Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 22 dicembre 2023 (reg. ric. n. 35 del 2023) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 80, comma 1, lettera b), 86, comma 1, e 87, comma 1, della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9 (Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie), per lesione: quanto all’art. 80, comma 1, lettera b), dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e dell’art. 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna); quanto all’art. 86, comma 1, dell’art. 117, secondo comma, lettere h) ed l), Cost. e dell’art. 3, primo comma, dello statuto speciale; quanto all’art. 87, comma 1, dell’art. 117, secondo comma, lettere a), h), l), ed s), Cost. e dell’art. 3, primo comma, dello statuto speciale.
1.1.– È innanzitutto impugnato l’art. 80, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, che sostituisce il comma 1 dell’art. 49 della legge della Regione Sardegna 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna), come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Sardegna 7 febbraio 2002, n. 5, recante «Modifica dell’art. 49 della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna), concernente il periodo di caccia».
La disposizione impugnata stabilisce: «1. Ai fini dell’attività venatoria nel territorio della Sardegna è consentito abbattere esemplari di fauna selvatica di cui all’articolo 48 nel periodo compreso tra la terza domenica di settembre ed il 31 gennaio dell’anno successivo, a condizione che le specie non siano cacciate durante il periodo della nidificazione, né durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza e, qualora si tratti di specie migratorie, non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione, con le seguenti eccezioni: […] b) Tortora selvatica (Streptopelia turtur) dal 1° settembre, secondo il piano adottato dalla conferenza Stato-regioni; […]».
Il ricorrente evidenzia che la data del 1° settembre, così stabilita per l’apertura del periodo di caccia alla tortora selvatica è diversa da quella della terza domenica di settembre indicata per la medesima specie dall’art. 18, comma 1, lettera a), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), cosiddetta “legge quadro” sulla caccia, che stabilisce la data finale del periodo venatorio, per tale specie, al 31 dicembre.
Nel rappresentare che analoga questione è stata vagliata da questa Corte proprio in riferimento al medesimo art. 49 della legge reg. Sardegna n. 23 del 1998, ora modificato dalla disposizione impugnata, la difesa statale afferma che la sentenza n. 526 del 2002 «ha stabilito che l’indicazione delle specie cacciabili e del relativo periodo di caccia (di cui alla legge quadro n. 157 del 1992), servisse a garantire uno standard minimo e uniforme di tutela della fauna su tutto il territorio nazionale, in linea con la competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale di cui all’art. 117, co. 2, lett. s), nel cui ambito può essere ricondotta la tutela della fauna, che il Legislatore regionale non può derogare, neppure in forza della speciale competenza statutaria in materia di “caccia” prevista dall’articolo 3, primo comma, lett. i) dello Statuto regionale».
Ad avviso della difesa dello Stato la formulazione della disposizione impugnata, «non definendo il periodo di cacciabilità della tortora selvatica nel perimetro fissato dal citato art. 18 della l. n. 157 del 1992 (e rimandando, anzi, l’individuazione del termine finale ad una disposizione del piano adottato dalla Conferenza Stato-Regioni), interviene in deroga al parametro interposto», così determinando le censure di illegittimità costituzionale.
La deroga alle ricordate disposizioni statali inciderebbe difatti sul «“nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve includersi – accanto alla elencazione delle specie cacciabili – la disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta la disciplina che, anche in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio” (Corte cost. sent. n. 323/1998)».
Inoltre, la deroga, così stabilita dalla disposizione impugnata, non sarebbe compatibile nemmeno con la normativa dell’Unione europea in materia di protezione della fauna selvatica, poiché essa «richiede che gli Stati membri provvedano “a che le specie a cui si applica la legislazione sulla caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione” (art. 7, par. 4, Direttiva 2009/147/CER del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009)».
Pertanto, la disposizione impugnata, nel derogare al suddetto standard di tutela uniforme che deve essere rispettato nell’intero territorio nazionale, ivi compreso quello delle regioni a statuto speciale, violerebbe anche i limiti stabiliti dallo statuto della Regione Sardegna (art. 3, primo comma) all’esercizio della potestà legislativa in materia di «caccia» (lettera i), tra cui quelli derivanti dall’osservanza delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica e degli obblighi internazionali.
1.2.– È poi impugnato l’art. 86, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, rubricato «Investigazione sulle cause di incendio nei boschi e nelle campagne», che prevede, tra l’altro, l’istituzione e la formazione specialistica di nuclei, all’interno della struttura del Corpo forestale regionale, che svolgano anche funzioni di «investigazione giudiziaria» sul fenomeno degli incendi boschivi e nelle campagne, sulla base delle quali, ai sensi del successivo comma 2, il Corpo forestale redige ogni anno un rapporto consuntivo e avanza proposte al Consiglio e alla Giunta regionale sulle misure ritenute necessarie ai fini del controllo e del superamento delle singole cause di incendio.
Il ricorrente assume che la disposizione, nella parte in cui stabilisce che i predetti nuclei svolgono anche funzioni di «investigazione giudiziaria», non è compatibile con il riparto di competenze legislative tra Stato e Regione autonoma della Sardegna, in quanto «[l]’ambito di autonomia legislativa prevista dallo Statuto della Regione Sardegna (articoli 3 e 4) non contempla la possibilità di legiferare in tema di sicurezza pubblica e di ordinamento processuale penale, nel cui novero si inseriscono le funzioni di polizia giudiziaria, la quale, per contro, è attribuita in termini di esclusività, ex art. 117, comma 2, lett. h), e lett. l), allo Stato (in ragione della sua essenzialità, per garantire unitarietà all’ordinamento giuridico nazionale)».
Al riguardo, la difesa statale afferma che «[l]a potestà legislativa esclusiva della Regione in materia di “polizia locale urbana e rurale” (art. 3, lett. c], dello Statuto) può riguardare l’esercizio dei compiti di polizia amministrativa, ma non estendersi fino alla disciplina delle “funzioni di investigazione giudiziaria” sul fenomeno degli incendi boschivi».
A sostegno viene richiamata la giurisprudenza costituzionale secondo cui la competenza «a riconoscere la qualifica di agente di polizia giudiziaria è “riservata a leggi e regolamenti che debbono essere, in quanto attinenti alla sicurezza pubblica, esclusivamente di fonte statale” (sentenza n. 185 del 1999)» (sono citate le sentenze n. 82 del 2018 e n. 67 del 2010), in quanto «le funzioni in esame ineriscono all’ordinamento processuale penale, che configura la polizia giudiziaria “come soggetto ausiliario di uno dei soggetti del rapporto triadico in cui si esprime la funzione giurisdizionale (il pubblico ministero)”» (sono citate le sentenze n. 8 del 2017 e n. 35 del 2011); con la conseguenza che quindi, che «solo leggi dello Stato possono attribuire funzioni di polizia giudiziaria agli appartenenti ad enti e istituzioni all’uopo indicate (come in termini esemplificativi e non esaustivi prevede l’articolo 57 del c.p.p.)».
Per tali ragioni il ricorrente conclude sostenendo che l’art. 86 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 «appare illegittimo per violazione dell’art. 117, comma 2, lett. h) e lett. l) della Costituzione, sia in via autonoma e sia in relazione ai parametri interposti offerti dagli artt. 55 e 57, commi 1 e 2, cod. proc. pen., dagli articoli da 133 a 141 TULPS e dall’art. 254 del regolamento di esecuzione TULPS e per inosservanza dei limiti all’esercizio della potestà legislativa della Regione in materia di “polizia locale urbana e rurale” sanciti dall’articolo 3, primo comma, dello Statuto regionale, derivanti dal rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica».
1.3.– Da ultimo, il ricorrente censura l’art. 87, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, rubricato «Modifiche alla legge regionale n. 26 del 1985 in materia di compiti del Corpo forestale e di vigilanza ambientale», nelle parti in cui prevede che «al Corpo forestale di vigilanza ambientale, istituito nell’ambito del territorio regionale dall’articolo 1 della l.r. 5 novembre 1985, n. 26, siano attribuite: a) “attività di polizia giudiziaria e amministrativa ai sensi della vigente normativa nazionale e vigila sul rispetto della normativa regionale, nazionale e internazionale concernente la salvaguardia delle risorse forestali, agroambientali e paesaggistiche e la tutela del patrimonio naturalistico regionale, e sulla sicurezza agroalimentare, prevenendo e reprimendo gli illeciti connessi”; b) “le funzioni e i compiti già espletati in campo nazionale dal soppresso Corpo forestale dello Stato”».
1.3.1.– In relazione al punto della disposizione concernente lo svolgimento da parte del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione autonoma della Sardegna anche di «attività di polizia giudiziaria», la difesa statale deduce che, «benché i settori nei quali andrà a svolgersi l’attività di vigilanza da parte del Corpo forestale regionale potrebbero apparire coerenti con alcune delle materie attribuite alla Regione Sardegna ai sensi del suo Statuto (art. 3, lett. c] e d]), rilievi di incostituzionalità sorgono in ordine all’attribuzione delle funzioni di polizia giudiziaria al relativo personale».
In merito, l’Avvocatura generale ripropone le considerazioni svolte nel censurare il comma 1 dell’art. 86 della legge regionale impugnata relativamente alla dedotta lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di sicurezza pubblica ed ordinamento processuale penale, nel cui novero si inseriscono le funzioni di polizia giudiziaria, e richiama la giurisprudenza costituzionale già ivi menzionata.
Per tali ragioni, il ricorrente prospetta l’illegittimità costituzionale della disposizione in oggetto per «violazione dell’art. 117, comma 2, lett. h) e lett. l), della Costituzione, sia in via autonoma e sia in relazione ai parametri interposti offerti dagli artt. 55 e 57, commi 1 e 2, cod. proc. pen., dagli articoli da 133 a 141 TULPS e dall’art. 254 del regolamento di esecuzione TULPS e per inosservanza dei limiti all’esercizio della potestà legislativa della Regione in materia di “polizia locale urbana e rurale” sanciti dall’articolo 3, primo comma, dello Statuto regionale, derivanti dal rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica».
1.3.2.– Riguardo alla parte della disposizione del medesimo art. 87, comma 1, della legge regionale impugnata, secondo cui il Corpo forestale regionale «[s]volge inoltre, nell’ambito del territorio della Regione, le funzioni e i compiti già espletati in campo nazionale dal soppresso Corpo forestale dello Stato», il ricorrente afferma che «l’estensione delle funzioni del soppresso Corpo forestale dello Stato al Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione sarda non può avere una connotazione di esclusività, in quanto le funzioni del Corpo Forestale dello Stato sono state acquisite dall’Arma dei Carabinieri, ai sensi del d.lgs. n. 177 del 2016 (e conseguentemente attribuite ai propri reparti di specialità, presenti nella Regione Sardegna, come il Centro anticrimine natura di Cagliari ed il relativo Nucleo investigativo di polizia ambientale, agroalimentare e forestale, il Nucleo CITES di Cagliari e i distaccamenti di tali strutture presso altri comuni del territorio regionale)».
Inoltre, la difesa statale rileva che non tutte le funzioni del soppresso Corpo forestale dello Stato, ancorché esercitate dai reparti di specialità dell’Arma dei carabinieri, sono attribuibili tramite legge regionale al Corpo forestale regionale, avuto riguardo ai limiti della potestà legislativa, previsti dallo statuto speciale, di cui ai citati artt. 3 e 4. In particolare afferma che «non può essere compresa tra queste, l’insieme delle funzioni di controllo previste per il disciolto Corpo forestale dello Stato, dalla Legge n. 150 del 1992 in tema di contrasto al commercio illegale, nonché di controllo del commercio internazionale e della detenzione di esemplari di fauna e di flora minacciati di estinzione, ai sensi della Convenzione di Washington sul Commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, più comunemente conosciuta come CITES, ora attribuite, ai sensi dell’art. 7, co. 2 del d.lgs. 177 del 2016, all’Arma dei Carabinieri, trattandosi di funzioni in materia di tutela ambientale nella quale la Regione Sardegna non è titolare di competenze legislative in base agli articoli 3 e 4 del proprio Statuto approvato con legge Costituzionale n. 3 del 1948».
Al riguardo la difesa statale deduce che «[l]a tutela dell’ambiente, intesa anche come conservazione di specie animali e vegetali in pericolo di estinzione, rientra infatti tra le materie di competenza esclusiva dello Stato a mente dell’art. 117, co. 2 lett. s), Cost. e non è prevista dallo Statuto della Regione Sardegna tra le discipline in cui il legislatore regionale può intervenire» e che, conseguentemente, «solo una legge statale può eventualmente disporre sul tema dei controlli CITES, in modifica di altra precedente legge di pari rango (nello specifico caso, la citata legge n. 150 del 1992 che, tra l’altro, già coinvolge, nel proprio impianto generale i Corpi Forestali regionali, cfr. art. 5 comma 1)».
L’Avvocatura generale dello Stato sostiene che «[è] evidentemente inutile, poi, discettare di eventuali competenze legislative Statutarie, come quelle previste dall’art. 3, comma 1, lett. c): “polizia locale urbana e rurale” e lett. d): “agricoltura e foreste” laddove, come nel caso di specie, il ricorso del Governo muova “da una prospettiva di radicale esclusione di qualsivoglia competenza regionale statutaria” (Corte cost., sent. 21 giugno 2019, n. 153) in ragione del contenuto della norma impugnata e della natura del parametro evocato (sentenza n. 103 del 2017), riconducibile, nel caso di specie, alla tutela dell’ambiente ai sensi dell’art. 117, comma 2 lett. s), Cost., risolvendosi l’eventuale eccezione della Regione in un profilo che attiene non già all’aspetto preliminare della questione, bensì a quello successivo del merito (Corte cost., sent., 16 luglio 2014, n. 199)».
L’Avvocatura dello Stato evidenzia, altresì, che la stessa legge 7 febbraio 1992, n. 150, recante «Disciplina dei reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica», «si pone, poi, come esecuzione di obblighi assunti a livello internazionale rispetto ai quali, sempre in relazione all’art. 117, co. 2 lett. a) della Costituzione, lo Stato ha competenza esclusiva».
Da ultimo, la difesa statale, nell’assumere che l’attribuzione delle funzioni svolte dal disciolto Corpo forestale dello Stato a quello della Regione autonoma della Sardegna presuppone il possesso della qualifica di ufficiali/agenti di polizia giudiziaria del relativo personale, afferma che tale qualifica, «come già argomentato in relazione al precedente punto sub a) del presente motivo, non può essere concessa con legge regionale, in quanto l’ambito di autonomia legislativa prevista dallo Statuto della Regione Sardegna (articoli 3 e 4) non contempla la possibilità di legiferare in tema di sicurezza pubblica e di ordinamento processuale penale» poiché essa è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
In base alle argomentazioni svolte, il ricorrente conclude chiedendo di dichiarare la illegittimità costituzionale della disposizione in esame «per violazione: dell’art. 117, comma 2, lett. a) Cost. in relazione ai parametri interposti della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla L. 19 dicembre 1975, n. 874, ed al Regolamento (CEE) n. 3626/82, dell’art. 117, comma 2, lett. s) Cost. in relazione ai parametri interposti di cui alla legge n. 150 del 1992, e al d.lgs. 177 del 2016; dell’art. 117, comma 2, lett. h) e lett. l) Cost. in relazione ai parametri interposti di cui agli artt. 55 e 57, commi 1 e 2, cod. proc. pen., dagli articoli da 133 a 141 TULPS e dall’art. 254 del regolamento di esecuzione TULPS; e per inosservanza dei limiti all’esercizio della potestà legislativa della Regione in materia di “polizia locale urbana e rurale” e “agricoltura e foreste” sanciti dall’articolo 3, primo comma, dello Statuto regionale, derivanti dal rispetto degli obblighi internazionali, delle norme fondamentali di riforma economico-sociale e dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica».
2.– La Regione autonoma della Sardegna si è costituita in giudizio con atto depositato il 30 gennaio 2024.
2.1.– La difesa regionale confuta le censure formulate dal ricorrente nei confronti dell’art. 80, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 9 del 2023.
Innanzitutto, rileva che la disposizione impugnata rimanda, per quanto attiene alle modalità ed al periodo di cacciabilità della tortora selvatica, a quanto previsto nel Piano di gestione nazionale della tortora selvatica adottato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano il 2 marzo 2022, di durata quinquennale, redatto, tra gli altri soggetti, dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).
Relativamente al periodo in cui è consentita l’attività venatoria, la resistente assume che la disposizione regionale non costituirebbe violazione della disposizione statale interposta, «perché non fa che riprodurre il termine iniziale contenuto nel comma 2 dell’art. 18 della l. 157 del 1992, che consente alle regioni di anticipare l’inizio della caccia al 1° settembre (cosiddetta “pre-apertura”), in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali».
Non sarebbe neppure corretta l’affermazione del ricorrente secondo cui la questione oggetto del presente giudizio sarebbe sovrapponibile a quella decisa da questa Corte con la pronuncia n. 536 del 2002, «intervenuta su una disposizione che procrastinava il periodo venatorio fino al 28 febbraio, quindi (ben) oltre i termini indicati dal suddetto art. 18 l. 157 del 1992».
In proposito la difesa regionale rileva che «lo stesso Piano di gestione della tortora selvatica dà conto del fatto che “ad oggi la Tortora selvatica viene cacciata in Italia ricorrendo sostanzialmente alla pre-apertura […] in quanto la specie non sverna nel nostro Paese e inizia la migrazione post-riproduttiva già nella terza decade di agosto esaurendosi entro la terza decade di settembre […]” (par. 3.2, pag. 11, del Piano)», ed afferma quindi che verrebbe certificato «dallo stesso ISPRA che l’anticipazione al 1° settembre, oltre a costituire una prassi nel nostro territorio, non contrasta con le esigenze di tutela come anche raccomandate con la Direttiva 2009/147/CE» evocata dal ricorrente.
Secondo la resistente, parimenti non sarebbe esatta l’affermazione della difesa statale secondo la quale l’individuazione del termine finale sarebbe demandata al piano adottato dalla Conferenza Stato-Regioni, in quanto tale piano non entrerebbe nel merito del periodo di cacciabilità, laddove «[i]l termine finale rimane collocato all’interno della cornice generale prevista dalla norma statale più volte richiamata (31 dicembre, con possibilità di proroga sino al 31 gennaio successivo, alle condizioni stabilite dal comma 2 dell’art. 18 l. 157 del 1992), ed, in concreto, lo stesso termine verrà stabilito – entro i confini temporali suddetti – dal calendario venatorio stagionale».
Per quanto attiene alle modalità di caccia alla tortora selvatica, la difesa della Regione evidenzia che il menzionato piano prevede quanto segue: «Azione 2.2 Adozione delle indicazioni fornite dal piano di gestione europeo, in particolare di quelle derivate dall’attivazione di una gestione adattativa (AHM) del prelievo. Compatibilmente con tali indicazioni, le Regioni possono prevedere un prelievo venatorio con un carniere massimo giornaliero di 5 capi e stagionale di 15 capi, incluse eventuali preaperture fino a un massimo di 3 giornate, tenendo conto del parere di ISPRA previsto dalla L. 157 del 1992 [...]. (v. par. 5.2, pag. 15)».
La difesa regionale sostiene che pertanto il richiamo da parte della disposizione impugnata al piano della Conferenza Stato-Regioni serve a «determinare le giornate massime di caccia e il carniere massimo giornaliero e stagionale. Viene quindi individuato un arco temporale molto restrittivo, di gran lunga inferiore a quello astrattamente ipotizzabile in applicazione del perimetro fissato dalla legge nazionale»; e che, quindi, si tratterebbe «di un ulteriore parametro limitativo e di tutela della specie in questione, a conferma che la legge regionale non fa che precisare i confini della salvaguardia della fauna selvatica delineati in termini generali dalla disciplina statale ed in ossequio normativa eurounionale in materia».
2.2.– In ordine alle censure formulate nei confronti degli artt. 86, comma 1, e 87, comma 1, della legge regionale n. 9 del 2023, la resistente nell’atto di costituzione si limita ad eccepirne «l’inammissibilità e l’infondatezza per le ragioni che saranno meglio esplicate nel corso del giudizio nei modi e termini di legge».
3.– In prossimità dell’udienza la difesa statale ha depositato una memoria nella quale ha brevemente ribadito le censure formulate nei confronti della disposizione dettata dall’art. 80, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
Riservata a separate pronunce le decisioni delle questioni di legittimità costituzionale concernenti le altre disposizioni impugnate, il presente giudizio ha ad oggetto le censure formulate nei confronti degli artt. 80, comma 1, lettera b), 86, comma 1, e 87, comma 1.
1.1.– L’art. 80, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 dispone l’apertura della caccia alla tortora selvatica (Streptopelia turtur) «dal 1° settembre, secondo il piano adottato dalla conferenza Stato-regioni».
Il ricorrente ritiene che la disposizione violi l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in relazione al parametro interposto costituito dall’art. 18, comma 1, lettera a), della legge n. 157 del 1992 in quanto, anticipando al 1° settembre l’apertura della caccia e non indicandone il termine finale, si discosta dal periodo di cacciabilità della specie “tortora selvatica”, fissato dalla predetta disposizione statale dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre.
Il ricorrente evidenzia che analoga questione è stata già affrontata da questa Corte con la sentenza n. 536 del 2002, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, di una disposizione regionale che, nel modificare lo stesso art. 49 della legge reg. n. 23 del 1998, prorogava al 28 febbraio il periodo venatorio.
Secondo la difesa statale, la disposizione impugnata si presterebbe ad analoghe censure di legittimità costituzionale poiché, «non definendo il periodo di cacciabilità della tortora selvatica nel perimetro fissato dal citato art. 18 della l. n. 157 del 1992 (e rimandando, anzi, l’individuazione del termine finale ad una disposizione del piano adottato dalla Conferenza Stato-Regioni), interviene in deroga al parametro interposto».
Tale deroga non sarebbe compatibile nemmeno con la normativa dell’Unione europea in materia di protezione della fauna selvatica poiché essa richiede che gli Stati membri provvedano «a che le specie a cui si applica la legislazione sulla caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione» (art. 7, paragrafo 4, della direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici).
Infine, secondo il ricorrente, sarebbero contestualmente violati i limiti alle competenze legislative della Regione autonoma della Sardegna in materia di «caccia», attribuite dall’art. 3, primo comma, dello statuto speciale, poiché la disposizione in esame non rispetterebbe i limiti posti all’esercizio di tale competenza legislativa regionale dall’osservanza delle norme fondamentali di riforma economico-sociale e degli obblighi internazionali.
1.2.– È poi impugnato il comma 1 dell’art. 86 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, nella parte in cui stabilisce che appositi nuclei istituiti dal Corpo forestale di vigilanza ambientale della Regione svolgono «funzioni di “investigazione giudiziaria”» sul fenomeno degli incendi nei boschi e nelle campagne.
Ad avviso del ricorrente, tale previsione attribuirebbe al Corpo forestale regionale funzioni investigative di polizia giudiziaria, nel mentre tale attribuzione è preclusa al legislatore regionale in quanto rientrante nelle competenze legislative esclusive dello Stato dettate dall’art. 117, secondo comma, lettere h) ed l), Cost.
Sono evocati, quali parametri interposti, gli artt. 55 e 57, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, gli articoli da 133 a 141 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e l’art. 254 del regolamento di esecuzione TULPS.
Sarebbero, altresì, conseguentemente violati i limiti derivanti dal rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica posti all’esercizio della competenza legislativa della Regione autonoma della Sardegna in materia di polizia locale, urbana e rurale, di cui all’art. 3, primo comma, dello statuto di autonomia.
1.3.– Infine, il ricorrente prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 87, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 in riferimento a due distinti frammenti normativi.
1.3.1.– Il primo stabilisce che il Corpo forestale regionale svolge, nell’ambito del territorio regionale, «attività di polizia giudiziaria».
La previsione è oggetto delle medesime censure avanzate nei confronti della disposizione dettata dall’art. 86, comma 1, vale a dire per lesione dell’art. 117, secondo comma, lettere h) ed l), Cost., in relazione agli indicati parametri interposti, nonché per lesione dei limiti posti dallo statuto speciale alla competenza legislativa della Regione, essendo l’attribuzione delle funzioni di polizia giudiziaria riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
1.3.2.– L’art. 87, comma 1, è, altresì, impugnato nella parte in cui stabilisce che il Corpo forestale di vigilanza ambientale della Regione «[s]volge inoltre, nell’ambito del territorio della Regione, le funzioni e i compiti già espletati in campo nazionale dal soppresso Corpo forestale dello Stato».
Secondo il ricorrente la disposizione lederebbe plurimi parametri costituzionali.
Sarebbe, innanzitutto, violato l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in relazione ai parametri interposti della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973 (cosiddetta CITES, dalle iniziali della denominazione in inglese), convenzione ratificata e resa esecutiva con legge 19 dicembre 1975, n. 874 ed attuata con successiva legge n. 150 del 1992. Ciò perché, ad avviso del ricorrente, la disposizione regionale attribuirebbe al Corpo forestale regionale funzioni relative alla conservazione di specie animali in pericolo di estinzione, previste dai parametri interposti, riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, già assegnate dall’ordinamento statale al soppresso Corpo forestale dello Stato e ora attribuite dall’art. 7 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», all’Arma dei carabinieri.
La disposizione regionale in esame lederebbe poi contestualmente la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell’ambiente» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione ai parametri interposti costituiti dalle disposizioni di cui alla ricordata legge n. 150 del 1992 e dello stesso d.lgs. n. 177 del 2016.
Ancora, la disposizione violerebbe le competenze legislative esclusive dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettere h) ed l), Cost., sia in via autonoma che in relazione ai parametri interposti costituiti dagli artt. 55 e 57, commi 1 e 2, cod. proc. pen., dagli articoli da 133 a 141 TULPS e dall’art. 254 del regolamento di esecuzione TULPS. Ciò in quanto, ad avviso del ricorrente, l’attribuzione al Corpo forestale regionale delle funzioni e dei compiti già espletati in campo nazionale dal soppresso Corpo forestale dello Stato presuppone il possesso da parte dei componenti del Corpo forestale regionale della qualifica di ufficiale-agente di polizia giudiziaria che non può essere attribuita dal legislatore regionale, essendo riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. In proposito sono richiamate le considerazioni già svolte nel censurare la prima parte dell’art. 87 e in precedenza in ordine all’art. 86 della legge regionale impugnata.
Infine, la disposizione impugnata comporterebbe anche la lesione dei limiti posti all’esercizio della competenza legislativa attribuita dallo statuto speciale alla Regione autonoma della Sardegna in materia di «polizia locale urbana e rurale» e di «agricoltura e foreste», sanciti dall’art. 3, primo comma, dello statuto speciale, derivanti dal rispetto degli obblighi internazionali, delle norme fondamentali di riforma economico-sociale e dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica.
2.– La Regione autonoma della Sardegna, costituitasi in giudizio, ha svolto argomentazioni difensive solo in riferimento alle censure formulate nei confronti dell’art. 80, comma 1, lettera b), poiché relativamente alle censure promosse nei confronti degli artt. 86, comma 1, e 87, comma 1, si è limitata nell’atto di costituzione ad eccepirne genericamente l’inammissibilità e non fondatezza, senza poi dar seguito al pur preannunciato sviluppo argomentativo.
3.– La prima questione di legittimità costituzionale, promossa nei confronti dell’art. 80, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, è fondata.
3.1.– Il ricorrente evoca espressamente quale parametro interposto la previsione dettata dal comma 1, lettera a), dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992, ma individua poi correttamente più in generale il vulnus costituzionale nella mancata definizione da parte della disposizione impugnata del periodo di cacciabilità della tortora selvatica nel perimetro fissato dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992, in quanto la predetta disposizione statale costituisce espressione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell’ambiente».
3.2.– Invero, l’art. 18 della legge n. 157 del 1992 detta una serie di prescrizioni in tema di definizione da parte delle regioni del calendario venatorio.
Il comma 1 individua le specie cacciabili e i relativi periodi prevedendo cinque gruppi di specie, per ognuna delle quali viene circoscritto l’arco temporale in cui è possibile il prelievo, indicando i relativi termini di inizio e cessazione. I periodi sono di diversa ampiezza, ma si collocano comunque tra la terza domenica di settembre e il 31 gennaio. La tortora selvatica fa parte del gruppo delle specie cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre.
Il comma 1-bis vieta, tuttavia, per ogni singola specie l’esercizio venatorio «a) durante il ritorno al luogo di nidificazione; b) durante il periodo della nidificazione e le fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli».
Particolare rilievo ai fini in esame assumono poi le prescrizioni dettate alle regioni per la definizione del calendario venatorio dal successivo comma 2: le regioni entro e non oltre il 15 giugno «pubblicano il calendario regionale e il regolamento relativo all’intera annata venatoria nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 1-bis e 3»; le regioni con il calendario venatorio «possono modificare, per determinate specie, i termini di cui al comma 1 in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali, a condizione della preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico-venatori»; in caso di modifica «[i] termini devono essere comunque contenuti tra il 1° settembre e il 31 gennaio successivo nel rispetto dell’arco temporale massimo indicato al comma 1».
Infine, il comma 4 concerne l’impugnazione del calendario venatorio davanti al giudice amministrativo.
3.3.– Questa Corte si è ripetutamente espressa sulla disciplina del calendario venatorio e sui rapporti tra competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e competenza legislativa regionale in materia di caccia, pervenendo al consolidato indirizzo di seguito sintetizzato.
La materia della caccia rientra, dopo la revisione del Titolo V della Costituzione, mediante la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) nella potestà legislativa residuale delle regioni.
Tuttavia, tale potestà deve esercitarsi nel rispetto dei criteri fissati dalla legge n. 157 del 1992 in quanto considerata espressione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ambiente, avente carattere trasversale.
I predetti criteri si impongono pertanto anche alle regioni a statuto speciale.
Ciò perché la disciplina statale dettata dalla predetta legge delimitante il periodo entro il quale è consentita l’attività venatoria è ascrivibile al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili (ex plurimis, sentenze n. 158 e n. 138 del 2021, n. 40 del 2020, n. 291 e n. 258 del 2019) stabilendo il punto di equilibrio tra il primario obiettivo dell’adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale e l’interesse all’esercizio dell’attività venatoria, con la conseguenza che i livelli di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema fissati dalla predetta normativa statale non sono derogabili in peius dal legislatore regionale (ex plurimis, sentenza n. 16 del 2019).
Come ricordato dal ricorrente, tale ordine di considerazioni si rinviene anche nella sentenza n. 536 del 2002 (punto 6 del Considerato in diritto) che ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2002, che modificava lo stesso art. 49 della legge reg. Sardegna n. 23 del 1998 differendo la chiusura della caccia al 28 febbraio.
3.4.– La disposizione dettata dall’art. 80, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 si pone in netto contrasto con il descritto quadro normativo e giurisprudenziale, poiché disattende le ricordate prescrizioni dettate alle regioni dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992 per l’esercizio della pur prevista facoltà di modificare i termini del periodo venatorio.
Innanzitutto, l’anticipazione è stata disposta per legge e non in sede di calendario venatorio, e dunque non con atto amministrativo, in violazione della «riserva di amministrazione», che, come affermato da questa Corte, «esprime una scelta compiuta dal legislatore statale che attiene alle modalità di protezione della fauna e si ricollega per tale ragione alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (sentenze n. 258 del 2019, n. 193 del 2013 e n. 90 del 2013).
Invero, la possibilità di modificare i termini del periodo venatorio è strettamente correlata alla presenza di oggettive esigenze contingenti che, dunque, possono mutare, mentre la disposizione stabilizza nell’ordinamento regionale l’anticipazione al 1° settembre dell’apertura della caccia alla tortora selvatica, sottraendola alla revisione in sede di predisposizione annuale del calendario venatorio, e quindi anche alla verifica giudiziale.
Infine, non risulta espressamente rispettato nemmeno l’arco temporale massimo dell’esercizio del periodo venatorio tramite la contestuale anticipazione “compensativa” del termine finale di caccia di durata pari a quella del periodo di anticipazione, disposta dal ricordato art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992.
3.5.– Le argomentazioni difensive della resistente non sono idonee a superare le criticità così riscontrate nella disposizione regionale in esame.
La difesa regionale afferma che la disposizione rimanderebbe a quanto previsto dal piano di gestione nazionale adottato per la tortora selvatica, secondo cui l’anticipazione al 1° settembre costituirebbe “prassi” che non contrasta con le esigenze di tutela della specie in esame.
Il riferimento è al punto del piano in cui si afferma che «[a]d oggi la Tortora selvatica viene cacciata in Italia ricorrendo sostanzialmente alla pre-apertura (periodo compreso dal 1° settembre alla terza domenica di settembre, art. 18, comma 2, della Legge 157/92) in quanto la specie non sverna nel nostro Paese e inizia la migrazione post-riproduttiva già nella terza decade di agosto esaurendosi entro la terza decade di settembre».
Tuttavia, la difesa regionale omette di considerare che immediatamente dopo, nello stesso piano (nella cui introduzione la tortora selvatica è qualificata «specie in sfavorevole stato di conservazione») si afferma: «[i]n recepimento di quanto indicato dal Ministero dell’Ambiente con nota n. 14687 del 3 luglio 2018, a partire dalla stagione venatoria 2018-2019 l’ISPRA si è espressa per l’esclusione della preapertura» e che «[i]n seguito alla recente moratoria dell’attività venatoria alla Tortora selvatica indicata dal Ministero della transizione ecologica e trasmessa alle regioni con nota n. 29730 del 22 marzo 2021, nei pareri sui calendari venatori ISPRA ha indicato che debba essere prevista la sospensione del prelievo della specie per la stagione venatoria 2021-2022».
La resistente assume poi che il riferimento nella disposizione impugnata alle previsioni del predetto piano consentirebbe di ritenere rispettato il periodo massimo di cacciabilità della tortora laddove, in ogni caso, il termine finale rimarrebbe collocato nell’ambito della cornice generale prevista dalla norma statale che, comunque, «verrà stabilito – entro i confini temporali suddetti – dal calendario venatorio stagionale».
Senonché la individuazione del termine finale del periodo venatorio è demandata ad atti futuri di contenuto non certo, così come a una mera interpretazione è rimessa l’affermata operatività della disposizione impugnata nell’ambito dell’arco temporale massimo di cacciabilità della tortora, indicato dal comma 1 dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992.
3.6.– Deve essere, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 per lesione dei parametri costituzionali dedotti dal ricorrente.
4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha poi promosso questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni dettate dall’art. 86, comma 1, e dall’art. 87, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023.
Si tratta di disposizioni che concernono lo svolgimento da parte del Corpo forestale e di vigilanza ambientale regionale (d’ora in avanti: CFVAR) di funzioni e compiti specifici e che si inseriscono in modo indiretto (art. 86), ovvero tramite novella (art. 87), nel corpo normativo dettato dalla legge della Regione Sardegna 5 novembre 1985, n. 26 (Istituzione del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione sarda).
5.– Preliminarmente, questa Corte rileva che sono strettamente connesse le censure promosse nei confronti dell’art. 86, comma 1, nella parte in cui prevede che appositi nuclei istituiti all’interno del CFVAR svolgano anche funzioni di «investigazione giudiziaria» sul fenomeno degli incendi boschivi e nelle campagne, e quelle formulate nei confronti dell’art. 87, comma 1, nella parte in cui contempla che il predetto CFVAR svolga, tra le altre, attività di «polizia giudiziaria».
Ad avviso del ricorrente, tali previsioni comporterebbero difatti l’attribuzione al personale del CFVAR secondo le rispettive funzioni, della qualifica di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che è invece riservata in via esclusiva al legislatore statale, come previsto dagli artt. 55 e 57, commi 1 e 2, cod. proc. pen.
Pertanto, poiché la valutazione della fondatezza della predetta tesi costituisce il comune thema decidendum delle questioni relative all’art. 86, comma 1, e alla prima parte dell’art. 87, comma 1, se ne impone un esame unitario.
5.1.– Innanzitutto assume rilievo fondamentale la considerazione che nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano i rispettivi Corpi forestali regionali e provinciali espletano, negli ambiti territoriali di competenza, le funzioni basilari già svolte sul restante territorio nazionale dal Corpo forestale dello Stato (d’ora in avanti, anche: CFS), soppresso dal d.lgs. n. 177 del 2016.
La legge 6 febbraio 2004, n. 36 (Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato) dopo aver stabilito al comma 2 dell’art. 1 (Natura giuridica e compiti istituzionali) che «[i]l Corpo forestale dello Stato svolge attività di polizia giudiziaria e vigila sul rispetto della normativa nazionale e internazionale concernente la salvaguardia delle risorse agroambientali, forestali e paesaggistiche e la tutela del patrimonio naturalistico nazionale, nonché la sicurezza agroalimentare, prevenendo e reprimendo i reati connessi», all’art. 2 elencava nel dettaglio le funzioni del CFS, premettendo che erano «[f]atte salve le attribuzioni delle regioni e degli enti locali».
Il successivo art. 4 (Rapporti con le regioni e con gli enti locali), al comma 10, ribadiva che «[r]estano ferme le competenze attribuite in materia di Corpo forestale alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione».
5.2.– Nella Regione autonoma della Sardegna, l’istituzione del CFVAR è stata disposta con la citata legge regionale n. 26 del 1985, interessata, come si è rilevato, dalle impugnate disposizioni dettate dagli artt. 86, comma 1, e 87, comma 1, della legge regionale n. 9 del 2023.
L’art. 1, secondo comma, della legge reg. Sardegna n. 26 del 1985 stabilisce che «[n]el quadro della programmazione regionale il Corpo provvede, in base alle leggi vigenti, alle seguenti funzioni: tutela tecnica ed economica dei boschi; tutela tecnica ed economica dei beni silvo-pastorali del comune e degli Enti pubblici; tutela dei parchi, riserve, biotopi ed altre aree di particolare interesse naturalistico e paesaggistico individuate con leggi o provvedimenti amministrativi; tutela della flora e della vegetazione; tutela dei pascoli montani; propaganda forestale e ambientale; difesa del suolo dall’erosione; controllo dei semi e delle piantine forestali; quant’altro sia richiesto per la difesa e la tutela delle foreste; ogni altra funzione attribuita con legge o regolamento».
Il terzo comma dello stesso art. 1 dispone poi: «[a]l Corpo sono attribuiti compiti di vigilanza, prevenzione e repressione secondo le leggi vigenti nelle materie indicate al precedente comma e in particolare nelle seguenti materie: caccia; pesca nelle acque interne e marittime; incendi nei boschi e, secondo i programmi regionali annuali di intervento, nelle aree extraurbane; polizia forestale; polizia fluviale e sulle pertinenze idrauliche; beni culturali».
Il successivo quarto comma stabilisce che «[i]l Corpo provvede inoltre alla statistica e all’inventario forestale e può predisporre studi sui problemi di interesse forestale e montano ai fini della difesa del suolo e avanzare proposte di soluzione agli organi competenti».
Quanto alle funzioni svolte dal personale del CFVAR, l’art. 7, primo comma, dispone che esso «esercita le funzioni tecniche e di polizia indicate all’art. 1 e gli altri compiti stabiliti con legge o regolamento, nell’ambito della fascia funzionale di appartenenza, oltre a quelli derivanti dalla qualifica di agente di pubblica sicurezza attribuita a termini del D.P.R. 6 maggio 1972, n. 297».
Tale decreto del Presidente della Repubblica (Norme di attuazione dello statuto speciale della Sardegna in materia di riconoscimento della qualifica di agente di pubblica sicurezza a personale dei servizi forestali) dispone con un articolo unico che «[a]gli impiegati della carriera direttiva del ruolo organico del personale delle foreste ed a quelli del ruolo organico speciale dei sottufficiali e guardie forestali della regione autonoma della Sardegna è riconosciuta, con decreto del rappresentante del Governo nella Regione, la qualifica di agente di pubblica sicurezza. L’anzidetto personale, che abbia conseguito la suindicata qualifica, è autorizzato a portare armi del tipo che verrà stabilito dal rappresentante del Governo, d’intesa con la Giunta regionale».
I successivi artt. 21 e 25 della legge reg. Sardegna n. 26 del 1985 prevedono poi che, conseguentemente, il personale del CFVAR cessa dall’appartenere al corpo medesimo «qualora la competente autorità statale disponga la revoca della qualifica di agente di pubblica sicurezza» (art. 21) ovvero qualora, «entro 2 anni, non abbia avuto attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza da parte della competente autorità statale» (art. 25).
5.3.– Vi è pertanto una sostanziale coincidenza tra le funzioni già svolte a livello nazionale dal CFS e nel territorio sardo dal CFVAR, relative alla vigilanza, alla prevenzione, alla repressione della commissione di reati nei settori specifici presidiati da tali Corpi e il personale del predetto Corpo regionale assume la qualifica di agente di pubblica sicurezza secondo l’ordinamento statale.
Con specifico riferimento al CFVAR, questa Corte rileva, peraltro, che il giudice di legittimità si è espresso per il riconoscimento al relativo personale della qualifica di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, proprio in considerazione della rilevata omologia tra le attività dei corpi regionali e provinciali delle autonomie speciali e quelle del CFS (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 21 dicembre 2011-26 gennaio del 2012, n. 3220 e sezione prima penale, sentenza 19 giugno-7 agosto 2000, n. 4491).
L’intervenuta soppressione del CFS ad opera del d.lgs. n. 177 del 2016 non modifica la riportata ricostruzione poiché è rimasta inalterata la ripartizione delle competenze fra corpi forestali delle autonomie speciali nei rispettivi ambiti territoriali e quelle dell’Arma dei carabinieri, subentrata, a livello nazionale, al soppresso CFS.
5.4.– Questa Corte rileva poi che la disposizione dell’art. 86, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, concernente le specifiche attività svolte dal CFVAR attraverso l’istituzione di nuclei investigativi sul fenomeno degli incendi boschivi, si ricollega per ciò stesso in via sistemica alla generale previsione dettata dal successivo art. 87 relativa ai complessivi compiti svolti dal CFVAR.
In proposito, la difesa statale omette di evidenziare che la stessa disposizione impugnata dell’art. 87 prevede che l’attività di polizia giudiziaria si svolga «ai sensi della vigente normativa nazionale» e, dunque, nel rispetto delle competenze legislative dello Stato.
Sicché, già tale considerazione induce ad escludere che le censurate previsioni possano ledere le dedotte competenze legislative statali.
D’altro canto, diversamente da quanto prospettato nel ricorso, le due previsioni impugnate non utilizzano il termine «attribuire» ma, significativamente, quello «svolgere», che ha evidente diversa accezione.
Per quanto rilevato, deve escludersi che i frammenti delle disposizioni censurate degli artt. 86 e 87 della legge regionale impugnata abbiano il paventato carattere attributivo al personale del CFVAR delle funzioni di polizia giudiziaria, in violazione della competenza legislativa statale dedotta dal ricorrente. Piuttosto, esse svolgono una funzione ricognitiva dei compiti esercitabili dal medesimo CFVAR in base all’assetto ordinamentale vigente, compreso quello statale.
In tale contesto, le complessive disposizioni dettate dall’art. 86 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 in tema di «[i]nvestigazione sulle cause di incendio nei boschi e nelle campagne», operano in funzione dichiaratamente organizzativa, al fine di migliorare l’azione del CFVAR di contrasto al grave fenomeno storico degli incendi in Sardegna.
Invero, si è visto che le attività di vigilanza, di prevenzione e di repressione in materia di incendi boschivi assumono rilievo assolutamente primario nell’ambito delle funzioni attribuite al CFVAR, come attestano non solo la ricordata normativa regionale, ma, altresì, le disposizioni statali in materia di prevenzione e contrasto agli incendi boschivi che coinvolgono le regioni a statuto speciale proprio in funzione delle specifiche competenze statutarie in materia. In tal senso, occorre menzionare l’art. 1, comma 3, della legge 21 novembre 2000, n. 353 (Legge-quadro in materia di incendi boschivi), secondo cui le regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalità contemplate dalla stessa legge secondo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, così come le complessive disposizioni del decreto-legge 8 settembre 2021, n. 120 (Disposizioni per il contrasto degli incendi boschivi e altre misure urgenti di protezione civile), convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2021, n. 155 che prevedono un forte coinvolgimento delle autonomie regionali in relazione alle loro competenze in materia.
5.5.– Conclusivamente, vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dell’art. 86, comma 1, e dell’art. 87, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, nella parte in cui dispone che «[i]l Corpo forestale e di vigilanza ambientale svolge, nell’ambito del territorio regionale, attività di polizia giudiziaria».
6.– È invece fondata nei termini di seguito indicati la questione di legittimità costituzionale dell’art. 87, comma 1, terzo periodo, della stessa legge regionale, nella parte in cui dispone che il CFVAR «[s]volge inoltre, nell’ambito del territorio della Regione le funzioni e i compiti già espletati in campo nazionale dal soppresso Corpo forestale dello Stato».
6.1.– I lavori preparatori non forniscono elementi per individuare la ratio della disposizione, emanata a distanza di ben sette anni dalla soppressione del CFS operata dal menzionato d.lgs. n. 177 del 2016, né eventuali apporti in tal senso sono forniti dalla difesa regionale, rimasta sul punto silente.
Nella sua concisa assertività, la disposizione nemmeno menziona il predetto intervento del legislatore statale e, dunque, non tiene in alcun conto del fatto che esso ripartisce le funzioni già espletate in campo nazionale dal soppresso CFS tra diverse amministrazioni statali.
Ed invero l’art. 7 del citato d.lgs. n. 177 del 2016 dispone l’assorbimento del CFS nell’Arma dei carabinieri e l’attribuzione delle relative funzioni, ad eccezione delle competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e loro spegnimento con mezzi aerei attribuite al Corpo nazionale dei vigili del fuoco ai sensi dell’art. 9, nonché delle specifiche funzioni attribuite alla Polizia di Stato e al Corpo della Guardia di finanza ai sensi dell’art. 10.
Inoltre, il legislatore regionale ha omesso di considerare che, tra i compiti già attribuiti al CFS, ve ne sono taluni, come correttamente rilevato dal ricorrente, che costituiscono espressione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle materie di tutela dell’ambiente e di attuazione di impegni internazionali, quali quelli già previsti dall’art. 2, comma 1, lettera c), della citata legge n. 36 del 2004 e ora attribuiti all’Arma dei carabinieri dall’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 177 del 2016.
Di particolare rilievo è il compito previsto dalla lettera m) del predetto art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 177 del 2016, concernente il «contrasto al commercio illegale nonché controllo del commercio internazionale e della detenzione di esemplari di fauna e di flora minacciati di estinzione, tutelati ai sensi della Convenzione CITES, resa esecutiva con legge 19 dicembre 1975, n. 874, e della relativa normativa nazionale, comunitaria e internazionale ad eccezione di quanto previsto agli articoli 10, comma 1, lettera b) e 11».
Difatti il “servizio CITES”, già incardinato presso il CFS e ora esercitato dall’Arma dei carabinieri, è uno specifico organo posto a tutela delle specie di fauna e flora protette dalla omonima convenzione.
A seguito del d.lgs. n. 177 del 2016, l’Arma dei carabinieri ha istituito il Comando per la tutela della biodiversità e dei parchi che coordina i neoistituiti raggruppamenti Biodiversità, Parchi e CITES, che opera in collegamento sul territorio (allo stato) a numerosi nuclei operativi e distaccamenti.
Inoltre, il Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari, istituito dall’Arma dei carabinieri per esercitare i compiti del soppresso CFS, ha ampliato la propria presenza nelle stesse regioni a statuto speciale con l’istituzione di Centri anticrimine in materia ambientale, di cui uno con sede a Cagliari, che operano assieme ai rispettivi Corpi forestali regionali.
Né potrebbe valorizzarsi la già evidenziata peculiarità dell’assetto delle competenze che deriva dalla pregressa assenza in Sardegna, in quanto Regione a statuto speciale, del CFS e del ruolo assegnato al CFVAR in riferimento alle attività dello stesso servizio CITES. Ciò in riferimento alla previsione della ricordata legge n. 150 del 1992, secondo cui accanto al CFS operano i Corpi forestali delle regioni a statuto speciale e delle Provincie autonome di Trento e di Bolzano, abilitati dalle competenti amministrazioni statali ad effettuare controlli e certificazioni in conformità alla citata convenzione.
Invero, la disposizione regionale impugnata implicherebbe una attribuzione diretta di tali competenze al CFVAR, attraverso una sorta di reviviscenza della normativa concernente le funzioni del disciolto CFS per devolverle integralmente, a livello regionale, al medesimo CFVAR.
Ciò in palese contrasto con le ricordate previsioni del d.lgs. n. 177 del 2016 e, in particolare, con l’art. 18 che ha disposto, in via generale, il subentro dell’Arma dei carabinieri al CFS.
6.2.– La disposizione in esame, prevista dall’art. 87, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, risulta, pertanto, lesiva dei parametri costituzionali evocati dal ricorrente e ne va, conseguentemente, dichiarata la illegittimità costituzionale.