Reg. ord. n. 92 del 2025 pubbl. su G.U. del 28/05/2025 n. 22
Ordinanza del Tribunale di Ravenna del 03/04/2025
Tra: V. A. C/ Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS
Oggetto:
Previdenza – Pensioni – Previsione che le pensioni, gli assegni e le indennità spettanti in forza del r.d.l. n. 1827 del 1935, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché gli assegni di cui all'art. 11 della legge n. 1115 del 1968, possono essere ceduti, sequestrati e pignorati nei limiti di un quinto del loro ammontare, per debiti verso l'Istituto nazionale della previdenza sociale derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dall'Istituto stesso, ovvero da omissioni contributive, escluse, in questo caso, le somme dovute per interessi e sanzioni amministrative – Previsione che per le pensioni ordinarie liquidate a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, viene comunque fatto salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo – Impossibilità di gravare di interessi le somme dovute all'Istituto nazionale della previdenza sociale, per prestazioni indebitamente percepite, salvo che la indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato – Omessa previsione di una soglia, sulla quale INPS non può comunque soddisfarsi, nemmeno allorquando opera una trattenuta diretta sulla pensione a compensazione del proprio credito, pari all’ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro, risultando la pensione aggredibile solo oltre tale soglia, nella misura di un quinto – Denunciata normativa che, consentendo a INPS di non rispettare i limiti valevoli per tutti gli altri creditori a fronte di un bisogno vitale del debitore, risulta irragionevole e ingiustamente discriminatoria, poiché situazioni uguali vengono trattate differentemente, in base al creditore che agisce, al tipo di credito e alle modalità di soddisfo dello stesso – Violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza – Disciplina che esentando i crediti vantati da INPS dal rispetto dei minimi vitali, viola una rima essenzialmente obbligata per il legislatore, e il limite previsto dalla normativa di riferimento di generale applicazione – Lesione della garanzia previdenziale.
Norme impugnate:
legge del 30/04/1969 Num. 153 Art. 69
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 38 Co. 2
codice di procedura civile Art. 545 Co. 7
Udienza Pubblica del 4 novembre 2025 rel. NAVARRETTA
Testo dell'ordinanza
N. 92 ORDINANZA (Atto di promovimento) 03 aprile 2025 Ordinanza del 3 aprile 2025 del Tribunale di Ravenna nel procedimento civile promosso da V. A. contro Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS. Previdenza - Pensioni - Previsione che le pensioni, gli assegni e le indennita' spettanti in forza del r.d.l. n. 1827 del 1935, e successive modificazioni ed integrazioni, nonche' gli assegni di cui all'art. 11 della legge n. 1115 del 1968, possono essere ceduti, sequestrati e pignorati nei limiti di un quinto del loro ammontare, per debiti verso l'Istituto nazionale della previdenza sociale derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dall'Istituto stesso, ovvero da omissioni contributive, escluse, in questo caso, le somme dovute per interessi e sanzioni amministrative - Previsione che per le pensioni ordinarie liquidate a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, viene comunque fatto salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo - Impossibilita' di gravare di interessi le somme dovute all'Istituto nazionale della previdenza sociale, per prestazioni indebitamente percepite, salvo che la indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato - Omessa previsione di una soglia, sulla quale INPS non puo' comunque soddisfarsi, nemmeno allorquando opera una trattenuta diretta sulla pensione a compensazione del proprio credito, pari all'ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro, risultando la pensione aggredibile solo oltre tale soglia, nella misura di un quinto. - Legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), art. 69. (GU n. 22 del 28-05-2025) TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA Szione civile Il gudice ponuncia la seguente ordinanza di rimessione della questione della legittimita' costituzionale dell'art. 69 legge n. 153/1969. 1 - Fatto e processo a quo Il ricorrente domandava rideterminarsi l'importo dell'indebito previdenziale vantato da INPS (ed accertato dalla sentenza del Tribunale di Ravenna n. 216/2024), nonche' fissarsi la misura della trattenuta mensile sulla propria pensione, ex art. 69, legge n. 153/1969, nel rispetto dei limiti di legge («...accertare e dichiarare che il signor A e' tenuto alla restituzione dell'importo mensile netto di euro 521,98 o diversa somma risultante di giustizia ...»). INPS resisteva al ricorso. Sul primo aspetto, dopo l'effettuazione di conteggi, le parti raggiungevano un accordo sull'entita' della trattenuta residua (residuo al 31.12.2024 del debito - detratto quanto gia' recuperato pari ad euro 41.963,84 - pari ad euro 64.952,43 netti). Sul secondo aspetto, le parti non sono riuscite a trovare la quadra, posto che, mentre il ricorrente invoca il rispetto del trattamento vitale minimo di euro 1.000,00 previsto dall'art. 545, 7° comma codice di procedura civile (cosi' come modificato dall'art. 21-bis del decreto-legge 115/2022, conv. legge n. 142/2022), INPS ritiene che tale previsione non si applichi, essendo applicabile solo l'art. 69, legge n. 153/1969 che tale guarentigia non prevede. Va premesso al riguardo che, in base al cedolino della pensione del ricorrente del gennaio 2025, l'importo netto della pensione dallo stesso percepito (prima di operare la trattenuta per cui e' causa) e' pari ad euro 3.430,17 mensili. Le posizioni delle parti sono chiarite in particolare nel verbale della penultima udienza (12.12.2024), che cosi' riporta: «Le parti invece non hanno raggiunto un accordo circa l'entita' del rateo mensile da trattenere. Il prof. ... individua lo stesso in euro 479,60, calcolato come segue: dalla pensione mensile netta, va detratta la quota del minimo vitale minimo, pari euro 1.000,00 (ex art. 21-bis del decreto-legge 115/2022 inserito in sede di conversione dalle legge 142/2022 ai sensi del quale "Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge"). Dopo tale detrazione, risulta trattenibile il quinto; L'avv. ... sostiene che l'art. 545 codice di procedura civile non si applica ad INPS bensi' l'art. 69; secondo INPS la trattenuta corretta sarebbe di euro 678,91 mensili; fa riferimento a Cassazione n. 26580/2024». 2 - L'oggetto del giudizio di costituzionalita': la norma Viene in rilievo l'art. 69, legge n. 153/1969 ai sensi del quale «Le pensioni, gli assegni e le indennita' spettanti in forza del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modificazioni ed integrazioni, nonche' gli assegni di cui all'art. 11 della legge 5 novembre 1968, n. 1115, possono essere ceduti, sequestrati e pignorati, nei limiti di un quinto del loro ammontare, per debiti verso l'Istituto nazionale della previdenza sociale derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dall'Istituto stesso, ovvero da omissioni contributive, escluse, in questo caso, le somme dovute per interessi e sanzioni amministrative. Per le pensioni ordinarie liquidate a carico della assicurazione generale obbligatoria, viene comunque fatto salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo. Le somme dovute all'Istituto nazionale della previdenza sociale, per prestazioni indebitamente percepite, non possono essere gravate da interessi salvo che la indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato». 3 - I parametri La disposizione in esame, a parere di chi scrive, appare in contrasto con l'art. 3, Cost. (anche per il tramite del confronto con l'art. 545, 7° comma codice di procedura civile attualmente in vigore), nonche' con l'art. 38, 2° comma Cost. 4 - La questione Quando INPS agisce trattenendo - in forza della speciale previsione di cui all'art. 69, legge n. 153/1969 - un quinto della pensione del proprio debitore, non e' tenuta a rispettare la fascia di impignorabilita' di cui all'art. 545, 7° comma c.p.c., che rappresenta un minimo vitale che si e' andato normativamente delineando nel tempo a garanzia del sostentamento del debitore-pensionato nell'ambito della procedura espropriativa (della pensione) presso terzi (laddove INPS e' il terzo debitor debitoris). Infatti, nell'ambito dell'art. 69 legge n. 153/1969 INPS e' tenuto solo a garantire che il pensionato riceva perlomeno una somma «corrispondente al trattamento minimo» (ad oggi pari ad euro 603,40). Il legislatore e' intervenuto in plurime occasioni sul disposto dell'art. 545 c.p.c. Per quanto qui rileva, una prima volta nel 2015 (D.L. n. 83/2015, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132), con l'introduzione del 7° comma, nella seguente formulazione: «Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della meta'. La parte eccedente tale ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge». Successivamente, nel 2022 (in forza della legge di conversione n. 142/2002 del D.L. n. 115/2022, c.d. Aiuti bis, che ha inserito in quest'ultimo l'art. 21-bis, di novellazione dell'art. 545 c.p.c.,) modificando il 7° comma dell'art. 545 codice di procedura civile come segue: «Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge». Per l'effetto di tali innovazioni, quindi, nel 7° comma dell'art. 545 codice di procedura civile e' prevista una fascia di impignorabilita' assoluta della pensione, introdotta nel 2015 ed elevata nel 2022 a tutela del debitore nell'ambito delle procedure di espropriazione presso terzi dei trattamenti pensionistici. Il legislatore non ha tuttavia coordinato tale modifica innovativa con le risalenti regole in tema di recupero di indebito INPS, di cui all'art. 69 della legge n. 153/1969. Ne consegue che INPS non e' tenuta al rispetto del limite ex art. 545, 7° comma c.p.c. e la somma che la stessa puo' trattenere e quindi compensare (a soddisfacimento del proprio credito) nel momento in cui paga un trattamento pensionistico e' superiore, di molto, rispetto a quella che qualunque altro creditore puo' ottenere, in sede esecutiva, sulla pensione del proprio debitore (essendo INPS tenuta solo a garantire che il del pensionato riceva una somma «corrispondente al trattamento minimo»). Va notato che i due limiti, quello dell'art. 69 e quello dell'art. 545, 7° comma c.p.c., operano in misura nettamente diversa. Il primo e piu' risalente si occupa solo di garantire che il pensionato non riceva una pensione inferiore al trattamento minimo (ad oggi pari ad euro 603,40). In disparte questa garanzia, non opera alcuna ulteriore guarentigia e tutta la pensione e' aggredibile nei limiti del quinto. Il secondo, all'esito delle riforme, garantisce una fascia di impignorabilita' (euro 1.000,00 o il doppio dell'assegno sociale, pari ad euro 538,69 x 2) e tale somma non puo' essere oggetto di alcuna trattenuta; solo sulla somma che eccede tale limite opera il calcolo del quinto pignorabile. I diversi effetti matematici di tali meccanismi saranno illustrati con alcune esemplificazioni nell'ottavo capitolo di questa ordinanza. Attesa la profonda diversita' dei meccanismi, uno vetusto e l'altro elaborato e modificato in termini assai recenti, occorre riflettere sul mancato coordinamento tra le due forme di soddisfazione dei crediti, per comprendere se gli effetti che ne derivano possano violare o meno regole costituzionali. A parere di chi scrive, la diversita' tra le due discipline appare violare sia generali regole di uguaglianza di trattamento (tra creditori), oltre che di razionalita' e di logicita' (se la fascia di impignorabilita' ha senso a tutela del minimo vitale, essa deve essere intangibile per ogni creditore, anche per INPS ed anche quando il creditore agisce non in sede esecutiva, ma operando direttamente una compensazione o trattenuta), anche ex art. 38, 2° comma Cost. (posto che se la fascia di impignorabilita' ha senso a tutela del minimo vitale, essa rappresenta una rima obbligata per il legislatore che disciplina la materia del soddisfo dei creditori sui trattamenti pensionistici, venendo qui in rilievo esattamente i «mezzi adeguati alle ... esigenze di vita in caso di ... vecchiaia» previsti dalla Suprema Carta). 5 - Rilevanza della questione Innanzi tutto la questione e' processualmente rilevante avendo il ricorrente domandato con l'atto introduttivo la determinazione dell'entita' della trattenuta mensile (anche nella «...somma risultante di giustizia»), con il che tale domanda ha attinto ab origine la questione dell'entita' della trattenuta ex art. 69 (nel cui ambito e' insita la questione di costituzionalita' qui proposta). La questione rileva anche nel merito del giudizio a quo, posto che l'accoglimento della stessa importerebbe un grosso beneficio economico per il pensionato debitore, stimato nella possibilita' di godere (anche solo tenendo conto del plafond di 1.000,00 euro minimi impignorabili) di una pensione di 200,00 euro netti in piu' al mese e questo per molti anni (data l'entita' dell'indebito previdenziale residuo, cosi' come indicato nel primo capitolo in euro 64.952,43). Dunque, il debito 64.952,43 al ritmo di trattenuta individuato da parte ricorrente e rispettoso della franchigia di cui all'art. 545, 7° comma c.p.c., condurrebbe ad oltre 135 rate che coprirebbero un arco di tempo di oltre 10 anni. Ne conseguirebbe una rilevante diluizione nel tempo della restituzione dell'indebito con il pensionato che riceverebbe ogni anno 2.600,00 euro in piu' di pensione rispetto alla modalita' di calcolo indicata da INPS sulla base dell'art. 69 legge n. 153/1969. Va inoltre evidenziato che l'ulteriore parametro, rappresentato dal doppio dell'assegno sociale, conduce gia', nel 2025, al superamento della soglia dei 1.000,00 euro mensili impignorabili, posto che per il 2025 la misura massima dell'assegno sociale e' stata individuata in euro 538,68, il cui doppio e' pari ad euro 1.077,36. Gia' nel 2025, quindi, la soglia di impignorabilita' del trattamento pensionistico ex art. 545, 7° comma codice di procedura civile sarebbe pari ad euro 1.077,36. Da tutto cio' si ritiene emergere la rilevanza della questione proposta. 6 - L'impossibilita' di una interpretazione adeguatrice. L'art. 21-bis del decreto-legge 115/2022, conv. legge n. 142/2022, che ha modificato il 7° comma dell'art. 545 c.p.c., nulla ha previsto in relazione all'istituto regolato dall'art. 69, legge n. 153/1969. Ne risulta un disallineamento tra le due disposizioni. Tale disallineamento non appare superabile in via interpretativa, posto che, come ritenuto dalla S.C. che si e' occupata recentemente della questione, le due norme hanno ambiti applicativi differenti e restano separate («Va, infine, rilevato che la novella dell'art. 545 codice di procedura civile di cui all'art. 13 comma 1 lettera l) del DL n. 83/15 convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che prevede specifici limiti di pignorabilita' per le pensioni e gli altri assegni di quiescenza - consistenti (a seguito dell'ulteriore novella di cui all'art. 21-bis del DL 9.8.22 n. 115, convertito con mod. dalla legge n. 142/22) nel doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale con un minimo di euro 1.000,00, nonche' la parte eccedente tale ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma del medesimo art. 545 c.p.c., nonche' dalle speciali disposizioni di legge - pur trovando applicazione anche alle procedure esecutive aventi ad oggetto prestazioni pensionistiche pendenti alla data di entrata in vigore del predetto decreto (27 giugno 2015), ai sensi della pronuncia della Corte costituzionale n. 12/19, e' tuttavia applicabile quando la pensione viene aggredita da soggetti diversi dall'Istituto previdenziale, ovvero quando l'Inps agisca per crediti diversi dall'indebita percezione di prestazioni a suo carico o da omissioni contributive, altrimenti, in quest'ultimo caso, si applica la norma di favore per l'Inps di cui all'art. 69 della legge n. 153 del 1969, secondo cui...» (Cass. n. 26580/2024). Dunque, quando INPS agisce al di fuori di una procedura esecutiva (ossia sostanzialmente sempre, potendo operare la compensazione proprio in forza della norma qui censurata) e per crediti relativi all'indebita percezione di prestazioni a suo carico o da omissioni contributive, alla stessa non e' applicabile l'art. 545, 7° comma cosi' come da ultimo novellato ed i limiti di pignorabilita' sono diversi rispetto a quelli previsti da quest'ultima. L'interpretazione adeguatrice (ritenere implicito il limite dell'art. 545, 7° comma anche in ambito di art. 69, legge n. 153/1969), anche alla luce della piu' recente giurisprudenza di legittimita', andrebbe contro il tenore letterale delle norme ed introdurrebbe in quest'ultima disposizione una regola che la stessa assolutamente non prevede, con la conseguenza che tale interpretazione non appare proficuamente predicabile, come peraltro implicitamente escluso dalla sentenza della S.C. appena esaminata, che e' anche l'unica che risulta essersi occupata della questione. Dunque, il tenore letterale della disposizione ed il riferirsi le due norme qui a confronto a situazioni e soggetti diversi, cosi' come evidenziato dalla S.C., risultano elementi impedienti una interpretazione diversa da quella fatta propria dalla Corte di cassazione. 7 - La non manifesta infondatezza della questione 1° VIZIO: violazione dell'uguaglianza e irragionevolezza della disposizione (art. 3 Cost.). L'ultima (ma certamente non recente) decisione costituzionale specifica in materia si ritiene essere quella dispensata dalla pronuncia n. 506/2002, con la quale codesta Corte ha: - Dichiara[to] l'illegittimita' costituzionale dell'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, nella parte in cui esclude la pignorabilita' per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, assegni ed indennita' erogati dall'INPS, anziche' prevedere l'impignorabilita', con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennita' necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilita' nei limiti del quinto della residua parte; - dichiara[to], in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180 (Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui escludono la pignorabilita' per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, indennita' che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall'art. 1, anziche' prevedere l'impignorabilita', con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennita' o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilita' nei limiti del quinto della residua parte; - dichiara[to] manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale). La motivazione di tale pronuncia e' essenziale al fine di comprendere l'assetto del bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. Scrive la Corte che: «8.1.- L'art. 38, secondo comma, Cost. e' certamente norma che - sancendo il diritto dei lavoratori, in caso di infortunio, malattia, invalidita', vecchiaia e disoccupazione involontaria, a che siano «preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» - si ispira a criteri di solidarieta' sociale e «di pubblico interesse a che venga garantita la corresponsione di un minimum», il cui ammontare e' ovviamente riservato all'apprezzamento del legislatore (cosi' la sentenza n. 22 del 1969). E' ben vero che il pubblico interesse - in cui si traduce il criterio di solidarieta' sociale - a che il pensionato goda di un trattamento «adeguato alle esigenze di vita» puo', ed anzi deve, comportare - oltre che un dovere dello Stato (da bilanciarsi, in primis, con le esigenze della finanza pubblica: ordinanza n. 342 del 2002) - anche una compressione del diritto di terzi di soddisfare le proprie ragioni creditorie sul bene - pensione, ma e' anche vero che tale compressione non puo' essere totale ed indiscriminata, bensi' deve rispondere a criteri di ragionevolezza che valgano, da un lato, ad assicurare in ogni caso (e, quindi, anche con sacrificio delle ragioni di terzi) al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita e, dall'altro lato, a non imporre ai terzi, oltre il ragionevole limite appena indicato, un sacrificio dei loro crediti, negando alla intera pensione la qualita' di bene sul quale possano soddisfarsi. Il presidio costituzionale (art. 38) del diritto dei pensionati a godere di «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» non e' tale da comportare, quale suo ineludibile corollario, l'impignorabilita', in linea di principio, della pensione, ma soltanto l'impignorabilita' assoluta di quella parte di essa che vale, appunto, ad assicurare al pensionato quei «mezzi adeguati alle esigenze di vita» che la Costituzione impone gli siano garantiti, ispirandosi ad un criterio di solidarieta' sociale: e, pertanto, ad un criterio che, da un lato, sancisce un dovere dello Stato e, dall'altro, legittimamente impone un sacrificio (ma nei limiti funzionali allo scopo) a tutti i consociati (e segnatamente ai creditori)... 9.- Non rientra nel potere di questa Corte, ma in quello discrezionale del legislatore, individuare in concreto l'ammontare della (parte di) pensione idoneo ad assicurare «mezzi adeguati alle esigenze di vita» del pensionato, come tale legittimamente assoggettabile al regime di assoluta impignorabilita' (con le sole eccezioni, si ripete, tassativamente indicate di crediti qualificati, in quanto espressione di altri valori costituzionali: ad es., articoli 29, 30, 53 Cost.)... 11.- Al contrario, deve essere dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, sollevata relativamente all'art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153, dal momento che, con tale norma, il legislatore non altro ha fatto che prevedere limiti e modalita' attraverso le quali un creditore qualificato (l'INPS, per indebite prestazioni ovvero omissioni contributive) puo' assoggettare a pignoramento un quinto dell'intero ammontare della pensione». Circa tale pronuncia si osserva quanto segue. La questione relativa all'art. 69 legge n. 153/1969, pur dichiarata manifestamente infondata, non appariva in realta' rilevante nell'ambito di quel giudizio a quo («1.- Nel corso di un processo di opposizione all'espropriazione forzata presso terzi di una pensione di vecchiaia erogata dall'INPS, avendo l'opponente invocato l'impignorabilita' assoluta, il Tribunale di Ragusa, con ordinanza del 31 gennaio 2002, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, e dell'art. 69, primo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), per contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione e, comunque, con il principio di ragionevolezza, nella parte in cui escludono - a differenza di quanto disposto dall'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile con riguardo alle retribuzioni - la pignorabilita', nei limiti di un quinto, della pensione di vecchiaia erogata dall'INPS per crediti diversi da quelli vantati dall'INPS stesso e da quelli di natura alimentare»), non venendo in discussione in quel giudizio un credito vantato da INPS, bensi' un credito vantato da un soggetto privato: la norma di cui all'art. 69, quindi, non era destinata ad avere applicazione nel processo a quo. Va inoltre osservato come le situazioni normative (cosi' come descritta in precedenza), economiche e sociali italiane siano profondamente mutate rispetto a quelle esistenti nel 2002, data di pronunciamento del precedente di costituzionalita' in esame. Circa l'aspetto sociale ed economico, va evidenziato come in seguito alla guerra Russo-Ucraina, si sia registrato un importante aumento dell'inflazione (circa il 20 % nel triennio 2022-2024), trainato da una crisi dei prezzi dell'energia, che ha inciso evidentemente quanto notoriamente sui risparmi, sui redditi e sulle pensioni. Circa l'aspetto normativo, proprio in considerazione della crisi in questione, il legislatore (che gia' nel 2015 aveva introdotto il minimo vitale nell'art. 545, 7° comma c.p.c.) interveniva sul disposto di cui all'art. 545, 7° comma, modificandolo, nel senso di aumentare l'entita' della quota di pensione esentata dalla possibilita' di espropriazione. Come si evince dai lavori preparatori alla legge n. 142/2022 (seduta n. 464 del 2022 del Senato) «...ci sono persone sempre in difficolta' per fare la spesa e pagare le bollette, che purtroppo non riescono ad arrivare a fine mese. Queste persone magari hanno anche debiti, pagano con le pensioni cio' che devono, ma a volte non ce la fanno. E' stato quindi necessario alzare la soglia di impignorabilita' delle pensioni, che e' stata portata, grazie al lavoro svolto dalle Commissioni riunite, da 750 euro a 1.000 euro. Almeno per ora, quindi queste persone potranno avere qualche risorsa in piu' per fare la spesa. (Applausi). Si tratta di una misura che penso riempia davvero di orgoglio questo ramo del Parlamento... PESCO (M5S). Signor Presidente, ci tenevo a ringraziare tutti i colleghi per questo emendamento, che e' un gesto di umanita' verso le persone che hanno pensioni veramente irrisorie, che adesso potranno godere di un limite all'impignorabilita' un po' piu' alto (da 750 euro a 1.000 euro), e a favore dei loro bisogni, perche' veramente non hanno le risorse con cui arrivare alla fine del mese. Quindi, grazie Presidente e un grazie a tutti i colleghi» (entrambe dichiarazioni del senatore PESCO). Al di la' della circostanza che la modifica in questione possa essere stata ispirata dalle maggiori difficolta' economiche proprie delle pensioni di importo minore, resta il fatto che la norma del 7° comma dell'art. 545, cosi' come obiettivata dal legislatore, tutela pensioni di ogni importo (d'altra parte la crisi inflattiva ha colpito evidentemente ogni tipo di pensione, posto che il 20 % di perdita di valore di acquisto e' in grado di debilitare anche chi gode di pensioni medio-alte: si pensi solo al costo astronomico raggiunto in quel periodo dal gas e di conseguenza dalle relative bollette), stabilendo per tutte l'elevazione della soglia di impignorabilita'. Dunque, il legislatore processuale ha stabilito che per tutte le pensioni vi sia una fascia impignorabile (di almeno 1.000,00 euro) e questo a tutela della corresponsione comunque di un trattamento minimo adeguato ex art. 38, 2° comma c.p.c., nel bilanciamento con gli altri valori ed in particolare del diritto dei creditori di porre in esecuzione i titoli relativi ai propri crediti su tutti i beni del debitore (art. 2740 c.c.). A questo punto devono farsi alcune osservazioni. Si ritiene che i crediti vantati da INPS ex art. 69 legge n. 153/1969 non possano che soggiacere ad una identica guarentigia in favore del pensionato. Se in linea di massima puo' concordarsi sulla modulabilita' della misura espropriativa in ragione del particolare valore del credito per cui si procede, tale modulazione non puo' pero' che rispondere (come in tutti i casi in cui il legislatore dispone di un potere discrezionale) a collaudati criteri di ragionevolezza e di non discriminazione. Nel caso di specie, la discrezionalita' legislativa non appare rispettare la necessaria ragionevolezza nella misura (la «norma di favore» secondo la S.C.) posta dall'art. 69. Visto che il legislatore si e' mosso (nell'ambito dell'art. 545, 7° comma c.p.c.) nell'ambito del concetto di trattamento minimo vitale (inespropriabile) in favore del pensionato, tale guarentigia deve logicamente valere con riferimento ad ogni creditore, INPS compreso, posto che le esigenze di vita sottese al rispetto di una fascia di impignorabilita' sono tali da non potere logicamente variare al variare del creditore (e del credito) ed in particolare in riferimento a crediti contributivi o relativi ad indebiti pensionistici. Quindi, se l'esigenza e' quella di garantire il soddisfacimento dei bisogni primari del pensionato, pare a chi scrive evidente che tali bisogni minimi siano indipendenti dalla natura del creditore e del credito (o dalla modalita' di soddisfacimento del credito, se per mezzo di una procedura esecutiva o se per mezzo di una trattenuta). D'altra parte, la stessa formulazione dell'art. 545 codice di procedura civile va in questo senso, posto che intervenendo sul 7° comma e quindi a monte rispetto ad ogni valutazione di meritevolezza del credito, la franchigia impignorabile deve essere rispettata anche dai crediti particolarmente qualificati previsti dall'art. 545 stesso (dunque, disponendo che «la parte eccedente tale ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge» implica che anche i crediti alimentari devono rispettare, in relazione a stipendi e pensioni, il minimo vitale di cui al 7° comma, dovendo la somma oggetto di pignoramento essere determinata dal giudice ma solo dopo avere rispettato - ossia va sottratta - la franchigia impignorabile). Analogamente e' disposto anche per «i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni» (dunque, per crediti sempre pubblici che presentano analogia - situazioni omogenee - rispetto ai crediti INPS, posto che se INPS non raggiunge l'autosufficienza finanziaria deve reperire risorse nell'ambito della fiscalita' generale). Dunque, consentire ad INPS di non rispettare i limiti valevoli per tutti gli altri creditori (anche qualificati, anche pubblici), a fronte di un bisogno vitale del debitore, rappresenta al contempo una soluzione irragionevole e ingiustamente discriminatoria (risultandone violato sempre l'art. 3 Cost.), perche' situazioni uguali (i bisogni vitali del pensionato), vengono trattate con modalita' molto differenti (in base al creditore che agisce, al tipo di credito ed alle modalita' di soddisfo dello stesso), senza un'apprezzabile ragione prevalente (ed infatti altri crediti pubblici - destinati peraltro anche al potenziale sostentamento delle casse di INPS, nell'ipotesi in cui il bilancio di quest'ultimo non riesca a trovare da solo le risorse per erogare le prestazioni - devono rispettare la franchigia ex art. 545, 7° comma c.p.c.). Tale meccanismo non appare pertanto ispirato a parametri di ragionevolezza, oltre che realizzante una discriminazione (come detto, o il minimo e' vitale e vale anche verso INPS o non lo e': ma visto che il legislatore si e' impegnato nei confronti della generalita' dei creditori, anche qualificati, nel primo senso - e, quindi, il minimo e' vitale - allora lo stesso trattamento deve valere anche per il creditore INPS in relazione ai crediti di cui si discute). 2 VIZIO: art. 38, 2° comma Cost. Quella che a chi scrive pare essere una violazione dell'art. 3 Cost. presenta profili di violazione anche dell'art. 38, 2° comma Cost.. L'avere stabilito un ammontare impignorabile per tutti i creditori che agiscono in executivis sul trattamento pensionistico del debitore, rappresenta evidentemente una modalita' di attuazione della previsione dell'art. 38, 2° comma Cost. Perche', evidentemente, tra le modalita' con le quali si assicurano i mezzi adeguati al soddisfacimento dei bisogni ai pensionati, qui ex lavoratori, rientra la necessita' di assicurare dei limiti alla pignorabilita' dei trattamenti pensionistici. In questo ambito e' evidente che il legislatore dispone di discrezionalita'. Tuttavia se ne contesta l'esercizio irrazionale e discriminatorio cosi' come in concreto esercitato dal legislatore (e cio' e' stato analizzato anche nel punto che precede). Una volta fissata per la generalita' dei creditori (anche qualificati, anche pubblici) alcuni limiti oggettivi alla possibilita' di aggredire la pensione del debitore (art. 545 c.p.c.), cio' che rappresenta una modalita' di attuazione dell'art. 38, 2° comma Cost., risulta irrazionale non avere sottoposto a tali limiti anche il creditore INPS, posto che i limiti cui soggiacciono gli altri creditori sono dettati a tutela di diritti basilari e vitali dei pensionati, esigenze in relazione alle quali la diversita' del creditore (o del credito: con particolare riferimento ai crediti INPS da indebito previdenziale o da contributi omessi; o ancora delle modalita' attuative del soddisfo) risulta inconferente. Una volta stabilito che quella fascia di impignorabilita' risponde alle esigenze di salvaguardia del minimo vitale del pensionato, attuandosi sul punto l'art. 38, 2° comma Cost., esentare i crediti vantati da INPS ex art. 69, legge n. 153/1969 dal rispetto del minimi vitali, appare violare una rima essenzialmente obbligata per il legislatore, risultandone altrimenti un trattamento ingiustificatamente discriminatorio di una fattispecie identica (o almeno omogenea), oltre che in se' una violazione di regole di razionalita' nell'attuare l'art. 38, 2° comma Cost.. Venendo in rilievo l'esistenza di quella che si ritiene essere una rima obbligata (oltre che di una norma di applicazione generalissima qual e' l'art. 545, 7° comma c.p.c.), codesta Corte avra' la facolta' (ragionando in ambito di art. 38, 2° comma Cost., vito che in chiave antidiscriminatoria ex art. 3 Cost. l'estensione del trattamento e' automatica) di prendere la stessa a parametro di un corretto utilizzo della discrezionalita' normativa, estendendo all'art. 69, legge n. 153/1969 lo stesso identico limite previsto dall'art. 545, 7° comma, ossia che «Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate [qui: trattenute] per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro». 8 - Il caso di specie Il ricorrente non e' titolare di una pensione di basso ammontare. Tuttavia, come visto, il limite dell'art. 545, 7° comma opera in misura fissa ed oggettiva e si applica ad ogni pensione, a prescindere dall'importo della stessa. L'entita' della pensione del ricorrente esula dal tema della rilevanza (come detto, in caso di accoglimento della presente ordinanza, l'effetto utile per il ricorrente sarebbe rappresentato dalla riduzione dell'importo trattenuto da INPS, con la conseguente rilevanza della presente questione di costituzionalita'). Tale elemento, di fatto, potrebbe tuttavia, anche involontariamente, mettere in ombra l'assunta non manifesta infondatezza della questione (sulla base dell'idea che la pensione residua del ricorrente appaia «comunque» sufficiente alle sue esigenze di vita, anche senza la salvaguardia del minimo vitale di cui all'art. 575, 7° comma c.p.c.). Due considerazioni tuttavia vanno fatte. La prima e' che questo giudice non puo' fare i conti in tasca al ricorrente e, quindi, stabilire che questi 200 euro mensili in piu' (se la norma impugnata venisse allineata al tertium comparationis indicato nell'art. 545, 7° comma c.p.c.) siano irrilevanti nella vita dello stesso (che magari ha debiti da pagare con la pensione, che magari ha familiari a carico, o che sostenta gli studi dei figli o il mantenimento dei nipoti, etc.). Dunque, ritenendo chi scrive la questione non manifestamente infondata, la rimessione risulta doverosa. Va peraltro evidenziato che anche una pensione buona come quella del ricorrente e' soggetta agli stessi fortunali (inflazione e dunque svalutazione) che incontrano le pensioni piu' basse, ed anzi a maggiori pericoli (rectius: danni), posto che il legislatore ha dimostrato concretamente ed in piu' occasioni che, per esigenze di bilancio, i titolari di pensioni di maggiore importo possono essere (ed anzi concretamente vengono) penalizzati nei meccanismi di rivalutazione della pensione, secondo varie forme via via denominate di «raffreddamento» o «rallentamento» (sul punto si rinvia alla descrizione della casistica - gia' esaminata a livello di costituzionalita' - di cui al punto n. 7 della pronuncia n. 19/2025 di codesta Corte). Dunque, va ritenuto che anche pensioni di importo nominalmente ed originariamente elevato quale quella del ricorrente, alla lunga, dopo vari raffreddamenti e rallentamenti (presenti e futuri), abbiano (e avranno) assunto un reale potere di acquisto tale da essere vieppiu' penalizzate dalla mancata applicazione della guarentigia dell'impignorabilita' di cui alla regola del 7° comma dell'art. 545 c.p.c.. L'entita' esatta del rallentamento-raffreddamento cui e' stata sottoposta la pensione del ricorrente, pur richiesta ad INPS, non e' stata da quest'ultimo specificata; tuttavia il dato esatto a questo punto pare superfluo (essendo quegli effetti - certi - derivati direttamente dall'applicazione di norme che sono notorie). La seconda considerazione e' rappresentata dal fatto che, avendo l'eventuale pronuncia di accoglimento portata erga omnes, oltre che nel caso del ricorrente, l'auspicata modifica della norma si applicherebbe anche ai casi in cui, per essere le pensioni coinvolte di modesta entita', ne risulterebbe una ancora maggiore necessita' di guarentigia, dal punto di vista della salvaguardia del minimo vitale assicurato dall'art. 545, 7° comma nella versione attuale. Come visto, nel caso del ricorrente la differenza tra l'applicazione della norma sulla base della quale INPS ha agito e la norma che si domanda alla Corte di implementare, e' pari a 200 euro netti mensili (ma, come visto, gia' nel 2025 tale importo e' cresciuto per effetto dell'aumento dell'importo dell'assegno sociale). Ragionando su pensioni di importi minori ed utilizzando per semplicita' la franchigia «tonda» di 1.000,00 euro, assumendo p.e. una pensione netta di 1.500,00 euro mensili, avremo quanto segue: a) applicando l'art. 69, legge n. 153/1969 INPS potra' trattenere 300,00 euro mensili, con la conseguenza che la pensione erogata sara' pari ad euro 1.200,00 netti mensili; b) applicando la guarentigia di cui all'art. 545, 7° comma, INPS potra' trattenere 100,00 euro mensili, con la conseguenza che la pensione erogata sara' pari ad euro 1.400,00 netti mensili. Ancora piu' evidente la problematica in caso di pensioni piu' basse: assumendo una pensione di 1.100,00 euro netti mensili avremo quanto segue: a) applicando l'art. 69, legge n. 153/1969 INPS potra' trattenere 220,00 euro mensili, con la conseguenza che la pensione erogata sara' pari ad euro 880,00 netti mensili; in questo caso la pensione corrisposta realmente sara' INFERIORE al minimo vitale di cui all'art. 545, 7° comma c.p.c., con grave compromissione delle finanze del pensionato. Cio' pur rispettando tale trattenuta l'art. 69, che prevede la salvaguardia (come visto assolutamente anacronistica) del solo «trattamento minimo», ad oggi pari ad euro 603,40. b) applicando la guarentigia di cui all'art. 545, 7° comma, INPS potra' trattenere 20,00 euro mensili, con la conseguenza che la pensione erogata sara' pari ad euro 1.180,00 netti mensili. 9 - Conclusioni Concludendo, si domanda alla Corte costituzionale di dichiarare incostituzionale l'art. 69, legge n. 153/1969 nella parte in cui non prevede una soglia - sulla quale INPS non puo' comunque soddisfarsi, nemmeno allorquando opera una trattenuta diretta sulla pensione a compensazione del proprio credito - pari all'ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro, risultando la pensione aggredibile solo oltre tale soglia, nella misura di un quinto. P. Q. M. Il Tribunale di Ravenna, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata dispone, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 23 della legge n. 87/1953, la trasmissione degli atti (comprese le comunicazioni e le notificazioni di cui alla presente ordinanza) del presente procedimento alla Corte costituzionale affinche' valuti se sia costituzionalmente legittimo, con riferimento agli articoli 3 e 38, 2° comma della Costituzione, l'art. 69, legge n. 153/1969 nella parte in cui esso non prevede una soglia - sulla quale INPS non puo' comunque soddisfarsi, nemmeno allorquando opera una trattenuta diretta sulla pensione a compensazione del proprio credito - pari all'ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro, risultando la pensione aggredibile solo oltre tale soglia, nella misura di un quinto. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri. Dispone, altresi', che la presente ordinanza sia comunicata con immediatezza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dispone la sospensione del presente giudizio sino alla decisione della Corte costituzionale. Si comunichi Ravenna, li 3 aprile 2025 Il gudice: Bernardi