di individuare i
quattro soggetti destinati a mantenere la posizione di responsabile e
i due destinati a perderla;
l'art. 54-bis del gia' citato decreto legislativo n.
165/2001, perche' i citati decreti erano stati emessi in violazione
del divieto di adottare provvedimenti lesivi del pubblico dipendente
autore di una segnalazione all'autorita' giudiziaria (c.d.
whistleblower).
Conseguenza di tutto quanto esposto sin qui e' stato il rinvio a
giudizio del sindaco R D affinche' risponda -tra l'altro-
del delitto di cui all'art. 323 c.p.: si veda il capo 4) del decreto
di rinvio a giudizio del 28 novembre 2023.
La decisione di questo collegio e' percio' condizionata in
maniera decisiva dalla soluzione del quesito relativo alla
legittimita' costituzionale della recente disposizione -l'art. 1,
comma 1, lett. b) della legge 9 agosto 2024, n. 114- con cui il
legislatore ha radicalmente abolito il delitto di abuso d'ufficio di
cui all'art. 323 c.p.
2. Sull'ammissibilita' della questione.
Come pare ormai chiaro, questo collegio dubita che la norma
abrogativa del delitto di abuso d'ufficio sia conforme alla nostra
costituzione. La presente ordinanza tende a una declaratoria di
illegittimita' costituzionale del citato art. 1, comma 1, lettera b),
legge 9 agosto 2024, n. 114, alla sua caducazione e alla conseguente
«reviviscenza» dell'art. 323 c.p.
Si pone percio' un tema di ammissibilita' della presente
questione di costituzionalita', e cio' in relazione al fatto che -in
linea generale- si ritiene inammissibile un intervento della Corte
costituzionale che sia volto a ripristinare una norma penale abrogata
dal legislatore (v. Corte cost., sentenza n. 8 del 2022, paragrafo
7).
Tale criterio generale soffre peraltro di eccezioni in alcune
categorie di ipotesi individuate dalla giurisprudenza costituzionale.
Questo collegio non intende ripetere argomenti ormai noti; si
permette percio' di sintetizzare e far proprie le considerazioni gia'
esaustivamente esposte dal Tribunale di Firenze nella sua ampia e
argomentata ordinanza del 24 settembre 2024 (con cui e' stata
proposta la medesima questione di costituzionalita' qui sollevata):
la giurisprudenza costituzionale ammette proprie sentenze
ripristinatrici di norme penali abrogate dal legislatore in almeno
quattro categorie di ipotesi; esse si trovano elencate al paragrafo
7.1 della sentenza Corte costituzionale n. 37 del 2019 e ricorrono:
1) quando il legislatore introduca, in violazione del
principio di eguaglianza, irragionevoli aree di impunita' -ovvero di
favorevole trattamento penale- rispetto a quella che e' la generale
rilevanza penale di una classe di condotte;
2) quando il legislatore eserciti scorrettamente il potere
legislativo, ad esempio disattendendo i criteri per la legislazione
delegata ovvero i presupposti per la decretazione d'urgenza;
3) quando il ripristino di una determinata disciplina
sanzionatoria sia la mera conseguenza della caducazione -per
illegittimita' costituzionale- di una norma processuale;
4) quando infine il legislatore abbia legiferato violando
obblighi sovranazionali tutelati dagli articoli 11 e/o 117 comma
primo della Carta costituzionale. Il tema e' affrontato dalla Corte
anche nelle sentenze n. 28 del 2010 e 32 del 2014: in quest'ultima
(par. 5 del «considerato in diritto») la Consulta afferma
espressamente che, se non si ri-espandesse la sfera di applicazione
delle norme penali illegittimamente abrogate dal legislatore,
«resterebbero non punite alcune tipologie di condotte per le quali
sussiste un obbligo sovranazionale di penalizzazione ... che l
'Italia e' tenuta a rispettare in virtu' degli art. 11 e 117 primo
comma, Cost.».
E' esattamente questa l'ipotesi che -si ritiene- ricorre nella
vicenda ora in esame.
3. Sulla non manifesta infondatezza.
La presente ordinanza non e' certo la prima a sollevare il
problema della compatibilita' dell'abrogazione dell'abuso d'ufficio
con gli obblighi internazionali -costituzionalmente tutelati-
sottoscritti dall'Italia. A quanto consta, la questione e' stata gia'
sollevata con almeno altre quattrodici ordinanze, nelle quali si fa
talora riferimento anche a parametri costituzionali diversi (quelli
di cui agli articoli 3, 28 e 97 Cost.), ma qui se ne prescinde
perche' essi esulano dalla sfera di ammissibilita' come delimitata
nel paragrafo precedente.
L'art. 11 Cost. stabilisce che «l'Italia ... consente, in
condizioni di parita' con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra le nazioni».
Particolarmente importante, in questa disposizione, e' l'aspetto
relativo alle limitazioni di sovranita': al fine di perseguire i
valori della pace e della giustizia il nostro paese accetta di
rinunciare a una parte della sua sovranita' o -se si vuole- di porre
dei limiti alla sfera di esercizio dei pubblici poteri.
Il principio viene poi specificato, con riferimento all'esercizio
del potere legislativo, nell'art. 117, che al primo comma dispone:
«La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni
nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.».
Le norme internazionali che pongono vincoli all'attivita' del
legislatore italiano funzionano pertanto come «norme interposte»: la
loro violazione si traduce automaticamente in una violazione dei
citati articoli 11 e 117.
Tra le norme internazionali che vincolano il nostro legislatore
vi e' la Convenzione ONU contro la corruzione (c.d. convenzione di
Merida) a cui l'Italia ha liberamente aderito con legge di ratifica
n. 116 del 3 agosto 2009.
L'intitolazione della convenzione e' «contro la corruzione», con
una dizione apparentemente limitativa che non deve pero' trarre in
inganno: il legislatore internazionale e' ben consapevole che le
tradizionali modalita' consumative dei reati dei pubblici ufficiali,
e cioe' da un lato l'appropriazione di beni pubblici (=peculato),
dall'altro la ricezione di utilita' non dovute
(=corruzione/concussione) hanno in se' qualcosa di '«primitivo» che
le rende inadeguate a colpire efficacemente il malcostume
politico-amministrativo: quest'ultimo, infatti, si manifesta oggi in
forme sempre piu' nuove e raffinate, caratterizzate dalla volontaria
violazione di norme di legge commessa al fine di conseguire vantaggi
indebiti o arrecare danni ingiusti.
E' esattamente in quest'ottica che l'art. 19 della Convenzione
dispone (testo originale in lingua inglese):
«Abuso di funzioni.
Ogni Stato-Parte considerera' l'adozione ("shall consider
adopting") di misure legislative e di altra natura necessarie a
prevedere come illecito penale -se commesso intenzionalmente l'abuso
delle funzioni o della posizione, ossia il compimento o l'omissione
di un atto, in violazione delle leggi, da parte di un pubblico
ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni al fine di ottenere un
indebito vantaggio per se' o per un'altra persona o entita'.».
Non puo' non rilevarsi che la descrizione dell"«abuso di
funzioni» contenuta nella convenzione internazionale corrisponde
pienamente, nelle sue linee fondamentali, a quella che dava corpo
all'abrogato art. 323 c.p.
Occorre percio' chiedersi se, con l'espressione «shall consider
adopting», la convenzione ONU abbia inteso stabilire per il
legislatore nazionale un obbligo di criminalizzazione dell'abuso
d'ufficio o se invece abbia inteso formulare soltanto un generico
invito lasciando al legislatore nazionale la liberta' di disattendere
l'indicazione proveniente dall'ONU.
La mera enunciazione di questa alternativa orienta istintivamente
la risposta in una determinata direzione: pare invero irragionevole,
e quasi canzonatorio, ritenere che il legislatore italiano, dopo aver
sottoscritto la convenzione e in particolare il suo art. 19 sopra
riportato, possa liberamente abrogare una sua disposizione che
corrisponde perfettamente all'indicazione ONU.
Vanno tuttavia svolte considerazioni piu' specifiche:
parallelamente all'adozione della Convenzione, l'Organizzazione delle
Nazioni Unite ha redatto una «Legislative Guidefor the implementation
of the United Nations Convention against Corruption»: alla stesura di
questo documento -un testo di ben 256 pagine nell'edizione del 2012-
hanno collaborato (si veda pag. IX) anche esponenti del Governo
italiano, e segnatamente la compianta dott.ssa Teresa Benvenuto, gia'
pubblico ministero in Torino e poi vice-capo dell'Ufficio legislativo
del Ministero della giustizia. Ebbene, all'art. 12 (pagina 4) la
«Guida» fornisce indicazioni estremamente precise su come deve
interpretarsi la locuzione «shall consider adopting»:
«12. Whenever the phrase "each State Party shall adopt" is used,
the reference is to a mandatory provision. Otherwise, the language
used in the guide is "shall consider adopting" or "shall endeavour
to", which means that States are urged to consider adopting a certain
measure and to make a genuine effort to see whether it would be
compatible with their legal system. For entirely optional provisions,
the guide employs the term "may adopt."».
Che si puo' tradurre in italiano nel seguente modo:
«Ogniqualvolta viene usata la frase «each State Party shall adopt»,
il riferimento e' a una previsione vincolante. Diversamente, il
linguaggio usato nella guida e' «shall consider adopting» ..., il che
significa che gli stati sono obbligati a considerare l'adozione di
una certa misura e a compiere uno sforzo genuino per verificare se
essa sia compatibile con i loro sistemi normativi. Per le previsioni
del tutto facoltative la guida impiega il termine «may adopt».
A seconda delle locuzioni usate, dunque, sono previsti tre
diversi gradi di cogenza delle disposizioni della Convenzione:
1) la locuzione «shall adopt» indica un obbligo
incondizionato;
2) la locuzione «shall consider adopting» indica un livello
per cosi dire «intermedio» di obbligatorieta' -ma pur sempre di
obbligatorieta', si badi- perche' impone agli stati di considerare
l'adozione di una certa misura e fare uno sforzo «genuino» -cioe'
leale ed effettivo- per verificare se quella misura sia compatibile
con il suo sistema normativo: laddove questa compatibilita' vi sia,
quella misura deve essere adottata;
3) la locuzione «may adopt», infine, e' quella che lascia i
singoli stati-parti liberi di decidere a loro discrezione se
introdurre o no una determinata norma penale.
Nel caso dell'art. 19, sopra riportato, l'espressione usata e'
«shall consider adopting»: cio' significa che -una volta verificata
la compatibilita' del delitto di abuso d'ufficio con il complessivo
sistema normativo di riferimento- quell'articolo deve rientrare nel
sistema penale degli stati-parti.
Questo obbligo viene ulteriormente esplicitato in una
disposizione finale della Convenzione di Merida, quella di cui
all'art. 65, che al comma 1 dispone (testo originale in inglese):
ciascuno Stato-Parte adottera' ( =shall take, previsione
assolutamente vincolante) le misure necessarie, comprese misure
legislative e amministrative, in conformita' con i principi
fondamentali del suo diritto interno, per assicurare l'esecuzione dei
suoi obblighi secondo questa convenzione.».
l testi normativi sin qui richiamati disciplinano l'ipotesi in
cui gli stati-parte non possiedano gia', nel loro ordinamento
interno, una norma come l'art. 323 c.p.; in questo caso essi sono
tenuti ad adottarla, previa verifica di compatibilita' con il loro
sistema penale generale.
Situazione molto diversa e' invece quella del legislatore
nazionale che, avendo gia' nel suo sistema penale una norma
sull'abuso d'ufficio, proceda tout court alla sua abrogazione.
In questo caso la condotta del legislatore nazionale si atteggia
come una violazione di spiccata evidenza degli obblighi
internazionali: se infatti puo' reputarsi meno grave, e per cosi'
dire «piu' sfumata», la condotta di quel legislatore che -in assenza
di una norma interna come l'abrogato art. 323 c.p.- tardi ad
adeguarsi alle disposizioni della Convenzione di Merida, laddove
invece quella norma interna gia' esista il contrasto fra la sua
abrogazione e gli obblighi internazionali risulta particolarmente
stridente: proprio la Convenzione ONU contro la corruzione, infatti,
contiene una specifica disposizione che pone agli stati-parte il
dovere di mantenere i livelli di tutela gia' conseguiti (c.d. dovere
di stand still). E' l'art. 7, che al comma 4 recita (testo originale
in inglese):
«Ciascuno Stato-Parte si adoperera', in conformita' ai
principi fondamentali del suo diritto interno, per adottare,
mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e
prevengono i conflitti di interesse».
La previsione legislativa di un reato quale l'abuso d'ufficio,
specificamente volto a reprimere gli atti amministrativi compiuti in
modo non trasparente e in situazioni di conflitto di interessi,
costituisce un efficace strumento -sul piano della c.d. prevenzione
generale- per il perseguimento delle finalita' della Convenzione
(=trasparenza amministrativa e prevenzione dei conflitti di
interesse); la sua eliminazione, percio', contravviene al dovere di
«mantenere e rafforzare» i «sistemi» destinati a perseguire quelle
finalita'.
A questo punto, e conclusivamente, occorre soltanto chiedersi se
la violazione degli obblighi internazionali che si e' sin qui
evidenziata possa trovare giustificazione nella necessita' di
salvaguardare valori giuridici di pari o maggiore rilevanza.
Occorre chiedersi, in particolare, se essa sia giustificata
dall'esigenza di salvaguardare:
a) la compatibilita' con il complessivo sistema normativo
italiano, come richiesto dal sopra citato art. 12 della guida
legislativa per l 'implementazione della Convenzione ONU contro la
corruzione;
b) i principi fondamentali del diritto interno -in primis i
valori di rango costituzionale- che la stessa Convenzione di Meri da,
al gia' citato art. 7, fa salvi.
E' agevole rilevare che la relazione di accompagnamento al
disegno di legge 808 (in atti Parlamentari - Senato della Repubblica,
pagg. 3 e 4), divenuto poi legge n. 114/2024, non contiene alcuna
valutazione di compatibilita', ne' con il generale quadro norrnativo
penale, ne' con principi fondamentali o valori costituzionali. Essa
fa appello a motivazioni di generica convenienza che cosi' si
riassumono:
A) vi sarebbe uno squilibrio tra iscrizioni di notizie di
reato per il delitto di abuso d'ufficio e sentenze di condanna
pronunciate, onde l'abrogazione dell'art. 323 del codice penale
servirebbe a recuperare risorse, «non impegnando inutilmente
l'apparato giudiziario», e a sollevare «l'azione amministrativa ed il
singolo indagato dalle ricadute negative derivanti da iscrizioni per
fatti che risultano non rientrare in alcuna categoria di illeciti
penali»;
B) le norme extrapenali che mirano alla «prevenzione delle
malpractice nel settore pubblico», considerate congiuntamente alle
norme penali rimaste dopo l'abrogazione dell'art. 323 codice penale e
alle altre previsioni sanzionatorie -disciplinari e
contabili-dell'ordinamento, consentirebbero di «assicurare una
completa tutela degli interessi pubblici».
Come si vede, si tratta di considerazioni e valutazioni di mera
opportunita' che non mettono in dubbio in alcun modo la
compatibilita' dell'abrogato art. 323 del codice penale con il
complessivo ordinamento italiano o con i suoi principi fondamentali:
ne discende che l'art. 323 del codice penale deve continuare a
sussistere in virtu' dell'art. 19 della Convenzione di Merida che
espressamente impegna l'Italia a prevedere l'abuso d'ufficio come
illecito penale.
In virtu' delle considerazioni che precedono questo tribunale
chiede un intervento della Corte costituzionale che ponga rimedio
all'urgenza sopra evidenziata, dichiarando l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b) della legge 9 agosto
2024, n. 114 per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1 della
Costituzione in relazione agli articoli 7, comma 4, 19 e 65 della
Convenzione ONU contro la corruzione (c.d. convenzione di Merida) a
cui l'Italia ha aderito con legge di ratifica n. 116 del 3 agosto
2009.
(1) Sono state infatti acquisite le conversazioni WhatsApp intercorse
fra i due -che si davano del "tu"- aventi ad oggetto proprio la
partecipazione al concorso: S «Ciao D , come stai? Ci sarai
venerdi' a per la prova? - R «Ciao, io sto bene, e tu?
Venerdi' e' difficile che ci sia per la prova, ma non si puo' mai
dire.». - S «Si sto studiando parecchio ... chissa' ...
sarebbe bello lavorare insieme ... ». - R «Brava, brava
studia, mi farebbe molto piacere lavorare con te ed avere piu'
spesso il piacere di vederti e della tua compagnia.».
P. Q. M.
Visti gli articoli 134 Cost., 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n.
87,
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b) della
legge 9 agosto 2024, n. 114 per contrasto con gli articoli 11 e 117,
comma 1 della Costituzione in relazione agli articoli 7 comma 4, 19 e
65 della Convenzione ONU contro la corruzione (c.d. convenzione di
Merida) a cui l'Italia ha aderito con legge di ratifica n. 116 del 3
agosto 2009.
Dispone la trasmissione degli atti del procedimento alla Corte
costituzionale;
Sospende il processo sino all'esito del giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale;
Manda alla cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' per la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica.
Torino, 9 aprile 2025
Il Presidente est.: Gallo
Oggetto:
Reati e pene – Abrogazione dell’art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio) – Inosservanza degli obblighi internazionali, in relazione agli artt. 7, paragrafo 4, 19 e 65 della Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 (cosiddetta Convenzione di Merida).
Norme impugnate:
legge del 09/08/2024 Num. 114 Art. 1 Co. 1
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 11 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 Art. 7 Co.
Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 Art. 19 Co.
Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 Art. 65 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 90 ORDINANZA (Atto di promovimento) 09 aprile 2025 Ordinanza del 9 aprile 2025 del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di D. R. e G. S.. Reati e pene - Abrogazione dell'art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio). - Legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice dell'ordinamento militare), art. 1, comma 1, lettera b). (GU n. 21 del 21-05-2025) TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO Sezione terza penale Il Tribunale, composto dai seguenti magistrati: dott. Paolo Gallo - Presidente; dott.ssa Elena Rocci - giudice; dott.ssa Giulia Maccari - giudice, alla pubblica udienza del 9 aprile 2025 ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa penale contro: 1) R D , nato il a , elettivamente domiciliato presso l'avv. Paolo Botasso del Foro di Cuneo - avv.ti Paolo Botasso del Foro di Cuneo e Federico Burlando del Foro di Torino; 2) S G , nata il a , elettivamente domiciliata presso il difensore - avv. Gino Obert del Foro di Torino. Imputati dei reati di cui al decreto dispositivo del giudizio emesso dal G.U.P. di questo Tribunale in data 28 novembre 2023. In esito all'istruttoria dibattimentale, Osserva 1. Sintesi dei fatti di causa. rilevanza della questione. Alla stregua delle prove acquisite, e impregiudicata ogni diversa ricostruzione e valutazione in sede di decisione di merito, dall'istruttoria espletata emerge quanto segue. Il processo ha ad oggetto una serie di comportamenti materiali ed atti amministrativi adottati nell'anno dal sindaco del Comune di -l'imputato R D - e sfociata, all'inizio del , in provvedimenti lesivi della posizione professionale di due responsabili amministrativi del medesimo Comune: Z P e G G 1-a): vicende relative a Z P Nell'estate si stava svolgendo nel Comune di un concorso pubblico per l'assunzione di un «istruttore amministrativo-contabile». Al concorso prese parte l'imputata S G , che con il sindaco R aveva rapporti personali improntati a viva cordialita' (1) La commissione esaminatrice era composta dal segretario comunale P C (presidente) e da due responsabili amministrativi del comune: i dottori L G e P Z . Quest'ultimo predispose i quiz a risposta plurima da somministrare ai candidati per la prova preselettiva, e nella mattinata del li consegno' al presidente di commissione P . Nell'occasione era presente anche il sindaco R , il quale chiese a Z di visionare i quesiti. Z oppose un rifiuto, facendo rilevare che i quesiti erano segreti, ma il segretario comunale appoggio' la richiesta, sostenendo che nella sua qualita' di sindaco il R poteva prendere visione dei test. Alla fine Z si tacque e consegno' i test al P ; quest'ultimo li «giro'» seduta stante al sindaco R , che li visiono' per circa un quarto d'ora (v. dep. Z , pagg. 29 - 31 della trascrizione). Alle ore dello stesso giorno riprese il dialogo WhatsApp tra il sindaco R e la candidata S R : «Ciao G come va? Sei alle prese con lo studio?». S : «Eh si', D Sono un po' stanca ... Sale anche l'ansia ... ». R : «Se posso darti un consiglio, preparati su domande di logica e cultura generale e sul tecnico sugli appalti e sul TUEL (funzioni organi competenti e sugli articoli legati al bilancio).». Nel pomeriggio Z P : denuncio' ai Carabinieri quanto era accaduto poche ore prima. Il successivo , negli uffici del Comune di il sindaco R e il segretario comunale P , raggiunti da personale dell'Arma dei Carabinieri, furono informati di essere sottoposti a indagini per concorso in rivelazione di segreti d'ufficio e furono invitati a nominare un difensore ed eleggere domicilio per le notificazioni (v. verbali in atti). 1-b): vicende relative a G G Sono descritte nel verbale di s.i. del predetto in data 8 gennaio 2021, acquisito agli atti su accordo delle parti, e sono coeve a quelle narrate da Z nell'autunno era in corso di redazione il nuovo piano regolatore del Comune di , per il quale erano stati incaricati il responsabile dell'Area «territorio», G G , e due professionisti esterni, gli architetti C M e F B . Nell'imminenza del deposito del piano, in data il sindaco R telefono' a G e gli chiese di accertare e riferire se, con le nuove norme, sarebbero stati fattibili alcuni interventi sul territorio a cui erano interessate due imprese: le ditte C (recupero inerti) e G (centri commerciali). G tento' di sottarsi alla richiesta rispondendo che gli sembrava prematura: il sindaco R «ando' su tutte le furie» e aggiunse che lui era il sindaco e gli si doveva obbedienza. Avuta poi copia del nuovo piano, e prima che la Giunta lo approvasse, R chiese a G di apportarvi alcune modifiche, «giusto nella parte riguardante le aziende citate» (verbale 8 gennaio 2021, pag. 2). A quel punto intervennero anche i due professionisti esterni per esprimere il loro stupore. Segui' un incontro dai toni molto accesi, in esito al quale gli incaricati della redazione del piano dissero al sindaco che non intendevano recepire i «compitini fatti da altri» (ibidem). Il piano regolatore fu infine approvato nella sua veste originaria, senza variazioni. 1-c): la riorganizzazione dei servizi comunali nelle feste natalizie del Trascorsi pochi giorni dopo i fatti sin qui sintetizzati, in data fu reso noto che nella seduta della giunta comunale del sarebbe stata deliberata una urgente riorganizzazione dei servizi del Comune di In effetti il convocata in videoconferenza, la giunta (sindaco, vicesindaco e tre assessori) delibero' quanto segue (v. delibera del , agli atti in copia): «per una maggiore efficienza, efficacia ed economicita'» i servizi dell'amministrazione comunale, che fino a quel momento erano sei, vennero ridotti a quattro. Piu' in particolare vennero soppressi: 1) il servizio segreteria e affari generali - demografico, fino ad allora diretto da Z P ; 2) il servizio tecnico - lavori pubblici e manutenzione, fino ad allora diretto da G G . Le loro competenze vennero accorpate a quelle degli altri quattro servizi che rimanevano in vita. La delibera fu dichiarata urgente e di immediata esecutivita'. Ben quattro responsabili di servizio su sei (=non solo Z e G , ma anche le dottoresse D F e L G ) reagirono immediatamente: lo stesso inoltrarono a sindaco, giunta e consiglio comunale una missiva in cui lamentavano che la riorganizzazione fosse stata «decisa improvvisamente» e «senza nessun confronto e coinvolgimento preventivo ... dei funzionari interessati», senza considerare la necessita' di adeguare le strutture (software ecc.) e dilapidando il patrimonio di esperienza dei due responsabili che venivano privati del loro servizio. La missiva affermava infine che la delibera andava in «direzione opposta all'asserito intento di miglioramento dell'efficacia, efficienza ed economicita' dell'organizzazione dell'ente». Pochi giorni dopo segui' l'attuazione della riorganizzazione: con quattro identici provvedimenti del , privi di motivazione, il sindaco R designo' i responsabili dei quattro servizi superstiti, escludendo proprio Z e G . Costoro persero percio' le loro posizioni di responsabili di servizio e con esse le correlate indennita' e chances. I testi M e Z (pagg. 13 e 49 trascrizione ud. 3 dicembre 2024) hanno infine riferito che, qualche tempo dopo, la descritta riorganizzazione fu sconfessata dagli stessi organi comunali, i quali re-istituirono il servizio segreteria e affidarono la gestione del personale a una ditta esterna. La pubblica accusa -e il G.U.P. che ha disposto il rinvio a giudizio degli imputati- hanno ritenuto che gli atti di nomina dei capi-servizio abbiano avuto funzione meramente ritorsiva nei confronti dei due responsabili di servizio -Z e G - i quali, rispettivamente, avevano denunciato la violazione del segreto d'ufficio e si erano opposti alle iniziative del sindaco R durante la redazione del nuovo piano regolatore. Siffatto intento ritorsivo, sempre secondo l'impostazione accusatoria, fu perseguito con atti compiuti in violazione di specifiche disposizioni di legge. Precisamente: gli articoli l, 2, 5 e 6 del decreto legislativo n. 165/2001 («Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»), perche' gli atti di nomina dei capi-servizio avevano funzione essenzialmente discriminatoria e non satisfattiva del pubblico interesse; l'art. 3 legge n. 241/1990, trattandosi di provvedimenti privi di motivazione; la pubblica accusa ha evidenziato che in tali provvedimenti mancava ogni valutazione comparativa -titoli, anzianita' di servizio ecc.- dei sei funzionari in servizio, valutazione che era assolutamente necessaria al fine di individuare i quattro soggetti destinati a mantenere la posizione di responsabile e i due destinati a perderla; l'art. 54-bis del gia' citato decreto legislativo n. 165/2001, perche' i citati decreti erano stati emessi in violazione del divieto di adottare provvedimenti lesivi del pubblico dipendente autore di una segnalazione all'autorita' giudiziaria (c.d. whistleblower). Conseguenza di tutto quanto esposto sin qui e' stato il rinvio a giudizio del sindaco R D affinche' risponda -tra l'altro- del delitto di cui all'art. 323 c.p.: si veda il capo 4) del decreto di rinvio a giudizio del 28 novembre 2023. La decisione di questo collegio e' percio' condizionata in maniera decisiva dalla soluzione del quesito relativo alla legittimita' costituzionale della recente disposizione -l'art. 1, comma 1, lett. b) della legge 9 agosto 2024, n. 114- con cui il legislatore ha radicalmente abolito il delitto di abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p. 2. Sull'ammissibilita' della questione. Come pare ormai chiaro, questo collegio dubita che la norma abrogativa del delitto di abuso d'ufficio sia conforme alla nostra costituzione. La presente ordinanza tende a una declaratoria di illegittimita' costituzionale del citato art. 1, comma 1, lettera b), legge 9 agosto 2024, n. 114, alla sua caducazione e alla conseguente «reviviscenza» dell'art. 323 c.p. Si pone percio' un tema di ammissibilita' della presente questione di costituzionalita', e cio' in relazione al fatto che -in linea generale- si ritiene inammissibile un intervento della Corte costituzionale che sia volto a ripristinare una norma penale abrogata dal legislatore (v. Corte cost., sentenza n. 8 del 2022, paragrafo 7). Tale criterio generale soffre peraltro di eccezioni in alcune categorie di ipotesi individuate dalla giurisprudenza costituzionale. Questo collegio non intende ripetere argomenti ormai noti; si permette percio' di sintetizzare e far proprie le considerazioni gia' esaustivamente esposte dal Tribunale di Firenze nella sua ampia e argomentata ordinanza del 24 settembre 2024 (con cui e' stata proposta la medesima questione di costituzionalita' qui sollevata): la giurisprudenza costituzionale ammette proprie sentenze ripristinatrici di norme penali abrogate dal legislatore in almeno quattro categorie di ipotesi; esse si trovano elencate al paragrafo 7.1 della sentenza Corte costituzionale n. 37 del 2019 e ricorrono: 1) quando il legislatore introduca, in violazione del principio di eguaglianza, irragionevoli aree di impunita' -ovvero di favorevole trattamento penale- rispetto a quella che e' la generale rilevanza penale di una classe di condotte; 2) quando il legislatore eserciti scorrettamente il potere legislativo, ad esempio disattendendo i criteri per la legislazione delegata ovvero i presupposti per la decretazione d'urgenza; 3) quando il ripristino di una determinata disciplina sanzionatoria sia la mera conseguenza della caducazione -per illegittimita' costituzionale- di una norma processuale; 4) quando infine il legislatore abbia legiferato violando obblighi sovranazionali tutelati dagli articoli 11 e/o 117 comma primo della Carta costituzionale. Il tema e' affrontato dalla Corte anche nelle sentenze n. 28 del 2010 e 32 del 2014: in quest'ultima (par. 5 del «considerato in diritto») la Consulta afferma espressamente che, se non si ri-espandesse la sfera di applicazione delle norme penali illegittimamente abrogate dal legislatore, «resterebbero non punite alcune tipologie di condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale di penalizzazione ... che l 'Italia e' tenuta a rispettare in virtu' degli art. 11 e 117 primo comma, Cost.». E' esattamente questa l'ipotesi che -si ritiene- ricorre nella vicenda ora in esame. 3. Sulla non manifesta infondatezza. La presente ordinanza non e' certo la prima a sollevare il problema della compatibilita' dell'abrogazione dell'abuso d'ufficio con gli obblighi internazionali -costituzionalmente tutelati- sottoscritti dall'Italia. A quanto consta, la questione e' stata gia' sollevata con almeno altre quattrodici ordinanze, nelle quali si fa talora riferimento anche a parametri costituzionali diversi (quelli di cui agli articoli 3, 28 e 97 Cost.), ma qui se ne prescinde perche' essi esulano dalla sfera di ammissibilita' come delimitata nel paragrafo precedente. L'art. 11 Cost. stabilisce che «l'Italia ... consente, in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni». Particolarmente importante, in questa disposizione, e' l'aspetto relativo alle limitazioni di sovranita': al fine di perseguire i valori della pace e della giustizia il nostro paese accetta di rinunciare a una parte della sua sovranita' o -se si vuole- di porre dei limiti alla sfera di esercizio dei pubblici poteri. Il principio viene poi specificato, con riferimento all'esercizio del potere legislativo, nell'art. 117, che al primo comma dispone: «La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.». Le norme internazionali che pongono vincoli all'attivita' del legislatore italiano funzionano pertanto come «norme interposte»: la loro violazione si traduce automaticamente in una violazione dei citati articoli 11 e 117. Tra le norme internazionali che vincolano il nostro legislatore vi e' la Convenzione ONU contro la corruzione (c.d. convenzione di Merida) a cui l'Italia ha liberamente aderito con legge di ratifica n. 116 del 3 agosto 2009. L'intitolazione della convenzione e' «contro la corruzione», con una dizione apparentemente limitativa che non deve pero' trarre in inganno: il legislatore internazionale e' ben consapevole che le tradizionali modalita' consumative dei reati dei pubblici ufficiali, e cioe' da un lato l'appropriazione di beni pubblici (=peculato), dall'altro la ricezione di utilita' non dovute (=corruzione/concussione) hanno in se' qualcosa di '«primitivo» che le rende inadeguate a colpire efficacemente il malcostume politico-amministrativo: quest'ultimo, infatti, si manifesta oggi in forme sempre piu' nuove e raffinate, caratterizzate dalla volontaria violazione di norme di legge commessa al fine di conseguire vantaggi indebiti o arrecare danni ingiusti. E' esattamente in quest'ottica che l'art. 19 della Convenzione dispone (testo originale in lingua inglese): «Abuso di funzioni. Ogni Stato-Parte considerera' l'adozione ("shall consider adopting") di misure legislative e di altra natura necessarie a prevedere come illecito penale -se commesso intenzionalmente l'abuso delle funzioni o della posizione, ossia il compimento o l'omissione di un atto, in violazione delle leggi, da parte di un pubblico ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni al fine di ottenere un indebito vantaggio per se' o per un'altra persona o entita'.». Non puo' non rilevarsi che la descrizione dell"«abuso di funzioni» contenuta nella convenzione internazionale corrisponde pienamente, nelle sue linee fondamentali, a quella che dava corpo all'abrogato art. 323 c.p. Occorre percio' chiedersi se, con l'espressione «shall consider adopting», la convenzione ONU abbia inteso stabilire per il legislatore nazionale un obbligo di criminalizzazione dell'abuso d'ufficio o se invece abbia inteso formulare soltanto un generico invito lasciando al legislatore nazionale la liberta' di disattendere l'indicazione proveniente dall'ONU. La mera enunciazione di questa alternativa orienta istintivamente la risposta in una determinata direzione: pare invero irragionevole, e quasi canzonatorio, ritenere che il legislatore italiano, dopo aver sottoscritto la convenzione e in particolare il suo art. 19 sopra riportato, possa liberamente abrogare una sua disposizione che corrisponde perfettamente all'indicazione ONU. Vanno tuttavia svolte considerazioni piu' specifiche: parallelamente all'adozione della Convenzione, l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha redatto una «Legislative Guidefor the implementation of the United Nations Convention against Corruption»: alla stesura di questo documento -un testo di ben 256 pagine nell'edizione del 2012- hanno collaborato (si veda pag. IX) anche esponenti del Governo italiano, e segnatamente la compianta dott.ssa Teresa Benvenuto, gia' pubblico ministero in Torino e poi vice-capo dell'Ufficio legislativo del Ministero della giustizia. Ebbene, all'art. 12 (pagina 4) la «Guida» fornisce indicazioni estremamente precise su come deve interpretarsi la locuzione «shall consider adopting»: «12. Whenever the phrase "each State Party shall adopt" is used, the reference is to a mandatory provision. Otherwise, the language used in the guide is "shall consider adopting" or "shall endeavour to", which means that States are urged to consider adopting a certain measure and to make a genuine effort to see whether it would be compatible with their legal system. For entirely optional provisions, the guide employs the term "may adopt."». Che si puo' tradurre in italiano nel seguente modo: «Ogniqualvolta viene usata la frase «each State Party shall adopt», il riferimento e' a una previsione vincolante. Diversamente, il linguaggio usato nella guida e' «shall consider adopting» ..., il che significa che gli stati sono obbligati a considerare l'adozione di una certa misura e a compiere uno sforzo genuino per verificare se essa sia compatibile con i loro sistemi normativi. Per le previsioni del tutto facoltative la guida impiega il termine «may adopt». A seconda delle locuzioni usate, dunque, sono previsti tre diversi gradi di cogenza delle disposizioni della Convenzione: 1) la locuzione «shall adopt» indica un obbligo incondizionato; 2) la locuzione «shall consider adopting» indica un livello per cosi dire «intermedio» di obbligatorieta' -ma pur sempre di obbligatorieta', si badi- perche' impone agli stati di considerare l'adozione di una certa misura e fare uno sforzo «genuino» -cioe' leale ed effettivo- per verificare se quella misura sia compatibile con il suo sistema normativo: laddove questa compatibilita' vi sia, quella misura deve essere adottata; 3) la locuzione «may adopt», infine, e' quella che lascia i singoli stati-parti liberi di decidere a loro discrezione se introdurre o no una determinata norma penale. Nel caso dell'art. 19, sopra riportato, l'espressione usata e' «shall consider adopting»: cio' significa che -una volta verificata la compatibilita' del delitto di abuso d'ufficio con il complessivo sistema normativo di riferimento- quell'articolo deve rientrare nel sistema penale degli stati-parti. Questo obbligo viene ulteriormente esplicitato in una disposizione finale della Convenzione di Merida, quella di cui all'art. 65, che al comma 1 dispone (testo originale in inglese): ciascuno Stato-Parte adottera' ( =shall take, previsione assolutamente vincolante) le misure necessarie, comprese misure legislative e amministrative, in conformita' con i principi fondamentali del suo diritto interno, per assicurare l'esecuzione dei suoi obblighi secondo questa convenzione.». l testi normativi sin qui richiamati disciplinano l'ipotesi in cui gli stati-parte non possiedano gia', nel loro ordinamento interno, una norma come l'art. 323 c.p.; in questo caso essi sono tenuti ad adottarla, previa verifica di compatibilita' con il loro sistema penale generale. Situazione molto diversa e' invece quella del legislatore nazionale che, avendo gia' nel suo sistema penale una norma sull'abuso d'ufficio, proceda tout court alla sua abrogazione. In questo caso la condotta del legislatore nazionale si atteggia come una violazione di spiccata evidenza degli obblighi internazionali: se infatti puo' reputarsi meno grave, e per cosi' dire «piu' sfumata», la condotta di quel legislatore che -in assenza di una norma interna come l'abrogato art. 323 c.p.- tardi ad adeguarsi alle disposizioni della Convenzione di Merida, laddove invece quella norma interna gia' esista il contrasto fra la sua abrogazione e gli obblighi internazionali risulta particolarmente stridente: proprio la Convenzione ONU contro la corruzione, infatti, contiene una specifica disposizione che pone agli stati-parte il dovere di mantenere i livelli di tutela gia' conseguiti (c.d. dovere di stand still). E' l'art. 7, che al comma 4 recita (testo originale in inglese): «Ciascuno Stato-Parte si adoperera', in conformita' ai principi fondamentali del suo diritto interno, per adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse». La previsione legislativa di un reato quale l'abuso d'ufficio, specificamente volto a reprimere gli atti amministrativi compiuti in modo non trasparente e in situazioni di conflitto di interessi, costituisce un efficace strumento -sul piano della c.d. prevenzione generale- per il perseguimento delle finalita' della Convenzione (=trasparenza amministrativa e prevenzione dei conflitti di interesse); la sua eliminazione, percio', contravviene al dovere di «mantenere e rafforzare» i «sistemi» destinati a perseguire quelle finalita'. A questo punto, e conclusivamente, occorre soltanto chiedersi se la violazione degli obblighi internazionali che si e' sin qui evidenziata possa trovare giustificazione nella necessita' di salvaguardare valori giuridici di pari o maggiore rilevanza. Occorre chiedersi, in particolare, se essa sia giustificata dall'esigenza di salvaguardare: a) la compatibilita' con il complessivo sistema normativo italiano, come richiesto dal sopra citato art. 12 della guida legislativa per l 'implementazione della Convenzione ONU contro la corruzione; b) i principi fondamentali del diritto interno -in primis i valori di rango costituzionale- che la stessa Convenzione di Meri da, al gia' citato art. 7, fa salvi. E' agevole rilevare che la relazione di accompagnamento al disegno di legge 808 (in atti Parlamentari - Senato della Repubblica, pagg. 3 e 4), divenuto poi legge n. 114/2024, non contiene alcuna valutazione di compatibilita', ne' con il generale quadro norrnativo penale, ne' con principi fondamentali o valori costituzionali. Essa fa appello a motivazioni di generica convenienza che cosi' si riassumono: A) vi sarebbe uno squilibrio tra iscrizioni di notizie di reato per il delitto di abuso d'ufficio e sentenze di condanna pronunciate, onde l'abrogazione dell'art. 323 del codice penale servirebbe a recuperare risorse, «non impegnando inutilmente l'apparato giudiziario», e a sollevare «l'azione amministrativa ed il singolo indagato dalle ricadute negative derivanti da iscrizioni per fatti che risultano non rientrare in alcuna categoria di illeciti penali»; B) le norme extrapenali che mirano alla «prevenzione delle malpractice nel settore pubblico», considerate congiuntamente alle norme penali rimaste dopo l'abrogazione dell'art. 323 codice penale e alle altre previsioni sanzionatorie -disciplinari e contabili-dell'ordinamento, consentirebbero di «assicurare una completa tutela degli interessi pubblici». Come si vede, si tratta di considerazioni e valutazioni di mera opportunita' che non mettono in dubbio in alcun modo la compatibilita' dell'abrogato art. 323 del codice penale con il complessivo ordinamento italiano o con i suoi principi fondamentali: ne discende che l'art. 323 del codice penale deve continuare a sussistere in virtu' dell'art. 19 della Convenzione di Merida che espressamente impegna l'Italia a prevedere l'abuso d'ufficio come illecito penale. In virtu' delle considerazioni che precedono questo tribunale chiede un intervento della Corte costituzionale che ponga rimedio all'urgenza sopra evidenziata, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b) della legge 9 agosto 2024, n. 114 per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione in relazione agli articoli 7, comma 4, 19 e 65 della Convenzione ONU contro la corruzione (c.d. convenzione di Merida) a cui l'Italia ha aderito con legge di ratifica n. 116 del 3 agosto 2009. (1) Sono state infatti acquisite le conversazioni WhatsApp intercorse fra i due -che si davano del "tu"- aventi ad oggetto proprio la partecipazione al concorso: S «Ciao D , come stai? Ci sarai venerdi' a per la prova? - R «Ciao, io sto bene, e tu? Venerdi' e' difficile che ci sia per la prova, ma non si puo' mai dire.». - S «Si sto studiando parecchio ... chissa' ... sarebbe bello lavorare insieme ... ». - R «Brava, brava studia, mi farebbe molto piacere lavorare con te ed avere piu' spesso il piacere di vederti e della tua compagnia.». P. Q. M. Visti gli articoli 134 Cost., 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n. 87, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b) della legge 9 agosto 2024, n. 114 per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione in relazione agli articoli 7 comma 4, 19 e 65 della Convenzione ONU contro la corruzione (c.d. convenzione di Merida) a cui l'Italia ha aderito con legge di ratifica n. 116 del 3 agosto 2009. Dispone la trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale; Sospende il processo sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Torino, 9 aprile 2025 Il Presidente est.: Gallo