Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 21 novembre 2023 (reg. confl. pot. n. 3 del 2023), il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, chiedendo che venga dichiarata la non spettanza del potere di quest’ultimo di negare, con deliberazione del 9 marzo 2022 (doc. IV, n. 10), l’autorizzazione a utilizzare nei confronti del senatore Armando Siri le comunicazioni telefoniche intercettate, nell’ambito del procedimento penale n. 12460 de1 2017 R.G.N.R. D.D.A., dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo e confluite nel procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, adducendo «la incerta e implausibile configurazione del requisito della necessità relativamente alle intercettazioni del 15 maggio 2018, prog. 2521 e 2523», nonché la «mancanza del requisito della fortuità e occasionalità in relazione alle telefonate del 17 maggio 2018, prog. 2618, del 17 luglio 2018, prog. 5760, del 4 agosto 2018 prog. 5997 e del 6 agosto 2018, prog. 6043, 6044 e 6090».
1.1.– Il ricorrente premette che il senatore Siri è stato iscritto nel registro degli indagati in data 25 settembre 2018 a seguito dell’imputazione, in concorso con P.F. A., del reato di corruzione di cui agli artt. 318 e 321 del codice penale, perché, in qualità di senatore della Repubblica e di sottosegretario di Stato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, avrebbe asservito le sue funzioni a interessi privati, favorendo l’inserimento in provvedimenti normativi di rango regolamentare e legislativo di contenuti favorevoli agli interessi economici di P.F. A., a fronte della «promessa e/o [del]la dazione» di 30.000,00 euro da parte di quest’ultimo.
1.2.– Riferisce altresì che, dalle indagini svolte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, successivamente trasferite alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma, sarebbero emersi contatti sporadici tra gli altri imputati, titolari di impianti di produzione di energia da fonti alternative, e il senatore Siri, la cui iscrizione nel registro degli indagati sarebbe conseguita alla captazione di una conversazione ambientale del 10 settembre 2018, nel corso della quale P.F. A. riferiva ad altri della necessità di «dover ricompensare il “vice Ministro” […] per un emendamento da inserire nella legge di conversione del decreto “mille proroghe”».
Con ordinanza del 23 giugno 2021, a fronte della richiesta avanzata dal pubblico ministero di utilizzare tutte le captazioni di conversazioni cui aveva partecipato il senatore Siri, il Giudice ricorrente ha chiesto al Senato della Repubblica, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), l’autorizzazione all’utilizzo delle sole conversazioni intercettate in un momento antecedente all’iscrizione del senatore nel registro degli indagati, «ritenendo che per quelle successive sarebbe stata necessaria l’autorizzazione preventiva».
1.3.– Il ricorso riferisce anche che il Senato della Repubblica, con deliberazione assunta in data 9 marzo 2022, ha negato la richiesta autorizzazione «per la incerta e implausibile configurazione del requisito della necessità relativamente alle intercettazioni del 15 maggio 2018, prog. 2521 e 2523», nonché «per mancanza del requisito della fortuità e occasionalità in relazione alle telefonate del 17 maggio 2018, prog. 2618, del 17 luglio 2018, prog. 5760, del 4 agosto 2018 prog. 5997 e del 6 agosto 2018, prog. 6043, 6044 e 6090».
2.– Ad avviso del ricorrente, l’art. 6 della legge n. 140 del 2003, per l’autorizzazione all’utilizzo nei confronti di un parlamentare degli atti di intercettazione già disposti nei confronti di altro soggetto, impone all’autorità giudiziaria di indicare gli elementi sui quali si fonda la richiesta di autorizzazione, «con ciò evocando, da un lato, le specifiche emergenze probatorie fino a quel momento disponibili e, dall’altro, la loro attitudine a fare sorgere la “necessità” di quanto si chiede di autorizzare».
A fronte di tale richiesta, alla Camera di appartenenza del parlamentare spetterebbe il compito di verificare l’assenza di ogni intento persecutorio o strumentale della richiesta e la sussistenza dell’affermata necessità dell’atto, motivata in termini di non implausibilità (è richiamata la sentenza n. 188 del 2010 di questa Corte).
2.1.– Tanto premesso, il ricorrente precisa di avere richiesto l’autorizzazione nel presupposto che l’utilizzo delle richiamate intercettazioni sarebbe da ritenersi necessario, poiché «dalle stesse […] emergono i contatti tra l’imprenditore e il parlamentare finalizzati alla presentazione degli emendamenti ai provvedimenti normativi in corso di discussione in Parlamento ed aventi ad oggetto il settore economico d’interesse dell’imputato A.; le stesse,» prosegue il ricorso riportando il contenuto della richiesta di autorizzazione, «quindi, appaiono astrattamente rappresentative del contesto spazio temporale in cui avrebbe operato il Senatore e il Sottosegretario Armando Siri a seguito della consegna o promessa di denaro nelle modalità e finalità illecite prospettate dalla pubblica accusa».
3.– Sarebbe, pertanto, basata su un erroneo dato di fatto la valutazione contenuta nella deliberazione di diniego del Senato della Repubblica dell’autorizzazione alla utilizzazione delle due intercettazioni del 15 maggio 2018, secondo cui sarebbe evidente l’insussistenza del requisito della necessità del loro utilizzo in quanto captate in un momento antecedente all’assunzione della carica di Sottosegretario di Stato del Ministero delle infrastrutture e i trasporti da parte del senatore Siri (13 giugno 2018).
Secondo il ricorrente, per giudicare delle condotte ascritte al senatore Siri in qualità di pubblico ufficiale sarebbe indifferente che una parte della condotta si collochi in un momento in cui «l’imputato era solo Senatore, potendo il sostegno a un emendamento legislativo in cambio di utilità essere dato sia in tale qualità che in quella, successivamente assunta, di Sottosegretario».
La deliberazione di diniego dell’autorizzazione, pertanto, sarebbe stata assunta, sul punto, ponendo a fondamento una «lettura fallace» degli atti, che avrebbe spinto la Camera di appartenenza del parlamentare a travalicare i limiti del suo sindacato.
4.– Ugualmente priva di fondamento sarebbe la motivazione che ha condotto il Senato della Repubblica a ritenere che, in relazione alle restanti conversazioni, intercettate il 17 maggio, il 17 luglio, il 4 e il 6 agosto 2018, difetti il requisito della occasionalità
Secondo la deliberazione impugnata, si sarebbe infatti avuto un mutamento della direzione dell’atto di indagine nel momento in cui, dopo le due telefonate del 15 maggio 2018, la Procura procedente avrebbe potuto, alla stregua di criteri di plausibilità e di ragionevolezza, rendersi conto del coinvolgimento di un parlamentare, e avrebbe, quindi, dovuto sospendere immediatamente le captazioni.
Ad avviso del ricorrente, tuttavia, solo successivamente si sarebbe determinato il mutamento degli obiettivi nella direzione delle indagini, e cioè quando, in occasione della riferita intercettazione ambientale avvenuta il 10 settembre 2018, era emerso il dato relativo alla consegna di una somma di denaro per l’inserimento in atti legislativi di emendamenti favorevoli ai coimputati. Le intercettazioni avvenute in precedenza, al contrario, testimonierebbero solamente «sporadiche interlocuzioni» del tutto neutre dal punto di vista penale, ivi comprese le comunicazioni via sms del 15 maggio 2018 e la telefonata intercorsa il successivo 17 maggio, rispetto alle quali gli inquirenti non avrebbero avuto neanche la possibilità di «rendersi conto che l’interlocutore “A.” fosse un parlamentare».
In conclusione, anche rispetto al diniego all’utilizzo di tali intercettazioni, il Senato della Repubblica avrebbe ecceduto dai limiti delle proprie attribuzioni costituzionali.
5.– Questa Corte, con ordinanza n. 191 del 2023, ha dichiarato ammissibile il ricorso, rilevando la sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), chiarendo che resta «impregiudicata ogni ulteriore questione anche in punto di ammissibilità». L’ordinanza e il ricorso sono stati tempestivamente e ritualmente notificati.
6.– Il Senato della Repubblica si è costituito in giudizio con atto meramente formale, depositato il 14 dicembre 2023.
7.– In prossimità dell’udienza pubblica del 21 maggio 2024, la difesa del Senato ha depositato memoria, chiedendo che questa Corte dichiari il ricorso inammissibile e, comunque, non fondato.
7.1.– Dopo aver ricostruito la vicenda processuale da cui trae origine il presente conflitto, la difesa del Senato della Repubblica eccepisce anzitutto l’inammissibilità del ricorso per difetto del suo presupposto oggettivo, in quanto l’art. 6 della legge n. 140 del 2003 – che disciplina i presupposti e i limiti di utilizzo delle intercettazioni cosiddette occasionali riguardanti i parlamentari – si porrebbe in contrasto con l’art. 68, terzo comma, Cost.
In presenza di una disposizione costituzionale, quale quella da ultimo richiamata, che stabilisce un sistema di autorizzazione ad acta di tipo preventivo per l’effettuazione di intercettazioni nei confronti del parlamentare, ammettere la possibilità, sulla base di un’autorizzazione ex post, di utilizzare le intercettazioni effettuate sull’utenza di un terzo che coinvolgono un membro del Parlamento porterebbe allo svuotamento della garanzia costituzionale, perché il parlamentare potrebbe «essere colto di “sorpresa” da circostanze meramente fortuite», quali la sottoposizione a captazione dell’utenza telefonica del terzo con cui si trovi occasionalmente a comunicare.
Ciò produrrebbe l’effetto di indurre un «atteggiamento “difensivo” del parlamentare che sa di poter comunque essere “casualmente captato”» e di fare così venire meno «quella serenità, indipendenza e libertà da condizionamenti nelle comunicazioni che, seppur strumentalmente alla garanzia dell’organo, l’art. 68, comma 3, Cost. gli vuole riconoscere».
Alla luce di ciò, la difesa del Senato della Repubblica «formula espressa eccezione di legittimità costituzionale» dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003, per contrasto con l’art. 68, terzo comma, Cost. nonché per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto la disciplina dell’autorizzazione ex post sarebbe incompatibile con «l’unica interpretazione costituzionalmente concepibile» del citato art. 68, terzo comma, Cost., secondo la quale «le intercettazioni del parlamentare poss[o]no compiersi ed essere utilizzate là dove “preventivamente” autorizzate […] per evitare di turbare la funzionalità delle sue attività e conseguentemente quella dell’organo cui appartiene».
7.2.– Il ricorso sarebbe altresì inammissibile per difetto del suo presupposto soggettivo, in quanto la richiesta di autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni di cui si discute è stata formulata dal giudice dell’udienza preliminare e non, come invece richiesto dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, dal giudice per le indagini preliminari, che sarebbe invero l’unica articolazione del potere giudiziario legittimata a promuovere il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nel caso in esame.
La richiesta di autorizzazione, infatti, incomberebbe funzionalmente al giudice per le indagini preliminari e andrebbe presentata in una fase processuale antecedente alla chiusura delle indagini stesse e della formulazione della richiesta di rinvio a giudizio, sicché alla medesima autorità spetterebbe anche la legittimazione attiva a promuovere conflitto innanzi a questa Corte avverso la deliberazione parlamentare di diniego della richiesta di autorizzazione. Il giudice dell’udienza preliminare, odierno ricorrente, non sarebbe quindi legittimato a promuovere conflitto perché il relativo potere si sarebbe ormai consumato.
Né, ad avviso della difesa del Senato della Repubblica, potrebbe ritenersi che al giudice dell’udienza preliminare spetti il compito di «integrare le attività rimesse a chi ha gestito il mezzo di ricerca della prova», poiché quel giudice sarebbe tenuto unicamente a «verificare che quel materiale probatorio sia utilizzabile in quanto legittimamente acquisito anche attraverso la previa rimozione della condizione costituita dalla necessaria autorizzazione».
Inoltre, la necessità di individuare unicamente nel giudice per le indagini preliminari l’autorità legittimata ad attivare la procedura di autorizzazione successiva e, eventualmente, a lamentare innanzi a questa Corte la lesione delle proprie prerogative costituzionalmente garantite, discenderebbe anche dall’esigenza di rispetto dei termini stabiliti nello stesso art. 6 della legge n. 140 del 2003. Quest’ultimo, infatti, prevede al comma 2 che il giudice per le indagini preliminari che ritenga di dover utilizzare le intercettazioni di cui al comma 1 del medesimo articolo è tenuto, entro dieci giorni dall’adozione della relativa ordinanza, a richiedere l’autorizzazione alla Camera di appartenenza del parlamentare. Il comma 5 del medesimo articolo, specularmente, stabilisce che, ove l’autorizzazione venga negata, la documentazione delle intercettazioni «è distrutta immediatamente, e comunque non oltre i dieci giorni dalla comunicazione del diniego».
Secondo la difesa del Senato della Repubblica, il mancato rispetto di questi termini nel caso di specie assume rilievo non solo in quanto tale, ma soprattutto perché dimostra ulteriormente il difetto di legittimazione attiva del ricorrente Giudice dell’udienza preliminare, che – svolgendo funzioni ad esso non spettanti – dovrebbe essere ritenuto privo di un’attribuzione da tutelare e, pertanto, non abilitato a esprimere in via definitiva la volontà del potere cui appartiene.
7.3.– Quanto al merito, la difesa del Senato ritiene che sarebbe non fondata la pretesa, avanzata nel ricorso, di utilizzare le intercettazioni captate nei giorni 15 e 17 maggio 2018 in quanto antecedenti all’assunzione, da parte del senatore Siri, della carica di Sottosegretario di Stato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
A rilevare in tal senso sarebbe, innanzi tutto, la specificità dell’imputazione contenuta nella richiesta di autorizzazione all’utilizzazione delle intercettazioni avanzata dal ricorrente al Senato, che esplicitamente collegava la necessità di utilizzo del materiale probatorio in questione all’attività svolta dal senatore Siri «nella sua veste di Sottosegretario».
Contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, secondo il quale per l’ipotesi accusatoria sarebbe indifferente che l’attività corruttiva contestata al senatore Siri sia stata posta in essere come membro del Senato della Repubblica o come sottosegretario, ad avviso della difesa del Senato il dato cronologico, e la connessa anteriorità delle condotte in questione all’assunzione della carica governativa (avvenuta il 13 giugno 2018), sarebbe determinante perché la condotta svolta come senatore «non potrebbe costituire, quand’anche “provata”, una condotta rilevante ai fini dell’utilizzazione delle intercettazioni», considerato che l’art. 68, primo comma, Cost. «impone di escludere qualsiasi imputazione di responsabilità al parlamentare […] nell’esercizio delle sue funzioni, tra le quali vi è senz’altro il potere di proporre emendamenti».
7.4.– Quanto, infine, alle intercettazioni captate successivamente alla data di assunzione dell’incarico di sottosegretario, la difesa del Senato della Repubblica ritiene che queste non possano essere ritenute meramente occasionali, dovendo essere qualificate come indirette e, quindi, soggette al regime dell’autorizzazione preventiva secondo quanto prescritto dall’art. 4 della legge n. 140 del 2003, così come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte (è richiamata la sentenza n. 390 del 2007).
A dimostrare l’intervenuto mutamento della «direzione dell’atto di indagine» sarebbe particolarmente significativa la circostanza che all’autorità inquirente erano noti già prima del maggio 2018 (secondo quanto emerge dalla richiesta di autorizzazione alle intercettazioni avanzata dalla Direzione investigativa antimafia di Trapani il 6 marzo 2018) rapporti di vicinanza tra P.F. A. e il senatore Siri.
In particolare, secondo le risultanze di una comunicazione captata il 28 ottobre 2017, emergerebbe che gli indagati avevano rapporti di conoscenza con il senatore Siri, come dimostrato dal tentativo di organizzare una cena con lui e con il segretario del suo partito in vista di una loro imminente visita in Sicilia. Da un’ulteriore conversazione captata il 9 aprile 2018, inoltre, si ricaverebbe che P.F. A. auspicava la formazione di una maggioranza di governo che includesse anche «esponenti della Lega», al fine di ottenere incentivi favorevoli ai settori di attività economica di interesse degli indagati nel procedimento incardinato presso il Tribunale di Palermo.
Tutto ciò, ad avviso della difesa del Senato, renderebbe implausibile la prospettazione del ricorrente, secondo cui la direzione dell’atto di indagine sarebbe mutata solamente a seguito dell’intercettazione del 10 settembre 2018, avendo le autorità procedenti omesso di considerare che, alla luce dei rapporti sussistenti tra P.F. A. e il senatore Siri in un momento antecedente al maggio 2018 ed emersi nel corso dell’attività investigativa, l’ingresso di quest’ultimo nelle indagini doveva ritenersi tutt’altro che casuale, al punto, anzi, da ritenere che proprio la presunta attività corruttiva sarebbe stata l’obiettivo principale avuto di mira, sin dall’inizio, dagli inquirenti.
Ciò, di conseguenza, porterebbe a ritenere legittima la deliberazione del Senato della Repubblica impugnata nel presente giudizio, che correttamente avrebbe rilevato la sussistenza, nel caso di specie, di un intento persecutorio da parte dell’autorità procedente e, con esso, di un uso distorto del potere giurisdizionale.
Considerato in diritto
1.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma promuove, con il ricorso indicato in epigrafe, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alla deliberazione del 9 marzo 2022, con cui il Senato della Repubblica ha negato l’autorizzazione a utilizzare, nei confronti del senatore Armando Siri, le comunicazioni telefoniche intercettate nell’ambito del procedimento penale n. 12460 del 2017 R.G.N.R. D.D.A. dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e confluite nel procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, adducendo «la incerta e implausibile configurazione del requisito della necessità relativamente alle intercettazioni del 15 maggio 2018, prog. 2521 e 2523», nonché la «mancanza del requisito della fortuità e occasionalità in relazione alle telefonate del 17 maggio 2018, prog. 2618, del 17 luglio 2018, prog. 5760, del 4 agosto 2018 prog. 5997 e del 6 agosto 2018, prog. 6043, 6044 e 6090».
1.1.– Il ricorrente, in particolare, lamenta la menomazione delle proprie attribuzioni, derivante dalla pretesa del Senato della Repubblica di estendere il vaglio cui esso è chiamato in sede di autorizzazione ex post all’utilizzo di intercettazioni riguardanti i membri del Parlamento, prevista e disciplinata dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, al di là della verifica in ordine all’assenza di un intento persecutorio o strumentale da parte del Giudice richiedente, chiamato a motivare in termini non implausibili la necessità probatoria del materiale captativo di cui è richiesta l’utilizzazione.
2.– In via preliminare, deve essere confermata, ai sensi dell’art. 37 della legge n. 87 del 1953, l’ammissibilità del conflitto, già dichiarata da questa Corte, in sede di prima e sommaria delibazione, nell’ordinanza n. 191 del 2023, dopo aver accertato la sussistenza dei suoi requisiti soggettivi e oggettivi, «restando impregiudicata ogni ulteriore questione anche in punto di ammissibilità».
Non può dubitarsi, innanzi tutto, della legittimazione del Senato della Repubblica a essere parte del conflitto di attribuzione, in quanto competente a dichiarare in via definitiva la volontà del potere che esso impersona, in relazione all’esercizio dei poteri a esso assegnati dall’art. 68 Cost.
Ma neanche può ritenersi dubbio che sussistano i presupposti oggettivi del conflitto, considerato che il Giudice ricorrente lamenta la menomazione delle proprie attribuzioni, derivante dal travalicamento dei poteri da parte del Senato della Repubblica, che avrebbe preteso, per un verso, di valutare autonomamente il requisito della necessità probatoria di cui all’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 (con riguardo alle intercettazioni del 15 maggio 2018) e, per altro verso, di qualificare come indirette le restanti intercettazioni di cui il ricorrente ha richiesto l’autorizzazione all’utilizzo nel giudizio pendente dinnanzi a esso, in quanto aventi natura fortuita o occasionale.
2.1.– La difesa del Senato eccepisce, invece, l’inammissibilità del ricorso per difetto del suo presupposto soggettivo, in quanto il giudice dell’udienza preliminare sarebbe privo della legittimazione attiva a ricorrere contro il diniego all’utilizzo delle intercettazioni riguardanti un parlamentare, posto che la relativa richiesta – e, correlativamente, l’impugnazione davanti a questa Corte del relativo diniego opposto dalla Camera di appartenenza del parlamentare – sarebbero di spettanza del solo giudice per le indagini preliminari.
In tal senso deporrebbe il chiaro tenore letterale dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003, il quale, nell’attribuire – nei suoi diversi commi – una specifica competenza funzionale al giudice per le indagini preliminari in relazione a tutto quel che concerne l’esame a fini probatori delle intercettazioni in questione, precluderebbe l’intervento di giudici di fasi e gradi diversi come, nel caso di specie, il giudice dell’udienza preliminare, che, pertanto, non sarebbe titolare di alcuna attribuzione da presidiare mediante il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
2.2.– L’eccezione non è fondata.
L’individuazione, operata dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, del giudice per le indagini preliminari come autorità deputata a richiedere l’autorizzazione ivi prevista non può, infatti, essere intesa come attributiva di una competenza inderogabile, come tale preclusiva della possibilità che quella medesima richiesta venga effettuata da altre autorità giurisdizionali comunque chiamate a utilizzare in giudizio le intercettazioni riguardanti un parlamentare.
È ben vero, infatti, che il GIP può avanzare tale richiesta quando, nel corso delle indagini preliminari, debba effettivamente utilizzare il materiale probatorio captato mediante intercettazioni di comunicazioni di un parlamentare in vista dell’adozione di un atto soggetto ad autorizzazione. Tuttavia, ciò non toglie che un simile intervento del GIP non si riscontra necessariamente e in ogni caso, sicché non può affatto escludersi che altri giudici, operanti in diverse fasi del giudizio, debbano utilizzare le intercettazioni riguardanti un parlamentare e si trovino pertanto nella necessità di chiedere l’autorizzazione.
Opinando nei termini della difesa del Senato della Repubblica, infatti, si dovrebbe immaginare che quella competenza funzionale inderogabile richieda, per essere effettivamente operante, un procedimento incidentale mediante il quale il pubblico ministero sia tenuto, anche solo in vista della richiesta di rinvio a giudizio, a ottenere dal GIP un provvedimento di convalida all’utilizzo delle predette intercettazioni, nell’ambito del quale valutare la sussistenza dei presupposti per richiedere l’autorizzazione successiva alla Camera di appartenenza del parlamentare.
Tuttavia, di tale, necessario, procedimento incidentale non solo non vi è traccia, ma la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ammesso che la cosiddetta udienza stralcio di cui all’art. 268, comma 6, del codice di procedura penale – nel corso della quale lo stesso art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 stabilisce che debba avvenire il confronto tra le parti in vista dell’utilizzazione delle intercettazioni che coinvolgano il parlamentare – ben possa essere celebrata di fronte al giudice dell’udienza preliminare (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 16 dicembre 2020-10 febbraio 2021, n. 5286).
A rilevare al fine dell’individuazione dell’autorità giurisdizionale tenuta a richiedere l’autorizzazione in parola, non è, quindi, l’astratta attribuzione di competenza al GIP, ma il concreto esercizio del potere di utilizzare il materiale probatorio costituito dalle intercettazioni, rispetto al quale il complesso degli adempimenti disciplinati dall’art. 6 della legge n. 140 del 2003 si pone a garanzia delle medesime prerogative del parlamentare intercettato, così da imporre una interpretazione non strettamente letterale del richiamato art. 6, comma 2.
Del resto, non è dubitabile che, nel caso di specie, al Giudice dell’udienza preliminare sia spettato di pronunciarsi sulla necessità di utilizzare le intercettazioni riguardanti il senatore Siri a seguito della richiesta espressamente avanzata in tal senso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma all’udienza preliminare del 14 aprile 2021.
Anche rispetto a tale profilo, pertanto, deve essere dichiarata l’ammissibilità del ricorso.
3.– Prospettando un’ulteriore eccezione di inammissibilità, la difesa del Senato della Repubblica ritiene che difetti anche il presupposto oggettivo del conflitto, perché la stessa possibilità di autorizzare ex post l’utilizzo delle intercettazioni captate fortuitamente si porrebbe fuori dall’alveo della garanzia contenuta nell’art. 68, terzo comma, Cost.
Ad avviso del resistente, infatti, la circostanza che l’art. 68, terzo comma, Cost. stabilisca unicamente un meccanismo di autorizzazione ad acta di tipo preventivo porterebbe a ritenere che il meccanismo di autorizzazione successiva all’utilizzo di intercettazioni che non siano state previamente autorizzate «aggir[erebbe] la volontà costituzionale», consentendo che il parlamentare «possa essere colto di “sorpresa” da circostanze meramente fortuite, là dove tale sorpresa è deliberatamente esclusa mediante la previsione costituzionale di autorizzazione ad acta».
Con tale eccezione di inammissibilità si prospetta, in sostanza, l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003, nella parte in cui consente l’utilizzabilità delle comunicazioni del parlamentare captate fortuitamente, perché esso contrasterebbe con «l’unica interpretazione costituzionalmente concepibile» dell’art. 68, terzo comma, Cost., secondo cui «le intercettazioni del parlamentare poss[o]no compiersi ed essere utilizzate laddove “preventivamente” autorizzate […] per evitare di turbare la funzionalità delle sue attività e conseguentemente quella dell’organo cui appartiene».
3.1.– Anche tale eccezione non è fondata, in ragione della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, che essa sottende.
L’assunto da cui muove il resistente è che l’art. 68, terzo comma, Cost. ammetterebbe, quale unica tipologia di intercettazioni potenzialmente utilizzabili in giudizio nei confronti dei membri del Parlamento, quelle oggetto di autorizzazione preventiva disciplinata dall’art. 4 della legge n. 140 del 2003, con la conseguenza che le intercettazioni captate sulle utenze di soggetti non parlamentari cui abbiano preso parte membri del Parlamento dovrebbero ritenersi inutilizzabili in quanto, in radice, illegittimamente acquisite.
Tale assunto non può essere condiviso.
Nell’interpretazione e nell’applicazione delle previsioni mediante le quali è stata data attuazione all’art. 68, terzo comma, Cost., vale a dire, in primo luogo, gli artt. 4 (per le intercettazioni “dirette” e “indirette”) e 6 (per le intercettazioni “occasionali”) della legge n. 140 del 2003, questa Corte si è costantemente attenuta al principio per cui la garanzia costituzionale «non mira a tutelare un diritto individuale, ma a proteggere la libertà della funzione che il soggetto esercita, in conformità alla natura stessa delle immunità parlamentari, volte primariamente alla protezione dell’autonomia e dell’indipendenza decisionale delle Camere rispetto ad indebite invadenze di altri poteri, e solo strumentalmente destinate a riverberare i propri effetti a favore delle persone investite della funzione (sentenza n. 9 del 1970)» (sentenza n. 227 del 2023, che richiama le sentenze n. 157 del 2023, n. 38 del 2019, nonché l’ordinanza n. 129 del 2020; più di recente, sentenza n. 104 del 2024).
Con riguardo alle intercettazioni direttamente o indirettamente mirate all’ingresso delle autorità preposte alle indagini nella sfera comunicativa del parlamentare, l’autorizzazione preventiva è strumentale alla salvaguardia delle funzioni parlamentari, «volendosi impedire che l’ascolto di colloqui riservati da parte dell’autorità giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività», senza che abbia rilievo la finalità di salvaguardia della riservatezza delle comunicazioni del parlamentare in quanto tale, posto che quest’ultimo diritto «trova riconoscimento e tutela, a livello costituzionale, nell’art. 15 Cost., secondo il quale la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni può avvenire solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge» (sentenza n. 390 del 2007).
Per le intercettazioni che occasionalmente coinvolgano un parlamentare, perché effettuate sull’utenza di soggetti terzi, «l’eventualità che l’esecuzione dell’atto sia espressione di un atteggiamento persecutorio – o, comunque, di un uso distorto del potere giurisdizionale nei confronti del membro del Parlamento, volto ad interferire indebitamente sul libero esercizio delle sue funzioni – resta esclusa, di regola, proprio dalla accidentalità dell’ingresso del parlamentare nell’area di ascolto» (ancora, sentenza n. 390 del 2007).
L’inciso «di regola», che secondo la difesa del Senato della Repubblica testimonierebbe l’intrinseca portata lesiva di questa tipologia di intercettazioni per la serenità dello svolgimento del mandato, va inteso unicamente nel senso che la valutazione operata dal giudice intorno alla casualità delle captazioni non è assoluta e insindacabile, ben potendo la Camera cui appartiene il parlamentare – come, del resto, avvenuto nel caso di specie e, di recente, nel conflitto deciso con la sentenza n. 157 del 2023 – contestarne l’erroneità, adducendo il carattere “mirato” delle stesse.
Ciò detto, questa Corte, nella richiamata sentenza n. 390 del 2007, a più riprese evocata dalla difesa del Senato della Repubblica a sostegno delle proprie tesi, ha ritenuto che un simile vaglio ad opera dell’assemblea parlamentare presenta, semmai, il rischio di spostare in sede parlamentare «un sindacato che trova la sua sede naturale nell’ambito dei rimedi interni al processo», con ciò evidentemente ritenendo che, in assenza della previsione legislativa che ha introdotto l’obbligo di autorizzazione successiva, per le intercettazioni captate fortuitamente dovesse valere il regime di utilizzabilità ordinariamente previsto per la generalità dei consociati.
Di conseguenza, non può in alcun modo ricavarsi dal precetto costituzionale di cui all’art. 68, terzo comma, Cost., la possibilità – e, tanto meno, la necessità – che le intercettazioni diverse da quelle sottoposte al regime di autorizzazione preventiva di cui all’art. 4 della legge n. 140 del 2003, per il solo fatto di coinvolgere un parlamentare, siano da ritenersi illegittimamente acquisite.
4.– Prima di esaminare nel merito le ragioni poste a fondamento del ricorso, è necessario ripercorrere sinteticamente i fatti da cui trae origine il presente conflitto.
4.1.– Esso scaturisce da un’indagine avviata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo (n. 12460 del 2017 R.G.N.R. D.D.A.) a seguito delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, relative alle attività imprenditoriali riconducibili a P.F. A., nelle quali sarebbero state convogliate risorse derivanti da attività illecite, di sospetta provenienza mafiosa.
Nell’ambito di questa attività d’indagine, a partire dal maggio 2018 sarebbero emersi contatti telefonici tra P.F. A. e il senatore Siri, il quale solo il 13 giugno 2018 aveva assunto le funzioni di Sottosegretario di Stato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
A seguito della captazione di una conversazione ambientale intercorsa il 10 settembre 2018 tra P.F. A., il figlio di quest’ultimo, F. A., e un altro coimputato, emergeva altresì l’intenzione di “ricompensare” con 30.000,00 euro l’attività asseritamente svolta dal senatore Siri in vista del sostegno a un emendamento legislativo volto a favorire gli interessi imprenditoriali degli imputati, attivi nel settore delle energie rinnovabili.
A seguito di tale captazione, il senatore Siri è stato iscritto nel registro degli indagati in data 25 settembre 2018 per il reato di corruzione, in concorso con P.F. A. Di conseguenza, la sua posizione – insieme a quella del coimputato – è stata stralciata e i relativi atti sono stati trasferiti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma (nell’ambito del procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R.).
Successivamente, secondo quanto si ricava dalla documentazione prodotta in giudizio dal ricorrente e dalla difesa del Senato della Repubblica, in data 11 aprile 2019 è stata inviata al senatore Siri l’informazione di garanzia con la contestazione delle ipotesi accusatorie e, negli stessi giorni, sono stati inviati alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma i brogliacci e le trascrizioni relative ad alcune intercettazioni di interesse investigativo, tra cui quelle captate il 10 settembre 2018.
A seguito della conclusione delle indagini preliminari in data 30 settembre 2020, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha provveduto a chiedere, con atto depositato il 23 dicembre 2020, il rinvio a giudizio nei confronti, tra gli altri, del senatore Siri, per le riferite ipotesi accusatorie, riportando tra le fonti di prova «intercettazioni telefoniche e ambientali».
All’udienza preliminare del 14 aprile 2021, il pubblico ministero ha chiesto di utilizzare in giudizio il complesso delle intercettazioni acquisite dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.
Con ordinanza del 23 giugno 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ha tuttavia accolto la richiesta limitatamente alle captazioni effettuate in un momento antecedente all’iscrizione del senatore Siri nel registro degli indagati, «ritenendo che per quelle successive sarebbe stata necessaria l’autorizzazione preventiva», e ha provveduto, per l’effetto, a richiedere al Senato della Repubblica, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, l’autorizzazione all’utilizzazione delle intercettazioni captate nel periodo intercorso tra il 15 maggio e il 6 agosto 2018, per un totale di otto captazioni.
4.2.– Il Senato della Repubblica, con deliberazione assunta in data 9 marzo 2022, ha negato l’autorizzazione, rilevando, in primo luogo, che in relazione alle intercettazioni captate il 15 maggio 2018 sussistesse «la incerta e implausibile configurazione del requisito della necessità», perché l’ipotesi di reato ascritta al senatore Siri non avrebbe tenuto conto del fatto che questi, all’epoca dei fatti e delle intercettazioni in questione, non aveva ancora assunto la carica di Sottosegretario di Stato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da ciò facendone discendere la contraddittorietà e lacunosità della motivazione a sostegno della richiesta di autorizzazione.
In secondo luogo, e in relazione alle restanti intercettazioni, la deliberazione del Senato della Repubblica ha rilevato il difetto del requisito della occasionalità, perché l’autorità procedente, dopo le due prime intercettazioni, avrebbe dovuto agevolmente rendersi conto, per il numero e la frequenza delle conversazioni, del possibile coinvolgimento di un parlamentare, con la conseguenza che avrebbe dovuto sospendere immediatamente l’effettuazione delle captazioni, in quanto afferenti ad un ambito rientrante nel novero delle attività di cui all’art. 4 della legge n. 140 del 2003, sottoposte al regime dell’autorizzazione preventiva.
5.– Ciò premesso, il ricorrente ritiene, innanzi tutto, che il Senato della Repubblica abbia travalicato le proprie attribuzioni nel momento in cui ha ravvisato la non necessità probatoria delle due intercettazioni effettuate il 15 maggio 2018.
La contestazione del ricorrente è formulata con riguardo alla statuizione assunta dal Senato della Repubblica, che ha ritenuto di assumere la ricordata motivazione con riguardo alle due captazioni del 15 maggio 2018 e non anche a quella intervenuta il 17 maggio successivo.
La difesa del Senato, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, sembra attrarre nella valutazione di non rilevanza delle captazioni del 15 maggio anche quella del 17 maggio 2018. Tuttavia, all’evidenza, i limiti del conflitto proposto dall’autorità giudiziaria sono definiti dalla deliberazione dell’Assemblea parlamentare che ha negato l’autorizzazione ex art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, sicché esula da tale ambito la conversazione del 17 maggio, per la quale l’autorizzazione è stata negata sulla base del diverso presupposto della natura indiretta di quella captazione, così come delle altre cinque alle quali si riferiva la richiesta di autorizzazione.
6.– Il motivo di ricorso concernente questo primo capo della deliberazione di diniego dell’autorizzazione richiesta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 6, comma 2, della citata legge è fondato.
6.1.– Secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, «[l]’art. 6 della legge n. 140 del 2003 non assegna al Parlamento un potere di riesame di dati processuali già valutati dall’autorità giudiziaria. Consente, tuttavia, alle Camere di verificare che la richiesta di autorizzazione sia coerente con l’impianto accusatorio e che non sia, dunque, pretestuosa. A tal fine, la Camera alla quale appartiene il parlamentare le cui conversazioni siano state captate deve accertare che il giudice abbia indicato gli elementi su cui la richiesta si fonda – ovvero, “da un lato, le specifiche emergenze probatorie fino a quel momento disponibili e, dall’altro, la loro attitudine a fare sorgere la ‘necessità’ di quanto si chiede di autorizzare” – e che la asserita necessità dell’atto sia “motivata in termini di non implausibilità” (sentenza n. 188 del 2010)» (sentenza n. 74 del 2013).
6.2.– Nel caso di specie, la valutazione operata dal Giudice ricorrente, al momento di chiedere l’autorizzazione al Senato della Repubblica, intorno alla necessità probatoria delle intercettazioni in questione, deve ritenersi non implausibile, soprattutto in quanto il ricorrente ha evidenziato che tutte le intercettazioni sarebbero «astrattamente rappresentative del contesto spazio temporale in cui avrebbe operato il Senatore e il Sottosegretario Armando Siri a seguito della consegna o promessa di denaro nelle modalità e finalità illecite prospettate dalla pubblica accusa».
6.3.– Non può, d’altra parte, valere a smentire la non implausibilità della richiesta la circostanza che, al 15 maggio 2018, il senatore Siri non avesse ancora rivestito la carica di sottosegretario, non ricavandosi in alcun modo, dalle ipotesi accusatorie poste a fondamento della richiesta di autorizzazione, la rilevanza di tale elemento.
Nel momento in cui, pertanto, il Senato della Repubblica ha ritenuto di negare l’autorizzazione in parola ponendo a fondamento della sua deliberazione l’anteriorità delle conversazioni intercettate rispetto all’assunzione dell’incarico di sottosegretario, ha menomato le attribuzioni del Giudice ricorrente, in quanto ha preteso di valutare autonomamente le condotte ascritte al parlamentare, anziché operare un vaglio, nei termini richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, sulle motivazioni addotte a sostegno della richiesta di autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni.
6.4.– Né, da ultimo, ha fondamento la tesi sostenuta dalla difesa del Senato della Repubblica con la memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica del 21 maggio 2024, secondo cui l’attività svolta dal parlamentare Siri quando questi era “solamente” senatore, consistente nella presentazione e nel sostegno di emendamenti legislativi, non potrebbe costituire, a monte, «una condotta rilevante ai fini dell’utilizzazione delle intercettazioni, attesa la previsione costituzionale di cui al comma 1 dell’art. 68 Cost.».
In sostanza, secondo la difesa del Senato, l’attività materiale in relazione alla quale il senatore Siri è stato tratto a giudizio – e nella quale si sarebbe tradotto il presunto rapporto corruttivo tra lui e gli altri imputati – rientrerebbe sicuramente, per il periodo antecedente all’assunzione dell’incarico di sottosegretario, tra quelle tipiche della funzione del parlamentare, per le quali l’art. 68, primo comma, Cost., stabilirebbe una totale irresponsabilità, con la conseguenza che ciò renderebbe «ex se irrilevanti e inutilizzabili le intercettazioni che abbiano tale attività come oggetto, non potendosi da esse ricavare, nemmeno in ipotesi, alcuna responsabilità del parlamentare».
Sul punto, è sufficiente rilevare che, nella fattispecie in esame, lo svolgimento di atti tipici della funzione – come la presentazione e il sostegno di emendamenti legislativi – non ha rilievo di per sé come fatto direttamente generatore della responsabilità, ma quale presupposto di un fatto di reato non commesso nell’esercizio della funzione e, pertanto, estraneo al novero delle attività che rinvengono nel diritto parlamentare il loro unico regime qualificatorio, perché costituito dal preteso accordo corruttivo da cui deriverebbe, secondo l’ipotesi accusatoria, l’asservimento del ruolo di pubblico ufficiale del senatore Siri a interessi privati.
Come chiarito da questa Corte, infatti, l’immunità di cui all’art. 68, primo comma, Cost. per i voti dati opera unicamente in relazione a quei «comportamenti dei membri delle Camere» che trovano «nel diritto parlamentare la loro esaustiva qualificazione, nel senso che non esista alcun elemento del fatto che si sottragga alla capacità qualificatoria del regolamento», restando invece inoperante allorché vi sia un «elemento o frammento della concreta fattispecie che coinvolga beni o diritti che si sottraggano all’esaustiva capacità classificatoria del regolamento parlamentare», individuando quali esempi di tale evenienza quel che «accadrebbe, ad esempio, in presenza di episodi di lesioni, minacce, furti ai danni di parlamentari, corruzione, ecc.» (sentenza n. 379 del 1996).
Del resto, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che integra il reato di corruzione per l’esercizio della funzione, anche secondo la previgente formulazione dell’art. 318 cod. pen., la condotta del parlamentare che accetti la promessa o la dazione di utilità in relazione all’esercizio della sua funzione e, quindi, per il compimento di un atto del proprio ufficio (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenze 2 luglio-11 settembre 2018, n. 40347 e 6 giugno-24 luglio 2017, n. 36769).
6.5.– Deve, pertanto, dichiararsi che non spettava al Senato della Repubblica negare, con la deliberazione del 9 marzo 2022 (doc. IV, n. 10), l’autorizzazione, richiesta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, a utilizzare nei confronti di Armando Siri, senatore all’epoca dei fatti, le comunicazioni captate nei giorni 15 maggio 2018 (prog. 2521 e 2523), nell’ambito del procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, nel quale il predetto parlamentare risulta imputato.
7.– In relazione alle restanti intercettazioni, il Senato della Repubblica fa valere che, dopo le prime captazioni effettuate nel maggio 2018, la Procura procedente avrebbe dovuto, alla stregua di criteri di plausibilità e ragionevolezza, rendersi conto del coinvolgimento di un parlamentare e conseguentemente avrebbe dovuto sospendere immediatamente le captazioni, considerato che la successione di conversazioni in un arco temporale ridotto «costituisce ragionevolmente un elemento sistematico rilevante circa l’abitualità dei rapporti tra il parlamentare ed il terzo».
Il ricorrente contesta questo assunto, nel presupposto che le interlocuzioni captate dopo i primi contatti avvenuti il 15 maggio 2018 avrebbero avuto natura del tutto sporadica e «apparivano assolutamente neutre dal punto di vista penale, trattandosi di mere sollecitazioni di iniziative parlamentari», che avrebbero assunto una specifica rilevanza probatoria unicamente a seguito dell’intercettazione ritenuta indiziante, captata il 10 settembre 2018.
8.– Anche con riguardo a tale profilo, il ricorso è fondato.
8.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, al fine di sceverare le intercettazioni cosiddette “indirette”, sottoposte all’autorizzazione preventiva di cui all’art. 4 della legge n. 140 del 2003, da quelle “occasionali”, rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 6 della medesima legge, è necessario «tenere conto, sebbene in via solamente esemplificativa, “dei rapporti intercorrenti tra parlamentare e terzo sottoposto a intercettazione, avuto riguardo al tipo di attività criminosa oggetto di indagine; del numero delle conversazioni intercorse tra il terzo e il parlamentare; dell’arco di tempo durante il quale tale attività di captazione è avvenuta, anche rispetto ad eventuali proroghe delle autorizzazioni e al momento in cui sono sorti indizi a carico del parlamentare”» (sentenza n. 227 del 2023, che richiama la sentenza n. 114 del 2010).
In base all’orientamento approfondito nella giurisprudenza più recente, questi indici assumono, peraltro, una portata orientativa per valutare il mutamento della direzione dell’atto di indagine, «essendo a tal fine dirimente la circostanza che, a carico del parlamentare, emergano elementi idonei a dimostrare l’intenzione delle autorità procedenti di approfondire, tramite l’attività di intercettazione, la sua posizione in vista del possibile esercizio dell’azione penale» (ancora, sentenza n. 227 del 2023): e ciò tanto più tenuto conto che «l’emersione di indizi di reità a carico del parlamentare è un fattore che può concorrere a determinare, in seno all’autorità giudiziaria, un mutamento di obbiettivi, “nel senso che – in ragione anche dell’obbligo di perseguire gli autori dei reati – le ulteriori intercettazioni potrebbero risultare finalizzate, nelle strategie investigative dell’organo inquirente, a captare non più (soltanto) le comunicazioni del terzo titolare dell’utenza, ma (anche) quelle del suo interlocutore parlamentare, per accertarne le responsabilità penali” (sentenza n. 113 del 2010)» (sentenza n. 157 del 2023).
8.2.– Alla luce di tali indicazioni, che questa Corte ribadisce, deve ritenersi che l’ingresso nell’area di ascolto del senatore Siri sia del tutto occasionale, perché non sussiste alcuno degli elementi sintomatici che inducono a ritenere che il reale obiettivo delle autorità preposte alle indagini fosse quello di accedere indirettamente alle comunicazioni che questi ha avuto, nel periodo in considerazione, con l’altro imputato P.F. A.
In primo luogo, occorre ricordare che l’ipotesi di reato per cui procedeva, in origine, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo aveva ad oggetto il supposto reimpiego di capitali di provenienza mafiosa in attività economiche nel settore delle energie rinnovabili e, in particolare, muoveva dall’ipotesi accusatoria per cui soggetti vicini ad ambienti della criminalità organizzata fossero soci occulti di P.F. A. nelle sue società: nulla, pertanto, che possa far intravedere un collegamento – attuale o anche solo potenziale – con la posizione del senatore Siri.
In secondo luogo, le conversazioni captate risultano contraddistinte, nella prospettiva della frequenza e dell’abitualità dei contatti, da una certa sporadicità, sia con riguardo al numero complessivo delle intercettazioni captate e di cui è richiesto l’utilizzo (sei), sia alla loro distribuzione temporale (una a maggio, una a luglio e quattro in agosto); sporadicità che, certamente, non viene meno anche ove si considerino le altre due captazioni avvenute il 15 maggio 2018, di cui si è già detto.
In terzo luogo, non erra il ricorrente nell’affermare che il contenuto delle conversazioni risulta, in sé e per sé considerato, del tutto neutro da un punto di vista penale, non potendosi ritenere precluso a un soggetto che riveste il mandato parlamentare ricevere indicazioni o comunque sollecitazioni in ordine al contenuto degli atti che contribuisce a formare, ivi compresi quelli di natura legislativa. Tanto più che, secondo quanto risulta dagli atti, P.F. A. agiva anche in qualità di rappresentante di un’associazione di categoria e, pertanto, ben poteva ritenersi portatore di interessi legittimamente veicolabili tramite le modalità seguite nel caso di specie.
In quarto e ultimo luogo, le intercettazioni in questione, fermo quanto affermato sinora, assumono un valore diverso solamente a partire dal momento in cui, per effetto della riferita intercettazione ambientale del 10 settembre 2018, emergono indizi secondo i quali quegli accordi – pur di per sé potenzialmente legittimi – diventano oggetto di un asserito patto corruttivo, ciò che determina, ma solo a partire da tale momento, un mutamento della direzione degli atti di indagine, tale da indurre il Giudice dell’udienza preliminare a negare correttamente la possibilità di utilizzare in giudizio le intercettazioni captate successivamente a tale data, perché ormai connotate dall’intenzione delle autorità preposte alle indagini di accedere alla sfera di comunicazione del senatore Siri in quanto soggetto attinto da indizi di reità.
8.3.– La fondatezza delle ragioni contenute nel ricorso non è scalfita dalla documentazione prodotta in giudizio dalla difesa del Senato della Repubblica, secondo la quale – stando a una relazione della Direzione investigativa antimafia di Trapani del 6 marzo 2018, depositata agli atti del procedimento allora incardinato presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo – vi erano evidenze di contatti e di consuetudine di rapporti tra il senatore Siri e P.F. A. già in un momento antecedente alla prima intercettazione del 15 maggio 2018.
In particolare, nel corso di una conversazione captata tra P.F. A. e il figlio F. A. il 28 ottobre 2017, il primo riferiva al secondo di una imminente visita in Sicilia, per ragioni elettorali, di Siri e del segretario del suo partito, in occasione della quale si ripromettevano di incontrarsi per una cena.
Inoltre, sempre la difesa del Senato della Repubblica rappresenta che – secondo quanto emerge da una relazione della DIA di Trapani del 24 settembre 2018, che accede al provvedimento di stralcio della posizione processuale di Siri e di trasferimento delle indagini alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma – le autorità inquirenti venivano a sapere da conversazioni captate nei primi mesi del 2018 (cui partecipavano solamente gli originari indagati del procedimento principale) che P.F. A. «auspicava la formazione di una maggioranza di governo formata da esponenti della Lega, perché ciò gli avrebbe consentito di proporre alcuni interventi normativi per aumentare gli incentivi riconosciuti ai produttori di energia da fonte eolica».
Secondo la difesa del Senato, tali atti di indagine dimostrerebbero la consapevolezza delle autorità inquirenti che, nel disegno criminoso perseguito dagli allora imputati, sarebbe prevedibilmente potuto rientrare anche il coinvolgimento di un uomo politico quale il senatore Siri, del quale erano note all’autorità le posizioni di vicinanza con l’imprenditore P.F. A., al fine di ottenere provvedimenti favorevoli ai loro interessi economici.
8.3.1.– Questi elementi, tuttavia, non valgono a smentire quanto rilevato in precedenza, perché non appaiono tali da dimostrare l’insorgenza, in capo alle autorità inquirenti, di un mutamento di direzione dell’atto di indagine in una fase temporale antecedente alla intercettazione del 10 settembre 2018, alla quale risalgono quelle per le quali è stata chiesta l’autorizzazione alla utilizzazione nel giudizio da cui promana il presente conflitto.
La comparsa del nome del senatore Siri negli atti di indagine deve, infatti, ritenersi del tutto episodica e, soprattutto, materialmente e teleologicamente scollegata dall’ambito delle ipotesi accusatorie per le quali procedevano, in quella fase, le autorità inquirenti palermitane.
La circostanza che P.F. A. vantasse, nell’ottobre 2017, conoscenze con un esponente politico come Armando Siri e successivamente, nell’aprile 2018, mostrasse di auspicare la formazione di una maggioranza di governo della quale facesse parte anche il partito politico cui egli apparteneva, infatti, non può ritenersi sufficiente a dimostrare che, già in quel momento, le autorità inquirenti mirassero ad accedere alla sfera comunicativa del parlamentare, anche perché la semplice e occasionale esibizione di una conoscenza da parte di P.F. A. non vale a connotare, ove non accompagnata da ulteriori e più significativi elementi, la direzione seguita dalle indagini in quanto preordinata a captare le comunicazioni del parlamentare.
Tanto più che, come già rilevato, la condotta del senatore Siri è rimasta indenne dalla tipologia di accuse mossa allora agli imputati e non ha assunto alcuna rilevanza penale prima delle evidenze investigative emerse in occasione dell’intercettazione del 10 settembre 2018.
9.– Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi sussistente la menomazione delle proprie attribuzioni lamentata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, in relazione al non corretto esercizio, da parte del Senato della Repubblica, del potere a questi assegnato dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, in relazione alla qualificazione delle intercettazioni in esame come aventi natura indiretta.
Analogamente a quanto già affermato da questa Corte nella sentenza n. 157 del 2023, una volta escluso che le intercettazioni captate successivamente al 15 maggio 2018 per le quali è stata invocata l’autorizzazione ex post fossero inutilizzabili perché effettuate in violazione dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, la richiesta di autorizzazione avanzata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, odierno ricorrente, necessita di una nuova valutazione, da parte del Senato della Repubblica, in ordine alla «sussistenza dei presupposti ai quali l’utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un diverso procedimento è condizionata, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della medesima legge».
Occorre, peraltro, ribadire anche in questa occasione come l’ulteriore esercizio del potere di autorizzazione dovrà conformarsi al canone di leale collaborazione istituzionale, al quale i poteri in conflitto si sono d’altronde finora attenuti.
10.– In conclusione, deve dichiararsi che non spettava al Senato della Repubblica negare, con la medesima deliberazione del 9 marzo 2022 (doc. IV, n. 10), l’autorizzazione, richiesta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, a utilizzare nei confronti di Armando Siri, senatore della Repubblica all’epoca dei fatti, le intercettazioni captate nei giorni 17 maggio 2018 (prog. 2618), 17 luglio 2018 (prog. 5760), 4 agosto 2018 (prog. 5997) e 6 agosto 2018 (prog. 6043, 6044 e 6090), nell’ambito del procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R., nel quale il predetto parlamentare risulta imputato.