Ritenuto in fatto:
1. - La Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta
regionale, ha promosso, con ricorso notificato il 26 luglio 1985 e
depositato il 2 agosto 1985 (R.r. n. 34/1985), questione di
legittimità costituzionale dell'art. 1, commi primo, secondo e quinto,
del d.l. 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela
delle zone di particolare interesse ambientale), per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost., anche in relazione all'art. 97 Cost.; 1, ultimo
comma, del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 (Trasferimento alle regioni a
statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di
urbanistica); 80, 81, 82 e 83, anche in relazione agli artt. 66 e
seguenti, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di
cui alla l. n. 382 del 1975); 1, comma primo, lett. a) e c), e comma
terzo, nn. 1, 2 e 3, della l. 22 luglio 1975, n. 382 (Norme
sull'ordinamento regionale e sull'organizzazione della P.A.), in
relazione alla legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze
naturali); irrazionalità ed eccesso di potere legislativo nella
violazione delle sfere di competenza regionale in materia di
urbanistica e del territorio e in materia di agricoltura.
1.1. - Assume la Regione che, anche se le norme relative al
trasferimento di competenze statali alle Regioni non rivestono natura
di legge costituzionale o comunque rinforzata (sent. n. 188 del 1984),
non può tuttavia ammettersi che il confine della sfera di competenza
dello Stato e delle Regioni venga all'improvviso modificato da un
intervento legislativo dello Stato, senza che ciò costituisca
violazione di tale confine, quale si è determinato in attuazione degli
artt. 117 e 118 Cost..
Le disposizioni sul trasferimento, infatti, integrano, completano
ed attuano i suindicati disposti costituzionali, così assicurando alle
Regioni, in relazione alle competenze ad esse attribuite, una garanzia,
di ordine costituzionale, di intangibilità da parte del legislatore
statale, quantomeno in ordine al nucleo centrale e qualificante delle
disposizioni che individuano l'ambito regionale di competenza nelle
singole materie; nucleo centrale che va identificato in base ai
principi indicati nell'art. 1 della legge n. 382 del 1975
(identificazione delle materie per settori organici, in base a criteri
oggettivi; valutazione della connessione tra funzioni affini,
strumentali, complementari; completezza del trasferimento; esclusione
di forme di codipendenza funzionale tra uffici statali e regionali).
In attuazione di tali principi il d.P.R. n. 616 del 1977 ha
determinato nell'art. 66 e seguenti il complesso funzionale
"agricoltura e foreste", comprendendovi i boschi, i patrimoni
silvo-pastorali, le terre di uso civico, la bonifica integrale e
montana, gli interventi di protezione della natura, compresa
l'istituzione di parchi e riserve naturali e la tutela delle zone
umide; nell'art. 80 e seguenti ha trasferito alle Regioni la materia
"urbanistica", definita come "disciplina dell'uso del territorio
comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali
riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo
nonché la protezione dell'ambiente"; nell'art. 82 ha delegato alle
Regioni le funzioni relative alla protezione delle "bellezze naturali";
nell'art. 83 ha trasferito alle Regioni le funzioni amministrative
concernenti gli interventi per la protezione della natura, le riserve
ed i parchi naturali. Inoltre, già con il d.P.R. n. 8 del 1972, erano
state trasferite alle Regioni le funzioni inerenti alla redazione ed
all'approvazione dei "piani territoriali paesistici" di cui all'art. 5
della legge n. 1497 del 1939.
Risulta quindi che, nella normazione di trasferimento, il
legislatore statale si è impegnato a fondo nel conferire alle proprie
disposizioni carattere stabile e definitivo, corrispondente al rilievo
costituzionale della determinazione delle materie di competenza
regionale, imponendo a se stesso la conformazione di tali competenze.
Ne deriva che il legislatore ordinario ha perduto la piena
disponibilità della disciplina delle funzioni trasferite o delegate
alle Regioni, e non può quindi alterare a suo piacimento l'ordine
delle funzioni, in tal modo costituzionalizzato.
Per contro, il decreto legge n. 312 del 1985 sovverte tale ordine,
invadendo la sfera regionale in due modi: a) anzitutto con il
riassorbimento da parte dello Stato legislatore di competenze
specifiche della Regione in materia ambientale; b) in secondo luogo
facendo interferire la disciplina impartita in altre materie di
competenza regionale, senza prevedere alcuna forma di coordinamento e
di intesa.
Sotto il primo profilo, si è imposto, attribuendo forma
legislativa ad un atto sostanzialmente amministrativo, il vincolo
paesaggistico su intere categorie di beni (art. 1, comma primo),
stravolgendo il criterio previsto dalla legge n. 1497 del 1939, che
consentiva il vincolo solo su beni specificamente individuati, in
ragione del loro accertato interesse particolare, e sottraendo alle
Regioni la competenza ad individuare le bellezze naturali.
Sono state altresì colpite ulteriori competenze proprie delle
Regioni, in tema di protezione dell'ambiente, e precisamente quelle
indicate dagli artt. 66, 80 ed 83 del d.P.R. n. 616 del 1977. Infatti,
vincolando la condizione di intere categorie di beni, costituenti vasti
comparti di territorio, una notevole parte del settore dell'urbanistica
e dell'agricoltura e foreste è stata sottratta alla competenza delle
Regioni, private del potere di tutela dell'ambiente compreso nelle
suindicate materie.
A tale invasione di competenza regionale il legislatore è
pervenuto in modo irrazionale, sia perché ha indiscriminatamente
vincolato, a fini di tutela paesaggistica, anche categorie di beni
individuati secondo logiche diverse, come le acque pubbliche,
considerate dal T.U. n. 1775 del 1933 per finalità di sfruttamento, e
le zone gravate da usi civici, che hanno finalità economiche; sia
perché ha determinato una confusione e sovrapposizione di competenze
statali e regionali, attribuendo "anche" al Ministero per i beni
culturali le funzioni di "vigilanza e tutela" sull'osservanza del
vincolo (art. 1, comma secondo, prima parte); sia perché ha
riattribuito allo Stato, revocando la delega alla Regione, il "parere"
(da individuarsi nella "autorizzazione") di cui all'art. 7 della legge
n. 1497 del 1939 (art. 1, comma secondo, seconda parte), nonché il
potere di esame dei progetti di opere di manutenzione straordinaria e
di imposizione di prescrizioni (art. 1, comma quinto).
Quanto al profilo sub b), il decreto legge impugnato interferisce
nelle competenze regionali in tema di agricoltura, silvicoltura,
urbanistica e pianificazione territoriale, le quali riguardano settori
incisi dal vincolo totale di interi territori, e non possono
adeguatamente esercitarsi, in difetto di strumenti di coordinamento e
di regole organizzative e procedimentali, anche a garanzia dei soggetti
che subiscono il vincolo, con conseguente violazione dell'art. 97
Cost..
1.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi
mediante l'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o comunque infondato.
Osserva l'interveniente che il decreto legge n. 312 del 1985 - nel
frattempo convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n.
431 - non invade la sfera di competenza regionale costituzionalmente
garantita.
Quanto alla asserita incidenza su materie nelle quali la Regione ha
potestà legislativa ai sensi dell'art. 117 Cost. ed in relazione alle
quali è stato operato il trasferimento delle funzioni amministrative
(come agricoltura e foreste, urbanistica ecc.), rileva l'Avvocatura
dello Stato che essa non sussiste, dal momento che la normativa
impugnata riguarda specificamente la diversa materia della tutela delle
bellezze naturali. Indubbiamente il vincolo paesaggistico può
incidere su beni contemporaneamente oggetto della disciplina
urbanistica o forestale, ma ciò rientra nella fisiologia del sistema,
in quanto gli effetti delle varie discipline non si elidono né si
confondono tra di loro, ma operano cumulativamente, in modo
indipendente, senza determinare reciproche ingerenze tra materie
diverse.
Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato sono poi inammissibili le
censure della ricorrente incentrate sulla avvenuta delega alle Regioni
delle funzioni amministrative relative ai beni ambientali ex art. 82
del d.P.R. n. 616 del 1977, poiché non sussistendo al riguardo una
competenza legislativa regionale, non può correlativamente ipotizzarsi
una incompetenza della legge statale, che, nelle materie soltanto
delegate, può certamente produrre una normazione di dettaglio. Le
suddette censure sono comunque infondate poiché la normativa impugnata
- della quale si contesta la qualità di legge - provvedimento - non ha
modificato l'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, in senso parzialmente
revocatorio della delega amministrativa conferita alle Regioni, essendo
previsto dalla suindicata disposizione il potere dello Stato di
integrare gli elenchi delle bellezze naturali.
2. - La Regione Autonoma Valle d'Aosta, in persona del Presidente
della Giunta regionale, ha promosso, con ricorso notificato il 19
settembre 1985 e depositato il 25 settembre 1985 (R.r. n. 36/1985),
questione di legittimità costituzionale della legge 8 agosto 1985, n.
431 (Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 27 giugno 1985,
n.312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale), per violazione degli artt. 2, 3 e 4
della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale della Valle
d'Aosta).
2.1. - Assume la ricorrente che la legge impugnata - di
conversione, con modifiche, del d.l. n. 312 del 1985, il quale, a sua
volta, recepiva sostanzialmente il d.m. 21 settembre 1984 (c.d.
decreto Galasso), il cui art. 1 (che assoggettava a vincolo
paesaggistico una serie di beni individuati per categorie) era stato
annullato dal TAR Lazio con sentenza 31 maggio 1985, n. 1548 - è
illegittima, in quanto viola l'art. 2 dello Statuto speciale della
Valle d'Aosta, incidendo su materie di competenza legislativa esclusiva
della Regione, e precisamente:
a) sulla "tutela del paesaggio", prevista dall'art. 2, lett. q)
dello Statuto, nell'esercizio della quale la Regione ha adottato una
propria normativa con la legge 15 giugno 1978, n. 14, modificata con le
successive leggi 2 marzo 1979, n. 11; 31 maggio 1979, n. 32; 9 giugno
1981, n. 32;
b) sulla materia della "urbanistica" e dei "piani regolatori per
zone di particolare importanza turistica", prevista dall'art. 2, lett.
g) dello Statuto, che appare strettamente connessa a quella della
tutela del paesaggio;
c) sulla materia concernente le "foreste" e la "flora e fauna",
riservata dall'art. 2, lett. d), dello Statuto alla Regione, ed incisa
dall'art. 1, lett. g), della legge n. 431 del 1985, che assoggetta a
vincolo "i territori coperti da foreste e da boschi";
d) sulla materia delle "acque pubbliche destinate ad irrigazione e
ad uso domestico", contemplata dall'art. 2, lett. m), dello Statuto, ed
interessata dal vincolo, previsto dall'art. 1, lett. c), della legge n.
431 del 1985, per "i fiumi, i torrenti e i corsi d'acqua iscritti negli
elenchi" delle acque pubbliche;
e) sulla materia concernente gli "usi civici, consorterie,
promiscuità per condomini agrari e forestali", riservata alla Regione
dall'art. 2, lett. o), dello Statuto, nella quale interferisce il
vincolo delle "aree assegnate alle università agrarie e delle zone
gravate da usi civici", derivante dall'art. 1, lett. h), della legge
n. 431 del 1985.
L'incidenza della disciplina per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale sulla competenza delle Regioni a
statuto speciale era, del resto, apparsa tanto evidente allo stesso
legislatore statale, che il d.l. n. 312 del 1985 aveva espressamente
fatto salve le competenze delle suddette Regioni e delle Province
autonome di Trento e Bolzano (art. 1, comma sesto).
La legge di conversione n. 431 del 1985, per contro. ha ritenuto di
poter evitare il rispetto delle competenze di Regioni e Province
autonome, sopprimendo la suindicata clausola di salvezza e qualificando
espressamente, nell'art. 2, comma primo, "le disposizioni di cui
all'art. 1 del decreto legge", come "norme fondamentali di riforma
economico-sociale della Repubblica".
Tale espediente non è tuttavia idoneo, ad avviso della ricorrente,
a consentire il sacrificio delle competenze esclusive della Regione.
Invero, non può valere ad attribuire alle disposizioni degli artt.
da 1 a 1-sexies della legge n. 431 del 1985 la natura di "norme
fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica "la mera
autodefinizione contenuta nell'art. 2, dovendo siffatta natura essere
ricercata nell'oggetto della normativa, nella sua motivazione
politico-sociale, nel suo scopo, nel suo contenuto, nelle modificazioni
che essa apporta nei rapporti sociali (Corte cost. sent. n. 219 del
1984).
Detta indagine, d'altro canto, conduce, per la legge n. 431 del
1985, ad esito negativo, in quanto:
a) l'art. 1 di essa si pone come completamento dell'art. 82 del
d.P.R. n. 616 del 1977, che regola la competenza delegata alle Regioni
a statuto ordinario in materia paesistica, e non può quindi
costituire, per la sua specifica portata, riforma economico-sociale, e
meno che mai nei confronti delle regioni a statuto speciale, alle quali
norme di rango costituzionale attribuiscono una competenza legislativa
primaria in materia di paesaggio;
b) previsioni essenziali della disciplina in questione hanno
efficacia di norme meramente provvisorie, temporanee e di urgenza (come
gli artt. 1-quinquies ed 1-ter), il che appare difficilmente
conciliabile con la pretesa di considerare la legge come "riforma
economico-sociale".
In subordine, osserva ancora la ricorrente, anche ammettendo che la
legge impugnata integri gli estremi di una "riforma economico-sociale",
è da escludere che tutte le disposizioni della legge possano ricevere
la qualifica di "norme fondamentali" dell'asserita riforma, ed in
particolare che abbiano tale natura le norme di dettaglio e quelle
procedimentali. Dovrà quindi essere la Corte costituzionale ad
individuare, in tale subordinata ipotesi, le previsioni concretanti
"norme fondamentali".
Deduce inoltre la Regione Valle d'Aosta che la legge impugnata è
costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 2, 3 e 4
dello Statuto, in quanto priva la ricorrente delle competenze
amministrative ad essa spettanti in via esclusiva nelle materie del
paesaggio, dell'urbanistica, delle foreste, delle acque pubbliche e
degli usi civici, in corrispondenza alla competenza legislativa
esclusiva su dette materie, degradando tali competenze amministrative
esclusive a mere competenze delegate - il che discende dall'essere la
normativa formulata come integrazione dell'art. 82 del d.P.R. n. 616
del 1977, che delega competenze amministrative alle Regioni in materia
di paesaggio - e, sotto certi profili, a competenze di organo
sottordinato al Ministero per i beni culturali e ambientali - come si
desume dai poteri di sostituzione e di annullamento riconosciuti
all'amministrazione centrale (art. l, comma quinto, l. n. 431 del 1985)
-.
E la denunciata illegittimità costituzionale permane anche
riconoscendo alle disposizioni della legge impugnata la qualifica di
"norme fondamentali di riforma economico-sociale" poiché una legge di
riforma adottata con legge ordinaria non puo trasferire, in contrasto
con norme statutarie di rango costituzionale, competenze che queste
ultime norme hanno attribuito alla Regione. Altrimenti si
verificherebbe l'assurdo della modifica di una legge costituzionale da
parte di una legge ordinaria.
2.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a
mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o comunque infondato.
Deduce l'interveniente che l'art. 2 della legge n. 431 del 1985,
che definisce le disposizioni dell'art. 1 del decreto legge n. 312 del
1985 come norme fondamentali di riforma economic -sociale della
Repubblica, non contraddice quanto stabilito dal sesto comma dell'art.1
del citato decreto legge (non convertito) circa la salvezza delle
competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome,
ma costituisce una più corretta definizione del valore delle nuove
norme emanate in materia paesistica in rapporto agli ordinamenti delle
autonomie speciali.
Tra le disposizioni dell'art. 1 del decreto legge, nel testo
risultante dalla conversione, non sembrano immeritevoli della suddetta
qualificazione (ovviamente soggetta al vaglio della Corte), i primi
quattro commi, che delimitano l'ambito oggettivo della nuova
disciplina, ravvisando in "tipologie territoriali" puntualmente
definite (coste marittime; zone contermini ai fiumi, ai torrenti ed ai
laghi; boschi e foreste; zone umide; zone montuose eccedenti
determinate quote; ghiacciai; vulcani ecc.) i tratti caratteristici del
territorio nazionale che concorrono in modo essenziale a costituire il
"paesaggio" come bene costituzionalmente protetto (art. 9 Cost.), e che
in quanto tali vanno sottoposti ad un regime di tutela idoneo a
garantirne la salvaguardia, privilegiando le esigenze di conservazione
su quelle di trasformazione del territorio suscettive di compromettere
i valori paesistici.
Trattasi di innovazione legislativa di largo respiro, capace di
realizzare una inversione di tendenza sui processi economici, e di
promuovere, sul piano sociale, le esigenze connesse ad una migliore
qualità della vita.
Alle disposizioni suddette non può quindi negarsi natura di "norme
fondamentali", idonee a fungere da limite all'autonomia regionale, in
quanto, in presenza di scelte di fondo, quali sono quelle finalizzate
alla realizzazione di un ambiente vivibile, non possono essere
accettati squilibri nell'ambito della collettività nazionale.
D'altronde, anche la Comunità Economica Europea ha incluso la
materia ambientale nella sua politica di armonizzazione dei sistemi
economici e sociali dei paesi membri. Attraverso direttive che fissano
standards di qualità ambientali da garantire in tutto il territorio
comunitario, la CEE mira ad evitare che un eccessivo divario delle
politiche nazionali di tutela ambientale crei troppo gravi disparità
nell'esercizio delle attività economiche e nelle condizioni di vita
presso le diverse comunità nazionali.
3. - La Provincia autonoma di Bolzano, in persona del Presidente
della Giunta provinciale, ha promosso, con ricorso notificato il 21
settembre 1985 e depositato il 25 settembre 1985 (R.r. n. 37/85),
questione di legittimità costituzionale della legge 8 agosto 1985, n.
431, nel suo complesso ed in special modo in riferimento all'art. 2,
per violazione degli artt. 3, comma terzo; 8, nn. 3, 5, 6, 7, 16, 21 e
24; e 16, comma primo, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto
speciale per il Trentino Alto-Adige), e relative norme di attuazione,
adottate con d.P.R. 17 luglio 1952, n. 1064, in materia di usi civici;
d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, in materia di urbanistica e di opere
pubbliche; d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 48, sui beni del patrimonio
storico e artistico di interesse nazionale; d.P.R. 1 novembre 1973, n.
690, sulla tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e
popolare; d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279, in materia di minime proprietà
culturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste.
3.1. - Osserva la ricorrente che lo Statuto speciale della Regione
Trentino Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) attribuisce alla
Provincia potestà legislativa primaria in materia di "tutela e
conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare";
"urbanistica e piani regolatori"; "tutela del paesaggio"; "usi civici";
"Alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna";
"agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico ed
ittico, istituti fitopatologici, consorzi, bonifica"; "opere idrauliche
della terza, quarta e quinta categoria" (art. 8, rispettivamente nn. 3,
5, 6, 7, 16, 21 e 24, Statuto). In base all'art. 16 dello Statuto
spettano altresì alla Provincia, nelle stesse materie e con gli stessi
limiti inerenti alla potestà legislativa, le corrispondenti potestà
amministrative. A seguito delle norme di attuazione dello Statuto, la
Provincia ha la piena disponibilità di tali competenze legislative ed
amministrative.
Le competenze così trasferite sono state - secondo quanto afferma
la ricorrente - ampiamente esercitate. In particolare, la legge
provinciale 25 luglio 1970, n. 16, ha stabilito una esaustiva
disciplina della tutela del paesaggio, sottoponendo a tutela generica
tutto il territorio della Provincia (art. 1, commi primo e secondo) e
prevedendo una forma di tutela specifica, attraverso l'individuazione
di singole categorie di beni (art. 1, comma primo, lett. a, b, c, d, e)
da assoggettare a specifico vincolo paesistico. Tale vincolo, che
comporta per i proprietari l'obbligo di conservare come tali i beni
(artt. 5 e 7) e di ottenere preventiva autorizzazione dal Sindaco (art.
8) per ogni lavoro che importi modificazione dei beni stessi, può
essere introdotto in due modi: o attraverso l'emanazione di un decreto
ad hoc per i beni specificamente e individualmente determinati; ovvero
a mezzo della inclusione, nei piani urbanistici, di previsioni
paesaggistiche per zone.
Secondo la ricorrente, sulla base di tale disciplina legislativa
gran parte del territorio della Provincia è stata sottoposta a vincolo
paesistico.
Precisate così le proprie competenze legislative ed amministrative
e il modo con cui sono state esercitate, assume la ricorrente che la
legge n. 431 del 1985 (di conversione, con ampie modifiche, del d.l. n.
312 del 1985, il quale, a sua volta, recepiva sostanzialmente il d.m.
21 settembre 1984) non può essere ritenuta applicabile in toto nel
territorio provinciale, essendo in gran parte formulata come disciplina
integrativa del d.P.R. n. 616 del 1977, relativo alle sole Regioni a
Statuto ordinario. Ove, però - stante la soppressione in sede di
conversione del decreto legge della clausola di salvezza delle
competenze delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome
di Trento e di Bolzano, e soprattutto in virtù del fatto che l'art. 2
della legge assimila le disposizioni contenute nell'art. 1 della stessa
legge alle "norme fondamentali delle riforme economico-sociali" - si
volesse ritenere che la nuova disciplina è applicabile in toto anche
alla Provincia ricorrente, la legge sarebbe palesemente
incostituzionale e lesiva delle competenze costituzionalmente garantite
alla Provincia stessa.
Non solo, infatti, la legge impugnata ha preteso di intervenire in
una materia che è di esclusiva competenza provinciale; ma ciò è
avvenuto con una disciplina estremamente analitica, e del tutto
incompatibile con quella precedentemente adottata dalla Provincia e che
aveva del resto già permesso una efficace tutela dell'ambiente.
Soggiunge altresì la ricorrente che gli ulteriori interventi del
Ministero dei beni culturali previsti dalla legge, se pure si volessero
ritenere ammissibili nei confronti delle Regioni a Statuto ordinario,
sono del tutto inconciliabili con la speciale autonomia (anche
amministrativa) costituzionalmente riconosciuta alla Provincia di
Bolzano: tanto più se manchi - come nella specie manca - qualsiasi
previsione di forme di coordinamento fra le discipline statali e
provinciali e di collaborazione fra i due enti.
Osserva anche la ricorrente che anche l'attribuzione al Ministro
per i beni culturali di poteri sostitutivi viola gravemente le
competenze regionali. E ciò per due ordini di motivi: in primo luogo,
perché l'attribuzione al Governo del potere di adottare provvedimenti
sostitutivi nel caso di inattività della Provincia è ammissibile solo
in relazione alle funzioni amministrative delegate dallo Stato (mentre
qui si verte in materia di competenza propria ed esclusiva della
Provincia); in secondo luogo, perché, in ogni caso, il potere di
adottare eventuali provvedimenti sostitutivi non spetta al singolo
Ministro, ma semmai al Consiglio dei ministri su proposta del Ministro
competente (cfr. art. 16, ultimo comma, d.P.R. 22 marzo 1974, n.
381).
In particolare, la ricorrente afferma l'incostituzionalità
dell'art. 2, comma primo, della legge, mediante il quale si vorrebbe
imporre alla Provincia il rispetto di tutte le disposizioni stabilite
dall'art. 1 della stessa legge, equiparandole a norme fondamentali di
riforme economico-sociali.
La natura di riforma economico-sociale deve risultare
obiettivamente - come ha insegnato la Corte costituzionale nella sent.
n. 219 del 1984 - dall'oggetto della normativa, dai suoi scopi e
contenuti, dalle modificazioni che essa apporta nei rapporti
preesistenti. La legge impugnata, invece, non costituisce una
sostanziale e positiva riforma della disciplina per la tutela dei beni
ambientali, rispetto alla disciplina - più organica ed avanzata - già
vigente nella Provincia di Bolzano; né innova sostanzialmente la
precedente disciplina legislativa della materia che continua ad essere
quella già stabilita dalla legge n. 1497 del 1939. La legge ha in
realtà contenuto provvedimentale; si tratta di legge meramente
formale, il cui contenuto è quello di un atto amministrativo plurimo,
diretto a porre un vincolo, limitato nel tempo, su beni di varie
categorie, già esistenti ed individuabili.
Egualmente non possono essere considerate norme fondamentali di una
legge di riforma le disposizioni - pur esse contenute nell'art. 1 - che
attengono alle procedure di autorizzazione ed alle competenze del
Ministro dei beni culturali ed ambientali: anche tali disposizioni -
oltre ad avere carattere analitico e puntuale - sono solo integrazione
e specificazione di quanto già disposto da leggi preesistenti.
3.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a
mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o comunque infondato, svolgendo argomentazioni
coincidenti con quelle riportate supra sub 2.2.
4. - La Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente
della Giunta provinciale, ha promosso, con ricorso notificato il 21
settembre 1985 e depositato il 26 settembre 1985 (R.r. n. 38/1985),
questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, in tutto o in
parte, della legge 8 agosto 1985, n. 431, per violazione degli artt. 3;
8, nn. 3, 5, 6, 7, 16, 21 e 24; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
4.1. - Osserva la ricorrente che l'art. 2 della legge n 431 del
1985, equiparando le disposizioni contenute nell'art. 1 della legge
alle "norme fondamentali di riforme economico-sociali" e rendendole
così applicabili anche alla Provincia autonoma di Trento, viola le
competenze costituzionalmente garantite della Provincia.
La ricorrente non contesta il fatto che la potestà legislativa
primaria della Provincia sia limitata dalle norme fondamentali delle
riforme economico-sociali; né tantomeno contesta l'opportunità di un
intervento più energico dello Stato per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale.
Non è tuttavia ammissibile che tale risultato sia raggiunto
attraverso una normativa quale quella impugnata, costituita non solo da
nuovi principi, ma anche da una serie di norme applicative che
prevedono specifiche competenze di organi dello Stato, nell'ambito di
materie che sono di esclusiva spettanza della Provincia.
Alla luce di quanto insegnato dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 219 del 1984, secondo cui la natura di riforma
economico-sociale di una normativa "non può essere determinata dalla
sola apodittica affermazione del legislatore", ma "deve ricercarsi
nell'oggetto della normativa, nella sua motivazione politico - sociale,
nel suo scopo, nel suo contenuto, nella modificazione che essa apporta
nei rapporti sociali", può dubitarsi che le disposizioni dell'art. 1
della legge costituiscano "norme fondamentali di riforma
economico-sociale"
Non si vede, infatti, come tali disposizioni, che riproducono le
norme di un precedente decreto emanato dal Ministro per i beni
culturali ed ambientali in applicazione dell'art. 82 del d.P.R. n. 616
del 1977, al solo scopo di integrare gli elenchi delle bellezze
naturali e di insieme, possano essere divenute, nel passaggio dal
decreto ministeriale al decreto legge e poi alla legge, norme
fondamentali di riforma economico-sociale. E tale dubbio è tanto più
forte, se si tiene presente che si tratta di norme aventi carattere
soprattutto procedimentale, che si aggiungono al sistema normativo
preesistente, senza modificarlo, ed integrano l'art. 82 del d.P.R. n.
616 del 1977, relativo alle sole Regioni a Statuto ordinario.
Ma, quand'anche si ritenesse che la l. n. 431 costituisca nel suo
insieme una riforma economico-sociale, tale caratteristica non spetta
certo - a giudizio della ricorrente - a quelle disposizioni che,
introducendo nuovi vincoli, attribuiscono ad organi dello Stato
funzioni amministrative in materie che sono di competenza esclusiva
della Provincia, ovvero, innovando le procedure esistenti, sottraggono
agli organi della Provincia attribuzioni che a loro competono.
Se, infatti, secondo quanto dispone l'art. 2 della legge, si
ritenessero applicabili alla Provincia di Trento tutte le disposizioni
contenute all'art. 1, si ricondurrebbero in capo al Ministro una serie
di poteri, altrimenti spettanti alla Provincia. In particolare, l'art.
1 attribuisce al Ministro: a) il potere di provvedere in via
sostitutiva sulla richiesta di autorizzazione di cui all'art. 7 della
l. 29 giugno 1939, n. 1497, quando l'autorizzazione non sia stata
rilasciata o sia stata negata alla Provincia; b) il potere di annullare
in ogni caso, con provvedimento motivato, l'autorizzazione provinciale;
c) il potere di rilasciare o negare, per le opere da eseguirsi da
amministrazioni statali, l'autorizzazione di cui al citato art. 7, "in
difformità dalla decisione dell'amministrazione regionale" (o
provinciale), anziché prevedere che in questi casi si proceda
d'intesa, secondo il principio che "la tutela del paesaggio presuppone,
normalmente, la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi,
in particolare degli interessi pubblici rappresentati da una pluralità
di soggetti, la cui intesa è perciò necessario perseguire di volta in
volta" (Corte cost. sent. n. 94 del 1985). Lo stesso art. 1 attribuisce
inoltre agli organi del Ministero: d) il potere di vigilare anch'essi
sull'osservanza dei vincoli posti dal primo comma dell'art. 1, dando
vita così a una gestione congiunta (statale e provinciale) della
vigilanza.
Analogamente, se si ritenessero applicabili tutte le disposizioni
dell'art. 1, si pretenderebbe che valgano anche in Provincia di Trento
disposizioni con le quali viene precluso, in ordine a determinati beni
od interventi, l'esercizio di poteri della Provincia. Ciò vale in
particolare: a) per la norma secondo cui l'autorizzazione ex art. 7
legge n. 1497 non è richiesta per gli interventi di manutenzione
ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro
conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore
degli edifici, ecc.; b) per la norma che esclude dal vincolo di cui al
primo comma le zone A e B e, limitatamente alle parti ricomprese nei
piani pluriennali di attuazione, le altre zone delimitate negli
strumenti urbanistici, ecc.; c) per la norma che esclude ogni potere
della Provincia, anche sotto forma di intesa con le amministrazioni
statali, per le autorizzazioni di cui sopra nei riguardi delle
attività di ricerca ed estrazione di cui al R.D. 29 luglio 1927, n.
1443.
A giudizio della ricorrente, tali norme, regolando solamente le
modalità applicative dei nuovi principi eventualmente posti dalla l.
n. 431 del 1985, non possono essere considerate norme fondamentali di
riforma economico-sociale; in ogni caso, se, in quanto norme
fondamentali, fossero ritenute applicabili alla Provincia di Trento,
sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto altererebbero
l'ordine delle competenze previste dallo Statuto speciale, avendo la
Provincia competenza legislativa primaria in tutte le materie (tutela
del paesaggio, urbanistica e piani regolatori, usi civici, agricoltura
e parchi per la protezione della flora e della fauna, agricoltura e
foreste, opere idrauliche, ecc.) incise dalle disposizioni citate, e
avendo da tempo legiferato in tali materie (v. le leggi prov. 6
settembre 1971, n. 12; 20 marzo 1973, n. 12; 6 settembre 1974, n. 19;
19 novembre 1979, n. 11; 20 febbraio 1981, n. 2, tutte in materia di
tutela del paesaggio, e dal cui insieme risulta un sistema
sensibilmente diverso da quello della l. n. 1497 del 1939).
Deduce altresì la ricorrente che in sede di conversione del
decreto legge n. 312 del 1985, il Senato, non volendo addivenire, per
evitare la decadenza del decreto legge, ad una modifica del testo
formulato dalla Camera dei deputati relativamente alla applicabilità
della legge alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province autonome,
approvava un ordine del giorno con il quale si impegnava il Governo "a
coerentemente interpretare la disposizione contenuta nell'art. 2 del
disegno di legge di conversione nel senso che costituiscono norme
fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica i principi
desumibili dalla disciplina posta dall'art. 1 del decreto-legge n. 312,
e non le singole disposizioni normative in cui tali principi sono stati
tradotti nella stesura dell'articolo in parola, così come formulato
dall'altro ramo del Parlamento" (v.343 Resoconto sommario, Seduta del 2
agosto 1985, pagg. 14-15).
L'ordine del giorno veniva accettato, a nome del Governo, dal
Sottosegretario Galasso, che aggiungeva che l'art. 2 "non potrebbe che
essere interpretato nel senso che le norme fondamentali di riforma
economico-sociale devono essere desunte dal complesso della disciplina
posta dall'art. 1 del decreto legge e non già dalla sua articolazione
letterale".
Ragioni di incostituzionalità analoghe a quelle sopra enunciate
varrebbero - a giudizio della ricorrente - nei confronti della norma
impugnata se tra le disposizioni che sono dichiarate essere norme
fondamentali di riforma economico-sociale dovessero ricomprendersi
anche le disposizioni degli artt. 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinquies e
1 - sexies introdotti dalla legge n. 431 del 1985, disposizioni che, in
realtà, non sono richiamate dall'art. 2 (che si riferisce alle
disposizioni di cui "all'art. 1 del decreto-legge 27 giugno 1985, n.
312 ... come convertito dalla presente legge) e sono formulate in modo
da essere riferite alle sole Regioni a Statuto ordinario.
4.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a
mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o comunque infondato, svolgendo argomentazioni
coincidenti con quelle riportate supra sub 2.2.
5. - La Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente
della Giunta regionale, ha promosso, con ricorso notificato il 20
settembre 1985 e depositato il 27 settembre 1985 (R.r. n. 40/85),
questione di legittimità costituzionale della legge 8 agosto 1985, n.
431, per la parte in cui la disciplina in essa prevista concerne la
Regione, con violazione dell'art. 4 n. 12, legge cost. 31 gennaio 1963,
n. 1 (Statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia) (in relazione
all'art. 80 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616); dell'art. 22, d.P.R. 26
agosto 1965, n. 1116; dell'art. 27, d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902 (in
relazione all'art. 1, d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8); nonché dell'art.
58, legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1.
5.1. - Assume la ricorrente che l'art. 2 della legge ha qualificato
le disposizioni contenute nell'art. 1 come "norme fondamentali di
riforma economico-sociale" solo per permettere l'applicazione di
quell'articolo anche alle Regioni a Statuto speciale e alle Province
autonome di Trento e Bolzano (capovolgendo così l'impostazione del
decreto-legge che faceva salve le loro competenze).
Ma la qualificazione operata dal legislatore non è sufficiente -
come ha insegnato la sent. n. 219 del 1984 della Corte costituzionale -
ad attribuire il carattere di norma fondamentale di riforma
economico-sociale a qualsivoglia normativa; e nel caso di specie la
qualificazione anzidetta non corrisponde al reale oggetto della
normativa.
Il diretto ed immediato assoggettamento a vincolo paesaggistico,
indiscriminatamente e senza limitazioni, di tutta una serie di "beni e
luoghi", indicati per categorie (in ciò si sostanzia - secondo la
ricorrente - il contenuto dell'art. 1), non può essere considerato
norma fondamentale di una riforma economico-sociale, ma costituisce
piuttosto violazione sostanziale di un principio generale
dell'ordinamento giuridico, quale è il principio del giusto
procedimento. Secondo tale principio, come enucleato dalla sent. n. 13
del 1962 della Corte costituzionale, quando il legislatore dispone che
si apportino limitazioni ai diritti dei cittadini, la legge enuncia di
regola delle "ipotesi astratte, predisponendo un procedimento
amministrativo attraverso il quale gli organi competenti provvedono ad
imporre concretamente tali limiti, dopo aver fatto gli opportuni
accertamenti, con la collaborazione, ove occorra, di altri organi
pubblici, e dopo aver messo i privati interessati in condizioni di
esporre le proprie ragioni, sia a tutela dei propri interessi, sia a
titolo di collaborazione nell'interesse pubblico".
La normativa impugnata, invece, si caratterizza - a giudizio della
ricorrente - solo per la soppressione di ogni procedimento
amministrativo per l'individuazione dei beni e dei luoghi sottoposti a
vincolo paesaggistico. Le leggi vigenti non impedivano di assoggettare
al vincolo i beni e i luoghi ora direttamente individuati dal
legislatore: impedivano solo che a tale risultato si pervenisse senza
un previo procedimento amministrativo. L'aver violato, allora, un
principio generale dell'ordinamento non può certo costituire norma
fondamentale di riforma economico-sociale.
Deduce altresì la ricorrente che la legge n. 431 del 1985 viola
l'art. 4, n. 12, dello Statuto speciale che attribuisce alla Regione
competenza legislativa primaria in materia urbanistica. Nell'esercizio
di tale competenza la Regione si è dotata di una legge urbanistica (L.
r. 9 aprile 1968, n. 23, modificata da L. r. 17 luglio 1972, n. 30), la
quale prevede, fra l'altro, la formazione di un piano urbanistico
regionale (già formato ed approvato, con il "riconoscimento" - ai
sensi dell'art. 3, lett. c, della legge - delle zone a carattere
storico, ambientale e paesistico, e l'indicazione dei territori che
dovranno essere destinati a parchi naturali) e di tanti piani zonali
quante sono le zone socio-economiche.
Sotto un primo profilo, la legge n. 431 viola la competenza
primaria della Regione (art. 4, n. 12, legge cost. 31 gennaio 1963, n.
1, in relazione all'art. 80, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; art. 22
d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116 e art. 27, d.P.R. 25 novembre 1975, n.
902, in relazione all'art. 1, d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8), in quanto
incide "sugli aspetti conoscitivi e normativi" della disciplina del
territorio (in conseguenza di essa, infatti, la Regione sarà costretta
a ridisegnare il piano generale del territorio regionale, per
accogliervi beni e località vincolati, che, in concreto, possono anche
non avere il minimo pregio ambientale, e a riformulare l'intera
pianificazione subordinata); e ciò, senza prevedere un adeguato
coordinamento con quanto sia stato già fatto a livello regionale,
nell'esercizio di potestà costituzionalmente garantite.
La stessa diretta indicazione di beni e luoghi vincolati da parte
del legislatore, non solo comprime i diritti dei cittadini, senza la
garanzia del giusto procedimento, ma menoma i poteri regionali di
valutazione e di scelta, poteri sicuramente non dissociabili dalla
potestà di pianificazione.
La competenza regionale è altresì violata per ciò che attiene
agli aspetti gestionali, in quanto la legge estende il campo delle
autorizzazioni amministrative ex art. 7 legge n. 1497 del 1939, creando
seri ostacoli alle iniziative edilizie, pubbliche e private.
La legge impugnata, infine, moltiplica irragionevolmente gli
interventi ministeriali concorrenti a quelli regionali, congegnandoli a
guisa di controlli sistematici di merito sui medesimi oggetti (cfr.
nono e ultimo comma dell'art. 82, d.P.R. n. 616 del 1977, come
modificato dalla legge n. 431 del 1985; secondo comma dell'art. 1-bis;
secondo comma dell'art. 1-quater), violando, oltre l'art. 4, n. 12,
anche l'art. 58 dello Statuto di autonomia.
5.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a
mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o comunque infondato.
Osserva l'interveniente che la ricorrente Regione, nella materia
della tutela del paesaggio - materia cui ineriscono le disposizioni
della legge impugnata -, non ha competenza legislativa primaria, ma
può solo emanare norme di integrazione ed attuazione (art. 6, n. 3,
dello Statuto); sul piano delle funzioni amministrative, la Regione non
è stata destinataria di delega per la gestione dei beni ambientali
(come è accaduto per le Regioni a Statuto ordinario: art. 82, d.P.R.
n. 616 del 1977). La doglianza regionale, secondo cui le disposizioni
impugnate ridonderebbero nella materia urbanistica, violando la
competenza legislativa primaria della Regione in tale materia, non può
pertanto ritenersi fondata: va infatti ribadita l'autonomia della
materia paesistica da quella urbanistica (come risulta anche dalla loro
separata considerazione nello Statuto regionale).
D'altra parte, la "tutela del paesaggio" non si limita a pervadere
funzioni pubbliche di varia connotazione oggettiva (agricoltura e
foreste, urbanistica. ecc.), ma è affidata ad un autonomo apparato
giuridico-amministrativo, la cui struttura portante è ancora
costituita dalla legge n. 1497 del 1939.
Il vincolo di tutela paesistica da questa legge istituito e
regolato opera con finalità ed effetti che non si elidono o non si
confondono con quelli propri della regolamentazione di altri settori:
appartiene, invece, alla logica stessa del sistema che su un medesimo
dato oggettivo (ad es. una superficie boschiva) operino in modo
indipendente, e quindi cumulativo, gli effetti di un vincolo
paesistico, di una disciplina di assetto forestale o di una
prescrizione urbanistica.
È quindi perfettamente fisiologico che l'esercizio della funzione
di tutela del paesaggio - sia in sede legislativa che amministrativa -
non resti priva di ripercussioni sulle condizioni di gestione di altri
settori di intervento pubblico: questi altri settori ne restano però
influenzati soltanto ab externo, né, a causa di tali effetti puramente
riflessi, si può affermare che misure adottate a fini di tutela
paesistica comportino di per sé una ingerenza nell'amministrazione di
altre materie (un esempio recente dell'atteggiarsi di queste relazioni
è dato dalla legge n. 47 del 1985).
Alla luce di queste osservazioni (e della sentenza della Corte
costituzionale n. 141 del 1972), si può - secondo l'interveniente -
concludere che la legge n. 431 del 1985, regolando la tutela delle
bellezze naturali sul territorio nazionale, non pertiene ad una materia
sulla quale la Regione Friuli-Venezia Giulia abbia potestà legislativa
primaria.
Deduce altresì l'Avvocatura dello Stato l'inammissibilità delle
argomentazioni della ricorrente relative alla violazione del principio
del giusto procedimento, dovendo il giudizio principale di legittimità
costituzionale promosso da una Regione contro una legge dello Stato
restare circoscritto ai profili concernenti l'incidenza dell'atto
legislativo sulla sfera di competenze costituzionalmente garantite alla
Regione.
Il richiamo alla sent. n. 13 del 1962 della Corte costituzionale
(che dichiarò illegittima una legge valdostana che imponeva il vincolo
paesistico su tutto il territorio regionale) appare comunque non
pertinente, in quanto la legge n. 431 del 1985, pur imponendo ex lege
un vincolo di tutela paesistica, ha operato con metodo affatto diverso,
facendo ricadere i suoi effetti su ambiti territoriali individuati in
funzione della presenza di caratteri morfologici che rivestono una
indubbia rilevanza come elementi costitutivi del paesaggio.
6. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica hanno depositato memorie
illustrative, svolgendo anche ulteriori considerazioni, le Regioni
Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di
Bolzano.
Considerato in diritto:
1. - I giudizi introdotti con i ricorsi di cui in epigrafe si
prestano ad essere esaminati congiuntamente e definiti con unica
decisione. Infatti il ricorso proposto dalla Regione Veneto ha per
oggetto l'impugnazione diretta del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312
(recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale) mentre i ricorsi proposti rispettivamente dalla
Regione Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione Val d'Aosta, dalla
Provincia autonoma di Bolzano e dalla Provincia autonoma di Trento
hanno per oggetto l'impugnazione diretta della legge 8 agosto 1985, n.
431, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge sopra
indicato.
2. - È noto che, annullato con sentenza del TAR del Lazio 31
maggio 1985, n. 1548, l'art. 1 del decreto del Ministero dei beni
ambientali e culturali 21 settembre 1984 (c.d. decreto Galasso) - con
cui era stato imposto vincolo paesistico su una serie di zone e di
località individuate ed elencate per categorie - l'imposizione è
stata sostanzialmente recepita nel decreto-legge n. 312 del 1985, ora
impugnato dalla Regione Veneto.
Poiché l'art. 1 del decreto in cui è racchiusa la detta
imposizione, oggetto precipuo delle censure della Regione, è stato
sostituito in sede di conversione, le censure vengono ad appuntarsi
contro la norma contenuta nella disposizione sostitutiva - art. 1 della
legge n. 431 del 1985 - con la quale sono riprodotte l'imposizione
stessa e l'elencazione, pur ampliata, delle zone e località protette;
norma, questa, che ha, come già nel decreto-legge, carattere centrale
e qualificante nella legge di conversione, e che costituisce la chiave
di volta dell'intera nuova normativa.
3. - Deduce appunto la Regione Veneto che la sottoposizione a
vincolo paesistico - con atto avente forza formale di legge, ma
sostanza di provvedimento plurimo - di beni e luoghi, costituenti anche
notevoli porzioni del territorio nazionale, individuati per categorie,
e quindi indipendentemente da una valutazione specifica del loro pregio
estetico, da un lato viola il principio del giusto procedimento,
dall'altro costituisce un intervento statale non solo in materia
paesaggistica, ma anche in materie diverse, di competenza propria della
Regione. Tale intervento, per la penetrazione e l'ampiezza,
importerebbe la compressione delle dette competenze regionali e
comunque lo sconvolgimento dell'assetto del riparto delle competenze
fra Stato e Regione, anche per le inevitabili interferenze reciproche.
Lo sconfinamento dello Stato riguarderebbe la materia urbanistica,
nonché - per la connessione di tale materia, siccome inerente al
governo globale del territorio, con altre interessanti quest'ultimo -
le materie della protezione ambientale, dei parchi, dell'agricoltura e
foreste, degli usi civici: materie tutte attribuite alla competenza
amministrativa della Regione dalla legislazione di trasferimento
(d.P.R. n. 616 del 1977, artt. 80, 83, 66, in relazione alla legge
delega 22 luglio 1975, n. 382, e ancor prima d.P.R. 15 gennaio 1972, n.
8). Trattandosi di legislazione di attuazione degli artt. 117 e 118
Cost., l'intervento normativo denunciato - sempre secondo la ricorrente
- si risolverebbe nella violazione di queste ultime norme
costituzionali ed altresì dell'art. 97 Cost..
Specificamente la Regione sembra sostenere che quando sia
intervenuto un trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni e
così un assetto normativo dell'ordine delle competenze dei due enti,
tanto più se rispondente (come quello disposto con la legge n. 382 e
con il decreto n. 616) a dichiarate esigenze di completamento, e
perciò stesso di tendenziale definitività o almeno stabilità, è
configurabile una violazione degli artt. 117 e 118 Cost. se intervenga
un "improvviso" mutamento, non rispettoso almeno del nucleo di quello
preesistente (nella specie, il criterio della preordinazione di un
esercizio organico delle funzioni trasferite).
L'introdotta modificazione si sarebbe anzi risolta - con ancor più
evidente violazione degli indicati precetti costituzionali - in un
sostanziale riassorbimento da parte dello Stato delle competenze
regionali trasferite nella materia urbanistica e nelle altre connesse
come sopra menzionate, nelle quali si concreta la protezione
ambientale.
E, sotto altro aspetto, la denunciata violazione sarebbe
perpetrata, o resa più manifesta, dalla arbitrarietà della
modificazione riappropriativa da parte dello Stato, modificazione non
giustificata da criteri razionalmente correlati alla natura obbiettiva
dei beni protetti, ma riferibile al tentativo dello Stato di ritagliare
(a proprio favore) un'autonoma materia ambientale da quelle - in cui la
prima, invece, sempre secondo la ricorrente, necessariamente si risolve
- dell'urbanistica e delle altre connesse.
I vizi sarebbero infine aggravati dalla mancata previsione di
strumenti procedimentali di coordinamento, idonei a prevenire o a
comporre le interferenze fra le competenze statali e quelle regionali,
interferenze rese inevitabili dall'estensione delle prime.
4. - Va premesso che il richiamo all'art. 97 Cost. non è idoneo a
sostanziare un'autonoma censura quando, come nel caso, si tratti di
impugnazione diretta di una legge dello Stato da parte della Regione ai
sensi dell'art. 2, l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1. Tale impugnazione,
infatti, è istituzionalmente destinata a far valere non già la
violazione di qualsiasi precetto costituzionale (e neppure di quelli
che attengono all'organizzazione amministrativa in sé considerata) ma
soltanto di quelli che individuano la sfera delle competenze regionali
costituzionalmente garantite.
Va premesso altresì che è analogamente fuori luogo il ripetuto
richiamo alla violazione del principio del giusto procedimento. Il
principio, infatti, a parte la questione se esso abbia natura
costituzionale, è strettamente collegato con la tutela delle
situazioni dei cittadini nei confronti dei pubblici poteri (in tal
senso, con riferimento all'art. 42 Cost., la sentenza di questa Corte
n. 13 del 1962 lo ha definito un principio generale dell'ordinamento
giuridico dello Stato), ma non concerne la tutela di competenze
regionali costituzionalmente garantite, che è oggetto del giudizio di
impugnazione diretta.
Ciò detto, per dare adeguata soluzione alle questioni
pertinentemente poste in riferimento alla violazione degli artt. 117 e
118 Cost., è necessario considerare che la norma impugnata si discosta
nettamente dalla disciplina delle bellezze naturali contenuta nella
legislazione precostituzionale di settore (legge 29 giugno 1939, n.
1497). Infatti quella disciplina prevede una tutela diretta alla
preservazione di cose e di località di particolare pregio estetico
isolatamente considerate. La normativa impugnata, invece, proprio per
l'estensione e la correlativa intensità dell'intervento protettivo -
imposizione del vincolo paesistico (e quindi preclusione di sostanziali
alterazioni della forma del territorio) in ordine a vaste porzioni e a
numerosi elementi del territorio stesso individuati secondo tipologie
paesistiche ubicazionali o morfologiche rispondenti a criteri
largamente diffusi e consolidati nel lungo tempo - introduce una tutela
del paesaggio improntata a integralità e globalità, vale a dire
implicante una riconsiderazione assidua dell'intero territorio
nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale.
Una tutela così concepita è aderente al precetto dell'art. 9
Cost., il quale, secondo una scelta operata al più alto livello
dell'ordinamento, assume il detto valore come primario (cfr. sentenze
di questa Corte n. 94 del 1985 e n. 359 del 1985), cioè come
insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro.
Essa non esclude né assorbe la configurazione dell'urbanistica
quale funzione ordinatrice, ai fini della reciproca compatibilità,
degli usi e delle trasformazioni del suolo nella dimensione spaziale
considerata e nei tempi ordinatori previsti: funzione attribuita, con
l'art. 80 del d.P.R. n. 616 del 1977, in attuazione degli artt. 117 e
118 Cost., alla Regione (cfr. sentenze di questa Corte n. 239 del 1982
e n. 359 del 1985).
Peraltro, i problemi concernenti il rapporto fra competenze statali
e competenze regionali che una siffatta tutela paesaggistica pone
all'interno di sé medesima e nei confronti dell'urbanistica, e,
tramite questa, di altre discipline, non sono ignorati dalla nuova
normativa, la quale, come si vedrà meglio in prosieguo, accoglie in
proposito soluzioni correttamente atteggiate, nella direttrice della
primarietà del valore estetico-culturale e della esigenza di una piena
e pronta realizzazione di esso, secondo un modello inspirato al
principio di leale cooperazione (cfr. sentenza di questa Corte n.359
del 1985): principio che, quando si tratti di attuare un valore
primario, può acquistare, in ordine al raccordo suindicato, più ampie
possibilità di applicazione.
5. - Ciò posto, è agevole scendere alla confutazione
particolareggiata delle censure dedotte col ricorso, censure che
traggono origine da altrettante problematiche poste dalla dottrina
regionalistica.
Anche ad ipotizzare - come sostanzialmente fa la ricorrente - una
sorta di tutela dell'affidamento della Regione ordinaria nella
stabilità almeno relativa dell'assetto delle sue competenze derivante
da operazioni devolutive compiute dichiaratamente in attuazione degli
artt. 117 e 118 Cost. e secondo criteri di completezza e di
organicità, non può ovviamente escludersi la legittimità (quanto
all'an) dell'adozione di un nuovo assetto che risponda ad adeguata
concezione o a più pronta ed efficace realizzazione di un valore
costituzionale primario.
Rispetto al contestato riassorbimento delle competenze regionali in
materia urbanistica ed in altre contermini, e all'asserita intrinseca
arbitrarietà (quanto al quomodo) del denunciato nuovo assetto, è
sufficiente osservare che il modo stesso in cui le censure sono
prospettate dimostra che esse muovono da un presupposto erroneo. E
cioè dalla negazione - in contrasto con quanto ritenuto dalle
precedenti sentenze di questa Corte dianzi richiamate - della
configurabilità di un'autonoma disciplina dell'intero territorio
dall'angolo visuale e per l'attuazione del valore estetico culturale
come valore primario, e della sua compatibilità con la nozione lata di
urbanistica ai sensi dell'art. 80 d.P.R. n. 616 del 1977.
Quanto all'esigenza di raccordare competenze regionali e competenze
statali, la nuova normativa, mentre ridisciplina le prime e incrementa
le altre in vista dell'allargamento e potenziamento della tutela
paesistica, vi provvede istituendo fra esse un rapporto di concorrenza,
strutturato in modo che quelle statali sono esercitate (solo) in caso
di mancato esercizio di quelle regionali e (solo) in quanto ciò sia
necessario per il raggiungimento dei fini essenziali della tutela.
In particolare, da un canto l'esercizio delle competenze regionali
in tema di autorizzazioni alle modificazioni del territorio è
assoggettato all'osservanza dei termini (comma nono aggiunto all'art.
82 del d.P.R. n. 616 del 1977 dall'art. 1 del decreto-legge, come
sostituito dall'art. 1 della legge n. 431 del 1985). Dall'altro la
partecipazione dello Stato, dalla mera vigilanza sull'osservanza del
vincolo (già prevista dal comma quarto del testo originario dell'art.
82 del d.P.R. n. 616 del 1977 e ribadita dal comma tredicesimo aggiunto
a questo nel modo sopra indicato), è estesa al momento autorizzatorio
(comma nono citato). Ma l'intervento statale soccorre in caso di
inerzia della Regione, ovvero (salva l'ipotesi di difforme valutazione
di interessi legati all'esecuzione di opere statali) ad estrema difesa
del vincolo (comma nono citato).
È inoltre regolato (art.1-bis aggiunto al decreto legge dalla
legge di conversione) l'esercizio qualificato, e teleologicamente
orientato in senso estetico-culturale, di competenze regionali in tema
di urbanistica (formazione entro un dato termine, in ordine al
territorio inerente alle zone protette, di piani territoriali
paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica
considerazione dei valori paesistici ed ambientali). Momento, questo -
di proiezione della tutela del paesaggio sul piano dell'urbanistica -
di grande rilevanza, perché, pur non obliterando la distinzione fra le
due materie e le relative discipline (l'urbanistica viene soltanto
limitata dal rispetto del valore estetico-culturale e piegata a
realizzarlo), fa emergere della tutela del paesaggio il carattere non
più conservativo e statico, ma gestionale e dinamico (l'intervento
umano è valutato positivamente se controllato e mirato). E
correlativamente sono previsti anche in ordine a tale momento
interventi statali. Ma anche questi interventi soccorrono in caso di
mancato esercizio delle competenze regionali.
Certo, nel quadro così tracciato, il rapporto fra competenze
statali e competenze regionali non può essere valutato alla stregua di
moduli di netta separazione, le cui disfunzioni si tratti di prevenire
o di comporre mediante rigidi correttivi procedimentali. Il detto
rapporto va invece ricostruito alla luce del principio cooperativo, cui
si adegua appunto lo strumento della concorrenza di poteri ordinata nel
modo suindicato.
Le questioni sollevate dalla Regione Veneto sono dunque non
fondate.
6. - Sulla premessa che, con l'art. 2 aggiunto al decreto legge
dalla legge di conversione della quale si tratta, le disposizioni di
cui all'art. 1 come sopra sostituito, atteggiate come altrettanti commi
aggiunti all'art. 82 d.P.R. n. 616 del 1977, sono dichiarate
costitutive di norme fondamentali di riforma economico-sociale della
Repubblica e così di limiti operanti nei confronti della stessa
autonomia speciale, hanno impugnato la legge in argomento (e
particolarmente il detto art. 2): la Regione Friuli-Venezia Giulia, la
Regione Valle d'Aosta, la Provincia autonoma di Bolzano, la Provincia
autonoma di Trento.
L'assunto di fondo, comune a tutte le ricorrenti, è che le
disposizioni suindicate - le quali racchiudono: l'elenco dei beni
vincolati (comma quinto aggiunto); l'indicazione di limiti oggettivi
del vincolo (esclusione delle zone comprese negli abitati o di prevista
espansione dei medesimi: comma sesto aggiunto) e di eccezioni a tali
limiti (comma settimo aggiunto); l'indicazione di limiti del vincolo in
relazione alla natura degli interventi modificativi o del loro oggetto
(commi ottavo e dodicesimo aggiunti); la previsione di poteri regionali
e statali concorrenti nella gestione del vincolo quanto alle
autorizzazioni relative ad interventi modificativi (commi nono, decimo
e undicesimo aggiunti) e quanto alla vigilanza sull'osservanza di esso
(comma tredicesimo aggiunto) - non costituiscono norme fondamentali di
grande riforma economico-sociale, malgrado la definizione della legge,
la quale non sarebbe vincolante in proposito (sent. di questa Corte n.
219 del 1984).
Con una tesi più avanzata (Provincia autonoma di Bolzano) -
rilevato il contrasto fra la contestata qualificazione legislativa e
l'atteggiamento assunto dal Governo in relazione al contenuto del d.m.
21 settembre 1984 anche in occasione di un conflitto davanti a questa
Corte, nonché in relazione al contenuto del decreto-legge n. 312 del
1985 con la riconosciuta salvezza delle autonomie speciali - si
sostiene che non sarebbe ravvisabile nelle (o a base delle)
disposizioni in parola neppure una riforma, non trattandosi di una
innovazione sostanziale rispetto alla disciplina delle bellezze
naturali contenuta nella legge n. 1497 del 1939. A questa tesi può
essere accostata quella, secondo la quale l'esclusione del carattere di
grande riforma deriverebbe dalla previgenza di normative regionali
nella stessa materia più organiche ed avanzate (ricorso stessa
Provincia).
La natura di grande riforma economico-sociale della normativa in
esame sarebbe peraltro obbiettivamente esclusa: da ciò, che essa si
presenta come un'integrazione dell'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977,
e cioè di una disciplina istituzionalmente destinata a regolare una
competenza delegata delle Regioni ordinarie (ricorsi Regione Valle
d'Aosta, Provincia autonoma di Trento); da ciò, che la normativa ha
carattere provvisorio, temporaneo e d'urgenza, come sarebbe dimostrato
dagli artt. 1-ter e 1-quinquies aggiunti al decreto legge dalla legge
di conversione (ricorso Regione Valle d'Aosta); da ciò, che la
normativa stessa è costituita non solo da nuovi principi, ma anche da
una serie di norme applicative concernenti la competenza e il
procedimento (ricorsi Province autonome di Bolzano e di Trento); da
ciò, che la legge impugnata costituisce violazione sostanziale del
principio del giusto procedimento (ricorso Regione Friuli-Venezia
Giulia).
Secondo alcune tesi più caute, espresse in via subordinata,
dovrebbe negarsi natura di norme fondamentali di grande riforma
economico-sociale almeno: alle disposizioni di dettaglio; a quelle
concernenti le competenze e il procedimento (ricorsi Regione Val
d'Aosta e Provincia autonoma di Bolzano); a quelle dirette a delimitare
l'ambito della riforma, precludendo così una disciplina più rigorosa
da parte degli enti dotati di autonomia speciale, o ad escludere la
partecipazione della medesima alla gestione del vincolo,
particolarmente per quanto concerne le attività di ricerca ed
estrattive (ricorso Provincia autonoma di Trento).
In ogni caso, si dovrebbero ritenere assolutamente inconciliabili
con l'autonomia speciale, e quindi non estensibili validamente ad essa
neppure sotto il titolo di norme di grande riforma, le limitazioni
derivanti dalla previsione da parte della legge, peraltro senza
specifica predisposizione di strumenti di coordinamento fra discipline
statali e discipline regionali e di collaborazione fra Stato e Regione,
di ulteriori interventi del Ministero dei beni culturali e ambientali,
e addirittura di poteri sostitutivi dello stesso, poteri questi ultimi
finora configurati anche rispetto alle Regioni ordinarie con
riferimento a competenze soltanto delegate e con la garanzia formale
dell'intervento del Consiglio dei ministri.
Le norme impugnate - secondo le Regioni e le Province ricorrenti -
violerebbero dunque le discipline statutarie ad esse rispettivamente
attributive di competenze legislative primarie e, nei congrui casi, di
competenze amministrative esclusive in materia di tutela del paesaggio
e in altre, attinenti al territorio (artt. 2, 3 e 4 della legge cost.
26 febbraio 1948, n. 4, recante lo Statuto speciale della Valle
d'Aosta; art. 3, comma terzo, art. 8, nn. 3, 5, 6, 7, 16, 21 e 24, e
art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante lo Statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige, con relative norme di attuazione; art. 4,
n. 12, della legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1, recante lo Statuto
speciale per il Friuli-Venezia Giulia, e relative norme di attuazione.
7. - In ordine al ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia va
rilevato che lo Statuto speciale (legge costituzionale n. 1 del 1963)
le conferisce competenza soltanto integrativa e di attuazione in
materia paesaggistica (art. 6, n. 3) e competenza primaria
limitatamente all'urbanistica (art. 4, n. 12). Ciò concorre, in una
con la valutazione della distinzione fra tutela del paesaggio e
urbanistica e dei reciproci rapporti nella nuova normativa - quale
operata con la presente sentenza, in riferimento gli artt. 117 e 118
Cost., relativamente al ricorso della Regione Veneto, ma che non vi è
ragione di mutare in riferimento al detto Statuto speciale - a far
ritenere che le censure prospettate dalla Regione Friuli-Venezia
Giulia, nella massima parte coincidenti con quelle sollevate dalla
Regione Veneto, rimangono confutate dalle considerazioni svolte dalla
presente sentenza a proposito delle medesime.
Conviene aggiungere che vanamente la Regione Friuli-Venezia Giulia
prospetta in particolare:
a) che la normativa impugnata è ad essa inapplicabile in
conseguenza dell'inutilizzabilità dei criteri previsti dal d.m. 2
aprile 1968 - e assunti dall'art. 1 del decreto legge, come sostituito
dall'art. 1 della legge n. 431 del 1985 (nel punto in cui aggiunge un
comma sesto all'art. 82 d.P.R. n. 616 del 1977), per l'individuazione
di zone eccettuate dal vincolo, e quindi per la limitazione della
propria operatività - essendo i detti criteri sostituiti, per essa
Regione, secondo la legge regionale 22 dicembre 1969, n. 42, da quelli
indicati nel piano urbanistico regionale;
b) che essa Regione ha già posto in essere una legislazione ed una
pianificazione urbanistica con valenze di tutela paesistica, e che la
normativa impugnata: modifica i poteri regionali così esercitati;
compromette, turba le scelte che di tale esercizio sono il risultato, o
ne impone la rivisitazione; crea seri ostacoli alle iniziative edilizie
pubbliche e private; altera (moltiplicando gli interventi ministeriali
concorrenti e congegnandoli a guisa di controlli di merito sui medesimi
oggetti) l'ordine dei controlli stabilito dall'art. 58 dello Statuto.
Al riguardo è sufficiente osservare:
che l'inutilizzabilità dei criteri dettati dal d.m. 2 aprile 1968
non esclude l'applicabilità alla Regione Friuli-Venezia Giulia della
normativa impugnata, se il ruolo svolto ai fini di questa dal decreto
può essere assolto, per la detta Regione, da una fonte sostitutiva di
esso;
che gli aspetti della normativa denunciata riflettono il fine,
proprio della legge, di influire sulle scelte, da adottare anche in
sede regionale, sia urbanistiche che economiche (edilizie, industriali,
agricole ecc.) in funzione della primarietà del valore estetico -
culturale;
che l'eventuale conformità e compatibilità con il fine suindicato
di scelte già adottate preserva le scelte adottate dalle temute
conseguenze tanto perturbatrici quanto caducatorie;
che la visuale della concorrenza di poteri fra Stato e Regione
secondo un modello inspirato al principio di cooperazione rende non
utile, neppure in riferimento alla norma statutaria invocata, il
richiamo alla tematica dei controlli.
Anche le questioni sollevate dalla Regione Friuli-Venezia Giulia
sono dunque non fondate.
8. - Passando alla questione di fondo come sopra individuata, con
riferimento alle censure sollevate dalla Regione Val d'Aosta e dalle
Province autonome di Trento e di Bolzano (munite di competenza
legislativa primaria ed amministrativa esclusiva in tema di tutela del
paesaggio), va preliminarmente rilevato che la natura di grande riforma
economico-sociale di una normativa non dipende dalla qualificazione che
ne dia qualsiasi autorità (l'atteggiamento dell'autorità statale, se
di negazione di fronte a un'impugnativa regionale in sede di conflitto
di attribuzione, può solo far venire meno l'interesse a coltivare il
rimedio, come nel caso deciso da questa Corte con la sentenza n. 358
del 1985) né dalla stessa qualificazione che la normativa dia a se
medesima, ma dalla sua obbiettiva natura, accertabile da questa Corte
(sentenza n. 219 del 1984).
Ciò posto, è sufficiente osservare che il carattere di grande
riforma economico-sociale è del tutto evidente nella nuova concezione
della tutela paesaggistica che sta a base del decreto legge n. 312 del
1985, convertito, con modificazioni, nella legge n. 431 del 1985.
Con le considerazioni già svolte nella presente sentenza, a
proposito del ricorso della Regione Veneto, è stato chiarito come tale
concezione si discosti nettamente dalla concezione della tutela delle
bellezze naturali assunta dalla legislazione precostituzionale di
settore, implicando una tutela paesaggistica che si sostanzia di una
riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce
della primarietà del valore estetico-culturale.
Per altro verso, è proprio tale primarietà - la quale impedisce
di subordinare l'interesse estetico-culturale a qualsiasi altro, ivi
compresi quelli economici, nelle valutazioni concernenti i reciproci
rapporti - a costituire la scelta di fondo della normativa e a
manifestarne la rilevanza economico-sociale. Va a quest'ultimo
proposito ricordato come, secondo quanto si è già cennato, e secondo
quanto si deve ribadire anche in riferimento a considerazioni espresse
nei lavori preparatori a proposito di inversioni di tendenza
manifestatesi nella coscienza sociale circa i rapporti fra interesse
alla qualità della vita e ad altri interessi, la legge appare diretta
e idonea a influire profondamente su scelte d'ordine economico-soclale.
Quanto detto appare incontrovertibile per la norma contenuta nel
primo comma dell'art. 1 del decreto-legge, come sostituito dall'art. 1,
comma primo, della legge di conversione, aggiuntivo di un quinto comma
all'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, recante l'imposizione del
vincolo e l'elencazione dei beni protetti, norma la quale costituisce
immediata espressione della nuova concezione della tutela paesaggistica
e prima attuazione della tutela stessa come innovativamente concepita,
e per quelle (contenute nei successivi commi sesto, settimo, ottavo e
dodicesimo del detto art. 82) recanti varie limitazioni all'intervento
normativo considerato, norme le quali delineano la fisionomia della
innovazione.
A ciò non osta che tutte le relative disposizioni (quelle appunto
dichiarate norme fondamentali di grande riforma economico-sociale
dall'art. 2 della stessa legge di conversione) siano atteggiate come
commi aggiunti all'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, riguardante le
Regioni ordinarie, trattandosi di una collocazione formale non
incompatibile né con la volontà (come sopra espressa) del legislatore
di considerarle norme di grande riforma economico-sociale, né con la
loro obbiettiva natura di norme del genere ora indicato.
Né vi osta, per quanto concerne l'elencazione dei beni protetti,
il fatto che questa possa apparire una norma di dettaglio, una volta
tenuto conto che essa incarna ed attua immediatamente il principio
basilare della riforma.
E neppure vi osta l'asserito carattere di non definitività della
normativa, che (peraltro con riferimento espresso a disposizioni non
comprese nel suindicato art. 1 ed implicito a definizioni di "normativa
ponte" o di "normativa di salvaguardia" enunciate nei lavori
preparatori) alcune delle ricorrenti oppongono. Una normativa che, come
quella di cui si tratta, apra una svolta di così grande momento e si
proietti naturalmente nell'avvenire, non perde il carattere di grande
riforma economico-sociale per il solo fatto di non essere conclusiva
(dato, questo, significante - cfr. sent. di questa Corte n. 219 del
1984 - e tuttavia non necessario), purché sia risolutamente e
univocamente introduttiva di una linea di tendenza dell'ordinamento,
soprattutto quando questa sia, come nel caso è, attuativa (o più
energicamente attuativa) di un precetto costituzionale, oltreché
profondamente avvertita nella coscienza sociale.
Non vi osta, infine, la previgenza di normative dell'autonomia
speciale in materia più organiche o avanzate (ricorso Provincia di
Bolzano) o la esigenza di interventi della detta autonomia anche più
incisivi a tutela dell'interesse paesaggistico (ricorso Provincia di
Trento), essendo evidente che la protezione fornita o preordinata con
la normativa in argomento è pur sempre minimale, e non esclude né
preclude normative regionali di maggiore o di pari efficienza (salva,
come è ovvio, la verifica in concreto della effettiva compatibilità
di esse con gli scopi e con le caratteristiche di fondo della riforma).
Le considerazioni svolte valgono, ad avviso della Corte, anche per
le norme di competenza e procedimentali racchiuse nelle residue
disposizioni dell'art. 1 del decreto-legge, come sostituito dall'art. 1
dalla legge n. 431 (commi nono, decimo, undicesimo e tredicesimo,
aggiunti all'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977).
Premesso che norme del genere non sono insuscettive di essere
riguardate come norme fondamentali di grande riforma economico-sociale
in relazione al loro contenuto, quante volte esse siano essenziali a
una siffatta riforma (cfr., per le norme procedimentali, la stessa
sentenza n. 219 del 1984), la Corte ritiene che tale ipotesi ricorra
nel caso concreto.
Ciò viene qui affermato per le norme sulla competenza, in quanto
sanciscono la partecipazione così dello Stato come della Regione (o
della Provincia autonoma) in ogni momento della gestione del vincolo:
quello assiduo e generico della vigilanza e quello eventuale e
specifico dell'autorizzazione alle modificazioni del territorio
protetto (è infondata la preoccupazione della Provincia di Trento che
tale partecipazione sia esclusa per le attività di ricerca o
estrattive, giacché il comma undicesimo aggiunto all'art. 82 del
d.P.R. n. 616 del 1977 con l'art. 1 del decreto-legge, come sopra
sostituito dalla legge di conversione, si limita a prescrivere che
l'autorizzazione del Ministero dei beni culturali e ambientali sia
rilasciata, quando si tratti delle dette attività, sentito il Ministro
dell'industria, del commercio e dell'artigianato).
E viene affermato per le norme sul procedimento, in quanto
prescrivono che la suddetta partecipazione si atteggi in forma di
concorrenza di poteri, peraltro secondo un modello inspirato al
principio di leale cooperazione (cfr. sentenza di questa Corte n. 359
del 1985 e considerazioni svolte nella presente sentenza).
Infondatamente pertanto, a giudizio della Corte, le Regioni
ricorrenti si dolgono della previsione normativa di poteri statali
concorrenti (da intendere quelli previsti dall' art. 1 del
decreto-legge, come sopra sostituito dalla legge di conversione, ai
quali soltanto si riferisce, qualificando le relative disposizioni come
norme fondamentali di riforma economico-sociale, l' art. 2 aggiunto
dalla legge, impugnata in relazione a tale qualificazione) là dove
lamentano una irrilevante inosservanza dell'ambito sostanziale e dei
requisiti di competenza e formali prescritti in via generale per la
diversa ipotesi dei poteri sostitutivi statali rispetto alle competenze
delegate alle Regioni ordinarie.
Anche le questioni sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, dalla
Provincia autonoma di Bolzano e dalla Provincia autonoma di Trento
sono, dunque, non fondate.