Sentenza 34/2025 (ECLI:IT:COST:2025:34)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattore: BUSCEMA
Udienza Pubblica del 12/02/2025;    Decisione  del 12/02/2025
Deposito del 21/03/2025;   Pubblicazione in G. U. 26/03/2025  n. 13
Norme impugnate: Art. 2, c. 2°, del decreto-legge 30/11/2013, n. 133, convertito, con modificazioni, nella legge 29/01/2014, n. 5.
Massime: 
Massime: 
Atti decisi: ord. 21/2024


Pronuncia

SENTENZA N. 34

ANNO 2025


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133 (Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5, promosso dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione 17, nel procedimento vertente tra Amundi Real Estate Italia SGR spa e Agenzia delle entrate – Direzione provinciale 1 di Milano, con ordinanza del 24 gennaio 2023, iscritta al n. 21 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti l’atto di costituzione di Amundi Real Estate Italia SGR spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2025 il Giudice relatore Angelo Buscema;

uditi l’avvocato Guglielmo Fransoni per Amundi Real Estate Italia SGR spa, nonché l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 24 gennaio 2023, iscritta al n. 21 del registro ordinanze 2024, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione 17, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133 (Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione nella parte in cui assoggetta le società di gestione del risparmio (da ora in poi: SGR) ad una imposta sui redditi delle società (da ora in poi: IRES) con una addizionale dell’8,5 per cento.

Il censurato art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, come convertito, dispone infatti, al primo periodo, che «l’aliquota di cui all’articolo 77 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è applicata con una addizionale di 8,5 punti percentuali», e, al secondo periodo, precisa che «[l]’addizionale non è dovuta sulle variazioni in aumento derivanti dall’applicazione dell’articolo 106, comma 3, del suddetto testo unico».

1.1.– Riferisce il rimettente che la Amundi Real Estate Italia SGR spa, svolgente l’attività di gestione di fondi comuni di investimento e fondi pensione, ha chiesto all’Agenzia delle entrate il rimborso di una somma versata in data 13 giugno 2014 a titolo di addizionale IRES, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, come convertito, deducendo l’illegittimità costituzionale della predetta disposizione.

Poiché l’Agenzia delle entrate ha rigettato l’istanza di rimborso, la SGR ha impugnato il diniego innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, la quale ha respinto il ricorso in quanto, in presenza di una disposizione di cui è stato dichiarato non fondato il dubbio di legittimità costituzionale dalla sentenza n. 288 del 2019, non sarebbe possibile disporre il rimborso di un’imposta dovuta per legge.

La società Amundi Real Estate ha proposto appello alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, ribadendo l’illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui include fra i soggetti passivi dell’addizionale IRES anche le SGR.

2.– Il giudice a quo, nonostante la precedente sentenza di questa Corte n. 288 del 2019, ritiene le questioni non manifestamente infondate considerando che le perdite su crediti interessate dal regime di maggior favore introdotto dalle predette misure compensative sarebbero conseguenze specifiche e tipiche dell’attività caratteristica degli altri intermediari finanziari (chiamati a raccogliere risparmio e ad erogare credito) ma non anche delle SGR, per le quali, invece, i crediti inesigibili, a cui si applica il regime di deducibilità di cui all’art. 106 t.u. imposte redditi, sarebbero voci di scarso rilievo, tenuto conto che i crediti relativi all’attività delle SGR sarebbero in linea di massima crediti a breve termine riferibili alle commissioni maturate ma non ancora incassate derivanti dalla gestione dei fondi.

In questa prospettiva la disposizione censurata – che dovrebbe necessariamente applicarsi nel caso di specie ai fini del decidere, e da qui la rilevanza delle questioni – si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. in quanto discriminerebbe qualitativamente i redditi in maniera irragionevole, dal momento che non sarebbe ravvisabile in capo alle SGR una capacità contributiva maggiore rispetto a quella propria degli altri soggetti passivi dell’IRES.

3.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, affermando che la ratio della disposizione censurata sarebbe quella di reperire in via straordinaria e temporanea le somme necessarie per alleggerire gli oneri fiscali gravanti sulle fasce più deboli e attribuirli temporaneamente a soggetti economicamente più forti. Il principio cardine espresso dalla giurisprudenza costituzionale sarebbe quello secondo cui la ragionevolezza della disposizione andrebbe rinvenuta all’interno del sistema e consisterebbe nel bilanciamento tra l’inasprimento impositivo cui sono stati sottoposti alcuni soggetti IRES, da un lato, e le politiche fiscali di favore intervenute nei confronti dei medesimi soggetti dall’altro.

3.1.– Inoltre, rileva la difesa statale che questa Corte si sarebbe già espressa sulla legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, come convertito, (sono richiamate la sentenza n. 288 del 2019 e l’ordinanza n. 165 del 2021), dichiarando non fondate le questioni in riferimento agli artt. 3, 53 e 77, secondo comma, Cost.

L’addizionale IRES, nella prospettiva della sentenza n. 288 del 2019, si giustificherebbe in ragione di un contesto temporale caratterizzato da una crisi che aveva colpito tutti i settori economici e che portava a ritenere non censurabile la scelta di assumere come presupposto dell’imposizione l’appartenenza dei soggetti passivi al mercato finanziario, ravvisando in tale appartenenza uno specifico indice di capacità contributiva.

La circostanza della diversità strutturale dei bilanci delle SGR – caratterizzati dalla tendenziale assenza di crediti verso la clientela suscettibili di generare perdite – si risolverebbe in una mera contingenza, peraltro del tutto indimostrata in relazione alla totalità o prevalenza delle società interessate, che non offuscherebbe le peculiari caratteristiche del mercato di riferimento e la connessa capacità contributiva dei soggetti ivi operanti.

Sottolinea altresì l’Avvocatura generale che la giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sentenza n. 42 del 1980, e costantemente con le pronunce successive (in particolare con le sentenze n. 10 del 2015, n. 201 del 2014 e n. 21 del 2005), ha sempre negato che a parità di reddito debba corrispondere inderogabilmente un’identità di aliquota, ma ha sempre ammesso la possibilità che talune categorie di reddito manifestino una capacità contributiva maggiore, cioè una più intensa idoneità a concorrere al sostegno della spesa pubblica, e che quindi tali redditi possano scontare aliquote maggiori rispetto ad altri, qualitativamente diversi.

3.2.– Il settore finanziario, come emergerebbe dai lavori preparatori della disposizione in esame, sarebbe stato selezionato per la sua specifica liquidità, che costituirebbe un distinto indice di capacità contributiva.

Inoltre, la misura è temporalmente circoscritta ad un solo anno e poiché la capacità contributiva deve essere attuale, sarebbe evidente che settori ad elevata liquidità «“a breve”» come quelli in questione presenterebbero un grado di attualità della capacità contributiva maggiore rispetto ad altri settori economici. Ciò determinerebbe l’intrinseca coerenza della misura, sottraendola a dubbi di manifesta disparità di trattamento e di violazione del principio di attualità della capacità contributiva, a fronte dell’esigenza di eliminare per la stessa annualità, in un periodo di grave crisi economica, la seconda rata dell’IMU sulla prima casa.

Sul punto è richiamata la sentenza di questa Corte n. 21 del 2005 secondo cui la previsione di aliquote differenziate per settori produttivi e per tipologie di soggetti passivi rientra pienamente nella discrezionalità del legislatore se sorretta da non irragionevoli motivi di politica economica e redistributiva. È richiamata altresì la sentenza di questa Corte n. 42 del 1980 nella quale si afferma che la discriminazione qualitativa del reddito in ragione della fonte e della differente forza economica è compatibile con l’ordinamento costituzionale.

3.3.– Nel caso in esame, ad avviso dell’Avvocatura generale, occorrerebbe tenere conto delle peculiarità comuni ai diversi settori economici colpiti dall’addizionale: si tratterebbe di settori nei quali sussisterebbero «“barriere all’entrata”», nel senso che l’esercizio dell’attività di impresa può essere esercitata soltanto dopo avere ottenuto l’autorizzazione dalle autorità di vigilanza, rilasciata a seguito dell’accertamento della stabilità patrimoniale e finanziaria delle imprese interessate. Si tratterebbe, quindi, di imprese che disporrebbero di una comprovata forza economica e che si misurerebbero con una concorrenza limitata ai soli operatori parimenti autorizzati.

Si dovrebbe inoltre considerare, da un lato, il carattere pressoché necessitato della domanda di servizi bancari, assicurativi e finanziari, sicché le imprese operanti in tali settori non sarebbero esposte, nella stessa misura in cui lo sono le imprese operanti in settori diversi, al rischio di perdita della clientela e, dall’altro lato, il carattere temporaneo dell’aggravio di imposta prescritto alle imprese in questione, correlato alla necessità di sostenere il settore immobiliare e di alleviare il carico fiscale sulla «“prima casa”», non facilmente sostenibile da ampie fasce di contribuenti in un periodo di congiuntura economica critica.

3.4.– Evidenzia altresì la difesa statale che la Corte di cassazione, sezione quinta, con la sentenza 16 maggio 2023, n. 13343, ha affermato che «i profili che la ricorrente evidenzia come caratteristici delle S.G.R. nel complesso del settore bancario e finanziario, lungi dal porla in una posizione di maggior sfavore, sottolineano al contrario il minor impatto subito dalla crisi economica e confermano la sussistenza dei parametri di non arbitrarietà e proporzionalità della misura».

4.– Con atto depositato il 18 marzo 2024 si è costituita in giudizio la Amundi Real Estate Italia SGR spa, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate fondate.

4.1.– La SGR evidenzia innanzitutto la rilevanza delle questioni sollevate in quanto l’accertamento del diritto al rimborso dell’imposta versata sarebbe condizionato alla declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

4.2.– Afferma inoltre la parte privata che l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, come convertito, rappresenterebbe una palese violazione del principio di effettività della capacità contributiva in quanto il riferimento di un presupposto effettivo di un tributo alla sfera dell’obbligato dovrebbe risultare da un solido collegamento, al fine di determinare la quantità dell’imposta che da ciascun obbligato si può esigere.

Infatti, in relazione alle caratteristiche del mercato delle SGR, vi sarebbero indicazioni normative circa la sua differenziazione da quello degli altri intermediari finanziari. Innanzitutto, l’art. 1, comma 61, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» ha ridotto, in via generale, l’aliquota IRES di cui all’art. 77 t.u. imposte redditi dal 27,5 per cento al 24 per cento; tale riduzione sostanzialmente però non opererebbe per gli intermediari finanziari in ragione del fatto che, ai sensi dell’art. 1, comma 65, della medesima legge, è stata introdotta una nuova addizionale dell’IRES, nella misura del 3,5 per cento e tale addizionale si applica agli intermediari finanziari, escluse le società di gestione dei fondi comuni di investimento e le società d’intermediazione mobiliare.

La SGR nega poi, per un verso, l’esistenza di connotazioni oligopolistiche nel mercato finanziario, in cui esisterebbe una forte concorrenza relativa alle commissioni chieste ai clienti e, per un altro verso, l’anelasticità della domanda dei servizi finanziari, dal momento che si tratterebbe di un servizio non essenziale per il quale quindi il cliente, di fronte all’aumento del prezzo, potrebbe rinunciare all’acquisto, dal momento che le scelte di investimento dipenderebbero dal relativo rendimento.

Afferma inoltre l’inesistenza o l’assoluta marginalità di vantaggi derivanti dalle misure compensative, dal momento che i crediti verso la clientela delle SGR costituirebbero una voce di bilancio del tutto irrilevante, anche perché l’esazione di tali crediti prescinderebbe dalla cooperazione del debitore in quanto le SGR sarebbero contrattualmente autorizzate a soddisfare il proprio credito deducendo gli importi a loro spettanti da quanto esse devono accreditare ai clienti, mentre gli altri intermediari finanziari potrebbero concedere finanziamenti e quindi accumulare una consistente posizione creditoria nei confronti dei clienti.

Infine, esisterebbe una rilevante differenza fra le banche e le SIM da un lato e le SGR dall’altro, dal momento che queste ultime, a differenza delle prime, avrebbero un modello organizzativo «“trilaterale”», in quanto prevederebbe il necessario coinvolgimento di tre centri di imputazione di interesse: la SGR, il fondo comune d’investimento e la banca depositaria.

4.3.– Con memoria depositata in data 22 gennaio 2025, la Amundi Real Estate Italia SGR spa ha ribadito e sviluppato le argomentazioni già esposte nella precedente difesa, sottolineando la completa assenza di un qualche collegamento fra le SGR e un valido e ragionevole indice di capacità contributiva.


Considerato in diritto

1.– La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione 17, censura l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, come convertito, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui impone per l’anno di imposta 2013 alle società di gestione del risparmio un’addizionale all’IRES dell’8,5 per cento.

Riferisce il giudice a quo che l’Agenzia delle entrate ha negato il rimborso – chiesto dalla Amundi Real Estate Italia SGR spa – di una somma versata a titolo di addizionale IRES ai sensi della disposizione censurata. La suddetta società ha quindi impugnato il diniego innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano ma quest’ultima ne ha respinto il ricorso in virtù del suddetto art. 2, comma 2.

2.– La SGR ha proposto appello avanti alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia la quale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, come convertito, in considerazione della precedente sentenza n. 288 del 2019 di questa Corte, ritenendo non sussistenti, nel caso delle SGR, i «significativi» effetti compensativi riconosciuti a favore di banche, SIM ed enti che esercitano attività assicurativa.

In particolare, il rimettente ha evidenziato che le presenti questioni di legittimità costituzionale sarebbero non manifestamente infondate in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., poiché le predette misure compensative non andrebbero a beneficio delle SGR, dal momento che le perdite relative a crediti sarebbero assai limitate non svolgendo le suddette società attività consistenti nel prestare denaro, con la conseguenza che le stesse avrebbero una capacità contributiva inferiore rispetto agli altri soggetti appartenenti al mercato finanziario ugualmente assoggettati all’addizionale IRES.

3.– Le questioni non sono fondate.

3.1.– Su un piano generale, occorre dapprima ricordare che tutti hanno l’obbligo di adempiere ai propri doveri tributari; la violazione del principio di eguaglianza in tale ambito sussiste laddove situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando, alla diversità di disciplina, corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis, sentenze n. 108 del 2023, n. 270 del 2022 e n. 172 del 2021).

Questa Corte ha affermato che «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria»; piuttosto essa esige «un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 10 del 2015).

L’ordinamento tributario è dunque ispirato a principi di solidarietà e l’addizionale prevista dalla disposizione censurata è coerente con gli stessi, in quanto diretta a finanziare, per l’anno 2013, l’abolizione di una rata dell’IMU in un momento di difficile congiuntura economico-sociale.

Infatti, come ha già chiarito questa Corte, «il suddetto intervento del legislatore ha comportato uno spostamento della fiscalità dall’imposizione immobiliare sulle persone fisiche a quella reddituale su determinate persone giuridiche, avvantaggiando comunque anche le famiglie meno abbienti colpite dalla difficile fase congiunturale, con un innegabile, per quanto parziale, effetto redistributivo e solidaristico» (ancora, sentenza n. 288 del 2019).

3.2.– La giurisprudenza costituzionale ha altresì affermato che per «“capacità contributiva” ai sensi dell’art. 53 Cost., si deve intendere l’idoneità del soggetto all’obbligazione d’imposta, desumibile dal presupposto economico cui l’imposizione è collegata, presupposto che consiste in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di legittimità costituzionale sotto il profilo della loro arbitrarietà o irrazionalità» (sentenza n. 108 del 2023 e, nello stesso senso, sentenza n. 201 del 2014).

Questa Corte ha inoltre evidenziato che «ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza» (ex plurimis, sentenze n. 60 del 2024 e n. 10 del 2023) e che «ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione (sentenza n. 10 del 2015)» (sentenza n. 108 del 2023).

Nella sentenza n. 108 del 2023 è stato precisato che «in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica».

Occorre altresì inquadrare il complessivo intervento fiscale disposto per una sola annualità di imposta dal legislatore, nel suo precipuo contesto temporale, che è quello di una pesante crisi che ha colpito tutti i settori economici.

Numerosi sono infatti i casi di temporaneo inasprimento dell’imposizione (sentenza n. 10 del 2015) – applicabili a determinati settori produttivi o a determinate tipologie di redditi e cespiti – ritenuti costituzionalmente legittimi da questa Corte proprio in forza della loro limitata durata: basti menzionare la sovraimposta comunale sui fabbricati (sentenza n. 159 del 1985), l’imposta straordinaria immobiliare sul valore dei fabbricati (sentenza n. 21 del 1996), il tributo del sei per mille sui depositi bancari e postali (sentenza n. 143 del 1995), il contributo straordinario per l’Europa, finalizzato all’adeguamento dei conti pubblici ai parametri previsti dal Trattato di Maastricht (ordinanza n. 341 del 2000).

3.3.– Questa Corte in altre occasioni ha altresì ritenuto non fondate censure riferite a tributi istituiti solo per alcuni soggetti passivi all’interno di una determinata categoria e, in particolare, proprio con riferimento alle imprese operanti nel mercato finanziario. Nella sentenza n. 201 del 2014 ha sottolineato, infatti, che non era ingiustificata la limitazione al solo «settore finanziario» della platea dei soggetti passivi sottoposti al prelievo «addizionale» sulle remunerazioni in forma di bonus e stock options; in senso analogo, ma con riferimento alle imprese dotate di maggiori risorse economiche, nella sentenza n. 269 del 2017 si è affermato che «non è irragionevole che le spese di funzionamento dell’autorità preposta al corretto funzionamento del mercato gravino sulle imprese caratterizzate da una presenza significativa nei mercati di riferimento [con fatturato superiore a 50 milioni di euro] e dotate di considerevole capacità di incidenza sui movimenti delle relative attività economiche».

3.4.– Nelle peculiari caratteristiche del mercato finanziario può quindi essere non irragionevolmente individuato uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, idoneo a giustificare una regola differenziata di determinazione della base imponibile (ancora, sentenza n. 108 del 2023). Di conseguenza, non è costituzionalmente illegittima l’individuazione del presupposto della «addizionale» IRES nell’appartenenza dei soggetti passivi al mercato finanziario, quale indice di capacità contributiva.

4.– Questa Corte si è già espressa, con la sentenza n. 288 del 2019 e con la successiva ordinanza n. 165 del 2021, sulle questioni di legittimità costituzionale della disposizione censurata, in riferimento agli stessi parametri evocati nel presente giudizio.

Deve ribadirsi, in assenza di novità normative di rilievo, la perdurante validità delle argomentazioni espresse nella richiamata sentenza n. 288 del 2019, la quale ha evidenziato l’esistenza di specifici elementi caratterizzanti il mercato finanziario, propri anche delle SGR, che rendono non arbitraria la scelta del legislatore di individuare nell’appartenenza a tale mercato uno specifico indice di capacità contributiva, che giustifica come tale l’addizionale IRES oggetto di censura nel presente giudizio.

4.1.– In effetti, non è dubitabile che le imprese appartenenti al mercato finanziario usufruiscano di consistenti barriere all’entrata, rappresentate dalla necessaria autorizzazione della Banca d’Italia, sentita la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), dalla disponibilità di un capitale minimo fissato dalla Banca d’Italia e da un know-how specialistico in ragione del valore costituzionale del risparmio (art. 47 Cost.). Tutti questi elementi rendono difatti più difficile l’accesso delle imprese a questo specifico mercato.

4.2.– Deve inoltre rammentarsi, come pure evidenziato dalla sentenza n. 288 del 2019, che la suddetta addizionale è accompagnata da “misure compensative” riconosciute a favore delle imprese che operano sul mercato finanziario, come previsto dal secondo periodo della disposizione censurata, il quale stabilisce che «[l]’addizionale non è dovuta sulle variazioni in aumento derivanti dall’applicazione dell’articolo 106, comma 3, del suddetto testo unico [t.u. imposte redditi]».

Sotto tale profilo, la più volte richiamata sentenza n. 288 del 2019 ha affermato che «[t]ale disciplina speciale prevede in sostanza che le perdite e le svalutazioni dei crediti verso la clientela, benché in astratto interamente deducibili alla sola condizione della loro iscrizione in bilancio a tale titolo, in concreto lo divengano in una misura estremamente diluita per singolo periodo d’imposta, determinando pertanto una (spesso) significativa variazione in aumento del risultato del bilancio civilistico e, quindi, del reddito imponibile ai fini dell’IRES. In conseguenza della disattivazione di tale clausola, la nuova imposta è stata dunque originariamente introdotta su una base imponibile notevolmente ridotta rispetto a quella ordinaria dell’IRES».

L’art. 1, comma 160, lettera c), numero 1), della legge n. 147 del 2013 è poi intervenuto sull’art. 106, comma 3, t.u. imposte redditi in relazione all’imposizione ordinaria IRES con modifiche che hanno: attenuato l’impatto della variazione in aumento, consentito la deduzione di importi maggiori in fasi congiunturali avverse nonché alleviato l’entità della tassazione sui soggetti del mercato finanziario, in periodi di perdite elevate.

Deve tuttavia evidenziarsi che il rimettente ritiene irrilevanti gli effetti compensativi previsti dalla disposizione censurata per le SGR in ragione dell’attività da esse esercitata; ciò in quanto le predette misure compensative sarebbero conseguenze specifiche e tipiche dell’attività caratteristica degli altri intermediari finanziari ma non anche delle SGR, per le quali, invece, i crediti inesigibili sarebbero voci di scarso rilievo.

5.– Occorre pertanto, seppur brevemente, richiamare le caratteristiche dell’attività svolta da tale tipologia societaria.

L’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), alla lettera o), come sostituita dall’art. 2 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 274, recante «Attuazione della direttiva 2001/107/CE e 2001/108/CE, che modificano la direttiva 85/611/CEE in materia di coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM)», stabilisce che si intende per «“società di gestione del risparmio” (SGR): la società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio».

Il concetto di servizio di gestione collettiva del risparmio è definito dalla lettera n) dell’art. 1, comma 1, t.u. finanza (più volte modificata) come quello che si realizza attraverso la gestione di un organismo di investimento collettivo del risparmio (OICR) e dei relativi rischi. L’OICR, a sua volta, è definito dalla lettera k) del sopra citato art. 1 come l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari o altri beni mobili o immobili.

Ai sensi dell’art. 34 t.u. finanza la Banca d’Italia, sentita la CONSOB, autorizza le SGR all’esercizio del servizio di gestione collettiva del risparmio quando ricorrano determinate condizioni e in particolare che: sia adottata la forma di società per azioni; la sede legale e la direzione generale della società siano situate in Italia; il capitale sociale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia.

Le SGR svolgono un’attività consistente nella raccolta e nella gestione collettiva del risparmio, ma non anche quella che è l’attività tipica delle banche – anch’esse assoggettate alla medesima imposizione tributaria – ossia quella di prestare denaro. Le società di gestione del risparmio appartengono, dunque, al mercato finanziario e svolgono una attività sottoposta al controllo, nell’ambito delle rispettive competenze, della Banca d’Italia e della CONSOB, di rilevanza costituzionale in ragione della previsione di cui all’art. 47 Cost. che tutela il risparmio in tutte le sue forme.

Le SGR operano, pertanto, a pieno titolo nel mercato finanziario e, come evidenziato anche dalla Corte di cassazione in numerose pronunce (Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenze 8 marzo 2024, n. 6256; 7 giugno 2023, n. 16150; 7 giugno 2023, n. 16138 e 16 maggio 2023, n. 13343; ordinanza 6 ottobre 2023, n. 28211), la circostanza che le stesse usufruiscano in misura scarsamente significativa delle norme di favore relative alla deducibilità delle perdite afferenti ai crediti, denota proprio la loro maggiore capacità contributiva.

Infatti, «[i] profili […] caratteristici delle S.G.R. […], lungi dal porle in una posizione di maggior sfavore, sottolineano il minor impatto subito dalla crisi economica e confermano la sussistenza dei parametri di non arbitrarietà e proporzionalità della misura» (Cass., n. 13343 del 2023).

La circostanza, dunque, che alcuni dei soggetti passivi individuati dalla disposizione censurata (come le SGR) non si trovino nella condizione di dover dedurre perdite e svalutazioni crediti, evidenzia semplicemente che tale tipologia societaria non è esposta a tale rischio imprenditoriale.

Non può del resto trascurarsi che l’attività delle SGR consiste tipicamente e principalmente nella prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, nella gestione dei fondi pensione e nella gestione individuale del patrimonio dei singoli risparmiatori e che, nell’anno 2013, anno di applicazione dell’addizionale IRES, si è manifestato, come risulta dalla relazione annuale della Banca d’Italia per l’anno 2013, pubblicata il 30 maggio 2014, un miglioramento dei mercati finanziari italiani, con un incremento, nello specifico settore delle SGR, dell’utile netto del 18,7 per cento rispetto all’anno 2012.

6.– In definitiva, l’appartenenza al mercato finanziario, del quale le SGR fanno parte, può rappresentare, in ipotesi circoscritte temporalmente e dettate da una crisi economica generale, un non irragionevole e non arbitrario indice di capacità contributiva, anche alla luce dei principi di uguaglianza tributaria e di solidarietà.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133 (Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione 17, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 12 febbraio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Angelo BUSCEMA, Redattore

Valeria EMMA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2025

Il Cancelliere

F.to: Valeria EMMA