Ritenuto in fatto
1.− Con il ricorso indicato in epigrafe, il Tribunale ordinario di Milano, in composizione monocratica, sezione settima penale, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in riferimento alla deliberazione del 18 gennaio 2023 della Camera dei deputati, con la quale, approvando la proposta della Giunta per le autorizzazioni (doc. IV-ter, n. 11-A), si è affermato che le dichiarazioni rese su Facebook dall’allora deputato Carlo Fidanza, in data 2 dicembre 2018, fossero state espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
1.1.− Il ricorso è promosso nell’ambito di un processo penale a carico di Carlo Fidanza, deputato all’epoca dei fatti, citato a giudizio per rispondere del reato di diffamazione aggravata di cui all’art. 595, terzo comma, del codice penale. Il giudice penale ricorrente riferisce che, in un video pubblicato su Facebook il 2 dicembre 2018, l’imputato affermava: «Siamo qui a Milano, in viale Toscana davanti a Santeria Social Club, locali dati in concessione [d]al Comune di Milano dove il 13 dicembre si sarebbe dovuta aprire questa fantastica mostra: “porno per bambini”. Una mostra che, con immagini di dubbio gusto e sicuramente ambigue, non avrebbe fatto altro che legittimare la pedopornografia. Non ci fermiamo qua! Chiediamo di vigilare su quello che viene svolto nei locali che d[à] in concessione, ma soprattutto vogliamo difendere i bambini e la loro innocenza da questi pazzi che la vogliono violare».
La Camera dei deputati – su richiesta del Tribunale ricorrente ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato) – il 18 gennaio 2023 ha deliberato che quelle dell’imputato sono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.
1.2.− Il Tribunale di Milano osserva, tuttavia, che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, «il sindacato sulla rilevanza penale delle dichiarazioni espresse da un parlamentare può essere sottratto all’autorità giudiziaria soltanto in costanza di un nesso funzionale tra le predette e specifici atti compiuti nell’esercizio delle funzioni pubbliche esercitate» (è citata la sentenza n. 241 del 2022). Nel caso di specie, le dichiarazioni dell’imputato sono state espresse extra moenia, sicché esse potrebbero ritenersi «non punibili ex art. 68 Cost. soltanto laddove presentino una sostanziale coincidenza con opinioni espresse in sede istituzionale e siano, altresì, cronologicamente successive a queste ultime», non essendo a tal proposito sufficiente né la comunanza di argomento, né la natura politica del contesto in cui siano pronunciate (è richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezione quinta penale, 7 maggio-22 luglio 2019, n. 32862).
La relazione della Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati (doc. IV-ter, n. 11-A), approvata con la deliberazione oggetto del conflitto, ha invece affermato l’insindacabilità delle opinioni per le quali si procede penalmente: e ciò in quanto Carlo Fidanza ha presentato, due giorni dopo aver espresso dette opinioni, un’interrogazione parlamentare dello stesso tenore (n. 4-01794 del 5 dicembre 2018), indirizzata al Ministero per la famiglia e la disabilità. La Giunta rilevava, inoltre, che Carlo Fidanza era stato promotore di diverse iniziative legislative in tema di tutela dei minori, tra cui la proposta di legge AC n. 305, presentata in data 23 marzo 2018, con la quale aveva proposto «l’adozione di misure più severe contro la pedofilia e la pedopornografia».
1.2.1.− Il Tribunale ricorrente afferma, in senso contrario, che l’atto tipico parlamentare deve essere compiuto sempre «prima (e non dopo, foss’anche di uno o due giorni) delle esternazioni incriminate» poiché altrimenti «si finirebbe per legittimare pretestuose iniziative istituzionali attuate ex post al solo fine di giustificare precedenti condotte potenzialmente diffamatorie». I precedenti giurisprudenziali di questa Corte, richiamati dalla Giunta per le autorizzazioni per giustificare il riferimento ad un atto tipico successivo alle opinioni extra moenia, sarebbero stati «abbondantemente superati dall’elaborazione successiva», secondo la quale «non possono avere rilievo […] gli atti parlamentari posteriori alla dichiarazione reputata insindacabile, perché, per definizione, quest’ultima non può essere divulgativa dei primi» (sono richiamate le sentenze n. 241 del 2022 e n. 55 del 2014).
Ad ogni modo, il ricorrente ritiene che, «anche per quanto riguarda i contenuti, l’interrogazione parlamentare era ben più mite, nei toni, del video caricato due giorni prima». Se, infatti, in quest’ultimo il deputato aveva esplicitamente accusato gli organizzatori della mostra e l’autore delle illustrazioni di «legittimare la pedopornografia» e di essere dei «pazzi» che intendevano «violare l’innocenza dei bambini», nell’interrogazione si sarebbe mostrato «molto più dubitativo e possibilista, affermando che “l’accostamento provocatorio dei termini ‘porno’ e ‘bambini’, nonché alcuni dei contenuti, rischiano di trasmettere un messaggio di legittimazione culturale di pratiche di natura pornografica e pedopornografica molto pericolose per i bambini” e che occorreva “difendere i bambini da messaggi culturali o commerciali aggressivi”».
Per altro verso, le iniziative legislative dell’allora deputato richiamate dalla Giunta non avrebbero alcun rilievo, in quanto esse non varrebbero «a connotare in sé le dichiarazioni quali espressive della funzione» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 144 del 2015, oltre alla già citata sentenza della Corte di cassazione n. 32862 del 2019).
1.3.− Secondo il Tribunale ricorrente, pertanto, l’allora deputato Fidanza, esprimendo le opinioni per cui è imputato, «non osservava alcun mandato parlamentare, bensì esercitava il proprio diritto di critica ai sensi dell’art. 21 Cost., la sussistenza dei cui limiti è tuttavia demandata all’esclusivo accertamento da parte dell’A.G.». La Camera dei deputati, con la deliberazione impugnata, avrebbe invece precluso detto vaglio, privando il Tribunale di Milano «delle proprie prerogative giurisdizionali».
Il ricorrente chiede allora a questa Corte di «accertare e dichiarare che il sindacato delle opinioni espresse dal deputato Carlo Fidanza» per il quale pende il procedimento penale «spetta all’autorità giudiziaria e non alla Camera dei deputati», in quanto dette opinioni non sono state espresse nell’esercizio della funzione parlamentare. Per l’effetto, è richiesto altresì l’annullamento della deliberazione impugnata.
2.− Con ordinanza n. 204 del 2023, questa Corte ha ritenuto sussistenti i presupposti soggettivi e oggettivi del conflitto e ha dichiarato ammissibile il relativo ricorso, in camera di consiglio e senza contraddittorio, ai sensi dell’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).
3.− Con atto depositato l’8 gennaio 2024, si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, la quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato in quanto non fondato.
3.1.− La resistente ritiene opportuno, innanzi tutto, ricostruire i fatti all’origine del ricorso. A tale proposito, precisa che, secondo quanto emerge dalla relazione della Giunta, nella mostra dal titolo «Porno per bambini», al centro delle dichiarazioni di Carlo Fidanza, sarebbero stati esposti, secondo l’artista, «fumetti in chiave erotica dal contenuto ironico, buffo e per questo definito “per bambini”», i quali «non avrebbero avuto natura pornografica né tantomeno avrebbero ritratto minori». Il riferimento ai bambini sarebbe da ricondurre «allo stile fanciullesco, tipico dei disegni dei più piccoli». Tale mostra, tuttavia, è stata annullata «a seguito del clamore mediatico» e «della presentazione di un esposto al Garante per l’Infanzia della Regione Lombardia».
Nel febbraio 2019, l’amministratore della società che aveva organizzato la mostra ha querelato l’allora deputato Fidanza e altri, in quanto le loro dichiarazioni «avrebbero indotto un numero molto elevato di persone a ritenere che il locale, ove si sarebbe dovuta tenere la mostra, fosse in realtà un luogo usato per la propaganda di pedofilia e di pedopornografia».
3.2.− Ciò premesso, a parere della Camera dei deputati sussisterebbero tanto la corrispondenza sostanziale quanto il legame temporale tra le dichiarazioni di Carlo Fidanza e quelle di cui agli atti tipici richiamati nella relazione della Giunta.
3.2.1.− Per quanto concerne il primo requisito, la difesa della Camera, integralmente riportata l’interrogazione parlamentare n. 4-01794, afferma che «sussiste una corrispondenza che va ben oltre quella richiesta [dalla] Corte costituzionale» (sono citate le sentenze n. 144 del 2015, n. 55 del 2014, n. 305 del 2013, n. 205 del 2012, n. 333, n. 98 e n. 81 del 2011, n. 59 del 2007 e n. 335 del 2006). Sarebbe evidente, infatti, che nel caso di specie vi sia «una vera e propria corrispondenza» tra le opinioni extra moenia e quelle intra moenia, tanto più considerando che non può effettuarsi, come invece riterrebbe il Tribunale ricorrente, «un puntuale e pedante riscontro sulle parole usate»: ciò che è necessario, anche alla stregua della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, è che il legame tra le dichiarazioni esterne e l’atto tipico sia evidente, «in modo tale da non poter essere disconosciuto da una persona ragionevole» (sentenza n. 144 del 2015).
Le differenze dei toni, ammesso e non concesso che ve ne siano, «sarebbero eventualmente ascrivibili alla diversa tipologia di comunicazione», quelle extra moenia essendo state espresse su un social media, che richiede un carattere «più immediato, informale e diretto» rispetto alle «asserzioni più formali, caratteristiche del contesto parlamentare».
Gli altri atti tipici richiamati nella relazione della Giunta, tra cui in particolare la proposta di legge n. 305, testimonierebbero «il costante impegno dell’on. Fidanza sui temi della tutela dell’infanzia», del resto certificato anche dalla recente attività dello stesso come parlamentare europeo.
3.2.2.− Per quel che riguarda, poi, il requisito del legame temporale, le argomentazioni della Camera dei deputati prendono le mosse dai tempi e dalle circostanze della vicenda, precisando che il video pubblicato su Facebook è stato pubblicato il 3 dicembre 2018 (e non il 2 dicembre, come erroneamente indicato nel capo di imputazione), l’interrogazione è stata pubblicata appena due giorni dopo e la querela è stata presentata il 22 febbraio 2019. Si rileva, in particolare, che dal 29 novembre al 4 dicembre 2018 non c’è stata attività parlamentare e che «il giorno in cui gli organizzatori della mostra hanno annunciato l’annullamento della stessa era un lunedì, giorno che è tradizionalmente dedicato al rapporto con gli elettori e con il territorio. È apparso dunque comprensibile che l’on. Fidanza ne abbia voluto dare immediatamente notizia alla propria comunità di riferimento, anche per il clamore che l’evento aveva sollevato e che, nello stesso giorno in cui ha pubblicato il video, o al massimo il giorno dopo, cioè il 4 dicembre, avesse predisposto l’interrogazione citata, per poi depositarla il primo giorno utile, e cioè il successivo 5 dicembre, data di arrivo alla Camera a Roma».
Per negare il legame temporale, osserva la difesa della resistente, il Tribunale di Milano afferma che l’atto parlamentare tipico deve essere sempre anteriore alle dichiarazioni extra moenia, a nulla valendo il richiamo compiuto dalla Giunta per le autorizzazioni a «precedenti molto risalenti e pertanto superati dalla giurisprudenza successiva». Al riguardo, la Camera dei deputati obietta che, secondo la giurisprudenza costituzionale richiamata dalla Giunta e «mai smentita», «il legame temporale sussiste non solo quando l’atto parlamentare precede la dichiarazione incriminata, ma anche quando esso segua tale dichiarazione in un arco di tempo così breve da potersi dire sostanzialmente ad essa contestuale» (sono citate le sentenze n. 218 del 2023, n. 241 del 2022, n. 133 del 2018, n. 97 del 2008 e n. 260 e n. 221 del 2006). Si tratterebbe di un «criterio flessibile, da applicare con attenzione al caso concreto».
Nel caso di specie, il riscontro del legame temporale da parte della Giunta sarebbe stato effettuato «in perfetta coerenza» con quanto deciso da questa Corte tanto nella sentenza n. 10 del 2000 quanto nella sentenza n. 276 del 2001, in cui gli atti tipici erano di due giorni successivi alle dichiarazioni extra moenia. Dovrebbe inoltre considerarsi che «l’affermarsi dei social media ha determinato un’evoluzione della comunicazione politica: infatti, al verificarsi degli eventi, i cittadini si aspettano una reazione immediata da parte dei loro rappresentanti, quando non sempre essi hanno la possibilità di esprimersi in ambito parlamentare».
4.− Con atto depositato il 4 dicembre 2023, sono intervenute nel giudizio, chiedendo l’accoglimento del ricorso, tanto Santeria spa quanto A. P., costituitesi parti civili, in qualità di persone offese, nel giudizio penale da cui trae origine il conflitto di attribuzione.
5.− Con atto depositato il 9 gennaio 2024, è intervenuto in giudizio Carlo Fidanza chiedendo il rigetto del ricorso.
6.− Santeria spa, A. P. e Carlo Fidanza, rispettivamente il 5 dicembre 2023 e il 10 gennaio 2024, hanno fatto istanza, ai sensi dell’art. 5 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, di fissazione anticipata e separata della sola questione concernente l’ammissibilità dei rispettivi interventi.
Questa Corte, nella camera di consiglio del 20 febbraio 2024, ha dichiarato ammissibili gli interventi di Santeria spa e A. P. e inammissibile, per tardività, quello di Carlo Fidanza (ordinanza n. 33 del 2024).
7.− In vista dell’udienza pubblica, la Camera dei deputati ha depositato una memoria con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1.− Il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, sezione settima penale, con il ricorso indicato in epigrafe ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in riferimento alla deliberazione del 18 gennaio 2023 della Camera dei deputati, con la quale, approvando la proposta della Giunta per le autorizzazioni (doc. IV-ter, n. 11-A), si è affermato che le dichiarazioni rese su Facebook dall’allora deputato Carlo Fidanza, in data 2 dicembre 2018, fossero state espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.
1.1.− Il ricorrente riferisce che Carlo Fidanza è citato a giudizio per rispondere del reato di diffamazione aggravata di cui all’art. 595, terzo comma, cod. pen., in ragione delle seguenti affermazioni, rese in un video pubblicato su Facebook il 2 dicembre 2018: «Siamo qui a Milano, in viale Toscana davanti a Santeria Social Club, locali dati in concessione [d]al Comune di Milano dove il 13 dicembre si sarebbe dovuta aprire questa fantastica mostra: “porno per bambini”. Una mostra che, con immagini di dubbio gusto e sicuramente ambigue, non avrebbe fatto altro che legittimare la pedopornografia. Non ci fermiamo qua! Chiediamo di vigilare su quello che viene svolto nei locali che d[à] in concessione, ma soprattutto vogliamo difendere i bambini e la loro innocenza da questi pazzi che la vogliono violare».
La Camera dei deputati – su richiesta del Tribunale ricorrente ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge n. 140 del 2003 – il 18 gennaio 2023 ha deliberato che quelle dell’imputato sono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.
Il Tribunale ricorrente ritiene, per contro, che tali affermazioni extra moenia non siano, come richiederebbe la giurisprudenza costituzionale, né sostanzialmente né cronologicamente connesse a opinioni espresse in sede istituzionale, ma siano invece espressione del diritto di critica di cui all’art. 21 Cost.: di qui il promosso conflitto, in quanto l’impugnata deliberazione della Camera dei deputati impedirebbe l’accertamento, che spetta all’autorità giudiziaria, circa il superamento o meno dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero.
2.− In via preliminare, deve essere confermata l’ammissibilità del conflitto in relazione alla sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi, come già delibato da questa Corte con l’ordinanza n. 204 del 2023.
Non c’è dubbio, infatti, che il Tribunale di Milano sia legittimato a promuovere conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, trattandosi di organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell’esercizio delle funzioni attribuitegli. Altrettanto pacifica è la legittimazione passiva della Camera dei deputati, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria volontà in ordine all’applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost.
Quanto ai presupposti oggettivi, l’inibizione a esercitare la funzione giurisdizionale, conseguente alla deliberazione della Camera dei deputati, è idonea a cagionare, ove le affermazioni di Carlo Fidanza non fossero riconducibili a opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., la lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita al potere ricorrente.
3.− La Camera dei deputati, costituitasi in giudizio, ha chiesto che il ricorso sia rigettato: sussisterebbero, infatti, tanto la corrispondenza sostanziale quanto il legame temporale tra le dichiarazioni di Carlo Fidanza, deputato all’epoca dei fatti, e quelle di cui agli atti tipici richiamati nella relazione della Giunta.
4.− Questa Corte, con l’ordinanza n. 33 del 2024, ha dichiarato ammissibili gli interventi di Santeria spa e A. P. e inammissibile, per tardività, quello di Carlo Fidanza.
La difesa di Santeria spa e A. P., che non ha depositato alcuna memoria, nell’udienza pubblica del 10 aprile 2024 ha affermato che sarebbe «limitante» considerare insindacabile ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost. una opinione extra moenia di un parlamentare solo nel caso in cui questi abbia già in precedenza espresso la medesima opinione in un previo atto parlamentare: ciò, infatti, renderebbe questa Corte un «notaio» chiamato a verificare la sola preesistenza di tale atto parlamentare, quando invece l’art. 68, primo comma, Cost. pretenderebbe che si valuti se quella del deputato o senatore sia una «opinione» e, in particolare, se detta opinione sia una «valutazione politica» o se si concretizzi, invece, nella consapevole attribuzione di «un fatto storico falso». Soltanto nel primo caso, afferma la difesa degli intervenienti, la condotta del parlamentare potrebbe considerarsi scriminata, poiché altrimenti questa Corte avvalorerebbe dichiarazioni calunniose nei confronti di singoli cittadini, a detrimento della stessa insindacabilità ex art. 68, primo comma, Cost., «troppo importante perché venga usurpat[a] in questa maniera».
5.− Le riportate affermazioni in udienza delle intervenienti, che prospettano una lettura dell’immunità parlamentare in discorso in parte diversa da quella fatta propria, pur nella divergenza di vedute, dal ricorrente e dalla resistente, inducono a opportune precisazioni in ordine al campo di applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost.
6.− Le immunità parlamentari intendono sottrarre il parlamentare a limitazioni o ad ostacoli nell’esplicazione della sua funzione provenienti da poteri che non facciano capo alla Camera cui appartiene, e che potrebbero assumere il carattere di interferenza nello svolgimento della funzione delle Assemblee parlamentari (sentenza n. 9 del 1970). Storicamente sorte per preservare i parlamenti da indebite intromissioni del potere giudiziario condizionato dal potere esecutivo, nell’attuale sistema costituzionale – in cui invece è assicurata l’indipendenza dell’ordine giudiziario – esse sono strutturate in modo da definire «un equilibrio razionale e misurato tra le istanze dello Stato di diritto, che tendono ad esaltare i valori connessi all’esercizio della giurisdizione (universalità della legge, legalità, rimozione di ogni privilegio, obbligatorietà dell’azione penale, diritto di difesa in giudizio, ecc.) e la salvaguardia di ambiti di autonomia parlamentare sottratti al diritto comune, che valgono a conservare alla rappresentanza politica un suo indefettibile spazio di libertà» (sentenza n. 379 del 1996).
Ciò che dunque la Costituzione consente e pretende non è la tutela di diritti del singolo deputato o senatore, ma «proteggere la libertà della funzione che il soggetto esercita, in conformità alla natura stessa delle immunità parlamentari, volte primariamente alla protezione dell’autonomia e dell’indipendenza decisionale delle Camere rispetto ad indebite invadenze di altri poteri, e solo strumentalmente destinate a riverberare i propri effetti a favore delle persone investite della funzione» (sentenza n. 38 del 2019; ma in senso analogo, ancora di recente, sentenze n. 170 e n. 157 del 2023).
La «complessiva architettura istituzionale [che ne deriva], ispirata ai princìpi della divisione dei poteri e del loro equilibrio» (sentenza n. 262 del 2009) può naturalmente determinare un antagonismo tra i due valori in bilanciamento: la libertà politica del Parlamento e l’autonomia delle funzioni delle Camere, da un lato; l’indipendenza e la terzietà del giudice, funzionali a garantire il principio d’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la difesa dei loro diritti e interessi, dall’altro. Antagonismo che, nel determinare una deroga al principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione che sta all’origine dello Stato di diritto (sentenza n. 24 del 2004), deve trovare un punto d’equilibrio in concreto per opera delle Camere e dell’ordine giudiziario, ferma restando la possibilità, per il potere che ritenga lese le proprie attribuzioni, di sollevare conflitto dinanzi a questa Corte (sentenza n. 1150 del 1988).
6.1.− L’art. 68, primo comma, Cost., allo «scopo di rendere pienamente libere le discussioni che si svolgono nelle Camere, per il soddisfacimento del superiore interesse pubblico connessovi» (sentenza n. 81 del 1975), impedisce che i parlamentari possano essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle funzioni.
In tal modo, la Costituzione esclude radicalmente ogni forma di responsabilità giuridica, per siffatti voti e opinioni, di deputati o senatori, «di modo che essi non possono, né potranno dopo la scadenza del mandato essere chiamati a rispondere per le attività da loro svolte in tale veste. Ciò al fine di garantire alle stesse Camere che i parlamentari possano esercitare nel modo più libero le loro funzioni, senza i limiti derivanti dal timore di possibili provvedimenti sanzionatori a loro carico» (sentenza n. 46 del 2008). La cosiddetta insindacabilità protegge, così, il “cuore” del mandato parlamentare, il cui svolgimento deve essere libero da condizionamenti per consentire, come delineata dall’art. 67 Cost., una libera rappresentanza, non di interessi di parte o di partito, ma della Nazione.
6.2.− È d’altra parte pure evidente che l’insindacabilità delle opinioni – proprio perché esclude radicalmente la responsabilità giuridica del parlamentare – rende particolarmente problematica, in concreto, l’individuazione del punto di equilibrio tra gli antagonisti valori di cui si è detto, poiché in tali casi «alcuni beni morali della persona, che è la Costituzione stessa a qualificare inviolabili (onore, reputazione, pari dignità), vengono a collidere con l’insindacabilità dell’opinione espressa dal parlamentare, che è momento insopprimibile (e, ben può dirsi, anch’esso inviolabile), della libertà della funzione» (sentenza n. 379 del 1996).
In ciò si coglie particolarmente la diversa ampiezza, quanto a campo d’applicazione, tra l’art. 21 Cost. e l’art. 68, primo comma, Cost. La libertà di manifestazione del pensiero – che è «coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione» (sentenza n. 11 del 1968) e, proprio in quanto tale, è «pietra angolare dell’ordine democratico» (sentenza n. 84 del 1969), anche perché garantisce a tutti l’esercizio del diritto alla critica politica – trova nella reputazione della persona, diritto inviolabile ai sensi dell’art. 2 Cost., un limite al suo legittimo esercizio, che l’ordinamento è chiamato a tutelare «con strumenti idonei, necessari e proporzionati» (sentenza n. 150 del 2021): il che significa che chiunque eserciti illegittimamente la libertà di espressione può esserne chiamato a rispondere. L’insindacabilità delle opinioni, come detto, esclude invece la responsabilità giuridica del parlamentare indipendentemente da ogni considerazione o valutazione circa l’incidenza che dette opinioni possano avere sulla reputazione di terzi: ciò, appunto, al fine di salvaguardare al massimo grado «l’autonomia delle funzioni parlamentari come area di libertà politica delle Assemblee rappresentative» (sentenza n. 120 del 2004), che potrebbe altrimenti essere condizionata dal timore di un sindacato su opinioni espresse da un parlamentare nello svolgimento del suo mandato.
6.3.− Nel delineare l’immunità in esame, peraltro, l’art. 68, primo comma, Cost. non adotta, come invece altre Costituzioni, un criterio spaziale, che espressamente limiti l’insindacabilità agli atti compiuti all’interno dell’assemblea di appartenenza (ad esempio, art. 46, comma 1, della Legge fondamentale tedesca e art. I, sezione 6, della Costituzione degli Stati Uniti d’America). Predilige, invece, «un criterio funzionale in base al quale l’insindacabilità non è limitata alle opinioni espresse all’interno delle Camere. Ciò similmente a quanto avviene in altri sistemi, come ad esempio quello operante per il Parlamento europeo (art. 8 del Protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’Unione europea, su cui sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 6 settembre 2011, in causa C-163/10, Patriciello)» (sentenza n. 133 del 2018).
Non solo le opinioni espresse all’interno di organi parlamentari o paraparlamentari, dunque, possono considerarsi funzionali, tanto più considerando che nella società contemporanea la comunicazione politica si è trasformata (e si continua a trasformare) profondamente (sentenze n. 11 e n. 10 del 2000). Il che, del pari, non significa che qualsiasi opinione espressa da un parlamentare sia, per ciò solo, sottratta alla responsabilità giuridica: è pur sempre necessario – affinché l’immunità non si trasformi illegittimamente in privilegio personale, con il correlato e ingiustificato sacrificio dei diritti e degli interessi dei terzi – che essa sia funzionalmente delimitata (sentenza n. 10 del 2000) e che, pertanto, le opinioni espresse siano caratterizzate dalla esistenza di un nesso stretto con l’esercizio delle funzioni (sentenza n. 11 del 2000).
6.3.1.− La connessione tra l’opinione espressa e la funzione parlamentare è il requisito di applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost. che ha del resto previsto – e non poteva essere altrimenti – anche il legislatore in sede di attuazione del disposto costituzionale. All’art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003 sono infatti indicate una serie di attività alle quali deve applicarsi l’immunità in discorso, che, per un verso, non sono esaustive di ciò che è esercizio di funzione parlamentare, e, per un altro, non estendono, neppure quando qualificate «di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica», l’operatività dell’insindacabilità, in quanto è espressamente stabilito che tutte le attività, anche se espletate fuori dalle Camere, e dunque per mezzo di atti non tipici, devono pur sempre essere «connesse con l’esercizio della funzione propria dei membri del Parlamento» (sentenza n. 120 del 2004).
7.− È a fronte di questo quadro – tanto chiaro nella sua portata definitoria, quanto complesso in quella applicativa – che si è via via sviluppata la giurisprudenza di questa Corte, chiamata di volta in volta a stabilire in concreto se le opinioni espresse da un parlamentare, su cui è insorto un conflitto di attribuzione, siano riconducibili all’esercizio delle funzioni ex art. 68, primo comma, Cost., e come tali siano insindacabili, o se vadano invece ricondotte all’esercizio della libertà di cui all’art. 21 Cost., in tal caso spettando poi al giudice comune «pronunciarsi in concreto sul rapporto fra diritto di libera manifestazione del pensiero, in particolare in campo politico, e diritto all’onore e alla reputazione del soggetto che si ritenga leso dall’opinione espressa» (sentenza n. 10 del 2000).
Nell’esercizio di una funzione che la rende arbitro del conflitto, questa Corte, al fine di riscontrare l’esistenza di un nesso stretto tra le “opinioni” e l’“esercizio delle funzioni”, ha progressivamente enucleato criteri (o indici rivelatori) «più complessi rispetto a quello della mera “localizzazione” dell’atto» (sentenza n. 11 del 2000), che tengono conto della sottesa esigenza di un equilibrio costituzionalmente sostenibile tra i valori dell’autonomia delle Camere e quelli connessi all’esercizio della giurisdizione, a loro volta, questi ultimi, posti – come si è detto – a tutela di altri beni costituzionalmente tutelati (reputazione, riservatezza, onore). Ciò, peraltro, nella consapevolezza che «in ragione dell’inscindibile legame tra conflitto e singola fattispecie» sarebbe vana «la pretesa di cristallizzare una regola di composizione del conflitto tra princìpi costituzionali che assumono configurazioni di volta in volta diverse e richiedono soluzioni non riducibili nei rigidi limiti di uno schema preliminare di giudizio» (sentenza n. 120 del 2004).
7.1.− È pacifico che «costituiscono opinioni espresse nell’esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facoltà proprie del parlamentare in quanto membro dell’assemblea» (sentenza n. 10 del 2000). D’altro canto, i regolamenti parlamentari attribuiscono al Presidente d’Assemblea poteri diretti anche a evitare che, per mezzo di atti tipici, si abusi dell’immunità in discorso (artt. 66, 97, 146, 154 e 157 del Regolamento del Senato e artt. 59, 89, 139 e 139-bis del Regolamento della Camera, sull’uso di parole o termini «sconvenienti»).
7.2.− Per quel che concerne le opinioni espresse extra moenia, deve innanzitutto escludersi che rientrino nell’ambito dell’art. 68, primo comma, Cost. gli insulti (sentenze n. 218 del 2023, n. 59 del 2018 e n. 137 del 2001), le minacce (sentenza n. 218 del 2023) e più in generale i meri comportamenti materiali (sentenza n. 137 del 2001), l’attestazione di una circostanza di fatto idonea a integrare un reato (sentenza n. 388 del 2007), nonché la consapevole affermazione di fatti oggettivamente falsi lesivi della reputazione altrui (sulla cui peculiare offensività, sentenza n. 150 del 2021). L’insindacabilità, infatti, tutela e consente dichiarazioni finalizzate al promovimento e alla qualità del dibattito pubblico, non certo al suo scadimento.
7.2.1.− Ciò premesso, e fermo restando, dunque, che di opinioni deve trattarsi, la giurisprudenza di questa Corte ha considerato indici rivelatori dell’esistenza del nesso funzionale la sostanziale corrispondenza con opinioni espresse nell’esercizio di attività parlamentare tipica e la sostanziale contestualità temporale fra tale ultima attività e l’attività esterna (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 218 del 2023, n. 241 del 2022, n. 59 del 2018, n. 144 del 2015 e n. 115 del 2014). Al ricorrere di queste condizioni, infatti, ben può affermarsi che le opinioni espresse fuori dalle sedi delle Camere siano connesse all’esercizio della funzione parlamentare, in quanto destinate a comunicare all’esterno, pur nell’ineliminabile diversità degli strumenti e del linguaggio adoperato nell’atto tipico e nella sua diffusione all’opinione pubblica, il significato dell’attività compiuta nell’esercizio del mandato, che, d’altronde, per sua natura è destinata «a proiettarsi al di fuori delle aule parlamentari, nell’interesse della libera dialettica politica che è condizione di vita delle istituzioni democratico-rappresentative» (sentenze n. 321 e n. 320 del 2000).
7.3.− Si tratta, tuttavia, pur sempre e soltanto di indici rivelatori, per quanto particolarmente consistenti e qualificati, e non già di elementi costitutivi di una fattispecie puntualmente delineata dalla Costituzione o dalla legge, sicché l’art. 68, primo comma, Cost. può, in casi particolari, trovare applicazione anche a «dichiarazioni rese extra moenia, non necessariamente connesse ad atti parlamentari ma per le quali si ritenga nondimeno sussistente un evidente e qualificato nesso con l’esercizio della funzione parlamentare» (sentenza n. 133 del 2018).
Naturalmente, nel delineato contesto, si impone a questa Corte uno scrutinio particolarmente rigoroso sulla ricorrenza di tale nesso, in ragione dei contrapposti interessi costituzionali che vengono in gioco. Il che, del resto, è in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha riconosciuto, da un lato, che l’insindacabilità persegue «scopi legittimi, vale a dire la tutela del libero dibattito parlamentare e il mantenimento della separazione dei poteri legislativo e giudiziario» e, dall’altro, che l’assenza di un legame con un’attività parlamentare stricto sensu «esige un’interpretazione stretta del concetto di proporzionalità tra lo scopo prefissato e i mezzi impiegati» (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 24 febbraio 2009, CGIL e Cofferati contro Italia).
7.3.1.− In quest’ottica, possono considerarsi entro il perimetro di applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. non tutte le opinioni politiche che il parlamentare esprima, al pari di quelle che può esprimere ogni cittadino e che trovano tutela e limiti nell’art. 21 Cost., ma quelle opinioni che, iscrivendosi in un contesto politico, siano funzionali all’esercizio dell’attività parlamentare. Deve trattarsi, dunque, di opinioni che incanalino nel processo politico proprio di una democrazia pluralista i diversi e divergenti interessi riferibili al popolo, al fine di trovare, nell’esercizio della rappresentanza della Nazione di cui all’art. 67 Cost., una mediazione tra gli stessi rispondente all’interesse generale. Tale rappresentanza, sancita dall’art. 67 Cost., costituisce invero il fondamento primo e, al tempo stesso, il limite, dell’insindacabilità delle opinioni prevista dall’art. 68, primo comma, Cost.
Una funzione così alta, che la Costituzione protegge con un’immunità che si protrae oltre la scadenza del mandato parlamentare, esige e pretende, al contempo, forme espressive improntate al rispetto della dignità dei destinatari della critica e della denuncia politica, in specie quando questi non siano a loro volta parlamentari: e ciò tanto più quando l’opinione è espressa per mezzo dei moderni mezzi di comunicazione – quali testate giornalistiche online o social media – che la rendono agevolmente reperibile e oggetto di ulteriore diffusione (sentenza n. 150 del 2021). Sono insomma necessarie modalità espressive che, lungi dal trasformare l’insindacabilità in una garanzia di impunità e in un privilegio, siano coerenti con il rilievo dell’istituto nel raccordo tra istituzioni parlamentari e opinione pubblica e ne sorreggano la ratio, piuttosto che metterla in crisi.
8.− Applicando in concreto i richiamati princìpi, l’odierno ricorso deve essere rigettato.
La Camera dei deputati, infatti, ha correttamente valutato che le dichiarazioni dell’allora deputato Fidanza sono state espresse nell’esercizio della funzione parlamentare.
8.1.− Deve considerarsi, innanzitutto, che le parole adoperate da Carlo Fidanza nel video poi pubblicato su un social media, per quanto aspre, costituiscono una dura valutazione di un fatto – lo svolgimento di una specifica mostra presso locali dati in concessione da un comune, peraltro nel collegio di elezione – che non si risolve in una mera denuncia o critica politica, ma è funzionale a farsi portatrice, nella sua prospettiva, di interessi generali: ne è riprova l’intenzione manifestata di continuare a interessarsi dei temi che egli ha ritenuto sottesi alla vicenda concreta.
Le affermazioni per cui è sorto il conflitto, pertanto, non solo sono qualificabili come opinioni, ma devono ritenersi espresse nell’esercizio della funzione parlamentare.
8.2.− D’altronde, a rilevare l’esistenza del nesso funzionale sta l’atto di sindacato ispettivo – l’interrogazione a risposta scritta n. 4-01794 – cui ha fatto riferimento la Giunta per le autorizzazioni nella relazione approvata con la deliberazione della Camera dei deputati impugnata nell’odierno conflitto.
8.2.1.− Tale interrogazione, innanzitutto, è stata presentata nel «medesimo contesto temporale» (sentenza n. 221 del 2006) in cui il video recante le opinioni è stato pubblicato online. Essa, infatti, risale al 5 dicembre 2018, a fronte di affermazioni extra moenia che risultano essere state rese appena due giorni prima: si tratta di un arco temporale particolarmente compresso, il cui sviluppo si chiude quasi tre mesi prima che venga presentata la querela per diffamazione (sul riscontro della contestualità temporale, sentenze n. 218 del 2023, n. 241 del 2022, n. 305 del 2013, n. 205 del 2012, n. 98 del 2011, n. 97 del 2008, n. 335, n. 258 e n. 221 del 2006, n. 276 del 2001 e n. 10 del 2000). D’altro canto, una rigida applicazione dell’indice del legame temporale in termini di mera divulgazione di un atto, necessariamente esistente e antecedente, trasformerebbe il requisito del nesso funzionale in una sorta di nesso cronologico che non è idoneo, nella sua rigidità, a qualificare “l’esercizio delle funzioni”.
V’è da rilevare, inoltre, che il tenore stesso delle opinioni espresse extra moenia – laddove, in particolare, viene manifestata l’intenzione di continuare a occuparsi dei temi ritenuti sottesi alla vicenda concreta – preannunciava, o comunque sia rendeva in concreto prevedibile, l’esercizio dell’attività parlamentare tipica (sentenze n. 241 del 2022, n. 133 del 2018, n. 335 del 2006 e n. 223 del 2005).
8.2.2.− Deve essere riscontrata, poi, la sostanziale corrispondenza di significato, «al di là delle formule letterali usate» (sentenza n. 144 del 2015), tra le opinioni espresse nel video sul social media e il contenuto dell’interrogazione a risposta scritta. Al di là, infatti, dell’uso di modalità espressive e comunicative fisiologicamente diverse, in considerazione dell’ineliminabile diversità degli strumenti in concreto utilizzati, che si tratti della medesima opinione si evince dalla circostanza che tanto l’atto tipico quanto le affermazioni extra moenia: si occupano di una medesima mostra artistica, ne criticano il titolo e l’oggetto, valutano negativamente gli effetti che tale mostra potrebbe avere sullo sviluppo della sessualità dei bambini e, infine, richiedono una particolare attenzione da parte della pubblica amministrazione nel concedere locali in concessione.
8.3.− Alla luce di tutto quanto precede, le affermazioni per le quali l’allora deputato Carlo Fidanza è citato a giudizio, dinanzi al ricorrente Tribunale di Milano, per rispondere del reato di diffamazione aggravata di cui all’art. 595, terzo comma, cod. pen. costituiscono opinioni espresse nell’esercizio della funzione parlamentare e, pertanto, spettava alla Camera dei deputati deliberarne l’insindacabilità.