Ritenuto in fatto:
1. - Con ordinanza in data 10 luglio 1975, emessa nel corso del
procedimento penale a carico di alcuni imputati del reato di cui agli
artt. 1, 183 e 195 del t.u. approvato con d.P.R. 29 marzo 1973, n.
156, come modificati dagli artt. 1 e 45 della legge 14 aprile 1975, n.
103, per avere, quali soci responsabili della S.r.l. "Teleiblea",
registrata come periodico di stampa, attivato un impianto di diffusione
via etere di programmi televisivi propri senza essere muniti della
relativa concessione amministrativa, il pretore di Ragusa, accogliendo
analoga richiesta del patrocinio degli imputati, dichiarava rilevante e
non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale delle sopra riportate norme di legge, in riferimento
agli artt. 3, 10 e 21 della Costituzione.
In relazione alla natura dell'impianto che ha dato luogo al
procedimento penale nel corso del quale è stata sollevata, la
questione è prospettata limitatamente all'assunto che il monopolio
statale non debba estendersi agli impianti televisivi via etere a
raggio locale, per i quali dovrebbe adottarsi il sistema
dell'autorizzazione, come già si è fatto per le trasmissioni via
cavo.
In conformità con tale assunto, le denunziate violazioni delle
norme costituzionali a riferimento, vengono sostanzialmente motivate
come segue:
1) la violazione dell'art. 21 della Costituzione con le sentenze di
questa Corte, in astratto, non è stata mai negata, ma partendo dalla
premessa della limitazione dei canali utilizzabili e tenendo presenti
le trasmissioni su scala nazionale si è rilevato che fatalmente si
sarebbe reso necessario, per le ingenti spese sia d'impianto, sia di
gestione, un monopolio o un oligopolio, attraverso i quali la libertà
di espressione del pensiero sarebbe stata praticamente se non proprio
neutralizzata, assai limitata.
Di qui la preferenza al monopolio statale, che indubbiamente dà
maggiore garanzia di obiettività per un servizio la cui importanza sul
piano di preminenza nell'interesse generale non può essere contestata.
Ma per quanto attiene alle trasmissioni a raggio locale,
contrariamente al parere del Consiglio superiore delle
telecomunicazioni, come risulta da uno studio compiuto dal Centro
Microonde dell'Università di Firenze prodotto dalle parti private e,
soprattutto, dal notorio stato di fatto dei numerosi impianti abusivi
attualmente esistenti, quella limitazione ed il conseguente pericolo di
monopoli o di oligopoli non sussiste.
Di qui la illegittimità della negata esclusione agli impianti
televisivi via etere a raggio locale di quel regime di autorizzazione
già accordato per gli impianti via cavo e per i ripetitori di
trasmissioni straniere che, oltretutto, assicurerebbe una più libera
diffusione, anche capillare, del pensiero;
2) la violazione dell'art. 10 della Costituzione viene denunziata
sotto il profilo del mancato adeguamento della legislazione nazionale
alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, alla quale l'Italia ha
aderito e che riconosce ad ognuno la libertà di espressione, di
opinione e di ricevere e comunicare informazioni ed idee senza
ingerenza da parte di autorità pubbliche, facendo soltanto salva la
potestà degli Stati di sottoporre a regime di "autorizzazione" le
imprese di radiodiffusione e di televisione;
3) la violazione dell'art. 3 della Costituzione è, infine,
denunziata attraverso il raffronto con la televisione via cavo più
costosa e perciò, di fatto, pressoché oligopolica.
Si è costituita la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato che, con
l'atto di costituzione, chiede che la questione venga dichiarata
infondata, deducendo, in sostanza, quanto segue:
a) la questione è già stata giudicata infondata dalla Corte e non
sono stati dedotti argomenti che possano giustificare una diversa
soluzione;
b) non è esatta l'asserita possibilità tecnica d'installazione di
una molteplicità di emittenti televisive locali, in accordo con le
convenzioni internazionali e, comunque, anche se esatto, sarebbe
irrilevante, perché non varrebbe ad escludere la legittimità del
monopolio statale, che trova il suo fondamento giuridico nell'art. 43
della Costituzione, in quanto ha per oggetto il soddisfacimento di un
interesse pubblico essenziale;
c) non sussiste violazione dell'art. 3 della Costituzione non
essendovi identità tra televisione via etere e televisione via cavo;
d) non sussiste neppure la denunziata violazione dell'art. 10 della
Costituzione, in quanto le norme della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo non sono "norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute".
2. - Con ordinanza in data 16 agosto 1975, emessa nel corso del
procedimento penale a carico del dirigente responsabile di una stazione
radioelettrica funzionante in Livorno con emissioni circolari e
denominata "Radio Libera" senza avere ottenuto la prescritta
concessione e perciò imputato del reato di cui all'art. 195 del d.P.R.
29 marzo 1973, n. 156, così come modificato dall'art. 45 della legge
14 aprile 1975, n. 103, nonché dell'art. 403 del d.P.R. n. 156 del
1973, il pretore di Livorno, accogliendo analoga richiesta del
patrocinio dell'imputato, dichiarava rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2,
3 e 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, in riferimento agli artt. 3,
21, 41 e 43 della Costituzione "nella parte in cui la disciplina
legislativa non prevede la possibilità di chiedere l'autorizzazione e
l'esercizio di impianti di diffusione sonora via etere, su scala
locale, analogamente a quanto disposto per la diffusione sonora via
cavo".
Secondo l'ordinanza, per le radiodiffusioni su scala locale non
sussisterebbero "i criteri programmatici di servizio pubblico
essenziale" ed il preminente interesse generale che giustificano il
monopolio delle radiodiffusioni su scala nazionale, né quella
limitatezza di canali radiotelevisivi che hanno giustificato il timore
della costituzione di monopoli od oligopoli privati, di qui la
violazione degli artt. 21, 41 e 43 della Costituzione.
Comunque non potrebbe contestarsi la violazione dell'art. 3 della
Costituzione, dato che sussistono per la radiodiffusione via etere su
scala locale le stesse ragioni che hanno legittimato l'adozione del
regime di semplice autorizzazione per diffusioni via filo e via cavo.
Nel giudizio così promosso non vi è stata costituzione di parti.
3. - Con sentenza istruttoria in data 22 settembre 1975 il pretore
di Reggio Emilia dichiarava non doversi procedere, perché il fatto non
costituisce reato, contro il direttore ed il proprietario della
emittente denominata "Telereggio" che erano stati imputati del reato di
cui agli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 maggio 1973, n. 156, come
modificati dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, per avere,
senza la prescritta concessione, irradiato nell'area cittadina
trasmissioni televisive via etere, occupando nelle ore pomeridiane la
frequenza di Capodistria.
La sentenza veniva motivata con la considerazione che il monopolio
dello Stato è limitato alla sola diffusione televisiva circolare,
mentre le trasmissioni di Telereggio, sfruttando un'antenna di 43
gradi, presentavano un diagramma di radiazione angolare.
Avverso questa sentenza proponeva appello il Procuratore della
Repubblica sostenendone la erroneità, in quanto la locuzione
"diffusione circolare" usata nel testo legislativo non significa, come
aveva ritenuto il pretore, "diffusione" a 360 gradi ma enuncia il
concetto di "diffusione diretta a più utenti riceventi o a un numero
indeterminato di utenti".
ll giudice istruttore presso il tribunale di Reggio Emilia,
investito della cognizione di tale gravame, con ordinanza 18 novembre
1975, riconosciutane la fondatezza, prima di pronunciarsi nel merito,
riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 38 e 45 della legge 14
aprile 1975 n. 103, in riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 43 della
Costituzione.
Sostanzialmente, con tale ordinanza, attraverso una motivazione
molto diffusa: richiamate ed analizzate le sentenze di questa Corte n.
225 e n. 226 del 1974 e posto in rilievo come con la prima si è
ammessa, previa semplice autorizzazione, la installazione di ripetitori
di trasmissioni estere e con la seconda si è deciso altrettanto per le
emittenti via cavo a carattere locale; posto, altresì, in rilievo come
nella specie si utilizza la frequenza di Capodistria, nelle ore in cui
non è usata dalla stazione jugoslava; fatto presente, col richiamo
anche alla conferenza di Stoccolma riguardante il numero dei canali
televisivi assegnato all'Italia nonché ad una consulenza tecnica
depositata dagli imputati; si sostiene la tesi che le considerazioni,
in base alle quali, anche con la sentenza n. 225, si è affermata la
legittimità del monopolio statale sulle trasmissioni a scala nazionale
non sono applicabili alle trasmissioni a scala locale e se ne trae la
conseguenza della violazione degli artt. 21, 41 e 43 della
Costituzione.
Si aggiunge, poi, che la disparità di trattamento tra ripetitori
di stazioni estere e trasmissioni locali sulle stesse bande viola
palesemente l'art. 3 della Costituzione.
In questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
che con l'atto d'intervento chiede che la questione venga dichiarata
infondata, per le stesse deduzioni sopra riportate - riguardanti
l'ordinanza del pretore di Ragusa - tranne quelle relative all'art. 10
della Costituzione, la cui violazione con l'ordinanza in esame non è
stata denunziata.
4. - Il tribunale di Genova, nel corso di un giudizio di appello
contro due imputati del reato di cui all'art. 179 del r.d. 27 febbraio
1936, n. 645, modificato dall'art. 1 della legge 14 marzo 1952, n. 196
e punibile ai sensi dell'art. 195, primo ed ultimo comma, del d.P.R. 29
marzo 1973, n. 156, per avere installato in Torriglia un ripetitore per
la ricezione, prima di allora non possibile, delle trasmissioni
televisive del 2 canale nazionale RAI-TV, con ordinanza in data 21
ottobre 1975, pur mostrandosi edotto della sentenza di questa Corte n.
225 del 1974, dichiarava non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale del citato art. 195 del d.P.R. n. 156 del
1973, in riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione.
In ordine alla rilevanza della proposta questione si rileva:
a) la legge 14 aprile 1975, n. 103 non può trovare applicazione in
quanto nella specie trattasi di giudicare su fatti verificatisi prima
di tale normativa;
b) detta normativa non può considerarsi legge più favorevole al
reo, in quanto, in mancanza di "autorizzazione" oggi richiesta, il
contravventore è soggetto a sanzione identica a quella già prevista
dal citato art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156;
c) la sanatoria concessa dall'art. 44 della legge 15 aprile 1975,
n. 103 - relativa ai soli impianti già esistenti alla data di entrata
in vigore, il cui esercizio può essere regolarizzato per il futuro -
non determina abolitio criminis in ordine ai fatti anteriormente
commessi e concretizzatisi nella installazione e nel precedente
esercizio di "ripetitori" regolarizzati.
Non vi è stata costituzione di parti.
5. - Nel corso del procedimento penale a carico del responsabile
della cooperativa "Telecastelfranco" imputato del reato di cui all'art.
45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, per avere installato ed attivato
un impianto radiofonico via etere, il pretore di Castelfranco Veneto,
con ordinanza 13 novembre 1975, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 2 e 45 di detta legge, in riferimento
all'art. 21 della Costituzione.
Secondo tale ordinanza il monopolio statale in materia di
trasmissioni radiotelevisive poggerebbe sulla limitatezza dei canali
disponibili.
Partendo da questa premessa, dopo avere diffusamente illustrato
l'assunto secondo il quale quella limitatezza non sussisterebbe, si
trae la conseguenza della illegittimità del monopolio statale per
violazione dell'art. 21 della Costituzione.
Nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato che, con l'atto d'intervento, in base a deduzioni identiche
a quelle relative all'ordinanza del pretore di Ragusa, sopra riferite,
chiede che la questione venga dichiarata infondata.
6. - Nel corso di un procedimento penale a carico di alcuni
imputati del reato preveduto dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975,
n. 103, per avere installato ed esercitato in Lecco un'emittente
radiofonica a modulazione, senza avere ottenuto la relativa
concessione, il pretore di Lecco, con ordinanza 25 novembre 1975, ha
sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale degli
artt. 1, 2 e 45 della detta legge n. 103 del 1975, in riferimento agli
artt. 3 e 21 della Costituzione.
Anche se dalla motivazione di tale ordinanza potrebbe apparire che
la dedotta illegittimità costituzionale dovrebbe estendersi a tutto,
in genere, il monopolio statale sulle trasmissioni radiotelevisive via
etere, dalla circostanza che oggetto del giudizio a quo è un impianto
radiofonico su scala locale e che la violazione dell'art. 3 della
Costituzione è dedotta in riferimento al diverso trattamento usato dal
legislatore (in seguito alla sentenza di questa Corte n. 226 del 1974)
per le trasmissioni televisive via cavo, si può dedurre che, invece,
si tende a fare estendere anche alle trasmissioni radiotelevisive su
scala locale il regime dell'autorizzazione.
Comunque, mentre da quanto precede già risulta sotto quale profilo
è dedotta la violazione dell'art. 3, per quanto attiene all'art. 21
della Costituzione la violazione è dedotta sotto il profilo della
grave, e non giustificata da motivi d'interesse pubblico, limitazione
della libertà di espressione del pensiero che deriverebbe dal regime
di monopolio.
Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato che, con l'atto d'intervento, ha chiesto che la questione venga
dichiarata infondata per gli stessi motivi dedotti in relazione
all'ordinanza del pretore di Ragusa e sopra riportati.
7. - Nel procedimento penale a carico del titolare della stazione
radiofonica privata denominata "Radio Biella", svolgente esercizio di
diffusione circolare di programmi sonori via etere, senza avere
ottenuto la relativa concessione e perciò imputato del reato di cui
agli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, come
modificati dagli artt. 1, 2 e 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, il
pretore di Biella, con ordinanza 5 novembre 1975, ha sollevato
questione di legittimità di tali norme, nella parte in cui si
riferiscono anche ad impianti funzionanti entro un limitato ambito
geografico, in riferimento all'art. 21, comma primo, della
Costituzione.
Premesso che, anche con la sentenza di questa Corte n. 225 del
1974, si è riconosciuta la legittimità costituzionale del monopolio
statale in considerazione: a) della limitatezza dei canali
realizzabili; b) della inclusione dei servizi relativi tra le categorie
di imprese cui è applicabile l'art. 43 della Costituzione; c) della
ricorrenza dei requisiti del preminente interesse generale e della
utilità generale occorrenti per l'applicazione dell'art. 43; d) della
concreta impossibilità di una utilizzazione generale del mezzo; tanto
premesso nell'ordinanza si afferma che tali ragioni non sussistono per
gli impianti utilizzabili soltanto su scala locale - anche col richiamo
allo studio compiuto dal Centro delle Microonde dell'Università di
Firenze - e, pertanto, si conclude sostenendo la tesi che la grave
limitazione della libertà di espressione del pensiero che deriva dal
monopolio non è giustificata per gli impianti a raggio limitato, con
la conseguente violazione dell'art. 21, comma primo, della
Costituzione.
Nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato che, con l'atto d'intervento, chiede che la questione venga
dichiarata infondata, per gli stessi motivi già dedotti negli altri
casi di intervento di cui sopra.
8. - Nel procedimento penale a carico di alcuni imputati del reato
di cui agli artt. 1, 2 e 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, per
avere, senza la prescritta concessione governativa, installato e messo
in esercizio una stazione radiofonica privata denominata "Radio Novara"
il pretore di detta città, con ordinanza 20 dicembre 1975, accogliendo
analoga richiesta del patrocinio degli imputati, ha sollevato questione
di legittimità costituzionale, nella parte in cui si riferiscono alle
emittenti via etere a raggio limitato, delle norme sopra citate, in
riferimento agli artt. 3, 10, 21, 41 e 43 della Costituzione.
Con tale ordinanza si sostiene la tesi - già riportata nel
riferire sulle altre ordinanze di cui sopra - secondo la quale per le
trasmissioni via etere a raggio locale non sussistono le limitazioni di
canali che costituiscono il motivo fondamentale della giustificazione
del monopolio statale per le trasmissioni radio-televisive su scala
nazionale e se ne desume la violazione non soltanto degli artt. 21, 41
e 43, ma anche dell'art. 10 della Costituzione, in riferimento alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.
Si deduce, poi, anche la violazione dell'art. 3 della Costituzione,
in quanto non si è estesa alle trasmissioni via etere a raggio locale
la stessa disciplina adottata per le analoghe trasmissioni via cavo
(autorizzazione e non concessione).
Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato che, con l'atto d'intervento, ha chiesto che la questione venga
dichiarata infondata per le stesse ragioni già sopra esposte.
9. - Nel procedimento penale a carico di alcuni imputati del reato
di cui all'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, così come
modificato dagli artt. 1 e 45 della legge 9 aprile 1975, n. 103, per
aver, senza la prescritta concessione governativa, impiantato ed
utilizzato per la diffusione di programmi radio via etere in
Castelfranco di Sotto, un'antenna denominata "Radio Pisa F.M.103,1", il
pretore di San Miniato, con ordinanza 12 gennaio 1976, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2,
3, 21, 41 e 43 della Costituzione, delle norme di cui sopra, nella
parte in cui vengono ritenute applicabili agli impianti di trasmissioni
radiotelevisive via etere a raggio locale.
Anche con questa ordinanza, partendo dall'assunto che per tali
trasmissioni non sussistono le limitazioni di canali e le conseguenze
che ne possono derivare - che costituiscono il motivo fondamentale per
cui si è affermata la legittimità costituzionale del monopolio
statale sulle trasmissioni radiotelevisive a raggio nazionale - si
sostiene che la omessa estensione alle trasmissioni radio-televisive
via etere a raggio locale della stessa disciplina adottata dal
legislatore per le analoghe trasmissioni via cavo, implica la
violazione degli artt. 2, 21, 41 e 43 della Costituzione.
Dalla disparità di trattamento che deriverebbe da questa omessa
estensione si trae argomento per denunziare anche la violazione
dell'art. 3 della Costituzione.
Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato che, con l'atto d'intervento, ha chiesto che la questione venga
dichiarata infondata per gli stessi motivi sopra più volte richiamati.
10. - Nel procedimento penale a carico di Sergio Anastasio,
imputato del reato di cui agli artt. 1, 183 e 195 del codice postale
approvato con d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, per avere posto in opera
una stazione emittente televisiva via etere denominata "Emanuel C.S.C.
la nuova Radio Televisione Libera di Ancona", il pretore di Ancona, con
ordinanza 23 dicembre 1975, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 45, 46, 47, 48 e tutti gli altri
collegati, della legge 14 aprile 1975, n. 103, in riferimento agli
artt. 1, 2, 3, cpv., 9, 10, 11, 21, 33, 49 e 138 della Costituzione.
Nell'ordinanza si premette in fatto: che dall'acquisizione agli
atti di una consulenza di parte era risultata la possibilità di
coesistenza di numerose stazioni emittenti della stessa potenza di
quella installata dall'imputato; che questa non aveva mai cessato le
trasmissioni; che dal dibattimento era rimasto accertato che l'intero
impianto era stato installato con una spesa complessiva di due o tre
milioni; che le trasmissioni della "Emanuel" non disturbavano i
programmi della RAI; che a parere del teste Russo, dirigente il Circolo
costruzioni delle poste era possibile in Ancona la installazione di
almeno due o anche più stazioni emittenti, le quali potessero
trasmettere senza reciproche interferenze.
A queste premesse di fatto seguono alcune diffuse considerazioni
attraverso le quali si tende a dimostrare:
che questa Corte dovrebbe estendere il suo sindacato di
legittimità costituzionale oltre che alla normale conformità delle
leggi, anche al modo con cui sono applicate;
che, formalmente, la legge 14 aprile 1975, n. 103 appare
evidentemente ispirata alla volontà di dare piena e completa
attuazione alle statuizioni contenute nella sentenza di questa Corte n.
225 del 1974, cosicché in linea teorica la sua legittimità
costituzionale sembrerebbe ineccepibile;
che, peraltro, nell'applicazione pratica ne sono state
completamente eluse le finalità, cosicché, in concreto, le cose sono
rimaste invariate rispetto al passato;
che in conseguenza è necessario che la Corte esamini nella sua
globalità le questioni che rivelano la deviazione nella detta
applicazione pratica, delle linee fondamentali indicate dal legislatore
costituente;
che a tal fine, è forse, sovrabbondante la denuncia delle norme
costituzionali di cui si deve lamentare la violazione.
Sulla base delle considerazioni, così riassunte, viene poi il
dispositivo dell'ordinanza con il quale si denunzia, appunto, la
violazione di tutte le norme costituzionali sopra indicate e,
praticamente, si pone in discussione la legittimità costituzionale
dell'intera legge n. 103 del 1975.
È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
che con l'atto d'intervento ha chiesto che la questione venga
dichiarata irrilevante ed inammissibile.
Si è costituita poi per resistere la RAI- Radiotelevisione
italiana, il cui patrocinio, con la memoria di costituzione, ha chiesto
che la questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, dichiarata
infondata, con riserva di ogni altra deduzione ed eccezione.
Si è costituito, altresì l'Anastasio, imputato nel giudizio a
quo, il cui patrocinio, con ampia memoria, chiede che la questione
venga dichiarata irrilevante, in quanto, secondo la giurisprudenza di
numerosi pretori, le denunziate norme della legge n. 103 del 1975 non
comprendono nella riserva allo Stato della radiodiffusione le emittenti
operanti in uno ristretto ambito locale; in ogni caso confermando la
dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alle sentenze di
questa Corte n. 225 del 1974 e n. 1 del 1976, o dichiarando,
all'occorrenza, la illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 45
della legge n. 103, nella parte in cui riservano allo Stato le
trasmissioni radio-televisive locali, riportandosi sostanzialmente, al
riguardo, alla motivazione dell'ordinanza di rinvio.
Con un'ampia memoria riassuntiva l'Avvocatura dello Stato conferma
tutte le deduzioni contenute nei vari atti di intervento, illustrandole
sostanzialmente nei seguenti termini:
a) Chiarisce in primo luogo che la questione sollevata con
l'ordinanza del pretore di Ancona è irrilevante perché le censure
mosse da quel giudice si rivolgono non alla legge, della quale, anzi,
si afferma la validità, ma alla sua asserita disapplicazione, mentre
proprio l'imputazione della quale deve giudicare ne costituisce
applicazione; inammissibile perché attribuzione della Corte è
controllare la legittimità delle leggi, non già - sul metro della
Costituzione o, peggio, della legge ordinaria - il comportamento tenuto
da organi parlamentari o amministrativi o perfino da persone private in
sede di applicazione della legge;
b) In secondo luogo, rilevate che tutte le questioni - sollevate
con le varie ordinanze di cui sopra - che vengono oggi all'esame della
Corte, anche se con la denunzia della violazione di norme
costituzionali in parte diverse - compresa quella del pretore di Ancona
- hanno per oggetto l'assunto che anche per le trasmissioni
radio-televisive via etere su scala locale deve adottarsi il regime
dell'autorizzazione, come, in seguito alla sentenza di questa Corte n.
226 del 1974, si è fatto per le trasmissioni via cavo, si deduce che
questo assunto è infondato.
Al riguardo, anche attraverso il richiamo ad accertamenti tecnici,
si pone in evidenza la profonda diversità fra trasmissioni via cavo e
trasmissioni via etere, si sostiene che per quest'ultima sussiste
tuttora quella limitatezza di canali che costituì l'elemento
essenziale, riaffermato anche con la sentenza n. 225 del 1974, che
giustifica e rende necessario il monopolio statale.
Infine anche il patrocinio della RAI-TV ha depositato una diffusa
ed elaborata memoria che, mentre nella intestazione e nelle conclusioni
sembrerebbe diretta a confutare soltanto la fondatezza della questione
sollevata con l'ordinanza del pretore di Ancona, sostanzialmente
involge - espressamente elencandole - tutte le questioni prospettate
con le altre ordinanze, sopra richiamate.
Poiché soltanto per il giudizio promosso con l'ordinanza del
pretore di Ancona vi è stata tempestiva costituzione in giudizio e
tale ordinanza presenta peculiari caratteristiche per le quali non sono
ad essa pertinenti le deduzioni che riguardano le altre, ovviamente
tale memoria può essere presa in considerazione limitatamente alla
parte strettamente attinente a detta ordinanza del pretore di Ancona,
ossia limitatamente al punto indicato nell'indice con il n. 7.
Su questo punto il patrocinio della RAI-TV sostiene la
inammissibilità e subordinatamente la infondatezza della questione,
sostanzialmente con le stesse considerazioni sopra riportate
dell'Avvocatura generale dello Stato.
Nell'udienza odierna il patrono della parte privata Anastasio, con
un'ampia discussione, ha sostenuto la tesi che si debba estendere al
suo difeso la decisione che sarà adottata in ordine alle altre
ordinanze, le cui questioni sono state trattate contemporaneamente.
Alla sua volta l'Avvocatura generale dello Stato ha insistito nelle
richieste già sopra riportate.
Considerato in diritto:
1. - I dieci giudizi, promossi con le ordinanze di cui in epigrafe,
avendo per oggetto, sostanzialmente, questioni identiche o strettamente
connesse, vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2. - In ordine logico deve essere esaminata per prima la questione
sollevata con l'ordinanza 23 dicembre 1975 del pretore di Ancona, dato
che, per effetto delle eccezioni sollevate dall'Avvocatura generale
dello Stato e anche dal patrocinio della parte privata - imputata nel
giudizio a quo - si presentano problemi pregiudiziali di
ammissibilità, anche sotto il profilo del difetto di rilevanza.
Come si è detto in narrativa, infatti, con l'ordinanza in esame,
vengono denunziati, in riferimento agli artt. 1, 2, 9, 10, 11, 21, 33,
49, 138 e "ai principi generali della Costituzione", gli artt. 1, 2, 3,
4, 45, 46, 47 e 48 della legge n. 103 del 1975 e comunque l'intera
legge - che pur si afferma non presentare vizi di costituzionalità
"sul piano teorico" - in base all'asserzione che nell'applicazione
pratica si rileva la deviazione dalle linee fondamentali indicate dal
legislatore costituente.
Senonché, nella pur diffusa motivazione, a parte considerazioni
astratte, che non trovano riscontro in concrete indicazioni che possano
far individuare come e perché siano stati violati gli articoli della
Costituzione richiamati - come si riconosce nella stessa ordinanza di
rinvio - "forse in numero sovrabbondante rispetto all'effettiva
necessità" invano si ricerca la formulazione di un concreto motivo di
censura.
L'unico rilievo specifico, attraverso il quale si potrebbe giungere
ad identificare la violazione di talune norme costituzionali a
riferimento è quello relativo alle tecniche d'attribuzione dei posti
negli organi deliberanti ed alle nomine di funzionari di grado elevato
e dei dirigenti, ma è chiaro che tutto ciò non ha alcuna rilevanza ai
fini dell'oggetto del giudizio a quo.
Ne consegue che sia per contraddittorietà e carenza di
motivazione, sia per difetto di rilevanza la questione deve dichiararsi
inammissibile.
3. - Sempre in ordine logico deve essere, poi, esaminata la
questione sollevata con l'ordinanza 21 ottobre 1975 dal giudice
istruttore presso il tribunale di Genova.
Questa ordinanza ha per oggetto il procedimento penale per una
contravvenzione, punibile ai sensi dell'art. 195 del t.u. approvato con
il d.P.R. n. 156 del 1973, reato bensì permanente ma la cui permanenza
deve ritenersi cessata, per effetto della sentenza del pretore di
Genova, sezione staccata di Torriglia, in data 5 aprile 1974, sentenza
appellata dal pubblico ministero, senza peraltro contestazione della
continuazione.
Il giudice istruttore presso il tribunale di Genova era, pertanto,
investito della cognizione, in grado di appello, di un reato consumato
in data anteriore al 5 aprile 1974.
Conseguentemente, essendo nel frattempo intervenuta la sentenza di
questa Corte n. 225 del 1974, con la quale l'impugnato art. 195 del
t.u. del 1973, n. 156 è stato dichiarato costituzionalmente
illegittimo, la questione deve essere dichiarata manifestamente
infondata, come già è stato deciso, in casi identici, con la sentenza
di questa Corte n. 1 del 1976.
4. - Le altre otto ordinanze (due delle quali e precisamente quella
del pretore di Ragusa e quella del giudice istruttore presso il
tribunale di Reggio Emilia si riferiscono ad impianti per trasmissioni
televisive via etere, le altre ad impianti per trasmissioni
radiofoniche via etere) senza contestare la legittimità costituzionale
del monopolio statale per le trasmissioni radiofoniche e televisive su
scala nazionale - e richiamandosi, anzi, alle motivazioni delle
sentenze di questa Corte che l'hanno affermato - contestano la
legittimità della estensione del regime di monopolio agli impianti ed
all'esercizio di stazioni radiofoniche e televisive via etere su scala
locale, per i quali chiedono l'assoggettamento a regime di
autorizzazione in analogia con quanto è stato dichiarato con la
sentenza di questa Corte n. 226 del 1974 ed attuato con la legge n. 103
del 1975 nella parte relativa alle trasmissioni televisive via cavo.
Comune a tutte queste otto ordinanze è la tesi che il motivo
fondamentale che ha indotto questa Corte a riconoscere la legittimità
del monopolio statale è la limitatezza dei canali utilizzabili
(sentenze n. 59 del 1960 e n. 225 del 1974) e che questo motivo se può
ritenersi tuttora valido, allo stato attuale, per le trasmissioni su
scala nazionale, non lo è per quelle su scala locale.
Di qui la conseguenza che la persistente estensione del monopolio
statale a queste ultime trasmissioni sarebbe costituzionalmente
illegittima, in riferimento: a) secondo il pretore di Novara, agli
artt. 3, 10, 21, 41 e 43 della Costituzione; b) secondo il pretore di
S. Miniato, agli artt. 2, 3, 21, 41 e 43; c) secondo il pretore di
Livorno, agli artt. 3, 21, 41 e 43; d) secondo il pretore di Ragusa,
agli artt. 3, 10 e 21; e) secondo il giudice istruttore presso il
tribunale di Reggio Emilia, agli artt. 21,41 e 43; f) secondo il
pretore di Lecco, agli artt. 3 e 21; g) ed h) secondo i pretori di
Biella e di Castelfranco Veneto, all'art. 21.
A sostegno della tesi della possibilità di trasmissioni su scala
locale senza intralci né per quelle delle reti nazionali, né per
quelle di altre su scala locale, le varie ordinanze di rimessione si
richiamano o a consulenze tecniche esibite dalle parti private o allo
stato di fatto ormai esistente, secondo il quale attualmente sarebbero
funzionanti in Italia ben 400 impianti del genere.
Tanto l'Avvocatura generale dello Stato, quanto il patrocinio della
RAI-TV contestano, anzitutto, sulla base di elaborati accertamenti
tecnici, la disponibilità, se non illimitata, tuttavia
sufficientemente ampia, di canali utilizzabili per impianti su scala
locale, asserita nelle ordinanze di rimessione.
Sostengono, poi, che, come ha riconosciuto la sentenza di questa
Corte n. 225 del 1974, quello radio-televisivo costituisce un servizio
pubblico essenziale, di preminente interesse generale che, per questa
sua natura, non può formare, neppure in parte, oggetto di attività
privata.
Il patrocinio della RAI-TV, inoltre, ammette sostanzialmente
l'esistenza dello stato di fatto asserito nelle ordinanze, ma deduce
che è reso possibile soltanto transitoriamente, in quanto è in corso
di completamento lo studio da parte degli organi tecnici statali, per
la realizzazione, su scala nazionale, di due nuove reti televisive,
realizzazione che assorbirebbe gran parte della disponibilità di
canali attualmente esistenti.
L'Avvocatura generale dello Stato, infine, prospetta, senza
peraltro insistervi, una eccezione di difetto di rilevanza, comune a
tutte le ordinanze in esame, che dovrebbe trovar fondamento nella
considerazione che, agli effetti penali, sia in regime di concessione,
sia in regime di autorizzazione, la sanzione, in caso di inosservanza
delle norme che li disciplinano, è identica.
Chiariti, come precede, i termini delle tesi contrapposte, valgono,
in ordine ad esse, le considerazioni che seguono.
5. - La eccezione di difetto di rilevanza prospettata, nei termini
sopra esposti dall'Avvocatura generale dello Stato è priva di
giuridico fondamento.
L'eventuale dichiarazione di fondatezza delle questioni sollevate
con le ordinanze in esame, infatti, non implicherebbe l'automatica
applicazione agli impianti già esistenti del regime di autorizzazione,
ma renderebbe necessario l'intervento del legislatore per stabilirne i
modi e le condizioni di attuazione, in attesa del quale, poiché il
regime di autorizzazione presuppone un vero e proprio diritto perfetto
del richiedente, sarebbero inapplicabili sanzioni penali prevedute per
ipotesi diverse, anche se analoghe.
6. - Nel passare, quindi, all'esame del merito delle proposte
questioni, è necessario tener presente che, come si è posto in
rilievo in narrativa, la legittimità costituzionale del monopolio
statale per quanto attiene alle trasmissioni radiofoniche e televisive
su scala nazionale non è contestata dalle ordinanze di rimessione; le
quali anzi - in conformità con le statuizioni della sentenza di questa
Corte n. 225 del 1974 recepite dal legislatore nell'art. 1 della legge
n. 103 del 1975 - ne riconoscono il carattere di servizio pubblico
essenziale e di preminente interesse generale.
La tesi fondamentale - comune a tutte le ordinanze e sopra
ricordata - sulla quale poggiano le denunziate violazioni di norme
costituzionali, consiste nell'affermazione che il presupposto del
riconoscimento della legittimità di tale monopolio è la limitatezza
dei canali disponibili e che tale presupposto non sussiste per quanto
attiene alle trasmissioni su scala locale.
Ai fini del decidere è, quindi, necessario accertare se e sino a
qual punto siano esatti i termini giuridici e di fatto sui quali poggia
la tesi come sopra riassunta.
A tale riguardo è da rilevare che dalle sentenze n. 59 del 1960 e
n. 225 del 1974 risulta in modo del tutto evidente che questa Corte al
riconoscimento della legittimità del monopolio statale è pervenuta
sul presupposto della limitatezza dei canali utilizzabili.
Ma, nel contempo, emerge la considerazione dell'attività d'impresa
di cui si tratta, come servizio pubblico essenziale e di preminente
interesse generale.
Stante ciò, ove si constati - come è ragionevole fare sulla base
delle diffuse cognizioni tecniche e delle pratiche realizzazioni in
atto esistenti - la ingiustificatezza, allo stato attuale, della tesi
secondo cui sussisterebbe una concreta limitatezza in ordine alle
frequenze utilizzabili per le trasmissioni radiofoniche e televisive,
deve riconoscersi su scala locale che il relativo presupposto non possa
ulteriormente essere invocato.
Il che, però, non richiede né tanto meno comporta che debba
escludersi la legittimità costituzionale delle norme che riservano
allo Stato le trasmissioni radiofoniche e televisive su scala
nazionale. Giacché - e ciò giova ribadirlo in modo espresso - la
radiodiffusione sonora e televisiva su scala nazionale rappresenta un
servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale.
7. - Ne consegue che la normativa de qua, oggetto di denuncia, si
appalesa costituzionalmente illegittima in riferimento agli artt. 3 e
21 della Costituzione.
Sotto il profilo della violazione dell'art. 3, in quanto che, se
non sussiste la illimitatezza di frequenze, propria delle trasmissioni
via cavo, esiste, tuttavia, per le trasmissioni su scala locale via
etere una disponibilità sufficiente a consentire la libertà di
iniziativa privata senza pericolo di monopoli od oligopoli privati,
dato anche il costo non rilevante degli impianti, cosicché il non
consentirla - al contrario di quanto si è fatto per le trasmissioni
via cavo - implica violazione del principio di eguaglianza, sancito
dalla norma a riferimento.
Sotto il profilo della violazione dell'art. 21 della Costituzione,
giacché, esclusa la possibilità di monopoli od oligopoli per le
trasmissioni su scala locale, viene meno l'unico motivo che per queste
ultime trasmissioni possa giustificare quella grave compressione del
fondamentale principio di libertà, sancito dalla norma a riferimento,
che anche un monopolio di Stato necessariamente comporta.
8. - Il riconoscimento del diritto di iniziativa privata, nei
limiti risultanti da quanto precede, data la connessione con il
servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale,
costituito, tra l'altro, dalla diffusione via etere su scala nazionale
di programmi radiofonici e televisivi ed affidato al monopolio statale,
postula la necessità dell'intervento del legislatore nazionale perché
stabilisca l'organo dell'amministrazione centrale dello Stato
competente a provvedere all'assegnazione delle frequenze ed
all'effettuazione dei conseguenti controlli, e fissi le condizioni che
consentano l'autorizzazione all'esercizio di tale diritto in modo che
questo si armonizzi e non contrasti con il preminente interesse
generale di cui sopra e si svolga sempre nel rigoroso rispetto dei
doveri ed obblighi, anche internazionali, conformi a Costituzione.
In particolare si dovranno stabilire: a) i requisiti personali del
titolare dell'autorizzazione e dei suoi collaboratori, che diano
affidamento di corretta e responsabile gestione delle trasmissioni; b)
le caratteristiche tecniche degli impianti e la relativa zona di
servizio, nonché la specificazione delle frequenze e dei canali
utilizzabili; c) l'esatta indicazione dell'ambito di esercizio, il cui
carattere "locale" deve essere ancorato a ragionevoli parametri
d'ordine geografico, civico, socio-economico, che consentano di
circoscrivere una limitata ed omogenea zona di utenza, senza, peraltro,
eccessive restrizioni, tali da vanificare l'esercizio medesimo; d)
eventuale fissazione di turni ed adozione di ogni altro accorgimento
tecnico, al fine di non turbare il normale svolgimento del servizio
come sopra riservato allo Stato ai sensi degli artt. 1 e 2 della citata
legge n. 103 del 1975 e di ogni altro servizio parimenti riservato allo
Stato; ed al fine di rendere possibile il concorrente esercizio di
attività da parte degli altri soggetti autorizzati; e) limiti
temporali per le trasmissioni pubblicitarie, in connessione con gli
analoghi limiti imposti al servizio pubblico affidato al monopolio
statale; f) ogni altra condizione necessaria perché l'esercizio del
diritto, previa autorizzazione, si svolga effettivamente nell'ambito
locale e non dia luogo a forme di concentrazione o situazioni di
monopolio o oligopolio.
Ove concorrano le condizioni, da stabilire nei modi sopra indicati,
il rilascio dell'autorizzazione è vincolato e non meramente
discrezionale, con tutte le conseguenze giuridiche che tale natura
dell'atto comporta nel nostro ordinamento.
9. - Va, infine, rilevato che nell'art. 14, comma primo, lett. d),
della legge n. 103 del 1975 è posta a carico della società
concessionaria "la realizzazione graduale di altri impianti radiofonici
e televisivi, ad esaurimento delle disponibilità consentite dalle
frequenze assegnate all'Italia dagli accordi internazionali per i
servizi di radiodiffusione"; e va considerato che dalla presente
declaratoria di illegittimità costituzionale consegue, a norma
dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la stessa declaratoria
per il detto art. 14 per la parte in cui è previsto l'esaurimento
delle disponibilità.