Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso iscritto al n. 35 reg. ric. 2023, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 1, lettera b), 2 e 3, e dell’art. 91, commi 1 e 2, della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9 (Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie).
1.1.– L’art. 13, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 ha introdotto l’art. 17-bis nella legge della Regione Sardegna 14 marzo 1994, n. 12 (Norme in materia di usi civici. Modifica della legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1 concernente l’organizzazione amministrativa della Regione sarda).
L’art. 17-bis, rubricato «Mutamento di destinazione in caso di installazione di impianti di energie rinnovabili», prevede, al comma 1, che «[p]er l’installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili è obbligatorio richiedere il parere del comune in cui insistono le aree individuate, il quale si esprime, con delibera del Consiglio comunale a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, entro venti giorni, decorsi i quali se ne prescinde».
Secondo il ricorrente, tale disposizione disciplinerebbe una procedura semplificata per il mutamento di destinazione dei terreni gravati da uso civico nel caso di installazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili, così violando, in primo luogo, gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, per invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
La disposizione impugnata, infatti, non terrebbe conto del vincolo paesaggistico cui i terreni gravati da uso civico sono assoggettati ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Di conseguenza, non sarebbero stati osservati i limiti all’esercizio della potestà legislativa primaria della Regione in materia di «edilizia e urbanistica» (art. 3, comma primo, lettera f, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per la Sardegna») e di «usi civici» (art. 3, comma primo, lettera n, statuto reg. Sardegna), derivanti dal rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico e, in particolare, delle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, nel cui novero rientrerebbe l’indicata norma statale interposta.
1.1.1.– Il ricorrente lamenta altresì il contrasto con l’art. 20, comma 8, lettera c-quater), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili», secondo cui, nelle more dell’individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 dello stesso art. 20, sono considerate idonee «le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici di cui all’articolo 142, comma 1, lettera h), del medesimo decreto».
Nel consentire l’installazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili nelle zone gravate da usi civici, che il legislatore statale avrebbe «espressamente qualificato» come aree «non idonee» a tali fini, la disposizione impugnata violerebbe quindi l’art. 117, terzo comma, Cost., per invasione della competenza legislativa concorrente dello Stato nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», in relazione al principio fondamentale di cui al citato art. 20, comma 8, lettera c-quater), del d.lgs. n. 199 del 2021.
Il contrasto con tale principio fondamentale renderebbe «irrilevante» la competenza legislativa concorrente attribuita alla Regione dall’art. 4, comma primo, lettera e), statuto reg. Sardegna, in materia di «produzione e distribuzione dell’energia elettrica», in quanto la stessa disposizione statutaria fa salvi i limiti all’esercizio della potestà legislativa regionale derivanti dal rispetto dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato (oltre che dal rispetto degli obblighi internazionali previsti al precedente art. 3, come quelli «di natura comunitaria» attuati dal d.lgs. n. 199 del 2021).
1.2.– L’art. 13, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 prevede l’istituzione di un «tavolo tecnico interassessoriale, a supporto degli [u]ffici regionali, per la riforma organica dell’intera materia degli usi civici in Sardegna con particolare riguardo alla legge regionale n. 12 del 1994».
Attribuendo agli organi regionali il compito di attendere a una riforma organica dell’intera materia degli usi civici, tale disposizione violerebbe in primo luogo l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per contrasto con le norme contenute negli «articoli 5 e seguenti» della legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), nel regio-decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici nel Regno) e nella legge 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi).
Secondo il ricorrente, in forza di tali norme, infatti, «spett[erebbe] senz’altro allo Stato disciplinare le alienazioni, i mutamenti di destinazione e la liquidazione degli usi civici […], nonché l’eventuale sclassificazione dei beni che abbiano perduto irreversibilmente l’originaria destinazione agro-silvo-pastorale [e] lo scioglimento delle promiscuità», con conseguente invasione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile».
Sarebbe violato, inoltre, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per contrasto con le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano «le autorizzazioni paesaggistiche», con conseguente invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
1.3.– L’art. 13, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, dispone che «[i]l tavolo tecnico interassessoriale di cui al comma 2 è presieduto dall’Assessore regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale ed è composto da: a) un dirigente per ciascuno degli [a]ssessorati regionali competenti in materia di agricoltura, ambiente, beni culturali, enti locali; b) un docente universitario competente nelle materie oggetto di discussione, nominato dai vertici dell’[a]teneo per ciascuna delle Università di Cagliari e di Sassari; c) almeno un rappresentante per ciascun ordine professionale coinvolto in materia di usi civici; d) due componenti del Consiglio delle autonomie locali, eletti dal Consiglio medesimo in modo tale da garantire la parità di genere; e) i presidenti regionali dell’ANCI, dell’UPS, dell’UNCEM, dell’AICCRE, della Lega delle autonomie e dell’ASEL, costituenti il coordinamento delle associazioni degli enti locali della Sardegna».
Non prevedendo alcuna forma di partecipazione del Ministro della cultura, la disposizione violerebbe il principio di leale collaborazione desumibile dall’art. 5 Cost., per l’incidenza dei lavori del «tavolo tecnico interassessoriale» anche su profili di competenza di tale Ministro, come quelli che concernono i vincoli paesaggistici cui sono assoggettati i terreni gravati da uso civico, ai sensi del citato art. 142, comma 1, lettera h), cod. beni culturali.
1.4.– L’art. 91, commi 1 e 2, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, modifica l’art. 5 della legge della Regione Sardegna 31 ottobre 2007, n. 12 (Norme in materia di progettazione, costruzione, esercizio e vigilanza degli sbarramenti di ritenuta e dei relativi bacini di accumulo di competenza della Regione Sardegna) e l’Allegato A alla stessa legge regionale, recante «Normativa tecnica concernente la progettazione, costruzione, esercizio e vigilanza degli sbarramenti di ritenuta e dei relativi bacini di accumulo di competenza della Regione Sardegna».
In particolare, l’art. 91, comma 1, lettera a), modifica il comma 1 del citato art. 5; l’art. 91, comma 1, lettera b), sostituisce il comma 2 dello stesso art. 5; e l’art. 91, comma 2, modifica gli artt. 25 e 26 dell’Allegato A alla legge reg. Sardegna n. 12 del 2007, che disciplinano le procedure di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti esistenti.
1.4.1.– Secondo il ricorrente, le disposizioni impugnate, stabilendo la proroga al 30 settembre 2024 della possibilità di presentare domanda di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti esistenti, introdurrebbero un’ipotesi di sanatoria di opere realizzate in mancanza delle autorizzazioni previste dalla normativa vigente al momento della costruzione, o in difformità rispetto ai progetti approvati.
In tal modo, esse derogherebbero alla norma interposta di cui all’art. 167 cod. beni culturali, che vieta la regolarizzazione delle opere non autorizzate su beni paesaggistici, con conseguente invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Né potrebbero essere invocate le competenze legislative attribuite alla Regione dallo statuto speciale in materia di «agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario» (art. 3, comma primo, lettera d, statuto reg. Sardegna), nonché in materia di «opere di grande e media bonifica e di trasformazione fondiaria» (art. 4, comma primo, lettera c, statuto reg. Sardegna), in quanto la violazione dell’indicata norma statale interposta comporterebbe l’inosservanza dei limiti all’esercizio di tali potestà legislative regionali, derivanti dal rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico e delle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (quanto alla competenza di cui all’art. 3, comma primo, lettera d), nonché dal rispetto anche dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato (quanto alla competenza di cui all’art. 4, comma primo, lettera c).
2.– La Regione Sardegna si è costituita in giudizio con atto depositato il 30 gennaio 2014, concludendo per l’inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni.
2.1.– Le questioni concernenti l’art. 13, commi 1, lettera b), 2 e 3 sarebbero preliminarmente inammissibili «per genericità», perché il Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe esposto, se non in modo assertivo, le ragioni poste a fondamento delle censure, omettendo di chiarire come si determini in concreto l’invasione della competenza legislativa esclusiva statale.
Inoltre, con specifico riguardo alla dedotta violazione dei limiti all’esercizio della potestà legislativa regionale in materia di usi civici, la disposizione impugnata avrebbe «una portata assolutamente generica», limitandosi a dare impulso a un apposito organo tecnico per il riordino di tale materia in Sardegna, nel «solco» della legge reg. Sardegna n. 12 del 1994 e quindi nel rispetto delle competenze legislative e amministrative regionali riconosciute dall’art. 3, comma primo, lettera n), dello statuto speciale.
Nel merito, non vi sarebbe comunque alcun contrasto con le norme statali interposte sugli usi civici indicate dal ricorrente e, di conseguenza, non sarebbe violata la competenza esclusiva legislativa dello Stato in materia di «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dovendosi interpretare la disposizione impugnata in senso costituzionalmente orientato, nei limiti delle competenze statutarie.
2.2.– Anche le questioni concernenti l’art. 91, commi 1 e 2, sarebbero inammissibili, in quanto il Presidente del Consiglio dei ministri non si sarebbe confrontato con potestà legislative regionali diverse da quelle specificamente individuate nel ricorso.
A questo riguardo è indicata, in primo luogo, la competenza in materia ambientale, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte (sono citate le sentenze n. 248 del 2022 e n. 51 del 2006) secondo cui, sulla scorta di quanto stabilito dall’art. 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna), la competenza statutaria in materia di «edilizia ed urbanistica» non comprende solo le funzioni di tipo strettamente urbanistico, ma anche quelle relative ai beni culturali e ambientali.
In secondo luogo, è indicata la competenza legislativa in materia di sbarramenti che non superano i quindici metri di altezza e che determinano un invaso non superiore a un milione di metri cubi (cosiddetti “invasi minori”, cui si applicano le disposizioni della legge reg. Sardegna n. 12 del 2007, ai sensi del suo art. 1, commi 1 e 2). Essa spetterebbe alla Regione in forza del “principio del parallelismo” espresso dall’art. 6 dello statuto speciale, in quanto la norma di attuazione di cui all’art. 1 del decreto legislativo 17 aprile 2001, n. 234 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Sardegna per il conferimento di funzioni amministrative, in attuazione del Capo I della legge n. 59 del 1997) ha conferito alla Sardegna (e ai suoi enti locali) le funzioni amministrative relative agli “invasi minori”, già spettanti alle regioni a statuto ordinario e ai loro enti locali a norma del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).
2.2.1.– Nel merito, le medesime questioni sarebbero non fondate.
Il comma 1 dell’art. 91 riguarderebbe il differimento del termine per presentare domanda di autorizzazione al proseguimento dell’esercizio di sbarramenti che hanno già ottenuto tutte le autorizzazioni prescritte al momento della loro realizzazione, onde non si porrebbe neppure in astratto un problema di sanatoria di interventi non autorizzati su beni paesaggistici.
Il comma 2 dell’art. 91 si limiterebbe a disporre un analogo differimento temporale per gli «sbarramenti non ancora autorizzati», con la conseguenza che, una volta presentata la domanda entro il 30 settembre 2024, si dovrebbe avviare il procedimento disciplinato dagli artt. 25 e 26 dell’Allegato A alla legge regionale n. 12 del 2007, nel corso del quale andranno acquisiti i pareri e i nulla osta delle diverse amministrazioni, il cui «ottenimento […] costituisce presupposto indispensabile per l’autorizzazione alla prosecuzione dello sbarramento».
Una simile interpretazione si imporrebbe alla luce sia della giurisprudenza costituzionale secondo cui gli istituti di protezione ambientale e paesaggistica trovano applicazione, ove non derogati, anche in assenza di specifici richiami da parte della legislazione regionale (è citata la sentenza di questa Corte n. 101 del 2021), sia di quanto dispone l’art. 26, comma 6, del citato Allegato A, alla cui stregua «[l]’approvazione tecnica in sanatoria non sostituisce obblighi, oneri e vincoli gravanti sul soggetto e sulle opere interessate, con riferimento alla concessione di derivazione, all’approvazione del progetto ai sensi delle vigenti norme in materia di lavori pubblici, alla valutazione di impatto ambientale, all’assetto idrografico, agli interessi urbanistici, paesaggistici, artistici, storico-archeologici, sanitari, demaniali, della difesa nazionale, dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza che restano di competenza delle autorità previste dalle norme vigenti».
La Regione osserva, inoltre, che la disposizione impugnata risponderebbe a esigenze di carattere ambientale e di interesse pubblico, rappresentando gli sbarramenti interessati un’indispensabile riserva idrica per scopi antincendio, di abbeveraggio del bestiame (oltre che della fauna selvatica nella stagione siccitosa), di irrigazione e similari.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato, il 17 aprile 2024, una memoria illustrativa.
Quanto all’impugnazione dell’art. 13, commi 1, lettera b), 2 e 3, l’Avvocatura contesta l’eccezione di inammissibilità per genericità delle censure, osservando che nel ricorso sono state puntualmente indicate le norme interposte violate dalla disposizione regionale e si è preso posizione anche in ordine alle norme statutarie relative agli usi civici.
La disposizione impugnata, di natura precettiva e non programmatica, consentirebbe il mutamento di destinazione delle aree gravate da usi civici «sulla base di un procedimento amministrativo che trascura i numerosi vincoli posti in materia dal [c]odice dei beni culturali e del paesaggio, la cui osservanza si impone anche alle Regioni a statuto speciale».
Nel resto, sono richiamate le ragioni già esposte nel ricorso.
Quanto all’impugnazione dell’art. 91, commi 1 e 2, l’Avvocatura contesta l’eccezione di inammissibilità per omessa considerazione delle competenze statutarie regionali in materia ambientale e di “invasi minori”, osservando che nel ricorso si deduce l’esorbitanza della disposizione impugnata dalle prerogative statutarie, in ragione di una potestà legislativa esclusiva dello Stato e della violazione di norme fondamentali di riforma economico-sociale, che si impongono anche alle autonomie speciali.
Nel merito, sono parimenti richiamate le ragioni già esposte.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato varie disposizioni della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
Riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il medesimo ricorso, vengono ora esaminate quelle relative all’art. 13, commi 1, lettera b), 2 e 3, nonché all’art. 91, commi 1 e 2.
2.– Va innanzi tutto individuato l’oggetto delle questioni concernenti l’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, superando le incertezze generate dal tenore letterale del ricorso, nell’intestazione del quale è correttamente indicato l’art. «13, commi 1, lettera b), 2 e 3», mentre nel primo motivo, in cui sono illustrate le questioni, si indica solo l’art. «13, co[mma] 1, lett[era] b)».
Nel riprodurre il testo dell’art. 13, infatti, il ricorrente mostra di ritenere che esso sia composto dal solo comma 1, ripartito nelle lettere a) e b), e che la lettera b) inserisca nella legge reg. Sardegna n. 12 del 1994 un nuovo art. 17-bis, suddiviso nei commi 1, 2 e 3.
In realtà, è il nuovo art. 17-bis, introdotto dalla citata lettera b), ad essere composto da un solo comma, mentre i commi 2 e 3 (rispettivamente dedicati all’istituzione e alla composizione di un «tavolo tecnico interassessoriale» per la riforma organica della materia degli usi civici in Sardegna) costituiscono partizioni ulteriori dello stesso art. 13 della legge regionale impugnata. Ne è dimostrazione il testo pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma Sardegna 24 ottobre 2023, n. 54, che reca visivamente la separazione grafica dell’art. 13 in tre commi.
In ogni caso, dal contenuto delle censure si desume con chiarezza l’intenzione del ricorrente di impugnare, ad esclusione della lettera a) del comma 1, tutte le altre previsioni dell’art. 13, che costituiscono pertanto l’oggetto delle questioni.
2.1.– L’art. 13, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, come già detto, ha introdotto nella legge reg. Sardegna n. 12 del 1994 il nuovo art. 17-bis (recante la rubrica «Mutamento di destinazione in caso di installazione di impianti di energie rinnovabili»), secondo cui «[p]er l’installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili è obbligatorio richiedere il parere del comune in cui insistono le aree individuate, il quale si esprime, con delibera del Consiglio comunale a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, entro venti giorni, decorsi i quali se ne prescinde».
Ad avviso del ricorrente, esso violerebbe, in primo luogo, gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto avrebbe ecceduto dalle competenze legislative regionali in materia di «edilizia e urbanistica» e di «usi civici» (art. 3, comma primo, lettere f e n, statuto reg. Sardegna), introducendo una procedura semplificata per il mutamento di destinazione dei terreni gravati da uso civico nel caso di installazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili, «senza tener conto» del vincolo paesaggistico cui tali terreni sono assoggettati ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera h), cod. beni culturali, costituente norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica, con invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
2.1.1.– La Regione ha eccepito l’inammissibilità della questione «per genericità», in quanto il ricorrente non avrebbe esposto, se non in modo assertivo, le ragioni poste a fondamento delle censure, omettendo di chiarire come si determini in concreto l’invasione della competenza legislativa esclusiva statale.
L’eccezione è fondata.
Il ricorrente si limita ad affermare che la disposizione impugnata prevede una «procedura semplificata» di mutamento di destinazione delle zone gravate da usi civici per consentire l’installazione su di esse di impianti di produzione di energie rinnovabili, «senza tener conto», come appena ricordato, del vincolo paesaggistico previsto dal citato art. 142, comma 1, lettera h), cod. beni culturali. Sostanzialmente dello stesso tenore è il contenuto della memoria illustrativa, dove si legge che il mutamento di destinazione delle aree gravate da usi civici sarebbe consentito «sulla base di un procedimento amministrativo che trascura i numerosi vincoli posti in materia dal [c]odice dei beni culturali e del paesaggio».
La citata disposizione statale è evocata come norma interposta, costituente un limite alle competenze legislative della Regione di cui all’art. 3 dello statuto speciale, quale norma fondamentale di riforma economico-sociale.
Il ricorso, tuttavia, non chiarisce perché la disposizione regionale impugnata supererebbe tale limite, non rispettando la norma interposta.
Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, «l’impugnazione avverso una disposizione regionale che arrechi pregiudizio alle attribuzioni statali, incidendo su materie rientranti nelle competenze legislative dello Stato, deve “essere adeguatamente motivat[a] e, a supporto delle censure prospettate, deve chiarire il meccanismo attraverso cui si realizza il preteso vulnus lamentato”; in particolare, “quando il vizio sia prospettato in relazione a norme interposte specificamente richiamate è necessario evidenziare la pertinenza e la coerenza di tale richiamo rispetto al parametro evocato” (sentenza n. 232 del 2019; da ultimo, sentenza n. 71 del 2022)» (sentenza n. 58 del 2023).
Alla luce di questi principi, non è sufficiente affermare che il legislatore regionale non avrebbe tenuto conto del vincolo paesaggistico esistente sulle zone gravate da usi civici. Il ricorrente, infatti, non spiega perché tale forma di tutela sarebbe pregiudicata dalla previsione di una «procedura semplificata» di mutamento di destinazione: istituto, quest’ultimo, che non determina di per sé il venir meno o anche solo l’affievolimento del vincolo paesaggistico. Né il ricorrente chiarisce se, e in quali termini, il vulnus lamentato derivi, o sia anche solo aggravato, dall’asserito carattere semplificato della procedura, di cui non è fornita alcuna illustrazione.
In tal modo, non risulta adempiuto l’onere di esatta definizione della questione e di puntuale motivazione che questa Corte ha più volte ribadito essere particolarmente rilevante nel ricorso in via principale, e la cui carenza conduce alla inammissibilità (tra le molte, sentenze n. 58 del 2023, n. 5 del 2022 e n. 83 del 2018).
La questione, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile.
2.1.2.– Il ricorrente lamenta, in secondo luogo, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto l’art. 13, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, eccedendo dalla competenza legislativa regionale in materia di «produzione e distribuzione dell’energia elettrica» (art. 4, comma primo, lettera e, statuto reg. Sardegna), consentirebbe l’installazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili nelle zone gravate da usi civici, in contrasto con la norma di principio di cui all’art. 20, comma 8, lettera c-quater), del d.lgs. n. 199 del 2021, da cui si desumerebbe, secondo il ricorrente, che le predette zone, nelle more dell’individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti interministeriali di cui al comma 1 dello stesso art. 20, non sono idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili. Ne conseguirebbe l’invasione della competenza legislativa concorrente dello Stato in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
In altri termini, la disposizione impugnata avrebbe travalicato i limiti posti alle competenze legislative regionali dal citato art. 20, comma 8, lettera c-quater), del d.lgs. n. 199 del 2021, costituente un principio fondamentale della predetta materia e, di conseguenza, uno dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato, nel rispetto dei quali deve essere esercitata la potestà legislativa attribuita alla Regione dall’art. 4, comma primo, lettera e), dello statuto speciale.
2.1.3.– L’eccezione di inammissibilità «per genericità», sollevata dalla Regione anche con riferimento a tale questione, non è fondata, poiché il ricorrente ha adeguatamente motivato in ordine all’asserito contrasto della disposizione impugnata con la norma interposta di cui all’art. 20, comma 8, lettera c-quater), del d.lgs. n. 199 del 2021.
2.1.4.– Nel merito, la questione non è fondata.
Il ricorrente presuppone che l’indicata norma statale interposta qualifichi le zone gravate da usi civici come non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile.
Tale presupposto interpretativo non è condivisibile.
Come questa Corte ha già avuto modo di osservare (sentenze n. 58 e n. 27 del 2023), l’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del 2021 si colloca nel nuovo sistema – introdotto dallo stesso d.lgs. n. 199 del 2021 – di individuazione delle aree in cui è consentita l’installazione degli impianti a fonti rinnovabili. Con esso, il legislatore statale ha inteso superare il sistema dettato dall’art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e dal conseguente decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), contenenti i principi e i criteri di individuazione delle aree non idonee.
Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a individuare le aree «idonee» all’installazione degli impianti, sulla scorta dei principi e dei criteri stabiliti con appositi decreti interministeriali, previsti dal comma 1 del citato art. 20, tuttora non adottati. Inoltre, l’individuazione delle aree idonee dovrà avvenire non più in sede amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente in relazione a quelle non idonee, bensì «con legge» regionale, secondo quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso art. 20.
Nel descritto contesto normativo, il comma 8 dell’art. 20 funge da disposizione transitoria, prevedendo che «[n]elle more dell’individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti di cui al comma 1», sono considerate idonee le aree elencate dalle lettere a) e seguenti dello stesso comma 8, tra le quali figurano, alla lettera c)-quater, «le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici di cui all’articolo 142, comma 1, lettera h), del medesimo decreto».
Il ricorrente desume da tale disposizione che i terreni d’uso civico non sarebbero idonei all’installazione perché non inclusi tra quelli idonei.
Una simile interpretazione, tuttavia, è contraddetta dal disposto del comma 7 dello stesso art. 20, secondo cui «[l]e aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee».
Di per sé, dunque, la mancata inclusione delle aree gravate da usi civici tra quelle idonee non comporta la loro assoluta inidoneità all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, che rimane assoggettata al procedimento autorizzatorio ordinario di cui all’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003, né tantomeno comporta il divieto di mutarne la destinazione in conformità al regime degli usi civici.
Pertanto, il lamentato contrasto della disposizione regionale impugnata con la norma statale di principio non sussiste.
2.2.– L’art. 13, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 prevede l’istituzione di un «tavolo tecnico interassessoriale, a supporto degli [u]ffici regionali, per la riforma organica dell’intera materia degli usi civici in Sardegna con particolare riguardo alla legge regionale n. 12 del 1994».
Ad avviso del ricorrente, esso violerebbe, in primo luogo, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, attribuendo agli organi regionali il compito di attendere a una riforma organica dell’intera materia degli usi civici, contrasterebbe con le norme contenute negli «articoli 5 e seguenti» della legge n. 1766 del 1927, nel r.d. n. 332 del 1928 e nella legge n. 168 del 2017, in tema di liquidazione degli usi civici e di scioglimento delle promiscuità, nonché in tema di alienazione, sclassificazione e mutamento di destinazione dei beni gravati da usi civici.
Sarebbe altresì violata la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per contrasto anche con le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano «le autorizzazioni paesaggistiche».
2.2.1.– La Regione ha eccepito l’inammissibilità della questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La disposizione istitutiva del tavolo tecnico, infatti, avrebbe «una portata assolutamente generica», limitandosi a dare impulso a un apposito organo tecnico per il riordino della materia degli usi civici in Sardegna, nel «solco» della legge reg. Sardegna n. 12 del 1994 e quindi nel rispetto delle competenze legislative e amministrative regionali riconosciute in tale materia dall’art. 3, comma primo, lettera n), dello statuto speciale.
L’eccezione non è fondata, perché le ragioni esposte dalla resistente attengono al merito della questione e non alla sua ammissibilità.
È invece inammissibile, per carenze motivazionali, la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Manca, infatti, una motivazione adeguata, e non meramente assertiva, in ordine alle ragioni per le quali l’istituzione di un tavolo tecnico con il compito, a supporto degli uffici regionali, di elaborare una riforma della materia degli usi civici in Sardegna si porrebbe in contrasto con la disciplina statale dell’autorizzazione paesaggistica e, di conseguenza, con l’evocato parametro costituzionale.
Tale questione, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile.
2.2.2.– La questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. non è fondata.
L’art. 13, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 ha natura meramente organizzativa e si deve interpretare nel senso che l’attività del tavolo tecnico è limitata all’elaborazione di una proposta di riforma che disciplini le funzioni regionali in materia di usi civici, nell’esercizio della potestà legislativa di cui all’art. 3, comma primo, lettera n), statuto reg. Sardegna, senza alcuna estensione al regime civilistico dei beni civici, di cui si occupa la normativa interposta indicata dal ricorrente.
Tale conclusione è confermata dal richiamo, contenuto nella disposizione impugnata, alla legge reg. Sardegna n. 12 del 1994, che disciplina le predette funzioni regionali.
Non depone in senso contrario la circostanza che si parli di «riforma organica dell’intera materia degli usi civici in Sardegna», poiché la disposizione intende così riferirsi all’intera disciplina rientrante nella competenza legislativa regionale.
2.3.– L’art. 13, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, che disciplina la composizione del «tavolo tecnico interassessoriale» di cui al comma 2, non prevede forme di partecipazione del Ministro della cultura.
Ciò, secondo il ricorrente, violerebbe il principio di leale collaborazione desumibile dall’art. 5 Cost., considerata l’incidenza dei lavori del tavolo tecnico su profili di competenza del predetto Ministro, riguardanti i vincoli paesaggistici cui sono assoggettati i beni gravati da usi civici.
Neppure tale questione è fondata.
Come si è visto, il tavolo tecnico ha esclusivamente il compito di elaborare una proposta di riforma della disciplina relativa alle funzioni regionali in materia di usi civici, che non possono incidere sui predetti vincoli paesaggistici.
Di conseguenza, viene meno il presupposto da cui muove il ricorrente per lamentare la violazione del principio di leale collaborazione.
3.– L’art. 91 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 detta, ai commi 1 e 2, norme in materia di sbarramenti di ritenuta e relativi bacini di accumulo di competenza della Regione Sardegna, che modificano l’art. 5 della legge reg. Sardegna n. 12 del 2007 e l’Allegato A alla stessa legge regionale.
In particolare, l’art. 91, comma 1, lettera a), modifica il comma 1 del citato art. 5, prevedendo che le parole «entro il termine perentorio del 30 giugno 2018» siano sostituite dalle parole «entro il termine perentorio del 30 settembre 2024». In tal modo è prorogato dal 30 giugno 2018 al 30 settembre 2024 il termine per presentare l’istanza diretta a ottenere l’autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti esistenti «all’entrata in vigore» della legge reg. Sardegna n. 12 del 2007.
L’art. 91, comma 1, lettera b), sostituisce il comma 2 dello stesso art. 5, prevedendo che siano congiuntamente applicati la sanzione pecuniaria di euro cinquemila e l’ordine di demolizione degli sbarramenti, a proprie spese, nei confronti dei proprietari o dei gestori che, a seguito di controllo da parte del Corpo forestale e di vigilanza ambientale regionale, risultino sprovvisti di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio e non abbiano presentato istanza per ottenerla. La disposizione prevede altresì che la sanzione pecuniaria sia ridotta al dieci per cento e che l’ordine di demolizione possa essere sospeso «qualora il gestore o il proprietario inoltri istanza di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio, secondo quanto previsto dall’allegato A, entro e non oltre sessanta giorni dalla notifica del verbale di accertamento della violazione o dall’entrata in vigore della presente disposizione, qualora la sanzione sia già stata applicata».
L’art. 91, comma 2, infine, modifica gli artt. 25 e 26 dell’Allegato A alla legge reg. Sardegna n. 12 del 2007.
Queste ultime disposizioni disciplinano le procedure di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti esistenti.
L’art. 25 si occupa degli sbarramenti le cui «opere siano state regolarmente autorizzate». Esso prevedeva, in origine, che gli interessati presentassero «entro nove mesi dalla data di entrata in vigore» della legge reg. Sardegna n. 12 del 2007 tutta la documentazione a corredo della domanda di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio, unitamente alla stessa. L’art. 91, comma 2, lettera a), ha sostituito questo termine con quello del 30 settembre 2024, adeguando la normativa tecnica, sotto tale profilo, al testo dell’art. 5, comma 1, della medesima legge regionale, come novellato, secondo quanto già visto, dall’art. 91, comma 1, lettera a).
L’art. 26 dell’Allegato A si occupa invece degli sbarramenti «realizzati in assenza delle approvazioni previste dalla normativa vigente al momento della costruzione ovvero in difformità ai progetti approvati». Esso prevedeva, in origine, che gli interessati inoltrassero alle autorità competenti, «entro sei mesi dalla data di entrata in vigore» della legge reg. Sardegna n. 12 del 2007, «la domanda diretta ad ottenere l’approvazione tecnica in via di sanatoria dell’opera e [la] domanda diretta ad ottenere l’autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio». Analogamente, l’art. 91, comma 2, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 ha sostituito questo termine con quello del 30 settembre 2024.
3.1.– Secondo il ricorrente, le disposizioni impugnate, nel prorogare il termine di presentazione della domanda di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti esistenti, derogherebbero al divieto di sanatoria di opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa, posto dall’art. 167 cod. beni culturali.
Sarebbe così violata la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., né si potrebbero invocare le competenze legislative regionali in materia di «agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario» (art. 3, comma primo, lettera d, statuto reg. Sardegna), nonché in materia di «opere di grande e media bonifica e di trasformazione fondiaria» (art. 4, comma primo, lettera c, statuto reg. Sardegna), in quanto la deroga all’indicata norma statale si tradurrebbe nell’inosservanza di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.
3.2.– La Regione ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, perché il ricorrente non si sarebbe confrontato con le ulteriori potestà legislative regionali in materia ambientale, sulla scorta di quanto stabilito dall’art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975 e, in materia di “invasi minori”, in applicazione del principio del parallelismo delle funzioni amministrative e legislative, espresso dall’art. 6 dello statuto speciale.
L’eccezione non è fondata.
Come si è detto, il ricorrente ha indicato le competenze statutarie di cui agli artt. 3, comma primo, lettera d), e 4, comma primo, lettera c), statuto reg. Sardegna, invocando i limiti che, in relazione ad entrambe, discendono dal rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, tra cui rientra l’art. 167 cod. beni culturali.
Il nucleo del ragionamento condotto dal ricorrente, che sostiene il travalicamento delle competenze attribuite al legislatore regionale, emerge, dunque, con sufficiente nettezza (tra le tante, sentenze n. 58 del 2023 e n. 117 del 2022). La mancata considerazione di altre competenze regionali può incidere, semmai, sul merito delle questioni.
3.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
Sia la proroga al 30 settembre 2024 del termine per presentare l’istanza di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti (disposta dall’art. 91, comma 1, lettera a), sia la possibilità di inoltrare l’istanza di autorizzazione alla prosecuzione dopo l’accertamento del mancato rispetto del menzionato termine o dopo l’applicazione della sanzione (prevista dall’art. 91, comma 1, lettera b), riguardano anche opere che sono state regolarmente realizzate in presenza di autorizzazione originaria. In tali casi, la prosecuzione dell’esercizio è autorizzata secondo il procedimento disciplinato dall’art. 25 del citato Allegato A.
In riferimento a tale ipotesi, le disposizioni impugnate sono immuni dal vizio denunciato dal ricorrente, mancando il presupposto da cui muove la censura (l’eventuale sussistenza di un abuso paesaggistico soggetto a regolarizzazione).
Tuttavia, come visto, le stesse previsioni di cui all’art. 91, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 possono riguardare anche sbarramenti realizzati in assenza delle approvazioni previste dalla normativa vigente al momento della costruzione ovvero in difformità dai progetti approvati. In tali casi, il procedimento di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio è disciplinato dall’art. 26 dello stesso Allegato A, che obbliga gli interessati a richiedere, oltre a tale autorizzazione, anche la «approvazione tecnica in via di sanatoria dell’opera», nel rispetto dello stesso termine prorogato al 30 settembre 2024 (in forza dell’art. 91, comma 2, lettera b).
Sotto questo diverso aspetto, la disciplina regionale impugnata è conforme alla norma interposta di cui all’art. 167 cod. beni culturali.
Lo stesso art. 26 dell’Allegato A prevede infatti, al comma 6, che «[l]’approvazione tecnica in sanatoria non sostituisce obblighi, oneri e vincoli gravanti sul soggetto e sulle opere interessate, con riferimento alla concessione di derivazione, all’approvazione del progetto ai sensi delle vigenti norme in materia di lavori pubblici, alla valutazione di impatto ambientale, all’assetto idrografico, agli interessi urbanistici, paesaggistici, artistici, storico-archeologici, sanitari, demaniali, della difesa nazionale, dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza che restano di competenza delle autorità previste dalle norme vigenti».
Secondo tale clausola di salvezza, l’approvazione tecnica in sanatoria degli sbarramenti non autorizzati o difformi, in relazione alla quale il legislatore regionale ha prorogato il termine di presentazione della domanda (e consentito il suo inoltro anche nei casi di cui all’art. 91, comma 1, lettera b), non consente comunque una regolarizzazione delle opere sotto il profilo paesaggistico, in deroga all’art. 167 cod. beni culturali.
Ciò vale a distinguere la questione in esame rispetto a quella decisa con la sentenza n. 201 del 2021, che ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 della legge della Regione Veneto 23 giugno 2020, n. 23 (Norme in materia di costruzione, esercizio e vigilanza degli sbarramenti di ritenuta e dei bacini di accumulo di competenza regionale), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La disposizione allora impugnata consentiva, in relazione agli sbarramenti idrici di competenza regionale, la regolarizzazione delle opere non denunciate o realizzate in difformità dai progetti, previa presentazione, da parte del proprietario o del gestore, del progetto esecutivo completo dello stato di fatto e comprensivo della certificazione di idoneità statica. Questa Corte ha ritenuto che in tal modo si fosse delineato «un novero amplissimo di ipotesi, sostanzialmente illimitato e comunque idoneo a ricomprendere anche tutti gli sbarramenti idrici realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica, ovvero in difformità dalla stessa», anche al di fuori dei casi tassativi indicati dall’art. 167 cod. beni culturali, «senza, peraltro, alcun richiamo alla necessità di acquisire il preventivo parere vincolante della soprintendenza». Un tale contrasto è apparso «non […] sanabile in via interpretativa, tramite una lettura della disposizione impugnata che ne postul[asse] un’implicita conformità alla normativa statale in materia paesaggistica»; ciò in considerazione della compiutezza della disciplina regionale, «per cui il silenzio serbato in relazione ad alcuni profili qualificanti non [avrebbe potuto] intendersi quale tacito richiamo ad essi».
Diversamente, la disciplina regionale qui esaminata non è rimasta silente sui profili paesaggistici degli sbarramenti non autorizzati o difformi, in quanto con la richiamata clausola di cui all’art. 26, comma 6, dell’Allegato A ha escluso la possibilità di derogare alla normativa statale concernente i predetti profili, così rispettando i limiti delle competenze legislative attribuite alla Regione dallo statuto speciale.