Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso, depositato il 31 luglio 2023 e iscritto al n. 23 del registro ricorsi 2023, la Regione Campania ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, commi 1, 2, 3 e 6, del decreto-legge 30 marzo 2023, n. 34 (Misure urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché in materia di salute e adempimenti fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 26 maggio 2023, n. 56, in riferimento agli artt. 3, 5, 32, 77, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione.
Tali disposizioni sono state impugnate nella parte in cui istituiscono un fondo di euro 1.085.000.000,00 al fine di ripianare il superamento, per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, dei tetti di spesa imposti alle regioni e alle province autonome per l’acquisto dei dispositivi medici (art. 8, comma 1), stabiliscono i criteri di ripartizione (art. 8, comma 2), istituiscono un meccanismo agevolato per le imprese identificate quali fornitrici obbligate a concorrere al ripianamento del superamento del tetto di spesa le quali, in merito ai provvedimenti regionali o provinciali relativi a tale identificazione, non abbiano instaurato controversie o che le abbiano abbandonate (art. 8, comma 3), e favoriscono in tal caso l’accesso di tali aziende al credito (art. 8, comma 6).
Le disposizioni indicate sono impugnate perché escludono del tutto dal fondo la Regione Campania, che invece ritiene di avere diritto di partecipare «sulla base delle quote di accesso al fabbisogno indistinto standard per il servizio sanitario nazionale ai sensi degli articoli 25 e ss. del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68».
Tale disciplina si porrebbe in contrasto, anzitutto, con l’art. 77 Cost., per «evidente carenza della straordinarietà del caso di necessità e di urgenza».
La normativa impugnata, inoltre, determinerebbe una «gravissima violazione dei principi di eguaglianza, buon andamento e imparzialità», tutelati dagli artt. 3 e 97 Cost., in quanto privilegerebbe le sole regioni e province autonome che hanno superato i tetti di spesa per dispositivi medici negli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, con l’attribuzione di risorse che possono essere anche superiori alle necessità di ripianamento della spesa indicata.
Le previsioni in esame sarebbero lesive, altresì, degli artt. 5, 117, terzo e quarto comma, e 120 Cost., in quanto l’istituzione del fondo prescinderebbe da ogni «forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali nella determinazione dei criteri di ripartizione delle risorse disponibili».
La Regione denuncia il contrasto anche con gli artt. 5 e 119 Cost., sul presupposto che la normativa impugnata determini una «grave e ingiustificata compressione delle attribuzioni e della autonomia finanziaria della Regione».
In contrasto con l’art. 118 Cost., la disciplina impugnata lederebbe le prerogative della Regione Campania nella materia della tutela della salute, prerogative «rilevantissime […] anche in ragione dei principi di “sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” sanciti dall’articolo 118 della Costituzione».
Infine, la disciplina dettata dal legislatore pregiudicherebbe anche il diritto alla salute tutelato dall’art. 32 Cost.
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibili e comunque non fondate le questioni promosse dalla Regione Campania.
2.1.– In primo luogo, il ricorso sarebbe inammissibile, in quanto non porrebbe alcuna questione inerente alla lesione delle competenze regionali, che potranno essere comunque esercitate sulla base delle risorse finanziarie disponibili.
2.2.– Le doglianze della parte ricorrente sarebbero comunque manifestamente infondate.
Non si ravviserebbe l’evidente mancanza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza prescritti dall’art. 77 Cost.
Neppure sarebbe stato violato il principio di leale collaborazione, poiché tutti i provvedimenti attuativi del payback in materia di dispositivi medici sarebbero stati condivisi con le regioni.
Il legislatore statale, nel porre a carico del bilancio dello Stato il 52 per cento dell’onere originariamente destinato a gravare sulle aziende, si sarebbe limitato a supportare le imprese, «nulla innovando con riferimento alle risorse spettanti alle regioni».
L’art. 8 del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, pertanto, non avrebbe alcuna attinenza con «le rivendicazioni regionali di una presunta carenza di specifici finanziamenti del Servizio sanitario nazionale». Peraltro, negli anni 2020, 2021 e 2022 sarebbe stata garantita la copertura di tutti i costi sostenuti per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e i tavoli tecnici di monitoraggio della spesa sanitaria delle regioni non avrebbero segnalato criticità di sorta.
3.– In prossimità dell’udienza, la parte ricorrente ha depositato una memoria illustrativa, per contestare le eccezioni di inammissibilità e ribadire gli argomenti a sostegno dell’accoglimento delle questioni promosse.
Il legislatore statale, ad avviso della Regione, avrebbe determinato in modo unilaterale e arbitrario i beneficiari di risorse integrative e avrebbe estromesso la Regione Campania, privandola di risorse indispensabili «all’esercizio di funzioni fondamentali in materie di legislazione concorrente come la tutela della salute e il coordinamento della finanza pubblica».
4. – All’udienza le parti hanno ribadito le conclusioni rassegnate nei rispettivi scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso iscritto al n. 23 reg. ric. 2023, la Regione Campania impugna l’art. 8, commi 1, 2, 3 e 6, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, per contrasto con gli artt. 3, 5, 32, 77, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 Cost., «nella parte in cui ivi si dispone che il fondo istituito ai sensi del comma 1 è ripartito soltanto tra le Regioni che hanno superato il tetto di spesa per l’acquisto di dispositivi medici negli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 anziché tra tutte le Regioni sulla base delle quote di accesso al fabbisogno indistinto standard per il servizio sanitario nazionale ai sensi degli artt. 25 e ss. del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68».
1.1.– Le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Campania riguardano, anzitutto, l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, che istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un fondo con una dotazione «pari a 1.085 milioni di euro per l’anno 2023», al fine di ripianare il superamento, per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, dei tetti di spesa imposti alle regioni e alle province autonome per l’acquisto dei dispositivi medici.
È impugnato anche l’art. 8, comma 2, del citato d.l. n. 34 del 2023, come convertito, che ripartisce il fondo in esame tra ciascuna regione e provincia autonoma «secondo gli importi indicati nella tabella A allegata al presente decreto, determinati in proporzione agli importi complessivamente spettanti alle medesime regioni e province autonome per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, indicati negli allegati A, B, C e D del decreto del Ministro della salute 6 luglio 2022, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 216 del 15 settembre 2022» (art. 8, comma 2, primo periodo). Secondo la previsione in esame, le risorse del fondo possono essere impiegate «per gli equilibri dei servizi sanitari regionali dell’anno 2022» (art. 8, comma 2, secondo periodo).
La Regione Campania dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, che prevede un meccanismo agevolato per le imprese che non abbiano instaurato controversie o che le abbiano abbandonate, in relazione ai provvedimenti regionali e provinciali che identificano le aziende fornitrici obbligate a concorrere al ripianamento del superamento del tetto di spesa.
Le imprese sono ammesse a estinguere il debito mediante il pagamento di un importo ridotto, pari al 48 per cento della quota determinata dal decreto del Ministro della salute 6 luglio 2022 (Certificazione del superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici a livello nazionale e regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018), che ha quantificato il «superamento del tetto e la quota complessiva di ripiano posta a carico delle aziende fornitrici dei dispositivi medici» (art. 1, comma 2).
L’impugnazione della Regione Campania investe, infine, l’art. 8, comma 6, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, che, per «esigenze di liquidità connesse all’assolvimento dell’obbligo di ripiano», consente alle piccole e alle medie imprese di «richiedere finanziamenti a banche, istituzioni finanziarie nazionali e internazionali e ad altri soggetti abilitati all’esercizio del credito in Italia, suscettibili di essere assistiti, previa valutazione del merito di credito, dalla garanzia prestata dal Fondo di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662». Si tratta del Fondo già istituito presso il Mediocredito Centrale spa, finalizzato a garantire una parziale assicurazione ai crediti concessi dalle banche alle piccole e medie imprese.
1.2.– La parte ricorrente denuncia, anzitutto, il contrasto con l’art. 77 Cost., per l’evidente difetto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza. Nessun cenno conterrebbe il preambolo alle ragioni che giustificano il ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza. Le previsioni impugnate, difatti, non presenterebbero alcuna attinenza con la necessità, dichiarata nel preambolo, di introdurre misure finalizzate a fronteggiare la carenza di personale medico presso i servizi di emergenza-urgenza ospedalieri del Servizio sanitario nazionale.
Il legislatore statale, inoltre, in violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), avrebbe individuato in materia unilaterale e arbitraria i beneficiari delle risorse destinate al finanziamento delle funzioni relative alla tutela della salute, senza coinvolgere il sistema delle autonomie territoriali nella relativa ripartizione. Tale coinvolgimento, soprattutto nella definizione dei criteri e delle modalità di riparto, sarebbe stato necessario, in ragione dell’incidenza del finanziamento concesso «su materie di competenza regionale residuale o concorrente».
La ricorrente prospetta anche il contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Le risorse non sarebbero state suddivise in maniera equa, in conformità ai criteri che presiedono al riparto del fondo sanitario nazionale, e sarebbero state trascurate «le reali e contingenti esigenze dei sistemi sanitari interessati». Ne conseguirebbe «un’ingiustificabile e arbitraria disparità di trattamento», che privilegerebbe le regioni e le province autonome che hanno superato i tetti di spesa con un contributo a fondo perduto, in misura che potrebbe risultare eccedente rispetto alla necessità di ripianamento. La Campania, per contro, sarebbe stata del tutto estromessa dalla distribuzione delle risorse.
Le disposizioni impugnate sarebbero lesive, inoltre, del principio di buon andamento (art. 97 Cost.), in quanto impedirebbero ai cittadini campani di «fruire di servizi sanitari più efficienti», finanziati con risorse adeguate alle «ampie funzioni in materia sanitaria della Regione», e pregiudicherebbero «la sana gestione finanziaria».
Sarebbero lese anche le prerogative attinenti alla tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.), particolarmente rilevanti «anche in ragione dei principi di “sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” sanciti dall’articolo 118 della Costituzione».
Le disposizioni impugnate confliggerebbero, altresì, con gli artt. 5 e 119 Cost., in quanto determinerebbero una «grave e ingiustificata compressione delle attribuzioni e della autonomia finanziaria della Regione».
La Regione ravvisa, infine, «una chiara compromissione, sia sul piano formale che sostanziale, dell’effettivo riconoscimento del diritto alla salute» di quanti risiedono in Campania, in antitesi con l’art. 32 Cost.
2.– Occorre esaminare, in primo luogo, le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa statale sul presupposto che il ricorso non alleghi alcuna invasione delle competenze legislative regionali. Si tratterebbe di questioni di carattere eminentemente economico-finanziario, con «riflessi di mero fatto sulle competenze della Regione, che non sono affatto invase, né compresse o limitate».
L’eccezione dev’essere disattesa.
2.1.– Per giurisprudenza costante di questa Corte, sono ammissibili le questioni di legittimità costituzionale che una regione, nell’ambito di un giudizio in via principale, prospetti in riferimento a parametri diversi da quelli che sovrintendono al riparto delle competenze tra lo Stato e le regioni, a condizione che siano chiaramente individuati gli àmbiti di competenza legislativa regionale indirettamente incisi dalla disciplina statale e sia adeguatamente illustrato il vizio di ridondanza (fra le molte, sentenza n. 40 del 2022, punto 2.4. del Considerato in diritto).
2.2.– A tale onere la parte ricorrente ha ottemperato in maniera adeguata.
La Regione indugia, con dovizia di riferimenti, sulle proprie competenze incise dalla normativa statale impugnata e sostiene, in particolare, che sia violata la competenza nelle materie di legislazione concorrente della tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica, coordinamento che si deve intendere non solo come limitazione della spesa, ma anche, in senso finalistico, come orientamento della spesa ad una complessiva efficienza del sistema.
A tale riguardo, la ricorrente, tanto nell’atto di impugnazione quanto nella memoria illustrativa depositata in vista dell’udienza, ha suffragato in maniera adeguata l’asserita compressione delle attribuzioni regionali.
3.– All’esame delle censure giova premettere la ricostruzione del contesto normativo in cui si collocano le previsioni impugnate.
4.– Le disposizioni dettate dal legislatore statale si innestano sulla disciplina del payback dei dispositivi medici, definita nel dettaglio, da ultimo, dall’art. 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti pubblici territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, al fine di garantire il rispetto del tetto di spesa regionale per l’acquisto di dispositivi medici, ponendo a carico delle imprese fornitrici parte dello scostamento registrato.
Le previsioni impugnate danno nuovo impulso a un meccanismo che, dapprima, non era stato compiutamente definito nelle sue modalità operative.
Tale accelerazione delle procedure di ripiano è scandita, in particolare, dall’art. 9-ter, comma 9-bis, del d.l. n. 78 del 2015, come convertito, introdotto dall’art. 18, comma 1, del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115 (Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 settembre 2022, n. 142.
Le tappe dell’attuazione del payback si dipanano attraverso i seguenti passaggi.
Per il solo ripiano dell’eventuale superamento del tetto di spesa regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, regioni e province autonome definiscono con proprio provvedimento «l’elenco delle aziende fornitrici soggette al ripiano per ciascun anno, previa verifica della documentazione contabile anche per il tramite degli enti del servizio sanitario regionale», entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto ministeriale 6 luglio 2022, che certifica il superamento del tetto di spesa regionale.
Il legislatore demanda a un decreto del Ministro della salute, «da adottarsi d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto ministeriale» del 6 luglio 2022, il compito di tracciare «le linee guida propedeutiche alla emanazione dei provvedimenti regionali e provinciali».
A tale compito ha provveduto il decreto del Ministro della salute 6 ottobre 2022, intitolato «Adozione delle linee guida propedeutiche all’emanazione dei provvedimenti regionali e provinciali in tema di ripiano del superamento del tetto dei dispositivi medici per gli anni 2015, 2016, 2017, 2018».
5.– Prioritario, in ordine logico, è l’esame della censura incentrata sulla violazione dell’art. 77 Cost., che investe il corretto esercizio della funzione normativa primaria.
La questione non è fondata.
5.1.– La scelta del Governo di intervenire con decreto-legge può essere sindacata da questa Corte nelle ipotesi di evidente mancanza dei presupposti tipizzati dall’art. 77 Cost. e di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione (fra le molte, sentenza n. 200 del 2023, punto 7.1. del Considerato in diritto).
5.2.– Tali ipotesi esulano dal caso di specie.
La normativa impugnata si inserisce armonicamente nel Capo II del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, denominato «Disposizioni in materia di salute» e contraddistinto, in tutte le disposizioni che vi sono confluite, da una matrice razionalmente unitaria.
L’indifferibile necessità di garantire l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, dichiarata nel preambolo, accomuna anche la disciplina del fondo, che mitiga le criticità di una normativa destinata a interferire, anche per la sua incidenza su un aggregato di primaria importanza della spesa, sul buon andamento del servizio sanitario globalmente inteso.
Risulta soddisfatto, dunque, il requisito dell’omogeneità, che dev’essere valutato in modo organico e complessivo, alla luce di tutti gli indici, esterni e interni.
Anche dai lavori preparatori emergono nitide le giustificazioni del ricorso alla decretazione d’urgenza, in una materia contrassegnata da un’evoluzione normativa incessante e dal considerevole impatto sulla funzionalità del Servizio sanitario nazionale.
Il disegno di legge governativo (Atto Camera n. 1060), in particolare, indica, nella relazione illustrativa che l’accompagna, l’obiettivo di «porre rimedio in via definitiva alle criticità e difficoltà connesse al vigente quadro normativo relativo al ripiano del superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici», mediante un intervento volto a «sostenere il bilancio delle singole regioni attraverso l’istituzione di un fondo, per l’anno 2023, che verrà poi ripartito per ogni regione».
Né, in senso contrario, si può invocare la circostanza che i termini per gli adempimenti siano stati di volta in volta prorogati. Tale proroga, lungi dal confutare la straordinaria necessità ed urgenza, conferma le implicazioni problematiche di una materia quanto mai dibattuta, che ha richiesto l’adozione di molteplici correttivi, allo scopo di completare il percorso di attuazione, avviato con i decreti ministeriali del 6 luglio 2022 e del 6 ottobre 2022, e di arginare il cospicuo contenzioso insorto.
Gli elementi desumibili dal testo normativo, dai lavori preparatori, dalla stessa disamina del complessivo contesto di riferimento convergono nell’escludere l’evidente carenza dei presupposti indicati dalla Costituzione.
6.– Non sono fondate le questioni promosse in riferimento agli artt. 5 e 120 Cost., sul presupposto dell’unilaterale determinazione delle risorse assegnate, in antitesi con il principio della leale collaborazione che deve permeare i rapporti tra Stato e regioni.
6.1.– Si deve rilevare, in primo luogo, che «il principio di leale collaborazione non si impone, di norma, al procedimento legislativo, salvo per il caso di legislazione delegata ove ricorra uno stretto intreccio fra materie e competenze (tra le tante, sentenze n. 169 del 2020, n. 44 del 2018, n. 237 e n. 192 del 2017, nonché n. 251 del 2016). Il rilievo, sul piano della legittimità costituzionale, della consultazione con le regioni è escluso a maggior ragione nel caso del decreto-legge, la cui adozione è condizionata dal secondo comma dell’art. 77 Cost. soltanto al presupposto dei casi straordinari di necessità e urgenza (sentenze n. 194 del 2019, n. 137 e n. 17 del 2018)» (sentenza n. 6 del 2023, punto 6.2.4. del Considerato in diritto).
6.2.– Inoltre, il fondo, ancorato a esigenze perequative e destinato a sovvenire a finalità straordinarie di contenimento della spesa regionale, si atteggia come una misura di sostegno rivolta in via principale alla platea delle aziende fornitrici di dispositivi medici e si iscrive in un contesto che ne avvalora il carattere emergenziale, ribadito anche nel rapporto della Corte dei conti (sezioni riunite in sede di controllo) sul coordinamento della finanza pubblica per l’anno 2023.
Né tale misura comprime l’autonomia delle regioni e delle province autonome, legittimate a valersi delle risorse assegnate nella maniera che reputano più appropriata, al fine di garantire gli equilibri dei servizi sanitari regionali nell’anno 2022.
6.3.– Peraltro, la gestione del payback dei dispositivi medici, in tutte le fasi che l’hanno caratterizzata, ha visto una capillare condivisione delle scelte statali con le regioni e le province autonome.
Il d.m. 6 luglio 2022, che certifica il superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici, è l’approdo dell’accordo tra Governo, regioni e province autonome, raggiunto il 7 novembre 2019 (Accordo, ai sensi dell’articolo 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulla proposta del Ministero della salute di individuazione dei criteri di definizione del tetto di spesa regionale per l’acquisto di dispositivi medici e di modalità di ripiano per gli anni 2015 - 2016 - 2017 e 2018).
Il d.m. 6 ottobre 2022, che detta le linee guida propedeutiche ai provvedimenti regionali e provinciali in tema di ripiano del superamento del tetto dei dispositivi medici, è stato adottato dopo l’acquisizione dell’intesa in Conferenza delle regioni e province autonome il 14 settembre 2022 e dopo l’acquisizione dell’intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome nella seduta del 28 settembre 2022.
Una volta che il legislatore statale, in via d’urgenza, ha scelto di istituire un fondo per sopperire a necessità improcrastinabili di ripianamento, la suddivisione delle risorse non può che essere parametrata agli scostamenti già accertati nel corso della costante interlocuzione con le regioni e le province autonome.
6.4.– Infine, la ricorrente evoca il mancato coinvolgimento nella suddivisione delle risorse non tanto nei suoi aspetti procedurali, quanto piuttosto per puntellare, sul versante sostanziale, le censure sul criterio di riparto individuato e sull’esclusione della Campania.
È su questo profilo, punto nodale dell’impugnazione, che occorre adesso svolgere lo scrutinio che il ricorso sollecita.
7.– Non possono essere accolte le censure che denunciano la lesione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (art. 118 Cost.) e, per altro verso, il vulnus alle sfere di competenza legislativa regionale (art. 117, terzo e quarto comma, Cost.), con peculiare riguardo alla tutela della salute e al coordinamento della finanza pubblica.
Identica sorte seguono i motivi d’impugnazione strettamente connessi, che attengono alla violazione degli artt. 32 e 97 Cost.
7.1.– Nello scrutinio demandato a questa Corte, rivestono rilievo decisivo le finalità che l’istituzione del fondo persegue.
Come ha evidenziato anche la Corte dei conti, nel menzionato rapporto sul coordinamento della finanza pubblica per l’anno 2023, il fondo istituito dal d.l. n. 34 del 2023, come convertito, attua «un alleggerimento dell’onere di ripiano posto a carico delle aziende» e introduce una misura a carattere emergenziale, in un quadro che registra un considerevole e crescente impatto della spesa dei dispositivi medici sul livello complessivo della spesa sanitaria.
Il citato rapporto documenta che gli scostamenti dai limiti di spesa tendono a presentare carattere strutturale, anche negli anni successivi al 2018, e impongono misure organiche.
Nell’immediato, tuttavia, in attesa di una ridefinizione di più ampia portata della disciplina, che lo stesso legislatore prefigura (art. 3-bis, comma 1, del decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51, recante «Disposizioni urgenti in materia di amministrazione di enti pubblici, di termini legislativi e di iniziative di solidarietà sociale», inserito dalla legge di conversione 3 luglio 2023, n. 87), si profila la necessità ineludibile di «garantire le entrate regionali e fornire parziale copertura degli oneri a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici». In questa prospettiva, il rapporto preconizza come verosimile un nuovo stanziamento di risorse, secondo le modalità già individuate con l’istituzione del fondo oggi all’esame di questa Corte.
7.2.– È proprio la ratio del contributo che dà conto dei criteri di riparto prescelti dal legislatore statale ed esclude il paventato contrasto con i parametri costituzionali richiamati.
L’istituzione del fondo rinviene la sua origine nel superamento del tetto di spesa per i dispositivi medici e, pertanto, il criterio di riparto non può che rispecchiare la misura di tale scostamento.
Ne discende che un fondo, deputato a soddisfare esigenze specifiche di ripianamento e legato a una contingenza peculiare, non potrebbe essere attribuito secondo i criteri di carattere generale invocati dalla parte ricorrente, commisurati alle quote di accesso al fabbisogno indistinto standard.
La regione Campania non ha superato il tetto di spesa per i dispositivi medici e, pertanto, non ha fondamento la pretesa di aver parte a un fondo istituito al solo scopo di fronteggiare il superamento dei limiti prescritti, a tale riguardo, dal legislatore statale.
7.3.– Così inquadrata la genesi della misura in esame, si rivelano non fondate tutte le doglianze della ricorrente, nella stessa premessa argomentativa che vale a sorreggerle.
La non fondatezza si coglie anche nelle implicazioni che la parte ricorrente trae dalla premessa, con riferimento ai singoli parametri evocati.
7.3.1.– L’istituzione del fondo non pregiudica le prerogative regionali nell’àmbito della tutela della salute o del coordinamento della finanza pubblica e neppure determina, di riflesso, quella compressione del diritto inviolabile della salute o il vulnus al buon andamento dell’amministrazione che la ricorrente paventa (artt. 32 e 97 Cost.), come corollario della violazione della propria sfera di competenze.
7.3.2.– Si deve escludere la violazione dell’art. 118 Cost., alla stregua delle peculiarità dell’intervento attuato dal legislatore statale. Nel caso di specie, non si configura un’ipotesi di allocazione a livello statale di funzioni regionali o di altri enti territoriali, ma un intervento diretto dello Stato, a livello legislativo. Il richiamo all’art. 118 Cost., svolto al solo fine di suffragare la lesione delle attribuzioni regionali, non si dimostra, dunque, pertinente.
7.3.3.– Dev’essere dichiarata non fondata anche la questione promossa in riferimento all’art. 119 Cost., per quel che attiene alle disposizioni dell’art. 8, commi 1, 2 e 6, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito.
Non si può rinvenire alcuna correlazione tra il fondo, giustificato da una precisa finalità, e l’asserita impossibilità di svolgere le funzioni nel settore sanitario, per effetto dei maggiori oneri affrontati in concomitanza con l’emergenza pandemica. Come ha argomentato la difesa statale, tali aspetti sono stati affrontati nelle appropriate e distinte sedi di confronto tra lo Stato e le autonomie territoriali.
L’impugnazione, peraltro, non corrobora con argomenti decisivi l’insufficienza dei mezzi finanziari per l’adempimento dei compiti di spettanza della regione e la conseguente lesione dell’autonomia finanziaria regionale.
7.3.4.– Le medesime considerazioni conducono a respingere i motivi di impugnazione che la Regione formula in riferimento all’art. 3 Cost., con esclusivo riguardo all’istituzione del fondo e alle già richiamate disposizioni dell’art. 8, commi 1, 2 e 6, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito.
La ragione giustificatrice del fondo si apprezza in maniera inequivocabile nei lavori preparatori e nell’esame dello stesso quadro normativo in cui la misura censurata si colloca. L’obiettivo di rendere più sostenibili gli oneri delle imprese fornitrici di dispositivi medici e di sovvenire alle necessità del ripianamento, cui le regioni e le province autonome sono chiamate a far fronte, vale a conferire all’intervento del legislatore una causa normativa adeguata, che non presta il fianco alle censure della ricorrente.
8.– Diverso è il discorso che si deve svolgere con riferimento alla concreta modulazione del fondo e, in particolare, all’art. 8, comma 3, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, che di tale modulazione rappresenta l’essenziale presupposto.
Le questioni promosse dalla regione sono fondate, in riferimento agli artt. 119 e 3 Cost., nei termini di seguito precisati.
8.1.– Al fine di ridurre il contenzioso, il legislatore statale ha scelto di alleviare gli oneri delle imprese che imboccano la strada della definizione bonaria e, quindi, si è fatto carico della quota che i fornitori di dispositivi medici non dovranno più versare, in virtù di una disciplina di agevolazione.
Le risorse stanziate nel fondo corrispondono alla quota che cessa di gravare sulle imprese, quando scelgano una definizione conciliativa delle controversie o rinuncino ad avviarle. La dotazione del fondo è determinata sul presupposto che tutte le imprese desistano dal contenzioso. Ne deriva che le somme stanziate a favore di regioni e province autonome coprono importi che le imprese non dovranno più versare.
8.2.– Poste tali premesse, la ricorrente osserva che, in questo modo, regioni e province autonome «potranno ottenere risorse anche superiori al ripiano di tale tetto di spesa, in quanto avranno diritto all’intera frazione di ripiano da parte delle aziende, ove queste non aderiscano alla definizione agevolata introdotta dalla norma».
Poiché è imprevedibile il numero delle aziende fornitrici di dispositivi medici che sceglieranno di addivenire a una definizione agevolata, le regioni si gioveranno «in maniera del tutto aleatoria» delle somme stanziate e potranno anche lucrare un quid pluris.
Nella memoria illustrativa, la ricorrente pone in risalto l’insussistenza di una ragionevole connessione «tra le effettive sorti del contenzioso attivato dalle aziende fornitrici e il riconoscimento delle risorse pubbliche aggiuntive stanziate con le impugnate disposizioni».
Nessuna stima, difatti, è stata elaborata in ordine alla «platea di imprese che, rinunciando al contenzioso, saranno tenute a una corresponsione ridotta della quota di ripiano posta a loro carico». Su tali profili si diffonde la memoria illustrativa della ricorrente, che adombra il rischio di un «cumulo di risorse», suscettibile di rendere il contributo statale «slegato da ogni legittimo presupposto giuridico e/o causale».
8.3.– I rilievi della regione colgono nel segno, nei limiti che ora saranno precisati.
È significativo, anzitutto, che la ricorrente abbia esteso l’impugnazione anche all’art. 8, comma 3, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito.
Le risorse stanziate per il fondo sono state determinate proprio in base al meccanismo che la disposizione impugnata tratteggia. Tra l’istituzione del fondo, nella conformazione che la ricorrente censura, e tale meccanismo di agevolazione intercorre, dunque, un nesso inscindibile: dalla scelta di alleviare gli oneri delle imprese trae origine anche il fondo, con la dotazione che gli è stata concretamente assegnata.
Tuttavia, nel congegno che la disciplina impugnata modella, si può scorgere un’intrinseca antinomia tra i criteri selettivi dello sgravio accordato alle imprese e l’assegnazione delle risorse alle regioni e alle province autonome, per far fronte agli oneri sopravvenuti in conseguenza del beneficio concesso alle imprese.
Tale antinomia trascende il rango dei meri inconvenienti di fatto, in quanto è insita nello stesso assetto che il legislatore, in via generale e astratta, ha delineato.
Delle risorse assegnate dallo Stato le regioni e le province autonome si giovano anche quando le aziende fornitrici non abbiano aderito alla definizione agevolata e restino, quindi, tenute al versamento degli interi importi dovuti alle stesse regioni e province autonome. Dalla circostanza, accidentale e imprevedibile, della rinuncia al contenzioso consegue il concreto ammontare delle entrate.
La combinazione tra uno sgravio per le imprese modulato in termini restrittivi e uno stanziamento di risorse concepito in modo indifferenziato conduce a riconoscere, alle regioni e alle province autonome che abbiano superato il tetto di spesa, risorse superiori all’importo necessario a ripianarlo.
8.4.– L’incongruenza riscontrata si riverbera anche su un equilibrato e armonico assetto delle relazioni finanziarie tra lo Stato e le regioni, presidiato dall’art. 119 Cost. La lesione dei criteri che presiedono a tale assetto radica l’interesse della regione a ricorrere contro le disposizioni statali, idonee a vanificare le esigenze di distribuzione trasparente e razionale delle limitate risorse disponibili negli ambiti in cui si esplica l’autonomia garantita dalla Costituzione.
8.5.– Occorre, dunque, ripristinare il rapporto di necessaria correlazione tra le risorse, già stanziate dal legislatore statale al fine precipuo di alleviare gli oneri delle imprese, e la finalità di rendere sostenibile, per le regioni, l’obiettivo di ripianare la spesa concernente i dispositivi medici.
Il punto di equilibrio tra gli interessi contrapposti si rinviene nel riconoscimento a tutte le imprese della riduzione dell’importo dovuto, a prescindere dalla scelta di abbandonare il contenzioso.
In tal modo, si pone rimedio alla irragionevolezza della disposizione impugnata e al rischio dell’assegnazione di somme ingiustificate alle regioni che hanno travalicato i tetti di spesa imposti dal legislatore statale.
Le somme del fondo sono così interamente destinate alle aziende fornitrici di dispositivi medici, per alleviare gli oneri derivanti dal meccanismo del payback.
9.– In conclusione, si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito, nella parte in cui non estende a tutte le aziende fornitrici di dispositivi medici la riduzione al 48 per cento della quota determinata dai provvedimenti regionali e provinciali di cui all’art. 9-ter, comma 9-bis, del d.l. n. 78 del 2015, come convertito.
In forza della declaratoria di illegittimità costituzionale, tale riduzione è dunque riconosciuta in termini generali e non è subordinata alla scelta della definizione bonaria del contenzioso e alla presentazione di apposita istanza di avvalersi di tale modalità agevolata, con conseguente caducazione delle procedure e dei termini individuati dal medesimo art. 8, comma 3, del d.l. n. 34 del 2023, come convertito.