Reg. ord. n. 91 del 2025 pubbl. su G.U. del 28/05/2025 n. 22

Ordinanza del Tribunale di Firenze  del 26/10/2024

Tra: Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione - A.S.G.I.  C/ Comune di Arezzo



Oggetto:

Edilizia residenziale pubblica – Assegnazione di alloggi – Norme della Regione Toscana –  Formazione delle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi – Condizioni per l’assegnazione dei punteggi – Condizioni di storicità di presenza – Assegnazione da 1 a 4 punti in caso di residenza anagrafica o prestazione di attività lavorativa continuativa di almeno un componente del nucleo familiare nell’ambito territoriale di riferimento del bando da almeno tre anni fino a oltre venti anni alla data di pubblicazione del bando – Denunciata incoerenza dell’assegnazione di un punteggio premiale e graduato per la residenza (o attività lavorativa) protratta rispetto al fine perseguito – Effetto discriminatorio – Irragionevolezza – Violazione dei vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea – Irragionevole diseguaglianza sia nei confronti dei cittadini dell’Unione europea, sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi, che siano soggiornanti di lungo periodo.

Norme impugnate:

legge della Regione Toscana  del 02/01/2019  Num. 2  Art. 10

legge della Regione Toscana  del 02/01/2019  Num. 2



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

direttiva CE  Art. 11   Co.  

direttiva CE  Art. 11   Co.  

direttiva CE  Art. 24   Co.  

direttiva UE  Art. 12   Co.  

direttiva UE  Art. 12   Co.  



Udienza Pubblica del 5 novembre 2025 rel. PATRONI GRIFFI


Testo dell'ordinanza

                        N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 ottobre 2024

Ordinanza  del  26  ottobre  2024  del  Tribunale  di   Firenze   nel
procedimento  civile  promosso  dall'Associazione   studi   giuridici
sull'immigrazione - A.S.G.I. e L'Altro Diritto O.D.V.  contro  Comune
di Arezzo e Regione Toscana. 
 
Edilizia residenziale pubblica -  Assegnazione  di  alloggi  -  Norme
  della  Regione  Toscana  -   Formazione   delle   graduatorie   per
  l'assegnazione degli alloggi - Condizioni  per  l'assegnazione  dei
  punteggi - Condizioni di storicita' di presenza - Assegnazione da 1
  a 4  punti  in  caso  di  residenza  anagrafica  o  prestazione  di
  attivita' lavorativa  continuativa  di  almeno  un  componente  del
  nucleo familiare nell'ambito territoriale di riferimento del  bando
  da  almeno  tre  anni  fino  a  oltre  venti  anni  alla  data   di
  pubblicazione del bando. 
- Legge della Regione Toscana, 2 gennaio 2019, n. 2 (Disposizioni  in
  materia di edilizia residenziale pubblica (ERP)), art. 10,  lettera
  c-1), Allegato  B  (recte:  art.  10,  in  combinato  disposto  con
  l'Allegato B, lettera c-1) della medesima legge regionale). 


(GU n. 22 del 28-05-2025)

 
                   TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE 
                          IV Sezione civile 
 
    Nella causa civile iscritta al n. R.G. 1108/2023; 
    A.S.G.I.  -  Associazione   studi   giuridici   sull'immigrazione
(97086880156) rappresentato e difeso da avv.  Guariso  Alberto  e  da
avv. Roberta Randellini; 
    L'Altro Diritto O.D.V. - Centro di ricerca interuniversitario  su
carcere,  devianza,   marginalita'   e   governo   delle   migrazioni
(94093950486) rappresentato e difeso da  avv.  Alida  Surace  e  avv.
Silvia Ventura - ricorrenti; 
    contro Comune di Arezzo (00176820512) rappresentato e  difeso  da
avv. Rulli Lucia e avv. Stefano Pasquini; 
    Regione Toscana (01386030488)  rappresentato  e  difeso  da  avv.
Flora Neglia - resistenti. 
    Il Giudice dott. Luca  Minniti,  all'esito  dell'udienza  del  12
marzo 2024, ha emesso la seguente ordinanza: 
      Oggetto:  art.  28,   decreto   legislativo   n.   150/2011   -
Controversia in materia di discriminazione. 
    1. Con ricorso ex art. 28, decreto  legislativo  n.  150/2011  le
associazioni  ASGI   -   Associazione   per   gli   studi   giuridici
sull'immigrazione e  L'Altro  Diritto  O.D.V.  -  Centro  di  ricerca
interuniversitario su carcere, devianza, marginalita' e governo delle
migrazioni (di seguito solo ASGI e L'Altro Diritto)  hanno  convenuto
in giudizio il Comune di Arezzo e la Regione Toscana per ivi  sentire
accogliere le seguenti conclusioni: 
      in via preliminare: 
        dichiarare  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione di costituzionalita' dell'allegato B, art. 10, lett.  C-1),
L.R. Toscana 2/2019 e successive  modifiche  e  integrazioni  laddove
prevede l'assegnazione di un punteggio da 1 a 4 in caso di  residenza
anagrafica  o  prestazione  lavorativa  continuativa  di  almeno   un
componente  del  nucleo   familiare   nell'ambito   territoriale   di
riferimento del bando da almeno 3 anni e fino  ad  oltre venti  anni,
per contrasto con l'art. 3 della Costituzione e con l'art. 117, comma
1  della  Costituzione  quest'ultimo  in  riferimento  all'art.   11,
direttiva 2003/109 e art. 12 direttiva  2011/98  e  occorrendo  degli
articoli  21  (non  discriminazione)  e  34  (Diritto  all'assistenza
abitativa) della CDFUE; 
        per l'effetto sospendere il presente giudizio  rinviando  gli
atti alla Corte costituzionale. 
    In via principale: successivamente, anche all'esito del  predetto
giudizio di costituzionalita': 
      a. accertare e dichiarare il  carattere  discriminatorio  della
condotta tenuta: 
        dal Comune di Arezzo consistente nella introduzione nel bando
ERP 2022  della  clausola  di  cui  all'art.  4,  sub.  C-1  relativa
all'assegnazione del punteggio basata sulle condizioni di «storicita'
di presenza»; 
        dal Comune  di  Arezzo  consistente  nella  introduzione  del
regolamento in materia di utilizzo autorizzato di alloggi ERP in  via
emergenziale, delle clausole relative al  requisito  della  pregressa
residenza quinquennale e (per i soli stranieri) all'esercizio di  una
regolare attivita' di lavoro subordinato o di lavoro  autonomo  (art.
2); 
      b. ordinare al Comune di Arezzo di modificare il bando ERP 2022
e il regolamento per le assegnazioni emergenziali (e relativo bando),
eliminando le clausole censurate; 
      c. ordinare al Comune di Arezzo di  modificare  le  graduatorie
relative al bando ERP 2022  e  al  regolamento  per  le  assegnazioni
emergenziali (previo  annullamento  della  graduatoria  eventualmente
gia'  emessa  nelle  more  del  giudizio)  e  di  riformularla  senza
considerazione della anzianita' di residenza o  attivita'  lavorativa
nell'area di efficacia del bando; 
      d. ordinare al Comune  di  Arezzo  di  riaprire  i  termini  di
presentazione delle domande di partecipazione al bando ERP 2022  e  a
quello relativo  al  regolamento  per  le  assegnazioni  emergenziali
secondo le nuove regole risultanti dalla eliminazione delle  predette
clausole; 
      e. dato atto che le statuizioni richieste attengono a  obblighi
di fare infungibili, condannare l'amministrazione convenuta a  pagare
alle associazioni ricorrenti, in solido tra loro e ai sensi dell'art.
614-bis  c.p.c.,   euro   100,00   per   ogni   giorno   di   ritardo
nell'adempimento  integrale  con  decorrenza  dal  trentesimo  giorno
successivo alla emananda ordinanza; 
      f. condannare la Regione Toscana e  il  Comune  di  Arezzo,  in
solido fra loro o, in subordine, in via disgiuntiva per la  parte  di
rispettiva competenza  a  risarcire  alle  ricorrenti  il  danno  non
patrimoniale derivante dalla discriminazione  di  cui  al  punto  a),
danno da liquidarsi in via equitativa, anche in relazione ai  criteri
indicati al par. 7, indicandosi sin d'ora la somma  di  euro  10.000,
per ciascuna associazione, con riserva di precisazione  in  relazione
alle circostanze esposte al punto 7; 
      g. ordinare la pubblicazione dell'emanando provvedimento  sulla
home page del sito istituzionale dell'amministrazione per  un  minimo
di giorni trenta, o su un giornale che il Tribunale vorra'  indicare,
con caratteri doppi di quelli normalmente utilizzati; 
      h.  Con  vittoria  di  spese,  ivi  compreso  il  rimborso  del
contributo  unificato,  da  distrarsi  in  favore   dei   procuratori
antistatari. 
      1.1. A  sostegno  delle  proprie  domande  i  ricorrenti  hanno
rappresentato: 
      che con determinazione dirigenziale n. 2387  del  19  settembre
2022 il Comune di Arezzo  ha  approvato  il  bando  ERP  2022  (bando
generale di concorso, indetto ai sensi della  LRT  n.  2/2019  e  del
regolamento dei Comuni  del  Lode  di  Arezzo)  «sulle  modalita'  di
accesso, di assegnazione e di  utilizzo  successivo  all'assegnazione
degli alloggi di Edilizia residenziale pubblica (E.R.P.), per formare
la graduatoria degli aspiranti assegnatari  di  alloggi  di  edilizia
residenziale pubblica E.R.P., periodicamente disponibili  nel  Comune
di Arezzo»; 
      che il predetto bando conteneva tra le condizioni di accesso  e
le modalita' di  attribuzione  del  punteggio  le  medesime  previste
dall'allegato B della L.R. Toscana 2 gennaio 2019, n. 2,  oggetto  di
modifica, unitamente all'allegato A, ad opera della L.R. 21 settembre
2021, n. 35; 
      che detta modifica si era resa  necessaria  a  seguito  di  due
sentenze della Corte costituzionale: 
        la sentenza n. 44 del 9 marzo 2020 che, con riferimento a una
legge regionale lombarda, aveva dichiarato l'incostituzionalita'  del
requisito di residenza quinquennale per  accedere  agli  alloggi  ERP
(anche la L.R. Toscana prevedeva identico requisito); 
        la sentenza n. 9 del 12 gennaio 2021 che, con  riferimento  a
una  legge  regionale  della  Regione   Abruzzo,   aveva   dichiarato
incostituzionale sia la richiesta  ai  soli  cittadini  stranieri  di
documenti aggiuntivi - rispetto a quanto richiesto  agli  italiani  -
per comprovare la «impossidenza» di immobili all'estero (e  anche  la
L.R. Toscana n. 2 prevedeva analogo  onere),  sia  la  valorizzazione
della  pregressa  residenza  nella  Regione   nell'attribuzione   dei
punteggi per la formazione della graduatoria; 
        che nel recepire le citate sentenze, tuttavia, la Regione  (e
conseguentemente il Comune di Arezzo replicando le  condizioni  ed  i
criteri di attribuzione del punteggio nel bando in esame) ha operato,
nella nuova lettera c) dell'allegato B,  una  «valorizzazione»  della
residenza pregressa  che  non  pare,  ad  avviso  delle  associazioni
ricorrenti, conforme  alle  indicazioni  rese  dalla  Consulta  nella
citata sentenza n. 9/2021. 
        In particolare, secondo la prospettazione dei  ricorrenti,  i
criteri di attribuzione del punteggio basati su condizioni di  durata
della presenza (residenza  o  prestazione  di  attivita'  lavorativa)
rivestirebbero una rilevanza eccessiva rispetto  agli  altri  criteri
(basati invece sulle condizioni socio-economiche e familiari e  sulle
situazioni di grave disagio  abitativo)  maggiormente  coerenti  alla
ratio ed al bisogno che la normativa residenziale  pubblica  tende  a
soddisfare (1) (2) 
      che l'applicazione di tali criteri di  punteggio,  pur  essendo
prevista per la  generalita'  dei  richiedenti,  ha  determinato  una
consistente riduzione della presenza dei  cittadini  stranieri  nelle
graduatorie per l'accesso agli alloggi ERP. 
    1.2. Le associazioni ricorrenti lamentano inoltre  una  ulteriore
condotta discriminatoria, in questo caso del solo Comune  di  Arezzo,
che attiene al regolamento in materia di utilizzo autorizzato in  via
emergenziale di alloggi ERP ai sensi della L.R.T.  2/2019  modificato
da ultimo con delibera del Consiglio comunale n. 65 del 2021 e avente
ad oggetto le «modalita' ed i criteri di conferimento provvisorio  di
alloggi ERP a nuclei familiari non assegnatari in via ordinaria e che
necessitino di risolvere  in  via  emergenziale  il  proprio  disagio
abitativo». 
    In particolare, a dispetto della normativa regionale  in  materia
di assegnazioni emergenziali (3) ,  nel  regolamento  in  parola  del
Comune di Arezzo, che disciplina l'utilizzo  temporaneo  per  1  anno
rinnovabile e le  modalita'  di  inserimento  nelle  graduatorie  per
assegnazioni emergenziali, si prevede: 
      all'art. 2, il requisito di cinque anni di residenza  o  lavoro
nel Comune e tale requisito e' riportato anche nel modulo di  istanza
risultante dal sito del Comune; 
      per  gli  stranieri,  l'onere  di  documenti  aggiuntivi  nella
formulazione  soppressa  dalla  L.R.  n.  35/2021   ma   tale   onere
documentale e' poi riportato nel modulo di domanda nella formulazione
corretta; 
      che il  cittadino  extra  UE,  ove  titolare  del  permesso  di
soggiorno almeno biennale, debba «esercitare una  regolare  attivita'
lavorativa di lavoro subordinato o di lavoro autonomo» e  anche  tale
requisito e' riportato come obbligatorio nella domanda  online  (che,
tra l'altro, e' formulata in modo tale  da  rendere  difficoltosa  la
dichiarazione dei lavoratori autonomi: «dichiara di  essere  titolare
di permesso di soggiorno  almeno  biennale  e  contestuale  attivita'
lavorativa presso...»); 
      che   la   domanda   deve   essere    presentata    utilizzando
esclusivamente il predetto modulo reperibile online. Conseguentemente
chi non ha i requisiti richiesti  nel  modulo  non  potrebbe  neppure
ottenere un provvedimento di diniego perche' la domanda non  verrebbe
neppure ammessa. 
    1.3. Alla luce di  quanto  sostenuto  i  ricorrenti  concludevano
chiedendo  di  rimuovere  la  discriminazione   e   ripristinare   le
condizioni di eguaglianza e parita' di trattamento, previa rimessione
alla  Corte  costituzionale,  del  criterio   discriminatorio   della
«residenzialita' storica» dalla normativa regionale e la  conseguente
disapplicazione  dei  relativi  atti   amministrativi;   nonche'   di
ripristinare la parita' di trattamento anche per il bando  del  2022,
riformulando la graduatoria  senza  considerare  il  punteggio  della
residenza  pregressa,  ed  eventualmente  adottando,   in   caso   di
inadempienza,  provvedimenti  coercitivi  ex  art.   614-bis   c.p.c.
considerando la natura  del  diritto  dedotto  e  la  gravita'  degli
effetti dell'inadempimento; di risarcire il  danno  non  patrimoniale
derivante  dalla  discriminazione  in   favore   delle   associazioni
ricorrenti, sottolineando l'importanza dissuasiva di tale rimedio. 
    2. Si costituiva in giudizio in data 7 settembre 2023  il  Comune
di Arezzo chiedendo in via preliminare ed in  diritto  di  dichiarare
l'inammissibilita' del ricorso per difetto  di  giurisdizione  e  per
carenza di interesse, di  dichiarare  il  difetto  di  legittimazione
attiva di Asgi e l'Altro Diritto O.D.V. e, nel merito,  di  rigettare
le domande di parte ricorrente. 
    2.1. L'amministrazione comunale di Arezzo ha dedotto in fatto: 
      che il Comune, in applicazione della L.R.  Toscana  n.  2/2019,
procede nell'assegnazione di alloggi ERP in  due  modalita',  in  via
ordinaria e provvisoria: 
A. Assegnazione alloggi in via ordinaria,  mediante  bando  periodico
almeno quadriennale 
      che il Comune ha approvato con  provvedimento  n.  3272  del  2
dicembre 2019 il bando E.R.P.; 
      che la legge regionale n. 2/2019 e' stata oggetto  di  modifica
con Legge Regionale n. 35/2021 che ha modificato: 
        l'allegato A n. 2, lett. b) che prevedeva tra i requisiti per
partecipare al  bando  per  l'assegnazione  dell'alloggio  E.R.P.  il
possesso della residenza anagrafica da almeno 5  anni;  ora,  non  e'
piu' richiesto il requisito quinquennale della residenza, ma e' stato
previsto quale requisito solo  la  residenza  anagrafica  o  sede  di
attivita' lavorativa stabile ed esclusiva  o  principale  nell'ambito
territoriale del comune o dei comuni a  cui  si  riferisce  il  bando
cosi' conformandosi alle due pronunce della Corte  costituzionale  n.
44/2020 e n. 9/2021; 
        l'allegato B, lett. c  1)  della  legge  Regione  Toscana  n.
2/2019 in  merito  ai  punteggi  da  attribuire  alle  condizioni  di
storicita' di presenza; 
      che con provvedimento n. 2387 del 19 settembre 2022  il  Comune
di  Arezzo  ha  pertanto  provveduto  ad  approvare  il  nuovo  bando
adeguandolo  alle  modifiche  introdotte  dalla  legge  regionale  n.
35/2021, che e' stato pubblicato dal 19 settembre 2022 al 18 novembre
2022; 
      che, scaduto il termine per la presentazione delle domande,  il
Servizio Patrimonio del Comune  di  Arezzo,  ha  effettuato  apposita
istruttoria in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione  da
parte dei candidati,  la  Commissione  giudicatrice  ha  valutato  le
domande ed ha assegnato i relativi punteggi in conformita'  a  quanto
previsto dal bando, procedimento poi conclusa con decisione  n.  1176
dell'11 maggio 2023 di approvazione della graduatoria definitiva; 
B. Assegnazioni alloggi in  via  provvisoria  tramite  autorizzazione
all'utilizzo degli alloggi 
    che  gli  articoli  7  e  14  della  legge  regionale  n.  2/2019
disciplinano l'assegnazione provvisoria di alloggi ERP  a  favore  di
nuclei familiari, in possesso dei requisiti  previsti  per  l'accesso
agli alloggi ERP, non assegnatari in via ordinaria e che  necessitino
di risolvere in via emergenziale il proprio disagio  abitativo  (c.d.
utilizzo autorizzato degli alloggi) (4) 
      che in attuazione della legge regionale n. 2/2019 il Comune  di
Arezzo con delibera del Consiglio comunale n. 65 del 29  aprile  2021
ha approvato il regolamento in materia  di  utilizzo  autorizzato  di
alloggi ERP che all'art. 2 individua i requisiti di accesso che  sono
i medesimi di quelli previsti per l'accesso all'alloggio ordinario; 
      che tale articolo ad  oggi  non  risulta  adeguato  alla  nuova
previsione dell'allegato A n. 2, lett. b) della legge Regione Toscana
n. 2/2019 nella versione modificata da ultimo con legge regionale  n.
35/2021 (che  ha  abrogato  il  requisito  di  accesso  rappresentato
dall'anzianita' almeno quinquennale della residenza anagrafica); 
      che tuttavia il Servizio Patrimonio  del  Comune  di  Arezzo  a
decorrere dall'entrata in vigore delle modifiche apportate alla Legge
regionale,  ha  sempre  disapplicato   l'art.   2   del   regolamento
rifacendosi alle prescrizioni contenute nell'atto normativo di  rango
piu' elevato (rectius legge regionale) come emerge dai verbali  delle
sedute della Commissione Comunale per  l'utilizzo  autorizzato  degli
alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica  (costituita  ai  sensi
dell'art. 7, comma 1, lettera c, della L.R.T. n. 02/2019 e  dell'art.
7 del regolamento dei Comuni del Lode di Arezzo  sulle  modalita'  di
accesso, di assegnazione e di  utilizzo  successivo  all'assegnazione
degli alloggi di edilizia residenziale pubblica) riunitasi in data  7
marzo 2022, 10 ottobre 2022 e 21 marzo 2023; 
      che con provvedimento n. 1901 del 14 luglio  2023  il  Servizio
Patrimonio ha poi disposto formalmente la disapplicazione dell'art. 2
del  regolamento,  nelle  more  dell'aggiornamento  del   regolamento
stesso, dandone pubblicizzazione tramite la pagina del  proprio  sito
web. 
    2.2. Alla luce dei fatti esposti, il Comune di Arezzo argomentava
in diritto eccependo - in via preliminare: 
      a) l'inammissibilita' del ricorso per difetto di giurisdizione,
poiche' in materia di edilizia residenziale pubblica  il  riparto  di
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo soggiace
alle comuni regole correlate alla posizione fatta valere in giudizio;
giacche' nel caso  di  specie,  il  giudice  ordinario  non  potrebbe
ordinare alla P.A. di modificare o annullare il proprio provvedimento
amministrativo  (il  bando  ERP  adottato   esercitando   un   potere
legalmente previsto) essendo  rimessa  questa  possibilita'  solo  al
Giudice Amministrativo, l'interesse leso  a  non  subire  trattamenti
discriminatori per effetto  delle  disposizioni  discriminatorie  del
bando  rappresenta  un  interesse  legittimo  tutelabile  dinanzi  al
giudice amministrativo; 
      b) il difetto di legittimazione attiva di  ASGI  e  di  L'Altro
Diritto legittimate solo nelle ipotesi di discriminazione  diretta  o
indiretta per razza o origine etnica (per effetto combinato dell'art.
5, comma 3, e dell'art. 2, decreto legislativo n. 215/2003) e non per
ragioni di nazionalita' - come nel caso di specie, e non nel caso  di
discriminazione collettiva  (nelle  quali  ipotesi  sono  legittimate
all'azione le rappresentanze locali  delle  organizzazioni  sindacali
maggiormente rappresentative a livello nazionale). 
    Nel merito: 
      a) quanto alla non conformita' dell'All. B, lett. c) L.R.T.  n.
2/2019 alla sentenza della Corte  della  costituzione  n.  9  del  12
gennaio 2021: 
        che la disposizione contenuta  nella  L.R.T.  2/2019  non  e'
identica a quella prevista  dalla  Regione  Abruzzo  censurata  dalla
Corte costituzionale con sentenza n. 9/2021; 
        che il criterio di attribuzione del  punteggio  basato  sulla
residenza  nel   territorio   comunale   e'   idoneo   a   bilanciare
l'assegnazione degli alloggi ERP a soggetti che offrono  garanzie  di
stanzialita',  senza  che  vi  sia  una  sopravvalutazione  di   tale
presupposto  rispetto  allo  stato  di  bisogno,  in  conformita'  ai
principi dettati da Corte costituzionale n. 9/2021 e 145/2023; 
        che in ogni caso il Comune nell'adozione  del  bando  ERP  e'
tenuto a dare attuazione alla disciplina della  legge  regionale  non
potendo prevedere requisiti o criteri premianti diversi; 
      b)  quanto  alla  previsione  all'art.  2  quale  requisito  di
partecipazione alla procedura per l'utilizzo di tali alloggi  in  via
emergenziale della residenza almeno quinquennale nel Comune di Arezzo
e dell'attivita' lavorativa; 
        che la disposizione regolamentare deve essere  adeguata  alla
nuova previsione della legge regionale,  e  tuttavia  nelle  more  il
Comune di  Arezzo  ha,  di  fatto,  sempre  disapplicato  tale  norma
regolamentare; 
      c) l'inammissibilita'  della  richiesta  di  condanna  ex  art.
614-bis c.p.c. poiche' nessuna obbligazione di fare infungibile  puo'
essere ordinata al Comune di Arezzo e comunque non e' in  alcun  modo
provato il danno e l'entita' della richiesta risarcitoria. 
      3. Anche la Regione Toscana si costituiva in giudizio in data 7
settembre 2023 chiedendo il rigetto di tutte le  domande  svolte  dai
ricorrenti nei confronti della Regione Toscana. 
    3.1. Sosteneva nel merito: 
      che non vi e' identita' tra la legge della Regione Toscana e la
legge della Regione Abruzzo oggetto della sentenza  n.  9/2021  della
Corte costituzionale; 
      che la stessa Corte costituzionale con la sentenza n.  145/2023
ha stabilito che  dalla  previsione  di  elementi  espressione  della
«prospettiva di stabilita'» non consegue in maniera automatica alcuna
illegittimita' costituzionale nei termini lamentati dalle ricorrenti; 
      che con la modifica del 2021, la Regione Toscana  ha  elaborato
un sistema complesso articolato e bilanciato per contemplare  i  vari
aspetti in cui si  esprime  il  bisogno  abitativo,  in  particolare:
inserendo  come  alternativa  alla  residenza  la   «prestazione   di
attivita' lavorativa continuativa»; ridimensionando il criterio della
residenza storica attraverso la sua graduazione in un maggior  numero
di  fasce  di  punteggio;  prevedendo  la  prevalenza  del  punteggio
attribuibile  per  le  condizioni  sociali  rispetto   al   punteggio
conseguibile con la residenza storica; 
      quanto al rispetto del principio di  non  discriminazione:  che
puo' parlarsi solo di discriminazione indiretta e comunque  l'effetto
discriminatorio non sarebbe  provato  dai  documenti  prodotti  dalle
associazioni ricorrenti ed in ogni caso  contestando  il  valore  dei
dati statistici portati a fondamento delle  argomentazioni  di  parte
ricorrente; 
      che alla luce  della  giurisprudenza  eurounitaria  ed  europea
relativa ai dati statistici e alla  presunzione  di  discriminazione,
solo in presenza di dati statistici ufficiali relativi a  percentuali
molto alte di appartenenti ad  una  data  categoria,  in  genere,  e'
riconosciuta una discriminazione indiretta  (5) 
      che una percentuale pari al  62%  del  totale  degli  stranieri
presenti  in  Provincia  di  Arezzo,  peraltro  indimostrata  -   che
sarebbero colpiti dall'effetto discriminatorio non e'  sufficiente  a
fornire un principio di prova di discriminazione; 
      quanto alla domanda di risarcimento del danno, che tale domanda
sarebbe inammissibile alla stregua di Cass. n. 23730 del 22  novembre
2016  che   ha   evidenziato   come   non   sia   configurabile   una
responsabilita'  dello  Stato  (e  quindi   anche   del   legislatore
regionale) per «illecito legislativo» cio' sia nel caso di  omissione
che di ritardo nell'attivita' legislativa ed  anche  nell'ipotesi  di
illegittimita' costituzionale; 
      che in ogni caso  non  sarebbero  stati  provati  gli  elementi
costitutivi  della  domanda  di  risarcimento   e   difetterebbe   in
particolare l'elemento della colpevolezza della Regione; 
      quanto all'infondatezza della domanda di  condanna  degli  enti
convenuti al pagamento di  una  somma  ex  art.  614-bis  c.p.c,  che
«trattandosi di enti pubblici e  di  adempimenti  amministrativi  che
richiedono (in particolare per la modifica  regolamentare  e  l'esame
delle  graduatorie)  tempi  non  preventivabili,  non  puo'   trovare
accoglimento la domanda di condanna degli enti convenuti al pagamento
di una somma ex art. 614-bis c.p.c., poiche' cio' si rivelerebbe  non
equo» ( come si ricaverebbe dalla decisione del Tribunale Sez. Lav. -
Udine, 2 marzo 2021. 
    4. All'udienza del 16 gennaio 2024  fissata  per  la  trattazione
della causa, il  Comune  di  Arezzo  confermava  che  il  regolamento
censurato non veniva di fatto applicato e che sarebbe stata in  corso
una procedura abrogativa. Il Giudice su  richiesta  delle  parti  che
discutevano a fondo il merito, concedeva trenta  giorni  per  memorie
conclusionali e fissava per  la  trattenuta  in  decisione  l'udienza
all'esito della quale tratteneva la causa in decisione. 
    5. Preliminarmente va evidenziato che sussiste  la  giurisdizione
del giudice ordinario in ordine alla presente controversia. 
    Si tratta, infatti, di controversia in materia di discriminazione
che spetta alla cognizione del Giudice ordinario in quanto involge la
tutela di una posizione di diritto soggettivo, anche nel caso in  cui
la discriminazione sia  attuata  attraverso  un  provvedimento  della
pubblica amministrazione. (6) 
    L'assunto puo' ritenersi pacifico, tenuto conto dell'orientamento
piu' volte espresso dalla giurisprudenza di legittimita' in  base  al
quale  «il  diritto  a  non  essere  discriminati  si  configura,  in
considerazione del quadro  normativo  costituzionale  (art.  3  della
Costituzione),  sovranazionale  (direttiva  2000/43/CE)  ed   interno
(articoli 3 e 4 del  decreto  legislativo  9  luglio  2003,  n.  215,
nonche' art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), come
un diritto soggettivo assoluto tutelabile dal  giudice  ordinario,  a
nulla rilevando che il dedotto comportamento discriminatorio consista
o meno nell'emanazione di un atto amministrativo. (7) 
    A cio' si aggiunga la conferma  ricavabile  dal  dato  normativo,
posto che l'art. 28 del decreto legislativo n. 150/2011 stabilisce al
comma 1 che «Le controversie in materia  di  discriminazione  di  cui
all'art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, quelle di
cui all'art. 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215,  quelle
di cui all'art. 4 del decreto legislativo  9  luglio  2003,  n.  216,
quelle di cui all'art. 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67,  e  quelle
di cui all'art. 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile  2006,
n. 198, sono regolate  dal  rito  sommario  di  cognizione,  ove  non
diversamente disposto dal presente articolo» e al comma  5  che  «Con
l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice puo'  condannare  il
convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare
la  cessazione  del  comportamento,  della   condotta   o   dell'atto
discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della
pubblica  amministrazione,  ogni   altro   provvedimento   idoneo   a
rimuoverne gli effetti». 
    Deve  ritenersi  sussistente,  pertanto,  la  giurisdizione   del
Tribunale  adito  in  relazione  a  tutte  le  domande  proposte  dai
ricorrenti e non assorbente l'eccezione proposta. 
    6. In secondo luogo, il Comune di Arezzo contesta  l'interesse  e
la legittimazione ad agire delle associazioni ricorrenti. 
    6.1. Va osservato che nel caso di specie si verte in  ipotesi  di
azione contro la discriminazione, per sua natura caratterizzata da un
petitum volto all'accertamento del carattere  discriminatorio  di  un
comportamento, di una condotta o di un atto e  alla  rimozione  degli
effetti pregiudizievoli di conseguenza prodotti. Gli enti  ricorrenti
hanno  agito  in  giudizio,   per   la   generalita'   dei   soggetti
illegittimamente  pregiudicati  nell'assegnazione  degli  alloggi  di
edilizia residenziale pubblica, denunciando l'effetto discriminatorio
derivante dalla previsione della legge regionale e del bando comunale
che attribuisce un punteggio sproporzionato  alla  residenza  storica
nel territorio comunale. In particolare, le  associazioni  ricorrenti
hanno esercitato  l'azione  antidiscriminatoria  collettiva  prevista
dall'art. 5 del decreto legislativo. n. 215/2003 e  dall'art.  5  del
decreto  legislativo  n.  216/2003  (come  modificato  con  legge  23
dicembre 2021, n. 238) al fine di tutelare  l'interesse  di  tutti  i
soggetti, non immediatamente e  direttamente  identificabili,  a  non
subire  discriminazioni  nell'accesso  a  beni  e  servizi,   incluso
l'alloggio, in ragione della nazionalita'. 
    Tanto premesso, va osservato che l'interesse ad agire di  ASGI  e
di L'Altro Diritto deve ritenersi sussistente  nella  misura  in  cui
l'accoglimento    del    ricorso    -    previa    declaratoria    di
incostituzionalita' dell'art. 10, Lett. C-1), allegato B della  legge
regionale   Toscana   n.   2/2019,   comporterebbe    la    rimozione
dell'attribuzione  di  punteggi  attribuiti  sulla  base  della  mera
residenza storica nella formazione delle  graduatorie  per  l'accesso
agli   alloggi   di   edilizia   residenziale    pubblica,    nonche'
l'accertamento dell'obbligo a carico delle amministrazioni  convenute
di procedere  alla  revisione  della  normativa  secondaria  e  delle
relative  graduatorie  con  ripristino  di  una  situazione  di  pari
trattamento per tutti coloro che sono risultati privi  dei  requisiti
ritenuti discriminatori. 
    In  altre  parole,  il  risultato   vantaggioso,   giuridicamente
apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento  del  giudice  che
sorregge l'azione  collettiva  degli  enti  ricorrenti  va  ravvisato
proprio  nella  rimozione  della  condotta  discriminatoria,  attuata
tramite  la  riproduzione  del   contenuto   della   norma   ritenuta
incostituzionale nell'Allegato  alla  legge  regionale  e  nel  bando
emanato dal Comune di Arezzo,  e  delle  conseguenze  pregiudizievoli
dalla  stessa  derivanti  in  capo  a  tutti  i  soggetti  esclusi  o
pregiudicati dal bando,  perche'  privi  di  requisiti  di  residenza
storica duratura. 
    L'eccezione  di  difetto  di  interesse  ad  agire   degli   enti
ricorrenti  deve  dunque  ritenersi  allo  stato   degli   atti   non
assorbente. 
    6.2.  Quanto   alla   legittimazione   attiva   dei   ricorrenti,
preliminarmente si evidenzia che la legitimatio ad causam «si risolve
nella titolarita' del potere o del  dovere  (rispettivamente  per  la
legittimazione attiva o passiva) di promuovere o subire  un  giudizio
in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, indipendentemente
dalla questione dell'effettiva titolarita' del lato attivo o  passivo
del rapporto controverso» (cfr.  Cass.,  sentenza  n.  16678  del  12
agosto 2005). 
    E' noto che la questione della titolarita'  del  rapporto  (tanto
attiva che passiva) attiene al merito della decisione e  quindi  alla
fondatezza della domanda in concreto proposta. E' dunque questione da
esaminarsi in detta sede all'esito della valutazione della  rilevanza
e  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni   di   legittimita'
costituzionale prospettate dal ricorrente,  nonche'  all'esito  della
decisione della  questione  di  legittimita'  costituzionale  che  si
solleva nel presente provvedimento. 
    Deve tuttavia rilevarsi fin d'ora  l'infondatezza  dell'argomento
svolto dall'amministrazione comunale convenuta. Invero, ad avviso del
Comune di Arezzo le  associazioni  ricorrenti  sarebbero  legittimate
solo nelle ipotesi di discriminazione diretta o indiretta per razza o
origine etnica  (per  effetto  combinato  dell'art.  5,  comma  3,  e
dell'art. 2, decreto legislativo n. 215/2003) e non  per  ragioni  di
nazionalita'. 
    L'argomento e' privo di  pregio.  Come  risulta  dagli  atti  del
procedimento entrambe le associazioni sono  iscritte  nell'elenco  di
cui all'art. 5 decreto legislativo  n.  215/03.  La  questione  della
limitazione della legittimazione attiva delle organizzazioni iscritte
all'elenco  ex  art.  5  decreto  legislativo  n.  215/03  alle  sole
discriminazioni per etnia, e' stata  risolta  in  senso  negativo  da
consolidata giurisprudenza di legittimita' (cfr. Cass.  sentenze  nn.
11165/2017,  11166/2017,  28745/2019)  che   ha   ritenuto   che   la
legittimazione attiva delle associazioni di  cui  all'elenco  art.  5
d.lgs. 215/03 nell'azione discriminatoria in parola vada estesa anche
alla tutela contro condotte discriminatorie per «nazionalita'» e  non
solo per «etnia». 
    Non pare sussistere, pertanto, il difetto  di  legittimazione  ad
agire in capo alle associazioni ricorrenti. 
    7.  Tanto  premesso  in  ordine  alle   eccezioni   pregiudiziali
sollevate dai convenuti, nel merito va  osservato  che  i  ricorrenti
lamentano l'esistenza di una condotta discriminatoria  della  Regione
Toscana e del Comune di Arezzo. 
    Occorre fin da  subito  osservare  che  le  questioni  sottoposte
all'attenzione di questo  Giudice  possono  essere  separate  in  due
gruppi di domande. 
    Il primo gruppo di domande, rivolte esclusivamente nei  confronti
del   Comune   di   Arezzo,    riguardano    clausole    del    bando
dell'amministrazione comunale relativo all'assegnazione  emergenziale
degli alloggi; trattandosi di questione che puo'  essere  risolta  da
questo Giudice allo stato degli atti, sara' oggetto di  provvedimento
decisorio all'esito del giudizio di costituzionalita'  rilevante  per
le altre domande,  dalle  quali  per  economia  di  giudizio  non  e'
opportuno separarle. 
    La presente ordinanza ha invece ad oggetto la proposta  questione
di legittimita' costituzionale delle norme  di  legge  regionali  che
utilizzano nella  formazione  delle  graduatorie  il  criterio  della
residenza protratta nel tempo. 
    In particolare, secondo i ricorrenti la condotta  discriminatoria
lamentata consisterebbe,  rispettivamente,  nell'avere  approvato  ed
emanato  la  legge  regionale  toscana  n.  2/2019,  con  particolare
riferimento all'art. 10, della  legge  regionale  Toscana  n.  2/2019
nella parte in cui richiama  le  condizioni  per  l'attribuzione  dei
punteggi determinate all'allegato B, Lett. C-1). 
    La questione e' ammissibile perche' ha ad oggetto norme di  legge
soggette al controllo di costituzionalita' ai sensi dell'art.  134  e
117 della Costituzione. 
    Nello specifico le disposizioni dell'allegato B, come  richiamato
dall'art.   10   della   legge   regionale   n.   2/2019,   prevedono
l'attribuzione di punteggi nelle modalita' che seguono: 
      «a) Condizioni sociali, economiche e familiari: 
        a-1.  Reddito  annuo   complessivo   del   nucleo   familiare
costituito  esclusivamente  da  pensione  sociale,  assegno  sociale,
pensione minima INPS, da pensione di invalidita': punti 2; 
        a-1 bis. Reddito fiscalmente imponibile pro capite del nucleo
familiare non superiore all'importo annuo di una pensione minima INPS
per persona: punti 1; 
        a-2. Nucleo familiare composto da una sola persona che  abbia
compiuto  il  sessantacinquesimo  anno   di   eta'   alla   data   di
pubblicazione del bando o da una  coppia  i  cui  componenti  abbiano
entrambi compiuto il sessantacinquesimo anno di  eta'  alla  suddetta
data, anche in presenza di minori a carico o di soggetti  di  cui  ai
successivi punti a-4 o a-4 bis: punti 1; 
        a-3.  Nucleo  familiare   composto   da   coppia   coniugata,
convivente more uxorio, unita civilmente ovvero convivente  di  fatto
ai sensi della legge 20 maggio 2016, n.  76  (Regolamentazione  delle
unioni civili tra persone  dello  stesso  sesso  e  disciplina  delle
convivenze), anagraficamente convivente e che  viva  in  coabitazione
con altro nucleo  familiare,  ovvero  convivente  nell'ambito  di  un
nucleo familiare piu' ampio, alla data di  pubblicazione  del  bando:
punti 1; con uno o piu' figli minori a carico: punti 2. Il  punteggio
e' attribuibile a condizione che nessuno dei due componenti la coppia
abbia compiuto  il  trentaquattresimo  anno  di  eta'  alla  data  di
pubblicazione del bando; 
        a-4.  Nucleo  familiare  in  cui  sia  presente  un  soggetto
riconosciuto invalido ai sensi delle vigenti normative: 
          con eta' compresa fra 18  anni  e  65  anni  alla  data  di
pubblicazione del bando,  riconosciuto  invalido  in  misura  pari  o
superiore al 67%: punti 1; 
          con eta' compresa fra 18  anni  e  65  anni  alla  data  di
pubblicazione del bando, riconosciuto  invalido  in  misura  pari  al
100%: punti 2; 
          che non abbia compiuto il diciottesimo anno di eta'  o  che
abbia compiuto il  sessantacinquesimo  anno  di  eta'  alla  data  di
pubblicazione del bando: punti 2; 
        a-4 bis. Nucleo familiare in cui  sia  presente  un  soggetto
riconosciuto invalido al 100% con necessita' di  assistenza  continua
e/o un portatore di handicap riconosciuto in situazione  di  gravita'
tale da rendere necessario un  intervento  assistenziale  permanente,
continuativo e  globale  nella  sfera  individuale  o  in  quella  di
relazione: punti 3. Nel  caso  in  cui  nel  nucleo  familiare  siano
presenti due o piu' situazioni di invalidita' di  cui  ai  precedenti
punti a-4 e a-4 bis, non possono comunque essere attribuiti  piu'  di
punti 4; 
        a-5. Richiedente in condizione di pendolarita'  per  distanza
tra il luogo di lavoro e il luogo di residenza  superiore  a  km  70:
punti 1. Il punteggio si applica limitatamente  al  bando  pubblicato
dal comune nel quale il richiedente lavora; 
        a-6. Nucleo familiare composto da due persone con tre o  piu'
familiari fiscalmente a carico: punti 2; 
        a-7. Nucleo familiare composto da una sola persona con: uno o
piu' figli maggiorenni fiscalmente  a  carico,  purche'  non  abbiano
compiuto il ventiseiesimo anno di eta' alla data di pubblicazione del
bando: punti 1; 
          un figlio minore  fiscalmente  a  carico  o  un  minore  in
affidamento preadottivo a carico: punti 2; 
          due o piu' figli minori fiscalmente a carico o due  o  piu'
minori in affidamento preadottivo a carico: punti 3; 
          uno o piu' soggetti fiscalmente a carico di  cui  ai  punti
a-4 o a-4 bis: punti 4. 
    Nel  caso  in  cui  nel  nucleo  familiare  siano  presenti  piu'
situazioni tra quelle sopra indicate,  non  possono  comunque  essere
attribuiti piu' di punti 6. Il punteggio di cui al punto a-7,  ultimo
capoverso, non e' cumulabile con i punteggi di cui ai punti a-4 e a-4
bis. 
        a-8. Richiedente separato  o  divorziato  legalmente  su  cui
grava l'obbligo disposto  dall'autorita'  giudiziaria  del  pagamento
mensile di un assegno di mantenimento a favore del  coniuge  e/o  dei
figli: punti 1. 
      b) Condizioni abitative dovute a situazioni  di  grave  disagio
abitativo,  accertate  dall'autorita'  competente,  per  i   seguenti
motivi: 
        b-1. Permanenza effettiva e continuativa,  documentata  dalle
autorita' pubbliche competenti, in ambienti impropriamente adibiti ad
abitazione, aventi caratteristiche tipologiche e/o igienico-sanitarie
di assoluta ed effettiva  incompatibilita'  con  la  destinazione  ad
abitazione:  punti  3.  Ai  fini  di  cui  al  presente  punto   b-1,
l'eventuale classificazione catastale dell'unita' immobiliare non  ha
valore cogente. Tale situazione deve sussistere  da  almeno  un  anno
alla data di  pubblicazione  del  bando.  Dopo  la  formazione  della
graduatoria, gli uffici trasmettono apposita segnalazione dei casi in
cui risulta attribuito il punteggio di cui al presente punto  b-1  al
comune e alla prefettura per la verifica  in  ordine  alle  eventuali
conseguenze o responsabilita' derivanti dal suddetto accertamento  ai
sensi delle vigenti disposizioni di legge; 
        b-2. Abitazione in alloggio avente  barriere  architettoniche
tali  da  determinare  grave  disagio  abitativo,  e  non  facilmente
eliminabili, in presenza di nucleo familiare con  componente  affetto
da  handicap,  invalidita'  o  minorazioni  congenite  o   acquisite,
comportanti gravi e permanenti difficolta' di deambulazione: punti 2; 
        b-3.  Abitazione  in  alloggi  o  altre  strutture  abitative
assegnati a titolo precario dai servizi di assistenza del comune o da
altri  servizi  assistenziali  pubblici,  regolarmente  occupati,   o
abitazione in alloggi privati procurati dai servizi di assistenza del
comune,  regolarmente  occupati,  il  cui  canone  di  locazione   e'
parzialmente o interamente corrisposto dal comune stesso: punti 3; 
        b-4. Abitazione in alloggio  di  proprieta'  privata  con  un
contratto di  locazione  registrato  il  cui  canone  annuo  relativo
all'anno di produzione del reddito sia  superiore  ad  un  terzo  del
reddito imponibile, e risulti regolarmente corrisposto: punti  3;  in
caso di canone uguale o superiore  al  50%  del  reddito  imponibile:
punti 4. Ai fini del suddetto calcolo, eventuali contributi percepiti
a  titolo  di  sostegno   alloggiativo   devono   essere   scomputati
dall'ammontare del canone corrisposto; 
        b-5. Abitazione che debba  essere  rilasciata  a  seguito  di
provvedimento  esecutivo  di  sfratto  per  finita  locazione  o  per
morosita' incolpevole come  definita  all'art.  14,  comma  3,  o  di
provvedimento di espropriazione forzata a seguito di pignoramento. Il
suddetto sfratto e la relativa convalida  devono  avere  data  certa,
anteriore  alla  data  di  pubblicazione  del  bando,  comunque   non
superiore ad anni due: punti 2; 
        b-6. Coabitazione in uno stesso alloggio  con  altro  o  piu'
nuclei  familiari,  ciascuno  composto  da  almeno  due   unita',   o
situazione di sovraffollamento con oltre due persone per vano  utile:
punti 2. Le due condizioni non sono cumulabili. 
      c) Condizioni di storicita' di presenza: 
        c1.  Residenza  anagrafica   o   prestazione   di   attivita'
lavorativa continuativa di almeno un componente del nucleo  familiare
nell'ambito territoriale di riferimento del bando, da almeno tre anni
alla data di pubblicazione del bando: punti 1; da almeno cinque  anni
alla data di pubblicazione del bando: punti 2; da almeno  dieci  anni
alla data di pubblicazione del bando: punti  3;  da  almeno  quindici
anni alla data di pubblicazione del bando: punti 3,5; da almeno venti
anni alla data  di  pubblicazione  del  bando:  punti  4;  (grassetto
dell'estensore); 
        c-2. Presenza continuativa del richiedente nella  graduatoria
comunale o intercomunale per  l'assegnazione  degli  alloggi,  ovvero
presenza  continuativa  del  nucleo  richiedente  nell'alloggio   con
utilizzo autorizzato:  punti  0,50  per  ogni  anno  di  presenza  in
graduatoria o nell'alloggio. Il punteggio  massimo  attribuibile  non
puo' comunque superare i 6 punti.  Le  condizioni  di  storicita'  di
presenza devono essere in ogni  caso  dichiarate  nella  domanda  dal
richiedente.  Il  comune,  ai  fini  dell'attribuzione  del  relativo
punteggio,  ha  la  facolta'  di  verificare  d'ufficio  le  suddette
dichiarazioni; 
        c-3. Periodo di contribuzione al Fondo GESCAL  non  inferiore
ad anni 5: punti 1; Periodo di  contribuzione  al  fondo  GESCAL  non
inferiore ad anni 10: punti 2. I punteggi di  cui  al  punto  c)  non
possono essere attribuiti ai nuclei  familiari  gia'  assegnatari  di
alloggi di ERP». 
    7.1. In primo luogo, va osservato che la controversia in esame ha
ad oggetto un ambito materiale che rientra nella sfera di  competenza
che il  TFUE  attribuisce  all'Unione.  L'esame  della  questione  di
compatibilita' con il  diritto  dell'Unione  europea  costituisce  un
prius logico e giuridico  rispetto  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale  in  via  incidentale,  poiche'  investe   la   stessa
applicabilita' della norma  censurata  nel  giudizio  principale  (e,
pertanto, la rilevanza della questione). 
    Tanto premesso, non pare inutile ricordare che il  contrasto  con
il diritto  dell'Unione  europea  condiziona  l'applicabilita'  della
norma censurata nel giudizio a quo - e di conseguenza la  irrilevanza
o la diversa rilevanza (alla luce della  sentenza  n.  15/2024  della
Corte  della  Costituzione  di  cui   infra)   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale che si intendano sollevare sulla medesima
- soltanto quando la norma europea sia dotata di  effetto  diretto  o
sia direttamente applicabile. 
    Al riguardo,  come  ribadito  dalla  Corte  costituzionale  nella
sentenza n. 269/2017,  «deve  richiamarsi  l'insegnamento  di  questa
Corte, in base al quale «conformemente ai  principi  affermati  dalla
sentenza della Corte di giustizia 9 marzo  1978,  in  causa  C-106/77
(Simmenthal), e dalla  successiva  giurisprudenza  di  questa  Corte,
segnatamente con la sentenza n. 170 del 1984 (Granital),  qualora  si
tratti di disposizione del diritto dell'Unione  europea  direttamente
efficace,  spetta   al   giudice   nazionale   comune   valutare   la
compatibilita'  comunitaria  della   normativa   interna   censurata,
utilizzando - se del caso - il rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di
giustizia,  e  nell'ipotesi  di  contrasto  provvedere  egli   stesso
all'applicazione  della  norma  comunitaria  in  luogo  della   norma
nazionale; mentre, in caso di contrasto  con  una  norma  comunitaria
priva  di  efficacia  diretta  -  contrasto  accertato  eventualmente
mediante ricorso alla Corte di giustizia - e  nell'impossibilita'  di
risolvere il contrasto in via interpretativa, il giudice comune  deve
sollevare la questione di legittimita' costituzionale, spettando  poi
a questa Corte valutare l'esistenza di un contrasto insanabile in via
interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile con
il diritto comunitario (nello stesso senso sentenze n. 284 del  2007,
n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75 del  2012)»  (ordinanza  n.  207  del
2013)". Nella pronuncia in esame, con  considerazioni  rilevanti  nel
caso di specie, e' affermato che: «quando una disposizione di diritto
interno  diverge  da  norme  dell'Unione  europea  prive  di  effetti
diretti,   occorre   sollevare   una   questione   di    legittimita'
costituzionale, riservata alla esclusiva competenza di questa  Corte,
senza delibare preventivamente i profili di incompatibilita'  con  il
diritto europeo. In tali ipotesi spetta a questa Corte  giudicare  la
legge, sia in riferimento ai parametri europei»  (con  riguardo  alle
priorita', nei giudizi in via  di  azione,  si  veda  ad  esempio  la
sentenza n. 197 del 2014, ove  si  afferma  che  «la  verifica  della
conformita' della norma impugnata alle regole di  competenza  interna
e' preliminare al controllo  del  rispetto  dei  principi  comunitari
(sentenze n. 245 del 2013, n. 127 e n.  120  del  2010)».  Da  ultimo
occorre considerare il portato della significativa  recente  sentenza
n. 15/2024 del 12 febbraio 2024 con la quale la Corte  costituzionale
e' tornata sul rapporto tra ordinamenti sotto il profilo  dei  rimedi
attivabili in caso di contrasto tra norma interna e obbligo derivante
dal diritto dell'Unione europea. 
    Sul punto il richiamo e' al par. 7.3. del Considerato in  diritto
ove si legge: 
      «Nel caso in cui, invece,  la  discriminazione  compiuta  dalla
pubblica amministrazione trovi origine  nella  legge,  in  quanto  e'
quest'ultima a imporre, senza alternative, quella specifica condotta,
allora  l'attivita'  discriminatoria  e'  ascrivibile  alla  pubblica
amministrazione soltanto in via mediata, in quanto alla radice  delle
scelte amministrative che si e' accertato essere discriminatorie sta,
appunto,  la  legge  (...).  In  evenienze  del  genere,  il  giudice
ordinario non puo' allora ordinare la modifica di norme regolamentari
che siano riproduttive di norme legislative,  in  quanto  ordinerebbe
alla  pubblica  amministrazione  di   adottare   atti   regolamentari
confliggenti con la legge non rimossa. 
    L'esercizio  di  un  siffatto  potere  e',  dunque,   subordinato
all'accoglimento  da  parte  di  questa  Corte  della  questione   di
legittimita' costituzionale sulla norma legislativa  che  il  giudice
ritenga  essere  causa   della   natura   discriminatoria   dell'atto
regolamentare. (...) 
    In   quest'ottica,   laddove   la   norma    regolamentare    sia
sostanzialmente  riproduttiva  di  norma  legislativa,  ordinarne  la
rimozione  implica  che  sia  sollevata  questione  di   legittimita'
costituzionale sulla seconda. La non applicazione per  contrasto  con
il diritto dell'Unione europea a efficacia diretta -  necessaria  per
l'attribuzione immediata  del  bene  della  vita  negato  sulla  base
dell'accertata  discriminazione -  non  rimuove,  infatti,  la  legge
dall'ordinamento con immediata efficacia, ma impedisce soltanto «erga
omnes che tale norma  venga  in  rilievo  per  la  definizione  della
controversia innanzi al  giudice  nazionale»  (sentenza  n.  170  del
1984). L'ordine di rimozione della norma regolamentare - che proietta
i suoi effetti, per espressa  scelta  del  legislatore  compiuta  con
l'art. 28 del decreto legislativo n. 150 del 2011, oltre il caso  che
ha originato il giudizio antidiscriminatorio - richiede, allora,  che
sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale della legge, la quale,
ancorche'  non  applicata  nel  caso  concreto,  e'  ancora  vigente,
efficace  e,  sia  pure  in  ipotesi  erroneamente,  suscettibile  di
applicazione da parte della pubblica amministrazione o anche di altri
giudici che ne valutino diversamente la compatibilita' con il diritto
dell'Unione europea. Sono, dunque, tanto l'ordinato funzionamento del
sistema delle fonti interne, e, nello specifico, i rapporti tra legge
e regolamento regionali, anche in relazione  al  diritto  dell'Unione
europea,  quanto  l'esigenza  che  i   piani   di   rimozione   della
discriminazione siano efficaci a richiedere che il giudice ordinario,
se  correttamente  intenda  ordinare  la  rimozione  di   una   norma
regolamentare al fine di evitare il riprodursi della  discriminazione
de futuro, sollevi questione  di  legittimita'  costituzionale  sulla
norma legislativa sostanzialmente riprodotta dall'atto regolamentare,
anche dopo che si sia accertata  l'incompatibilita'  di  dette  norme
interne con norme di diritto  dell'Unione  europea  aventi  efficacia
diretta. 
    Cio' premesso, una norma eurounitaria  puo'  essere  ritenuta  ad
efficacia  diretta  quando,  a  prescindere  dall'atto  della  Unione
Europea in cui e' contenuta imponga ai destinatari  un  comportamento
preciso ed incondizionato e contenga una disciplina completa che  non
necessiti di una normativa ulteriore di  attuazione  da  parte  degli
Stati Membri, o comunque individui un diritto soggettivo o  prescriva
un obbligo che possano  essere  immediatamente  fatti  valere  in  un
giudizio. 
    La Corte di Giustizia ha da tempo chiarito che in tutti i casi in
cui   le   disposizioni   di   una   direttiva    appaiano    chiare,
sufficientemente  precise  ed  incondizionate,  i   singoli   possono
invocarle dinanzi ai giudici  nazionali  nei  confronti  dello  Stato
membro, vuoi qualora esso abbia omesso di trasporre la  direttiva  in
diritto nazionale entro i termini, vuoi qualora l'abbia  recepita  in
modo non corretto (v., in particolare,  sentenze  19  novembre  1991,
cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich,  punto  11,  e  11  luglio
2002, causa C-62/00, Marks & Spencer, punto 25;  sentenza  5  ottobre
2004, cause riunite C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a., punto 103). 
    Ma, alla luce della citata giurisprudenza, deve ritenersi che  le
disposizioni della direttiva 2003/109 - nella parte rilevante ai fini
del caso in esame, non possano essere ritenute ad  efficacia  diretta
se si ritenga che lo stato si sia avvalso della facolta' di deroga. 
    Questo perche', dovrebbero, a  tal  fine,  essere  considerati  i
seguenti elementi: l'art.  11,  primo  paragrafo,  lettera  f)  della
direttiva prevede espressamente che il soggiornante di lungo  periodo
goda dello stesso  trattamento  dei  cittadini  nazionali  anche  per
l'accesso alla «procedura per l'ottenimento di un alloggio», ma, allo
stesso tempo, prevede che lo Stato membro possa limitare  la  parita'
di trattamento ai casi in cui  il  richiedente  ha  eletto  dimora  o
risiede abitualmente  nel  suo  territorio  (art.  11,  par.  2);  le
previsioni  in  esame,  pur  essendo  chiare  e  precise,  non   sono
incondizionate, in quanto prevedono la possibilita' di un  intervento
limitativo dello Stato membro; la direttiva in esame e' stata attuata
con il decreto legislativo n. 3/2007 (cfr.  in  particolare  art.  9,
comma 12, lettera c). 
    Parimenti dovrebbe concludersi anche in  relazione  all'art.  12,
direttiva 2011/98 ove si prevede che «I lavoratori dei paesi terzi di
cui all'art. 3, paragrafo 1, lettere b e c),  (8)  beneficiano  dello
stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro  in  cui
soggiornano per quanto concerne: (...); g) l'accesso a beni e servizi
a disposizione del pubblico e all'erogazione degli stessi, incluse le
procedure per l'ottenimento di un alloggio, conformemente al  diritto
nazionale, fatta salva  la  liberta'  contrattuale  conformemente  al
diritto dell'Unione e al diritto nazionale» e tuttavia  al  paragrafo
successivo prevede che gli Stati membri possano limitare  la  parita'
di  trattamento  «d)  in  ordine  al  paragrafo  1,  lettera  g):  i)
limitandone l'applicazione ai lavoratori di paesi terzi che  svolgono
un'attivita' lavorativa; ii) limitando l'accesso per quanto  concerne
l'assistenza abitativa». 
    Le  stesse  integrano,  pertanto,  quali  norme   interposte   il
parametro costituzionale espresso dall'art. 117,  primo  comma  della
Costituzione, nella  parte  in  cui  impone  la  conformazione  della
legislazione   interna   ai   vincoli   derivanti   dagli    obblighi
internazionali. 
    Ma e' vero anche che, come afferma la Corte di Giustizia  dell'UE
24 aprile 2012 (C 2012:233) ai paragrafi par. 87 e 88 della sentenza,
«occorre rilevare che un'autorita'  pubblica,  sia  essa  di  livello
nazionale, regionale o  locale,  puo'  invocare  la  deroga  prevista
all'art. 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109 unicamente qualora
gli organi competenti nello Stato membro interessato per l'attuazione
di  tale  direttiva  abbiano  chiaramente  espresso  l'intenzione  di
avvalersi della deroga suddetta». 
    E va considerato che, nel caso in esame, allo  stato  degli  atti
non risulta che «la Repubblica italiana abbia manifestato la  propria
intenzione di ricorrere alla deroga al  principio  della  parita'  di
trattamento prevista  dall'art.  11,  paragrafo  4,  della  direttiva
2003/109». 
    Del resto, quand'anche, il Giudice si trovi nell'ipotesi di dover
disapplicare  la  norma  nazionale   in   contrasto   con   l'obbligo
dell'Unione direttamente applicabile  o  idoneo  a  produrre  effetti
diretti, la questione  di  legittimita'  costituzionale  della  norma
disapplicata rimarrebbe comunque ammissibile alla  luce  dei  recenti
approdi  della  Corte  costituzionale  (sentenza  15/2024),  che   ha
consentito il cumulo dei due strumenti  della  disapplicazione  della
legge con la rimessione alla Corte di una questione  di  legittimita'
costituzionale sulla medesima  legge,  nell'ottica  di  garantire  un
piano di rimozione delle discriminazioni effettivo e pro futuro (art.
28, comma 5, decreto  legislativo  n.  150/2011),  comprensivo  della
rimozione dell'atto normativo in contrasto con le norme  eurounitarie
e tuttavia  conseguente  alla  dichiarazione  di  incostituzionalita'
adottata dalla Corte costituzionale. 
    Per queste ragioni la questione appare al giudicante, nel caso in
esame ed in ogni caso, ammissibile. 
    7.2 Quanto alla rilevanza, ossia alla prevedibile necessita'  che
la norma sulla quale  verte  il  dubbio  di  costituzionalita'  debba
trovare  applicazione  nel  giudizio  a  quo,  va  richiamato  quanto
osservato in ordine all'interesse ad agire dei ricorrenti. 
    Del resto, basti a tal proposito osservare  che  ASGI  e  L'Altro
Diritto hanno proposto, in proprio, l'azione collettiva ex art. 5 del
decreto legislativo n.  215/2003  volta  ad  accertare  il  carattere
discriminatorio  della  condotta   tenuta   dalla   regione   Toscana
consistente nell'aver emanato  l'art.  10,  L.R.  Toscana  n.  2/2019
laddove, nel rinvio all'allegato B, Lett. C-1) prevede l'assegnazione
di un  punteggio  da  1  a  4  in  caso  di  residenza  anagrafica  o
prestazione lavorativa  continuativa  di  almeno  un  componente  del
nucleo familiare nell'ambito territoriale di riferimento del bando da
almeno tre anni e fino ad oltre venti anni, per contrasto con  l'art.
3 della Costituzione e con l'art. 117,  comma  1  della  Costituzione
quest'ultimo  in  riferimento  all'art.  11,  direttiva  2003/109  ed
all'art. 12 della direttiva 2011/98. 
    7.3. Ad avviso di questo  giudice,  in  definitiva,  il  presente
giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione
della questione di  legittimita'  costituzionale  che,  pertanto,  si
sottopone in relazione all'art. 10, Lett. C-1), dell'allegato B  alla
L.R.  Toscana  n.  2/2019,  per  contrasto   con   l'art.   3   della
Costituzione, nonche' per contrasto con l'art.  117,  comma  1  della
Costituzione,  in  relazione  alla  direttiva  2003/109  e  direttiva
2011/98. 
    Appare,  pertanto,  riscontrabile  anche  il  presupposto   della
rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 
    8.  A  parere  di  questo  giudice,  inoltre,  la  questione   di
conformita' a Costituzione appare non manifestamente infondata. 
    In primo luogo perche'  non  appare  possibile  l'interpretazione
delle disposizioni della L.R. Toscana n.  2/2019  in  senso  conforme
alle disposizioni costituzionali. 
    E'  noto,  infatti,  che  prima  di  sollevare   l'incidente   di
costituzionalita' il giudice a quo deve verificare la possibilita' di
interpretare la disposizione censurata in modo da renderla rispettosa
della Costituzione; soltanto nel  caso  in  cui  il  giudice  ritenga
impossibile fornire una interpretazione secundum constitutionem della
norma, diviene necessaria la rimessione della  questione  alla  Corte
costituzionale  (cfr.,  fra  le  altre,  Corte   costituzionale   nn.
356/1996; 308/2008; 113/2015). 
    L'art. 10 rinvia all'allegato B della legge regionale  n.  2/2019
per  la  determinazione  delle  modalita'  della   formazione   della
graduatoria secondo i criteri illustrati  nel  paragrafo  precedente,
criteri  che  attribuiscono  alla  mera  residenza   un   determinato
punteggio con un meccanismo che pur  essendo  di  dubbia  conformita'
costituzionale, tuttavia non lascia spazio ad interpretazioni diverse
o alternative. 
    La chiara lettera della legge, confermata anche dall'utilizzo  di
espressioni dal senso univoco, non  consente  alcuna  interpretazione
idonea  a  fugare  il  dubbio  di  conformita'   all'art.   3   della
Costituzione. 
    8.1. La questione di costituzionalita' dell'art. 10 della  L.R.T.
2/2019 nella parte  in  cui  rinvia  all'Allegato  B  Condizioni  per
l'attribuzione dei punteggi (art. 10) lett. c1. appare, ad avviso  di
questo giudice, non manifestamente infondata in relazione,  in  primo
luogo, all'art. 3 della Costituzione. 
    L'articolo in parola attribuisce un punteggio in  graduatoria  da
uno a quattro punti nel massimo a tutti i soggetti  che  possano  far
valere una residenza protratta nel  territorio  comunale  (ovvero  la
prestazione  di  un'attivita'  lavorativa  continuativa)  secondo  un
meccanismo premiale e graduato che aumenta con l'aumentare degli anni
di residenza (o lavoro continuativo). 
    A tale  proposito  i  ricorrenti  richiamando  le  considerazioni
svolte dalla Corte costituzionale nelle  sentenze  n.  44/2020  e  n.
9/2021 sostengono che il  meccanismo  di  assegnazione  dei  punteggi
congegnato dal legislatore regionale risulti  illegittimo  in  quanto
l'attribuzione di un punteggio sulla base  della  mera  residenza  e'
totalmente svincolato dal bisogno abitativo che  la  legge  regionale
intende  soddisfare.  I   ricorrenti   censurano,   in   particolare,
l'attribuzione di punteggi aggiuntivi  in  ragione  della  prolungata
residenza in Toscana, sproporzionati rispetto ai punteggi  attribuiti
dalle altre condizioni (sociali, economiche  e  familiari  e  di  cd.
disagio abitativo) che appaiono  invece  maggiormente  aderenti  alla
ratio cui la normativa ERP appare ispirata. 
    Per vero le  richiamate  sentenze  non  si  sono  occupate  della
questione qui in esame (anche se  la  sentenza  n.  9/2021  aveva  ad
oggetto una questione assai simile a  quella  del  caso  di  specie),
cioe' della rilevanza della durata  della  residenza  ai  fini  della
attribuzione della posizione in graduatoria, e tuttavia  in  esse  e'
possibile estrapolare principi generali che  al  giudicante  appaiono
pertinenti anche al caso in esame. 
    Anzitutto deve essere osservato che, come si  legge  al  punto  3
della sentenza 44/2020: "il diritto  all'abitazione  «rientra  fra  i
requisiti essenziali caratterizzanti la socialita' cui si conforma lo
Stato democratico voluto dalla  Costituzione»  ed  e'  compito  dello
Stato garantirlo, contribuendo cosi' «a che la vita di  ogni  persona
rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della
dignita' umana»  (sentenza  n.  217  del  1988;  nello  stesso  senso
sentenze n. 106 del 2018, n. 168 del 2014, n. 209 del 2009 e  n.  404
del 1988). Benche' non  espressamente  previsto  dalla  Costituzione,
tale diritto deve dunque ritenersi incluso nel catalogo  dei  diritti
inviolabili (fra le altre, sentenze n. 161 del 2013, n. 61 del 2011 e
n. 404 del 1988 e ordinanza  n.  76  del  2010)  e  il  suo  oggetto,
l'abitazione,  deve  considerarsi  «bene  di   primaria   importanza»
(sentenza n. 166 del 2018; si vedano anche  le  sentenze  n.  38  del
2016, n. 168 del 2014 e n. 209 del 2009"). 
    L'edilizia residenziale pubblica  e'  diretta  ad  assicurare  in
concreto il soddisfacimento di questo bisogno primario, perche' serve
a «garantire un'abitazione a soggetti economicamente deboli nel luogo
ove e' la sede dei loro interessi» (sentenza n.  176  del  2000),  al
fine di assicurare un'esistenza dignitosa  a  tutti  coloro  che  non
dispongono di risorse sufficienti (art. 34 della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione  europea),  mediante  un  servizio  pubblico
deputato alla «provvista di alloggi per i lavoratori  e  le  famiglie
meno abbienti» (sentenza n. 168 del 2014). 
    Orbene la Corte costituzionale ha, a piu' riprese,  chiarito  che
«i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei  beneficiari
dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione
del servizio (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 107 del 2018, n.  168
del 2014, n. 172 e n. 133 del 2013  e  n.  40  del  2011)  (grassetto
dell'estensore). 
    Il  giudizio  sulla  sussistenza  e  sull'adeguatezza   di   tale
collegamento, fra finalita' del servizio da erogare e caratteristiche
soggettive  richieste  ai  suoi  potenziali   beneficiari   -   muove
dall'identificazione della ratio della norma di riferimento  e  passa
poi attraverso la verifica della coerenza con tale ratio, del  filtro
selettivo introdotto,  secondo  la  struttura  tipica  del  sindacato
svolto ai sensi dell'art. 3, primo comma, della Costituzione. 
    Se dunque la  ratio  della  normativa  di  edilizia  residenziale
abitativa e' quella di  assicurare  il  soddisfacimento  del  bisogno
primario ad una abitazione, il requisito  della  residenza  pregressa
non appare di per se' collegato alla funzione  del  servizio.  Ed  in
effetti, se e' vero che  e'  certamente  ragionevole  che  i  servizi
sociali erogati da un comune si rivolgano  a  persone  residenti  nel
comune stesso, se e' vero che e' certamente coerente con la  funzione
della norma che i servizi siano erogati a persone che assicurino  una
certa stabilita' sul territorio, e' altrettanto vero - come  rilevato
dalla Corte costituzionale che «La previa residenza (...) non  e'  di
per se'  indice  di  un'elevata  probabilita'  di  permanenza  in  un
determinato ambito territoriale, mentre a  tali  fini  risulterebbero
ben  piu'  significativi   altri   elementi   sui   quali   si   puo'
ragionevolmente  fondare  una  prognosi  di  stanzialita'.  In  altri
termini, la rilevanza conferita a una condizione del  passato,  quale
e' la residenza [...], non sarebbe comunque oggettivamente  idonea  a
evitare il "rischio di instabilita'" del  beneficiario  dell'alloggio
di edilizia residenziale  pubblica,  obiettivo  che  dovrebbe  invece
essere perseguito avendo riguardo  agli  indici  di  probabilita'  di
permanenza per il futuro. In ogni caso,  si  deve  osservare  che  lo
stesso "radicamento" territoriale,  quand'anche  fosse  adeguatamente
valutato (non con riferimento alla previa residenza  protratta),  non
potrebbe comunque assumere importanza  tale  da  escludere  qualsiasi
rilievo del  bisogno.  Data  la  funzione  sociale  del  servizio  di
edilizia residenziale pubblica, e' irragionevole che anche i soggetti
piu' bisognosi siano esclusi a priori dall'assegnazione degli alloggi
solo perche' non  offrirebbero  sufficienti  garanzie  di  stabilita'
(par. 3.1. Corte costituzionale,  sentenza  n.  44/2020»)  (grassetto
dell'estensore). 
    In termini piu' generali la Corte costituzionale ha affermato «il
principio che  se  al  legislatore,  sia  statale  che  regionale  (e
provinciale), e' consentito introdurre una  disciplina  differenziata
per l'accesso alle prestazioni assistenziali al fine di conciliare la
massima fruibilita' dei benefici previsti con  la  limitatezza  delle
risorse finanziarie disponibili» (sentenza n. 133 del 2013), tuttavia
«la legittimita' di una  simile  scelta  non  esclude  che  i  canoni
selettivi  adottati  debbano  comunque  rispondere  al  principio  di
ragionevolezza» (sentenza n. 133 del 2013)  e  che,  quindi,  debbano
essere in ogni caso coerenti ed adeguati a fronteggiare le situazioni
di bisogno o di disagio,  riferibili  direttamente  alla  persona  in
quanto  tale,  che  costituiscono  il   presupposto   principale   di
fruibilita' delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011)»
(sentenza n. 168 del 2014). Ha inoltre affermato che  «l'introduzione
di regimi differenziati e' consentita solo in presenza di  una  causa
normativa non palesemente irrazionale o  arbitraria,  che  sia  cioe'
giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui e'
subordinata  l'attribuzione  del  beneficio  e  gli  altri  peculiari
requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne  definiscono  la
ratio» (sentenza n. 172 del 2013). 
    Orbene, la Corte non ha escluso ed  ha  anzi  affermato  che  «la
prospettiva della stabilita'  puo'  rientrare  tra  gli  elementi  da
valutare in sede di formazione  della  graduatoria»  ma  ha  altresi'
precisato  che  le  norme  che  introducono  tale  requisito   [della
residenza] vanno «vagliate  con  particolare  attenzione,  in  quanto
implicano il rischio di  privare  certi  soggetti  dell'accesso  alle
prestazioni pubbliche solo per il fatto di aver esercitato il proprio
diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza»
(sentenza n. 107 del 2018) (grassetto dell'estensore). 
    Nel presente giudizio non  sono  impugnate  norme  regionali  che
prevedono,  come  requisito  per  la  partecipazione,  la   residenza
protratta  nel  tempo.  Viene  invece  in  rilievo   la   previsione,
introdotta  dalla  legge  regionale  Toscana  n.  2/2019,  che,  come
correttamente osserva la Regione,  introduce,  non  un  requisito  di
accesso,  ma  un  meccanismo  premiale  in  ragione  della  residenza
prolungata nell'ambito territoriale di riferimento del bando. 
    Questo Giudice e' quindi chiamato a valutare «in concreto»  (come
indica la stessa sentenza n. 44 del 2020)  se  l'assegnazione  di  un
determinato punteggio alla residenza protratta per un  certo  periodo
sia coerente con il  fine  perseguito  (di  garanzia  di  un'adeguata
stabilita'  nell'ambito  della  Regione),   e   se   cio'   non   sia
discriminatorio. 
    Come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 9  del
2021 «La previsione deve dunque essere sottoposta a uno scrutinio che
ne valorizzi  gli  elementi  di  contesto  in  relazione  ai  profili
indicati: in altri termini essa deve essere valutata all'interno  del
sistema  costituito  dalle  norme  che  stabiliscono  i  punteggi  da
assegnare ai richiedenti in ragione delle loro condizioni  soggettive
e oggettive, e da quelle che definiscono i requisiti  di  accesso  al
servizio». 
    Muovendo da questa prospettiva,  dalla  disciplina  regionale  si
deduce che  il  punteggio  massimo  da  attribuire  alle  «Condizioni
economiche, sociali e  familiari»  e'  di  6  punti;  quello  per  le
condizioni oggettive riferibili alla gravita' del  disagio  abitativo
e' nel massimo di 4 punti; quello per le  «Condizioni  di  storicita'
della presenza» e' nel  massimo  di  4  punti;  nella  specie  quello
attribuito ad una persona residente nel territorio comunale da almeno
venti anni (condizione nient'affatto  eccezionale  per  un  cittadino
toscano ) e' di 4 punti. 
    Se si considera, dunque, il complessivo punteggio attribuibile ai
fini della selezione degli assegnatari, e se  solo  si  raffronta  il
punteggio  massimo  assegnabile  per  le  condizioni  soggettive  del
richiedente con quello massimo  ottenibile  in  base  alla  residenza
protratta, non si puo' non constatare l'evidente «sopravvalutazione»,
operata  dal  legislatore  regionale,   della   situazione   connessa
all'anzianita' di residenza rispetto al rilievo conferito alle  altre
condizioni,  e  segnatamente  a  quelle  che  piu'  rispecchiano   la
situazione di bisogno alla quale il servizio tende a porre rimedio. 
    In applicazione dei criteri anzidetti, infatti,  si  perverrebbe,
solo per  fare  un  esempio,  all'irragionevole  conseguenza  che  un
«Nucleo familiare  in  cui  sia  presente  un  soggetto  riconosciuto
invalido al  100%  con  necessita'  di  assistenza  continua  e/o  un
portatore di handicap riconosciuto in situazione di gravita' tale  da
rendere   necessario   un   intervento   assistenziale    permanente,
continuativo e  globale  nella  sfera  individuale  o  in  quella  di
relazione (punti 3)», dotato di un alloggio inadeguato o  fatiscente,
ma non in grado di far valere il punteggio aggiuntivo  connesso  alla
residenza ultraventennale, verrebbe sopravanzato in graduatoria da un
«Nucleo familiare composto da una sola persona con uno o  piu'  figli
maggiorenni fiscalmente a carico, purche'  non  abbiano  compiuto  il
ventiseiesimo anno di eta' alla data di pubblicazione  del  bando  (1
punto)», dotato di analogo alloggio, solo perche' in grado di vantare
una durata di residenza idonea a produrre tutti  e  quattro  i  punti
aggiuntivi a tale scopo assegnati. 
    Per   riprendere   l'ipotesi   esemplificativa   utilizzata   dai
ricorrenti:  la  valutazione  della  residenza   e'   in   grado   di
sopravanzare  sempre  situazioni   di   bisogno   e   disagio   anche
drammatiche: basti considerare che una coppia con un  figlio  il  cui
richiedente risieda da venti anni in Arezzo (situazione nient'affatto
eccezionale per una persona nata ad Arezzo) sopravanza, per  il  solo
fatto della residenza (che gli  conferisce  4  punti),  una  famiglia
residente da due anni e trecentosettanyaquattro giorni, in  identiche
situazioni economiche ma con cinque figli (2  punti);  sopravanza  un
nucleo di 4 persone che viva con una sola pensione minima (punti  2);
sopravanza una coppia con due bimbi che  viva  da  due  anni  in  una
abitazione avente caratteristiche tipologiche e/o igienico  sanitarie
di assoluta incompatibilita' con la destinazione ad abitazione (punti
3): una situazione quest'ultima che, a logica, dovrebbe dar  luogo  a
assoluta preferenza rispetto a qualsiasi altra ipotesi. 
    Emerge quindi un assetto normativo che tende  a  «sopravvalutare»
una «condizione del passato» (sentenza n. 44 del 2020) rispetto  alle
condizioni (soggettive e oggettive) del presente  (bisogno  attuale),
senza peraltro che dalla residenza protratta nel tempo  possa  trarsi
alcun ragionevole indice di probabilita' della permanenza nel futuro. 
    Come  affermato  dalla  Corte  costituzionale:  «il   legislatore
regionale ben puo' dare rilievo, ai  fini  della  determinazione  del
punteggio per  la  formazione  della  graduatoria  di  accesso,  alla
"prospettiva della stabilita'", ma tale aspetto, se puo' concorrere a
determinare la posizione dei beneficiari, deve  nondimeno  conservare
un carattere meno rilevante rispetto alla necessaria centralita'  dei
fattori significativi della situazione di bisogno alla quale risponde
il servizio, quali sono quelli che indicano condizioni  soggettive  e
oggettive  dei  richiedenti.  E  quale  potrebbe  invece  essere,  in
ipotesi,   un'"anzianita'   di   presenza"   del   richiedente,   non
genericamente  nel  territorio  regionale,  ma   precisamente   nella
graduatoria degli aventi diritto, giacche' questa circostanza darebbe
evidenza a un fattore di bisogno rilevante in funzione  del  servizio
erogato, e quindi idoneo a combinare  il  dato  del  radicamento  con
quello  dello  stesso  bisogno».  (sentenza   9/2021   par.   4.2.2.)
(grassetto dell'estensore). 
    Ed ancora "la stessa  residenza  protratta  costituisce  solo  un
indice debole di quella stessa «prospettiva della  stabilita'»,  alla
quale, nei termini anzidetti, puo' essere dato legittimo  rilievo  in
ponderata concorrenza con i fattori che dimostrano invece l'effettivo
grado di necessita' dell'alloggio  da  parte  dei  richiedenti.".  La
Corte conclude pertanto che: "il peso esorbitante assegnato  al  dato
del  radicamento  territoriale  nel  piu'  generale   punteggio   per
l'assegnazione  degli  alloggi,  il  carattere  marginale  del   dato
medesimo in relazione alle finalita' del servizio di cui si tratta, e
la stessa  debolezza  dell'indice  della  residenza  protratta  quale
dimostrazione  della  prospettiva   di   stabilita',   concorrono   a
determinare  l'illegittimita'  costituzionale  della  previsione   in
esame, in quanto fonte di discriminazione di tutti coloro che - siano
essi cittadini italiani, cittadini di  altri  Stati  UE  o  cittadini
extracomunitari, risiedono in Abruzzo da meno di dieci anni  rispetto
ai residenti da almeno dieci anni.» 
    Infine: "E' il «pieno sviluppo  della  persona  umana»  (art.  3,
secondo comma, della Costituzione)  la  bussola  che  deve  orientare
l'azione del legislatore, sia statale sia regionale, specie quando e'
chiamato a erogare prestazioni e servizi connessi ai  bisogni  vitali
dell'individuo,  come  quello  abitativo.  Ogni  tentativo   di   far
prevalere sulle condizioni soggettive  e  oggettive  del  richiedente
valutazioni  diverse,  quali  in   particolare   quelle   dirette   a
valorizzare la stabile permanenza nel territorio, sia  nazionale  sia
comunale, deve essere quindi oggetto  di  uno  stretto  scrutinio  di
costituzionalita' che verifichi la congruenza di siffatte  previsioni
rispetto all'obiettivo di assicurare il diritto all'abitazione ai non
abbienti e ai bisognosi." (grassetto dell'estensore). 
    Il ragionamento  della  Corte  negli  estratti  evidenziati,  che
questo  Giudice  non  puo'  che  integralmente  condividere,  solleva
indubbie criticita' anche con riguardo alle previsioni  adottate  dal
legislatore regionale toscano. 
    8.2.2.  La  questione   appare,   inoltre,   non   manifestamente
infondata, anche con riferimento all'art. 117 della Costituzione,  in
relazione alla direttiva 2003/109/CE (e, segnatamente,  all'art.  11)
ed alla direttiva n. 2011/98/CE (art. 12). 
    Come noto nell'ambito di competenza in materia  di  immigrazione,
l'Unione europea ha adottato le appena citate direttive che obbligano
gli Stati ad assicurare la parita' di trattamento  dei  cittadini  di
Paesi terzi con i cittadini degli Stati membri nei quali soggiornano.
Il richiamo e' all'art. 11 della direttiva 2003/109/CE  che  prevede:
«Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso  trattamento  dei
cittadini nazionali per quanto riguarda: (...) lett. f)  l'accesso  a
beni e servizi a disposizione del  pubblico  e  all'erogazione  degli
stessi, nonche' alla procedura per l'ottenimento di un alloggio».  Il
secondo comma dispone:  «Per  quanto  riguarda  le  disposizioni  del
paragrafo 1, lettere b), d), e), f) e g), lo Stato membro interessato
puo'  limitare  la  parita'  di  trattamento  ai  casi  in   cui   il
soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui  questi  chiede
la prestazione, ha eletto  dimora  o  risiede  abitualmente  nel  suo
territorio». 
    Nella disposizione legislativa regionale in esame non si  prevede
solo una limitazione della parita' di trattamento per chi  «dimora  o
risiede abitualmente», ma si prevede un  meccanismo  di  attribuzione
dei punteggi che assegnando  una  rilevanza  molto  significativa  al
criterio della residenza  storica,  puo'  estromettere  soggetti  che
evidenziano  uno  stato  soggettivo  di  forte  bisogno  abitativo  a
vantaggio  di  chi  puo'  semplicemente  far  valere  una   residenza
prolungata nel tempo, anche se  non  possa  fare  valere  particolari
situazioni soggettive di bisogno. 
    In relazione ai requisiti di residenza prolungata,  la  Corte  di
giustizia  dell'Unione  europea  ha  affermato  che   «una   siffatta
normativa nazionale, che svantaggia taluni  cittadini  di  uno  Stato
membro per il solo fatto che essi hanno esercitato la  loro  liberta'
di circolare e di soggiornare in un altro Stato  membro,  costituisce
una restrizione alle liberta' riconosciute dall'art. 21, n.  1,  TFUE
ad ogni cittadino dell'Unione», e che «una  simile  restrizione  puo'
essere giustificata, con riferimento al diritto dell'Unione, solo  se
e' basata su considerazioni oggettive indipendenti dalla cittadinanza
delle  persone   interessate   ed   e'   proporzionata   allo   scopo
legittimamente perseguito dal diritto nazionale» (sentenza 21  luglio
2011, in causa C-503/09, Stewart, punti 86 e 87; si vedano  anche  le
sentenze 26 febbraio 2015, in causa C-359/13, B. Martens; 24  ottobre
2013, in  causa  C-220/12,  Andreas  Ingemar  Thiele  Meneses  (punti
22-29); 15 marzo 2005, in causa C-209/03, The Queen, ex parte di Dany
Bidar, punti 51-54; 23 marzo 2004, in causa C-138/02,  Brian  Francis
Collins; 30 settembre 2003, in causa  C-224/01,  Gerhard  Köbler;  si
vedano infine CGUE  14.6.2012,  Commissione  c.  Paesi  Bassi,  causa
C-542/09; CGUE 20.6.02 Commissione c. Lussemburgo, causa C- 299/01). 
    La Corte di giustizia non esclude a  priori  l'ammissibilita'  di
requisiti di residenza per  l'accesso  a  prestazioni  erogate  dagli
Stati membri, ma richiede che la norma persegua uno scopo  legittimo,
che sia idonea e proporzionata a  perseguire  tale  scopo  e  che  il
criterio adottato non  sia  «troppo  esclusivo»,  potendo  sussistere
altri elementi rivelatori del «nesso reale» tra il richiedente  e  lo
Stato (si vedano le citate sentenze Stewart, punti 92 e 95, e  Thiele
Meneses, punto 36). 
    Orbene, la norma in esame, alla luce delle  considerazioni  sopra
espresse, non puo' ritenersi che sia idonea a  perseguire  uno  scopo
legittimo. Se, infatti, oggetto della legge e' quello di  «soddisfare
il fabbisogno abitativo primario e di ridurre  il  disagio  abitativo
dei nuclei familiari, nonche' di  particolari  categorie  sociali  in
condizioni di svantaggio» (art. 1, della legge n.  16/2016),  non  si
comprende come tale scopo possa essere raggiunto attraverso l'elevata
valorizzazione della residenza pregressa, criterio che come detto non
offre alcuna prognosi sulla stanzialita' futura del soggetto che puo'
farla valere, e con la postergazione automatica nella graduatoria per
l'assegnazione di alloggi di persone che possono far  valere  fattori
di bisogno soggettivo rilevanti a vantaggio di chi tali  fattori  non
li possegga. 
    Quand'anche si ritenesse legittimo lo scopo  del  legislatore  di
attribuire un beneficio soltanto a coloro che possano manifestare una
prognosi di radicamento futuro nel territorio, resterebbe comunque da
valutare la proporzionalita' della misura utilizzata  per  realizzare
tale scopo. Come si e' visto il requisito della residenza  prolungata
come criterio di attribuzione del punteggio appare sproporzionato sia
nella misura (attribuzione di un punteggio equivalente o superiore  a
diverse condizioni che esprimono condizioni di bisogno  soggettivo  o
di disagio abitativo),  sia  perche'  e'  ben  possibile  considerare
misure alternative e piu' proporzionate  per  raggiungere  lo  stesso
obiettivo  che  si  prefigge  il  legislatore  attribuendo  rilevanza
all'anzianita' di graduatoria, oppure utilizzando il  criterio  della
residenzialita' storica come  criterio  di  preferenza  residuale,  a
parita'  dei  bisogni  soggettivi  ed   oggettivi   evidenziati   dai
richiedenti. 
    La  Corte  costituzionale,  peraltro  ha  gia'   censurato,   per
violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  della   Costituzione,   e
dell'art. 21 TFUE, una norma  che  annoverava,  fra  i  requisiti  di
accesso  all'edilizia  residenziale  pubblica,  la  «residenza  nella
Regione da almeno otto anni,  maturati  anche  non  consecutivamente»
(sentenza n. 168 del 2014; si vedano anche le  sentenze  n.  190  del
2014 e n. 264 del 2013). 
    Nella citata sentenza, sebbene relativa all'utilizzo del criterio
della residenza prolungata  quale  limite  all'accesso  e  non  quale
criterio  di  attribuzione  di  punteggi  in  graduatoria,  la  Corte
costituzionale ha offerto  alcune  argomentazioni  che,  nella  parte
relativa  alla  valutazione  del  principio  di  ragionevolezza,  ben
possono essere valutate nel caso in esame. 
    In particolare, il giudice delle leggi ha ravvisato nel requisito
della residenza protratta un'irragionevole  discriminazione  sia  nei
confronti dei cittadini dell'Unione, sia nei confronti dei  cittadini
di Paesi  terzi  che  siano  soggiornanti  di  lungo  periodo.  Nella
pronuncia in esame si legge: «Quanto ai primi, risulta  evidente  che
la norma regionale in esame li pone in una condizione di  inevitabile
svantaggio in particolare rispetto alla comunita' regionale, ma anche
rispetto  agli  stessi  cittadini  italiani,  che   potrebbero   piu'
agevolmente maturare gli  otto  anni  di  residenza  in  maniera  non
consecutiva, realizzando  una  discriminazione  vietata  dal  diritto
comunitario (oggi «diritto dell'Unione europea», in virtu'  dell'art.
2, numero 2, lettera a, del Trattato  di  Lisbona,  che  modifica  il
trattato  sull'Unione  europea  e  il  trattato  che  istituisce   la
Comunita' europea,  firmato  a  Lisbona  il  13  dicembre  2007),  in
particolare  dall'art.  18  del  TFUE,  in   quanto   determina   una
compressione ingiustificata della loro  liberta'  di  circolazione  e
soggiorno, garantita dall'art. 21 del  TFUE.  Infatti,  il  requisito
della residenza protratta per  otto  anni  sul  territorio  regionale
induce i cittadini  dell'Unione  a  non  esercitare  la  liberta'  di
circolazione abbandonando lo Stato membro cui appartengono (Corte  di
giustizia, sentenza 21 luglio  2011,  in  causa  C-503/09,  Stewart),
limitando  tale  liberta'  in  una  misura  che   non   risulta   ne'
proporzionata, ne' necessaria al pur legittimo  scopo  di  assicurare
che a  beneficiare  della  provvidenza  siano  soggetti  che  abbiano
dimostrato un livello sufficiente  di  integrazione  nella  comunita'
presso la quale risiedono (Corte  di  giustizia,  sentenza  23  marzo
2004, in causa C-138/02, Collins), anche al  fine  di  evitare  oneri
irragionevoli onde preservare l'equilibrio  finanziario  del  sistema
locale di assistenza sociale (Corte di giustizia, sentenza  2  agosto
1993, in cause riunite C-259/91, C-331/91 e  C-332/91,  Allue').  Non
e',  infatti,  possibile  presumere,  in  termini  assoluti,  che   i
cittadini dell'Unione che risiedano nel territorio regionale da  meno
di otto anni, ma che siano pur sempre  ivi  stabilmente  residenti  o
dimoranti, e che quindi abbiano instaurato un legame con la comunita'
locale, versino in stato di bisogno minore rispetto a chi vi  risiede
o dimora da piu' anni e,  per  cio'  stesso  siano  estromessi  dalla
possibilita'  di  accedere  al  beneficio.  Sulla  base  di  analoghe
argomentazioni, e' agevole  ravvisare  la  portata  irragionevolmente
discriminatoria della norma regionale impugnata anche con riguardo ai
cittadini di Paesi terzi che siano  soggiornanti  di  lungo  periodo.
L'art. 11 della direttiva 2003/109/CE stabilisce, alla lettera f) del
paragrafo 1, che il soggiornante di lungo periodo gode  dello  stesso
trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda «l'accesso  a
beni e servizi a disposizione del  pubblico  e  all'erogazione  degli
stessi, nonche' alla procedura per  l'ottenimento  di  un  alloggio».
Tale previsione, che e' stata recepita dall'art. 9, comma 12, lettera
c), del decreto legislativo n. 286 del 1998 (nel testo modificato dal
decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, recante  «Attuazione  della
direttiva 2003/109/CE relativa allo  status  di  cittadini  di  Paesi
terzi soggiornanti di lungo periodo»),  mira  ad  impedire  qualsiasi
forma dissimulata  di  discriminazione  che,  applicando  criteri  di
distinzione diversi dalla cittadinanza, conduca di fatto allo  stesso
risultato,  a  meno  che  non  sia  obiettivamente   giustificata   e
proporzionata al suo scopo». 
    Deve   ritenersi   che,   anche   nel   caso   di   specie,    la
sopravvalutazione della  residenza  prolungata,  che  agisce  fattore
discriminatorio  per  chi  non   puo'   farla   valere,   rivelandosi
presupposto  necessario   per   concorrere   a   parita'   di   mezzi
all'ammissione al beneficio  dell'accesso  all'edilizia  residenziale
pubblica (e non, quindi, come mera regola di preferenza a parita'  di
bisogni evidenziati), determini un'irragionevole  diseguaglianza  sia
nei  confronti  dei  cittadini  dell'Unione,  ai  quali  deve  essere
garantita la parita' di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati
membri (art.  24,  par.  1,  della  direttiva  2004/38/CE),  sia  nei
confronti dei cittadini di Paesi  terzi  che  siano  soggiornanti  di
lungo periodo, i quali, in virtu' dell'art. 11, paragrafo 1,  lettera
f), della direttiva 2003/109/CE, godono dello stesso trattamento  dei
cittadini  nazionali  per  quanto  riguarda  anche   l'accesso   alla
procedura per l'ottenimento di un alloggio. 
    La giurisprudenza costituzionale appena richiamata ad avviso  del
giudicante sembra imporre di ritenere che il requisito  di  residenza
prolungata  non  possa  giustificarsi  in  ragione  dell'esigenza  di
evitare di assegnare i servizi abitativi pubblici a persone  che  non
hanno un legame sufficientemente stabile con  il  territorio,  atteso
che richiedere una residenza prolungata si appalesa in contrasto  con
le  finalita'  della  legge  sull'edilizia  residenziale  pubblica  e
risulta irragionevole e del tutto sproporzionato rispetto allo  scopo
perseguito. 
    9. Per i motivi  sinora  esposti,  ritenuta  la  sussistenza  dei
presupposti della rilevanza e della non manifesta infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10,  L.R.  Toscana
n. 2/2019 nella parte in cui richiama l'allegato B, Lett.  C-1),  che
attribuisce un punteggio aggiuntivo a chi possa far  valere  la  mera
residenza nel territorio di riferimento del bando secondo le seguenti
modalita'  «c1.  residenza  anagrafica  o  prestazione  di  attivita'
lavorativa continuativa di almeno un component e del nucleo familiare
nell'ambi to territoriale di riferimento del  bando,  da  almeno  tre
anni alla data di pubblicazione del bando: punti 1; da almeno  cinque
anni alla data di pubblicazione del bando punti 2;  da  almeno  dieci
anni alla data di pubblicazione del bando punti 3; da almeno quindici
anni alla data di pubblicazione del bando punti 3,5; da almeno  venti
anni alla data di pubblicazione del bando punti 4» per contrasto  con
l'art.   3   della   Costituzione,   va   sollevata   questione    di
costituzionalita' in via incidentale, al fine di ottenere dalla Corte
costituzionale,  la  valutazione  della  conformita'  della  norma  a
Costituzione. 

(1) Rappresentano i ricorrenti che  i  criteri  di  attribuzione  del
    punteggio sono raggruppati secondo le seguenti macrocategorie: A.
    Condizioni sociali-economiche-familiari: attribuiscono da 1  a  3
    punti per ogni condizione di svantaggio. Solo in alcuni  casi  le
    condizioni possono essere considerate in modo cumulativo e in tal
    caso il limite massimo arriva a 6 punti; B. Condizioni  abitative
    dovute  a  situazioni  di  grave  disagio  abitativo,   accertate
    dall'autorita' competente: attribuiscono da 1 a 4 punti per  ogni
    condizione di svantaggio C. Condizioni di storicita' di presenza:
    che attribuiscono da 1 a 4 punti secondo la seguente graduazione:
    residenza  anagrafica  o  prestazione  di  attivita'   lavorativa
    continuative  di  almeno  un  componente  del  nucleo   familiare
    nell'ambito territoriale di riferimento del bando: da almeno  tre
    anni alla data di pubblicazione del bando:  punti  1;  da  almeno
    cinque anni alla data di pubblicazione del  bando:  punti  2;  da
    almeno dieci anni alla data di pubblicazione del bando: punti  3;
    almeno quindici anni alla data di pubblicazione del bando:  punti
    3,5; almeno venti anni alla  data  di  pubblicazione  del  bando:
    punti 4.  

(2) La   previgente   formulazione    dell'allegato    C    prevedeva
    l'assegnazione di  2  punti  in  caso  di  residenza  nell'ambito
    territoriale del bando per almeno 10 anni, 3 punti per almeno  15
    anni, 4 punti per almeno 20 anni.  In  pratica,  il  nuovo  testo
    incrementa la rilevanza della residenza decennale (che passa da 2
    a 3 punti) e quella della residenza quindicennale (che passa da 3
    a 3,5 punti) e  lascia  immutata  la  rilevanza  della  residenza
    ventennale (4 punti); oltre a valorizzare anche la  residenza  di
    durata  inferiore  a  10  anni,  che  nel  precedente  testo  era
    irrilevante. 

(3) La  materia  delle  assegnazioni   temporanee   e'   disciplinata
    dall'art. 7, c. 7, L.R.  2/2019  a  norma  del  quale  «I  comuni
    possono riservare, previa  informazione  alla  Giunta  regionale,
    un'aliquota non superiore  al  40  per  cento  degli  alloggi  da
    assegnare annualmente nel proprio ambito territoriale, con  bandi
    speciali o attraverso la formulazione di apposite graduatorie,  a
    soggetti in possesso dei requisiti di cui  alla  presente  legge,
    per i seguenti motivi: a) specifiche e documentate situazioni  di
    emergenza abitativa, di cui all'art. 14, comma  2  (...».  A  sua
    volta tale ultima norma prevede, nell'ambito della predetta quota
    del 40%, che i Comuni possano riservare una  quota  ad  «utilizzo
    provvisorio autorizzato» della durata massima di 4  anni  per  le
    famiglie che si trovino  in  specifiche  situazioni  emergenziali
    indicate appunto dall'art. 14, comma 2, (a. pubbliche  calamita';
    b. situazioni emergenziali accertate con  ordinanza;  c.  sfratti
    esecutivi non prorogabili, inseriti negli  appositi  elenchi  per
    l'esecuzione con la forza pubblica, che siano stati intimati  per
    finita locazione o per morosita'  incolpevole  come  definita  al
    comma 3 del presente articolo; d. provvedimenti di espropriazione
    forzata o seguito di pignoramento che comportano il  rilascio  di
    alloggi di proprieta' privata; e. grave disabilita' e  temporanea
    impossibilita' nell'abbattimento delle  barriere  architettoniche
    dell'alloggio  utilizzato;  f.  provvedimento   di   separazione,
    omologato dal tribunale, o  sentenza  passata  in  giudicato  con
    obbligo di rilascio dell'alloggio; g.  verbale  di  conciliazione
    giudiziale con l'obbligo di rilascio dell'alloggio;  h.  presenza
    nel nucleo familiare di un soggetto riconosciuto invalido al 100%
    con necessita' di assistenza continua e/o un soggetto,  portatore
    di handicap  o  affetto  da  disagio  psichico,  riconosciuto  in
    situazione di gravita' tale da rendere necessario  un  intervento
    assistenziale permanente,  continuativo  e  globale  nella  sfera
    individuale o in quella di relazione, la cui situazione non possa
    essere altrimenti presa in carico a livello  socio-sanitario.  La
    citata L.R. n. 35/2021 ha aggiunto all'art. 14 il comma 3 che  ha
    specificato cosa debba intendersi (ai fini della sopra trascritta
    lettera c) per «morosita' incolpevole». Trattasi della  morosita'
    derivante dalle seguenti situazioni che il comma 3 indica «in via
    esemplificativa»: a) perdita del  lavoro  per  licenziamento;  b)
    accordi  aziendali  o   sindacali   con   consistente   riduzione
    dell'orario  di  lavoro;  c)  cassa  integrazione   ordinaria   o
    straordinaria che limiti notevolmente la capacita' reddituale; d)
    mancato rinnovo di contratti a termine o di  lavoro  atipici;  e)
    cessazione  di  attivita'  libero-professionali  o   di   imprese
    registrate, derivanti da cause di forza maggiore o da perdita  di
    avviamento in misura consistente; f) malattia grave, infortunio o
    decesso  di  un  componente  del  nucleo  familiare   che   abbia
    comportato, o la consistente riduzione  del  reddito  complessivo
    del nucleo  medesimo,  o  la  necessita'  dell'impiego  di  parte
    notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche  ed
    assistenziali. Sempre l'art. 14  prevede,  al  comma  4,  che  il
    Comune rediga una apposita graduatoria per l'utilizzo provvisorio
    autorizzato (o altrimenti dette «assegnazioni emergenziali») 

(4) La procedura viene cosi' esplicata dal Comune convenuto: In  tale
    caso non viene  pubblicato  un  bando  ma  il  cittadino  che  e'
    interessato ed  e'  in  possesso  dei  requisiti  per  richiedere
    l'assegnazione  provvisoria  dell'alloggio  puo'   inoltrare   la
    domanda  in  qualsiasi  momento  dell'anno.  Le  domande,  previa
    istruttoria da parte dei  competenti  uffici,  vengono  trasmesse
    alla  Commissione  Comunale  per  l'utilizzo  autorizzato   degli
    alloggi di edilizia residenziale pubblica, la quale provvede alla
    formulazione delle graduatorie ordinate sulla base  dei  punteggi
    assegnati. Il Comune aggiorna le graduatorie due volte  all'anno,
    nei  mesi  di  marzo  e  settembre  relativamente  alle   domande
    pervenute entro i mesi  di  gennaio  e  luglio  di  ciascun  anno
    solare. L'utilizzo autorizzato degli  alloggi  consente  soltanto
    sistemazioni  provvisorie  e  il  Comune  non  emette   atti   di
    assegnazione,  bensi'   atti   di   autorizzazione   all'utilizzo
    temporaneo,   sotto   forma   di   determinazione   dirigenziale.
    L'utilizzo e' autorizzato per un  periodo  massimo  di  un  anno,
    rinnovabile esclusivamente nel  caso  di  documentata  permanenza
    delle  situazioni  che  ne  hanno  determinato  la   sistemazione
    provvisoria e, comunque, fino ad un termine massimo di due anni. 

(5) l'87%, nella causa CGUE C-5/02 Hilde Schönheit c. Stadt Frankfurt
    am Main e Silvia Becker c. Land Hessen, 23.10.2003 (doc.  5);  il
    97% nella causa Di Trizio c. Svizzera (CEDU, Requête no  7186/09,
    04.07.2016) (doc. 6); l'89% nella  causa  CGUE  C-171/88,  Ingrid
    Rinner-Kühn c. FWW Spezial-Gebäudereinigung GmbH  &  Co.  KG,  13
    luglio 1989 (docc. 7A e 7B). Alla luce  di  tali  pronunce,  come
    evidenziato nelle conclusioni dell'avvocato generale Leger del 31
    maggio  1995,  punti  57-58,  nella  causa  CGUE  Inge  Nolte  c.
    Landesversicherungsanstalt Hannover, 14 dicembre 1995  «la  cifra
    del 60 % di per se' [...] probabilmente sarebbe insufficiente per
    lasciar presumere una discriminazione» (doc. 8). 

(6) Come da tempo chiarito  dalla  Suprema  Corte,  l'indagine  sulla
    sussistenza di un «trattamento  favorevole  connesso  al  fattore
    vietato» rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, anche
    quando - come nel caso di specie - sia posta in  essere  mediante
    l'adozione di atti amministrativi (cfr. Cass. SS.UU. 7186/2011). 

(7) La Suprema Corte  (cfr.  Cass.  SS.UU.  7186/2011),  infatti,  ha
    definitivamente chiarito che: «in presenza di normative  che,  al
    fine  di   garantire   parita'   di   trattamento,   in   termini
    particolarmente incisivi  e  circostanziati,  e  correlativamente
    vietare discriminazioni ingiustificate, con riferimento a fattori
    meritevoli  di   particolare   considerazione   sulla   base   di
    indicazioni costituzionali o fonti sovranazionali  articolano  in
    maniera  specifica  disposizioni  di   divieto   di   determinate
    discriminazioni   contemporaneamente    istituiscono    strumenti
    processuali speciali per la loro repressione, affidati al giudice
    ordinario,  deve  ritenersi  che  il  legislatore  abbia   inteso
    configurare, a  tutela  del  soggetto  potenziale  vittima  delle
    discriminazioni, una specifica posizione di diritto soggettivo, e
    specificamente un diritto qualificabile come  «diritto  assoluto»
    in  quanto  posto  a  presidio  di  una  area   di   liberta'   e
    potenzialita'  del  soggetto,  rispetto  a  qualsiasi   tipo   di
    violazione della stessa.  Il  fatto  che  la  posizione  tutelata
    assurga  a  diritto  assoluto,  e  che  simmetricamente   possano
    qualificarsi come  fatti  illeciti  i  comportamenti  di  mancato
    rispetto della stessa, fa si' che  il  contenuto  e  l'estensione
    delle tutele  conseguibili  in  giudizio  presentino  aspetti  di
    atipicita' e di variabilita' in dipendenza del tipo  di  condotta
    lesiva che e' stata messa in essere e anche della preesistenza  o
    meno di posizioni soggettive di diritto o interesse legittimo del
    soggetto  leso  a  determinate  prestazioni.  Di  cio'  si  trova
    riscontro nel dettato normativo,  secondo  cui  il  giudice  puo'
    «ordinare  la  cessazione  del  comportamento  pregiudizievole  e
    adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze,
    a  rimuovere  gli   effetti   della   discriminazione»   (decreto
    legislativo n. 2876 del  1998,  art.  44,  comma  1),  oltre  che
    condannare il responsabile al risarcimento del danno  (comma  7).
    Risulta quindi spiegabile, in particolare, come, in  relazione  a
    discriminazioni del genere di quelle in esame, anche quando  esse
    siano attuate nell'ambito di procedimenti per  il  riconoscimento
    da parte della pubblica amministrazione di  utilita'  rispetto  a
    cui il soggetto privato fruisca di  una  posizione  di  interesse
    legittimo e non di diritto  soggettivo,  la  tutela  del  privato
    rispetto alla discriminazione possa essere assicurata secondo  il
    modulo  del  diritto  soggettivo  e  delle  relative   protezioni
    giurisdizionali». Il giudice ordinario deve,  infatti,  limitarsi
    «a  decidere   la   controversia   valutando   il   provvedimento
    amministrativo denunziato, disattendendolo "tamquam non esset"  e
    adottando i conseguenti provvedimenti  idonei  a  rimuoverne  gli
    effetti,   ove   confermato   lesivo   del   principio   di   non
    discriminazione  od  integrante  gli  estremi  della  illegittima
    reazione, senza tuttavia interferire nelle potesta'  della  p.a.,
    se non nei consueti  e  fisiologici  limiti  ordinamentali  della
    disapplicazione incidentale ai  fini  della  tutela  dei  diritti
    soggettivi controversi» (cfr. Cassazione civile n. 3842/2021, che
    riprende Cassazione sentenza unica n. 3670/2011). 

(8) L'art. 3 della direttiva 2011/98, per la parte  rilevante,  cosi'
    definisce all'art. 3 l'ambito di applicazione  soggettivo:  (...)
    b) ai cittadini di paesi terzi che  sono  stati  ammessi  in  uno
    Stato membro a fini diversi dall'attivita' lavorativa a norma del
    diritto dell'Unione o nazionale, ai quali e' consentito  lavorare
    e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai  sensi  del
    regolamento (CE) n. 1030/2002; e c) ai cittadini di  paesi  terzi
    che sono stati ammessi in uno Stato membro a  fini  lavorativi  a
    norma del diritto dell'Unione o nazionale.  

 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, 
    ritenuta la questione rilevante e non  manifestamente  infondata,
solleva la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10,
Lett. C-1), allegato B, L.R. Toscana 2/2019 per contrasto con  l'art.
3 della Costituzione e con l'art. 117, comma  1  della  Costituzione,
quest'ultimo in riferimento alla direttiva 2003/109, nella  parte  in
cui prevede l'assegnazione di un punteggio  da  1  a  4  in  caso  di
residenza anagrafica o prestazione lavorativa continuativa di  almeno
un  componente  del  nucleo  familiare  nell'ambito  territoriale  di
riferimento del bando da almeno tre anni e fino ad oltre venti anni; 
    dichiara sospeso il presente giudizio sino all'esito del giudizio
davanti alla Corte costituzionale; 
    ordina che la presente ordinanza  sia  notificata  a  cura  della
Cancelleria alle parti, al Presidente della  Giunta  Regionale  della
Toscana e sia comunicata al Presidente del Consiglio regionale  della
Toscana; 
    dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, a cura della cancelleria,  unitamente  alla  presente
ordinanza e alla prova delle predette notificazioni e comunicazioni. 
      Firenze, 26 ottobre 2024 
 
                         Il Giudice: Minniti