ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 75
secondo comma della Costituzione, delle richieste di referendum
popolare per l'abrogazione:
1. - dell'art. 1 del regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303
("Codici penali militari di pace e di guerra") limitatamente alle
parole "il testo del codice militare di pace " (n. 3 reg. ref.);
2. - del regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022: "Ordinamento
giudiziario militare" (n. 4 reg. ref.);
3. - della legge 2 maggio 1974, n. 195 "Contributo dello Stato al
finanziamento dei partiti politici" (n.5 reg. ref.);
4. - dell'art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, che dispone
"l'esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del
Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11
febbraio 1929" limitatamente al contenuto degli artt. 1, 10, 17 e 23
dell'allegato Trattato e all'intero contenuto dell'allegato Concordato
(n. 6 reg. ref.);
5. - degli artt. 1, 2, 3, 3-bis della legge 14 febbraio 1904, n.
36: "Disposizioni sui manicomi e sugli alienati" e successive
modificazioni (n. 7 reg. ref.);
6. - degli artt. 17 primo comma, limitatamente alle parole: "2)
l'ergastolo"; 53 primo comma, limitatamente alle parole: "o di vincere
una resistenza all'autorità"; 57, 57-bis, 203, 204 secondo comma,
limitatamente alle parole: "nei casi espressamente determinati, la
qualità di persona socialmente pericolosa è presunta dalla legge";
205 primo comma, limitatamente alle parole: "o di proscioglimento" e
secondo comma (possono essere ordinate con provvedimento successivo: 1)
nel caso di condanna, durante la esecuzione della pena o durante il
tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione
della pena; 2) nel caso di proscioglimento, qualora la qualità di
persona socialmente pericolosa sia presunta, e non sia decorso un tempo
corrispondente alla durata minima della relativa misura di sicurezza;
3) in ogni tempo, nei casi stabiliti dalla legge); 206, 222, 223, 224,
225, 226, 229, 230, 231, 232, 233, 234, 235, 256, 261, 262, 265, 266,
269, 270, 271, 272, 273, 274, 275, 278, 279, 290, 290-bis, 291, 292,
292-bis, 293, 297, 299, 302, 303, 304, 305, 312, 327, 330, 332, 333,
340, 341, 342, 343, 344, 352, 402, 403, 404, 405, 406, 414 terzo comma
(Alla pena stabilita nel n. 1 soggiace anche chi pubblicamente fa
l'apologia di uno o più delitti); 415, 503, 504, 505, 506, 507, 508,
510, 511, 512, 527, 528, 529, 565, 571 secondo comma, limitatamente
alle parole: "ridotte ad un terzo; se ne deriva la morte, si applica la
reclusione da tre a otto anni"; 578, 587, 592, 596-bis, 603, 633
secondo comma (Le pene si applicano congiuntamente, e si procede di
ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una
almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza
armi); 654, 655, 656, 657, 661, 662, 663, 663-bis, 666, 668, 724, 725 e
726 del codice penale approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n.
1398, e successive modificazioni (n. 8 reg. ref.);
7. - della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante "Disposizioni a
tutela dell'ordine pubblico", ad eccezione dell'art. 5 (sostituito
dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533) (n. 9 reg. ref.);
8. - degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 primo comma, limitatamente
alle parole: "alla Commissione inquirente o"; 12 limitatamente alle
parole: "il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente";
13, 14 primo comma, limitatamente alle parole: "la Commissione
inquirente o"; 16 primo comma, limitatamente alle parole: "la
Commissione inquirente o" della legge 25 gennaio 1962, n. 20: "Norme
sui procedimenti e giudizi di accusa" (n. 10 reg. ref.).
Uditi nella camera di consiglio del 17 gennaio 1978 l'avv. Mauro
Mellini, per i Comitati promotori dei referendum, e il sostituto
avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito il Giudice relatore Livio Paladin.
Ritenuto in fatto:
1. - Con ordinanze del 6 dicembre 1977, pervenute a questa Corte il
9 dicembre, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la
Corte di cassazione, ha dichiarato legittime otto richieste di
referendum popolare abrogativo.
La prima e la seconda richiesta, presentate il 30 giugno 1977 dai
signori Calderisi Giuseppe, Capuzzo Francesca Romana, Galli Maria
Luisa, Mellini Mauro, Aglietta Maria Adelaide, Cristofanelli Laura,
Pietrolucci Giuseppe, Pallicca Davide, Spadaccia Gianfranco, riguardano
- rispettivamente - l'art. 1 del r.d. 20 febbraio 1941, n. 303 ("Codici
penali militari di pace e di guerra"), limitatamente alle parole "il
testo del codice militare di pace", e l'intero r.d. 9 settembre 1941,
n. 1022 ("Ordinamento giudiziario militare").
La terza richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori Bises
Andrea, Calderisi Giuseppe, Cristofanelli Laura, Pallicca Davide,
Vigevano Paolo, Spadaccia Gianfranco, Pietrolucci Giuseppe, attiene
all'intera legge 2 maggio 1974, n. 195 ("Contributo dello Stato al
finanziamento dei partiti politici").
La quarta richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori
Calderisi Giuseppe, Galli Maria Luisa, Pietroletti Glauco, Mellini
Mauro, Pallicca Davide, Capuzzo Francesca Romana, Bises Andrea,
concerne l'art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, che dispone
"l'esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del
Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11
febbraio 1929", limitatamente al contenuto degli artt. 1, 10, 17 e 23
dell'allegato Trattato e all'intero contenuto dell'allegato Concordato.
La quinta richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori
Pietroletti Glauco, Capuzzo Francesca Romana, Pallicca Davide,
Calderisi Giuseppe, Zeno Zencovich Vincenzo, Vigevano Paolo, si
riferisce agli artt. 1, 2, 3 e 3-his della legge 14 febbraio 1904, n.
36 ("Disposizioni sui manicomi e sugli alienati"), e successive
modificazioni.
La sesta richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori
Pietroletti Glauco, Capuzzo Francesca Romana, Pallicca Davide,
Calderisi Giuseppe, Zeno Zencovich Vincenzo, Vigevano Paolo, ha per
oggetto l'abrogazione - totale o parziale - di 97 articoli del codice
penale, approvato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive
modificazioni. Sono infatti coinvolti gli artt. 17 primo comma (nella
parte riguardante la pena dell'ergastolo), 53 primo comma (sull'uso
legittimo delle armi per "vincere una resistenza all'autorità"), 57 e
57-bis (sui reati commessi col mezzo della stampa periodica e non
periodica), 203, 204 secondo comma, 205 e 206 (sulla "pericolosità
sociale", sulle relative misure di sicurezza e sui provvedimenti che il
giudice può adottare in questi casi), 222 e 223 (sul ricovero in un
manicomio o in un riformatorio giudiziario), 224, 225 e 226 (sul
trattamento dei minori non imputabili, imputabili, delinquenti
abituali, professionali o per tendenza), 229, 230, 231 e 232 (sulle
varie ipotesi di "libertà vigilata"), 233 (sul divieto di soggiorno in
determinate zone), 234 (sul divieto di frequentare pubblici spacci di
bevande alcoliche), 235 (in tema di espulsione dello straniero dal
territorio dello Stato). Ancora, la stessa richiesta riguarda vari
delitti contro la personalità dello Stato: rispettivamente previsti
dagli artt. 256 ("procacciamento di notizie concernenti la sicurezza
dello Stato"), 261 e 262 ("rivelazione di segreti di Stato" e di
"notizie di cui sia stata vietata la divulgazione"), 265 ("disfattismo
politico"), 266 ("istigazione di militari a disobbedire alle leggi"),
269 ("attività antinazionale del cittadino all'estero"), 270 e 271
("associazioni sovversive" ed "antinazionali"), 272 ("propaganda ed
apologia sovversiva o antinazionale"), 273 e 274 ("illocita
costituzione di associazioni aventi carattere internazionale" e
relativa "partecipazione"), 275 ("accettazione di onorificenze o
utilità da uno Stato nemico"), 278, 279 e 290-bis ("offesa all'onore o
al prestigio" e "lesa prerogativa della irresponsabilità del
Presidente della Repubblica" o di chi ne fa le veci), 290, 291, 292,
292-bis e 293 (vilipendio della Repubblica, delle istituzioni
costituzionali, delle forze armate, della nazione italiana, della
bandiera o di altro emblema dello Stato, con le relative circostanze
aggravanti), 297 e 299 ("offesa all'onore dei Capi di Stati esteri" e
delle bandiere od emblemi degli Stati stessi), 302 e 303 (istigazione a
commettere delitti contro la personalità internazionale ed interna
dello Stato ed apologia dei delitti medesimi), 304 e 305 ("cospirazione
politica mediante accordo" o "mediante associazione"), 312 (espulsione
dello straniero condannato per i delitti in questione). Inoltre, sono
messi in gioco alcuni delitti contro la pubblica amministrazione,
considerati dagli artt. 327 ("eccitamento al dispregio e vilipendio
delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell'autorità"), 330, 332
e 333 (sull'abbandono collettivo ed individuale di pubblici uffici,
impieghi, servizi o lavori, nonché sulla corrispondente omissione di
doveri di ufficio), 340 ("interruzione di un ufficio o servizio
pubblico" o "di pubblica necessità"), 341, 342, 343 e 344 (oltraggio a
pubblico ufficiale ed a pubblico impiegato, a corpi politici,
amministrativi o giudiziari, a magistrati in udienza), 352 ("vendita di
stampati dei quali è stato ordinato il sequestro"); l'insieme dei
delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi, di cui agli
artt. 402-406; i delitti contro l'ordine pubblico, previsti dagli
artt. 414 terzo comma (apologia di delitti) e 415 ("istigazione a
disobbedire alle leggi"); i delitti contro l'economia pubblica, di cui
agli artt. 503, 504, 505 e 506 (reati di serrata e di sciopero), 507
("boicottaggio"), 508 (arbitraria invasione, occupazione e sabotaggio
di aziende), 510, 511 e 512 (quanto alle relative circostanze
aggravanti, alle pene per i capi, promotori ed organizzatori e alle
pene accessorie). Così pure, vengono in questione - relativamente alle
offese al pudore e all'onore sessuale - gli artt. 527, 528 e 529 (atti,
pubblicazioni, spettacoli ed oggetti osceni); relativamente ai delitti
contro la famiglia, gli artt. 565 ("attentati alla morale famigliare
commessi col mezzo della stampa periodica"), e 571 secondo comma (sulle
particolari pene previste per le varie ipotesi di abuso dei mezzi di
correzione o di disciplina); relativamente ai delitti contro la
persona, gli artt. 578, 587 e 592 (infanticidio, omicidio, lesioni
personali ed abbandono di neonato per causa di onore), 596-bis
("diffamazione col mezzo della stampa") e 603 ("plagio"); relativamente
ai delitti contro il patrimonio, l'art. 633 secondo comma
(sull'invasione di terreni o edifici, commessa da più persone).
Finalmente, in tema di contravvenzioni di polizia, la richiesta in
esame si estende agli artt. 654 e 655 (grida, manifestazioni, radunate
sediziose), 656 e 657 ("pubblicazione o diffusione di notizie false,
esagerate o tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico", "grida o
notizie atte a turbare la tranquillità pubblica o privata"), 661
("abuso della credulità popolare"), 662 ("esercizio abusivo dell'arte
tipografica"), 663 ("vendita, distribuzione o affissione abusiva di
scritti o disegni"), 663-bis ("divulgazione di stampa clandestina"),
666 e 668 ("spettacoli o trattenimenti pubblici senza licenza" e
"rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive"), 724
("bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti"), 725 e 726
("commercio di scritti, disegni od altri oggetti", "atti contrari alla
pubblica decenza" e "turpiloquio").
La settima richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori
Pietroletti Glauco, Capuzzo Francesca Romana, Pallicca Davide,
Calderisi Giuseppe, Zeno Zencovich Vincenzo, Vigevano Paolo, interessa
l'intera legge 22 maggio 1975, n. 152 ("Disposizioni a tutela
dell'ordine pubblico").
Infine l'ottava richiesta, presentata il 30 giugno 1977 dai signori
Calderisi Giuseppe, Bises Andrea, Cristofanelli Laura, Vigevano Paolo,
Pietroletti Glauco, intende sottoporre a referendum gli artt. 3, 4, 5,
6, 7, 8, 9, 11 primo comma, limitatamente alle parole "alla Commissione
inquirente o", 12 limitatamente alle parole "il quale ne informa
immediatamente la Commissione inquirente", 13, 14 primo comma,
limitatamente alle parole "la Commissione inquirente o", 16 primo
comma, limitatamente alle parole "la Commissione inquirente o", della
legge 25 gennaio 1962, n. 20 ("Norme sui procedimenti e giudizi di
accusa").
2. - In tutti questi casi l'Ufficio centrale per il referendum ha
verificato che il numero delle firme valide prese in esame superava il
minimo di 500.000, fissato dall'art. 75 primo comma Cost.; e ha
constatato che le richieste erano state regolarmente presentate e
concernevano leggi od atti normativi aventi forza di legge, riguardo ai
quali non erano intervenute abrogazioni legislative né sentenze di
annullamento della Corte costituzionale.
Per altro, l'ordinanza relativa al referendum per l'abrogazione
della legge 22 maggio 1975, n. 152, ha rilevato che l'art. 5 della
legge stessa era stato integralmente sostituito dall'art. 2 della legge
8 agosto 1977, n. 533; e quindi ne ha dedotto - in base all'art. 39
della legge 25 maggio 1970, n. 352 - che sotto questo profilo la
proposta di referendum non poteva avere più corso, con la conseguenza
che la formula di proposizione doveva venir modificata eccettuando
espressamente la disposizione dell'art. 5.
L'Ufficio centrale ha inoltre preso atto che questa Corte aveva
adottato varie sentenze di accoglimento parziale, dichiarative
dell'illegittimità costituzionale di norme desumibili dalle
disposizioni sulle quali era stato richiesto referendum abrogativo: in
particolar modo, nei riguardi degli artt. 224 secondo comma (sent. n. 1
del 1971), 330 primo e secondo comma (sent. n. 31 del 1969), 415 (sent.
n. 108 del 1974), 503 (sent. n. 290 del 1974), 506 (sent. n. 222 del
1975), 507 (sent. n. 84 del 1969), 666 del codice penale (sent. n. 56
del 1970); come pure nei riguardi del secondo e del terzo comma
dell'art. 2 della legge 14 febbraio 1904, n. 36 (sent. n. 74 del 1968 e
n. 223 del 1976). Ma in tutti questi casi l'Ufficio ha rilevato che
"dette pronunce non hanno toccato la portata testuale e lessicale di
tali disposizioni", con la conseguenza che "esse vanno ugualmente
sottoposte a referendum". Unicamente in rapporto all'art. 272 cod.
pen., il cui secondo comma era stato dichiarato integralmente
illegittimo dalla sent. 87 del 1976, l'Ufficio stesso ha seguito una
diversa linea di ragionamento: concludendo pur sempre, però, che "la
rispettiva proposta di referendum devesi ritenere riferibile e riferita
allo stesso articolo 272 nella sua formulazione ridotta".
Rispondendo implicitamente alle deduzioni di un atto di intervento
depositato dall'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del
Presidente del Consiglio dei ministri, l'ordinanza concernente la
richiesta di referendum per l'abrogazione del codice penale militare di
pace ha infine precisato "che è demandato... alla Corte costituzionale
il giudizio sull'ammissibilità del referendum ratione materiae, e
correlativamente l'individuazione dei limiti di questo giudizio e della
sua eventuale estensibilità, oltre le testuali previsioni dell'art. 75
comma secondo Cost., rispetto alle leggi costituzionalmente
obbligatorie, ovvero essenziali per il funzionamento dell'ordinamento
democratico". Analoghe precisazioni risultano, d'altronde, anche dalle
ordinanze che hanno dichiarato la legittimità delle richieste relative
all'ordinamento giudiziario militare ed a 97 articoli del codice
penale.
3. - Ricevuta comunicazione delle ordinanze, il Presidente di
questa Corte ha fissato per le conseguenti deliberazioni il giorno 17
gennaio 1978, dandone a sua volta comunicazione ai presentatori delle
richieste ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi
dell'art. 33 secondo comma della legge n. 352 del 1970. Tanto i
presentatori quanto l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del
Presidente del Consiglio dei ministri, si sono avvalsi della facoltà
di depositare memorie, di cui all'art. 33 terzo comma legge citata.
La memoria dell'Avvocatura dello Stato, depositata il 28 dicembre
1977, assume in via preliminare che l'elencazione contenuta nell'art.
75 secondo comma Cost., quanto alle categorie di leggi non
assoggettabili ad abrogazione per referendum, non sarebbe affatto
tassativa. Con queste premesse, tutte le richieste in esame - fatta
eccezione per quella concernente alcuni articoli della legge
manicomiale 14 febbraio 1904, n. 36 - dovrebbero essere dichiarate
inammissibili: o perché attinenti a materie difformi ed eterogenee,
come nei casi dei referendum per l'abrogazione di 97 articoli del
codice penale e della legge 22 maggio 1975, n. 152 (recante
"Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico"); o perché interessanti
leggi "costituzionalmente necessarie", emanate per dare attuazione a
specifiche norme costituzionali, come nei casi dei referendum aventi
per oggetto alcuni articoli della legge 25 gennaio 1962, n. 20 ("Norme
sui procedimenti e giudizi di accusa"), il codice penale militare di
pace e l'ordinamento giudiziario militare, nonché l'art. 1 della legge
27 maggio 1929, n. 810 (sull'esecuzione del Trattato e del Concordato
fra la Santa Sede e l'Italia); oppure perché la richiesta
riguarderebbe una "legge finanziaria connessa alla legge di bilancio",
quale sarebbe la l. 2 maggio 1974, n. 195 (sul finanziamento pubblico
dei partiti).
Per contro, le memorie dei comitati promotori dei referendum in
esame, rispettivamente depositate il 5 e il 13 gennaio 1978, sostengono
l'ammissibilità di tutte le richieste. Le memorie in questione
richiamano anzitutto le precedenti decisioni della Corte (sentt. n. 10
del 1972 e n. 251 del 1975), per dedurne che i giudizi concernenti
l'ammissibilità dei referendum abrogativi dovrebbero basarsi sulle
sole testuali previsioni dell'art. 75 secondo comma Cost.
Conseguentemente, non avrebbe fondamento la tesi che ulteriori cause
d'inammissibilità siano desumibili dal carattere costituzionalmente
necessario o dal particolare rilievo sociale di determinate leggi
ordinarie. Né si potrebbe affermare che siano ammissibili le sole
richieste attinenti a questioni omogenee od analoghe, dal momento che
la Costituzione avrebbe individuato i limiti delle richieste stesse con
criteri strettamente formali, indipendenti da qualsiasi giudizio
sull'opportunità politica della formulazione dei relativi quesiti.
Quanto al referendum sulla legge esecutiva del Trattato e del
Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, il comitato promotore precisa
che non potrebbero venire sottoposte ad un voto popolare abrogativo le
leggi formalmente costituzionali. Ma la legge esecutiva dei Patti
lateranensi non sarebbe stata costituzionalizzata, né condizionerebbe
l'attuazione dei Patti nell'ordinamento italiano (comunque garantita,
almeno per quanto riguarda il Concordato, dalle leggi n. 847 e n. 848
del 1929); e non andrebbe nemmeno confusa con le leggi di
autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, cui si
riferisce l'art. 75 secondo comma Cost.
4. - Ad integrazione del contraddittorio espressamente previsto
dall'art. 33 terzo comma della legge n. 352 del 1970, nella camera di
consiglio del 17 gennaio 1978 sono stati uditi l'avvocato Mauro
Mellini, per i comitati promotori dei referendum, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto:
1. - Le varie questioni che la Corte è tenuta a proporsi, per
accertare l'ammissibilità delle otto richieste in discussione, sono
tanto interferenti che le relative soluzioni si connettono e si
condizionano a vicenda, venendo tutte a dipendere da comuni premesse
concernenti la definizione dell'istituto del referendum abrogativo, ai
sensi dell'art. 75 Cost. Pertanto gli otto giudizi vanno riuniti e
decisi con un'unica sentenza.
2. - La novità e la vastità dei problemi, che nella presente
occasione si prospettano alla Corte, impongono anzitutto di considerare
e di determinare - in via preventiva e generale - i fondamenti, gli
scopi, i criteri del giudizio riguardante l'ammissibilità delle
richieste di referendum: al fine di tracciare un quadro unitario di
riferimento, entro il quale si possano coerentemente effettuare le
singole valutazioni che la Corte stessa deve in questa sede svolgere.
Rimane ferma, anche nell'attuale prospettiva, la sistemazione già
operata dalla sentenza n. 251 del 1975, quanto ai compiti
rispettivamente attribuiti - nel procedimento instaurato dalla legge 25
maggio 1970, n. 352 - a questa Corte ed all'Ufficio centrale per il
referendum, costituito presso la Corte di cassazione. Conseguentemente,
va riaffermato che spetta all'Ufficio centrale "accertare che la
richiesta di referendum sia conforme alle norme di legge, rilevando con
ordinanza le eventuali irregolarità e decidendo, con ordinanza
definitiva, sulla legittimità della richiesta medesima"; mentre a
questa Corte è conferita la sola "cognizione dell'ammissibilità del
referendum", secondo i disposti degli artt. 2 della legge
costituzionale n. 1 del 1953, 32 secondo comma e 33 della legge
ordinaria n. 352 del 1970. E va ribadito che tale competenza si è
aggiunta a quelle previste dall'art. 134 Cost.; atteggiandosi dunque -
come precisava la sentenza testé ricordata - "con caratteristiche
specifiche ed autonome nei confronti degli altri giudizi riservati a
questa Corte, ed in particolare rispetto ai giudizi sulle controversie
relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti
aventi forza di legge".
Ciò non toglie, però, che si dimostra troppo restrittiva quella
configurazione del giudizio di ammissibilità, per cui sarebbe affidato
alla Corte il solo compito di verificare se le richieste di referendum
abrogativo riguardino materie che l'art. 75 secondo comma Cost.
esclude dalla votazione popolare: con espresso ed esclusivo riguardo
alle "leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di
autorizzazione a ratificare trattati internazionali". Tale
interpretazione non ha nessuna altra base, in effetti, al di fuori
dell'assunto - postulato più che dimostrato - che la testuale
indicazione delle cause d'inammissibilità, contenuta nel capoverso
dell'art. 75, sia rigorosamente tassativa; laddove è altrettanto
sostenibile - in ipotesi - che essa presuppone una serie di cause
inespresse, previamente ricavabili dall'intero ordinamento
costituzionale del referendum abrogativo.
Vero è che questa Corte giudica dell'ammissibilità dei referendum
- stando alle concordi previsioni della legge costituzionale n. 1 del
1953 e della legge ordinaria n. 352 del 1970 - "ai sensi del secondo
comma dell'art. 75 della Costituzione". Ma non per questo si può
sostenere che il secondo comma debba essere isolato, ignorando i nessi
che lo ricollegano alle altre componenti la disciplina costituzionale
del referendum abrogativo. Il processo interpretativo deve muoversi
invece nella direzione opposta. Occorre cioè stabilire, in via
preliminare, se non s'impongano altre ragioni, costituzionalmente
rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere il
ricorso al corpo elettorale, ad integrazione delle ipotesi che la
Costituzione ha previsto in maniera puntuale ed espressa. Diversamente,
infatti, si determinerebbe la contraddizione consistente nel ritenere -
da un lato - che siano presenti, nel nostro ordinamento costituzionale,
ipotesi implicite d'inammissibilità, inerenti alle caratteristiche
essenziali e necessarie dell'istituto del referendum abrogativo; e che
questa Corte non possa - d'altro lato - ricavarne conseguenze di sorta,
solo perché il testo dell'art. 75 secondo comma Cost. non le considera
specificamente.
Del resto, una testuale conferma di ciò deriva per l'appunto da
quell'art. 2 primo comma della legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, per
cui "spetta alla Corte costituzionale giudicare se le richieste di
referendum abrogativo presentate a norma dell'art. 75 della
Costituzione siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell'articolo
stesso". Chiarendo che deve comunque trattarsi di richieste "presentate
a norma dell'articolo 75", tale disposizione riconosce alla Corte il
potere-dovere di valutare l'ammissibilità dei referendum in via
sistematica; per verificare in particolar modo, sulla base dell'art. 75
primo comma, se le richieste medesime siano realmente destinate a
concretare un "referendum popolare" e se gli atti che ne formano
l'oggetto rientrino fra i tipi di leggi costituzionalmente suscettibili
di essere abrogate dal corpo elettorale.
3. - Salve le ulteriori indicazioni contenute nel seguito
dell'attuale sentenza, ai fini dei singoli giudizi di ammissibilità,
questa Corte ritiene che esistono in effetti valori di ordine
costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste
referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum, al di la
della lettera dell'art. 75 secondo comma Cost. E di qui conseguono,
precisamente, non uno ma quattro distinti complessi di ragioni
d'inammissibilità.
In primo luogo, cioè, sono inammissibili le richieste così
formulate, che ciascun quesito da sottoporre al corpo elettorale
contenga una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una
matrice razionalmente unitaria, da non poter venire ricondotto alla
logica dell'art. 75 Cost.; discostandosi in modo manifesto ed
arbitrario dagli scopi in vista dei quali l'istituto del referendum
abrogativo è stato introdotto nella Costituzione, come strumento di
genuina manifestazione della sovranità popolare.
In secondo luogo, sono inammissibili le richieste che non
riguardino atti legislativi dello Stato aventi la forza delle leggi
ordinarie, ma tendano ad abrogare - del tutto od in parte - la
Costituzione, le leggi di revisione costituzionale, le "altre leggi
costituzionali" considerate dall'art. 138 Cost., come pure gli atti
legislativi dotati di una forza passiva peculiare (e dunque
insuscettibili di essere validamente abrogati da leggi ordinarie
successive).
In terzo luogo, vanno del pari preclusi i referendum aventi per
oggetto disposizioni legislative ordinarie a contenuto
costituzionalmente vincolato, il cui nucleo normativo non possa venire
alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i
corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre
leggi costituzionali).
In quarto luogo, valgono infine le cause d'inammissibilità
testualmente descritte nell'art. 75 cpv., che diversamente dalle altre
sono state esplicitate dalla Costituzione, proprio perché esse
rispondevano e rispondono a particolari scelte di politica
istituzionale, anziché inerire alla stessa natura dell'istituto in
questione. Ma, anche in tal campo, resta inteso che l'interpretazione
letterale deve essere integrata - ove occorra - da un'interpretazione
logico-sistematica, per cui vanno sottratte al referendum le
disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto
all'ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall'art.
75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa.
4. - Ciò premesso, la questione che giova affrontare per prima -
indipendentemente dall'ordine in cui le otto richieste sono state
presentate e poi prese in esame dall'Ufficio centrale - concerne
l'ammissibilità del referendum sull'art. 1 della legge 27 maggio 1929,
n. 810, nelle parti interessanti l'intero Concordato, nonché gli artt.
1, 10, 17 e 23 del Trattato fra la Santa Sede e l'Italia. Le
peculiarità di posizione e di funzione, caratterizzanti questo atto
nel sistema delle fonti normative, stanno infatti alla base di un
duplice ordine di eccezioni d'inammissibilità - già prospettate in
dottrina e quindi riproposte dall'Avvocatura dello Stato - che non
trova riscontro nei riguardi delle altre richieste in discussione.
Precisamente, si afferma da un lato che l'art. 1 della legge n. 810, in
quanto destinato ad assicurare la "piena ed intera esecuzione" dei
Patti lateranensi, verrebbe ad integrarsi con la corrispondente
disposizione dell'art. 7 secondo comma Cost., sulla quale finirebbe
allora per incidere il voto popolare; mentre il referendum abrogativo
non potrebbe riferirsi alle norme costituzionali, né ad altri atti
legislativi comunque dotati di una specifica resistenza
all'abrogazione. E d'altro lato si osserva che la legge n. 810
assolverebbe anche una funzione esecutiva di accordi internazionali,
quali il Trattato e il Concordato dell'11 febbraio 1929; sicché la
relativa richiesta di referendum dovrebbe venire respinta, allo stesso
titolo per cui l'art. 75 secondo comma Cost. esclude l'abrogazione
popolare delle leggi "di autorizzazione a ratificare trattati
internazionali".
Sotto entrambi i profili, la richiesta dev'esser dichiarata
inammissibile.
Al di là del previo giudizio di legittimità, nel corso del quale
l'Ufficio centrale accerta solamente se la richiesta verta su di una
qualsiasi legge in senso tecnico (ovvero su di un atto
costituzionalmente equiparato), con lo scopo di escludere il referendum
riferito ad atti non legislativi, spetta invece a questa Corte di non
dare adito all'abrogazione di quelle specie di leggi - riguardate non
già per la materia che esse disciplinano, ma dal punto di vista della
loro forza o del loro procedimento formativo - che debbano considerarsi
sottratte alla sfera di operatività dei voti popolari in esame; senza
di che si potrebbero verificare, attraverso il consenso e l'apporto
della Corte stessa, effetti abrogativi che la Costituzione ha
implicitamente ma sicuramente voluto riservare ad organi ed a procedure
ben diversi dal corpo elettorale e dal referendum regolato nell'art. 75
Cost. (con esiti analoghi a quelli che si avrebbero ammettendo che una
disposizione di legge ordinaria potesse abrogare - sia pure
illegittimamente - un articolo della Costituzione).
Se infatti il referendum abrogativo assumesse ad oggetto qualunque
tipo di legge in senso tecnico, ordinaria o costituzionale
indifferentemente, la conseguenza sarebbe ben difficilmente compatibile
con l'attuale regime di Costituzione rigida. Accanto all'apposito
procedimento di revisione e di formazione delle "altre leggi
costituzionali", disciplinato dall'art. 138 Cost., si verrebbe cioè ad
inserire un procedimento destinato alla sola abrogazione delle leggi
costituzionali nonché - coerentemente - della Costituzione stessa, che
in nessun modo potrebbe venire armonizzato con il primo di questi due
istituti. Per colmare le lacune dell'iter configurato dall'art. 138
(ad esempio, in tema di iniziativa delle leggi, di promulgazione e di
pubblicazione), è possibile ed anzi necessario ricorrere alle norme
dettate dagli artt. 71 e seguenti della Costituzione, relativamente
alla funzione legislativa ordinaria. Ma la disciplina del referendum
abrogativo non attiene affatto all'esercizio di tale funzione da parte
delle Camere, e non è comunque utilizzabile per colmare nessuna delle
lacune predette. Al contrario, la stessa previsione di uno specifico
referendum approvativo, contenuta nel secondo comma dell'articolo 138,
contribuisce ad escludere che in tema di revisione e di legislazione
costituzionale vi sia posto per un ulteriore referendum abrogativo,
nelle medesime forme previste per le leggi ordinarie.
Con ciò non si vuol certo sostenere che i Patti lateranensi siano
stati costituzionalizzati ad ogni possibile effetto, in virtù del
richiamo contenuto nell'art. 7 Cost. Al contrario, dal capoverso dello
stesso art. 7 risulta testualmente che "le modificazioni dei Patti,
accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione
costituzionale" (ma sono apportabili, dunque, nelle forme della
legislazione ordinaria). E resta fermo, d'altronde, quanto la Corte ha
dichiarato e ribadito più volte (nelle sentenze n. 30 e n. 31 del
1971, n. 12 e n. 195 del 1972, n. 175 del 1973): ossia che l'art. 7
secondo comma Cost. "non preclude il controllo di costituzionalità
delle leggi che immisero nell'ordinamento interno le clausole dei Patti
lateranensi", per ciò che riguarda la conformità delle clausole
stesse rispetto ai "principi supremi dell'ordinamento costituzionale
dello Stato".
Ma tutto questo non toglie che l'art. 7 contenga una norma "di
accoglimento del principio concordatario, nei termini risultanti dai
Patti lateranensi", attribuendo loro una precisa "rilevanza" o
"copertura costituzionale" (come questa Corte ha ritenuto -
rispettivamente - nelle sentenze n. 12 del 1972, n. 175 del 1973 e n. 1
del 1977). La circostanza che i Patti non abbiano la forza attiva di
"negare i principi supremi dell'ordinamento" non esclude affatto,
quindi, che sotto il profilo della forza passiva o della resistenza
all'abrogazione tali fonti normative siano assimilabili alle norme
costituzionali; tanto è vero che esse non possono venire
legittimamente contraddette od alterate se non con lo strumento delle
leggi di revisione costituzionale, là dove si tratti di modificazioni
unilateralmente decise dallo Stato italiano.
Effettivamente, Trattato e Concordato del 1929 non vanno equiparati
ad una qualsiasi di quelle tante leggi cui la Carta costituzionale
opera generici richiami o rinvii, allo scopo di specificare le proprie
disposizioni o di consentirne l'attuazione e la materiale applicazione;
ma sono quei due atti normativi, storicamente e giuridicamente
individuati, ai quali l'art. 7 allude in maniera diretta e puntuale,
attraverso il congiunto riferimento ai Patti lateranensi. Ed un tale
dato basta per concludere che il referendum previsto dall'art. 75
Cost., non potendo avere la forza necessaria per produrre l'abrogazione
dei Patti, non può essere nemmeno ammissibile in quanto li assuma ad
oggetto, sia pure parzialmente e non nella loro interezza.
Né vale obiettare che altro sono i Patti per sé considerati,
altro la legge ordinaria che li ha immessi nel nostro ordinamento: con
la conseguenza che soltanto i primi, e non la seconda, sarebbero
sottratti al referendum. Distinzioni del genere non sono fondate, dal
momento che il richiamo costituzionale non ha per tema esclusivo i
Patti lateranensi come fonti del diritto internazionale o
concordatario, ma si riferisce ad essi - anche e soprattutto - per ciò
che interessa alla Costituzione di uno Stato, ossia per la loro
incidenza sull'ordinamento interno del nostro Paese. La stessa
previsione - implicitamente operata dall'art. 7 - che i Patti siano
modificati per volontà unilaterale dell'Italia, ma nella forma d'una
legge di revisione costituzionale, sarebbe priva di senso se l'articolo
stesso non avesse diretto riguardo a quello che i Patti rappresentano
nell'ambito del diritto italiano. E dunque ne discende - secondo la
prospettiva che la Corte ha fatto espressamente propria già nella
sentenza n. 1 del 1977 - che la "copertura costituzionale fornita
dall'art. 7 comma secondo Cost." garantisce al tempo stesso i Patti
lateranensi e quell'art. 1 della legge n. 810 del 1929, che ha dato
loro una "piena ed intera esecuzione".
D'altronde, la richiesta in esame si dimostra egualmente
inammissibile, per chi la consideri dal punto di vista del collegamento
riscontrabile fra l'autorizzazione alla ratifica e l'esecuzione degli
accordi di diritto internazionale (o comunque stipulati fra soggetti
"indipendenti e sovrani"), ivi compresi i Patti lateranensi del 1929.
La ragion d'essere dell'esplicita esclusione costituzionale, quanto ai
referendum incidenti sulla ratifica dei trattati internazionali
indicati dall'art. 80 Cost., non si risolve nell'intento di evitare che
il corpo elettorale interferisca nel processo formativo dei trattati
stessi (tanto più che il lunghissimo procedimento prescritto dalla
legge n. 352 del 1970 non offrirebbe nemmeno - di regola - la
possibilità materiale che il voto popolare preceda la stipulazione).
Ben più largamente la Costituzione ha voluto impedire, una volta
perfezionatosi il trattato, che esso venga privato dell'indispensabile
fondamento costituzionale (ai sensi dell'art. 80 Cost.),
determinandone la disapplicazione e rendendo in tal modo responsabile
lo Stato italiano verso gli altri contraenti.
Ma l'esclusione dev'essere quindi riferita - secondo la tesi
dominante in dottrina - non solo al momento dell'autorizzazione alla
ratifica, ma anche al momento dell'esecuzione strettamente intesa. Ed a
questa stregua poco importa che l'ordine di esecuzione rappresenti
l'oggetto di un apposito atto legislativo (com'era inevitabile
nell'ordinamento statutario, date le norme costituzionali che allora
regolavano la formazione dei trattati) o sia contemporaneo e
contestuale all'autorizzazione, venendo inserito nella medesima legge
che consente la ratifica.
In entrambe le ipotesi, infatti, l'interpretazione logico-sistematica dell'art. 75 secondo comma Cost. impone che vengano
respinte le richieste di referendum abrogativo.
5. - Per contestare la legittimità della richiesta di referendum
vertente su 97 articoli del codice penale, l'Avvocatura dello Stato ha
depositato presso l'Ufficio centrale un atto di intervento, in cui si
deduceva l'improponibilità di quesiti referendari congiuntamente
riferiti ad un'eterogenea pluralità di disposizioni legislative. Ma
l'Ufficio centrale non ha accolto né ha preso in formale
considerazione la tesi dell'Avvocatura, limitandosi invece ad osservare
che "il principio dell'omogeneità della normativa sottoposta a
referendum non comporta la corrispondenza in senso assoluto di ogni
singolo referendum ad ogni singolo atto normativo, ma deve ritenersi
rispettato anche quando gli atti, pur nella loro pluralità, siano
sistematicamente incorporati in un testo legislativo avente unità di
oggetto".
Nella memoria successivamente presentata a questa Corte,
l'Avvocatura dello Stato insiste però nell'assunto, sostenendo che
richieste del genere sarebbero comunque inammissibili. Di fronte a
domande formulate in termini così complessi, gli elettori non
potrebbero esprimere risposte consapevoli ed univoche; sicché del
referendum si farebbe un uso abnorme, contrastante con i caratteri
essenziali di questo istituto.
Ora la Corte deve anzitutto constatare che, sotto i profili
indicati dall'Avvocatura dello Stato, l'attuale ordinamento del
referendum abrogativo è contraddistinto da gravi insufficienze e da
profonde antinomie.
Da una parte, corrisponde alla naturale funzione dell'istituto
(aderendo ad alcune importanti indicazioni ricavabili dagli atti
dell'Assemblea Costituente) l'esigenza che il quesito da porre agli
elettori venga formulato in termini semplici e chiari, con riferimento
a problemi affini e ben individuati; e che, nel caso contrario, siano
previste la scissione od anche l'integrale reiezione delle richieste
non corrispondenti ad un tale modello. In coerenza con questi scopi,
la legislazione attuativa dell'art. 75 Cost. doveva e dovrebbe
prevedere, dunque, appositi controlli delle singole iniziative, da
effettuare - preferibilmente - prima ancora che vengano apposte le
firme occorrenti a sostenere ciascuna richiesta; affinché gli stessi
sottoscrittori siano messi preventivamente in grado d'intendere con
precisione il valore e la portata delle loro manifestazioni di
volontà.
D'altra parte, bisogna viceversa riconoscere che la legge n. 352
del 1970 non ha preordinato per nulla i rimedi necessari in tal senso.
L'art. 27 primo comma, pur prescrivendo l'indicazione dei "termini del
quesito che si intende sottoporre alla votazione popolare", si limita
in sostanza a prevedere che la formula "volete che sia abrogata..." (o
"volete voi l'abrogazione...") sia completata richiamando gli estremi
della legge in discussione, citando il numero dell'articolo o degli
articoli specificamente interessati, nonché trascrivendo i soli testi
dei commi o dei frammenti eventualmente messi in gioco (ma non gli
integrali disposti degli articoli stessi). Ciò che più conta, la
legge attuativa non chiarisce in nessun modo con quali criteri, da
parte di quali organi, in quali momenti, né con quali effetti dovrebbe
esercitarsi il controllo sull'omogeneità delle richieste: con la
conseguenza che l'introduzione delle necessarie garanzie di
semplicità, di univocità, di completezza dei quesiti, presentemente
trascurate od ignorate dal legislatore, rimane affidata ad una futura
riforma.
Ma il sindacato della Corte non si può arrestare di fronte alla
constatazione delle carenze o delle lacune della legge n. 352 del 1970.
Diversamente dall'Ufficio centrale, tenuto ad accertare la legittimità
delle richieste alla stregua di quella legislazione ordinaria che ha
determinato "le modalità di attuazione del referendum", questa Corte
deve infatti giudicare sull'ammissibilità delle richieste stesse, in
diretta applicazione delle norme o dei principi di ordine
costituzionale che comportino una causa impeditiva - espressa od
implicita - dei voti popolari abrogativi. E, su questa base, la
richiesta mirante all'abrogazione - totale o parziale - di 97 articoli
del codice penale dev'esser dichiarata inammissibile.
Nella disposizione dell'art. 75 primo comma Cost. ("È indetto
referendum popolare... quando lo richiedono cinquecentomila
elettori...") è certo ricompresa una vastissima gamma di richieste,
indeterminate ed indeterminabili a priori.
Ma nello stesso modo che la cosiddetta discrezionalità legislativa
non esclude il sindacato degli arbitri del legislatore, operabile da
questa Corte in rapporto ai più vari parametri; così la normativa
dettata dall'art. 75 non implica affatto l'ammissibilità di richieste
comunque strutturate, comprese quelle eccedenti i limiti esterni ed
estremi delle previsioni costituzionali, che conservino soltanto il
nome e non la sostanza del referendum abrogativo. Se è vero che il
referendum non è fine a se stesso, ma tramite della sovranità
popolare, occorre che i quesiti posti agli elettori siano tali da
esaltare e non da coartare le loro possibilità di scelta; mentre è
manifesto che un voto bloccato su molteplici complessi di questioni,
insuscettibili di essere ridotte ad unità, contraddice il principio
democratico, incidendo di fatto sulla libertà del voto stesso (in
violazione degli artt. 1 e 48 Cost.).
Né giova replicare - come hanno fatto i promotori del referendum
in esame - che saranno gli elettori ad esprimere in proposito il loro
libero giudizio politico: approvando o respingendo la richiesta,
secondo che il quesito sia stato formulato in termini più o meno
chiari e precisi. Sia che i cittadini siano convinti dell'opportunità
di abrogare certe norme ed a questo fine si rassegnino all'abrogazione
di norme del tutto diverse, solo perché coinvolte nel medesimo
quesito, pur considerando che meriterebbe mantenerle in vigore; sia che
preferiscano orientarsi verso l'astensione, dal voto o nel voto,
rinunciando ad influire sull'esito della consultazione, giacché
l'inestricabile complessità delle questioni (ciascuna delle quali
richiederebbe di essere diversamente e separatamente valutata) non
consente loro di esprimersi né in modo affermativo né in modo
negativo; sia che decidano di votare "no", in nome del prevalente
interesse di non far cadere determinate discipline, ma pagando il
prezzo della mancata abrogazione di altre norme che essi ritengano
ormai superate (e vedendosi impedita la possibilità di proporre in
questo senso ulteriori referendum, prima che siano trascorsi almeno
cinque anni, data la preclusione disposta dall'art. 38 della legge n.
352 del 1970): appare evidente come i risultati dell'esperimento
referendario ne vengano falsati alla radice, per l'unico motivo che
referendum diversi - e per se stessi ammissibili - sono stati
conglobati a forza entro un solo contesto.
Effettivamente, libertà dei promotori delle richieste di
referendum e libertà degli elettori chiamati a valutare le richieste
stesse non vanno confuse fra loro: in quanto è ben vero che la
presentazione delle richieste rappresenta l'avvio necessario del
procedimento destinato a concludersi con la consultazione popolare; ma
non è meno vero che la sovranità del popolo non comporta la
sovranità dei promotori e che il popolo stesso dev'esser garantito, in
questa sede, nell'esercizio del suo potere sovrano. Uno strumento
essenziale di democrazia diretta, quale il referendum abrogativo, non
può essere infatti trasformato - insindacabilmente - in un distorto
strumento di democrazia rappresentativa, mediante il quale si vengano
in sostanza a proporre plebisciti o voti popolari di fiducia, nei
confronti di complessive inscindibili scelte politiche dei partiti o
dei gruppi organizzati che abbiano assunto e sostenuto le iniziative
referendarie.
Viceversa, proprio questo finisce per essere, in modo esemplare, il
caso del referendum vertente su 97 articoli del codice penale.
Per quanti sforzi interpretativi si facciano, da tali disposizioni
non si riesce ad estrarre un quesito comune e razionalmente unitario; e
ciò fornisce allora la riprova che la richiesta non può venire
ammessa, perché incompatibile con le proclamazioni degli artt. 1, 48 e
75 Cost.
6. - Analoghe considerazioni valgono ad escludere l'ammissibilità
della richiesta relativa al codice penale militare di pace (approvato
dal regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303).
Anche a prescindere dalle dimensioni del codice stesso (che pure si
compone di ben 433 articoli), è determinante la circostanza che questo
atto legislativo implica le più diverse tematiche: dall'individuazione
delle categorie di "persone soggette alla legge penale militare" alla
determinazione delle specie delle relative pene; dalla parte generale
alla parte speciale della legislazione penale militare; dal diritto
penale militare sostanziale alla procedura penale militare ed alla
giurisdizione dei tribunali militari; dalla definizione dei reati
esclusivamente militari, caratteristici dell'ordinamento delle forze
armate, fino ad un'amplissima serie di figure criminose che s'innestano
sulle parallele previsioni del codice penale comune, aggravando però
le sanzioni a causa delle condizioni delle persone che abbiano commesso
il fatto.
Ma l'eterogeneità delle disposizioni del codice penale militare di
pace risulta ancora più netta, in vista dei loro diversissimi rapporti
con la Costituzione. Accanto a molte norme penali o processuali, che
possono considerarsi costituzionalmente neutre (prestandosi
indifferentemente ad essere abrogate o mantenute in vigore, modificate
oppure conservate nei loro contenuti), sussistono altri precetti che,
nei loro attuali nuclei normativi, si saldano con le corrispondenti
disposizioni costituzionali: come si verifica - ad esempio - nei casi
di reati di mancanza alla chiamata alle armi e di diserzione, che
stanno indubbiamente in funzione delle previsioni dell'articolo 52
Cost., relative al servizio militare obbligatorio ed all'ordinamento
delle forze armate. Il fatto stesso che la richiesta in esame si
proponga di abrogare simili figure criminose potrebbe esser dunque
motivo sufficiente perché questa Corte la respinga. In ogni caso,
però, l'aver voluto coinvolgere in un solo referendum le parti
accessorie e le parti essenziali del codice penale militare di pace,
comprese le norme a contenuto costituzionalmente vincolato, rappresenta
una conferma della irriducibile pluralità delle questioni, su cui
l'elettore verrebbe costretto ad esprimere un unico voto.
Perciò ne deriva, mancando alla Corte poteri di scissione o di
ridefinizione dei quesiti referendari, l'inammissibilità dell'intera
richiesta.
7. - Quanto alla richiesta di referendum avente per oggetto
l'ordinamento giudiziario militare, essa determina problemi almeno in
parte diversi da quelli concernenti il codice penale militare di pace.
Nel caso del regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022, non è infatti
sostenibile che ci si trovi in presenza di una radicale disomogeneità
delle disposizioni da sottoporre al voto popolare, tale che su questo
solo dato si debba fondare un giudizio d'inammissibilità.
Disciplinando la tipologia e la composizione dei tribunali militari,
l'ordinamento in questione considera e configura un ben preciso
complesso di organi di giurisdizione speciale (che anzi conservano i
loro caratteri essenziali - in virtù della norma generale dell'art. 57
r.d. cit. - sia per il tempo di pace sia per il tempo di guerra).
Nondimeno, è anzitutto riscontrabile un collegamento strettissimo
fra il codice penale militare di pace e l'ordinamento giudiziario
militare. Da un punto di vista formale, è significativo che entrambi i
decreti in questione (n. 303 e n. 1022 del 1941) ritrovino la loro
comune matrice nella delegazione legislativa operata dalla legge 25
novembre 1926, n. 2153; tanto più che, nella prima parte dell'art. 2
di tale legge-delega, si prevedeva che a ciò sarebbe bastato un unico
atto delegato contenente il "nuovo testo delle disposizioni della
legislazione penale militare". Dal punto di vista sostanziale, poi, è
ancora più notevole che la materia dei giudizi penali militari sia
stata suddivisa in una parte concernente la procedura penale, che ha
trovato posto nel codice penale militare di pace, e nell'altra parte
riguardante l'ordinamento giudiziario propriamente inteso; fermo
restando, però, che la materia rimane essenzialmente unitaria, come
stanno a dimostrare i sistematici richiami ai tribunali militari che si
ritrovano nei corrispondenti codici penali.
Allo stesso modo che per il codice penale militare di pace, anche
per l'ordinamento giudiziario militare si può dunque ritenere che esso
corrisponda - nel suo complesso, piuttosto che nei suoi singoli
modificabili disposti - alle comuni esigenze della difesa della Patria,
dell'obbligatorietà del servizio militare e dell'indefettibile
esistenza delle forze armate, quali sono attualmente affermate e
garantite dall'art. 52 Cost. E già da questo nesso potrebbero trarsi,
pertanto, argomenti atti a far concludere che i due referendum sul
codice penale militare di pace e sull'ordinamento giudiziario militare
debbano venire congiuntamente preclusi.
Ma, anche a voler considerare per sé solo il problema
dell'ammissibilità di un voto popolare abrogativo dell'ordinamento
giudiziario militare, separato dal contesto normativo del quale esso
forma una parte integrante, la conclusione ultima non muta. In effetti,
non è che il referendum sia stato qui richiesto per privare di
efficacia norme riguardanti aspetti determinati, sia pure
importantissimi, della giurisdizione militare: con lo scopo di
obbligare il legislatore ordinario ad attivarsi tempestivamente per
colmare o prevenire le lacune.
Ben diversamente, l'iniziativa in esame si propone di sopprimere
l'intera giurisdizione militare, assoggettando all'effetto abrogativo
anche quelle disposizioni a contenuto vincolato, sul tipo dell'art. 1
del regio decreto n. 1022 del 1941, che non possono venir modificate o
rese inefficaci, senza che ne risultino lese le corrispondenti
disposizioni costituzionali.
In altre parole, il tema del quesito sottoposto agli elettori non
è tanto formato - in questa come in tutte le ipotesi del genere -
dalla serie delle singole disposizioni da abrogare, quanto dal comune
principio che se ne ricava; ed il principio sul quale si fonda l'intero
ordinamento giudiziario militare consiste appunto nella disposizione
dell'art. 1, per cui "la giustizia penale militare è amministrata: dai
tribunali militari; dal tribunale supremo militare". Di conseguenza, il
senso che obiettivamente assume la richiesta di cui si discute, quali
che fossero gli intendimenti soggettivi dei presentatori e dei
sottoscrittori di essa, consiste nella volontà di togliere di mezzo,
attraverso la congiunta abrogazione del codice penale militare di pace
e dell'ordinamento giudiziario militare, la totalità degli organi
della giustizia militare di pace; per ritornare ai concetti ispiratori
dell'art. 95 ultimo comma del progetto di Costituzione, elaborato dalla
Commissione dei 75, onde i tribunali militari avrebbero potuto "essere
istituiti solo in tempo di guerra" (mentre in ogni altra circostanza si
sarebbe reso necessario espandere la giurisdizione penale comune). Ma
il progetto è stato in questa parte superato irrevocabilmente - salvo
il ricorso ad una revisione costituzionale - nell'atto in cui
l'Assemblea Costituente ha approvato l'art. 103 terzo comma della
Costituzione ("I tribunali militari in tempo di guerra hanno la
giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno
giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti
alle forze armate"), nonché la VI disposizione transitoria ("Entro
cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla
revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti,
salvo le giurisdizioni... dei tribunali militari. Entro un anno dalla
stessa data si provvede con legge al riordinamento del tribunale
supremo militare in relazione all'articolo 111").
Pur avvertendo che quest'ultima previsione costituzionale è
rimasta inadempiuta, che l'adeguamento della giurisdizione militare ai
fondamentali principi informatori della giurisdizione comune tarda da
oltre un trentennio, e che questa inerzia del legislatore ha fornito lo
spunto ai promotori dei referendum sui regi decreti n. 303 e n. 1022
del 1941, la Corte è tenuta egualmente a dichiarare inammissibile la
richiesta referendaria avente per oggetto l'ordinamento giudiziario
militare.
8. - Nella memoria depositata dall'Avvocatura dello Stato, si
afferma che l'eterogeneità della materia regolata dalla legge 22
maggio 1975, n. 152 (intitolata "Disposizioni a tutela dell'ordine
pubblico"), sarebbe tale da precludere l'ammissibilità della relativa
richiesta di referendum. Ma l'assunto non può esser condiviso.
Non è contestabile, in vero, la varietà di contenuti normativi
della legge n. 152, che riguarda - fra l'altro - i limiti alla
concessione della libertà provvisoria, i casi di fermo di indiziati di
reato, una serie di modifiche della legge n. 645 del 1952 (sul divieto
di ricostituzione del disciolto partito fascista), l'uso delle armi da
parte di pubblici ufficiali, la prescrizione dei reati, le misure di
prevenzione, l'espulsione degli stranieri, le notificazioni urgenti a
mezzo del telefono o del telegrafo. Senonché la richiesta in
questione non concreta un uso così artificioso del referendum
abrogativo, da farla considerare eccedente le previsioni dell'art. 75
Cost. Al contrario, tale iniziativa ha per oggetto un particolare
complesso di misure legislative eccezionali, se non addirittura
provvisorie (non si dimentichi, infatti, che le disposizioni
processuali della legge n. 152 cesseranno di avere applicazione
all'atto dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale,
per espressa previsione dell'art. 35 della legge stessa): che il
Parlamento ha disposto nel comune intento di fronteggiare la presente
situazione di crisi dell'ordine pubblico, con particolare riguardo alla
criminalità politica e para-politica. Sotto questo aspetto, anzi, si
può ben dire che il titolo della legge enuncia già, nei suoi tratti
essenziali, la questione sulla quale il corpo elettorale verrà
chiamato a decidere.
Non frapponendosi altri ostacoli di ordine costituzionale, la
richiesta di referendum per l'abrogazione della legge n. 152 del 1975
risulta quindi ammissibile (salvo quanto disposto in relazione all'art.
5 - perché sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533 -
dall'ordinanza 6 dicembre 1977 dell'Ufficio centrale, avverso la quale
i promotori del referendum hanno sollevato conflitto di attribuzione
davanti a questa Corte).
9. - L'ipotesi che spetti alla Corte di precludere i voti popolari
abrogativi sulle "leggi costituzionalmente obbligatorie, ovvero
essenziali per il funzionamento dell'ordinamento democratico", è stata
sistematicamente prospettata dall'Ufficio centrale per il referendum,
all'atto di dichiarare la legittimità delle richieste miranti
all'abrogazione di 97 articoli del codice penale comune, del codice
penale militare di pace e dell'ordinamento giudiziario militare. Ma
l'Avvocatura dello Stato, riprendendo e sviluppando questo genere di
argomentazioni, ha eccepito in tal senso l'inammissibilità della
stessa richiesta di referendum avente per oggetto 12 articoli della
legge 25 gennaio 1962, n. 20 (intitolata "Norme sui procedimenti e
giudizi di accusa"), nelle parti attinenti ai poteri ed ai modi di
funzionamento dell'apposita "Commissione inquirente". La eventuale
abrogazione di tali disposti determinerebbe, infatti, l'integrale
disapplicazione dell'art. 12 della legge cost. n. 1 del 153, per cui
"la messa in istato di accusa del Presidente della Repubblica, del
Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri è deliberata dal
Parlamento in seduta comune su relazione di una Commissione, costituita
di dieci deputati e di dieci senatori, eletti da ciascuna delle due
Camere..."; con l'ulteriore conseguenza che il legislatore ordinario
non potrebbe più porvi rimedio, senza per ciò stesso contraddire la
volontà popolare.
Tesi del genere difettano, però, negli stessi presupposti dai
quali procedono: in quanto non è sostenibile che siano sottratte al
referendum abrogativo tutte le leggi ordinarie comunque costitutive od
attuative di istituti, di organi, di procedure, di principi stabiliti o
previsti dalla Costituzione. A parte l'ovvia considerazione che il
referendum verrebbe in tal modo a subire limitazioni estremamente ampie
e mal determinate, il riferimento alle leggi "costituzionalmente
obbligatorie" si dimostra viziato da un equivoco di fondo. La formula
in questione farebbe infatti pensare che quelle leggi e non altre, con
i loro attuali contenuti normativi, siano indispensabili per concretare
le corrispondenti previsioni costituzionali. Così invece non è, dal
momento che questi atti legislativi - fatta soltanto eccezione per le
disposizioni a contenuto costituzionalmente vincolato - non realizzano
che una fra le tante soluzioni astrattamente possibili per attuare la
Costituzione.
Tale è appunto il caso della legge n. 20 del 1962. In realtà,
l'attuale disciplina della "Commissione inquirente" risponde ad una
scelta politica del Parlamento, che poteva anche esser diversa, senza
per questo violare l'art. 12 della legge cost. n. 1 del 1953.
Nell'eventualità di un voto popolare abrogativo, nulla può dunque
impedire al legislatore ordinario di colmare in altro modo il
conseguente vuoto normativo (o d'intervenire prima ancora che la lacuna
sia divenuta effettiva, in virtù di quella previsione dell'art. 37
terzo comma della legge n. 352 del 1970, per cui lo stesso decreto
presidenziale dichiarativo dell'avvenuta abrogazione della legge
sottoposta al voto popolare può "ritardare" l'effetto abrogativo "per
un termine non superiore a 60 giorni dalla data di pubblicazione").
E questo conferma che la legge n. 20 del 1962, nelle parti
coinvolte dalla richiesta in esame, non può essere esclusa dal
complesso degli atti legislativi assoggettabili al referendum
abrogativo.
10. - Nemmeno è fondata la tesi, problematicamente accennata
dall'Avvocatura dello Stato, che la legge 2 maggio 1974, n. 195 (sul
"Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici"),
rappresenti una legge finanziaria connessa alla legge di bilancio;
sicché la relativa richiesta di referendum potrebbe esser respinta,
sulla base di una larga interpretazione dell'art. 75 secondo comma
Cost.
Le leggi di bilancio cui si riferisce l'art. 75 - ben individuate
come sono, sia per il loro procedimento formativo, sia per la loro
tipica struttura, sia per i limiti cui le sottopone l'art. 81 terzo
comma Cost. - non vanno infatti confuse con le innumerevoli leggi di
spesa, del genere di quella concernente il finanziamento dei partiti
politici. E questo stesso atto, d'altra parte, non può neppure esser
fatto rientrare fra le leggi finanziarie, intese nel senso più proprio
del termine.
In definitiva, anche per la legge n. 195 del 1974, la Corte non
rileva ragioni impeditive, che valgano ad escluderne la abrogazione
popolare (mentre, per quanto riguarda la legge 16 gennaio 1978, n. 11,
sopravvenuta nel corso dell'attuale giudizio a modificare l'art. 3
terzo comma lettera b) della legge n. 195, le eventuali conseguenti
valutazioni spettano all'Ufficio centrale per il referendum, ai sensi
dell'art. 39 della legge 1 n. 352 del 1970) .
11. - Finalmente, non sono riscontrabili cause d'inammissibilità e
nessuna eccezione è stata comunque sollevata dall'Avvocatura dello
Stato, circa la richiesta di referendum attinente agli artt. 1, 2, 3 e
3-bis delle norme "sui manicomi e sugli alienati", dettate dalla legge
14 febbraio 1904, n. 36, e successive modificazioni.