Reg. ord. n. 92 del 2025 pubbl. su G.U. del 28/05/2025 n. 22

Ordinanza del Tribunale di Ravenna  del 03/04/2025

Tra: V. A.  C/ Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS



Oggetto:

Previdenza – Pensioni – Previsione che le pensioni, gli assegni e le indennità spettanti in forza del r.d.l. n. 1827 del 1935, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché gli assegni di cui all'art. 11 della legge n. 1115 del 1968, possono essere ceduti, sequestrati e pignorati nei limiti di un quinto del loro ammontare, per debiti verso l'Istituto nazionale della previdenza sociale derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dall'Istituto stesso, ovvero da omissioni contributive, escluse, in questo caso, le somme dovute per interessi e sanzioni amministrative – Previsione che per le pensioni ordinarie liquidate a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, viene comunque fatto salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo – Impossibilità di gravare di interessi le somme dovute all'Istituto nazionale della previdenza sociale, per prestazioni indebitamente percepite, salvo che la indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato – Omessa previsione di una soglia, sulla quale INPS non può comunque soddisfarsi, nemmeno allorquando opera una trattenuta diretta sulla pensione a compensazione del proprio credito, pari all’ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro, risultando la pensione aggredibile solo oltre tale soglia, nella misura di un quinto – Denunciata normativa che, consentendo a INPS di non rispettare i limiti valevoli per tutti gli altri creditori a fronte di un bisogno vitale del debitore, risulta irragionevole e ingiustamente discriminatoria, poiché situazioni uguali vengono trattate differentemente, in base al creditore che agisce, al tipo di credito e alle modalità di soddisfo dello stesso – Violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza – Disciplina che esentando i crediti vantati da INPS dal rispetto dei minimi vitali, viola una rima essenzialmente obbligata per il legislatore, e il limite previsto dalla normativa di riferimento di generale applicazione – Lesione della garanzia previdenziale.

Norme impugnate:

legge  del 30/04/1969  Num. 153  Art. 69



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 38   Co.

codice di procedura civile  Art. 545   Co.



Udienza Pubblica del 4 novembre 2025 rel. NAVARRETTA


Testo dell'ordinanza

                        N. 92 ORDINANZA (Atto di promovimento) 03 aprile 2025

Ordinanza del 3 aprile 2025 del Tribunale di Ravenna nel procedimento
civile promosso da V. A. contro Istituto nazionale  della  previdenza
sociale - INPS. 
 
Previdenza - Pensioni - Previsione che le pensioni, gli assegni e  le
  indennita' spettanti in forza  del  r.d.l.  n.  1827  del  1935,  e
  successive modificazioni ed integrazioni, nonche'  gli  assegni  di
  cui all'art. 11 della  legge  n.  1115  del  1968,  possono  essere
  ceduti, sequestrati e pignorati nei limiti di un  quinto  del  loro
  ammontare, per debiti verso l'Istituto nazionale  della  previdenza
  sociale derivanti da indebite prestazioni  percepite  a  carico  di
  forme  di  previdenza  gestite  dall'Istituto  stesso,  ovvero   da
  omissioni contributive, escluse, in questo caso,  le  somme  dovute
  per interessi e sanzioni amministrative -  Previsione  che  per  le
  pensioni ordinarie liquidate a carico  dell'assicurazione  generale
  obbligatoria, viene comunque fatto salvo  l'importo  corrispondente
  al trattamento minimo - Impossibilita' di gravare di  interessi  le
  somme dovute all'Istituto nazionale della previdenza  sociale,  per
  prestazioni  indebitamente  percepite,  salvo   che   la   indebita
  percezione sia dovuta a dolo dell'interessato -  Omessa  previsione
  di una soglia, sulla quale  INPS  non  puo'  comunque  soddisfarsi,
  nemmeno allorquando opera una trattenuta diretta sulla  pensione  a
  compensazione   del    proprio    credito,    pari    all'ammontare
  corrispondente al doppio della misura massima mensile  dell'assegno
  sociale, con un  minimo  di  1.000  euro,  risultando  la  pensione
  aggredibile solo oltre tale soglia, nella misura di un quinto. 
- Legge  30  aprile  1969,  n.  153  (Revisione   degli   ordinamenti
  pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), art. 69. 


(GU n. 22 del 28-05-2025)

 
                   TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA 
                            Szione civile 
 
    Il gudice ponuncia la  seguente  ordinanza  di  rimessione  della
questione della legittimita' costituzionale  dell'art.  69  legge  n.
153/1969. 
    1 - Fatto e processo a quo 
    Il ricorrente domandava  rideterminarsi  l'importo  dell'indebito
previdenziale vantato  da  INPS  (ed  accertato  dalla  sentenza  del
Tribunale di Ravenna n. 216/2024), nonche' fissarsi la  misura  della
trattenuta mensile sulla propria  pensione,  ex  art.  69,  legge  n.
153/1969,  nel  rispetto  dei  limiti  di  legge   («...accertare   e
dichiarare che il signor A             e'  tenuto  alla  restituzione
dell'importo mensile netto di euro 521,98 o diversa somma  risultante
di giustizia ...»). 
    INPS resisteva al ricorso. 
    Sul primo aspetto, dopo l'effettuazione  di  conteggi,  le  parti
raggiungevano  un  accordo  sull'entita'  della  trattenuta   residua
(residuo al 31.12.2024 del debito - detratto quanto  gia'  recuperato
pari ad euro 41.963,84 - pari ad euro 64.952,43 netti). 
    Sul secondo aspetto, le parti non  sono  riuscite  a  trovare  la
quadra, posto che,  mentre  il  ricorrente  invoca  il  rispetto  del
trattamento vitale minimo di euro 1.000,00 previsto dall'art. 545, 7°
comma codice di procedura civile  (cosi'  come  modificato  dall'art.
21-bis del decreto-legge 115/2022, conv.  legge  n.  142/2022),  INPS
ritiene che tale previsione non si applichi, essendo applicabile solo
l'art. 69, legge n. 153/1969 che tale guarentigia non prevede. 
    Va premesso al riguardo che, in base al cedolino  della  pensione
del ricorrente del gennaio 2025, l'importo netto della pensione dallo
stesso percepito (prima di operare la trattenuta per cui e' causa) e'
pari ad euro 3.430,17 mensili. 
    Le posizioni delle parti sono chiarite in particolare nel verbale
della penultima udienza (12.12.2024), che cosi' riporta: 
    «Le parti invece non hanno raggiunto un accordo  circa  l'entita'
del rateo mensile da trattenere. 
    Il prof. ... individua lo stesso in euro 479,60,  calcolato  come
segue: dalla pensione mensile netta, va detratta la quota del  minimo
vitale minimo, pari euro 1.000,00 (ex art. 21-bis  del  decreto-legge
115/2022 inserito in sede di  conversione  dalle  legge  142/2022  ai
sensi del quale "Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di
indennita' che tengono luogo  di  pensione  o  di  altri  assegni  di
quiescenza  non   possono   essere   pignorate   per   un   ammontare
corrispondente al doppio della misura  massima  mensile  dell'assegno
sociale, con un  minimo  di  1.000  euro.  La  parte  eccedente  tale
ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto  e
dal quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge"). Dopo
tale detrazione, risulta trattenibile il quinto; L'avv. ...  sostiene
che l'art. 545 codice di procedura civile  non  si  applica  ad  INPS
bensi' l'art. 69; secondo INPS la trattenuta corretta sarebbe di euro
678,91 mensili; fa riferimento a Cassazione n. 26580/2024». 
    2 - L'oggetto del giudizio di costituzionalita': la norma 
    Viene in rilievo l'art. 69, legge n. 153/1969 ai sensi del  quale
«Le pensioni, gli assegni e le  indennita'  spettanti  in  forza  del
regio  decreto-legge  4  ottobre  1935,   n.   1827,   e   successive
modificazioni ed integrazioni, nonche' gli assegni di cui all'art. 11
della  legge  5  novembre  1968,  n.  1115,  possono  essere  ceduti,
sequestrati e pignorati, nei limiti di un quinto del loro  ammontare,
per  debiti  verso  l'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale
derivanti da indebite prestazioni percepite  a  carico  di  forme  di
previdenza  gestite  dall'Istituto  stesso,   ovvero   da   omissioni
contributive, escluse, in questo caso, le somme dovute per  interessi
e sanzioni amministrative. Per  le  pensioni  ordinarie  liquidate  a
carico della  assicurazione  generale  obbligatoria,  viene  comunque
fatto salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo. 
    Le somme dovute all'Istituto nazionale della previdenza  sociale,
per prestazioni indebitamente percepite, non possono  essere  gravate
da interessi salvo che la  indebita  percezione  sia  dovuta  a  dolo
dell'interessato». 
    3 - I parametri 
    La disposizione in esame, a  parere  di  chi  scrive,  appare  in
contrasto con l'art. 3, Cost. (anche per il tramite del confronto con
l'art. 545, 7°  comma  codice  di  procedura  civile  attualmente  in
vigore), nonche' con l'art. 38, 2° comma Cost. 
    4 - La questione 
    Quando  INPS  agisce  trattenendo  -  in  forza  della   speciale
previsione di cui all'art. 69, legge n. 153/1969 -  un  quinto  della
pensione del proprio debitore, non e' tenuta a rispettare  la  fascia
di impignorabilita'  di  cui  all'art.  545,  7°  comma  c.p.c.,  che
rappresenta  un  minimo  vitale  che  si  e'  andato   normativamente
delineando   nel   tempo   a   garanzia   del    sostentamento    del
debitore-pensionato nell'ambito della procedura espropriativa  (della
pensione) presso terzi (laddove INPS e' il terzo debitor debitoris). 
    Infatti, nell'ambito dell'art.  69  legge  n.  153/1969  INPS  e'
tenuto solo a garantire che il pensionato riceva perlomeno una  somma
«corrispondente al trattamento minimo» (ad oggi pari ad euro 603,40). 
    Il legislatore e' intervenuto in plurime occasioni  sul  disposto
dell'art. 545 c.p.c. 
    Per quanto qui rileva, una prima volta nel 2015 (D.L. n. 83/2015,
convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132),  con
l'introduzione del 7° comma, nella seguente formulazione:  «Le  somme
da chiunque dovute a titolo di pensione, di  indennita'  che  tengono
luogo di pensione o di  altri  assegni  di  quiescenza,  non  possono
essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura  massima
mensile  dell'assegno  sociale,  aumentato  della  meta'.  La   parte
eccedente tale ammontare  e'  pignorabile  nei  limiti  previsti  dal
terzo, quarto e quinto comma nonche' dalle speciali  disposizioni  di
legge». 
    Successivamente, nel 2022 (in forza della legge di conversione n.
142/2002 del D.L. n. 115/2022, c.d. Aiuti bis,  che  ha  inserito  in
quest'ultimo l'art. 21-bis, di novellazione  dell'art.  545  c.p.c.,)
modificando il 7° comma dell'art. 545 codice di procedura civile come
segue: «Le  somme  da  chiunque  dovute  a  titolo  di  pensione,  di
indennita' che tengono luogo  di  pensione  o  di  altri  assegni  di
quiescenza  non   possono   essere   pignorate   per   un   ammontare
corrispondente al doppio della misura  massima  mensile  dell'assegno
sociale, con un  minimo  di  1.000  euro.  La  parte  eccedente  tale
ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto  e
dal quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge». 
    Per l'effetto di tali innovazioni, quindi, nel 7° comma dell'art.
545  codice  di  procedura  civile  e'   prevista   una   fascia   di
impignorabilita' assoluta della  pensione,  introdotta  nel  2015  ed
elevata nel 2022 a tutela del debitore nell'ambito delle procedure di
espropriazione presso terzi dei trattamenti pensionistici. 
    Il  legislatore  non  ha  tuttavia   coordinato   tale   modifica
innovativa con le risalenti regole in tema di  recupero  di  indebito
INPS, di cui all'art. 69 della legge n. 153/1969. 
    Ne consegue che INPS non e' tenuta al rispetto del limite ex art.
545, 7° comma c.p.c. e la somma  che  la  stessa  puo'  trattenere  e
quindi compensare (a soddisfacimento del proprio credito) nel momento
in cui paga un trattamento  pensionistico  e'  superiore,  di  molto,
rispetto a quella che qualunque altro  creditore  puo'  ottenere,  in
sede esecutiva, sulla pensione del  proprio  debitore  (essendo  INPS
tenuta solo a garantire  che  il  del  pensionato  riceva  una  somma
«corrispondente al trattamento minimo»). 
    Va notato  che  i  due  limiti,  quello  dell'art.  69  e  quello
dell'art. 545, 7° comma c.p.c., operano in misura nettamente diversa. 
    Il primo e piu' risalente si occupa  solo  di  garantire  che  il
pensionato non riceva una pensione inferiore  al  trattamento  minimo
(ad oggi pari ad euro 603,40). In disparte questa garanzia, non opera
alcuna ulteriore guarentigia e tutta la pensione e'  aggredibile  nei
limiti del quinto. 
    Il secondo, all'esito delle riforme,  garantisce  una  fascia  di
impignorabilita' (euro 1.000,00 o  il  doppio  dell'assegno  sociale,
pari ad euro 538,69 x 2) e tale somma  non  puo'  essere  oggetto  di
alcuna trattenuta; solo sulla somma che eccede tale limite  opera  il
calcolo del quinto pignorabile. 
    I  diversi  effetti  matematici  di   tali   meccanismi   saranno
illustrati con alcune esemplificazioni nell'ottavo capitolo di questa
ordinanza. 
    Attesa la profonda  diversita'  dei  meccanismi,  uno  vetusto  e
l'altro elaborato e modificato  in  termini  assai  recenti,  occorre
riflettere  sul  mancato  coordinamento   tra   le   due   forme   di
soddisfazione dei crediti, per comprendere  se  gli  effetti  che  ne
derivano possano violare o meno regole costituzionali. 
    A parere di chi scrive,  la  diversita'  tra  le  due  discipline
appare violare sia generali regole di uguaglianza di trattamento (tra
creditori), oltre che di razionalita' e di logicita' (se la fascia di
impignorabilita' ha senso a  tutela  del  minimo  vitale,  essa  deve
essere intangibile per ogni creditore, anche per INPS ed anche quando
il creditore agisce non in sede esecutiva, ma  operando  direttamente
una compensazione o trattenuta), anche ex art.  38,  2°  comma  Cost.
(posto che se la fascia di impignorabilita' ha  senso  a  tutela  del
minimo vitale, essa rappresenta una rima obbligata per il legislatore
che disciplina la materia del soddisfo dei creditori sui  trattamenti
pensionistici, venendo qui in rilievo esattamente i  «mezzi  adeguati
alle ... esigenze di vita in caso di ...  vecchiaia»  previsti  dalla
Suprema Carta). 
    5 - Rilevanza della questione 
    Innanzi tutto la questione e' processualmente rilevante avendo il
ricorrente  domandato  con  l'atto  introduttivo  la   determinazione
dell'entita'  della  trattenuta  mensile   (anche   nella   «...somma
risultante di giustizia»), con il che  tale  domanda  ha  attinto  ab
origine la questione dell'entita' della trattenuta ex  art.  69  (nel
cui ambito e' insita la questione di costituzionalita' qui proposta). 
    La questione rileva anche nel merito del giudizio  a  quo,  posto
che l'accoglimento della  stessa  importerebbe  un  grosso  beneficio
economico per il pensionato debitore, stimato nella  possibilita'  di
godere (anche solo tenendo conto del plafond di 1.000,00 euro  minimi
impignorabili) di una pensione di 200,00 euro netti in piu' al mese e
questo per molti anni  (data  l'entita'  dell'indebito  previdenziale
residuo, cosi' come indicato nel primo capitolo in euro 64.952,43). 
    Dunque, il debito 64.952,43 al ritmo di trattenuta individuato da
parte ricorrente e rispettoso della franchigia di cui  all'art.  545,
7° comma c.p.c., condurrebbe ad oltre 135 rate  che  coprirebbero  un
arco di tempo di oltre 10 anni. 
    Ne  conseguirebbe  una  rilevante  diluizione  nel  tempo   della
restituzione dell'indebito con il  pensionato  che  riceverebbe  ogni
anno 2.600,00 euro in piu' di pensione  rispetto  alla  modalita'  di
calcolo indicata da INPS sulla base dell'art. 69 legge n. 153/1969. 
    Va inoltre evidenziato che l'ulteriore  parametro,  rappresentato
dal  doppio  dell'assegno  sociale,  conduce  gia',  nel   2025,   al
superamento della soglia dei  1.000,00  euro  mensili  impignorabili,
posto che per il 2025 la misura massima dell'assegno sociale e' stata
individuata in euro 538,68, il cui doppio e' pari ad euro 1.077,36. 
    Gia'  nel  2025,  quindi,  la  soglia  di  impignorabilita'   del
trattamento pensionistico ex art. 545, 7° comma codice  di  procedura
civile sarebbe pari ad euro 1.077,36. 
    Da tutto cio' si ritiene emergere la  rilevanza  della  questione
proposta. 
    6 - L'impossibilita' di una interpretazione adeguatrice. 
    L'art.  21-bis  del  decreto-legge  115/2022,  conv.   legge   n.
142/2022, che ha modificato il 7° comma dell'art. 545  c.p.c.,  nulla
ha previsto in relazione all'istituto regolato dall'art. 69, legge n.
153/1969. 
    Ne risulta un disallineamento tra le due disposizioni. 
    Tale disallineamento non appare superabile in via interpretativa,
posto che, come ritenuto dalla S.C. che si e'  occupata  recentemente
della questione, le due norme hanno ambiti applicativi  differenti  e
restano separate («Va, infine, rilevato che la novella dell'art.  545
codice di procedura civile di cui all'art. 13 comma 1 lettera l)  del
DL n. 83/15 convertito con modificazioni dalla legge 6  agosto  2015,
n. 132,  che  prevede  specifici  limiti  di  pignorabilita'  per  le
pensioni e gli altri assegni di quiescenza - consistenti  (a  seguito
dell'ulteriore novella di cui all'art. 21-bis del DL 9.8.22  n.  115,
convertito con mod. dalla legge n. 142/22) nel  doppio  della  misura
massima mensile dell'assegno sociale con un minimo di euro  1.000,00,
nonche' la parte eccedente tale ammontare e' pignorabile  nei  limiti
previsti dal terzo, quarto e  quinto  comma  del  medesimo  art.  545
c.p.c., nonche' dalle speciali disposizioni di legge -  pur  trovando
applicazione  anche  alle  procedure  esecutive  aventi  ad   oggetto
prestazioni pensionistiche pendenti alla data di  entrata  in  vigore
del predetto decreto (27 giugno 2015), ai sensi della pronuncia della
Corte costituzionale n. 12/19,  e'  tuttavia  applicabile  quando  la
pensione  viene   aggredita   da   soggetti   diversi   dall'Istituto
previdenziale,  ovvero  quando  l'Inps  agisca  per  crediti  diversi
dall'indebita percezione di prestazioni a suo carico o  da  omissioni
contributive, altrimenti, in quest'ultimo caso, si applica  la  norma
di favore per l'Inps di cui all'art. 69 della legge n. 153 del  1969,
secondo cui...» (Cass. n. 26580/2024). 
    Dunque, quando INPS agisce al di fuori di una procedura esecutiva
(ossia  sostanzialmente  sempre,  potendo  operare  la  compensazione
proprio in forza della norma qui censurata) e  per  crediti  relativi
all'indebita percezione di prestazioni a suo carico  o  da  omissioni
contributive, alla stessa non e' applicabile  l'art.  545,  7°  comma
cosi' come da ultimo novellato ed i  limiti  di  pignorabilita'  sono
diversi rispetto a quelli previsti da quest'ultima. 
    L'interpretazione  adeguatrice  (ritenere  implicito  il   limite
dell'art. 545, 7°  comma  anche  in  ambito  di  art.  69,  legge  n.
153/1969), anche alla  luce  della  piu'  recente  giurisprudenza  di
legittimita', andrebbe contro il  tenore  letterale  delle  norme  ed
introdurrebbe in quest'ultima disposizione una regola che  la  stessa
assolutamente   non   prevede,   con   la   conseguenza   che    tale
interpretazione non appare proficuamente predicabile,  come  peraltro
implicitamente escluso dalla sentenza della  S.C.  appena  esaminata,
che e' anche l'unica che risulta essersi occupata della questione. 
    Dunque, il tenore letterale della disposizione ed il riferirsi le
due norme qui a confronto a situazioni e soggetti diversi, cosi' come
evidenziato   dalla   S.C.,   risultano   elementi   impedienti   una
interpretazione diversa  da  quella  fatta  propria  dalla  Corte  di
cassazione. 
    7 - La non manifesta infondatezza della questione 
    1° VIZIO: violazione dell'uguaglianza  e  irragionevolezza  della
disposizione (art. 3 Cost.). 
    L'ultima (ma certamente  non  recente)  decisione  costituzionale
specifica in  materia  si  ritiene  essere  quella  dispensata  dalla
pronuncia n. 506/2002, con la quale codesta Corte ha: 
      - Dichiara[to] l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  128
del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n.  1827  (Perfezionamento  e
coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito,  con
modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, nella parte in cui
esclude la pignorabilita' per ogni credito dell'intero  ammontare  di
pensioni, assegni ed indennita' erogati dall'INPS, anziche' prevedere
l'impignorabilita', con le eccezioni previste dalla legge per crediti
qualificati, della sola parte della pensione,  assegno  o  indennita'
necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle  esigenze
di vita e la pignorabilita'  nei  limiti  del  quinto  della  residua
parte; 
      - dichiara[to], in applicazione dell'art.  27  della  legge  11
marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1 e
2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio
1950, n. 180 (Testo unico delle leggi concernenti  il  sequestro,  il
pignoramento e la cessione degli  stipendi,  salari  e  pensioni  dei
dipendenti dalle  pubbliche  amministrazioni),  nella  parte  in  cui
escludono la pignorabilita' per ogni credito dell'intero ammontare di
pensioni, indennita'  che  ne  tengono  luogo  ed  altri  assegni  di
quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti  individuati  dall'art.
1, anziche' prevedere l'impignorabilita', con le  eccezioni  previste
dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni,
indennita' o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al
pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e  la  pignorabilita'
nei limiti del quinto della residua parte; 
      -  dichiara[to]  manifestamente  infondata  la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 69 della legge 30 aprile  1969,
n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in  materia
di sicurezza sociale). 
    La motivazione  di  tale  pronuncia  e'  essenziale  al  fine  di
comprendere l'assetto del bilanciamento dei valori costituzionali  in
gioco. Scrive la Corte che: 
      «8.1.- L'art. 38, secondo comma, Cost. e' certamente norma  che
-  sancendo  il  diritto  dei  lavoratori,  in  caso  di  infortunio,
malattia, invalidita', vecchiaia e disoccupazione involontaria, a che
siano «preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro  esigenze  di
vita» - si ispira a criteri di solidarieta' sociale  e  «di  pubblico
interesse a che venga garantita la corresponsione di un minimum»,  il
cui  ammontare  e'   ovviamente   riservato   all'apprezzamento   del
legislatore (cosi' la sentenza n. 22 del 1969). 
    E' ben vero che il pubblico interesse -  in  cui  si  traduce  il
criterio di solidarieta' sociale 
      - a che il pensionato goda di  un  trattamento  «adeguato  alle
esigenze di vita» puo', ed anzi  deve,  comportare  -  oltre  che  un
dovere dello Stato (da bilanciarsi, in primis, con le esigenze  della
finanza pubblica: ordinanza n. 342 del 2002) - anche una compressione
del diritto di terzi di soddisfare le proprie ragioni creditorie  sul
bene - pensione, ma e' anche vero  che  tale  compressione  non  puo'
essere totale ed indiscriminata, bensi' deve rispondere a criteri  di
ragionevolezza che valgano, da un lato, ad assicurare  in  ogni  caso
(e,  quindi,  anche  con  sacrificio  delle  ragioni  di  terzi)   al
pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze  di  vita  e,  dall'altro
lato, a non imporre ai terzi,  oltre  il  ragionevole  limite  appena
indicato,  un  sacrificio  dei  loro  crediti,  negando  alla  intera
pensione la qualita' di bene sul quale possano soddisfarsi. 
    Il presidio costituzionale (art. 38) del diritto dei pensionati a
godere di «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» non e' tale  da
comportare, quale suo ineludibile corollario, l'impignorabilita',  in
linea di principio, della pensione,  ma  soltanto  l'impignorabilita'
assoluta di quella parte di essa che vale, appunto, ad assicurare  al
pensionato quei  «mezzi  adeguati  alle  esigenze  di  vita»  che  la
Costituzione impone gli siano garantiti, ispirandosi ad  un  criterio
di solidarieta' sociale: e, pertanto, ad un criterio che, da un lato,
sancisce un dovere dello Stato e, dall'altro,  legittimamente  impone
un sacrificio (ma  nei  limiti  funzionali  allo  scopo)  a  tutti  i
consociati (e segnatamente ai creditori)... 
    9.- Non  rientra  nel  potere  di  questa  Corte,  ma  in  quello
discrezionale del legislatore, individuare  in  concreto  l'ammontare
della (parte di) pensione idoneo ad assicurare «mezzi  adeguati  alle
esigenze  di  vita»  del   pensionato,   come   tale   legittimamente
assoggettabile al regime di assoluta impignorabilita'  (con  le  sole
eccezioni, si ripete, tassativamente indicate di crediti qualificati,
in  quanto  espressione  di  altri  valori  costituzionali:  ad  es.,
articoli 29, 30, 53 Cost.)... 
    11.-  Al  contrario,  deve   essere   dichiarata   manifestamente
infondata la  questione  di  legittimita'  costituzionale,  sollevata
relativamente all'art. 69 della legge 30 aprile  1969,  n.  153,  dal
momento che, con tale norma, il legislatore non altro  ha  fatto  che
prevedere  limiti  e  modalita'  attraverso  le  quali  un  creditore
qualificato  (l'INPS,  per  indebite  prestazioni  ovvero   omissioni
contributive) puo' assoggettare a pignoramento un quinto  dell'intero
ammontare della pensione». 
    Circa tale pronuncia si osserva quanto segue. 
    La  questione  relativa  all'art.  69  legge  n.  153/1969,   pur
dichiarata  manifestamente  infondata,  non   appariva   in   realta'
rilevante nell'ambito di quel giudizio a quo («1.- Nel  corso  di  un
processo di opposizione all'espropriazione forzata  presso  terzi  di
una pensione  di  vecchiaia  erogata  dall'INPS,  avendo  l'opponente
invocato l'impignorabilita' assoluta, il  Tribunale  di  Ragusa,  con
ordinanza del 31 gennaio 2002, ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre  1935,
n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza
sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6  aprile  1936,
n. 1155, e dell'art. 69, primo comma, della legge 30 aprile 1969,  n.
153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia  di
sicurezza sociale), per contrasto con l'art. 3,  primo  comma,  della
Costituzione e, comunque, con il principio di  ragionevolezza,  nella
parte in cui escludono - a differenza di  quanto  disposto  dall'art.
545, quarto comma, del codice di procedura civile con  riguardo  alle
retribuzioni - la pignorabilita', nei  limiti  di  un  quinto,  della
pensione di vecchiaia erogata dall'INPS per crediti diversi da quelli
vantati dall'INPS stesso e da  quelli  di  natura  alimentare»),  non
venendo in discussione in quel giudizio un credito vantato  da  INPS,
bensi' un credito vantato da un soggetto privato:  la  norma  di  cui
all'art. 69, quindi, non era  destinata  ad  avere  applicazione  nel
processo a quo. 
    Va inoltre osservato come le  situazioni  normative  (cosi'  come
descritta  in  precedenza),  economiche  e  sociali  italiane   siano
profondamente mutate rispetto a quelle esistenti nel  2002,  data  di
pronunciamento del precedente di costituzionalita' in esame. 
    Circa l'aspetto sociale ed  economico,  va  evidenziato  come  in
seguito alla guerra Russo-Ucraina, si sia  registrato  un  importante
aumento dell'inflazione (circa  il  20  %  nel  triennio  2022-2024),
trainato  da  una  crisi  dei  prezzi  dell'energia,  che  ha  inciso
evidentemente quanto notoriamente sui risparmi, sui redditi  e  sulle
pensioni. 
    Circa l'aspetto normativo, proprio in considerazione della  crisi
in questione, il legislatore (che gia' nel 2015 aveva  introdotto  il
minimo  vitale  nell'art.  545,  7°  comma  c.p.c.)  interveniva  sul
disposto di cui all'art. 545, 7° comma, modificandolo, nel  senso  di
aumentare  l'entita'  della  quota   di   pensione   esentata   dalla
possibilita' di espropriazione. 
    Come si evince dai lavori  preparatori  alla  legge  n.  142/2022
(seduta n. 464 del 2022 del Senato) «...ci  sono  persone  sempre  in
difficolta' per fare la spesa e pagare le bollette, che purtroppo non
riescono ad arrivare a fine mese. Queste persone magari  hanno  anche
debiti, pagano con le pensioni cio' che devono, ma a volte non ce  la
fanno.   E'   stato   quindi   necessario   alzare   la   soglia   di
impignorabilita' delle pensioni, che  e'  stata  portata,  grazie  al
lavoro svolto dalle Commissioni riunite, da 750 euro  a  1.000  euro.
Almeno per ora, quindi queste persone potranno avere qualche  risorsa
in piu' per fare la spesa. (Applausi). Si tratta di  una  misura  che
penso riempia davvero di orgoglio questo ramo del Parlamento... PESCO
(M5S). Signor Presidente, ci tenevo a ringraziare  tutti  i  colleghi
per questo emendamento, che e' un gesto di umanita' verso le  persone
che hanno pensioni veramente irrisorie, che adesso potranno godere di
un limite all'impignorabilita' un po' piu' alto (da 750 euro a  1.000
euro), e a favore dei loro bisogni, perche' veramente  non  hanno  le
risorse  con  cui  arrivare  alla  fine  del  mese.  Quindi,   grazie
Presidente e un grazie a tutti i  colleghi»  (entrambe  dichiarazioni
del senatore PESCO). 
    Al di la' della circostanza che la modifica  in  questione  possa
essere stata ispirata dalle maggiori difficolta'  economiche  proprie
delle pensioni di importo minore, resta il fatto che la norma del  7°
comma dell'art. 545, cosi' come obiettivata dal  legislatore,  tutela
pensioni di ogni  importo  (d'altra  parte  la  crisi  inflattiva  ha
colpito evidentemente ogni tipo di pensione, posto che  il  20  %  di
perdita di valore di acquisto e' in grado  di  debilitare  anche  chi
gode di pensioni medio-alte:  si  pensi  solo  al  costo  astronomico
raggiunto in quel periodo dal gas e  di  conseguenza  dalle  relative
bollette),  stabilendo  per  tutte  l'elevazione  della   soglia   di
impignorabilita'. 
    Dunque, il legislatore processuale ha stabilito che per tutte  le
pensioni vi sia una fascia impignorabile (di almeno 1.000,00 euro)  e
questo a tutela  della  corresponsione  comunque  di  un  trattamento
minimo adeguato ex art. 38, 2° comma c.p.c.,  nel  bilanciamento  con
gli altri valori ed in particolare del diritto dei creditori di porre
in esecuzione i titoli relativi ai propri crediti su tutti i beni del
debitore (art. 2740 c.c.). 
    A questo punto devono farsi alcune osservazioni. 
    Si ritiene che i crediti vantati da INPS  ex  art.  69  legge  n.
153/1969 non possano che soggiacere ad una  identica  guarentigia  in
favore del pensionato. 
    Se in linea di massima puo' concordarsi sulla modulabilita' della
misura espropriativa in ragione del particolare  valore  del  credito
per cui si procede, tale modulazione non puo'  pero'  che  rispondere
(come in tutti i casi in cui il  legislatore  dispone  di  un  potere
discrezionale) a  collaudati  criteri  di  ragionevolezza  e  di  non
discriminazione. 
    Nel caso di specie, la discrezionalita'  legislativa  non  appare
rispettare la necessaria ragionevolezza nella misura  (la  «norma  di
favore» secondo la S.C.) posta dall'art. 69. Visto che il legislatore
si e' mosso (nell'ambito dell'art. 545, 7° comma c.p.c.)  nell'ambito
del concetto di trattamento minimo vitale (inespropriabile) in favore
del  pensionato,  tale  guarentigia  deve  logicamente   valere   con
riferimento ad ogni creditore, INPS compreso, posto che  le  esigenze
di vita sottese al rispetto di una fascia  di  impignorabilita'  sono
tali da non potere logicamente variare al variare  del  creditore  (e
del credito) ed in particolare in riferimento a crediti  contributivi
o relativi ad indebiti pensionistici. 
    Quindi, se l'esigenza e' quella di garantire  il  soddisfacimento
dei bisogni primari del pensionato, pare a chi  scrive  evidente  che
tali bisogni minimi siano indipendenti dalla natura del  creditore  e
del credito (o dalla modalita' di soddisfacimento del credito, se per
mezzo di una procedura esecutiva o se per mezzo di una trattenuta). 
    D'altra parte, la stessa formulazione  dell'art.  545  codice  di
procedura civile va in questo senso, posto che  intervenendo  sul  7°
comma e quindi a monte rispetto ad ogni valutazione di  meritevolezza
del credito, la franchigia impignorabile deve essere rispettata anche
dai crediti particolarmente qualificati previsti dall'art. 545 stesso
(dunque,  disponendo  che  «la  parte  eccedente  tale  ammontare  e'
pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto  e  dal  quinto
comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge» implica che anche
i crediti alimentari devono rispettare, in  relazione  a  stipendi  e
pensioni, il minimo vitale di cui  al  7°  comma,  dovendo  la  somma
oggetto di pignoramento essere determinata dal giudice ma  solo  dopo
avere rispettato - ossia va sottratta - la franchigia impignorabile). 
    Analogamente e' disposto anche per «i tributi dovuti allo  Stato,
alle province e ai comuni» (dunque, per crediti sempre  pubblici  che
presentano analogia - situazioni omogenee - rispetto ai crediti INPS,
posto che se INPS non raggiunge  l'autosufficienza  finanziaria  deve
reperire risorse  nell'ambito  della  fiscalita'  generale).  Dunque,
consentire ad INPS di non rispettare i limiti valevoli per tutti  gli
altri creditori (anche qualificati, anche pubblici), a fronte  di  un
bisogno vitale del debitore, rappresenta al  contempo  una  soluzione
irragionevole e ingiustamente discriminatoria  (risultandone  violato
sempre l'art. 3 Cost.), perche' situazioni uguali (i  bisogni  vitali
del pensionato), vengono trattate con modalita' molto differenti  (in
base al creditore che agisce, al tipo di credito ed alle modalita' di
soddisfo dello stesso), senza un'apprezzabile ragione prevalente  (ed
infatti  altri  crediti  pubblici  -  destinati  peraltro  anche   al
potenziale sostentamento delle casse di INPS, nell'ipotesi in cui  il
bilancio di quest'ultimo non riesca a trovare da solo le risorse  per
erogare le prestazioni - devono rispettare la franchigia ex art. 545,
7° comma c.p.c.). 
    Tale meccanismo non  appare  pertanto  ispirato  a  parametri  di
ragionevolezza,  oltre  che  realizzante  una  discriminazione  (come
detto, o il minimo e' vitale e vale anche verso INPS o non lo e':  ma
visto  che  il  legislatore  si  e'  impegnato  nei  confronti  della
generalita' dei creditori, anche qualificati, nel primo  senso  -  e,
quindi, il minimo e' vitale  -  allora  lo  stesso  trattamento  deve
valere anche per il creditore INPS in relazione ai crediti di cui  si
discute). 
    2 VIZIO: art. 38, 2° comma Cost. 
    Quella che a chi scrive pare essere una  violazione  dell'art.  3
Cost. presenta profili di violazione anche  dell'art.  38,  2°  comma
Cost.. 
    L'avere  stabilito  un  ammontare  impignorabile  per   tutti   i
creditori che agiscono in executivis  sul  trattamento  pensionistico
del debitore, rappresenta evidentemente una modalita'  di  attuazione
della previsione dell'art. 38, 2° comma Cost. 
    Perche',  evidentemente,  tra  le  modalita'  con  le  quali   si
assicurano  i  mezzi  adeguati  al  soddisfacimento  dei  bisogni  ai
pensionati, qui ex lavoratori, rientra la  necessita'  di  assicurare
dei limiti alla pignorabilita' dei trattamenti pensionistici. 
    In questo ambito  e'  evidente  che  il  legislatore  dispone  di
discrezionalita'. 
    Tuttavia se ne contesta l'esercizio irrazionale e discriminatorio
cosi' come in concreto esercitato dal legislatore (e  cio'  e'  stato
analizzato anche nel punto che precede). 
    Una  volta  fissata  per  la  generalita'  dei  creditori  (anche
qualificati,   anche   pubblici)   alcuni   limiti   oggettivi   alla
possibilita' di aggredire la pensione del debitore (art. 545 c.p.c.),
cio' che rappresenta una modalita' di  attuazione  dell'art.  38,  2°
comma Cost., risulta irrazionale non avere sottoposto a  tali  limiti
anche il creditore INPS, posto che  i  limiti  cui  soggiacciono  gli
altri creditori sono dettati a tutela di diritti  basilari  e  vitali
dei pensionati, esigenze in relazione alle quali  la  diversita'  del
creditore (o del credito: con particolare riferimento ai crediti INPS
da indebito previdenziale o da  contributi  omessi;  o  ancora  delle
modalita' attuative del soddisfo) risulta inconferente. 
    Una  volta  stabilito  che  quella  fascia  di   impignorabilita'
risponde  alle  esigenze  di  salvaguardia  del  minimo  vitale   del
pensionato, attuandosi sul punto l'art. 38, 2° comma Cost.,  esentare
i crediti vantati da INPS ex art. 69, legge n. 153/1969 dal  rispetto
del minimi vitali, appare violare una rima  essenzialmente  obbligata
per  il   legislatore,   risultandone   altrimenti   un   trattamento
ingiustificatamente discriminatorio di una  fattispecie  identica  (o
almeno omogenea), oltre che  in  se'  una  violazione  di  regole  di
razionalita' nell'attuare l'art. 38, 2° comma Cost.. 
    Venendo in rilievo l'esistenza di quella che  si  ritiene  essere
una  rima  obbligata  (oltre  che  di  una  norma   di   applicazione
generalissima qual e' l'art. 545, 7°  comma  c.p.c.),  codesta  Corte
avra' la facolta' (ragionando in ambito di art. 38, 2°  comma  Cost.,
vito che in chiave antidiscriminatoria ex art. 3  Cost.  l'estensione
del trattamento e' automatica) di prendere la stessa a  parametro  di
un corretto utilizzo  della  discrezionalita'  normativa,  estendendo
all'art. 69, legge n. 153/1969 lo  stesso  identico  limite  previsto
dall'art. 545, 7° comma, ossia che «Le somme  da  chiunque  dovute  a
titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo di pensione o  di
altri assegni  di  quiescenza  non  possono  essere  pignorate  [qui:
trattenute] per un ammontare corrispondente al  doppio  della  misura
massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro». 
    8 - Il caso di specie 
    Il ricorrente non e' titolare di una pensione di basso ammontare. 
    Tuttavia, come visto, il limite dell'art. 545, 7° comma opera  in
misura  fissa  ed  oggettiva  e  si  applica  ad  ogni  pensione,   a
prescindere dall'importo della stessa. 
    L'entita' della pensione del  ricorrente  esula  dal  tema  della
rilevanza  (come  detto,  in  caso  di  accoglimento  della  presente
ordinanza, l'effetto utile per il  ricorrente  sarebbe  rappresentato
dalla riduzione dell'importo trattenuto da INPS, con  la  conseguente
rilevanza della presente questione di costituzionalita'). 
    Tale   elemento,   di    fatto,    potrebbe    tuttavia,    anche
involontariamente,  mettere  in   ombra   l'assunta   non   manifesta
infondatezza della questione (sulla base dell'idea  che  la  pensione
residua  del  ricorrente  appaia  «comunque»  sufficiente  alle   sue
esigenze di vita, anche senza la salvaguardia del  minimo  vitale  di
cui all'art. 575, 7° comma c.p.c.). 
    Due considerazioni tuttavia vanno fatte. 
    La prima e' che questo giudice non puo' fare i conti in tasca  al
ricorrente e, quindi, stabilire che questi 200 euro mensili  in  piu'
(se la norma impugnata venisse  allineata  al  tertium  comparationis
indicato nell'art. 545, 7° comma c.p.c.) siano irrilevanti nella vita
dello stesso (che magari ha debiti da pagare  con  la  pensione,  che
magari ha familiari a carico, o che sostenta gli studi dei figli o il
mantenimento dei nipoti, etc.). 
    Dunque, ritenendo chi  scrive  la  questione  non  manifestamente
infondata, la rimessione risulta doverosa. 
    Va peraltro evidenziato che anche una pensione buona come  quella
del ricorrente e' soggetta agli stessi fortunali (inflazione e dunque
svalutazione) che incontrano  le  pensioni  piu'  basse,  ed  anzi  a
maggiori pericoli (rectius:  danni),  posto  che  il  legislatore  ha
dimostrato concretamente ed in piu' occasioni che,  per  esigenze  di
bilancio, i titolari di pensioni di maggiore importo  possono  essere
(ed  anzi  concretamente  vengono)  penalizzati  nei  meccanismi   di
rivalutazione della pensione, secondo varie forme via via  denominate
di «raffreddamento» o  «rallentamento»  (sul  punto  si  rinvia  alla
descrizione  della  casistica  -  gia'   esaminata   a   livello   di
costituzionalita' - di cui al punto n. 7 della pronuncia  n.  19/2025
di codesta Corte). 
    Dunque, va ritenuto che anche pensioni di importo nominalmente ed
originariamente elevato quale quella del ricorrente, alla lunga, dopo
vari raffreddamenti e rallentamenti (presenti e futuri),  abbiano  (e
avranno) assunto un reale potere di acquisto tale da essere  vieppiu'
penalizzate   dalla   mancata    applicazione    della    guarentigia
dell'impignorabilita' di cui alla regola del 7° comma  dell'art.  545
c.p.c.. 
    L'entita' esatta del rallentamento-raffreddamento  cui  e'  stata
sottoposta la pensione del ricorrente, pur richiesta ad INPS, non  e'
stata da quest'ultimo specificata; tuttavia il dato esatto  a  questo
punto pare superfluo (essendo  quegli  effetti  -  certi  -  derivati
direttamente dall'applicazione di norme che sono notorie). 
    La seconda considerazione e' rappresentata dal fatto che,  avendo
l'eventuale pronuncia di accoglimento portata erga omnes,  oltre  che
nel  caso  del  ricorrente,  l'auspicata  modifica  della  norma   si
applicherebbe anche ai casi in cui, per essere le pensioni  coinvolte
di modesta entita', ne risulterebbe una ancora maggiore necessita' di
guarentigia, dal punto di vista della salvaguardia del minimo  vitale
assicurato dall'art. 545, 7° comma nella versione attuale. 
    Come  visto,  nel  caso  del   ricorrente   la   differenza   tra
l'applicazione della norma sulla base della quale INPS ha agito e  la
norma che si domanda alla Corte di implementare, e' pari a  200  euro
netti mensili  (ma,  come  visto,  gia'  nel  2025  tale  importo  e'
cresciuto  per   effetto   dell'aumento   dell'importo   dell'assegno
sociale). 
    Ragionando su pensioni  di  importi  minori  ed  utilizzando  per
semplicita' la franchigia «tonda» di 1.000,00  euro,  assumendo  p.e.
una pensione netta di 1.500,00 euro mensili, avremo quanto segue: 
      a)  applicando  l'art.  69,  legge  n.  153/1969  INPS   potra'
trattenere 300,00 euro mensili, con la conseguenza  che  la  pensione
erogata sara' pari ad euro 1.200,00 netti mensili; 
      b) applicando la guarentigia di cui  all'art.  545,  7°  comma,
INPS potra' trattenere 100,00 euro mensili, con la conseguenza che la
pensione erogata sara' pari ad euro 1.400,00 netti mensili. 
    Ancora piu' evidente la problematica in  caso  di  pensioni  piu'
basse: assumendo una pensione di 1.100,00 euro netti  mensili  avremo
quanto segue: 
      a)  applicando  l'art.  69,  legge  n.  153/1969  INPS   potra'
trattenere 220,00 euro mensili, con la conseguenza  che  la  pensione
erogata sara' pari ad euro 880,00 netti mensili; in  questo  caso  la
pensione corrisposta realmente sara' INFERIORE al  minimo  vitale  di
cui all'art. 545, 7° comma c.p.c.,  con  grave  compromissione  delle
finanze del pensionato. 
      Cio' pur rispettando tale trattenuta l'art. 69, che prevede  la
salvaguardia  (come  visto  assolutamente  anacronistica)  del   solo
«trattamento minimo», ad oggi pari ad euro 603,40. 
      b) applicando la guarentigia di cui  all'art.  545,  7°  comma,
INPS potra' trattenere 20,00 euro mensili, con la conseguenza che  la
pensione erogata sara' pari ad euro 1.180,00 netti mensili. 
    9 - Conclusioni 
    Concludendo, si domanda alla Corte costituzionale  di  dichiarare
incostituzionale l'art. 69, legge n. 153/1969 nella parte in cui  non
prevede una soglia - sulla quale INPS non puo' comunque  soddisfarsi,
nemmeno allorquando opera una trattenuta  diretta  sulla  pensione  a
compensazione del proprio credito - pari all'ammontare corrispondente
al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale,  con  un
minimo di 1.000 euro, risultando la pensione aggredibile  solo  oltre
tale soglia, nella misura di un quinto. 

 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale di Ravenna, ritenuta la questione  rilevante  e  non
manifestamente infondata dispone, ai sensi e per gli effetti  di  cui
all'art. 23 della  legge  n.  87/1953,  la  trasmissione  degli  atti
(comprese le comunicazioni e le notificazioni di  cui  alla  presente
ordinanza)  del  presente  procedimento  alla  Corte   costituzionale
affinche' valuti se sia costituzionalmente legittimo, con riferimento
agli articoli 3 e 38, 2° comma della Costituzione, l'art.  69,  legge
n. 153/1969 nella parte in cui esso non prevede una  soglia  -  sulla
quale INPS non puo' comunque soddisfarsi, nemmeno  allorquando  opera
una trattenuta diretta sulla pensione  a  compensazione  del  proprio
credito - pari all'ammontare corrispondente al  doppio  della  misura
massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo  di  1.000  euro,
risultando la pensione aggredibile  solo  oltre  tale  soglia,  nella
misura di un quinto. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente  del  Consiglio
dei ministri. 
    Dispone, altresi', che la presente ordinanza sia  comunicata  con
immediatezza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio sino alla  decisione
della Corte costituzionale. 
    Si comunichi 
      Ravenna, li 3 aprile 2025 
 
                         Il gudice: Bernardi