Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 3 luglio 2023, iscritta al n. 119 del registro ordinanze 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Napoli ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del GIP a partecipare al giudizio di opposizione alla richiesta di archiviazione «di cui all’art. 410 cod. proc. pen.» dopo che, nel rigettare una richiesta di emissione di decreto penale di condanna, si sia espresso in merito alla sussistenza di una causa di non punibilità, per contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
1.1.– L’ordinanza di rimessione premette che il giudice aveva respinto la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, avanzata dal pubblico ministero, con riguardo al reato di cui all’art. 612, secondo comma, del codice penale, e gli aveva restituito gli atti, ritenendo sussistente la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto). Il provvedimento indicava le specifiche ragioni per cui il fatto era espressivo di «un grado di offensività particolarmente tenue»: sarebbe stato commesso per l’ira determinata da un sinistro stradale, non avrebbe prodotto danni gravi e non costituirebbe una condotta abituale dell’indagato.
Il pubblico ministero, facendo propria la prospettazione del GIP, chiedeva l’archiviazione per la particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis cod. pen., procedendo alle notifiche di rito all’indagato e alla persona offesa.
Quest’ultima proponeva, nei termini di legge, l’opposizione all’archiviazione, rilevando l’allarmante propensione a delinquere dell’indagato e la consistenza dei danni morali arrecati; chiedeva, così, che si disponesse l’imputazione coatta o si svolgessero ulteriori indagini, in specie ascoltando le informazioni in possesso del figlio della vittima del reato.
Veniva fissata la camera di consiglio, e il difensore della persona offesa eccepiva l’incompatibilità dello stesso GIP persona fisica a decidere sull’opposizione all’archiviazione, poiché quest’ultimo avrebbe già espresso le proprie valutazioni sull’illecito commesso.
Il GIP chiedeva, dunque, di potersi astenere, ma il presidente del Tribunale respingeva tale richiesta, osservando che l’incompatibilità a decidere il giudizio di opposizione «non sussiste neppure nei casi di declaratoria di nullità del decreto di archiviazione».
1.2.– Lo stesso GIP, a questo punto, ha ritenuto di sollevare le presenti questioni di legittimità costituzionale, rilevando, anzitutto, che il «deficit di terzietà del giudice» il quale, pur essendosi espresso sull’esistenza di una causa di non punibilità in sede di rigetto della richiesta di decreto penale di condanna, debba poi decidere sull’opposizione, non potrebbe essere superato in via interpretativa, in assenza di apposita previsione normativa.
In circostanze come quelle verificatesi nel procedimento a quo – si afferma – il giudizio di opposizione potrebbe essere condizionato dalla “forza della prevenzione”, avendo lo stesso magistrato già compiuto valutazioni sulla medesima res iudicanda; la terzietà del giudice sarebbe, tuttavia, condizione imposta dall’art. 111, secondo comma, Cost., nonché dall’art. 117, primo comma, Cost., che rende efficace nell’ordinamento italiano i precetti dell’art. 6, paragrafo 1, CEDU, secondo cui «[o]gni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente e imparziale e costituito per legge, che decide sia in ordine alla controversia sui suoi diritti e obblighi di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale derivata contro di lei».
Il giudice rimettente rileva che i due momenti nei quali è chiamato a pronunciarsi non apparterrebbero alla stessa «fase del procedimento» – circostanza, questa, che, secondo la giurisprudenza costituzionale, escluderebbe l’esistenza dell’incompatibilità – poiché la restituzione degli atti al pubblico ministero, a seguito del rigetto della richiesta di decreto penale, avrebbe determinato la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari (è citata la sentenza di questa Corte n. 16 del 2022). Osserva, inoltre, che la persona offesa, pur essendo parte eventuale del processo, avrebbe un legittimo interesse all’affermazione della responsabilità penale dell’autore del reato, da parte di un giudice imparziale, non influenzato dalle proprie precedenti determinazioni.
Questa Corte avrebbe già affermato che, nel procedimento per decreto, il controllo del GIP attiene non solo ai presupposti di rito, ma anche alla sussistenza del fatto e della responsabilità dell’indagato; alla richiesta di decreto penale potrebbe, peraltro, fare seguito una sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (sono citate le sentenze di questa Corte n. 502 del 1991 e n. 346 del 1997).
L’omessa previsione dell’incompatibilità del GIP che, nel rigettare la richiesta di decreto penale di condanna, abbia espresso un convincimento in merito alla sussistenza di una causa di non punibilità e sia successivamente chiamato a decidere sull’opposizione della persona offesa, in definitiva, violerebbe gli artt. 3, 24, secondo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU.
1.3.– Ad avviso del giudice a quo, la rilevanza delle questioni sarebbe lampante: egli dovrebbe procedere alla trattazione dell’opposizione all’archiviazione, pur avendo espresso il proprio convincimento sulla res iudicanda.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 119 del 2023), il GIP del Tribunale di Napoli ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., chiedendo a questa Corte di riconoscere una nuova ipotesi di incompatibilità del giudice penale che, in diversa e precedente fase del medesimo procedimento, si sia già espresso nel merito della res iudicanda. Ritiene il rimettente che la disposizione censurata violi gli artt. 3, 24, secondo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a decidere sull’opposizione all’archiviazione del giudice per le indagini preliminari che, nel rigettare una richiesta di emissione di decreto penale di condanna, abbia espresso il convincimento che sussista una causa di esclusione della punibilità: nella specie, la particolare tenuità del fatto.
Nel provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero, il GIP ha osservato che il fatto criminoso sottoposto al suo esame esprimeva «un grado di offensività particolarmente tenue», perché sarebbe stato commesso per l’ira determinata dal sinistro stradale, non avrebbe prodotto danni gravi e non rappresenterebbe una condotta abituale dell’indagato. Facendo proprie le argomentazioni del GIP, il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione per la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis cod. pen.), e proceduto alle notifiche di rito all’indagato e alla persona offesa.
Quest’ultima ha proposto opposizione all’archiviazione, ritenendo esistente la propensione a delinquere da parte dell’indagato e consistenti i danni morali cagionati dalla sua condotta. A questo punto, lo stesso GIP ha sollevato le presenti questioni di legittimità costituzionale, deducendo il «deficit di terzietà», e denunciando di sentirsi “prevenuto” nell’esame degli elementi probatori del reato che ha già ritenuto sussistente, ma non punibile. La neutralità del giudice sarebbe condizione richiesta dall’art. 111, secondo comma, Cost., nonché dall’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai precetti dell’art. 6, paragrafo 1, CEDU; non sarebbe, inoltre, possibile superare il problema in via interpretativa, in assenza di apposita previsione normativa che riconosca, in questi casi, l’incompatibilità del giudice.
2.– Va, anzitutto, circoscritto l’oggetto del presente scrutinio, rispetto all’ampio petitum formulato, in chiusura, dall’ordinanza di rimessione. Il giudice a quo chiede di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del GIP a partecipare al giudizio di opposizione alla richiesta di archiviazione «di cui all’art. 410 cod. proc. pen.», dopo che, nel rigettare una richiesta di emissione di decreto penale di condanna, si sia espresso in merito alla sussistenza di una causa di non punibilità. È, tuttavia, evidente che l’unica fattispecie rilevante nel giudizio principale è la situazione del giudice che abbia ritenuto il fatto commesso non punibile per la sua particolare tenuità e che si trovi, poi, a dover novamente pronunciare sulla sussistenza della particolare tenuità dello stesso fatto.
Dalle motivazioni dell’ordinanza di rimessione si evince che le doglianze s’attagliano esattamente alle circostanze verificatesi nel procedimento a quo.
Il giudice rimettente denuncia, infatti, di essere condizionato dalla “forza della prevenzione” in ragione delle specifiche valutazioni che ha compiuto sulla tenuità del fatto: nel decidere di rigettare la richiesta di decreto penale, avrebbe già esaminato compiutamente l’offensività della condotta e la propensione a delinquere dell’indagato. Dà, peraltro, conto che il pubblico ministero, nel chiedere l’archiviazione, ha dato avviso all’indagato e alla persona offesa, al fine di consentir loro di proporre opposizione, secondo quanto prevede la specifica disciplina dell’archiviazione per particolare tenuità del fatto, dettata dall’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen.
L’interpretazione del petitum, alla luce della motivazione complessiva dell’atto introduttivo, consente, dunque, di circoscriverlo «onde garantirne l’aderenza alla fattispecie soggettiva del giudizio a quo» (ex multis, sentenza n. 267 del 2020).
Il tema del decidere si limita, così, allo scrutinio della legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare all’opposizione all’archiviazione per particolare tenuità del fatto del giudice che abbia già espresso il proprio convincimento in ordine alla sussistenza della suddetta causa di esclusione della punibilità.
3.– Le questioni riferite agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost. devono dichiararsi inammissibili, per carenza assoluta di motivazione delle censure.
4.– La questione promossa in riferimento all’art. 111, secondo comma, Cost. è, invece, fondata.
4.1.– Come questa Corte ha più volte affermato, la disciplina sull’incompatibilità del giudice trova la sua ratio nella salvaguardia dei valori della terzietà e imparzialità del giudice – presidiati dagli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, in riferimento ai quali le questioni di legittimità costituzionale sono ammissibili –, mirando a escludere che questi possa pronunciarsi condizionato dalla “forza della prevenzione”, cioè dalla tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda. È necessario «che le funzioni del giudicare siano assegnate a un soggetto “terzo”, scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto e anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia su cui pronunciarsi» (sentenza n. 172 del 2023; nello stesso senso, sentenze n. 64, n. 16 e n. 7 del 2022 e precedenti ivi citati).
4.2.– Il censurato art. 34, comma 2, cod. proc. pen. disciplina la “incompatibilità orizzontale”, attinente alla relazione tra la fase del giudizio e quella che immediatamente la precede. Tale disposizione è costruita secondo la tecnica della casistica tassativa: «[n]on può partecipare al giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere». Essa è stata colpita, nel corso del tempo, da declaratorie di illegittimità costituzionale di tipo additivo, che hanno esteso l’operatività dell’istituto anche a ipotesi non espressamente contemplate.
4.3.– Nelle più recenti pronunce in materia, questa Corte ha indicato, per punti, quali siano le condizioni al ricorrere delle quali si possa configurare l’incompatibilità del giudice. Ha difatti affermato che, per ritenersi sussistente l’incompatibilità endoprocessuale del giudice, devono concorrere le seguenti condizioni: a) le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda; b) il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione; c) quest’ultima abbia natura non “formale”, ma “di contenuto”, ovvero comporti valutazioni sul merito dell’ipotesi di accusa; d) la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento (sentenze n. 172 e n. 91 del 2023 e n. 64 del 2022).
4.3.1.– Ove s’afferma che il giudice non possa esprimersi più volte sulla medesima res iudicanda, deve intendersi per “giudizio” ogni processo che, in base a un esame delle prove, pervenga a una decisione di merito: il giudizio dibattimentale, ma anche il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti, l’udienza preliminare e talora l’incidente di esecuzione, nonché il decreto penale di condanna (da ultimo, sentenza n. 16 del 2022).
All’interno di ciascuna delle fasi – intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva – va, in ogni caso, preservata l’esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (sentenza n. 64 del 2022 e precedenti ivi citati).
5.– Volgendo a esaminare le valutazioni che il GIP rimettente è stato (ed è) chiamato a effettuare nel caso odierno, si deve richiamare il dettato dell’art. 131-bis cod. pen., secondo cui il reato non è punibile quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, e «anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale»; lo stesso articolo esclude che la disciplina in parola possa applicarsi ove si proceda per taluni delitti (elencati al terzo comma) o al ricorrere di determinate circostanze (indicate al secondo comma).
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il giudizio sulla particolare tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 febbraio-6 aprile 2016, n. 13681). Oggetto di accertamento è, in effetti, la commissione del reato – che, per essere ritenuto di “particolare tenuità”, deve, com’è logico, ricorrere –; reato che si può decidere, tuttavia, di non punire poiché ha causato danni o pericoli non gravi. La Corte di legittimità qualifica, perciò, il fatto particolarmente lieve ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. come un fatto in ogni modo tipico, antigiuridico e colpevole (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 gennaio-12 maggio 2022, n. 18891). Questa Corte ha già avuto occasione di richiamare tali affermazioni, stabilendo, peraltro, che al giudice penale, che intenda prosciogliere per la particolare tenuità del fatto, deve riconoscersi la possibilità di pronunciarsi anche sulla domanda di risarcimento del danno (sentenza n. 173 del 2022).
5.1.– La decisione che riconosce la particolare tenuità del fatto può trovare ingresso lungo l’intero arco del procedimento: all’esito delle indagini preliminari, nella fase predibattimentale, o a seguito del dibattimento.
In particolare, l’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. stabilisce che, «[s]e l’archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto, il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Il giudice, se l’opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell’articolo 409, comma 2, e, dopo avere sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell’articolo 409, commi 4 e 5».
Sull’assunto che l’archiviazione per particolare tenuità del fatto possa avere effetti potenzialmente pregiudizievoli, sia per gli interessi della persona offesa, sia per l’interesse dell’indagato – che potrebbe mirare a ottenere l’archiviazione per causa più favorevole –, la legge ha inteso assicurare un pieno contraddittorio su questo possibile esito, che deve, per l’appunto, essere preannunciato in termini espliciti dal pubblico ministero (in tal senso, già Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 7 luglio-5 settembre 2016, n. 36857). Riconosciuti i tratti caratteristici di tale sequenza processuale, questa Corte ha, dunque, recentemente affermato che «una pronuncia di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., in qualunque fase procedimentale o processuale sia collocata, presuppone logicamente la valutazione che un reato, completo di tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, sia stato commesso dalla persona sottoposta a indagini o dall’imputato» (sentenza n. 116 del 2023).
6.– Nel caso in esame, risulta sussistente ogni condizione richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte affinché si configuri l’incompatibilità del giudice.
6.1.– È stata, infatti, assunta una prima decisione – cosiddetta “pregiudicante” – nell’ambito della quale, valutando le prove, il giudice ha respinto la richiesta di decreto penale di condanna, convincendosi che il fatto non fosse punibile, ex art. 131-bis cod. pen., per la sua particolare tenuità. Si deve ricordare che, nel procedimento per decreto, al momento di valutare la richiesta del pubblico ministero, il giudice effettua un esame completo dell’accusa, sotto i profili oggettivo e soggettivo; perciò, questa Corte ne ha affermato la natura di vero e proprio giudizio: il controllo demandato al GIP attiene, infatti, «non solo ai presupposti del rito, ma anche al merito dell’ipotesi accusatoria, postulando una verifica del fatto storico e della responsabilità dell’imputato» (sentenza n. 16 del 2022; così pure sentenza n. 346 del 1997).
6.2.– Poi, con la restituzione degli atti al pubblico ministero, s’è determinata la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, ricorrendo, così, la condizione della diversità della fase processuale (sentenze n. 16 del 2022 e n. 18 del 2017).
6.3.– Va, in ultimo, verificato se la sede decisoria che il rimettente assume “pregiudicata” dalla formazione del precedente convincimento sia qualificabile anch’essa come giudizio sulla responsabilità penale dell’imputato. Nel caso dell’opposizione all’archiviazione per particolare tenuità del fatto, la risposta è positiva.
Sebbene, infatti, nelle tradizionali dinamiche dell’inazione, le decisioni del giudice abbiano natura sommaria e interlocutoria, connotando l’archiviazione come un procedimento dalla struttura agile, il provvedimento motivato dalla particolare tenuità del fatto è preceduto da compiute valutazioni sulla responsabilità penale dell’indagato e, di conseguenza, l’opposizione all’archiviazione per particolare tenuità del fatto possiede i caratteri di un giudizio che investe il merito dell’imputazione.
Ciò risulta in modo chiaro da quanto già osservato supra (punto 5.1.) sull’oggetto dell’accertamento richiesto al GIP e sulle garanzie del contraddittorio previste dall’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Perfettamente in linea con questi rilievi, la Corte di cassazione ha affermato che l’ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto emessa, ex art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., a seguito di opposizione dell’indagato, è impugnabile con ricorso per cassazione per violazione di legge, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost. (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 31 maggio-31 agosto 2023, n. 36468). Tale pronuncia, pur non avendo forma di sentenza, ha all’evidenza carattere decisorio e capacità di incidere, in via definitiva, su situazioni di diritto soggettivo; non essendo previsto altro mezzo d’impugnazione, è stata, dunque, riconosciuta la possibilità di ricorrere per cassazione per il vaglio sulla riforma di tale decisione.
Va, inoltre, osservato che – proprio perché l’archiviazione ex art. 131-bis cod. pen. implica l’accertamento della commissione del reato – la Corte di legittimità ha stabilito che il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto debba essere iscritto nel casellario giudiziale, producendo così effetti diretti nella sfera soggettiva della persona indagata (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 30 maggio-24 settembre 2019, n. 38954): ai fini della valutazione della non abitualità del comportamento (elemento, questo, che deve sussistere affinché si possa dichiarare la particolare tenuità del fatto), è infatti necessario che vi sia “memoria” di altri eventuali reati commessi dal medesimo autore, già ritenuti non punibili ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.
Per tutte queste ragioni, si deve ritenere che, trovandosi il giudice due volte a valutare lo stesso fatto criminoso, dapprima in sede di esame della richiesta di decreto penale di condanna e successivamente in sede di opposizione all’archiviazione per particolare tenuità del fatto, possa essere condizionato dalla decisione assunta in precedenza, in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost., per il quale il processo si deve svolgere dinanzi a un giudice terzo e imparziale.
L’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. va, pertanto, dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a decidere sull’opposizione all’archiviazione per particolare tenuità del fatto del giudice persona fisica che, nel rigettare la richiesta di decreto penale di condanna, abbia già espresso il proprio convincimento in ordine alla sussistenza della suddetta causa di esclusione della punibilità.
7.– Rimane assorbito l’esame dell’ulteriore censura riferita alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU.