Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 5 aprile 2023, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2023, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Campobasso, sezione prima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Molise 31 dicembre 2004, n. 38 (Istituzione dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione a decorrere dal 1° gennaio 2005), come modificato dall’art. 5, comma 1, della legge della Regione Molise 30 gennaio 2018, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2018).
La disposizione censurata, al comma 3, prevede, per quanto rileva nella presente sede, che, in caso di omesso, insufficiente o tardivo versamento dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione (IRBA), sia applicata la sanzione amministrativa del cinquanta per cento dell’importo non versato o tardivamente versato, oltre agli interessi moratori «nella misura fissata per l’interesse legale, a decorrere dal giorno in cui l’imposta è dovuta alla Regione Molise».
Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata confliggerebbe con i principi di eguaglianza e di proporzionalità di cui all’art. 3 della Costituzione, sottoponendo irragionevolmente alla medesima sanzione amministrativa due situazioni diseguali, il mancato versamento dell’IRBA e il suo pagamento tardivo, e applicando, in tale ultima ipotesi, interessi di mora in misura fissa e non commisurata alla entità del ritardo. Verrebbe, così, disposto un trattamento sanzionatorio non proporzionato al differente disvalore delle violazioni punite.
Inoltre, secondo il rimettente, la previsione in scrutinio «sembrerebbe» contrastare con i «criteri fissati dalla legge delega e da quelle applicative».
1.1.– La Corte rimettente riferisce di essere investita della cognizione dei ricorsi proposti da P. P., quale socia accomandataria di SOPEA - Società petroli Abruzzo di P. P. & C. sas, e da detta società quale coobbligata solidale, per l’annullamento di sanzioni irrogate dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio delle dogane di Campobasso per il ritardato versamento dell’IRBA, istituita dalla disposizione in scrutinio.
Il giudice a quo espone che, a sostegno delle impugnazioni, le ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, nella parte in cui sottopone alla medesima sanzione pecuniaria l’omesso versamento dell’imposta e il suo pagamento tardivo e applica interessi di mora in misura fissa e non proporzionata alla durata del ritardo nell’adempimento.
Le stesse ricorrenti – prosegue l’ordinanza di rimessione – hanno denunciato il contrasto della disposizione censurata con l’art. 6, comma 1, lettera c), della legge delega 14 giugno 1990, n. 158 (Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni), cui sono seguiti il decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398 (Istituzione e disciplina dell’addizionale regionale all’imposta erariale di trascrizione di cui alla legge 23 dicembre 1977, n. 952 e successive modificazioni, dell’addizionale regionale all’accisa sul gas naturale e per le utenze esenti, di un’imposta sostitutiva dell’addizionale, e la previsione della facoltà delle regioni a statuto ordinario di istituire un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione) e la legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).
Secondo le parti ricorrenti, la richiamata legge delega avrebbe attribuito al legislatore regionale la facoltà di introdurre una sanzione pecuniaria per la sola ipotesi di evasione del tributo, mentre, per il caso del ritardato versamento, avrebbe previsto esclusivamente l’applicazione dell’indennità di mora e degli interessi.
Sulla scorta di tali considerazioni, aggiunge l’ordinanza di rimessione, le stesse ricorrenti hanno chiesto al Collegio di disapplicare la norma sanzionatoria regionale, previa interpretazione costituzionalmente orientata della stessa, ovvero di sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale.
Il giudice a quo espone che nel procedimento principale si è costituita l’Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio delle dogane di Campobasso, sostenendo la legittimità del provvedimento emesso e chiedendo, in via subordinata, rideterminarsi la sanzione irrogata in conformità al principio di proporzionalità, così come enunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.
1.2.– Lo stesso Collegio rimettente ricorda, quindi, che, con ordinanza del 6 dicembre 2019 (iscritta al n. 93 del registro ordinanze del 2021), aveva già trasmesso gli atti del giudizio a questa Corte, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 4 della legge reg. Molise n. 38 del 2004, per contrasto con l’art. 3 Cost. e con «i criteri fissati dalla legge delega e da quelle applicative». Questa Corte, con ordinanza n. 231 del 2022, aveva restituito gli atti al giudice a quo per un nuovo apprezzamento della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, alla luce del mutato quadro normativo determinatosi per effetto dello ius superveniens. Infatti, da un lato, l’art. 1, comma 628, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023) ha stabilito che l’art. 6, comma 1, lettera c), della legge n. 158 del 1990, l’art. 17 del d.lgs. n. 398 del 1990 e l’art. 13, comma 3, della legge n. 549 del 1995, insieme ad altre previsioni di fonti legislative statali recanti disposizioni sull’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, «sono abrogati» e, dall’altro, la legge regionale contenente la disposizione censurata è stata abrogata dall’art. 6, comma 6, della legge della Regione Molise 30 dicembre 2020, n. 20 (Assestamento del bilancio di previsione 2020-2022 e modifiche a leggi regionali).
Nell’ordinanza n. 231 del 2022 si era osservato che «nella legge n. 178 del 2020 è contenuta una norma transitoria che fa salvi “gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte” (art. 1, comma 628) e che una disciplina transitoria si rinviene anche nell’art. 6, comma 6, della legge reg. Molise n. 20 del 2020, a mente del quale “[a] far data dal 1° gennaio del 2021, è abrogata la legge regionale 31 dicembre 2004, n. 38 (Istituzione dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione a decorrere dal 1° gennaio 2005)”».
Questa Corte aveva, quindi, ritenuto che, poiché il regime abrogativo e transitorio introdotto dalla nuova disciplina investiva in modo significativo il quadro normativo in cui si inseriva la disposizione sanzionatoria censurata, spettasse al rimettente la valutazione della incidenza delle modifiche legislative sopravvenute sulla fattispecie oggetto del giudizio a quo.
2.– Con l’ordinanza ora in scrutinio, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Campobasso ha riproposto le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Molise n. 38 del 2004 in riferimento ai medesimi parametri evocati nell’ordinanza di rimessione iscritta al n. 93 reg. ord. del 2021.
2.1.– Il Collegio rimettente ritiene, anzitutto, che lo ius superveniens non abbia inciso sulla disposizione in esame, la quale continuerebbe ad applicarsi, ratione temporis, alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, in virtù della richiamata normativa transitoria. Il giudice a quo sostiene che, in base ad essa, nel procedimento principale deve trovare applicazione la previsione censurata, la quale, all’epoca dei fatti contestati con il provvedimento sanzionatorio oggetto di impugnazione, era ancora vigente ed è stata abrogata soltanto a far data dal 1° gennaio 2021.
2.2.– Nel merito, il Collegio rimettente ribadisce le argomentazioni già svolte con la precedente ordinanza, confermando, come riferito, il sospetto di illegittimità costituzionale della disposizione censurata per contrasto con i principi di eguaglianza e con i «criteri fissati dalla legge delega e da quelle applicative».
3.– Nel giudizio di legittimità costituzionale non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, né si sono costituite le parti del procedimento principale.
Considerato in diritto
1.– La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Campobasso ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Molise n. 38 del 2004, come modificato dall’art. 5, comma 1, della legge reg. Molise n. 2 del 2018.
Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata confliggerebbe con i principi di eguaglianza e di proporzionalità di cui all’art. 3 Cost., in quanto, nel sottoporre alla medesima sanzione amministrativa il mancato versamento dell’IRBA e il suo pagamento tardivo e, nell’applicare, in tale ultima ipotesi, interessi di mora in misura fissa, da un lato, equiparerebbe irragionevolmente situazioni diseguali e, dall’altro, prevederebbe un trattamento sanzionatorio non proporzionato al differente disvalore delle violazioni punite nonché interessi di mora non commisurati alla durata del ritardo.
Inoltre, secondo il rimettente, detta previsione «sembrerebbe» confliggere con i «criteri fissati dalla legge delega e da quelle applicative».
2.– Le questioni, come riferito in narrativa, erano già state sottoposte dallo stesso rimettente allo scrutinio di questa Corte, che, con ordinanza n. 231 del 2022, aveva restituito gli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle stesse, alla luce del mutamento del quadro normativo intervenuto successivamente al deposito della ordinanza di rimessione, per effetto del regime abrogativo e transitorio di cui alla legge statale n. 178 del 2020 e alla legge reg. Molise n. 20 del 2020.
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Campobasso, con la ordinanza all’odierno esame, ha riproposto le questioni sulla base dei medesimi parametri costituzionali già evocati e alla stregua delle stesse argomentazioni, ritenendone la persistente rilevanza pur a seguito della intervenuta abrogazione della disposizione censurata (ad opera dell’art. 6, comma 6, della legge reg. Molise n. 20 del 2020, per effetto della disciplina transitoria contenuta nella stessa legge regionale e altresì nell’art. 1, comma 628, della richiamata legge n. 178 del 2020).
3.– Prima di procedere all’esame delle questioni, è opportuno ricostruire la regolamentazione dell’imposta regionale in scrutinio, oggi abrogata, e del trattamento sanzionatorio predisposto per il suo mancato o tardivo versamento.
3.1.– L’IRBA è stata prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 398 del 1990, in attuazione della legge delega n. 158 del 1990, la quale, all’art. 6, comma 1, lettera c), al dichiarato fine di «attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’art. 119 della Costituzione», aveva consentito a dette regioni di introdurre, con proprie leggi, un’imposta sulla benzina per autotrazione erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nei rispettivi territori.
A norma del comma 2 del citato art. 17 del d.lgs. n. 398 del 1990, fermo restando il limite massimo dell’importo dell’imposta (che inizialmente non poteva superare lire trenta al litro), le regioni possono fissare l’aliquota in misura diversa da quella originariamente prevista e tale determinazione ha effetto successivamente alla data di entrata in vigore della legge che dispone la variazione.
La disciplina in esame è stata poi modificata dalla legge n. 549 del 1995, il cui art. 3, al comma 14, ha abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, gli artt. 18 e 19 del citato d.lgs. n. 398 del 1990 e, al comma 13, da un lato, ha inciso sulla struttura dell’IRBA ponendone la corresponsione a carico del concessionario dell’impianto di distribuzione (e non più del soggetto consumatore della benzina, con riscossione da parte del soggetto erogatore, tenuto a versarne l’importo alla Regione, come previsto dall’art. 18 dello stesso d.lgs. n. 398 del 1990) nella misura determinata sulla base dei quantitativi erogati e contabilizzati nei registri di carico e scarico; dall’altro, nel dettare disposizioni sull’accertamento e sulla riscossione del tributo, in continuità con l’abrogato art. 19 del d.lgs. n. 398 del 1990, ha precisato che «le modalità ed i termini di versamento, anche di eventuali rate di acconto, le sanzioni, da stabilire in misura compresa tra il 50 e il 100 per cento dell’imposta evasa, sono stabiliti da ciascuna regione con propria legge».
3.2.– L’IRBA si configura come un tributo regionale proprio derivato, avente struttura analoga a quella dell’accisa, in quanto, al pari di questa, colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione al consumo del prodotto energetico.
Il suo ammontare può essere traslato sul consumatore finale mediante l’incremento del prezzo di vendita del carburante erogato. Tale trasferimento è oggetto non di un obbligo, ma di una facoltà riconosciuta al concessionario dell’impianto di distribuzione.
3.3.– La Regione Molise ha dato attuazione all’art. 17 del d.lgs. n. 398 del 1990, come integrato dall’art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995, con la legge regionale n. 38 del 2004, qui in esame, istituendo l’imposta dal 1° gennaio 2005 (art. 1) e determinandone l’ammontare in euro 0,015494 per litro di benzina erogata (art. 2, comma 1).
3.4.– La legge regionale in scrutinio ha anche introdotto una sanzione amministrativa per il mancato o ritardato pagamento dell’imposta, stabilendo, all’art. 4, comma 3 – disposizione oggi censurata – che, in caso di omesso, insufficiente o tardivo versamento dell’IRBA, venga applicata una sanzione amministrativa pecuniaria, oltre agli interessi moratori «nella misura fissata per l’interesse legale, a decorrere dal giorno in cui l’imposta è dovuta alla Regione Molise».
La sanzione, originariamente stabilita nella misura dell’intero importo non versato o tardivamente versato, per effetto della modifica operata dall’art. 5, comma 1, della legge reg. Molise n. 2 del 2018, è stata ridotta del cinquanta per cento.
3.4.1.– Lo stesso art. 4, comma 3, della citata legge regionale, come modificato, fa salvo l’istituto del ravvedimento di cui all’art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), nonché «la possibilità di applicazione dell’articolo 7 dello stesso decreto legislativo».
Quest’ultima disposizione, al comma 1, detta i criteri di determinazione della sanzione individuandoli nella gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, nell’opera dallo stesso svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché nella sua personalità e nelle condizioni economiche e sociali; al comma 2 precisa che la personalità del trasgressore è desunta anche dai suoi precedenti fiscali; al comma 3 disciplina la recidiva, e al comma 4 dispone che, «[q]ualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo»; al comma 4-bis, stabilisce, infine, che, «[s]alvo quanto diversamente disposto da singole leggi di riferimento, in caso di presentazione di una dichiarazione o di una denuncia entro trenta giorni dalla scadenza del relativo termine, la sanzione è ridotta della metà».
3.5.– La normativa statale sull’IRBA è stata abrogata dall’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020, mentre, per quanto concerne la Regione Molise, la disciplina del tributo dettata dalla legge regionale n. 38 del 2004, qui in scrutinio, è stata abrogata dall’art. 6, comma 6, della legge reg. Molise n. 20 del 2020.
Entrambe le previsioni abrogatrici dettano, peraltro, una disciplina transitoria.
In particolare, quest’ultima fa decorrere l’effetto abrogativo dell’intera legge reg. Molise n. 38 del 2004 dal 1° gennaio 2021, mentre l’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020, in vigore dal 1° gennaio 2021, fa espressamente salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte.
4.– La norma di diritto intertemporale dettata dalla citata legge n. 178 del 2020, unitamente ad omologhe previsioni di alcune leggi regionali, è stata, tuttavia, disapplicata da numerosi giudici di merito e da diverse pronunce di legittimità, perché ritenuta in contrasto con il diritto dell’Unione europea e, in particolare, con l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE.
Detto art. 1, paragrafo 2, al quale la giurisprudenza di legittimità riconosce efficacia diretta (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 26 maggio 2023, n. 14790), consente ai Paesi membri di applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette, a condizione che il tributo risponda a finalità specifiche e sia conforme alle norme fiscali dell’Unione sulle accise o sull’IVA, per la determinazione della base imponibile, nonché per il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta, fermo restando che sono escluse le disposizioni relative alle esenzioni (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 22 giugno 2023, in causa C-833/21, Endesa Generación SAU, punto 37).
Tale disciplina tiene conto della diversità delle tradizioni fiscali degli Stati membri in materia e del frequente ricorso alle imposte indirette per l’attuazione di politiche non di bilancio (Corte di giustizia UE, ordinanza 7 febbraio 2022, in causa C-460/21, Vapo Atlantic SA), in linea con il Considerando n. 2 della stessa direttiva 2008/118/CE, il quale individua il fine dell’armonizzazione delle condizioni della riscossione delle accise nella garanzia del funzionamento del mercato interno.
4.1.– Come evidenziato dalla Corte di giustizia UE (sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, Tallinna Ettevõtlusamet, punto 36; 25 luglio 2018, in causa C-103/17, La Messer France sas, punto 36), i requisiti della finalità specifica del tributo e della sua conformità alle norme fiscali dell’Unione hanno carattere cumulativo e mirano ad evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi.
In merito al primo degli indicati requisiti, la Corte di giustizia UE ha più volte precisato che esso non deve ridursi ad un obiettivo puramente di bilancio e di entrata (ordinanze Vapo Atlantic SA, punti 19 e seguenti, e 9 novembre 2021, in causa C-255/20, Agenzia delle dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Gaeta, punti 27 e seguenti; sentenza La Messer France sas, punti 34 e seguenti).
La stessa giurisprudenza europea ha anche chiarito che, poiché qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio, la presenza di tale obiettivo non esclude, di per sé sola, che il tributo soddisfi, al contempo, il requisito della finalità di cui all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE. In assenza di un meccanismo di destinazione del gettito predeterminato, una finalità specifica sussiste, però, solo qualora l’imposta sia concepita, quanto alla sua struttura – e, segnatamente, riguardo alla materia imponibile o all’aliquota di imposta –, in modo tale da realizzare tale finalità influenzando il comportamento dei contribuenti, ad esempio mediante una forte tassazione dei prodotti di cui trattasi volta a scoraggiarne il consumo (Corte di giustizia UE, ordinanza Vapo Atlantic SA, punto 27; sentenza Tallinna Ettevõtlusamet, punto 42).
4.1.1.– La Corte di giustizia UE si è pronunciata anche specificamente sull’imposta sulla benzina per autotrazione italiana, con la ricordata ordinanza Agenzia delle dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Gaeta.
Essa, nel richiamare i principi già ricordati, ha rilevato che l’IRBA «persegue solo una finalità generica di supporto al bilancio degli enti territoriali» (punto 38), per poi concludere che l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella italiana istitutiva di un’imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che «non si può ritenere che tale imposta abbia una “finalità specifica” ai sensi di tale disposizione, il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti locali».
4.2.– È sulla scorta di tale interpretazione che, come riferito, tanto i giudici di merito, quanto la Corte di cassazione hanno iniziato a disapplicare le disposizioni abrogatrici dell’imposta di cui si tratta, sopra richiamate, nella parte in cui esse hanno attribuito al tributo una residuale efficacia impositiva in relazione alle obbligazioni insorte anteriormente alla sua soppressione, e a ritenere, di conseguenza, non dovuta l’IRBA relativa alle annualità precedenti al 2021 (Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenze 31 luglio 2023, n. 23201; 19 giugno 2023, n. 17529 e n. 17436; 26 maggio 2023, n. 14790, n. 14699 e n. 14697; 25 maggio 2023, n. 14606; 8 marzo 2023, n. 6966, n. 6961, n. 6956, n. 6943, n. 6923 e n. 6903; 7 marzo 2023, n. 6860, n. 6858 e n. 6853; 6 marzo 2023, n. 6687).
5.– Alla luce di quanto fin qui esposto, le questioni di legittimità costituzionale devono essere dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza.
5.1.– La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Campobasso, nel riproporre, in seguito alla restituzione degli atti disposta da questa Corte, dette questioni, non si è uniformata alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE in materia di imposizione indiretta supplementare sui prodotti sottoposti ad accisa e, in particolare, a quella, già richiamata, in materia di IRBA (ordinanza Agenzia delle dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Gaeta). E ciò, nonostante le decisioni della Corte di giustizia UE – la quale ha competenza esclusiva nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati (sentenze n. 15 del 2024, n. 67 e n. 54 del 2022; ordinanze n. 29 del 2024, n. 217 e n. 216 del 2021, n. 182 del 2020) – siano vincolanti per tutti i giudici, e non solo per quello che ha disposto il rinvio pregiudiziale (ex aliis, sentenze n. 263 e n. 67 del 2022, n. 227 del 2010, n. 389 del 1989; Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenze n. 6687 del 2023; 3 marzo 2017, n. 5381; 11 dicembre 2012, n. 22577).
Né il Collegio rimettente si è confrontato con le richiamate pronunce di legittimità che, al momento del deposito dell’ordinanza di rimessione ora in esame, avevano già statuito sull’imposta in questione alla luce delle enunciazioni della giurisprudenza della Corte di giustizia UE.
5.2.– Le univoche indicazioni di quest’ultima e le convergenti soluzioni adottate dalla giurisprudenza di merito e di legittimità avrebbero dovuto indurre il giudice a quo alla disapplicazione della disciplina intertemporale che ha sancito la perdurante vigenza, per i rapporti sorti anteriormente al 1° gennaio 2021, della norma sanzionatoria sospettata di illegittimità costituzionale.
5.2.1.– Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, il giudice nazionale ha l’obbligo di garantire la piena efficacia delle norme europee dotate di effetto diretto, «disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale» (Corte di giustizia, sentenza 9 marzo 1978, in causa 106/77, Amministrazione delle finanze dello Stato, punto 24).
Anche di recente la Corte stessa è tornata a sottolineare la centralità, oltre che del rinvio pregiudiziale, diretto a garantire piena efficacia al diritto dell’Unione e ad assicurare l’effetto utile dell’art. 267 TFUE, del potere di «disapplicare» la contraria disposizione nazionale (Corte di giustizia UE, grande sezione, sentenza 24 ottobre 2018, in causa C-234/17, XC e altri, punto 44; grande sezione, sentenza 19 dicembre 2019, in causa C-752/18, Deutsche Umwelthilfe eV, punto 42).
La Corte di giustizia ha, inoltre, precisato che la mancata disapplicazione di una disposizione nazionale ritenuta in contrasto con il diritto europeo viola «i principi di uguaglianza tra gli Stati membri e di leale cooperazione tra l’Unione e gli Stati membri, riconosciuti dall’articolo 4, paragrafi 2 e 3, TUE, con l’articolo 267 TFUE, nonché […] il principio del primato del diritto dell’Unione» (Corte di giustizia, grande sezione, sentenza 22 febbraio 2022, in causa C430/21, RS, punto 88).
5.3.– Anche questa Corte ha ripetutamente affermato che il giudice nazionale deve dare piena e immediata attuazione alle norme dell’Unione europea provviste di efficacia diretta e non applicare, in tutto o anche solo in parte, le norme interne ritenute con esse inconciliabili, previo – ove occorra – rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE per dirimere possibili dubbi riguardo all’esistenza di tale conflitto.
Il contrasto con il diritto dell’Unione europea condiziona, infatti, la stessa applicabilità della disposizione censurata nel giudizio a quo – e, di conseguenza, la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale che si intendano sollevare sulla medesima –, se la norma europea è dotata di effetto diretto, salvo che sussistano i presupposti, gradualmente precisati da questa Corte a partire dalla sentenza n. 269 del 2017, per sollevare questione di legittimità costituzionale sulla base del contrasto tra la disposizione censurata e un diritto riconosciuto tanto dalla Costituzione, quanto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (da ultimo, sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.3. del Considerato in diritto).
In tale ultima ipotesi, ravvisabile nell’odierno giudizio, la questione di compatibilità con il diritto dell’Unione costituisce, dunque, un prius logico e giuridico rispetto alla stessa questione di legittimità costituzionale in via incidentale (sentenza n. 245 del 2019; ordinanze n. 48 e n. 2 del 2017).
6.– In conclusione, le disposizioni di diritto intertemporale che, per i rapporti in essere al 1° gennaio 2021, mantengono in vita una disciplina, quale quella dell’IRBA, ritenuta dalla Corte di giustizia contrastante con il diritto dell’Unione, «si prestano a essere disapplicate dal giudice rimettente» (ancora, in altra materia, sentenza n. 67 del 2022).
Venuto meno il presupposto legittimante la sopravvivenza della norma sanzionatoria oggetto di censura, ne consegue il difetto di rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, che, pertanto, devono essere dichiarate inammissibili.