Ritenuto in fatto:
Il Comitato promotore del referendum per l'abrogazione della legge
22 maggio 1975, n. 152, ha promosso conflitto di attribuzione nei
confronti dell'Ufficio centrale per il referendum: impugnando
l'ordinanza 6 dicembre 1977, con cui l'Ufficio stesso ha dichiarato
legittima la relativa richiesta, ad eccezione dell'art. 5 della legge
predetta, in quanto sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977,
n. 533.
In via di prima delibazione - mediante l'ordinanza n. 17 di
quest'anno - la Corte ha ritenuto l'ammissibilità del conflitto; e nel
corso del conseguente giudizio ha sollevato d'ufficio - mediante
l'ordinanza n. 44 - la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, in riferimento
all'art. 75 della Costituzione. Nell'articolo impugnato si dispone
infatti, senza distinguere fra le diverse ipotesi di abrogazione, che
se "la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni
di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l'Ufficio
centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non
hanno più corso". Con ciò stesso possono però determinarsi - come la
Corte ha notato - "applicazioni lesive delle attribuzioni
costituzionalmente riconosciute ai firmatari delle richieste di
referendum": quanto meno nella parte in cui l'art. 39 "prevede che il
blocco delle operazioni referendarie si produca anche quando la
sopravvenuta norma abrogativa sia accompagnata dalla emanazione di
altra normativa che regoli la stessa materia apportando solo
innovazioni formali o di dettaglio, senza modificare né i contenuti
normativi essenziali dei singoli precetti, né i principi ispiratori
della complessiva disciplina sottoposta a referendum".
Nell'attuale giudizio si è costituito il solo Comitato promotore
interessato, sostenendo la fondatezza della questione. Più
precisamente, i promotori assumono che "il legislatore non possa
sottrarsi alla verifica popolare se non abrogando la legge o l'atto
avente forza di legge, secondo l'intenzione dei richiedenti la
consultazione": vale a dire, attraverso una "eliminazione pura e
semplice della legge o dell'atto avente forza di legge dall'ordinamento
giuridico". Del resto, ogni altra interpretazione dell'art. 39
conferirebbe all'Ufficio centrale poteri di gran lunga eccedenti le
previsioni della legge n. 352 del 1970, facendo dipendere dalle sue
decisioni - emesse senza alcun contraddittorio - l'indizione del
referendum abrogativo e la stessa modificazione del quesito
referendario.
Quanto invece al rapporto tra il potere legislativo, i richiedenti
il referendum e l'intero corpo elettorale, il Comitato promotore ha
rilevato che l'intervento del legislatore, una volta indetta la
consultazione popolare, verrebbe a stravolgere la dinamica
dell'istituto previsto dall'art. 75 Cost.: donde la necessità di
concludere che, al di la di un certo termine, lo stesso Parlamento non
debba attivarsi o comunque non possa dare luogo ad un blocco delle
operazioni referendarie.
Considerato in diritto:
1. - Per valutare la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 39 delle "norme sui referendum previsti dalla Costituzione",
occorre stabilire in quali rapporti si trovino - ai sensi dell'art. 75
Cost. - le richieste di referendum abrogativo e gli atti legislativi
che producano, prima dell'effettuazione dei referendum, l'abrogazione
delle leggi, degli atti aventi forza di legge ovvero dei singoli
disposti, inizialmente indicati dai promotori delle richieste medesime.
Più specificamente, deve essere accertato se la legislazione ordinaria
sia paralizzata od altrimenti limitata, nel corso dei procedimenti per
il referendum, quanto agli oggetti delle richieste referendarie; e
reciprocamente deve essere accertato se con tali richieste possano
validamente interferire, e con quali conseguenze, gli eventuali atti di
esercizio della funzione legislativa conferita alle Camere dall'art. 70
della Costituzione.
Sotto il primo profilo, i promotori del referendum per
l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, hanno sostenuto -
già in vista del giudizio sul conflitto di attribuzione instaurato nei
confronti dell'Ufficio centrale presso la Corte di cassazione - che la
presentazione delle richieste di referendum abrogativo determinerebbe
un effetto di "prevenzione", preclusivo di ogni intervento perturbatore
del potere legislativo.
Ma la tesi è infondata. In base all'art. 70 Cost., la funzione
legislativa ordinaria è potenzialmente inesauribile: prestandosi a
venire esercitata per un indefinito numero di volte, senza limiti di
tempo, in tutte le materie di sua competenza che il legislatore ritenga
opportuno disciplinare nuovamente. Né si può dire che l'esercizio di
tale funzione debba essere bloccato per l'intero corso del procedimento
referendario, in quanto gli oggetti delle richieste di referendum
sarebbero attratti nell'esclusiva disponibilità del corpo elettorale.
Al contrario, l'assunto non corrisponde al testo costituzionale, che
non introduce in tal senso nessuna eccezione al principio di
continuità della funzione e del potere legislativo; né corrisponde
alla stessa ragion d'essere dell'istituto del referendum abrogativo.
Da un lato, infatti, gli stessi promotori costituitisi nel presente
giudizio riconoscono che l'art. 75 Cost. non esclude la sopravvenienza
di leggi di abrogazione totale degli atti o dei disposti per i quali
sia stato richiesto il referendum: dal momento che esso ne risulta
privato del suo oggetto, con esiti identici a quelli producibili da un
voto popolare abrogativo. E d'altro lato non può nemmeno escludersi
una legislazione abrogativa accompagnata da una nuova disciplina della
materia in questione: sia perché il referendum può bene mirare (se
non altro nelle ipotesi in cui vengano in considerazione le cosiddette
leggi costituzionalmente necessarie) ad una mutazione della disciplina
preesistente, piuttosto che ad una integrale e definitiva caducazione
di essa; sia soprattutto perché, una volta promosse le richieste
referendarie, potrebbero insorgere nuovi bisogni e problemi, di fronte
ai quali sarebbe assurdo che al potere legislativo venisse impedito
d'intervenire tempestivamente.
Occorre dunque concludere che le Camere conservano la propria
permanente potestà legislativa, sia nella fase dell'iniziativa e della
raccolta delle sottoscrizioni, sia nel corso degli accertamenti sulla
legittimità e sull'ammissibilità delle richieste, sia successivamente
alla stessa indizione del referendum abrogativo.
Di conseguenza, il rispetto delle esigenze che i promotori
ritengono lese non pone problemi di legittimità delle leggi, di cui
questa Corte possa darsi carico, ma resta demandato alla sensibilità
politica del Parlamento; tanto più che le indagini sui pretesi vizi
delle leggi sopraggiunte ad innovare la disciplina sottoposta al voto
popolare, dopo che la consultazione fosse stata indetta, eccedono i
limiti dell'attuale giudizio, quali sono stati definiti dall'ordinanza
di rinvio.
2. - Sotto il secondo profilo, s'intende per altro che gli effetti
abrogativi, in quanto incidenti sull'oggetto del quesito referendario,
non possono non ripercuotersi sulla corrispondente richiesta. Per
definizione, infatti, non è dato proporre al corpo elettorale
l'abrogazione di leggi formali o di atti equiparati o di singoli
disposti legislativi, che già siano stati abrogati: poiché, se così
fosse, il voto popolare verrebbe in partenza privato di entrambi i suoi
tipici effetti, abrogativo e preclusivo, alternativamente previsti
dall'art. 37 e dall'art. 38 della legge n. 352 del 1970. Ed è qui che
trova fondamento quell'art. 39 della legge medesima, per cui "l'Ufficio
centrale per il referendum dichiara" - in questi casi - "che le
operazioni relative non hanno più corso".
Fin dalle prime applicazioni della legge n. 352 gli interpreti
hanno però rilevato che la formulazione dell'art. 39 è così ampia ed
indiscriminante, da consentire che vengano frustrati gli intendimenti
dei promotori e dei sottoscrittori delle richieste di referendum
abrogativo: prestandosi in tal modo ad eludere o paralizzare le stesse
disposizioni dell'art. 75 Cost.
Effettivamente, con la previsione e con la garanzia costituzionale
del potere referendario non è conciliabile il fatto che questo tipico
mezzo di esercizio diretto della sovranità popolare finisca per esser
sottoposto - contraddittoriamente - a vicende risolutive che rimangono
affidate alla piena ed insindacabile disponibilità del legislatore
ordinario: cui verrebbe consentito di bloccare il referendum, adottando
una qualsiasi disciplina sostitutiva delle disposizioni assoggettate al
voto del corpo elettorale.
In dottrina è stato perciò suggerito d'intendere e di applicare
l'art. 39 - per conformarlo alla Costituzione - con esclusivo
riferimento alle ipotesi di abrogazione totale ed espressa, non
accompagnata da una nuova disciplina della materia, e quindi
equivalente ad un voto popolare abrogativo. Ma simili interpretazioni
adeguatrici (che oltre tutto rischierebbero di non essere nemmeno
producenti allo scopo) non trovano alcun riscontro nel testo
legislativo in esame. Prescrivendo che le operazioni referendarie non
hanno più corso, "se prima della data di svolgimento del referendum,
la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di
essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati", l'art. 39
non introduce distinzioni o precisazioni di alcun genere; ma è
letteralmente riferibile - ed è stato riferito nella prassi -
all'abrogazione totale come a quella parziale, alla abrogazione
dissociata come a quella accompagnata da una nuova regolamentazione
della materia, mediante innovazioni di sostanza o di forma, di
principio o di dettaglio.
3. - Così interpretato, l'art. 39 della legge n. 352 del 1970
dev'essere allora considerato illegittimo, per contrasto con l'art. 75
Cost., nella parte in cui non predispone adeguati mezzi di tutela dei
firmatari delle richieste di referendum abrogativo.
La sostanza del quesito che i promotori ed i sottoscrittori di tali
richieste propongono al corpo elettorale non è infatti costituita da
un atto legislativo oppure da certi suoi singoli disposti; e
l'abrogazione di essi non impone di concludere che le rispettive
operazioni debbano essere comunque bloccate. È vero che alle leggi,
agli atti aventi forza di legge od alle loro singole disposizioni si
riferiscono - per identificare i temi del referendum abrogativo - tanto
l'art. 75 primo comma Cost. quanto l'art. 27 della legge n. 352 del
1970. Ma è manifesto, perché in ciò consiste il valore politico
delle decisioni demandate al popolo, che gli atti o i disposti
legislativi indicati in ciascuna richiesta non sono altro che il mezzo
per individuare una data normativa, sulle sorti della quale gli
elettori vengono in effetti chiamati a pronunciarsi. Se così non
fosse, la stessa riproduzione integrale dei contenuti di una legge
preesistente, operata da una legge nuova, basterebbe a precludere
l'effettuazione del referendum già promosso per l'abrogazione della
prima di queste due fonti. Ma una conseguenza così paradossale
concorre a far capire quanto poco sia fondata la premessa.
Nella sentenza n. 16 di quest'anno, giudicando sull'ammissibilità
della richiesta per l'abrogazione dell'ordinamento giudiziario
militare, la Corte ha viceversa precisato che "il tema del quesito
sottoposto agli elettori non è tanto formato... dalla serie delle
singole disposizioni da abrogare, quanto dal comune principio che se ne
ricava"; ed in questi termini ha coerentemente valutato se alla base
delle varie richieste assoggettate al suo giudizio fosse o meno
riscontrabile quella "matrice razionalmente unitaria", in vista della
quale dev'essere accertata l'omogeneità dei corrispondenti quesiti.
Con analoghi criteri va ora risolto il problema dei limiti in cui può
verificarsi - legittimamente - il blocco delle operazioni per il
referendum, a causa degli effetti abrogativi previsti dall'art. 39
della legge n. 352 del 1970. Se l'"intenzione del legislatore" -
obiettivatasi nelle disposizioni legislative sopraggiunte - si dimostra
fondamentalmente diversa e peculiare, nel senso che i relativi principi
ispiratori sono mutati rispetto alla previa disciplina della materia,
la nuova legislazione non è più ricollegabile alla precedente
iniziativa referendaria: in quanto non si può presumere che i
sottoscrittori, firmando la richiesta mirante all'abrogazione della
normativa già in vigore, abbiano implicitamente inteso coinvolgere nel
referendum quella stessa ulteriore disciplina. Se invece l'"intenzione
del legislatore" rimane fondamentalmente identica, malgrado le
innovazioni formali o di dettaglio che siano state apportate dalle
Camere, la corrispondente richiesta non può essere bloccata, perché
diversamente la sovranità del popolo (attivata da quella iniziativa)
verrebbe ridotta ad una mera apparenza.
In quest'ultima ipotesi, la nuova disciplina della materia realizza
per intero i suoi normali effetti abrogativi, impedendo che il
referendum assuma tuttora ad oggetto le disposizioni già abrogate. Ma
la consultazione popolare deve svolgersi pur sempre, a pena di violare
l'art. 75 Cost. E, di conseguenza, l'unica soluzione possibile consiste
nel riconoscere che il referendum si trasferisce dalla legislazione
precedente alla legislazione così sopravvenuta (oppure che la
richiesta referendaria si estende alle successive modificazioni di
legge, qualora si riscontri che esse s'inseriscono nella previa
regolamentazione, senza sostituirla integralmente).
Per meglio chiarire a quali condizioni il referendum debba essere
effettuato sulla nuova disciplina legislativa, al di fuori delle
attuali prescrizioni dell'art. 39 della legge n. 352 del 1970, conviene
però mantenere distinta l'ipotesi in cui la richiesta riguardasse
nella loro interezza una legge od un atto equiparato (od anche un
organico insieme di disposizioni, altrimenti individuate dal
legislatore) da quella in cui fosse stata proposta soltanto
l'abrogazione di disposizioni specifiche. Nel primo caso, questa Corte
ritiene che l'indagine non possa limitarsi alle affinità od alle
divergenze riscontrabili fra le singole previsioni della precedente e
della nuova legislazione, ma si debba estendere ai raffronti fra i
principi cui s'informino nel loro complesso l'una o l'altra disciplina;
sicché il mutamento dei principi stessi può dare adito al blocco
delle relative operazioni referendarie, quand'anche sopravvivano -
entro il nuovo ordinamento dell'intera materia - contenuti normativi
già presenti nell'ordinamento precedente; mentre la modificazione di
singole previsioni legislative giustifica l'interruzione del
procedimento nella parte concernente le previsioni medesime, solo
quando si possa riscontrare che i loro principi informatori non sono
più riconducibili a quelli della complessiva disciplina originaria.
Nel secondo caso, invece, decisivo è il confronto fra i contenuti
normativi essenziali dei singoli precetti, senza che occorra aver
riguardo ai principi dell'intero ordinamento in cui questi si ritrovino
inseriti: appunto perché i promotori ed i sottoscrittori delle
richieste di referendum non avevano di mira l'abrogazione di
quell'ordinamento considerato nella sua interezza.
Con tali criteri, comunque, non si può certo sostenere che gli
elettori vengano chiamati a votare su un quesito affatto diverso da
quello per cui erano state operate la presentazione e la sottoscrizione
della richiesta di referendum abrogativo. La sottoposizione della nuova
legge al voto popolare, qualora essa introduca modificazioni formali o
di dettaglio, corrisponde alla sostanza dell'iniziativa assunta dai
promotori e dai sottoscrittori; e rappresenta la strada
costituzionalmente obbligata per conciliare - nell'ambito del
procedimento referendario - la permanente potestà legislativa delle
Camere con la garanzia dell'istituto del referendum abrogativo.
In questi termini, l'Ufficio centrale per il referendum è dunque
chiamato a valutare - sentiti i promotori della corrispondente
richiesta - se la nuova disciplina legislativa, sopraggiunta nel corso
del procedimento, abbia o meno introdotto modificazioni tali da
precludere la consultazione popolare, già promossa sulla disciplina
preesistente: trasferendo od estendendo la richiesta, nel caso di una
conclusione negativa dell'indagine, alla legislazione successiva.
Corrispondentemente, alla Corte costituzionale compete pur sempre di
verificare se non sussistano eventuali ragioni d'inammissibilità,
quanto ai nuovi atti o disposti legislativi, così assoggettati al voto
popolare abrogativo.
4. - All'atto di dichiarare l'illegittimità dell'art. 39 della
legge n. 352 del 1970, nella parte in cui lascia insoddisfatta
l'esigenza di non frustrare il ricorso al referendum, la Corte è
pienamente consapevole che da questa decisione potranno derivare
inconvenienti e difficoltà applicative. Ma i poteri dei quali essa
dispone non le consentono altro che di accertare e sanzionare le
violazioni delle norme costituzionali, adottando le soluzioni a ciò
conseguenti nei soli limiti in cui queste risultino univoche ed
indispensabili per assicurare l'osservanza della Costituzione stessa.
Le ulteriori modificazioni del procedimento per il referendum
abrogativo, di cui le recenti esperienze stanno dimostrando
l'opportunità - come la Corte ha già rilevato nella sentenza n. 16 di
quest'anno - competono invece al Parlamento (anche mediante il ricorso
- qualora necessario - alla legislazione prevista dall'art. 138 Cost.).
In particolar modo, al legislatore spetterà di precisare o di
riconsiderare i ruoli e le funzioni degli organi competenti ad
intervenire nel corso delle procedure referendarie. Inoltre, attraverso
una riforma della legge n. 352 del 1970 potranno essere altrimenti
regolati i tempi delle relative operazioni: specialmente allo scopo di
permettere l'effettuazione del referendum abrogativo oltre il termine
finale del 15 giugno, allorché le leggi o le disposizioni sottoposte
al voto popolare vengano abrogate all'ultima ora, imponendo nuove
formulazioni degli originari quesiti ed intralciando gli adempimenti
che precedono la data di convocazione degli elettori.