Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 10 novembre 2023, il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), «interpretat[o] nel senso che competente a disporre la revoca della sanzione sostitutiva dell’espulsione sia il giudice dell’esecuzione, anziché il giudice che accerti il reato» di reingresso illegittimo nel territorio dello Stato di cui all’art. 13, comma 13-bis, del medesimo decreto legislativo, pur quando questo reato non sia ancora stato accertato con sentenza definitiva, per violazione degli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione.
1.1.– Il rimettente espone di dover provvedere, quale giudice dell’esecuzione, su un’istanza del 25 novembre 2021, presentata dal pubblico ministero, di revoca della sanzione sostitutiva dell’espulsione disposta nei confronti di M. R.
Quest’ultimo era stato condannato con sentenza del 25 luglio 2019, divenuta irrevocabile il 9 dicembre 2019, alla pena di due anni di reclusione e ad una multa per i delitti di furto aggravato e furto in abitazione aggravato. La pena detentiva era stata contestualmente sostituita, ai sensi dell’art. 16, comma 1, t.u. immigrazione, con l’espulsione del condannato dal territorio dello Stato, eseguita il 1° agosto 2019 mediante accompagnamento alla frontiera. Il 24 novembre 2021, a distanza di poco più di due anni dall’espulsione, M. R. veniva tuttavia sorpreso dalle forze dell’ordine nella Provincia di Trieste con un documento recante diverse generalità. Identificato tramite le impronte dattiloscopiche, egli veniva quindi denunciato per il delitto di illecito reingresso nel territorio dello Stato.
Il 25 novembre 2021 il pubblico ministero presso il Tribunale di Firenze aveva quindi chiesto al medesimo tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, di revocare la sanzione sostitutiva dell’espulsione disposta con la sentenza di condanna del 25 luglio 2019.
Con provvedimento pronunciato in pari data, il Tribunale di Firenze aveva tuttavia trasmesso gli atti al Tribunale ordinario di Trieste, nel cui circondario era stato rintracciato M. R., sulla base del principio, già affermato dalla Corte di cassazione, secondo il quale la competenza spetta in questi casi al giudice del merito dinanzi al quale si deve accertare il reato previsto dall’art. 13, comma 13-bis, t.u. immigrazione (è citata Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 21 dicembre 2004-21 febbraio 2005, n. 6451).
L’8 giugno 2022 il Tribunale di Trieste, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva sollevato conflitto negativo di competenza, ritenendo che competente a provvedere sull’istanza di revoca della sanzione sostitutiva fosse, invece, proprio il Tribunale di Firenze.
Con sentenza del 2 dicembre 2022-18 maggio 2023, n. 21351, la prima sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato la competenza del Tribunale di Firenze quale giudice dell’esecuzione, ritenendo che la revoca della sanzione sostitutiva sia questione attinente al titolo e alla sua esecuzione e osservando come in questi termini si fosse già espressa «la preferibile giurisprudenza» (e, in particolare, Corte di cassazione, sezione prima, sentenza 1° luglio-23 agosto 2004, n. 34703).
Riassunto il giudizio, il rimettente dubita tuttavia della legittimità costituzionale della disposizione censurata nell’interpretazione adottata dalla stessa Corte di cassazione in sede di risoluzione del conflitto di competenza.
1.2.– In ordine alla rilevanza delle questioni prospettate, il giudice a quo sottolinea anzitutto il proprio dovere di conformarsi alla statuizione della Corte di cassazione nella sentenza che ha deciso il conflitto negativo di competenza, evidenziando come, ai sensi dell’art. 25 del codice di procedura penale, la competenza in tal modo attribuita di regola non possa essere nuovamente messa in discussione.
Tuttavia, il rimettente rammenta che la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che il giudice del rinvio è abilitato a sollevare questioni di legittimità costituzionale concernenti l’interpretazione della norma, quale risultante dal principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione nella pronuncia di annullamento con rinvio (è citata la sentenza n. 293 del 2013). A conclusioni analoghe dovrebbe pervenirsi anche nel caso di decisione del conflitto di competenza, poiché «[a]nche in questa ipotesi la norma della cui legittimità si dubita deve ricevere ancora applicazione nell’ambito del giudizio di rinvio (la valutazione circa la propria competenza è preliminare rispetto al vaglio del merito)», e poiché «anche in questa ipotesi il giudice individuato come competente dalla Corte di Cassazione ha nella questione di legittimità costituzionale l’unica possibilità di contestare la regola di diritto (in questo caso in tema di competenza), cui diversamente dovrebbe conformarsi».
Per analoghi motivi, non sarebbe dirimente la circostanza se la regola di diritto affermata dalla Corte di cassazione nel decidere il conflitto di competenza assurga o meno al rango di diritto vivente. Ad ogni modo, la giurisprudenza ormai consolidata individuerebbe nel giudice dell’esecuzione l’autorità competente a disporre la revoca della sostituzione della pena detentiva con l’espulsione (sono citate Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze n. 21351 del 2023; 11 marzo-7 aprile 2021, n. 13051; 29 marzo-17 maggio 2006, n. 16976; 22-30 settembre 2004, n. 38653; n. 34703 del 2004), mentre un solo precedente, ormai risalente, affermerebbe la competenza del «Giudice del merito dinanzi al quale si dibatte la sussistenza o meno del reato» di illecito reingresso, senza peraltro escludere una possibile concorrente competenza del giudice dell’esecuzione (Cass., n. 6451 del 2005).
Sempre in punto di rilevanza, non assumerebbe alcun rilievo il fatto che la sentenza che ha disposto la sostituzione della pena detentiva nel caso di specie non ha indicato la durata del divieto di rientro nel territorio nazionale. Sebbene la recente giurisprudenza di legittimità consideri annullabile la sentenza che non abbia espressamente provveduto in tal senso (sono citate Corte di cassazione, sezione seconda penale, 31 gennaio-28 aprile 2023, n. 17946; sezione prima penale, 25 gennaio-1° febbraio 2012, n. 4317), nel caso concreto la sentenza – non impugnata a suo tempo – sarebbe ormai irrevocabile, sicché la durata del divieto non potrebbe che essere individuata nella durata minima di cinque anni, mentre l’illecito reingresso di cui è causa sarebbe avvenuto poco più di due anni dopo l’espulsione.
In ogni caso, le questioni di legittimità costituzionale proposte riguarderebbero esclusivamente il profilo della competenza, «la cui valutazione è preliminare rispetto alla verifica della violazione del divieto».
1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente osserva che «l’accertamento del reingresso e della relativa illiceità non è necessariamente semplice e potrebbe anzi essere controverso». Il condannato potrebbe, ad esempio, essere stato identificato tramite un filmato o un riconoscimento; ovvero l’illiceità del reingresso potrebbe essere esclusa dall’avvenuto acquisto, medio tempore, della cittadinanza di uno Stato dell’Unione europea.
Il delitto dovrebbe, dunque, essere accertato con una sentenza di condanna definitiva, sulla cui base soltanto potrebbe disporsi la revoca della sanzione sostitutiva. In difetto, la revoca si configurerebbe come una violazione della presunzione di non colpevolezza.
Qualora invece si ritenesse che il giudice dell’esecuzione possa accertare autonomamente il fatto dell’illecito reingresso, «tale soluzione» sarebbe «irragionevole e, per certi versi, non adeguatamente rispettosa del diritto di difesa» di cui all’art. 24, secondo comma, Cost.
Anzitutto parrebbe privo di senso che si svolgano due distinti procedimenti aventi ad oggetto l’accertamento del medesimo fatto, anche con il rischio di esiti contrapposti. L’irragionevolezza della disciplina sarebbe tanto più evidente ove si consideri che il reato di reingresso illegale prevede l’arresto obbligatorio, anche fuori dai casi di flagranza, e il ricorso al rito direttissimo, ciò che consente di giungere celermente ad un accertamento definitivo.
Inoltre, il procedimento di esecuzione sarebbe «contrassegnato da una minore oralità», e potrebbe svolgersi anche in assenza dell’interessato – situazione tutt’altro che eccezionale nel contesto in esame. L’ordinanza del giudice dell’esecuzione – a differenza della sentenza del giudice della cognizione – non sarebbe poi rivalutabile nel merito in grado di appello, essendo soggetta unicamente al controllo di legittimità.
Infine, in via generale l’ordinamento richiederebbe che il reato alla base di provvedimenti del giudice dell’esecuzione sfavorevoli per l’interessato sia oggetto di un previo accertamento definitivo. Ciò accadrebbe, in particolare:
– in sede di revoca della sospensione condizionale della pena ai sensi degli artt. 168, primo e terzo comma, del codice penale e 674 cod. proc. pen.;
– nell’ipotesi, regolata dall’art. 167 cod. pen., in cui un nuovo reato costituisca causa ostativa all’estinzione del reato per il quale sia stata concessa la sospensione condizionale della pena (sono citate Corte di cassazione, sezione quinta penale, 22 novembre 2019-9 aprile 2020, n. 11759 e l’ordinanza n. 210 del 2020 di questa Corte);
– nelle parallele ipotesi, disciplinate rispettivamente dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen. e dall’art. 460, comma 5, cod. proc. pen., in cui la commissione di un delitto nel termine di cinque anni precluda l’estinzione del reato per il quale sia intervenuta sentenza di patteggiamento (è citata Corte di cassazione, sezione prima penale, 27 maggio-22 luglio 2021, n. 28616) ovvero del reato per il quale sia stato pronunciato decreto penale di condanna (è citata Corte di cassazione, sezione prima penale, 28 marzo-23 aprile 2019, n. 17411);
– nell’ipotesi di revoca dell’indulto conseguente a condanna successiva per delitto non colposo ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 31 luglio 2006, n. 241 (Concessione di indulto) (è citata Corte di cassazione, sezione prima penale, 19 maggio-3 giugno 2010, n. 20907);
– nell’ipotesi, disciplinata dal vecchio testo dell’art. 72 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), di revoca da parte del magistrato di sorveglianza della sanzione sostitutiva a seguito di una condanna penale (è citata Corte di cassazione, sezione prima penale, 26 novembre 2015-8 gennaio 2016, n. 513).
1.4.– Quanto al petitum, il rimettente evidenzia come non intenda «invocare una pronuncia manipolativa che – in ordine alla revoca della sanzione sostitutiva – escluda del tutto la competenza del giudice dell’esecuzione, bensì una pronuncia che escluda detta competenza fin tanto che non sia divenuta irrevocabile l’eventuale condanna per il reato» di illecito reingresso, in omaggio al principio della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, secondo comma, Cost.; così che il giudice dell’esecuzione possa intervenire «ove – per dimenticanza o per qualunque altro motivo – il giudice del processo di merito […] nel pronunciare sentenza di condanna non provvedesse alla revoca della sanzione sostitutiva».
1.5.– Infine, il rimettente esclude la possibilità di una interpretazione conforme della norma sottesa alla decisione della Corte di cassazione che ha risolto il conflitto di competenza nel caso in esame e, in particolare, la possibilità di ricavare da essa l’obbligo per il giudice dell’esecuzione – individuato quale giudice competente – di attendere il passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza di condanna per il reato di illecito reingresso prima di pronunciarsi sulla richiesta di revoca della sanzione sostitutiva. Una tale soluzione risulterebbe – ad avviso del rimettente – illogica, anche perché la revoca ben potrebbe essere pronunciata dallo stesso giudice di cognizione chiamato a giudicare del delitto di illecito reingresso.
Il silenzio della Corte di cassazione sul punto dovrebbe invece essere interpretato come indicativo della necessità che il giudice dell’esecuzione decida subito sulla revoca, senza attendere l’esito del giudizio sul delitto di illecito reingresso; soluzione, questa, che tuttavia il rimettente reputa contrastare con la Costituzione, per le ragioni sin qui rammentate.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o, comunque, manifestamente infondate.
2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, in primo luogo, il difetto di rilevanza delle questioni.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, dopo la risoluzione di un conflitto di competenza da parte della Corte di cassazione il giudice designato non può rimettere in discussione la competenza attribuitagli, sicché nessuna influenza potrebbe avere, nel caso concreto, una eventuale decisione di questa Corte sulla legittimità costituzionale del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nella decisione sul conflitto (sono citate le sentenze di questa Corte n. 95 del 2020, n. 1 del 2015 e n. 294 del 1995).
2.2.– In secondo luogo, il petitum dell’ordinanza sarebbe ambiguo, dal momento che le censure sembrerebbero riferirsi «non direttamente al profilo della competenza a pronunciarsi sulla revoca della sanzione sostitutiva», ma «ai ritenuti limiti dell’accertamento del reato».
2.3.– Infine, il giudice a quo non avrebbe sperimentato la possibilità di interpretazione conforme a Costituzione della norma censurata, non avendo indicato le ragioni per le quali andrebbe esclusa l’interpretazione «nel senso che al giudice dell’esecuzione, onde evitare potenziali giudizi difformi sul medesimo fatto storico (il reingresso illegale dello straniero in Italia), spetti attendere l’esito del giudizio di cognizione sulla commissione del reato ex art. 13, comma 13-bis, prima di pronunciarsi sulla istanza di revoca dell’espulsione».
2.4.– Nel merito, le questioni sarebbero comunque manifestamente infondate.
Quanto alle prospettate violazioni degli artt. 3 e 27, secondo comma, Cost., la dedotta irragionevolezza della disciplina potrebbe essere agevolmente superata laddove il giudice dell’esecuzione attenda la pronuncia del giudice della cognizione.
In relazione, infine, all’art. 24, secondo comma, Cost., non sarebbe possibile equiparare «due fattispecie disomogenee tra loro, quali il giudizio di cognizione e quello di esecuzione»; e comunque anche quest’ultimo giudizio sarebbe luogo idoneo per un accertamento dei fatti, «anche in assenza dell’imputato e sulla scorta della pronuncia già adottata dal giudice del merito».
In conclusione, a parere dell’Avvocatura tutti i dubbi di costituzionalità ben potrebbero essere superati da un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione, secondo la quale il giudice dell’esecuzione deve attendere «il passaggio in giudicato della sentenza di condanna emessa dal giudice della cognizione», prima di disporre la revoca della sanzione sostitutiva.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, t.u. immigrazione, «interpretat[o] nel senso che competente a disporre la revoca della sanzione sostitutiva dell’espulsione sia il giudice dell’esecuzione, anziché il giudice che accerti il reato» di reingresso illegittimo nel territorio dello Stato di cui all’art. 13, comma 13-bis, del medesimo testo unico, pur quando questo reato non sia ancora stato accertato con sentenza definitiva, per violazione degli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, secondo comma, Cost.
Il rimettente deve pronunciarsi, in qualità di giudice dell’esecuzione, sull’istanza di revoca della sanzione sostitutiva dell’espulsione, a suo tempo disposta, ai sensi dell’art. 16, comma 1, t.u. immigrazione, nei confronti di uno straniero condannato per delitti contro il patrimonio, e sorpreso nel territorio nazionale poco più di due anni dopo l’esecuzione dell’espulsione.
La disposizione censurata prevede che «[s]e lo straniero espulso […] rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall’articolo 13, comma 14, la sanzione sostitutiva è revocata dal giudice competente».
Poiché il divieto di reingresso discendente dalla sanzione sostitutiva aveva – secondo la non implausibile valutazione del rimettente, non contestata dall’Avvocatura generale dello Stato – durata quinquennale, la sanzione sostitutiva a suo tempo applicata in luogo della pena detentiva dovrebbe ora essere revocata.
Il rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale dell’interpretazione di tale disposizione fornita dalla Corte di cassazione in sede di decisione del conflitto di competenza sollevato dal Tribunale di Trieste, nel cui circondario è stata accertata la presenza dell’interessato nel territorio nazionale, e al quale il Tribunale di Firenze aveva a sua volta trasmesso gli atti affinché provvedesse sull’istanza di revoca della sanzione sostitutiva in oggetto.
Secondo il giudice a quo, la Corte di cassazione avrebbe deciso il conflitto ricavando dalla disposizione di cui all’art. 16, comma 4, t.u. immigrazione una duplice norma:
a) il «giudice competente» cui allude il censurato art. 16, comma 4, t.u. immigrazione è il giudice dell’esecuzione, e non il giudice al quale è attribuita la competenza a conoscere del delitto di illecito reingresso;
b) il giudice dell’esecuzione deve pronunciarsi sull’istanza di revoca della sanzione sostitutiva senza attendere l’accertamento definitivo sul delitto di illecito reingresso, e può accoglierla indipendentemente da tale accertamento.
Tale soluzione interpretativa sarebbe, secondo il rimettente, intrinsecamente irragionevole, nonché lesiva del diritto di difesa e della presunzione di innocenza.
2.– In punto di ammissibilità delle questioni prospettate, deve osservarsi quanto segue.
2.1.– Senz’altro infondata è la seconda eccezione formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, con cui si lamenta l’oscurità del petitum e l’asserita riferibilità delle censure ai «limiti dell’accertamento del reato» anziché alla determinazione del giudice competente a pronunciarsi sulla revoca.
In effetti – e fermo restando che il cosiddetto petitum non è un elemento essenziale in una questione incidentale di legittimità costituzionale, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga[no] con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure (ex multis, di recente, sentenze n. 111 del 2024, punto 4.3.2. del Considerato in diritto; n. 105 del 2024, punto 2.9. del Considerato in diritto; n. 90 del 2024, punto 3.1. del Considerato in diritto; n. 54 del 2024, punto 3.3. del Considerato in diritto) –, nel caso in esame il petitum formulato dal rimettente è chiaro e privo di ogni profilo di ambiguità, consistendo nella contestazione della legittimità costituzionale della norma ricavata dalla Corte di cassazione dall’art. 16, comma 4, t.u. immigrazione, nella parte in cui attribuisce al giudice dell’esecuzione la competenza a decidere sull’istanza di revoca della sanzione sostitutiva anche prima dell’accertamento definitivo del reato di illecito reingresso addebitato allo straniero da parte del giudice della cognizione.
2.2.– Infondata è anche la terza eccezione di inammissibilità, secondo cui il giudice a quo non avrebbe proceduto al doveroso tentativo di interpretazione conforme, in particolare nel senso di ritenere che il giudice dell’esecuzione, prima di pronunciarsi sull’istanza di revoca di cui all’art. 16, comma 4, t.u. immigrazione, debba comunque attendere la pronuncia definitiva del giudice della cognizione sulla sussistenza del delitto di illecito reingresso.
Infatti, il giudice a quo motiva puntualmente sulle ragioni per le quali, a suo avviso, il principio di diritto sotteso alla sentenza della Corte di cassazione sul conflitto di competenza non potrebbe essere inteso nel senso sopra indicato. La condivisibilità o meno di questa conclusione è, conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte, profilo che attiene al merito, anziché all’ammissibilità delle questioni (recentemente, ex multis, sentenze n. 105 del 2024, punto 2.5. del Considerato in diritto; n. 6 del 2024, punto 5 del Considerato in diritto; n. 202 del 2023, punto 2 del Considerato in diritto; n. 139 del 2022, punto 3 del Considerato in diritto).
2.3.– Una valutazione più articolata si impone, invece, sulla prima eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa statale, secondo la quale il giudice a quo non potrebbe più rimettere in discussione la statuizione sulla competenza della Corte di cassazione, con conseguente irrilevanza delle questioni aventi a oggetto, per l’appunto, le norme in materia di competenza.
2.3.1.– Non erra, in effetti, l’Avvocatura generale dello Stato quando osserva che la giurisprudenza di questa Corte ha sinora considerato inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale aventi a oggetto la determinazione della competenza del giudice, ove sollevate dal giudice dichiarato competente dalla Corte di cassazione in sede di risoluzione di un conflitto di competenza. La relativa determinazione è, in tal caso, considerata coperta dal giudicato: sicché, si argomenta, mai il giudice indicato quale competente dalla Corte di cassazione potrebbe discostarsi da essa, stante l’effetto preclusivo spiegato dall’art. 25 cod. proc. pen., non potendo risolversi la questione di legittimità costituzionale da questi sollevata in una richiesta di operare una sorta di “revisione di grado ulteriore” delle interpretazioni e quindi delle decisioni della Corte di cassazione. Nessuna conseguenza potrebbe dunque discendere nel giudizio a quo dall’accoglimento di eventuali censure di illegittimità costituzionale della norma sulla competenza già applicata – in via definitiva – dal giudice di legittimità (in questo senso, sentenza n. 95 del 2020, punto 4 del Considerato in diritto; ordinanze n. 306 del 2013 e n. 222 del 1997; sentenze n. 294 del 1995, punto 3.3. del Considerato in diritto, e n. 25 del 1989, e ivi per l’indicazione di precedenti più risalenti. Per una recente applicazione di questi principi in una pronuncia in materia di individuazione del giudice competente per la fase rescissoria del giudizio di revisione della condanna penale, sentenza n. 103 del 2023, punto 2.3. del Considerato in diritto).
2.3.2.– Plurime ragioni, tuttavia, inducono questa Corte a rimeditare tale orientamento.
Questa Corte ritiene senz’altro ammissibili le questioni sollevate dal giudice del rinvio sul principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione in sede di annullamento di una precedente decisione (ex plurimis, sentenze n. 123 del 2021, punto 5 del Considerato in diritto; n. 222 del 2018, punto 3 del Considerato in diritto; n. 293 del 2013, punto 2 del Considerato in diritto; n. 197 del 2010, punto 3.1. del Considerato in diritto; n. 58 del 1995, punto 2 del Considerato in diritto).
Una tale situazione è per molti versi simile a quella ora all’esame.
Anzitutto, anche il giudice del rinvio è vincolato al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. Eppure, la (pacifica) ammissibilità delle questioni concernenti il principio di diritto enunciato in sede di annullamento con rinvio sottende il riconoscimento che il vincolo del giudice del rinvio venga necessariamente meno allorché, su sollecitazione di quest’ultimo, questa Corte dichiari l’illegittimità costituzionale della norma che la stessa Corte di cassazione abbia formulato. Il vincolo del giudice del rinvio al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione non è dunque incompatibile con la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, la quale è assicurata proprio dalla possibilità del giudice di discostarsi da tale principio di diritto, laddove questa Corte ne abbia accertato la contrarietà alla Costituzione.
Si obietta, invero, che il giudice del rinvio è chiamato ad applicare il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, mentre il giudice individuato in sede di conflitto di competenza non dovrebbe più fare applicazione delle disposizioni in materia di competenza, già applicate in via definitiva dal giudice del conflitto.
Ma l’obiezione non è irresistibile.
Se è vero, infatti, che nel caso di annullamento con rinvio la Corte di cassazione si limita a “interpretare” la legge, enunciando una norma vincolante per il giudice del rinvio, il quale dovrà poi concretamente “applicarla” nel caso concreto, non è men vero che anche il giudice indicato quale competente dalla Corte di cassazione è chiamato a svolgere il giudizio sul presupposto della sua individuazione quale giudice competente da parte della Corte di cassazione. La stessa instaurazione e successiva celebrazione del giudizio avanti a una determinata autorità giudiziaria, e non ad altra, costituisce momento integrante dell’“applicazione” della disciplina della competenza nel caso concreto. Sino a che il giudizio non si instauri e non si svolga, la norma sulla competenza non può dirsi ancora (compiutamente) “applicata” al caso concreto.
Non si vede, allora, perché il giudice indicato quale competente dalla Corte di cassazione non possa – esattamente come il giudice del rinvio – sollecitare questa Corte a verificare la compatibilità con la Costituzione della norma posta dalla Corte di cassazione alla base della propria decisione, e destinata a costituire il presupposto per lo svolgimento del successivo giudizio. Nell’ipotesi in cui tale dubbio venga ritenuto fondato da questa Corte, il giudice rimettente dovrà astenersi dal dare ulteriore applicazione a una norma giudicata ormai costituzionalmente illegittima: il che assicura la rilevanza delle questioni.
2.3.3.– Per altro verso, precludere a un giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale sulla norma che è alla base della sua potestas iudicandi equivale, in pratica, a suggellare l’esistenza – se non proprio di una “zona franca” – di una “zona d’ombra” nel controllo di legittimità costituzionale della legge, il cui risultato è quello di vincolare il giudice di merito all’applicazione di norme in ipotesi contrarie alla Costituzione, anche quando il giudice non abbia avuto la possibilità – in un momento precedente del processo – di sollevare tale questione.
Una tale soluzione da un lato appare in contrasto con il dovere, incombente su ogni giudice, in forza dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), di vigilare sul rispetto della Costituzione da parte della legge, e di investire questa Corte di ogni dubbio di legittimità costituzionale che ritenga non manifestamente infondato, relativamente alle norme destinate a trovare applicazione in un determinato giudizio – a cominciare da quelle che ne stabiliscono la competenza. Dall’altro, essa risulta distonica rispetto all’esigenza, costantemente sottolineata da questa Corte, di assicurare che il controllo di costituzionalità da essa esercitato sia tale da «coprire nella misura più ampia possibile l’ordinamento giuridico» (sentenza n. 387 del 1996; in senso conforme, sentenza n. 1 del 2014, punto 2 del Considerato in diritto).
Riconoscere invece l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale in esame non significa affatto ammettere la possibilità di una “revisione di grado ulteriore”, né di una impropria impugnazione della decisione della Corte di cassazione, alla quale spetta certamente l’ultima parola in ogni controversia concernente l’esatta e uniforme interpretazione della legge, ai sensi dell’art. 65, primo comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario). Piuttosto, simili questioni sollecitano questa Corte a svolgere il compito che le è proprio: e cioè a verificare che la legge, così come interpretata in ultima istanza dalla Corte di cassazione, non si ponga in contrasto con la Costituzione (così, in relazione alla possibilità della sezione semplice della Corte di cassazione di sollevare questione di legittimità costituzionale sul principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, sentenza n. 33 del 2021, punto 3.2. del Considerato in diritto; nonché, in senso conforme, sentenze n. 13 del 2022, punto 2 del Considerato in diritto, e n. 111 del 2022, punto 3 del Considerato in diritto).
2.3.4.– La conclusione appena raggiunta appare coerente, inoltre, con il recente orientamento delle stesse sezioni unite della Corte di cassazione, relativo alla facoltà del giudice, indicato quale titolare della giurisdizione in sede di regolamento di giurisdizione, di formulare questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia avente ad oggetto per l’appunto la compatibilità con il diritto dell’Unione della norma sulla giurisdizione già enunciata dalla Corte di cassazione, in via definitiva dal punto di vista del diritto nazionale (sezioni unite civili, sentenza 4 aprile 2022, n. 10860, punto 5.1.; in senso conforme, in precedenza, sezione prima civile, sentenza 15 giugno 2015, n. 12317).
Le Sezioni unite civili hanno, in proposito, confermato «la natura di giudicato che assume la pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sul ricorso proposto ex art. 41 c.p.c.»; ma, al contempo, hanno ribadito – in linea con il precedente rappresentato dalla citata sentenza n. 12317 del 2015 – che ciò non osta alla «potestà del giudice nazionale non di ultima istanza di sollevare, pur a seguito di statuizione vincolante sulla giurisdizione, questione pregiudiziale davanti alla CGUE, così da evitare che il vincolo conformativo interno in tal modo generatosi induca all’adozione di una decisione in contrasto con il diritto UE». Soluzione, questa, rispetto alla quale le stesse Sezioni unite hanno escluso qualsiasi contrasto con «controlimiti di natura costituzionale», e anzi con qualsivoglia norma costituzionale.
La «cedevolezza del giudicato sulla giurisdizione rispetto al diritto UE» – hanno proseguito le Sezioni unite civili – ha la propria radice nella considerazione che tale giudicato è «portatore di un accertamento che è sì definitivo ed idoneo a fare stato […], ma che ha pur sempre natura esclusivamente rituale sulla potestà decisoria del giudice adito, e quindi una tipica funzione legittimante, strumentale e prodromica alla decisione di merito che deve ancora essere adottata dal giudice designato».
Tali condivisibili considerazioni – enunciate a proposito delle statuizioni della Corte di cassazione rese in sede di regolamento di giurisdizione, ma idonee a essere trasferite nella contigua materia del conflitto di competenza – valgono a fortiori, a giudizio di questa Corte, quando il giudice consideri la norma posta a base della decisione dalla Corte di cassazione che lo individua quale competente in contrasto non con il diritto dell’Unione, ma con la stessa Costituzione, che è legge suprema nell’ordinamento italiano.
2.3.5.– In conclusione, anche la prima eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato deve essere rigettata.
3.– Nel merito, le questioni non sono fondate, nei termini di seguito precisati.
3.1.– Come in precedenza chiarito, il rimettente ritiene che la decisione della Corte di cassazione che lo indica quale giudice competente nel procedimento a quo implichi l’affermazione di una duplice norma, in base alla quale (a) il «giudice competente» nel procedimento di cui all’art. 16, comma 4, t.u. immigrazione è il giudice dell’esecuzione, e (b) tale giudice è abilitato a revocare la sanzione sostitutiva anche in assenza di un accertamento definitivo sul delitto di illecito reingresso.
Secondo la sua prospettazione, tale soluzione interpretativa risulterebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., con il diritto di difesa di cui all’art. 24, secondo comma, Cost., nonché con la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, secondo comma, Cost.
3.2.– Ora, da un lato l’art. 16, comma 4, t.u. immigrazione dispone che il giudice revochi la sanzione sostitutiva dell’espulsione se lo straniero, una volta espulso, rientri illegalmente nel territorio dello Stato. Dall’altro, il rientro illegale dello straniero destinatario di un provvedimento giudiziale di espulsione è configurato come delitto dall’art. 13, comma 13-bis, t.u. immigrazione, punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Dunque, il medesimo fatto che dà luogo alla revoca della sanzione sostitutiva ai sensi della disposizione censurata è, al tempo stesso, costitutivo di un delitto, destinato come tale ad essere accertato davanti al giudice competente (non necessariamente coincidente con il giudice dell’esecuzione, come accade nel caso oggetto del giudizio a quo), e comunque nell’ambito di un procedimento di cognizione.
In questa situazione, come giustamente osserva il rimettente, apparirebbe illogico – e pertanto contrario al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. – duplicare l’accertamento del medesimo fatto e della relativa illiceità in due distinti procedimenti, suscettibili di sfociare in esiti contrapposti.
D’altra parte, non erra il rimettente nel sottolineare come il giudizio di esecuzione non sia luogo idoneo all’accertamento di un fatto costitutivo di reato, in assenza dell’apparato di garanzie che connotano il giudizio di cognizione ai sensi dell’art. 111 Cost. e che assicurano il pieno dispiegarsi del diritto di difesa dell’imputato ai sensi dell’art. 24, secondo comma, Cost.
Né potrebbe il giudice dell’esecuzione procedere ad un accertamento incidentale dell’illecito penale sulla base della sola notizia di reato conseguente al riscontro della presenza dello straniero sul territorio nazionale da parte delle forze di polizia, senza con ciò stesso violare la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, secondo comma, Cost., il cui superamento esige lo svolgimento di un giudizio in cui l’imputato sia posto in condizione di difendersi adeguatamente.
Tant’è vero che, come ancora giustamente sottolinea il rimettente (Ritenuto in fatto, punto 1.3.), nella generalità delle ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione è chiamato ad assumere una decisione sfavorevole al condannato dipendente dalla commissione di un diverso reato, la giurisprudenza subordina tale decisione al passaggio in giudicato della sentenza di condanna per quel reato.
3.3.– Tuttavia, nel decidere il conflitto di competenza sollevato dal Tribunale di Trieste e nell’indicare come competente il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Firenze, la sentenza n. 21351 del 2023 della Corte di cassazione ha sì indicato nel giudice dell’esecuzione l’autorità giudiziaria competente a disporre la revoca della misura alternativa, ma non ha precisato se l’illecito reingresso dello straniero espulso debba essere autonomamente accertato dallo stesso giudice dell’esecuzione, ovvero se quest’ultimo sia tenuto semplicemente a prendere atto del relativo accertamento compiuto, con sentenza definitiva, dal giudice di cognizione competente.
Dunque, la Corte di cassazione ha posto a base della propria decisione la norma (a), che individua nel giudice dell’esecuzione quello competente a disporre la revoca, ma non ha espressamente enunciato la norma (b), e cioè quella che obbligherebbe a disporre tale giudice a provvedere sull’istanza di revoca indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta l’illecito reingresso.
Ora, la norma (a) non si pone in contrasto con alcuno dei parametri costituzionali enunciati.
La norma (b) si esporrebbe invece effettivamente ai rilievi di incompatibilità con la Costituzione evidenziati dal rimettente. Tuttavia, un’imprescindibile esigenza di interpretazione conforme della stessa norma (a) impone di sciogliere l’alternativa relativa ai presupposti del provvedimento di revoca – alternativa sulla quale la Corte di Cassazione non si è espressa – in un senso diverso da quello posto dal rimettente a base delle proprie censure: e cioè nel senso che l’istanza di revoca potrà essere presentata al giudice dell’esecuzione, ed essere da questi accolta, soltanto sulla base dell’accertamento definitivo, da parte del giudice di cognizione competente, del delitto di illecito reingresso compiuto dallo straniero.
3.4.– Questa soluzione interpretativa evita il contrasto con tutti i parametri costituzionali evocati, e consente a questa Corte di pervenire a una decisione di non fondatezza delle questioni all’esame.