Sentenza 116/2024 (ECLI:IT:COST:2024:116)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: BARBERA - Redattore: AMOROSO
Camera di Consiglio del 04/06/2024;    Decisione  del 05/06/2024
Deposito del 02/07/2024;   Pubblicazione in G. U. 03/07/2024  n. 27
Norme impugnate: Art. 73 del decreto legislativo 06/09/2011, n. 159.
Massime:  46303  46310  46311 
Massime:  46303  46310  46311 
Atti decisi: ord. 141/2023

Massima n. 46303 Massima successiva
Titolo
Reati e pene - In genere - Principio di offensività - Caratteri - Precetto rivolto al legislatore, come limite alla sua discrezionalità (offensività "in astratto") - Conseguente possibilità di reprimere solo le condotte lesive, o idonee a mettere in pericolo, beni meritevoli di protezione, valutate in modo non irrazionale né arbitrario - Divieto, salvo eccezioni, di sanzionare la responsabilità penale c.d. d'autore - Criterio interpretativo-applicativo per il giudice comune (offensività "in concreto"). (Classif. 210001).

Testo

Il principio di offensività opera su due piani distinti. Da un lato, come precetto rivolto al legislatore, diretto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (offensività “in astratto”); nella sua accezione astratta costituisce un limite alla discrezionalità legislativa in materia penale posto sotto il presidio di questa Corte. Dall’altro lato, come criterio interpretativo-applicativo per il giudice comune, il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovrà evitare che ricadano in quest’ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (offensività “in concreto”). (Precedenti: S. 28/2024 - mass. 46019; S. 225/2008 - mass. 32614; S. 265/2005 - mass. 29512; S. 519/2000; S. 263/2000).

Il rispetto del principio di offensività (nullum crimen sine iniuria), desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost., comporta che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, può reprimere sul piano penale, come fattispecie di reato, soltanto condotte che, nella loro descrizione tipica, comunque, rispettosa del principio di legalità, consistano, altresì, in comportamenti dal contenuto offensivo di beni meritevoli di protezione, anche sotto il profilo della loro mera esposizione a pericolo. (Precedente: S. 354/2002 - mass. 27220).

Affinché il principio di offensività possa ritenersi rispettato, occorre che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all’id quod plerumque accidit. (Precedenti: S. 278/2019 - mass. 41830; S. 141/2019 - mass. 41823; S. 109/2016 - mass. 38865; S. 225/2008 - mass. 32613; S. 333/1991 - mass. 17540).

Il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti del tutto estranei al fatto-reato e non connessi alla condotta, perché così si introdurrebbe una responsabilità penale c.d. d’autore, che si pone in aperta violazione del principio di offensività. (Precedenti: S. 249/2010 - mass. 34820; S. 263/2000 - mass. 25484; S. 370/1996; S. 360/1995 - mass. 22565; S. 14/1971 - mass. 5396; S. 110/1968).

Le qualità personali dei soggetti o i comportamenti pregressi degli stessi non possono giustificare disposizioni che attribuiscano rilevanza penale a condizioni soggettive, salvo che tale trattamento specifico e differenziato rispetto ad altre persone non risponda alla necessità di preservare altri interessi meritevoli di tutela. (Precedente: S. 211/2022 - mass. 45138).

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 25  co. 2

Titolo
Misure di prevenzione - In genere - Applicazione del principio di offensività - Conseguente necessità che i destinatari siano riconducibili a categorie previste dal cod. antimafia e che sussista una pericolosità sociale attuale - Finalità preventiva delle medesime. (Classif. 156001).

Testo

Le misure di prevenzione personale, sia se applicate dall’autorità amministrativa, sia se adottate dall’autorità giudiziaria, presuppongono la riconducibilità della persona a una delle categorie di destinatari previste dal codice antimafia e l’attualità della pericolosità sociale del destinatario della misura per la sicurezza pubblica.

Non è compatibile con il principio di offensività l’incriminazione dello “status” di sottoposto a misura di prevenzione personale che non si rifletta su una maggiore pericolosità o dannosità, e, quindi, offensività, della condotta, in assenza della violazione di una specifica prescrizione che sia ricollegabile alla condizione soggettiva di destinatario della misura di prevenzione personale.

Imperniate come sono su un giudizio di persistente pericolosità del soggetto, le misure di prevenzione personale hanno una chiara finalità preventiva anziché punitiva, mirando a limitare la libertà di movimento del loro destinatario per impedirgli di commettere ulteriori reati, o quanto meno per rendergli più difficoltosa la loro realizzazione, consentendo al tempo stesso all’autorità di pubblica sicurezza di esercitare un più efficace controllo sulle possibili iniziative criminose del soggetto. L’indubbia dimensione afflittiva delle misure stesse non è, in quest’ottica, che una conseguenza collaterale di misure il cui scopo essenziale è il controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato: non già la punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato.

Massima n. 46311 Massima precedente
Titolo
Misure di prevenzione - In genere - Presupposto e ratio - Necessità di tutelare l'ordine pubblico e della sicurezza violati o messi in pericolo dal destinatario della misura - Possibili limitazioni alla libertà di circolazione. (Classif. 156001).

Testo

Non ogni inadempimento di obblighi generici e indeterminati può essere posto a carico dei destinatari delle misure di prevenzione, ma soltanto quello che si sostanzia in violazioni di specifiche prescrizioni finalizzate alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza. (Precedente: S. 99/2020 - mass. 42519).

Tra gli obiettivi specifici dell’applicazione delle misure di prevenzione, vi è quello di garantire l’attuazione della necessaria vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza, anche attraverso la previsione di limitazioni della libertà di circolazione. (Precedenti: S. 211/2022; S. 24/2019 - mass. 42485-42486-42487-42489).


Pronuncia

SENTENZA N. 116

ANNO 2024


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 73 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), promosso dal Tribunale ordinario di Nuoro, sezione penale, nel procedimento a carico di N. S., con ordinanza del 19 settembre 2023, iscritta al n. 141 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2023, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 4 giugno 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2024 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

deliberato nella camera di consiglio del 5 giugno 2024.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 19 settembre 2023 (r. o. n. 141 del 2023) il Tribunale ordinario di Nuoro, sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 73 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui punisce con sanzione penale chi, in precedenza sottoposto a misura di prevenzione personale, guidi un autoveicolo o un motoveicolo senza patente, in quanto revocata o sospesa, anche nelle ipotesi in cui la revoca o la sospensione del titolo abilitativo alla guida non conseguano all’applicazione della misura di prevenzione.

1.1.– Il rimettente riferisce di procedere nei confronti di una persona imputata del reato di cui all’art. 73 cod. antimafia perché, essendo destinatario della misura dell’avviso orale emesso dal questore, circolava alla guida dell’autovettura sprovvisto di patente di guida poiché revocatagli per essersi posto alla guida di un’autovettura in stato di ebbrezza.

Il giudice a quo evidenzia che l’imputato è stato sottoposto alla misura di prevenzione dell’avviso orale con provvedimento del questore del 24 ottobre 2017, notificatogli il 22 dicembre 2017.

Successivamente il prefetto, con provvedimento del 31 luglio 2019, ha disposto, per la durata di un anno, con decorrenza dal 26 luglio 2019, la sospensione della patente di guida, in quanto l’imputato, in pari data, veniva colto alla guida dell’autovettura in stato di ebbrezza conseguente all’abuso di sostanze alcoliche, in violazione dell’art. 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada).

Il rimettente dà, altresì, atto che durante un controllo della polizia stradale l’imputato veniva sorpreso alla guida della propria autovettura sprovvisto di patente, proprio perché sospesa con il provvedimento prefettizio, sopra richiamato.

In punto di rilevanza, il rimettente afferma che le emergenze processuali comprovano una condotta riconducibile alla fattispecie incriminatrice, di cui all’art. 73 del d.lgs. n. 159 del 2011 e sottolinea che tale disposizione non distingue in ordine alle ragioni della revoca o della sospensione della patente di guida, risultando, dunque, applicabile anche ai casi in cui il relativo provvedimento amministrativo non consegua all’applicazione della misura di prevenzione, deponendo in tal senso in primo luogo il dato letterale.

A tal riguardo, richiama un recente arresto della Corte di cassazione secondo cui non integra il reato contravvenzionale in esame la guida di un autoveicolo senza patente, o dopo che la stessa sia stata revocata, da parte del destinatario di un mero avviso orale del questore privo della prescrizione dei divieti previsti dall’art. 3, comma 4, del decreto legislativo citato (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 28 febbraio-7 aprile 2023, n. 14935).

Ad avviso del rimettente, si tratterebbe di un orientamento non compatibile con la disposizione di cui all’art. 3 cod. antimafia, che annovera tra le misure di prevenzione personali l’avviso orale del questore anche nella forma cosiddetta semplice. Del resto – evidenzia il rimettente – tale orientamento non è univoco, atteso che altro arresto della Corte di cassazione ha affermato che il reato è configurabile anche nel caso in cui venga in rilievo una misura di prevenzione disposta dall’autorità amministrativa (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 17 novembre 2022-10 gennaio 2023, n. 418).

Ciò precisato, in assenza di un orientamento unico della giurisprudenza di legittimità e nel rispetto del tenore letterale dell’art. 73 cod. antimafia, secondo il giudice a quo il reato deve ritenersi configurabile anche nel caso di un soggetto destinatario di avviso orale senza prescrizioni.

A sostegno di tali argomentazioni è richiamata altra giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 12 dicembre 2017-20 febbraio 2018, n. 8223), secondo cui la depenalizzazione del reato di guida senza patente di cui all’art. 116 cod. strada non si estende all’ipotesi in cui la guida senza patente sia realizzata da persona sottoposta alla misura di prevenzione personale, in quanto l’art. 73 cod. antimafia prevede un reato autonomo.

Sussisterebbe, pertanto, la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, in quanto il giudizio non può essere deciso in assenza della soluzione dell’incidente di legittimità costituzionale; né è possibile procedere, per quanto evidenziato, a una interpretazione costituzionalmente orientata.

Il giudice a quo afferma, poi, che la sentenza di questa Corte n. 211 del 2022, avente a oggetto la stessa disposizione censurata, ha scrutinato questioni di legittimità costituzionale in realtà non sovrapponibili a quelle da lui sollevate.

1.2.– Nel merito, il rimettente ritiene che la disposizione censurata contrasti con il principio di necessaria offensività del reato di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.

Richiamate le numerose sentenze di questa Corte sul principio di offensività, e tra queste la citata sentenza n. 211 del 2022, il rimettente evidenzia come anche i reati di pericolo presunto, ai quali va ascritta la previsione di cui all’art. 73 cod. antimafia, devono essere connotati dalla necessaria offensività della fattispecie criminosa.

In particolare, nell’ordinanza di rimessione si evidenzia che il principio di offensività del reato, pure nella sua configurazione come fattispecie di pericolo, postula che le qualità personali dei soggetti o i comportamenti pregressi degli stessi non possono giustificare disposizioni che attribuiscono rilevanza penale a condizioni soggettive, salvo che tale trattamento specifico e differenziato rispetto ad altre persone non risponda alla necessità di preservare altri interessi meritevoli di tutela. Non è infatti compatibile con il principio di offensività l’incriminazione di un mero status, anziché di una condotta, pur potendo rilevare nei reati propri, la condizione soggettiva dell’autore.

1.3.– Ciò precisato, il rimettente è consapevole che, con la sentenza n. 211 del 2022, questa Corte ha ritenuto non ravvisabile un’ipotesi di responsabilità d’autore nella fattispecie di cui all’art. 73 cod. antimafia, ma al riguardo evidenzia come, in relazione alla fattispecie presa allora in considerazione, la sentenza ha affermato, tra l’altro che il «[p]resupposto della fattispecie penale è la mancanza del titolo abilitativo alla guida quale conseguenza dell’applicazione della misura di prevenzione personale; presupposto che – come rilevato – trova il suo specifico riferimento normativo nella disposizione di cui all’art.120 cod. strada».

Il tenore letterale della disposizione è, però, tale da determinarne l’applicabilità anche alle ipotesi in cui la sospensione o la revoca del titolo abilitativo non derivino dall’applicazione della misura di prevenzione personale, ma conseguano ad altre evenienze, quali la perdita dei requisiti psicofisici per la guida o, come nel caso di specie, quando si tratti di misura di tipo cautelare irrogata dall’autorità amministrativa per contrastare ulteriori comportamenti connessi all’abuso di bevande alcoliche.

In tali ipotesi, verrebbe a mancare la ragione giustificativa della previsione penale dal punto di vista del principio di offensività, individuata nella necessità di limitare gli spostamenti, di impedire o ostacolare la perpetrazione di attività illecite e di rendere meno agevole il sottrarsi ai controlli dell’autorità da parte di soggetti ritenuti pericolosi e per questo assoggettati a misura di prevenzione.

A tal riguardo, il rimettente osserva che là dove la revoca o la sospensione della patente non sia collegata all’applicazione della misura di prevenzione, alla pericolosità del soggetto e alla necessità di predisporre più stringenti modalità di controllo, la previsione di una sanzione penale connessa alla violazione del divieto di guida senza patente finisce con il punire una qualità personale del soggetto, quella cioè di essere persona sottoposta alla misura di prevenzione; in assenza di tale qualifica soggettiva, la medesima condotta è invece punita solo in via amministrativa, fatta salva l’ipotesi della recidiva nel biennio.

In tali casi, richiamando i principi affermati nella sentenza di questa Corte n. 354 del 2002, l’essere sottoposto con provvedimento definitivo a una misura di prevenzione personale si pone come «evenienza del tutto estranea al fatto-reato» previsto dall’art. 73 cod. antimafia, configurando una ipotesi di responsabilità penale d’autore.

Osserva il rimettente che – diversamente da quanto affermato nella sentenza di questa Corte n. 211 del 2022 in relazione alla specifica fattispecie di revoca della patente quale conseguenza dell’applicazione della misura di prevenzione, per la quale vi è un momento di valutazione caso per caso della pericolosità specifica, che peraltro si accompagna alla giustiziabilità della valutazione prefettizia – nella fattispecie in esame, in cui la sospensione della patente non è connessa all’applicazione della misura di prevenzione, manca il momento valutativo della pericolosità sociale.

Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata, nella parte in cui sanziona il destinatario di una misura di prevenzione personale, nei confronti del quale la patente di guida sia stata sospesa o revocata per ragioni estranee all’applicazione della misura di prevenzione, configura una ipotesi di reato d’autore, in contrasto con il principio di offensività, il quale vieta di punire o di punire in maniera più rigorosa un soggetto, in ragione delle sue qualità personali derivanti dal precedente compimento di atti del tutto estranei al fatto-reato per cui si procede.

1.4.– Sussisterebbe il contrasto anche con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza.

A tal riguardo, nell’ordinanza di rimessione si osserva che, in seguito alla depenalizzazione attuata con l’art. 1 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), la conduzione dei veicoli senza aver conseguito la patente, o la guida senza patente perché revocata o non rinnovata per mancanza dei requisiti fisici e psichici, non è più prevista dalla legge come reato (salvo il caso della recidiva nel biennio), in quanto trasformata in illecito amministrativo e punita, ai sensi dell’art. 116, comma 15, primo periodo, cod. strada, con la sanzione amministrativa da ultimo innalzata nel minimo a 5.100 e nel massimo a 30.599 euro.

Pertanto, nell’attuale sistema normativo, l’essere stato sottoposto, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale, pur essendo circostanza del tutto estranea al fatto reato (guida senza patente), rende punibile una condotta che, se realizzata da qualsiasi altro soggetto, non assume alcun disvalore sul piano penale, eccettuata l’ipotesi della recidiva nel biennio.

La disposizione censurata, in tale prospettiva, sarebbe viziata da irragionevolezza, giacché un medesimo fatto, la guida senza patente, rileva sotto l’aspetto penale soltanto per una particolare categoria di soggetti, quelli sottoposti a misura di prevenzione.

Al riguardo il giudice a quo evidenzia che le argomentazioni sul punto, contenute nella sentenza di questa Corte n. 211 del 2022 – che ha dichiarato la non fondatezza delle questioni allora sollevate – non possono valere nel caso di specie, poiché il provvedimento di sospensione amministrativa della patente è stato disposto per ragioni non ricollegabili alla pericolosità dell’imputato.

2.– Con atto depositato il 22 novembre 2023, è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Ad avviso della difesa statale la disposizione censurata non sarebbe in contrasto con il principio di offensività in quanto, come rilevato nella sentenza n. 211 del 2022, le misure di prevenzione personale, sia quelle applicate dall’autorità amministrativa sia quelle adottate dall’autorità giudiziaria, oltre a presupporre la riconducibilità di una persona ad una delle categorie di destinatari previste dal codice antimafia, richiedono «l’attualità della pericolosità sociale del destinatario della misura e la pericolosità sociale effettiva della persona per la pubblica sicurezza».


Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza di rimessione indicata in epigrafe (r. o. n. 141 del 2023), il Tribunale di Nuoro, sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 73 del d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui punisce con sanzione penale chi, in precedenza sottoposto a misura di prevenzione personale, guidi un autoveicolo o un motoveicolo senza patente, in quanto revocata o sospesa, anche nelle ipotesi in cui la revoca o la sospensione del titolo abilitativo alla guida non conseguano all’applicazione della misura di prevenzione.

Il rimettente afferma, innanzi tutto, che la disposizione censurata contrasterebbe con l’art. 25 Cost., in riferimento al principio di offensività, in quanto nei casi in cui la revoca o la sospensione della patente non sono conseguenza dell’applicazione della misura di prevenzione, la quale presuppone la pericolosità del soggetto, la previsione di una sanzione penale connessa alla violazione del divieto di guida senza patente finisce con il punire una qualità personale, l’essere, cioè, persona sottoposta alla misura di prevenzione, così configurandosi un caso di responsabilità cosiddetta d’autore.

Inoltre, la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., in riferimento al principio di ragionevolezza, perché l’essere sottoposto, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale, pur essendo circostanza del tutto estranea al fatto-reato (la guida senza patente), rende punibile una condotta che, se realizzata da qualsiasi altro soggetto, non assume alcun disvalore penale, essendo stata depenalizzata dall’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016.

2.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano rigettate in ragione della loro non fondatezza.

3.– Le questioni sono ammissibili.

Sussiste, in primo luogo, la loro rilevanza avendo il rimettente adeguatamente motivato in ordine alla necessità di fare applicazione della disposizione censurata nel giudizio principale (ex plurimis, sentenze n. 211 del 2022, n. 182 e n. 55 del 2021).

In particolare, il giudice a quo deve giudicare in ordine alla sussistenza del reato previsto dall’art. 73 cod. antimafia, del quale è imputata una persona destinataria, in via definitiva, dalla misura di prevenzione dell’avviso orale, disposto dal questore, nella specie senza le prescrizioni (cosiddetto avviso semplice), di cui all’art. 3, comma 4, cod. antimafia; al prevenuto è contestato di aver guidato una autovettura nonostante in precedenza la patente gli fosse stata sospesa, con provvedimento prefettizio, per guida in stato di ebbrezza.

Nel dare atto della esistenza di un prevalente – ma non unanime – orientamento della giurisprudenza di legittimità che afferma la non configurabilità del reato nel caso di avviso orale cosiddetto semplice, il rimettente evidenzia che il tenore letterale della disposizione censurata è chiaro nel senso della sua applicazione alle misure di prevenzione in genere, senza alcuna distinzione e quindi senza escludere l’avviso orale (nel senso della sussistenza del reato con riferimento al prevenuto destinatario dell’avviso orale del questore, vedi Cass., sentenza n. 418 del 2023; in senso contrario, Cass., sentenza n. 14935 del 2023).

Ciò basta, in mancanza di un chiaro diritto vivente sul punto, per affermare la rilevanza delle questioni (ex multis, sentenze n. 5 del 2024, n. 225 del 2023 e n. 246 del 2022), tanto più che in materia penale maggiore è l’esigenza di certezza in ordine alla sussistenza, o no, di ipotesi di reato.

4.– Prima di procedere all’esame delle censure nel merito, va innanzi tutto richiamata, in sintesi, la ricostruzione dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento, già operata da questa Corte nella sentenza n. 211 del 2022, avente ad oggetto la stessa disposizione anche ora censurata.

In particolare, ai fini che qui interessano, in tale pronuncia si è evidenziato che, nel tempo, l’evoluzione della disciplina della guida senza patente, è avvenuta secondo «un risalente e costante parallelismo tra la fattispecie generale (di guida senza patente o con patente revocata o non rinnovata) e quella speciale (in cui la stessa condotta è posta in essere da chi è sottoposto a misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo)», le quali sono sempre state oggetto di distinte discipline «sia quando entrambe hanno configurato fattispecie di reato, differenziate per gravità e pena edittale, sia quando la fattispecie comune è stata depenalizzata e trasformata in illecito amministrativo, mentre quella speciale è rimasta reato».

Ed infatti, venendo alla disciplina attuale, sul fronte della circolazione stradale, il d.lgs. n. 8 del 2016, all’art. 1, rubricato «Depenalizzazione di reati puniti con la sola pena pecuniaria ed esclusioni», al comma 1, ha stabilito che «[n]on costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda» e, al comma 2, ha previsto che «[l]a disposizione del comma 1 si applica anche ai reati in esso previsti che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria. In tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato».

Per effetto dell’intervento legislativo del 2016, la fattispecie costituente reato, già prevista dal comma 15 dell’art. 116 cod. strada, nell’ipotesi punita solo con la pena pecuniaria, è divenuta illecito amministrativo, dovendosi escludere da tale depenalizzazione solo l’ipotesi aggravata, che si ha in caso di recidiva nel biennio, punita anche con la pena detentiva e, quindi, tuttora reato.

Ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 8 del 2016, infatti, «[q]uando i reati trasformati in illeciti amministrativi ai sensi del presente decreto prevedono ipotesi aggravate fondate sulla recidiva ed escluse dalla depenalizzazione, per recidiva è da intendersi la reiterazione dell’illecito depenalizzato».

Invece, sul fronte del contrasto alla criminalità mafiosa, l’intervento legislativo di depenalizzazione non ha inciso sull’art. 73 cod. antimafia che, in quanto norma speciale rispetto a quella del codice della strada, continua a prevedere una fattispecie distinta di reato (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 14 giugno-6 agosto 2019, n. 35772; sezione sesta penale, sentenza n. 8223 del 2018 e sezione prima penale, sentenza 13-26 giugno 2013, n. 27828).

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, rimarcato che la persistenza della rilevanza penale della condotta descritta nell’art. 73 cod. antimafia ha lo «scopo di rafforzare l’obbligo di osservare le norme idonee a contenerne la pericolosità ed il reato conseguente è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a tre anni» (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza n. 8223 del 2018).

5.– Ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale sono fondate con riferimento a entrambi gli evocati parametri.

6.– Innanzi tutto, deve evidenziarsi che questa Corte, con la più volte citata sentenza n. 211 del 2022, ha già scrutinato la fattispecie incriminatrice, oggetto dell’odierna censura, con riferimento alla condotta di guida senza patente, perché revocata, o negata, o mai conseguita, in ragione dell’essere l’imputato persona sottoposta, con provvedimento definitivo, a misure di prevenzione personale e ha ritenuto l’insussistenza del denunciato contrasto con gli artt. 3, 25, secondo comma, 27, terzo comma, Cost., non ravvisando una ipotesi di cosiddetta responsabilità d’autore.

Questa Corte ha evidenziato che le misure di prevenzione personale, sia se applicate dall’autorità amministrativa, sia se adottate dall’autorità giudiziaria, presuppongono la riconducibilità della persona a una delle categorie di destinatari previste dal codice antimafia e l’attualità della pericolosità sociale del destinatario della misura per la sicurezza pubblica. E ha rimarcato che, tra gli obiettivi specifici dell’applicazione di tali misure, vi è quello di «garantire l’attuazione della necessaria vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza, anche attraverso la previsione di limitazioni della libertà di circolazione (sentenza n. 24 del 2019)» (ancora sentenza n. 211 del 2022).

In particolare, nella sentenza n. 24 del 2019 si è affermato che «[i]mperniate come sono su un giudizio di persistente pericolosità del soggetto, le misure di prevenzione personale hanno una chiara finalità preventiva anziché punitiva, mirando a limitare la libertà di movimento del loro destinatario per impedirgli di commettere ulteriori reati, o quanto meno per rendergli più difficoltosa la loro realizzazione, consentendo al tempo stesso all’autorità di pubblica sicurezza di esercitare un più efficace controllo sulle possibili iniziative criminose del soggetto. L’indubbia dimensione afflittiva delle misure stesse non è, in quest’ottica, che una conseguenza collaterale di misure il cui scopo essenziale è il controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato: non già la punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato».

Questa Corte ha, inoltre, ritenuto che non ogni inadempimento di obblighi generici e indeterminati può essere posto a carico dei destinatari delle misure di prevenzione, ma soltanto quello che si sostanzia in violazioni di specifiche prescrizioni finalizzate alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza. Prescrizioni che, nelle fattispecie oggetto delle questioni di legittimità costituzionale decise con la sentenza n. 211 del 2022, sono riconducibili sia al comma 1 dell’art. 120 cod. strada, secondo cui non possono conseguire la patente di guida coloro che sono, o sono stati, sottoposti alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti di persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), con la sola eccezione di quella di cui all’art. 2, e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), sia al comma 2 dell’art. 120 cod. strada, secondo cui la guida può essere inibita da un eventuale provvedimento di revoca del prefetto se «le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1» intervengano in data successiva al rilascio della patente (sentenza n. 99 del 2020).

Questa Corte ha, infatti, sottolineato che «la violazione della regola, che vieta di guidare autoveicoli e motoveicoli senza patente al soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale, è espressione di una valutazione discrezionale del legislatore, il quale ha ritenuto sussistere un quid pluris di pericolosità per il fatto che colui che sia sottoposto con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale possa circolare alla guida di un veicolo» (sentenza n. 211 del 2022).

Da un lato, vi è, dunque, la scelta del legislatore di inserire, su un piano generale, tra i requisiti soggettivi per conseguire la patente, il non essere persona sottoposta a misura di prevenzione personale (con l’eccezione della misura del foglio di via obbligatorio) e, dall’altro, di prevedere, una volta che sopraggiunga l’applicazione della misura di prevenzione, la possibilità per il prefetto, riconosciuta da questa Corte (sentenza n. 99 del 2020), di effettuare nel concreto «una verifica di necessità/opportunità, o meno, della revoca della patente di guida in via amministrativa a fronte della specifica misura di prevenzione cui nel caso concreto è sottoposto il suo titolare».

Con la richiamata sentenza n. 211 del 2022 si è affermato, in particolare, che «la disposizione censurata, nel prevedere un trattamento sanzionatorio più severo, rispetto a quello della disposizione di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada, è finalizzata a tutelare l’ordine pubblico, potenzialmente posto in pericolo nelle ipotesi in cui sia violata la disposizione di cui all’art. 120 cod. strada, cui è ricollegata la necessità di porre limitazioni agli spostamenti, di impedire o ostacolare la perpetrazione di attività illecite e di rendere meno agevole il sottrarsi ai controlli dell’autorità nei confronti di soggetti pericolosi. Sicché, rispetto alla fattispecie in esame, l’essere sottoposto, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale – cui l’art. 120 cod. strada ricollega l’impossibilità di porsi legittimamente alla guida – non si pone come “evenienza del tutto estranea al fatto-reato” previsto dall’art. 73 cod. antimafia (sentenza n. 354 del 2002) e pertanto non è configurabile come “responsabilità penale d’autore”».

Può, pertanto, ribadirsi che non è riconducibile a una responsabilità “per il modo di essere dell’autore” l’incriminazione, prevista dall’art. 73 cod. antimafia, della condotta di guida in mancanza del titolo abilitativo, allorquando il prevenuto non abbia la patente per non averla mai richiesta o, pur avendola richiesta, gli sia stata negata, oppure gli sia stata revocata in ragione della applicazione della misura di prevenzione.

Si tratta di ipotesi in cui la mancanza del titolo abilitativo è conseguenza – in via generale e automatica (art. 120, comma 1, cod. strada) oppure per effetto della valutazione prefettizia del caso concreto (art. 120, comma 2, cod. strada) – della applicazione di misure di prevenzione, cui il legislatore, per finalità di tutela dell’ordine pubblico, riconnette limitazioni al conseguimento della patente di guida.

7.– Diversa è, invece, la fattispecie, oggetto del giudizio principale, che concerne il caso in cui il prevenuto sia stato colto alla guida dell’autovettura senza patente, per essere stata la stessa sospesa o revocata per cause ricollegabili non già alla misura di prevenzione, ma alla violazione di norme del codice della strada e segnatamente, dell’art.186 cod. strada, quanto al divieto di guida sotto l’influenza dell’alcool, che prevede, appunto, la sanzione accessoria della sospensione o, nei casi più gravi, della revoca della patente. 

Tuttavia, anche tale condotta, così come quella della guida senza patente per essere stata revocata in ragione della applicazione della misura di prevenzione, ricade testualmente nell’area di applicazione della disposizione censurata, la quale, senza distinguere, prevede il reato contravvenzionale di cui all’art. 73 cod. antimafia per essere la condotta posta in essere da un prevenuto, laddove, in generale, la stessa condotta posta in essere da altri costituisce illecito amministrativo (art. 116, comma 15, cod. strada).

È, quindi, solo la qualità di prevenuto, non connessa alla sospensione o revoca della patente, che comporta la qualificazione della condotta come reato, piuttosto che come illecito amministrativo; qualità, in realtà, neutra rispetto all’illecito.

Rileva, pertanto, che il legislatore, depenalizzando in generale la fattispecie di guida senza patente, abbia abbassato la soglia dell’offensività della condotta, escludendone la perseguibilità come reato, con la conseguenza che la persistente rilevanza penale, in ragione della sola qualità di prevenuto, configura una inammissibile responsabilità penale cosiddetta d’autore.

7.1.– Questa Corte ha, infatti, affermato che il rispetto del principio di offensività (nullum crimen sine iniuria), desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost. (ex plurimis, la citata sentenza n. 354 del 2002), comporta che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, può reprimere sul piano penale, come fattispecie di reato, soltanto condotte che, nella loro descrizione tipica, comunque, rispettosa del principio di legalità, consistano, altresì, in comportamenti dal contenuto offensivo di beni meritevoli di protezione, anche sotto il profilo della loro mera esposizione a pericolo.

Con orientamento costante (ex multis, sentenze n. 225 del 2008, n. 265 del 2005, n. 519 e n. 263 del 2000; più recentemente sentenza n. 28 del 2024), si è anche puntualizzato che il principio di offensività opera su due piani distinti: da un lato, come precetto rivolto al legislatore, diretto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (offensività «in astratto»); dall’altro, come criterio interpretativo-applicativo per il giudice comune, il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovrà evitare che ricadano in quest’ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (offensività «in concreto»). E affinché il principio di offensività possa ritenersi rispettato, occorre «che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all’id quod plerumque accidit» (sentenza n. 225 del 2008; analogamente, sentenze n. 278 e n. 141 del 2019, n. 109 del 2016, e n. 333 del 1991).

7.2.– Con il principio di offensività contrasta la previsione di una fattispecie penale che abbia, come presupposto, una qualità della persona non connessa alla condotta; ciò che dà luogo alla fattispecie della responsabilità penale cosiddetta d’autore, di cui plurime ipotesi sono venute all’esame di questa Corte.

Con la sentenza n. 249 del 2010 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis), cod. pen., introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125, che prevedeva la circostanza aggravante comune per i fatti commessi dal colpevole mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale. Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale di tale aggravante, si è affermato che «[i]l rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti “del tutto estranei al fatto-reato”», perché così si introdurrebbe «una responsabilità penale d’autore “in aperta violazione del principio di offensività”».

Anche nella sentenza n. 354 del 2002, in tema di ubriachezza, questa Corte ha affermato che «[l]’avere riportato una precedente condanna per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale, pur essendo evenienza del tutto estranea al fatto-reato, rende punibile una condotta che, se posta in essere da qualsiasi altro soggetto, non assume alcun disvalore sul piano penale» e che «[d]ivenuta elemento costitutivo del reato di ubriachezza, la precedente condanna assume le fattezze di un marchio, che nulla il condannato potrebbe fare per cancellare e che vale a qualificare una condotta che, ove posta in essere da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale».

Una tale fattispecie assumeva, quindi, «i tratti di una sorta di reato d’autore, in aperta violazione del principio di offensività del reato, che nella sua accezione astratta costituisce un limite alla discrezionalità legislativa in materia penale posto sotto il presidio di questa Corte (sentenze n. 263 del 2000 e n. 360 del 1995)».

Con la sentenza n. 14 del 1971, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 707 cod. pen., limitatamente alla parte in cui, prevedendo come reato il possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, poneva, come presupposto dello stesso, le condizioni personali di condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta.

Con la sentenza n. 110 del 1968, analoga dichiarazione di illegittimità costituzionale ha investito anche l’art. 708 cod. pen., che contemplava come reato il possesso ingiustificato di valori da parte (anche) della stessa categoria di soggetti.

E inoltre, con la sentenza n. 370 del 1996, la Corte ha ritenuto che anche la condizione soggettiva di chi è stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, mostri l’irragionevolezza di tale presupposto riferito a una sola categoria di persone; condizione soggettiva che, invece, con riferimento alla (residua) fattispecie dell’art. 707 cod. pen., è stata ritenuta non delineare una responsabilità «per il modo di essere dell’autore», lesiva dei principi di offensività (sentenza n. 225 del 2008).

8.– In definitiva, le qualità personali dei soggetti o i comportamenti pregressi degli stessi «non possono giustificare disposizioni che attribuiscano rilevanza penale a condizioni soggettive, salvo che tale trattamento specifico e differenziato rispetto ad altre persone non risponda alla necessità di preservare altri interessi meritevoli di tutela» (sentenza n. 211 del 2022).

Non è quindi compatibile con il principio di offensività l’incriminazione dello “status” di sottoposto a misura di prevenzione personale che non si rifletta su una maggiore pericolosità o dannosità, e, quindi, offensività, della condotta, in assenza della violazione di una specifica prescrizione che sia ricollegabile alla condizione soggettiva di destinatario della misura di prevenzione personale. Ciò che, appunto, si verifica nella disposizione censurata, nella parte in cui prevede come reato la condotta di colui che, sottoposto a misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo, guidi senza patente in quanto revocata o sospesa, nei casi in cui la revoca o la sospensione del titolo abilitativo alla guida conseguano non già all’applicazione della misura di prevenzione, ma alla precedente violazione delle disposizioni del codice della strada, segnatamente di quella sui limiti di tasso alcolemico del conducente.

Non si giustifica, infatti, anche sotto il profilo del principio di uguaglianza, un trattamento sanzionatorio più grave rispetto a quello stabilito dal legislatore per tutti gli altri soggetti per i quali la medesima condotta rileva quale illecito amministrativo (salvo il caso della recidiva nel biennio).

Ove non ricorra la revoca, o il diniego, della patente in ragione dell’applicazione della misura di prevenzione, il prevenuto versa nella stessa condizione di ogni altro soggetto che non rispetti la disciplina del codice della strada e, segnatamente, quella sui limiti di tasso alcolemico del conducente, incorrendo nella sospensione o nella revoca della patente di guida.

Sia per il prevenuto, sia per gli altri soggetti, la successiva condotta di guida con patente sospesa o revocata per violazioni di norme del codice della strada non può non avere lo stesso trattamento giuridico: costituisce illecito amministrativo, salva l’ipotesi della recidiva nel biennio.

9.– Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 73 cod. antimafia nella parte in cui prevede come reato la condotta di colui che – sottoposto a misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo, ma senza che per tale ragione gli sia stata revocata la patente di guida – si ponga alla guida di un veicolo dopo che il titolo abilitativo gli sia stato revocato o sospeso a causa di precedenti violazioni di disposizioni del codice della strada.

Per effetto di tale riduzione dell’ambito applicativo della fattispecie penale, prevista dalla disposizione censurata, si riespande quella dell’art. 116, comma 15, cod. strada, non più derogato dalla prima in parte qua, e, quindi, trova applicazione l’ordinaria sanzione amministrativa, salva l’ipotesi della recidiva nel biennio.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 73 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui prevede come reato la condotta di colui che – sottoposto a misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo, ma senza che per tale ragione gli sia stata revocata la patente di guida – si ponga alla guida di un veicolo dopo che il titolo abilitativo gli sia stato revocato o sospeso a causa di precedenti violazioni di disposizioni del codice della strada.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 2 luglio 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA


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