Ritenuto in fatto
1.– Le Regioni Puglia, Toscana, Campania e la Regione autonoma Sardegna hanno impugnato, con ricorsi iscritti, rispettivamente, ai numeri 28, 29, 31 e 30 reg. ric. 2024, la legge 26 giugno 2024, n. 86 (Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione), nella sua totalità e anche con riferimento a specifiche disposizioni.
2.– La Regione Puglia premette ai motivi di ricorso due considerazioni generali. Con la prima, pone in dubbio la stessa possibilità di adottare una legge quadro attuativa dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, e i benefici da essa ricavabili, rilevando che la legge n. 86 del 2024 non fissa limiti al conferimento di ulteriori forme di autonomia, lasciando il Presidente del Consiglio dei ministri arbitro della loro individuazione. Con la seconda considerazione, la Regione preannuncia di denunciare sia la lesione diretta delle proprie competenze sia la violazione di norme esterne al Titolo V della Parte II della Costituzione, con “ridondanza” sulle attribuzioni regionali. Inoltre, precisa che il carattere di legge quadro non esclude l’attualità dell’interesse a ricorrere.
2.1.– Con il primo motivo, la Regione Puglia impugna l’intera legge n. 86 del 2024, per violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. Lo Stato non sarebbe legittimato ad approvare una legge quadro attuativa dell’art. 116, terzo comma, Cost., perché tale disposizione non la prevede e, anzi, contiene «indicazioni precise» quanto al procedimento di attribuzione delle ulteriori forme di autonomia. Il testo costituzionale, dunque, sarebbe «autosufficiente».
Tutti gli altri motivi di ricorso, riguardanti specifiche disposizioni della legge, sono proposti in via subordinata al primo.
2.2.– Con il secondo motivo, la Regione impugna gli artt. 1, commi 1 e 2, e 2 della legge n. 86 del 2024 per violazione degli artt. 3, 116, terzo comma, 117, terzo comma, e 119 Cost.
Poiché gli artt. 1 e 2 non limiterebbero le competenze devolvibili, l’intesa regolata dall’art. 2 potrebbe avere ad oggetto «tutte le funzioni di tutte le materie» menzionate dall’art. 116, terzo comma, Cost.
Questo parametro sarebbe violato perché consente l’attribuzione di «[u]lteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s) […]». Da un lato, l’aggettivo «concernenti» individuerebbe «un perimetro certamente minore di quello nel quale si situa un intero ambito materiale», dall’altro l’aggettivo «particolari» impedirebbe la devoluzione di funzioni in tutte le materie menzionate nell’art. 116, terzo comma, Cost. Inoltre, l’espressione «condizioni particolari di autonomia» imporrebbe un’analisi dei dati socio-economici della singola regione e l’illustrazione delle ragioni che rendono la maggiore autonomia adeguata al contesto sociale di riferimento.
L’art. 117, terzo comma, Cost. sarebbe violato perché l’integrale devoluzione di tutte le funzioni in tutte le materie concorrenti comporterebbe «la sostanziale scomparsa dall’ordinamento giuridico della stessa potestà legislativa concorrente dello Stato», con conseguente «frammentazione insanabile» dell’ordinamento stesso.
Le censure sopra esposte sarebbero ammissibili «in quanto assumono a paradigmi disposizioni costituzionali che regolano i rapporti tra Stato e autonomie».
In via ulteriormente subordinata, qualora questa Corte ritenesse che l’art. 116, terzo comma, Cost., legittimi la devoluzione di tutte le funzioni in tutte le materie, la Regione Puglia contesta la stessa disposizione costituzionale, in riferimento ai principi supremi di cui agli artt. 2, 3, 5, 114, 117 e 120 Cost. La Regione invoca, in particolare, i principi di unità della Repubblica (art. 5 Cost.; viene citata la sentenza n. 118 del 2015 di questa Corte), di tutela dei diritti e attuazione dei doveri di solidarietà sociale dei cittadini in condizioni di eguaglianza (artt. 2 e 3 Cost.), di leale collaborazione (artt. 5, 114, 117 e 120 Cost.). Secondo la ricorrente, la devoluzione di tutte le funzioni pubbliche in tutte le materie di cui all’art. 116, terzo comma, Cost., «reseca il confronto dialettico per la protezione delle esigenze unitarie dell’ordinamento in un ventaglio così elevato di ambiti che fatalmente si arriva alla violazione dell’art. 5 Cost.». La Regione impugna, così, l’art. 116, terzo comma, Cost., con lo stesso secondo motivo del ricorso, considerando la censura ammissibile in quanto l’interesse è sorto solo «con l’illegittima interpretazione data […] dalla l. n. 86 del 2024», oppure chiede a questa Corte di sollevare davanti a se stessa questione di legittimità costituzionale sulla medesima norma costituzionale, per violazione dei principi supremi sopra citati.
2.3.– Con il terzo motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna gli artt. 1, comma 2, 2, comma 1, 3 e 4 della legge n. 86 del 2024, che «incidono nell’an e nel quomodo della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». In particolare, tali norme sarebbero costituzionalmente illegittime perché consentirebbero di attribuire «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., «senza che siano stati previamente determinati i LEP» in tutte le materie ivi contemplate, e perché, «in ogni caso, delineano un procedimento di determinazione e aggiornamento dei LEP violativo del principio di leale collaborazione», come ricostruito dalla giurisprudenza di questa Corte. La Regione, pertanto, lamenta la violazione degli artt. 2, 3, 5, 81, 97, 116, 117, 119 e 120 Cost., e del principio di leale collaborazione.
In particolare, la Regione censura l’art. 1, comma 2, là dove prevede che l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia richiede la previa determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) nelle «materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale», presupponendo che vi siano materie nelle quali non sarebbe possibile né doveroso determinare i LEP; invece, secondo la ricorrente, «[t]utte le materie […] sono “LEP-condizionate”».
È poi contestato l’art. 3, comma 3, che indica le materie in cui vanno determinati i LEP; tale norma renderebbe possibile attuare l’art. 116, terzo comma, Cost. nelle nove materie escluse dall’elenco senza previa determinazione dei LEP.
È, inoltre, impugnato anche l’art. 4, comma 2, che prevede il trasferimento delle funzioni in materie diverse da quelle riferibili ai LEP.
Tali norme violerebbero: l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., che investirebbe tutte le materie previste dall’art. 117 Cost.; l’art. 116, terzo comma, Cost., che – interpretato alla luce dei principi solidaristico e di unità di cui agli artt. 2 e 5 Cost. – imporrebbe la determinazione dei LEP (in tutte le materie menzionate nello stesso art. 116 Cost.) prima della sua attuazione; l’art. 119 Cost. che, nei commi terzo, quarto e quinto, previene gli squilibri economici e sociali, che sarebbero invece favoriti dalle norme sopra citate; l’art. 120, secondo comma, Cost., in quanto l’intervento sostitutivo a tutela dei LEP non sarebbe possibile nelle nove materie ritenute dalla legge non riferibili ai LEP; l’art. 3 Cost, perché le norme in questione limiterebbero in modo irragionevole le materie in cui vanno determinati i LEP. Quest’ultima violazione ridonderebbe su tutte le attribuzioni costituzionali della Regione Puglia perché esse risentirebbero «della mancata armonica considerazione dell’intero quadro rilevante» in tema di determinazione dei LEP. Anche a voler ritenere che questi ultimi debbano essere determinati non in tutte le materie menzionate dall’art. 116, terzo comma, Cost. ma solo in quelle «potenzialmente oggetto di devoluzione», la violazione dell’art. 3 Cost. ridonderebbe sulle attribuzioni regionali, sia nelle materie che la legge ha escluso dalla determinazione dei LEP, sia nelle materie non escluse, data l’arbitrarietà della selezione delle materie stesse.
La necessità di fissare i LEP (almeno) in tutte le materie menzionate dall’art. 116, terzo comma, Cost., sarebbe confermata dalle sentenze di questa Corte n. 282 del 2002 e n. 220 del 2021 e dall’art. 1, comma 791, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025).
Ancora, le norme in questione violerebbero gli artt. 81 e 97 Cost. I LEP costituirebbero la soglia di spesa costituzionalmente necessaria e, quindi, condizionerebbero la destinazione delle risorse, «mentre nel caso di specie tale destinazione è assolutamente irrazionale».
Per dimostrare l’irragionevolezza delle norme censurate, la Regione prende in esame tre delle nove materie escluse, argomentando che nelle materie «previdenza complementare e integrativa», «professioni» e «organizzazione della giustizia di pace» sarebbero ben determinabili i LEP.
Ancora, l’art. 2, comma 1, della legge n. 86 del 2024, là dove stabilisce che «il negoziato […], con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 3, è svolto per ciascuna singola materia o ambito di materia», presupporrebbe che le nove materie escluse dalla determinazione dei LEP «possono essere devolute alle Regioni richiedenti non solo immediatamente […] ma persino “in blocco”». Ciò si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3, 5, 81, 97, 116, terzo comma, 117, secondo comma, lettera m), 119, terzo, quarto e quinto comma, e 120 Cost., per le ragioni sopra esposte.
Quanto al profilo procedurale, la Regione contesta l’art. 3, commi 1, 2 e 7, della legge n. 86 del 2024, per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Il comma 1 stabilisce che, «[a]i fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP), il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, sulla base dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197». Il comma 2 dispone che «[i] decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con i Ministri competenti e previa acquisizione del parere della Conferenza unificata […]». Il comma 7 statuisce che «[i] LEP possono essere aggiornati periodicamente in coerenza e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, […] con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e il Ministro dell’economia e delle finanze. […] Sugli schemi di decreto è acquisito il parere della Conferenza unificata […]».
Tali norme sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto il principio di leale collaborazione imporrebbe, sia per i decreti legislativi di cui al comma 2 sia per i d.P.C.m. di cui al comma 7, l’intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in luogo del mero parere della Conferenza unificata, come si ricaverebbe anche dall’art. 1, comma 554, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».
In subordine, secondo la ricorrente, l’art. 3 avrebbe dovuto prevedere l’intesa (e non il mero parere) in sede di Conferenza unificata.
Sarebbe costituzionalmente illegittimo anche l’art. 3, comma 5, della legge n. 86 del 2024, che attiene alla fase di monitoraggio dell’effettiva garanzia dell’erogazione dei LEP nelle regioni che hanno sottoscritto le intese, e prevede che «[l]a Conferenza unificata, sulla base degli esiti del monitoraggio effettuato ai sensi di quanto previsto dal comma 4, adotta, sentito il Presidente della Regione interessata, le necessarie raccomandazioni alle Regioni interessate al fine di superare le criticità riscontrate». Tale norma, non attribuendo alcun ruolo alla Conferenza Stato-regioni, violerebbe il principio di leale collaborazione.
In subordine, l’art. 3, comma 5, sarebbe costituzionalmente illegittimo perché «consente alla Conferenza unificata esclusivamente il potere di adottare mere raccomandazioni».
2.4.– Con il quarto motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna l’art. 3, commi 1, 4 e 7, della legge n. 86 del 2024 per violazione degli artt. 23, 76 e 117 Cost.
Il comma 1, come visto, prevede una delega legislativa per l’individuazione dei LEP. Il comma 4 dispone che «[i] decreti di cui al presente articolo definiscono le procedure e le modalità operative per monitorare l’effettiva garanzia in ciascuna Regione dell’erogazione dei LEP in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonché la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione […]». Queste norme violerebbero l’art. 76 Cost. per l’«omessa fissazione di princìpi e criteri direttivi», e tale vizio ridonderebbe in «violazione del riparto di competenze tra lo Stato e l’odierna ricorrente in tutte le materie di cui all’art. 117 Cost.».
In particolare, l’art. 3, comma 1, violerebbe l’art. 76 Cost. perché rinvia ai «princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197», ma nelle norme richiamate non solo non si rinverrebbe «alcun principio o criterio direttivo idoneo a vincolare l’attività governativa di individuazione dei LEP», ma figurerebbero «previsioni che appaiono persino in distonia con la stessa previsione della delega legislativa».
Dal canto suo, l’art. 3, comma 7, già citato, violerebbe il principio di legalità sostanziale ricavabile dall’art. 23 Cost., in quanto conferirebbe «all’Esecutivo un potere discrezionale privo di qualsivoglia delimitazione per legge», e anche l’art. 117, secondo comma, lettera m), che affida alla legge statale la determinazione dei LEP. La definizione dei LEP con fonte legislativa sarebbe «pura apparenza», dato che i LEP determinati con decreto legislativo potrebbero essere modificati con atto amministrativo.
2.5.– Con il quinto motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna le norme di carattere finanziario, cioè gli artt. 5, 8, comma 2, e 9, commi 1 e 3, della legge n. 86 del 2024, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 28, 81, 97, 116, 117 e 119 Cost.
L’art. 5, comma 2, stabilisce che l’intesa fra Stato e regione «individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale». L’art. 8, comma 2, dispone che, in caso di «scostamento dovuto alla variazione dei fabbisogni ovvero all’andamento del gettito dei medesimi tributi», il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, «previa intesa in sede di Conferenza unificata, adotta, su proposta della Commissione paritetica, le necessarie variazioni delle aliquote di compartecipazione definite nelle intese ai sensi dell’articolo 5, comma 2, garantendo comunque l’equilibrio di bilancio e nei limiti delle risorse disponibili». L’art. 9, comma 1, statuisce che «[d]all’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», mentre il comma 3 dispone che «[p]er le singole Regioni che non siano parte delle intese approvate con legge in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è garantita l’invarianza finanziaria nonché il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all’articolo 119, terzo, quinto e sesto comma, della Costituzione […]».
Secondo la ricorrente, questi criteri non potrebbero essere «tutti contestualmente rispettati»: dunque, tali norme sarebbero contraddittorie e irragionevoli, in violazione dell’art. 3 Cost. Inoltre, esse determinerebbero «nuovi oneri privi di adeguata copertura di bilancio ex art. 81 Cost.»: i lavori preparatori non illustrerebbero adeguatamente il fatto che dall’applicazione della legge impugnata «sia possibile garantire il finanziamento delle funzioni da devolvere tramite la compartecipazione al gettito e, contemporaneamente evitare nuovi e maggiori oneri per lo Stato, così assicurando l’invarianza finanziaria per le Regioni». Anche gli artt. 116, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. sarebbero violati perché la concessione di ulteriori forme e condizioni di autonomia a una regione non potrebbe determinare una riduzione dell’autonomia delle altre, «nemmeno in termini di minore disponibilità di entrata o di spesa, circostanza che comporterebbe una compressione della competenza in materia di “coordinamento della finanza pubblica”». La stessa concessione non potrebbe «determinare l’erosione delle risorse che lo Stato impiega per le finalità indicate dall’art. 119, commi 3, 5 e 6, Cost.». La mancata garanzia dell’invarianza finanziaria per le altre regioni comprimerebbe la capacità di finanziare integralmente le loro funzioni e, dunque, implicherebbe la violazione dell’art. 119, quarto comma, Cost. Infine, la soluzione (unica e obbligata) della compartecipazione alle entrate erariali violerebbe gli artt. 3 e 116 Cost., perché discriminerebbe in modo irragionevole le regioni connotate da minore capacità fiscale per abitante, la cui possibilità di accedere a ulteriori forme di autonomia sarebbe pregiudicata «di fatto e di diritto». L’art. 116 Cost. non contemplerebbe alcuna distinzione tra regioni con maggiore o minore capacità fiscale per residente. Il privilegio dato alle regioni con maggiore capacità fiscale si porrebbe in contrasto anche con l’art. 119, terzo comma, Cost., che imporrebbe invece «meccanismi correttivi».
In particolare, il citato art. 9, comma 1, sarebbe costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 81 Cost., perché «non è possibile la devoluzione di ulteriori funzioni alle Regioni senza che nuovi o maggiori oneri si determinino»: la stessa legge impugnata lo ammetterebbe, prevedendo il finanziamento tramite la compartecipazione. I risparmi per lo Stato sarebbero solo parziali, dovendo esso mantenere comunque attivi gli uffici relativi alle altre regioni e sostenere i costi del monitoraggio. La clausola d’invarianza finanziaria sarebbe, inoltre, inaffidabile perché la legge impugnata non avrebbe previsto che, anche nelle materie (ipoteticamente) estranee ai LEP, la devoluzione di nuove funzioni sia possibile «(almeno) solo dopo la definizione, anche in quegli ambiti materiali, di fabbisogni e costi standard, anche a protezione dei vincoli di bilancio». La Regione cita a sostegno l’intervento dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) presentato il 6 giugno 2023 alla I Commissione del Senato, la memoria della Banca d’Italia del 19 giugno 2023, depositata davanti alla stessa Commissione, il dossier del Servizio bilancio della Camera dei deputati n. 203 del 2 maggio 2024 e la lettera del 10 ottobre 2023 inviata dall’allora Governatore della Banca d’Italia al Comitato per l’individuazione dei LEP.
La Regione Puglia osserva che l’art. 9, comma 1, «autorizza sin d’ora lo Stato e le Regioni richiedenti ad agire nella stipula delle intese come se non si dovessero produrre nuovi o maggiori oneri», «esonerando le parti dall’apprestare adeguate risorse finanziarie»: ciò dimostrerebbe «la piena sussistenza e l’attualità dell’interesse al ricorso». La ricorrente sottolinea poi le «deficienze» della relazione tecnica allegata al disegno di legge da cui ha avuto origine la legge impugnata.
Infine, il citato art. 8, comma 2, prevedendo «le necessarie variazioni delle aliquote di compartecipazione definite nelle intese» in caso di scostamento dovuto anche alla semplice «variazione […] dei fabbisogni», oltre che «all’andamento del gettito dei medesimi tributi», consentirebbe alla regione di «spendere a piacimento […] sicura della successiva copertura». Ciò violerebbe: il principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.); il principio della «finanza sana e responsabile» (art. 81 Cost.); il principio della solidarietà inter-regionale di cui all’art. 119 Cost.; il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; il principio (desumibile dagli artt. 1 e 28 Cost.) secondo il quale il decisore pubblico dovrebbe essere sempre responsabile delle proprie scelte.
2.6.– Con il sesto motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna gli artt. 4, comma 1, 9, comma 2, e 10.
L’art. 4, comma 1, dispone quanto segue: «Il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP di cui all’articolo 3, può essere effettuato, secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese, soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio. Qualora dalla determinazione dei LEP di cui al primo periodo derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si può procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità di trattamento tra Regioni, coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio […]».
L’art. 9, comma 2, dispone che, «[f]ermo restando quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, il finanziamento dei LEP sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard è attuato nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e degli equilibri di bilancio».
L’art. 10, comma 1, stabilisce che lo Stato «promuove l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti dallo Stato e dalle amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione, previa ricognizione delle risorse allo scopo destinabili […]».
Secondo la ricorrente, tali norme, da un lato, riconoscerebbero che la determinazione dei LEP comporta nuovi oneri, dall’altro imporrebbero il rispetto dell’equilibrio di bilancio e, dunque, dello status quo relativo alle risorse; da un lato, contemplerebbero la semplice “promozione” dei diritti, dall’altro la loro necessaria “garanzia”. Di qui la violazione: dell’art. 2 Cost., che impone il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini; del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.; del principio di ragionevolezza ex art. 3, primo comma, Cost., che sarebbe violato «dall’intima e insanabile contraddittorietà tra l’art. 9, comma 2, e l’art. 4, comma 1, della legge impugnata»; dell’art. 81 Cost., in quanto i LEP necessariamente comporterebbero nuovi e maggiori oneri, «destinati a rimanere privi di copertura»; dell’art. 119 Cost., in quanto le norme in questione contrasterebbero «con l’obbligo di adeguato e integrale finanziamento delle funzioni pubbliche e delle misure perequative e di coesione». Tali vizi ridonderebbero nella lesione delle attribuzioni costituzionali della ricorrente, in quanto la revisione dei LEP in regime di invarianza finanziaria comporterebbe «la creazione di nuovi e maggiori oneri anche per tutte le Regioni». Tale circostanza, in mancanza di adeguata copertura, implicherebbe «la lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni non richiedenti l’autonomia particolare, che ridonda in lesione della competenza regionale nella materia del “coordinamento della finanza pubblica” ex art. 117, comma 3, Cost.». Sarebbe violato anche l’art. 119, quarto comma, Cost., «in quanto l’aggiornamento e la revisione dei LEP in regime di invarianza finanziaria comporta l’impossibilità di un integrale finanziamento delle funzioni amministrative delle Regioni».
2.7.– Con il settimo motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna l’art. 9, comma 4, in base al quale, «[a]l fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, resta ferma la possibilità di prevedere anche per le Regioni che hanno sottoscritto le intese, ai sensi dell’articolo 2, il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, tenendo conto delle vigenti regole di bilancio e delle relative procedure […]».
Tale norma renderebbe «meramente facoltativa, per lo Stato, l’imposizione di oneri di finanza pubblica alle Regioni ad autonomia particolare». In particolare, tali regioni potrebbero sottrarsi ai meccanismi di cui all’art. 1, comma 851, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023). Di qui la violazione: dell’art. 3 Cost., per l’«evidente discriminazione tra le Regioni non richiedenti e quelle ad autonomia particolare»; dell’art. 116, terzo comma, Cost., «in quanto il modello di autonomia particolare ivi previsto non consente che la Regione che ottiene ulteriori forme di autonomia sia per qualsiasi ragione esonerata dal contribuire al conseguimento degli oneri di finanza pubblica»; dell’art. 116, primo comma, Cost., in quanto le regioni ad autonomia particolare «otterrebbero un trattamento addirittura migliore delle Regioni ad autonomia speciale che […] devono partecipare al conseguimento degli obiettivi nazionali di finanza pubblica»; della competenza in materia di coordinamento della finanza pubblica ex art. 117, terzo comma, Cost. delle regioni non richiedenti, che sarebbero «tenute a farsi carico degli obiettivi di finanza pubblica anche in favore delle Regioni ad autonomia particolare».
2.8.– Con l’ottavo motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna diverse disposizioni della legge n. 86 del 2024, concernenti «le modalità di coinvolgimento della Conferenza unificata nel complesso procedimento stabilito dalla legge».
L’art. 2, comma 4, stabilisce che «[l]o schema di intesa preliminare di cui al comma 3 è immediatamente trasmesso alla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per l’espressione del parere […]». La ricorrente rileva che l’art. 2 non prevede altri interventi della Conferenza unificata nel procedimento di approvazione dell’intesa tra Stato e regione, neppure al comma 8 («Il disegno di legge di cui al comma 6, cui è allegata l’intesa, è immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione»): ciò significherebbe che la Conferenza unificata non sarebbe «in alcun modo coinvolta nell’ipotesi di modifica, in sede parlamentare, del disegno di legge governativo».
L’art. 7, comma 1, regola la durata massima dell’intesa (dieci anni) e stabilisce la possibilità della sua modifica «[c]on le medesime modalità previste nell’articolo 2». Inoltre, dispone che «[l]’intesa prevede inoltre i casi, i tempi e le modalità con cui lo Stato o la Regione possono chiedere la cessazione della sua efficacia», e che «lo Stato, qualora ricorrano motivate ragioni a tutela della coesione e della solidarietà sociale, conseguenti alla mancata osservanza, direttamente imputabile alla Regione sulla base del monitoraggio di cui alla presente legge, dell’obbligo di garantire i LEP, dispone la cessazione integrale o parziale dell’intesa, che è deliberata con legge a maggioranza assoluta delle Camere». Il comma 2 prevede che, «[a]lla scadenza del termine di durata, l’intesa si intende rinnovata per un uguale periodo, salvo diversa volontà dello Stato o della Regione, manifestata almeno dodici mesi prima della scadenza». Il comma 4 dispone che «[l]a Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, il Ministero dell’economia e delle finanze o la Regione possono, anche congiuntamente, disporre verifiche su specifici profili o settori di attività oggetto dell’intesa con riferimento alla garanzia del raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché il monitoraggio delle stesse, e a tal fine ne concordano le modalità operative».
L’art. 8, comma 1, stabilisce che «[l]a Commissione paritetica di cui all’articolo 5, comma 1, procede annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti, per ciascuna Regione interessata, dall’esercizio delle funzioni e dall’erogazione dei servizi connessi alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […]», e «fornisce alla Conferenza unificata e alle Camere adeguata informativa degli esiti della valutazione degli oneri finanziari».
Tali norme non contemplerebbero alcun ruolo della Conferenza unificata o, al massimo, un ruolo meramente consultivo. Secondo la ricorrente, invece, sarebbe doveroso prevedere forme di effettivo coinvolgimento anche degli enti locali delle altre regioni (anche non titolari di forme di autonomia particolare), perché, nell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., si tratterebbe «di redistribuire competenze e, soprattutto, risorse con effetti di carattere generale». Dunque, le norme citate sarebbero costituzionalmente illegittime, per violazione del principio di leale collaborazione, là dove non prevedono l’intesa in sede di Conferenza unificata o, in subordine, in sede di Conferenza Stato-regioni. La Regione cita a sostegno la sentenza n. 251 del 2016 di questa Corte. Inoltre, sarebbero violate le «garanzie di adeguato finanziamento delle funzioni attribuite alle Regioni […] nonché di efficienza delle politiche di coesione, perequazione e solidarietà territoriale ex art. 119 Cost.».
La ricorrente segnala anche che l’art. 5 della legge n. 86 del 2024 si occupa dei «Princìpi relativi all’attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento», disponendo la costituzione di una Commissione paritetica Stato-Regione-Autonomie locali ma non prevedendo «alcun passaggio in Conferenza unificata». Anche tale norma violerebbe il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., «ciò che ridonda anche in violazione degli artt. 2 e 3 Cost.», perché «proprio l’individuazione dei beni e delle risorse umane, strumentali e organizzative necessari per l’esercizio da parte della Regione delle ulteriori forme di autonomia necessita dell’interlocuzione con tutto il comparto delle autonomie regionali».
Infine, la legge impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima perché per diverse materie vi sarebbe «un’inevitabile interconnessione tra singole Regioni, la cui regolazione in termini costituzionalmente corretti» sarebbe impedita dalla legge stessa là dove «non ha previsto la necessità di intese bilaterali (o plurilaterali) tra Regioni». La ricorrente porta l’esempio delle «grandi reti di trasporto e di navigazione».
2.9.– Con il nono motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna l’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 86 del 2024. Il comma 1 dispone che il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, decorso il termine di cui al medesimo comma, «avvia comunque il negoziato» con la regione richiedente e «tiene conto del quadro finanziario della Regione». In base al comma 2, «[a]l fine di tutelare l’unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie, il Presidente del Consiglio dei ministri […] può limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell’atto di iniziativa».
Tali norme violerebbero l’art. 116, terzo comma, Cost., che non farebbe «alcun riferimento ad attribuzioni di questo tipo», e l’art. 120 Cost., dal momento che detto parametro si riferirebbe esclusivamente «all’unità giuridica ed economica quali interessi perseguibili dal Governo», non all’«indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie».
Inoltre, l’art. 2, comma 1, là dove prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri «tiene conto del quadro finanziario della Regione», violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto il «quadro finanziario» sarebbe «nozione troppo ampia e imprecisa» e, dunque, la norma impugnata sarebbe «indeterminata e […] non comprensibile» (la ricorrente cita la sentenza n. 110 del 2023 di questa Corte). Ancora, dato che non sarebbero chiare le conseguenze di una valutazione negativa del «quadro finanziario», sarebbero violati gli artt. 23 e 97 Cost. (insieme all’art. 3 Cost.), poiché la legge conferirebbe irragionevolmente «un’attribuzione a un organo esecutivo senza delimitarne normativamente il perimetro in violazione del principio di legalità» e incidendo negativamente sul buon andamento dell’amministrazione.
Anche l’art. 2, comma 2, violerebbe gli artt. 3, 23 e 97 Cost. là dove si riferisce all’unità di «indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie», perché tale concetto sarebbe un’«invenzione» della legge impugnata, «gravemente […] indeterminato».
2.10.– Con il decimo motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna l’art. 7, commi 3 e 5. In base al comma 3, «[c]iascuna intesa individua, in un apposito allegato, le disposizioni di legge statale che cessano di avere efficacia, nel territorio regionale, con l’entrata in vigore delle leggi regionali attuative dell’intesa». In base al comma 5, «[l]e disposizioni statali successive alla data di entrata in vigore delle leggi di approvazione di intese osservano le competenze legislative e l’assegnazione delle funzioni amministrative nonché le ulteriori disposizioni contenute nelle intese».
Il comma 3 lascerebbe «alla mera contrattazione tra Governo e Regione interessata l’individuazione delle leggi da indicare nell’elenco», sicché si consentirebbe alla singola intesa, «ad esempio, di determinare la cessazione dell’efficacia di norme statali attuative di obblighi eurounitari o internazionali (in violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.) o di norme a contenuto costituzionalmente vincolato». Inoltre, la norma impugnata non chiarirebbe «se siamo di fronte a un fenomeno di abrogazione della legge statale (limitata, peraltro, a una porzione di territorio), oppure a una sua deroga o sospensione, con violazione del principio di ragionevolezza e di quello di determinatezza del dettato normativo». Qualora si trattasse di abrogazione, «dichiararla spetterebbe solo all’interprete, in particolare al giudice», chiamato a verificare, ad esempio, che la legge regionale disciplini la materia in misura sufficiente a determinare l’abrogazione di quella statale. Di qui la violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), del principio della soggezione del giudice alla sola legge (art. 101 Cost.), in quanto il comma 3 predeterminerebbe «l’esito dell’attività interpretativa del magistrato», nonché degli artt. 5, 116, 117 e 120 Cost. Nelle materie richiamate dall’art. 116, terzo comma, Cost., infatti, sussisterebbero «incomprimibili esigenze di disciplina unitaria»; il fatto che l’intesa regoli «la forza prescrittiva della legislazione statale» equivarrebbe a stabilire che «l’intesa possa interferire anche col rapporto tra legge statale e leggi delle altre Regioni che non hanno chiesto (o avuto accesso a) l’autonomia particolare».
Secondo la Regione, il comma 5 presupporrebbe che le intese «possano addirittura incidere nell’applicabilità delle norme statali pro futuro, anche in pregiudizio delle altre Regioni, limitando la forza prescrittiva di leggi che ancora devono essere approvate». Ciò contrasterebbe con l’art. 116, terzo comma, Cost., «in quanto il modello di autonomia particolare previsto dalla Costituzione non consente questo tipo di interferenza nei rapporti con le altre Regioni», e con l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., «in quanto le norme censurate comportano un’interferenza irragionevole con l’esercizio delle competenze delle altre Regioni, alterando il naturale meccanismo di integrazione tra fonti statali e regionali».
2.11.– Con l’undicesimo motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna l’art. 11, comma 1, della legge n. 86 del 2024, in base al quale «[g]li atti di iniziativa delle Regioni già presentati al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la Regione interessata prima della data di entrata in vigore della presente legge, sono esaminati secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni della presente legge».
Tale norma violerebbe, in primo luogo, gli artt. 3 e 116, terzo comma, Cost., «per l’evidente disparità di trattamento» fra le regioni che avevano già stipulato degli accordi preliminari e le altre regioni ordinarie: le prime, infatti, sarebbero «avvantaggiate sul piano procedurale e sostanziale».
Inoltre, le proposte di devoluzione di competenze oggetto dell’art. 11 non potrebbero «in alcun modo garantire l’invarianza finanziaria». Ciò condurrebbe alla violazione dell’art. 81 Cost., in quanto la legge impugnata non avrebbe «previsto risorse per finanziare la devoluzione nelle forme stabilite dalle intese preliminari già stipulate», e alla violazione dell’art. 3 Cost., «in quanto solo le tre Regioni che avevano avviato il procedimento nel 2018 possono ottenere condizioni migliori, anche finanziarie».
Infine, l’art. 11 sarebbe affetto da «illegittimità derivata», per i motivi sopra esposti, là dove richiama le «pertinenti disposizioni della presente legge».
2.12.– Con il dodicesimo motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna l’art. 2, commi 5, 6 e 8. In base al comma 5, «lo schema di intesa definitivo […] è deliberato dal Consiglio dei ministri». Il comma 6 dispone che, «[c]on lo schema di intesa definitivo, il Consiglio dei ministri […] delibera un disegno di legge di approvazione dell’intesa, che vi è allegata». In base al comma 8, «[i]l disegno di legge di cui al comma 6, cui è allegata l’intesa, è immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione».
Tali norme violerebbero: l’art. 116, terzo comma, Cost., «che semmai riserva alla Regione (e non certo al Governo) non solo l’iniziativa per la stipula dell’intesa, ma anche l’iniziativa per l’adozione della legge di conferimento dell’art. 116, comma 3, Cost.»; gli artt. 71, primo comma, e 121, secondo comma, Cost., «che annoverano i Consigli regionali tra i soggetti titolari di iniziativa legislativa, con previsione onnicomprensiva e generale che qui, invece, vede indebitamente delimitato il proprio campo di operatività, riservando al Governo un oggetto che – oltretutto – è di specifico interesse regionale».
3.– La Regione Toscana sintetizza il contenuto della legge e il suo iter formativo, per poi articolare i singoli motivi di ricorso.
3.1.– Essa impugna, con il primo motivo di ricorso, l’intera legge n. 86 del 2024 e, in subordine, gli artt. 2, commi 1, 2 e 4, e 4, nella parte in cui prevedono il conferimento delle «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», ex art. 116, terzo comma, Cost., senza prescrivere alcun collegamento con le caratteristiche specifiche della regione richiedente e, dunque, senza richiedere alcuna motivazione in merito. Secondo la ricorrente, l’intera legge (o perlomeno gli artt. 2, commi 1, 2 e 4, e 4) consentirebbe il conferimento di ulteriori poteri in tutte le materie astrattamente individuate dall’art. 116, terzo comma, Cost., e dunque la creazione di autonomie regionali «paradossalmente anche più forti» delle regioni speciali (per questo l’art. 11 della legge n. 86 del 2024 contemplerebbe l’estensione dell’art. 116, terzo comma, Cost. anche a queste ultime). Ciò implicherebbe la violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. e anche del principio di unità della Repubblica (art. 5 Cost.) perché, se tutte le regioni possono «attrarre» tutte le materie indicate nell’art. 116, terzo comma, Cost. la stessa idea di regionalismo differenziato perderebbe senso e si realizzerebbe una nuova forma di Stato senza passare attraverso la revisione costituzionale, con conseguente violazione anche dell’art. 138 Cost. La legge impugnata, dunque, avrebbe dovuto «disciplinare le modalità e la procedura» per l’individuazione delle «specificità territoriali» necessarie per l’attuazione dell’autonomia differenziata, che invece è rimessa all’arbitrio della regione richiedente e del Governo.
La ricorrente precisa di avere «certamente interesse» all’unità dello Stato, che sarebbe «garanzia indefettibile della sua autonomia, senza la quale le proprie competenze risulterebbero certamente lese».
Le norme in questione violerebbero anche l’art. 117, terzo comma, Cost. e nuovamente l’art. 138 Cost., perché, in base ad esse, la potestà legislativa concorrente potrebbe venir meno, mentre il sistema di riparto delle competenze potrebbe essere modificato solo tramite revisione costituzionale.
Inoltre, l’intera legge impugnata violerebbe il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., in quanto «nasce su iniziativa governativa, senza alcuna consultazione con le Regioni, neppure in sede di Conferenza».
3.2.– Con il secondo motivo di ricorso la Regione Toscana impugna l’art. 2, commi 5 e 8. L’art. 2, comma 4, stabilisce che gli organi parlamentari competenti si esprimano con «atti di indirizzo» sullo schema di intesa preliminare. L’impugnato comma 5 dispone che «[i]l Presidente del Consiglio dei ministri […], valutato il parere della Conferenza unificata e sulla base degli atti di indirizzo di cui al comma 4 e comunque una volta decorso il termine di novanta giorni, predispone lo schema di intesa definitivo al termine di un ulteriore negoziato, ove necessario. Il Presidente del Consiglio dei ministri, ove ritenga di non conformarsi in tutto o in parte agli atti di indirizzo di cui al comma 4, riferisce alle Camere con apposita relazione, nella quale fornisce adeguata motivazione della scelta effettuata». Il comma 8 stabilisce che «[i]l disegno di legge di cui al comma 6, cui è allegata l’intesa, è immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione».
Secondo la ricorrente, tali norme violerebbero l’art. 116, terzo comma, Cost. perché prevedono un «ruolo marginale» delle Camere, «a tutto vantaggio del Governo», mentre la norma costituzionale citata riconoscerebbe alle Camere un ruolo centrale. La legge impugnata avrebbe dovuto prevedere, in luogo di un semplice parere, «atti necessari e vincolanti». Inoltre, il comma 8 fa riferimento a una «deliberazione» delle Camere, che corrisponderebbe alla semplice approvazione finale dell’intesa, nella forma di un «“prendere o lasciare”», mentre l’art. 116, terzo comma, Cost. presupporrebbe un ordinario iter legislativo, con la possibilità di proporre emendamenti all’intesa. Ciò determinerebbe la violazione degli artt. 70 e 72 Cost. nonché del principio di unità (art. 5 Cost.), che solo l’intervento del Parlamento potrebbe garantire. Tale principio assicurerebbe a ciascuna regione «la salvaguardia del suo ruolo, delle sue competenze e funzioni», sicché la sua violazione (e quella degli artt. 70 e 72 Cost.) ridonderebbe in lesione delle competenze regionali.
3.3.– Con il terzo motivo di ricorso la Regione Toscana impugna il citato art. 2, comma 8, «non prevedendo [esso] alcun coinvolgimento della Regione nella fase parlamentare», per violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione. Ciò sarebbe conseguenza della norma impugnata, che ridurrebbe il Parlamento a «organo di “ratifica”», mentre, in base all’art. 116, terzo comma, Cost. l’interlocuzione dovrebbe avvenire soprattutto con le Camere. La regione potrebbe assistere alla mancata approvazione della legge alla cui base c’è l’intesa, senza poter interloquire.
La ricorrente precisa che la questione sussisterebbe anche nel caso in cui si ritenesse che il Parlamento sia abilitato a modificare l’intesa: in tal caso, «non potrebbero che essere previste forme di coinvolgimento della Regione», che si dovrebbe esprimere sulle modifiche dell’intesa.
3.4.– Con il quarto motivo di ricorso la Regione Toscana impugna l’art. 2, commi 1 e 6, in quanto contemplerebbero un’iniziativa legislativa del Governo, trasformando quella della regione in «sola iniziativa politica». Di qui la violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., che parlerebbe di «iniziativa legislativa in senso proprio», e dell’art. 121, secondo comma, Cost., che attribuisce al Consiglio regionale il potere di «fare proposte di legge alle Camere».
3.5.– Con il quinto motivo di ricorso la Regione Toscana impugna l’art. 3, comma 1, che, come visto, reca una delega legislativa al Governo per la determinazione dei LEP. Secondo la ricorrente, la norma impugnata violerebbe l’art. 76 Cost. perché conterrebbe una delega «“in bianco”», in quanto fissa i criteri direttivi tramite un rinvio ad altre disposizioni (art. 1, commi da 791 a 801-bis, della legge n. 197 del 2022), che però avrebbero «un contenuto essenzialmente organizzativo e procedurale». La ricorrente richiama il parere del Comitato per la legislazione del 23 aprile 2024. Poiché la determinazione dei LEP avrebbe lo scopo di assicurare un «corretto trasferimento delle funzioni», di interesse sia della regione richiedente «sia delle altre che comunque ne subiscono conseguenze», la violazione dell’art. 76 Cost. ridonderebbe in lesione delle competenze regionali.
Inoltre, l’art. 3, comma 1, violerebbe anche l’art. 116, terzo comma, Cost. perché non consentirebbe una «corretta attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia», e l’art. 119, primo, secondo e quarto comma, Cost., «non consentendo un adeguato e armonico finanziamento delle funzioni trasferite».
3.6.– Con il sesto motivo di ricorso la Regione Toscana impugna l’art. 3, commi 2 e 7, perché prevedono che i decreti legislativi di determinazione dei LEP e i d.P.C.m. di aggiornamento degli stessi siano adottati previo parere della Conferenza unificata, mentre avrebbero dovuto contemplare l’intesa con la stessa, come già stabilito dall’art. 1, comma 796, della legge n. 197 del 2022. Di qui la violazione del principio di leale collaborazione (è richiamata la sentenza n. 251 del 2016 di questa Corte). Secondo la ricorrente, nel caso in esame ricorrerebbe un intreccio di competenze statali e regionali. Inoltre, la Regione rileva che l’attribuzione di ulteriori competenze ex art. 116, terzo comma, Cost. rappresenterebbe un caso di «chiamata in sussidiarietà “rovesciata”», perché presupporrebbe l’esistenza di «rilevanti specificità» della regione interessata; ciò confermerebbe la necessità dell’intesa. La determinazione dei LEP implicherebbe conseguenze anche sulle regioni diverse da quella richiedente: perciò, esse dovrebbero essere adeguatamente coinvolte.
3.7.– Con il settimo motivo di ricorso la Regione Toscana impugna l’art. 3, comma 7, perché prevede l’aggiornamento dei LEP con d.P.C.m. Ciò violerebbe la riserva di legge fissata dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. e il principio di legalità (artt. 23, 97 e 113 Cost.). Anche la giurisprudenza costituzionale escluderebbe la determinazione dei LEP con d.P.C.m.
Per le stesse ragioni la Regione impugna anche l’art. 2, comma 1: poiché questa norma non richiede l’individuazione dei LEP in certe materie trasferite, la violazione della riserva di legge sarebbe ancora più grave e avverrebbe «immediatamente».
Queste violazioni pregiudicherebbero la Regione Toscana: solo il Parlamento, infatti, potrebbe garantire che l’attribuzione delle forme particolari di autonomia avvenga senza pregiudicare alcune regioni, «con un solido ancoraggio al rispetto dell’unità nazionale».
3.8.– Con l’ottavo motivo di ricorso la Regione Toscana impugna gli artt. 1, comma 2, e 4, comma 1, in quanto contemplerebbero «il trasferimento delle funzioni solo previa determinazione dei LEP senza che questi siano però garantiti». L’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. imporrebbe che i LEP siano non solo determinati ma anche finanziati e «garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale». La mancata garanzia, risultante dal tenore letterale delle disposizioni impugnate, sarebbe confermata dall’assenza di un esame «dei dati reali relativi al godimento dei diritti civili». La previsione di cui all’art. 4, comma 1 (secondo il quale «si può procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità di trattamento tra Regioni»), non sarebbe risolutiva, perché per l’effettiva garanzia dei LEP non sarebbe sufficiente la loro individuazione e neppure il loro finanziamento.
Le norme impugnate violerebbero anche l’art. 119 Cost., «la cui piena attuazione è condizione necessaria per introdurre, nel sistema del regionalismo italiano, elementi di differenziazione e competizione», e l’art. 3 Cost., sotto il profilo sia dell’uguaglianza sia della ragionevolezza, perché solo dopo la garanzia concreta di un livello essenziale delle prestazioni in tutta la Nazione sarebbe possibile differenziare i territori. La violazione dell’art. 3 Cost. si tradurrebbe in una lesione delle competenze della ricorrente, perché il conferimento di ulteriori autonomie «prima che siano determinati i LEP finisce per accrescere le già esistenti disparità» tra i territori.
3.9.– Con il nono motivo di ricorso la Regione Toscana impugna le norme di carattere finanziario (già citate nel punto 2.5.), cioè gli artt. 5, comma 2; 8, comma 2 e 9, comma 1.
L’art. 5, comma 2, violerebbe i principi di solidarietà ed uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost. La scelta di prevedere il finanziamento delle funzioni trasferite tramite la sola compartecipazione al gettito di tributi erariali, senza specifici correttivi, determinerebbe, infatti, un’illegittima disparità di trattamento tra regioni, in ragione della diversa capacità fiscale pro capite. La ricorrente osserva che il criterio attualmente impiegato per quantificare il fabbisogno di spesa relativo alle singole funzioni sarebbe quello della spesa storica e che questa è stata minore nelle regioni meno «“abbienti”». Tale criterio impedirebbe a queste stesse regioni di ottenere maggiori risorse attraverso il riconoscimento di una maggiore aliquota di compartecipazione. Dunque, le regioni con ridotta capacità fiscale potrebbero non riuscire a coprire tutte le spese connesse alle nuove funzioni trasferite. La ricorrente sostiene, dunque, la necessità di un «meccanismo di perequazione interregionale che redistribuisca continuamente le risorse» e l’eventuale extra-gettito maturato dalle regioni più ricche.
L’art. 5, comma 2, violerebbe anche il principio di territorialità del tributo di cui all’art. 119 Cost., perché escluderebbe la «riserva di aliquota» dalle tecniche di finanziamento del regionalismo differenziato. Ancora, la norma impugnata violerebbe il principio della responsabilità politica (artt. 5 e 119 Cost.) perché non considererebbe l’utilizzo di tributi propri (rispetto ai quali vige la responsabilità politica degli organi regionali di fronte ai cittadini) per finanziare le nuove funzioni.
Lo stesso meccanismo di monitoraggio introdotto dall’art. 8, comma 2, comproverebbe il «vantaggio strutturale» delle regioni con maggiore capacità fiscale pro capite, determinando quindi la violazione dei principi di solidarietà ed uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost.
Ancora, poiché l’art. 8, comma 2, prevede «le necessarie variazioni delle aliquote di compartecipazione […] nei limiti delle risorse disponibili», sarebbe violato il principio di corrispondenza tra risorse e funzioni trasferite ex art. 119, quarto comma, Cost., nel caso in cui lo Stato non abbia le risorse per far fronte ad una riduzione del gettito dei tributi compartecipati. Il principio in questione potrebbe essere violato anche nel caso opposto di aumento del gettito dei tributi compartecipati, che potrebbe far affluire alla regione risorse eccedenti il fabbisogno finanziario.
Infine, sarebbe costituzionalmente illegittimo l’art. 9, comma 1, che pone la clausola di invarianza finanziaria, per violazione dell’art. 81 Cost. Il trasferimento delle nuove funzioni alle regioni richiedenti non potrebbe essere «“a costo zero”». La garanzia dei LEP (art. 4), l’istituzione del fondo perequativo (art. 10), gli interventi speciali (art. 10) e la garanzia dell’invarianza finanziaria delle regioni non richiedenti (art. 9) presupporrebbero il reperimento di ingenti risorse, che però sarebbe solo «“annunciato”» dalla legge impugnata, che non individuerebbe alcuna copertura.
3.10.– Con il decimo motivo di ricorso la Regione Toscana impugna l’art. 10 della legge n. 86 del 2024, riguardante le «Misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale». Il comma 1 stabilisce che, «anche nei territori delle Regioni che non concludono le intese, lo Stato, in attuazione dell’articolo 119, commi terzo e quinto, della Costituzione, promuove l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti dallo Stato e dalle amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali […]», attraverso diversi strumenti di seguito indicati. Il comma 2 dispone che, «[i]n attuazione dell’articolo 119, terzo comma, della Costituzione, trova comunque applicazione l’articolo 15 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 […]» (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario). Il comma 5 del citato art. 15 stabilisce quanto segue: «È istituito, dall’anno 2027 o da un anno antecedente ove ricorrano le condizioni di cui al presente decreto legislativo, un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell’IVA determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese di cui all’articolo 14, comma 1. Nel primo anno di funzionamento del fondo perequativo, le suddette spese sono computate in base ai valori di spesa storica e dei costi standard, ove stabiliti; nei successivi quattro anni devono gradualmente convergere verso i costi standard».
Secondo la Regione, l’art. 10, comma 2, della legge n. 86 del 2024, rinviando al citato art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011, consentirebbe l’ampliamento della potestà legislativa delle regioni che stipulano le intese e delle correlate entrate a danno delle regioni con capacità fiscale ridotta, e ciò in assenza del fondo perequativo, la cui istituzione è prevista per il 2027. L’attuazione del regionalismo differenziato determinerebbe, pertanto, una riduzione delle risorse disponibili per il finanziamento dei LEP nelle regioni non richiedenti, sicché la tardiva istituzione del fondo perequativo produrrebbe un’ulteriore disparità di trattamento fra regioni, in violazione degli artt. 119, terzo comma, e 116, terzo comma, Cost., che al primo rinvia.
Lo stesso art. 10, comma 2, rinviando al citato art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011, consentirebbe di mantenere il criterio della «spesa storica» per ulteriori quattro anni rispetto all’istituzione del fondo perequativo (cioè, fino al 2031). Tale criterio, però, perpetuerebbe le diseguaglianze nell’erogazione delle prestazioni, ragion per cui il meccanismo perequativo previsto dalla norma impugnata sarebbe inidoneo a coprire le spese necessarie nelle regioni non richiedenti. Anche sotto questo profilo, gli artt. 119, terzo comma, e 116, terzo comma, Cost. sarebbero violati.
3.11.– Con l’undicesimo motivo di ricorso la Regione Toscana impugna l’art. 11 (già citato nel punto 2.11.). Tale norma intenderebbe far salve le iniziative già avviate da tre regioni nel 2018, considerandole «atti di iniziativa» ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 86 del 2024.
L’art. 11 violerebbe, in primo luogo, il principio di uguaglianza, consentendo ad alcune regioni una «“corsia preferenziale”». Poiché, una volta trasferite competenze ad alcune regioni, potrebbero non esserci risorse per conferirne ad altre, tale violazione si tradurrebbe in una lesione di competenza.
Sarebbe poi violato il principio di ragionevolezza, perché la norma smentirebbe lo scopo della legge: da un lato, questa mira ad assicurare uniformità ai procedimenti di attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., dall’altro l’art. 11 fa salvi i primi passaggi di un percorso avviato al di fuori della legge. Anche tale vizio si rifletterebbe in una lesione di competenza.
L’art. 11, infine, violerebbe l’art. 116, terzo comma, Cost. per le ragioni già esposte nel punto 3.1., in quanto farebbe salve iniziative che non realizzano in modo corretto il regionalismo differenziato: tutte e tre le regioni, infatti, avrebbero «rastrellato» molte materie, sulla base di un «powers shopping», senza alcun collegamento con le proprie specificità.
3.12.– Con il dodicesimo motivo di ricorso, la Regione Toscana impugna l’intera legge n. 86 del 2024 e, in subordine, gli artt. 4, 5, comma 2, 8, 9 e 10 per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al regolamento (UE) n. 241/2021 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, e alla decisione di esecuzione n. 168/2021 del Consiglio del 22 giugno 2021, relativa all’approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia. La legge impugnata metterebbe a rischio l’uniformità delle condizioni di vita nel Paese e la coesione territoriale. Ciò risulterebbe dalla legge nel suo complesso e, in particolare, dagli artt. 4 (perché fa riferimento a materie non riferibili ai LEP e per le altre prevede che siano determinati ma non garantiti), 5, comma 2 (per il meccanismo delle compartecipazioni), 8 (per il monitoraggio inadeguato), 9 (per la clausola di invarianza finanziaria) e 10 (per l’assenza di reali misure perequative). In tal modo, emergerebbe un contrasto con il citato regolamento n. 241/2021/UE, che porrebbe la coesione economica, sociale e territoriale tra i sei pilastri fondanti. Sarebbe poi violato il Piano italiano e, dunque, la relativa decisione di esecuzione n. 168/2021: la ricorrente cita il considerando n. 36 della decisione e la Riforma 1.14 – Riforma del quadro fiscale subnazionale, che «consiste nel completamento del federalismo fiscale previsto dalla legge 42 del 2009, con l’obiettivo di migliorare la trasparenza delle relazioni fiscali tra i diversi livelli di governo, assegnare le risorse alle amministrazioni subnazionali sulla base di criteri oggettivi […]». La legge impugnata si discosterebbe da questi obiettivi e, in tal modo, comprometterebbe la possibilità di accedere ai fondi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) (è citato l’art. 24 del regolamento n. 241/2021/UE). Ciò si ripercuoterebbe sulle attribuzioni dei soggetti attuatori, fra cui le regioni, che rischierebbero di perdere le risorse.
4.– La Regione Campania, nel proprio ricorso, sintetizza il contenuto della legge e poi articola le seguenti censure.
4.1.– Essa impugna, con il primo motivo di ricorso, l’intera legge n. 86 del 2024 e, in particolare, gli artt. 1, commi 1 e 2, 2, commi 1, 2 e 4, e 4 per violazione degli artt. 3, 5, 97, 116, terzo comma, 118, 119, 120, 138 e 139 Cost., in quanto tali norme non limiterebbero il possibile conferimento di funzioni, consentendo il trasferimento di intere materie e, là dove non vengano in gioco i LEP, anche di «blocchi» di materie. Tutto ciò senza imporre alcuna motivazione connessa con le peculiarità della regione richiedente.
L’art. 116, terzo comma, Cost. sarebbe violato perché fa riferimento a «[u]lteriori forme e condizioni particolari di autonomia», utilizzando la stessa formula del primo comma, in base al quale alcune regioni hanno avuto una maggiore autonomia in ragione della loro specialità. La Regione, inoltre, richiama l’interpretazione data da questa Corte all’art. 103 Cost., che prevede «in particolari materie» la giurisdizione esclusiva. La mancata previsione di un onere motivazionale potrebbe determinare l’«effetto paradossale» di un conferimento più ampio di autonomia ad una regione, rispetto ad un’altra, solo per la consonanza politica con il Governo, «senza alcun collegamento con le specificità del territorio». Ciò determinerebbe un contrasto anche con i principi di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.) e con quello di sussidiarietà (artt. 118 e 119 Cost.).
Inoltre, qualora a tutte le regioni ordinarie venissero riconosciute ulteriori prerogative in tutte le materie menzionate dall’art. 116, terzo comma, Cost. esse avrebbero un’autonomia più marcata delle regioni speciali. La forma di Stato muterebbe e sarebbe pregiudicata l’unità della Repubblica (unitamente al principio di leale collaborazione), in violazione dell’art. 5 Cost. Lo Stato avrebbe meno poteri di uno Stato federale e le regioni assumerebbero una posizione di sovranità, in violazione degli artt. 5 e 114, primo e secondo comma, Cost.
La Regione lamenta anche la violazione del principio di leale collaborazione, per la previsione del conferimento di intere materie «senza un reale coinvolgimento delle altre Regioni».
Infine, osserva che la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. ridonderebbe in lesione delle sue competenze.
4.2.– Con il secondo motivo di ricorso, la Regione Campania impugna l’intera legge n. 86 del 2024 e, in particolare, gli artt. 1, commi 1 e 2, e 2, commi 1, 2 e 4, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 138 Cost. Tali norme, consentendo il trasferimento a tutte le regioni di tutte le materie concorrenti, aprirebbe la strada «alla potenziale sparizione – o comunque al significativo ridimensionamento – della potestà legislativa concorrente e, conseguentemente, a uno snaturamento del rapporto tra Stato e Regioni». Ciò non potrebbe essere giustificato con lo stesso art. 116, terzo comma, Cost. perché tale norma costituzionale è stata introdotta dalla riforma del Titolo V, che ha valorizzato la potestà concorrente. L’alterazione del sistema di riparto di competenze previsto dalla Costituzione non potrebbe certo essere realizzato sulla base di una mera legge ordinaria, pena la violazione dell’art. 138 Cost.
L’interpretazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. operata dalla legge impugnata contrasterebbe con i principi di unità, di leale collaborazione e solidaristico (artt. 2 e 5 Cost.), per le ragioni già esposte nel primo motivo (punto 4.1.). Essendo la forma di Stato materia di revisione costituzionale, sarebbe violato anche l’art. 138 Cost.
4.3.– Con il terzo motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’intera legge n. 86 del 2024 e, in particolare, gli artt. 1, comma 2, 2, commi 1 e 3, e 4, comma 2, per violazione del principio di ragionevolezza e degli artt. 116, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera m), Cost.
Secondo la ricorrente, quest’ultima norma costituzionale impone alla legge statale di determinare i LEP in tutte le materie. Invece, le norme impugnate prevedono che i LEP debbano essere determinati «soltanto per alcune materie puntualmente individuate e che solo per queste, dunque, valga il limite» della previa individuazione dei LEP per poter operare il conferimento delle ulteriori prerogative. Ciò sarebbe «vieppiù illegittimo se si considera l’esclusione di alcune delle materie menzionate» nell’art. 116, terzo comma, Cost. Per queste materie il trasferimento delle funzioni sarebbe possibile «immediatamente, non solo in assenza di garanzia degli stessi LEP (come sarebbe doveroso) ma, per di più, in assenza di determinazione e di finanziamento degli stessi». L’individuazione delle materie escluse, però, sarebbe del tutto arbitraria e non giustificata dai lavori preparatori. La ricorrente rileva che, ad esempio, l’esclusione della protezione civile «potrebbe comportare, in ipotesi, una risposta all’emergenza deteriore all’interno della Regione Campania a fronte dell’eruzione del Vesuvio rispetto all’esondazione del fiume Po o a un qualunque altro evento che si verifichi in Regioni nelle quali i livelli delle prestazioni sono più elevati».
Tali violazioni ridonderebbero «in lesione delle attribuzioni costituzionali della Regione Campania, che si vede privata della possibilità di operare in un quadro uniforme a livello statale nelle materie oggetto di competenza concorrente e residuale».
4.4.– Con il quarto motivo di ricorso la Regione Campania impugna gli artt. 1, comma 2, 2, commi 1 e 3, 4, commi 1 e 2, e 9, comma 2, per violazione degli artt. 2, 3, anche sotto il profilo della ragionevolezza, 5, 81, 116, terzo comma, 117, secondo comma, lettera m), 119 e 120 Cost.
Tali norme sarebbero costituzionalmente illegittime perché non subordinano «l’attivazione delle intese alla concreta garanzia dei LEP in tutte le Regioni, consentendosi viceversa che forme particolari […] di autonomia possano essere attribuite all’esito della mera determinazione dei LEP». Gli elementi competitivi fra le regioni potrebbero essere introdotti «soltanto in un contesto di diritto e, soprattutto, di fatto nel quale i livelli essenziali di fruizione dei diritti civili e sociali siano già garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale». Nella legge impugnata mancherebbe del tutto «un esame dei dati reali relativi al godimento dei diritti su tutto il territorio nazionale». Le norme impugnate, «nella parte in cui accentuano i divari sociali e territoriali esistenti nel Paese», contrasterebbero con gli artt. 2 e 5 Cost., «perché favoriscono la frammentazione dell’ordinamento, impedendo un’effettiva omogeneità nel godimento dei LEP». Ancora, le norme in questione, «nella parte in cui subordinano il finanziamento dei LEP al rispetto degli equilibri di bilancio», violerebbero gli artt. 81 e 119 Cost., perché le garanzie minime non potrebbero essere finanziariamente condizionate. La Regione argomenta poi sulla ridondanza di tali vizi sulle sue attribuzioni, affermando di subire «una situazione di particolare svantaggio nei confronti delle altre Regioni in quanto già fortemente penalizzata, sul piano del trasferimento di risorse per l’erogazione dei servizi ai cittadini – ad esempio in materia sanitaria – e per i vincoli di spesa, anche per il personale sanitario, cristallizzatisi nel tempo per effetto del regime di commissariamento e ad oggi non recuperati».
4.5.– Con il quinto motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’intera legge n. 86 del 2024 e, in particolare, gli artt. 3, comma 7, 5, comma 2, 8, comma 2, e 9, commi 1 e 2, per violazione degli artt. 3, 5, 81, 116, terzo comma, 117 e 119 Cost.
Tali norme, prevedendo il finanziamento delle ulteriori forme di autonomia «attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale» (art. 5, comma 2), determinerebbero un impoverimento del «quadro economico-finanziario statale», con la conseguenza che, «essendo l’aggiornamento dei LEP ai sensi dell’art. 3, comma 7, operato in coerenza e nei limiti delle risorse disponibili, i LEP stessi» sarebbero «progressivamente ridotti». Le differenze tra i territori aumenterebbero, invece di diminuire come vorrebbero la Costituzione e la stessa legge impugnata, che all’art. 1, comma 1, si propone il fine di «rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio»: da ciò deriverebbe la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., per contraddittorietà intrinseca e irragionevolezza.
L’art. 3, comma 7, prevedendo un aggiornamento dei LEP nei limiti delle risorse disponibili, violerebbe l’art. 3 Cost., perché l’art. 1, comma 2, della legge impugnata stabilisce che i LEP «indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti».
L’art. 9, comma 1 (ai sensi del quale «[d]all’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»), sarebbe irrazionale, in violazione dell’art. 3 Cost., «perché in contrasto con le altre disposizioni della legge che, a vario titolo, prevedono che la stipula dell’intesa preveda il trasferimento delle relative funzioni e, per ciò solo, comporti il trasferimento delle risorse». La clausola di invarianza finanziaria, essendo meramente formale, violerebbe anche l’art. 81 Cost.
4.6.– Con il sesto motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’intera legge n. 86 del 2024 e, in particolare, gli artt. 3, comma 7, 5, comma 2, 8, comma 2, e 9, comma 4, e 11, comma 3, per violazione degli artt. 1, 3, 81, 116, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost.
Sarebbe costituzionalmente illegittimo condizionare l’attribuzione delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alla maggiore o minore capacità contributiva riferibile alla singola regione (art. 5, comma 2), perché «una simile specificazione è assente nel dettato costituzionale e, anzi, è ad esso contraria», dal momento che l’art. 116, terzo comma, Cost. richiama l’art. 119 Cost., che prevede interventi perequativi nei commi terzo e quinto. L’art. 5, comma 2, violerebbe anche l’art. 3 Cost., determinando una disparità di trattamento fra regioni.
Il combinato disposto degli artt. 3 e 116, terzo comma, Cost. sarebbe violato anche dall’art. 8, comma 2, che prevede il meccanismo di monitoraggio e determinerebbe «un vantaggio strutturale delle Regioni con maggiore capacità fiscale pro capite». La stessa norma violerebbe il principio di sussidiarietà e quello di corrispondenza tra funzioni e risorse (artt. 118 e 119, quarto comma, Cost.), là dove dispone che, in caso di variazione dei fabbisogni, siano introdotte «le necessarie variazioni delle aliquote di compartecipazione» ma solo «garantendo comunque l’equilibrio di bilancio e nei limiti delle risorse disponibili». Sempre l’art. 8, comma 2, violerebbe gli artt. 81 e 120 Cost. perché non contemplerebbe l’intervento sostitutivo statale, cioè, in assenza della proposta della Commissione paritetica relativa alla variazione delle aliquote, non consentirebbe «allo Stato di disporre delle risorse eventualmente eccedenti il fabbisogno nel quadro dell’equilibrio economico-finanziario complessivo della Repubblica». Ciò determinerebbe l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 11, comma 3 (che fa salvo l’esercizio del potere sostitutivo statale), per contraddittorietà intrinseca. Inoltre, l’art. 8, comma 2, consentendo che la regione abbia risorse «liber[e]» (mentre lo Stato dovrebbe reperire le risorse per fronteggiare le proprie spese), sarebbe irragionevole.
La mancanza di una supremacy clause non sarebbe colmata dall’art. 9, comma 4 (che fa salva la possibilità di prevedere anche per le regioni che hanno sottoscritto le intese il concorso agli obiettivi di finanza pubblica), perché tale norma delinea una mera possibilità.
Ancora l’art. 5, comma 2, prevedendo il finanziamento delle nuove funzioni solo con le compartecipazioni e non con i tributi propri, romperebbe «il vincolo della responsabilità politica violando così il principio rappresentativo di cui all’art. 1 della Costituzione, nonché tutti gli altri parametri indicati nell’epigrafe del presente motivo». La stessa norma creerebbe una «“corsa”» all’accaparramento delle risorse, inevitabilmente limitate; in assenza di una compiuta disciplina del fondo perequativo, la norma aumenterebbe le disparità territoriali. Le risorse statali si ridurrebbero, con maggior difficoltà nel finanziamento delle politiche di riequilibrio: il sistema delineato, dunque, sarebbe irragionevole.
4.7.– Con il settimo motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’art. 10, comma 2, per violazione degli artt. 3, 116, terzo comma, e 119 Cost. La norma impugnata (citata nel punto 3.10.), rinviando all’art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011, impedirebbe l’operatività della perequazione. Dunque, le regioni con minore capacità fiscale non potrebbero accedere all’autonomia differenziata e non potrebbero colmare il gap con le altre regioni. La legge impugnata sarebbe irragionevole perché introdurrebbe un ulteriore elemento di differenziazione tra i territori, senza aver prima attuato la perequazione. Il vizio si tradurrebbe in lesione di tutte le attribuzioni costituzionali della ricorrente.
Sarebbe poi violato l’art. 119, quarto comma, Cost., «in quanto l’aggiornamento e la revisione dei LEP in regime di invarianza finanziaria comporta l’impossibilità di un integrale finanziamento delle funzioni amministrative delle Regioni».
4.8.– Con l’ottavo motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’art. 3, comma 1, per violazione degli artt. 76, 116, terzo comma, e 119, primo, secondo e quarto comma, Cost. La norma in questione delega il Governo ad individuare i LEP con decreti legislativi ma non detterebbe i principi e criteri direttivi. Le norme richiamate (commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022) sarebbero inidonei ad indirizzare la funzione legislativa del Governo. Dunque, si tratterebbe di una «delega “in bianco”». Data la centralità della determinazione dei LEP (e dei costi standard) nell’attuazione del regionalismo differenziato, risulterebbero violati anche gli artt. 116, terzo comma, e 119, primo, secondo e quarto comma, Cost., con ridondanza in lesione delle competenze regionali. La ridondanza sarebbe «evidente» perché «l’assenza di principî e criteri direttivi per la fissazione dei LEP abilita il Governo a fissarli “liberamente” in sede di approvazione di ciascuna intesa, senza alcuna garanzia in favore delle Regioni che rimangono escluse».
4.9.– Con il nono motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’art. 3, commi 7 e 9, per violazione del principio di legalità (artt. 3, 23, 97 e 113 Cost.) e degli artt. 116, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera m), Cost. L’art. 3, comma 7, prevedendo che l’aggiornamento dei LEP avvenga con d.P.C.m., violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., che demanda alla legge la determinazione dei LEP, e l’art. 3 Cost., per contraddittorietà rispetto al citato art. 3, comma 1, che reca una delega legislativa. Sarebbe violato anche il principio di legalità sostanziale, dato che il potere è attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri «slegato da qualunque criterio concreto di esercizio». Sarebbe evidente la lesione delle competenze della ricorrente in quanto la legge sarebbe garanzia anche per le singole regioni; l’aggiornamento dei LEP sarebbe rimesso all’arbitrio del Presidente del Consiglio dei ministri e si tratterebbe di una competenza idonea a incidere su tutte le materie regionali.
4.10.– Con il decimo motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’intera legge n. 86 del 2024 e, in particolare, gli artt. 1, comma 2, 3, comma 7, e 4, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al regolamento n. 241/2021/UE, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (sono citati gli artt. 3 e 4), e alla decisione di esecuzione del Consiglio n. 168/2021, relativa all’approvazione della valutazione del PNRR dell’Italia.
Le norme impugnate, regolando la determinazione dei LEP nei modi già esposti, metterebbe a rischio la «coesione territoriale, in netto contrasto con uno degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e, più in generale, del Dispositivo per la ripresa e la resilienza istituito dal regolamento UE 2021/241». La ricorrente cita il considerando n. 36 della decisione di esecuzione e la Riforma 1.14 – Riforma del quadro fiscale subnazionale, che «consiste nel completamento del federalismo fiscale previsto dalla legge 42 del 2009, con l’obiettivo di migliorare la trasparenza delle relazioni fiscali tra i diversi livelli di governo, assegnare le risorse alle amministrazioni subnazionali sulla base di criteri oggettivi […]». La legge impugnata si discosterebbe da questi obiettivi e, in tal modo, comprometterebbe la possibilità di accedere ai fondi previsti dal PNRR (è citato l’art. 24 del regolamento n. 241/2021/UE). Ciò si ripercuoterebbe sulle attribuzioni dei soggetti attuatori, fra cui le regioni, che rischierebbero di perdere le risorse.
4.11.– Con l’undicesimo motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’art. 2, commi 1, 3, 5 e 8, per violazione degli artt. 2, 3, 5, 97, 81, 114, 116, terzo comma, e 120 Cost., nonché degli artt. 5, 70 e 72 Cost.
L’art. 2, comma 8, prevede che il disegno di legge di conferimento delle ulteriori forme di autonomia sia trasmesso alle Camere unicamente per la «deliberazione». Tale norma violerebbe l’art. 116, terzo comma, Cost., che «non si limita a prevedere una mera deliberazione che approvi l’intesa, ma richiede l’approvazione […] di una legge d’iniziativa regionale […], che segua l’ordinario procedimento legislativo in Commissione e, successivamente, in Aula, con le correlate garanzie». I parlamentari, dunque, dovrebbero aver la possibilità di introdurre emendamenti. La norma impugnata assimilerebbe, in modo improprio, la legge ex art. 116, terzo comma, Cost. a quella di ratifica di un trattato internazionale. La previa conclusione di un’intesa tra esecutivi non potrebbe «avere l’effetto di sottrarre alle Camere la possibilità di svolgere il fondamentale ruolo di sintesi, che tenga conto delle istanze anche delle altre Regioni, proprio in funzione della suddetta garanzia dell’unità nazionale»: di qui il contrasto anche con gli artt. 5, 70 e 72 Cost. Tali vizi ridonderebbero in lesione delle competenze della ricorrente perché impedire «al Parlamento di svolgere un’adeguata istruttoria non assicura a ciascuna Regione la salvaguardia del suo ruolo, delle sue competenze e funzioni e del loro adeguato finanziamento».
Inoltre, poiché le future leggi di conferimento produrranno conseguenze finanziarie, secondo la ricorrente, «al Parlamento dovrebbe essere concesso di intervenire per assicurare l’obiettivo della perequazione tra le varie Regioni».
4.12.– Con il dodicesimo motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’art. 2, comma 8, per violazione dell’art. 116, terzo comma, nonché degli artt. 5 e 120 Cost., in quanto «non prevede alcun coinvolgimento della Regione nella fase di approvazione parlamentare dell’intesa». Il Parlamento potrebbe «radicalmente bocciare l’intesa» e alla singola regione non sarebbe consentito di intervenire per evitare tale esito. Di qui la violazione del principio di leale collaborazione, che sussisterebbe anche qualora si considerino possibili modifiche in sede parlamentare: infatti, le regioni non sono coinvolte e, dunque, non possono interloquire per evitare modifiche particolarmente stringenti.
Il motivo sarebbe ammissibile in quanto «riferito alla capacità di attuare effettivamente» l’art. 116, terzo comma, Cost.
4.13.– Con il tredicesimo motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’art. 2, commi 1 e 6, là dove non configura l’iniziativa delle regioni come iniziativa legislativa in senso stretto, prevedendo invece che il disegno di legge sia presentato dal Governo. Ciò violerebbe gli artt. 116, terzo comma, e 121, secondo comma, Cost.
4.14.– Con il quattordicesimo motivo di ricorso la Regione Campania impugna gli artt. 2 e 3, commi 2 e 7, per violazione degli artt. 2, 3, 5 e 120, 81, 97 e 114 Cost.
L’art. 2 non richiederebbe «un adeguato ed effettivo coinvolgimento» delle altre regioni, nel procedimento di stipula dell’intesa, «attraverso la necessità dell’intesa o almeno del parere della Conferenza delle Regioni»; infatti, l’art. 2, comma 4, prevede il «mero parere» della Conferenza unificata e non l’intesa. Di qui la violazione del principio di solidarietà (art. 2 Cost.), del principio di leale collaborazione e dell’art. 114 Cost., data l’incidenza delle intese sull’assetto anche delle altre regioni.
L’art. 3, comma 2, sarebbe costituzionalmente illegittimo perché prevede il parere, anziché l’intesa, della Conferenza unificata sui decreti legislativi di determinazione dei LEP: ciò in contrasto con il principio di leale collaborazione, dato che i LEP incidono sulle materie regionali, verificandosi dunque un «inestricabile intreccio di competenze». La ricorrente rileva che l’intesa è prevista dall’art. 1, comma 796, della legge n. 197 del 2022 (che dovrebbe valere come tertium comparationis nel giudizio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.). Per le stesse ragioni, sarebbe costituzionalmente illegittimo l’art. 3, comma 7, che prevede l’aggiornamento dei LEP con d.P.C.m. previo parere della Conferenza unificata.
Tali vizi ridonderebbero in lesione delle attribuzioni della ricorrente, incidendo, ad esempio, sulla competenza legislativa in materia di coordinamento finanziario.
4.15.– Con il quindicesimo motivo di ricorso la Regione Campania impugna l’art. 11 (già citato nel punto 2.11.), che riguarda le iniziative già presentate dalle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.
Tale norma violerebbe l’art. 3 Cost. per due motivi: da un lato perché, «facendo salvi gli accordi già raggiunti con talune Regioni, […] inserisce, da subito, un regime derogatorio nel contesto di un atto normativo che ambisce, invece, a dettare un quadro di principî generali»; dall’altro lato, per la «intrinseca discriminazione» derivante dal fatto che le tre Regioni di cui sopra «vedranno gli accordi raggiunti sinora fatti salvi ed esaminati solo "secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni" della legge impugnata, laddove le altre Regioni […] dovranno sottostare in toto alla disciplina prevista dalla medesima legge».
Inoltre, l’art. 11 non «indica a valere su quali risorse destinate sarà finanziato il trasferimento, in guisa da violare altresì l’art. 81» Cost.
Tali vizi ridonderebbero «in una grave lesione» delle prerogative della Regione ricorrente: garantire un «percorso accelerato» ad alcune regioni pregiudicherebbe la posizione delle altre, considerato che – fermo il limite delle risorse disponibili – una volta trasferite competenze ad alcune regioni, potrebbero non esservi risorse sufficienti per trasferirne ad altre.
La Regione Campania fa anche espressa riserva di chiedere la tutela cautelare ai sensi dell’art. 35, comma 1, secondo periodo, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), «ove dovesse essere avviata l’attuazione delle disposizioni di cui al gravato art. 11».
5.– La Regione autonoma Sardegna impugna l’intero testo della legge n. 86 del 2024 e, in subordine, gli artt. 1, comma 2; 2, commi 1, 2, 3, 5, 6 e 8; 3, commi 1, 3, 4, 7 e 9; 4, commi 1 e 5; 5, commi 1 e 2; 7, commi 1 e 2; 8, commi 1 e 2; 9, comma 4; 10, comma 2 e 11, comma 2.
Il ricorso, dopo aver sintetizzato il contenuto della legge n. 86 del 2024, premette allo svolgimento dei motivi tre considerazioni di ordine generale, attinenti, la prima, alla applicabilità della legge impugnata alle regioni speciali; la seconda, ai parametri invocabili; la terza, all’interesse a ricorrere.
Sul primo punto, la Regione autonoma osserva che l’art. 11, comma 2, della legge n. 86 del 2024 dichiara la applicabilità della legge anche alle regioni speciali. L’art. 116, terzo comma, Cost., nonostante il tenore testuale che evoca le «altre Regioni» – e dunque le regioni diverse da quelle nominate nel primo comma – potrebbe essere applicato, nelle materie diverse da quelle statutarie, anche alle regioni ad autonomia differenziata, in forza della clausola di maggior favore sancita dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), essendo questa diretta a recuperare a vantaggio delle regioni speciali gli spazi di autonomia conquistati dalle regioni ordinarie, tra i quali va contata anche la facoltà di chiedere ulteriori forme di autonomia con il procedimento di cui all’art. 116, terzo comma, Cost.
La Regione autonoma rileva poi, da un lato, che l’applicazione della legge n. 86 del 2024 alle regioni speciali comporta che la ricorrente, nell’esercitare le proprie attribuzioni costituzionali derivanti dall’art. 116, terzo comma, Cost., si troverebbe assoggetta ai limiti di contenuto e di procedura derivanti dalla legge impugnata; dall’altro lato, che le iniziative di altre regioni, conformate dalla legge in esame, potrebbero comunque andare a ledere la sfera di competenza garantita alla Regione autonoma Sardegna, la quale dunque deve poter contestare la legge medesima.
Quanto ai parametri, la ricorrente ricorda la propria legittimazione ad invocare, oltre alle disposizioni dello statuto speciale, anche le disposizioni costituzionali che, combinate con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, le assicurano maggiori forme di autonomia, nonché le disposizioni diverse da quelle che presiedono al riparto di competenze tra Stato e regioni, previa, in questo caso, la chiara individuazione degli ambiti di competenza regionale incisi e la adeguata dimostrazione del vizio di ridondanza.
Per l’interesse ad agire, la Regione autonoma osserva che la legge è impugnabile a prescindere dalla sua concreta applicazione, stante il termine perentorio di introduzione del ricorso e il carattere astratto del giudizio, diretto alla delimitazione delle sfere di competenza. In ogni caso, la legge, pur modificabile e derogabile da fonti successive con forza equiparata, detterebbe vincoli di procedura e di contenuto che, in forza del principio di legalità, limiterebbero l’esercizio dei poteri politico-amministrativi dei soggetti istituzionali (Governo, Presidente del Consiglio dei ministri, ministri, commissione paritetica, Presidente della Giunta regionale) coinvolti sia nella fase di definizione delle intese, sia nelle fasi successive.
5.1.– Con il primo motivo di ricorso la Regione autonoma Sardegna impugna l’intera legge n. 86 del 2024 e in subordine gli artt. 1; 2; 4; 5, commi 1 e 2; 7, commi 1 e 2 e 8, commi 1 e 2, per violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.
L’art. 116, terzo comma, Cost., sarebbe una disposizione autoapplicativa che detta regole sulla produzione legislativa. La ricorrente rileva che non contiene rinvii ad una legge di attuazione, né per la sua applicazione presupporrebbe condizioni ulteriori, rimesse al legislatore.
In assenza di un rinvio costituzionale ad una legge di attuazione, il rapporto tra la legge rinforzata prevista dalla disposizione costituzionale e la legge n. 86 del 2024 andrebbe ricostruita alla luce del criterio di competenza, con la conseguenza che le leggi ordinarie che ambissero a disciplinare i contenuti di cui all’art. 116, terzo comma, Cost. sarebbero «irrimediabilmente viziate».
Oltre che viziata da incompetenza, la legge n. 86 del 2024 sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione del principio gerarchico, perché essa, dotata di forza di legge ordinaria, pretenderebbe di condizionare l’esercizio della funzione legislativa conformata dalla norma costituzionale con la previsione degli aggravamenti procedimentali; le norme impugnate, quindi, «intendono rappresentare fonti sulla produzione di una legge superiore (id est, la legge rinforzata ex art. 116, terzo comma, Cost.)». I contenuti della legge rinforzata, infatti, non potrebbero ridursi alla elencazione delle materie da attribuire alla regione «differenziata», bensì dovrebbero estendersi anche a «tutta la disciplina di accompagnamento», e dunque anche alla disciplina di oggetti regolati dalla legge n. 86 del 2024, disciplina che avrebbe dovuto essere dettata da una legge costituzionale o almeno da una legge rinforzata.
La legge impugnata, dunque, da un lato avrebbe iniziato a disciplinare la materia riservata alla fonte rinforzata senza rispettare l’iter prescritto, dall’altro avrebbe inteso «conformare e limitare una futura legge di rango superiore, in manifesta violazione dello stesso art. 116, comma 3, Cost., e, per l’effetto, del principio gerarchico».
In subordine, sono impugnate, sempre per violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., specifiche disposizioni della legge, sotto il profilo della incompetenza o per contrasto con il criterio gerarchico.
L’art. 5, comma 1, è censurato per incompetenza nella parte in cui individua la fonte – il d.P.C.m. – cui rimettere la determinazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l’esercizio da parte della regione delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, trattandosi di scelta che dovrebbe essere effettuata caso per caso con la legge rinforzata approvativa della intesa. Lo stesso vizio colpirebbe la disposizione anche nella parte in cui disciplina la Commissione paritetica Stato-regione-autonomie locali e attribuisce a tale organo un potere di proposta.
Sempre viziato da incompetenza sarebbe anche l’art. 5, comma 2, secondo cui l’intesa individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso le compartecipazioni al gettito di tributi erariali maturati nel territorio regionale, trattandosi di contenuto riservato alla legge rinforzata.
Anche l’art. 7, comma 1, nella parte in cui stabilisce in dieci anni la durata dell’intesa, interferirebbe con la scelta riservata al legislatore rinforzato. La disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima anche nella parte in cui regola il potere dello Stato di disporre la cessazione integrale o parziale della intesa, deliberata con legge adottata a maggioranza assoluta: la disposizione porrebbe norme «incidenti su scelte sicuramente riservate al procedimento legislativo rinforzato di cui all’art. 116, terzo comma, della Costituzione», e introdurrebbe con norma ordinaria una «nuova tipologia di legge rinforzata», capace di interrompere la vigenza di una legge rinforzata prevista da una norma costituzionale.
L’art. 7, comma 2, è denunciato per incompetenza nella parte in cui disciplina il rinnovo automatico della intesa salvo diverso accordo, non potendo il legislatore ordinario regolare tale punto e in ogni caso non potendo esso prevedere l’ultrattività della intesa rispetto al termine di scadenza già definito dalla legge rinforzata.
Violerebbero, altresì, la riserva dettata dall’art. 116, terzo comma, Cost. sia le norme relative al monitoraggio delle intese contenute nell’art. 8, comma 1, dal momento che l’attività di monitoraggio è un aspetto delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, riguardando gli oneri finanziari connessi con le funzioni attribuite alla regione «differenziata»; sia le norme, dettate dall’art. 8, comma 2, sulla regolazione dei disallineamenti tra fabbisogni di spesa e andamento del gettito dei tributi compartecipati, oggetto che ben potrebbe essere diversamente regolato dalle singole intese.
La Regione autonoma Sardegna avrebbe interesse ad ottenere l’annullamento delle succitate norme «poiché esse, nella misura in cui definiscono unilateralmente e illegittimamente contenuti normativi riservati all’accordo bilaterale tra Stato e Regione, sottraggono ambiti materiali a ciò che la Sardegna dovrebbe poter concorrere a disciplinare».
Per contrasto con il criterio gerarchico sono impugnate le disposizioni che pretendono di conformare, nel contenuto e nelle procedure, le leggi rinforzate di cui all’art. 116, terzo comma, Cost.
È censurato l’art. 1, che indica le finalità della legge quale legge attuativa dell’art. 116, terzo comma, Cost.; l’art. 2, che regola l’esercizio del potere di iniziativa e le successive fasi fino alla presentazione del disegno di legge di approvazione della intesa; l’art. 4, che disciplina le modalità di trasferimento delle funzioni oggetto delle intese e della successiva legge rinforzata; l’art. 5, comma 1, che regola i contenuti necessari delle intese ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost.; l’art. 7, che contiene le regole sulla durata delle intese, sulla loro cessazione anticipata integrale e parziale, sul loro rinnovo, e sul contenuto dell’allegato alla intesa relativo alle disposizioni di legge statale che cessano di avere efficacia, nel territorio regionale, con l’entrata in vigore della intesa.
Anche tali vizi ridonderebbero sulle attribuzioni della ricorrente perché le norme impugnate limiterebbero la potestà regionale nella parte in cui intendono predeterminare contenuti e procedure di formazione e approvazione delle intese; la Regione autonoma subirebbe questi limiti, non previsti dall’art. 116, terzo comma, Cost.
5.2.– Con il secondo motivo di ricorso la Regione autonoma Sardegna impugna l’art. 2, commi 1 e 6, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui riserva al Governo il potere di iniziativa in relazione alla legge di approvazione della intesa ex art. 116, terzo comma, Cost., per violazione degli artt. 116, terzo comma, e 121, secondo comma, Cost., e dell’art. 51 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
Le disposizioni impugnate affidano alle regioni l’iniziativa del negoziato, ma riservano al Governo la presentazione alle Camere del disegno di legge di approvazione dell’intesa. Per contro, l’art. 116, terzo comma, Cost., interpretato letteralmente (con riferimento alle parole «legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata») e sistematicamente (perché la parola «iniziativa», nel testo costituzionale, in sette casi su dieci sarebbe riferita alla iniziativa legislativa), riserverebbe la presentazione del progetto di legge alla regione. Tale esito interpretativo sarebbe confermato anche dalla sentenza n. 118 del 2015 di questa Corte e dalla titolarità della iniziativa delle leggi statali in capo alla regione, riconosciuta dall’art. 121, secondo comma, Cost., e per la Regione autonoma Sardegna dall’art. 51 dello statuto speciale, disposizioni che risulterebbero corrispondentemente violate.
5.3.– La Regione autonoma Sardegna impugna con il terzo motivo di ricorso l’art. 2, commi 1 e 5, nella parte in cui riserva alla autonomia statutaria la disciplina delle modalità e delle forme della iniziativa di differenziazione e la disciplina dell’approvazione dell’intesa, anziché alla legge regionale ordinaria, per violazione dell’art. 15 dello statuto speciale e dell’art. 117, quarto comma, Cost.
La Regione autonoma premette che il rinvio alla autonomia statutaria è da intendersi come riferito agli statuti ordinari e, per le regioni speciali, alle leggi statutarie, e non allo statuto speciale, che sarebbe atto normativo sull’autonomia e non di autonomia.
Anche nella ipotesi – negata dalla Regione autonoma nel precedente motivo – che l’iniziativa di cui all’art. 116, terzo comma, Cost., si riferisca ad un potere diverso dalla iniziativa legislativa, la disciplina delle competenze, modalità e forme degli atti di iniziativa e di intesa non sarebbe oggetto compreso nella competenza specializzata della legge statutaria, perché la definizione di tali aspetti, investendo rapporti esterni, non rientrerebbe nella «forma di governo» o negli altri oggetti riservati alla legge statutaria dall’art. 15 dello statuto speciale (sistema di elezione, ineleggibilità e incompatibilità, iniziativa legislativa, referendum).
Secondo la Regione autonoma, trattandosi di contenuti ulteriori rispetto al contenuto riservato alla legge statutaria, la loro disciplina, per quanto contenuta nella fonte rinforzata, avrebbe forza di legge regionale ordinaria, espressione della competenza residuale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., sicché non si giustificherebbe l’obbligo dell’aggravamento nelle forme della legge statutaria prescritto dalle norme impugnate.
La Regione autonoma deduce la ridondanza del vizio sulle proprie competenze, rilevando che l’oggetto in questione non rientra tra le competenze statutarie o della legge statutaria, sicché la sua disciplina non può essere condizionata agli aggravamenti previsti per la legge rinforzata.
5.4.– La Regione autonoma Sardegna con il quarto motivo di ricorso impugna l’art. 2, commi 1 e 5, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui, stabilendo che la disciplina delle modalità e delle forme della iniziativa di differenziazione è rimessa all’autonomia statutaria, contemplerebbe la possibilità che il legislatore statutario attribuisca all’esecutivo la competenza ad adottare gli atti di iniziativa e di intesa, per violazione dell’art. 27 dello statuto speciale.
L’autonomia statutaria delle regioni speciali va esercitata con le leggi statutarie nel rispetto dei limiti di contenuto derivanti dallo statuto speciale. Il citato art. 27, riservando la potestà legislativa al consiglio regionale, impedirebbe all’esecutivo di esercitare funzioni legislative; a maggior ragione la disposizione in parola precluderebbe a quest’ultimo di decidere quali debbano essere le future competenze legislative consiliari.
5.5.– La Regione autonoma Sardegna impugna con il quinto motivo di ricorso l’art. 2, commi 1 e 2, nella parte in cui prevede che, prima dell’avvio del negoziato, il Governo informi dell’atto di iniziativa la Conferenza Stato-regioni, anziché prevedere che il Governo acquisisca il parere della Conferenza unificata o, in subordine, il parere della Conferenza Stato-regioni, per violazione del principio di leale collaborazione ex artt. 5, 114 e 120 Cost.
Le disposizioni impugnate avrebbero accentuato ulteriormente il ruolo del Governo quale «autentico dominus del procedimento di determinazione dei contenuti delle intese» e il carattere meramente bilaterale del procedimento di differenziazione, riducendo il ruolo delle altre regioni «al ruolo di mere spettatrici del procedimento nelle fasi fondamentali di perimetrazione dell’oggetto della negoziazione». Nella legge impugnata, il parere della Conferenza unificata è previsto sullo schema di intesa preliminare, ma solo il parere preventivo della stessa Conferenza, quale luogo di sintesi degli enti costitutivi della Repubblica, potrebbe dare al Governo indicazioni utili per le trattative con la regione interessata sulla base di una visione istituzionale e politica complessiva, non meramente bilaterale. Il riparto di competenze tra Stato e regioni interessa tutti gli enti costitutivi della Repubblica e dovrebbe rispondere ad un disegno complessivo ed organico. In subordine, sarebbe necessario il parere della Conferenza Stato-regioni. Il principio di leale collaborazione si imporrebbe anche nel procedimento legislativo in presenza di intrecci di materia (è citata la sentenza n. 6 del 2023 di questa Corte) e la Regione sarebbe legittimata a fare valere tale vizio, in quanto essa partecipa alle Conferenze e il loro insufficiente coinvolgimento menoma le attribuzioni conferitele ai sensi dell’art. 116, primo comma, Cost.
5.6.– La Regione autonoma Sardegna impugna con il sesto motivo di ricorso l’art. 2, comma 2, secondo periodo, là dove non prevede la necessità dell’intesa con la Conferenza unificata (o, in subordine, con la Conferenza Stato-regioni) in ordine alla decisione del Presidente del Consiglio dei ministri di circoscrivere la trattativa in ordine ad alcune delle materie individuate dalla regione nell’atto di iniziativa, al fine di tutelare l’unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie, per violazione del principio di leale collaborazione e del principio di unità della Repubblica, desunti dagli artt. 5, 114 e 120 Cost.
La decisione sulla perimetrazione delle materie costituirebbe la decisione qualificante dell’intero processo di differenziazione ed avrebbe un carattere fondamentale, attestato dal rilievo degli interessi cui è funzionale. Essa non potrebbe essere assunta solipsisticamente dal Governo, ma richiederebbe il coinvolgimento dell’intero sistema delle autonomie, anche perché investe la rideterminazione dell’assetto complessivo dei rapporti autonomistici. La differenziazione, incidendo sulle dotazioni finanziarie complessive del sistema delle autonomie e sul loro riparto, nonché sulle modalità di organizzazione e di esercizio delle residue funzioni centrali, non potrebbe essere definita senza aver previamente acquisito l’intesa con la Conferenza unificata, o in subordine con la Conferenza Stato-regioni.
Il parere della Conferenza unificata previsto dalla legge sullo schema di intesa non sarebbe, pertanto, sufficiente, trattandosi di una forma debole di collaborazione e intervenendo a processo ormai concluso, mentre il Governo dovrebbe sviluppare in un momento precedente le necessarie interlocuzioni con le altre regioni, trovando con esse l’intesa.
5.7.– In subordine, la ricorrente impugna con il settimo motivo di ricorso il medesimo art. 2, comma 2, secondo periodo, nella parte in cui non prevede il parere della Conferenza unificata, o in subordine il parere della Conferenza Stato-regioni, per ragioni corrispondenti a quelle svolte nel precedente motivo.
5.8.– La Regione autonoma impugna con l’ottavo motivo di ricorso l’art. 2, comma 3, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui non prevede l’intesa con la Conferenza unificata (o in subordine della Conferenza Stato-regioni) prima dell’approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello schema di intesa preliminare negoziato tra lo Stato e la regione, per violazione del principio di leale collaborazione e del principio di unità della Repubblica, desunti dagli artt. 5, 114 e 120 Cost.
Nel disegno della legge n. 86 del 2024 il procedimento di differenziazione sarebbe costruito come un percorso bilaterale (è prevista la partecipazione del Presidente della Giunta della regione «differenzianda» alle sedute del Consiglio dei ministri in occasione dei passaggi fondamentali), mentre la partecipazione delle regioni non direttamente interessate sarebbe relegata ad un mero parere sullo schema di intesa preliminare, reso più a vantaggio delle Camere che del Governo, visto che quest’ultimo è tenuto soltanto a valutare il predetto parere della Conferenza unificata, mentre deve motivare le proprie determinazione in relazione agli indirizzi parlamentari, come si desume dal combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art. 2.
La censura è prospettata come aggiuntiva rispetto a quella formulata nel quinto motivo, ritenendo necessario che la partecipazione del sistema delle autonomie locali si collochi sia a monte, in sede di delimitazione dell’oggetto di trattativa, sia a valle, in relazione al testo preliminare dell’intesa da portare in Consiglio dei ministri.
5.9.– Nel nono motivo di ricorso, proposto in subordine al precedente, il medesimo art. 2, comma 3, è impugnato per le stesse ragioni, nella parte in cui non prevede che la deliberazione del Consiglio di ministri sia preceduta dal parere della Conferenza unificata o, in via gradata, dal parere della Conferenza Stato-regioni.
5.10.– La Regione autonoma Sardegna impugna con il decimo motivo di ricorso l’art. 2, comma 8, secondo cui il disegno di legge cui è allegata l’intesa è immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, per violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione.
La disposizione dovrebbe essere interpretata in modo costituzionalmente orientato alla luce della riserva alle Camere della funzione legislativa (art. 70 Cost.), riconoscendo a queste il potere di emendare il disegno di legge governativo, e dunque di incidere sul contenuto delle intese. Tale possibilità, tuttavia, determinerebbe una duplice violazione costituzionale, rilevante la prima nel caso in cui la Regione autonoma Sardegna sia interessata dal procedimento di differenziazione, la seconda nel caso in cui in cui questo riguardi altre regioni.
Nella prima ipotesi, è dedotta la violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., nella parte in cui non è prevista l’acquisizione di una nuova intesa in caso di emendamento, perché l’art. 116, terzo comma, Cost. non consente al Parlamento una definizione unilaterale delle forme e condizioni particolari di autonomia. Tale lesione determina ridondanza sulle competenze regionali, in quanto il Parlamento potrebbe modificare unilateralmente l’intesa raggiunta dalla Regione autonoma Sardegna.
Sotto altro profilo, la disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione del principio di leale collaborazione, nella parte in cui non prevede la necessità di un’intesa in sede di Conferenza unificata (o, in subordine, in sede di Conferenza Stato-regioni) sugli emendamenti parlamentari. Anche tale violazione ridonderebbe sulle competenze regionali, perché non sarebbe necessario ricercare una intesa con la Conferenza unificata (o con quella permanente), in cui sono rappresentate le istanze delle regioni.
5.11.– La Regione impugna nell’undicesimo motivo di ricorso gli artt. 1, comma 2, 2, commi 1 e 2, 3, commi 3 e 4, e 4, commi 1 e 2, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui consentono di trasferire «una o più materie o ambiti di materie» e non soltanto «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, fornite di un adeguato titolo giustificativo», tra quelle indicate nell’art. 116, terzo comma, Cost., per violazione degli artt. 2, 3 (sotto il profilo del principio di ragionevolezza), 5, 114, 116, primo e terzo comma, 119, sesto comma, 138 e 139 Cost., e per violazione dello statuto speciale, nell’intero testo e con riferimento all’art. 54.
L’art. 116, terzo comma, Cost., non potrebbe essere inteso come autorizzazione alla legge rinforzata ad attribuire in competenza piena a talune regioni tutte le materie di competenza concorrente e le tre materie statali menzionate dalla disposizione costituzionale. Il dato testuale, che menziona «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti» le predette materie, farebbe riferimento a trasferimenti puntuali e limitati di competenze, per loro natura bisognosi di giustificazione. Diversamente, l’intera forma di Stato, incentrata sul binomio regioni speciali/regioni ordinarie, ne sarebbe stravolta.
Sul piano sistematico, l’interpretazione letterale restrittiva dell’art. 116, terzo comma, Cost., sarebbe sostenuta anche dal principio di ragionevolezza e da quello solidaristico, mentre l’interpretazione «massimalista» porterebbe al superamento della forma di Stato repubblicana attraverso l’accentuazione degli storici divari economici e sociali esistenti tra i diversi territori.
Sarebbero quindi violati l’art. 116, terzo comma, Cost., che non ragiona di «materie» o di «ambiti di materia», ma di forme e condizioni di autonomia «concernenti le materie»; gli artt. 2, 5, 114 e 139 Cost., che costruiscono la forma repubblicana come quella propria di uno Stato che valorizza le autonomie territoriali nel rispetto del principio solidaristico; gli artt. 2 e 3 Cost., perché le norme impugnate determinano una forte competizione tra regioni nell’acquisto di competenze (e delle relative risorse), in forme irragionevoli e contrastanti con il principio di solidarietà e di eguaglianza sostanziale; l’art. 119, sesto comma, Cost., perché le norme contestate non tengono conto delle condizioni di insularità della Sardegna ma anzi introducono un processo competitivo ulteriormente penalizzante; gli artt. 116, primo comma, e 138 Cost., nonché lo statuto speciale nella sua interezza e in riferimento all’art. 54, perché si consente alle regioni ordinarie di ottenere maggiori competenze rispetto alle regioni speciali e alla Regione autonoma Sardegna, in lesione della riserva di legge costituzionale sulle «forme e condizioni particolari di autonomia» delle regioni speciali.
La Regione autonoma lamenta quindi la violazione diretta di attribuzioni proprie (con riferimento, ad esempio, all’allegato contrasto con l’art. 116, primo comma, Cost., o con l’art. 54 dello statuto speciale), ma anche la violazione di parametri ridondante in lesione delle proprie competenze, sostenendo che essa sarà costretta ad esercitarle in un contesto più competitivo e meno solidaristico, e a sopperire con risorse proprie all’impossibilità dello Stato di erogare servizi e svolgere funzioni con l’attuale livello di efficienza, data la riduzione delle economie di scala.
5.12.– La Regione autonoma Sardegna censura nel dodicesimo motivo di ricorso l’art. 3, commi 1, 7 e 9, della legge n. 86 del 2024, che disciplina la delega in materia di determinazione dei LEP, lamentando la violazione degli artt. 23, 77, primo comma, 76, 117, secondo comma, lettera m), 74, 75, 87, quinto comma, e 127 Cost. e del principio di leale collaborazione desunto dagli artt. 5, 114 e 120 Cost.
La ricorrente sostiene preliminarmente che le disposizioni impugnate non conferiscono una delega per la fissazione dei LEP, che rimarrebbe affidata ai d.P.C.m. adottati con il procedimento di cui all’art. 1, commi da 791 a 801-bis, della legge n. 197 del 2022, bensì regolano la definizione delle procedure e delle modalità operative per il monitoraggio circa l’effettiva garanzia dei LEP in ciascuna regione in condizioni di appropriatezza di efficienza nell’esercizio delle risorse, nonché di congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione.
Tale esito interpretativo è argomentato con la mancata abrogazione dell’art. 1, commi da 791 a 801-bis, della legge n. 197 del 2022; con l’assenza di principi e criteri direttivi nella disposizione di delega e nelle disposizioni della legge n. 197 del 2022 da questa richiamate; con la simmetrica previsione della determinazione dei fabbisogni standard sempre a mezzo di d.P.C.m., con la prevista modificabilità dei LEP a mezzo di d.P.C.m.
Posta tale premessa, è censurato l’art. 3, comma 1, che istituisce la delega, per violazione degli artt. 77, primo comma, e 76 Cost., e del principio di leale collaborazione, in quanto la legge sarebbe priva di principi e criteri direttivi contenutistici in ordine alla determinazione dei LEP e prevede il mero parere della Conferenza unificata, anziché l’intesa, la quale invece è richiesta dall’art. 1, comma 796, della legge n. 197 del 2022 e che sarebbe costituzionalmente imposta secondo i principi ricavabili dalla sentenza n. 251 del 2016 di questa Corte.
Il motivo deduce anche la violazione della riserva di legge implicita ricavata dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., e del principio di legalità, dedotto dall’art. 23 Cost., giacché la determinazione e l’aggiornamento dei LEP è affidata ad atti secondari (i d.P.C.m.), senza che nessuna norma legislativa sostanziale orienti il loro contenuto.
Tale violazione ridonderebbe sulle competenze regionali per tre profili. Anzitutto, inciderebbe sul contenuto fondamentale delle materie di cui all’art. 116, terzo comma, Cost., che la Regione autonoma afferma essere di sua competenza. In secondo luogo, la mancata previsione di un atto con forza di legge per la determinazione dei LEP impedirebbe poi alla Regione di partecipare efficacemente al relativo procedimento e di avvalersi degli strumenti previsti dalla Costituzione a tutela degli interessi della comunità regionale, dei quali la Regione è esponenziale, quali il giudizio ex art. 127 Cost., il controllo del Capo dello Stato in sede di emanazione (sono citati gli artt. 74 e 87, quinto comma, Cost.) e l’assoggettabilità a referendum abrogativo (art. 75 Cost.): anche di tali disposizioni costituzionali la Regione deduce la violazione. Infine, essendo la determinazione dei LEP il presupposto della attribuzione di funzioni ex art. 116, terzo comma, Cost., la loro determinazione in forme diverse da quelle prescritte vizierebbe a cascata la misurazione di costi e dei fabbisogni standard ad essi associati e la definizione di funzioni e risorse da attribuire.
Per le stesse ragioni sono impugnati anche il comma 7 dell’art. 3, secondo cui l’aggiornamento dei LEP avviene mediante d.P.C.m., e il comma 9 del medesimo art. 3, che prevede l’ultrattività del citato art. 1, commi da 791 a 801-bis, e quindi la determinazione dei LEP a mezzo di d.P.C.m., nelle more della entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dallo stesso art. 3.
5.13.– La Regione autonoma Sardegna impugna con il tredicesimo motivo di ricorso l’art. 5, comma 1, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui affida all’intesa di cui all’art. 2 della stessa legge la determinazione dei criteri per l’individuazione dei beni, delle risorse finanziarie, umane strumentali e organizzative per l’esercizio da parte della regione delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, anziché alla Commissione paritetica di cui all’art. 56 dello statuto speciale, e nella parte in cui prevede che tali beni e risorse siano determinati con d.P.C.m., anziché con decreto legislativo.
L’art. 5, comma 1, detta una disciplina che sarebbe confliggente con l’art. 56 dello statuto speciale, il quale riserva a decreti legislativi adottati su parere di una Commissione paritetica l’adozione delle norme relative al passaggio degli uffici e del personale e delle norme di attuazione dello statuto. La norma statutaria istituisce una riserva a favore dei decreti legislativi di attuazione, che varrebbe anzitutto per le materie dell’art. 116, terzo comma, Cost., che si sovrappongono a quelle statutarie di competenza piena, concorrente o anche integrativa (sovrapposizioni illustrate con diversi esempi), ma che varrebbe anche per le materie “differenziabili” che non si sovrappongono a quelle indicate nello statuto speciale; inoltre, l’art. 11, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), avrebbe riconosciuto la competenza dei decreti legislativi di attuazione statutaria adottati su parere delle commissioni paritetiche anche in ordine al trasferimento di beni e risorse occorrenti per l’esercizio delle funzioni amministrative nelle materie spettanti alle regioni speciali ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
5.14.– La Regione autonoma nel quattordicesimo motivo di ricorso impugna gli artt. 3, comma 4, e 8, comma 1, della legge n. 86 del 2024, per violazione degli artt. 5, 119, primo comma e 120, secondo comma, Cost., in quanto le disposizioni censurate affidano ad una commissione paritetica, composta da rappresentanti dello Stato e della regione «differenziata» e da un rappresentante dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), compiti di monitoraggio finanziario, che per il loro rilievo e per l’incidenza sull’intero sistema delle autonomie andrebbero riservati – in tesi – alla Conferenza unificata. Quest’ultima, invece, è coinvolta solo in quanto destinataria di una informativa sull’esito del monitoraggio, ai sensi dell’art. 8, comma 1, della medesima legge.
Tali previsioni sono ritenute lesive della autonomia finanziaria delle regioni «non differenziate» e del canone di leale collaborazione, e dunque anche delle prerogative della Regione ricorrente.
5.15.– La Regione autonoma Sardegna nel quindicesimo motivo di ricorso censura gli artt. 1, comma 2, 3, comma 3, e 4, comma 2, della legge n. 86 del 2024. Tali disposizioni introducono la distinzione tra «materie LEP», individuate dallo stesso art. 3, e «materie non LEP», e consentono l’immediata attribuzione delle seconde alle regioni «differenziate». È denunciato il contrasto con il principio solidaristico (art. 2 Cost.) e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), con il principio di unità della Repubblica (art. 5 Cost) nonché con gli artt. 81, comma terzo, 116, comma terzo, 117, secondo comma, lettera m), 119, commi terzo, quarto, quinto e sesto, e 120 Cost.
La distinzione sarebbe anzitutto estranea all’art. 116, terzo comma, Cost., con violazione di tale disposizione costituzionale.
Inoltre, l’esercizio di ogni funzione, comprese quelle attinenti alle «materie non LEP», richiede risorse umane, strumentali e finanziarie, sicché queste, ove non previste ex novo, dovrebbero essere distratte dal loro impiego, producendo effetti onerosi con violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
Ancora, i livelli essenziali costituiscono non una materia, ma una competenza statale idonea ad investire tutte le materie (è richiamata la sentenza n. 282 del 2002 di questa Corte), così che la restrizione dei LEP ai soli diritti che comportano impegno finanziario si porrebbe in contrasto con lo stesso art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. L’individuazione, nelle zone grigie, di aree coperte dai LEP sarebbe rimessa dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., alla «valutazione arbitraria» del legislatore, e non alle intese.
La mancata determinazione dei LEP e l’assenza di finanziamento dei LEP relativi a tutte le materie lederebbero anche il principio solidaristico (art. 2 Cost.) e quello di promozione dell’autonomia nel rispetto dell’unità repubblicana (art. 5 Cost.). Inoltre, violerebbero sia l’obbligo di copertura finanziaria ex art. 81, terzo comma, Cost., sia l’art. 119, commi terzo, quarto, quinto e sesto, Cost., perché sarebbero incompatibili con l’obbligo di finanziare tutte le funzioni pubbliche attribuite alle regioni (art. 119, comma quarto, Cost.), con l’obbligo di istituire il fondo perequativo (art. 119, terzo comma, Cost.), porrebbero ostacolo alla coesione e alla solidarietà sociale, impedirebbero la rimozione degli squilibri economici e sociali e la promozione dell’effettivo esercizio dei diritti della persona (art. 119, quinto comma, Cost.), e ignorerebbero la condizione di insularità della Sardegna (art. 119, sesto comma, Cost.).
Sarebbe violato anche il principio della priorità dell’effettivo godimento dei LEP sulla autonomia, principio ricavato dall’art. 120 Cost.
Per queste ragioni sarebbero costituzionalmente illegittime non solo la disposizione che introduce la distinzione tra «materie LEP» e «materie non-LEP» (art. 4, comma 2), ma anche le altre disposizioni che tale distinzione assumono, e segnatamente gli artt. 1, comma 2, e 3, comma 3, quest’ultimo nella parte in cui non contempla, tra le materie per cui è necessario determinare i LEP, anche l’organizzazione della giustizia di pace, i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle regioni, il commercio con l’estero, le professioni, la protezione civile, la previdenza complementare e integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, le casse di risparmio, le casse rurali e le aziende di credito a carattere regionale, gli enti di credito fondiario ed agrario a carattere regionale.
Anche in questo motivo la Regione autonoma prospetta la ridondanza dei vizi dedotti sulle proprie attribuzioni, evidenziando che l’alterazione dell’attuale sistema di finanziamento renderebbe impossibile il rispetto dell’art. 119 Cost. e degli altri parametri evocati.
5.16.– La Regione autonoma Sardegna impugna nel sedicesimo motivo di ricorso l’art. 4, comma 2, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui consente il trasferimento di funzioni e risorse nelle materie «non LEP» secondo il criterio della spesa storica e senza previa determinazione dei LEP, sostenendo che tale modalità di finanziamento delle funzioni trasferite condiziona in peius la successiva determinazione dei LEP e viola gli artt. 81, 116, terzo comma, 117, secondo comma, lettera m), e 119 Cost.
L’esigenza di garantire i LEP (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e il principio dell’equilibrio di bilancio (artt. 81, primo comma, e 119, primo comma, Cost.) richiederebbero che i trasferimenti per le funzioni attribuite alla regione «differenziata» fossero effettuati solo dopo aver verificato la copertura dei LEP e il rispetto dell’equilibrio di bilancio; ciò significa che l’attribuzione di funzioni, anche nelle materie «non LEP», dovrebbe essere preceduta dalla determinazione dei LEP, mentre il criterio della spesa storica «fotografa[…]» la ripartizione attuale degli stanziamenti e l’intesa la «ingessa[…]».
Il vulnus lamentato non sarebbe escluso dalla norma contenuta nell’art. 4, comma 1, secondo cui, se nella determinazione dei LEP emerge l’esigenza di ulteriori risorse finanziarie a loro copertura, queste debbono essere previamente stanziate. Infatti, la stessa norma impone il rispetto degli equilibri di bilancio e quindi potrebbe determinare una successiva determinazione dei LEP «“al ribasso”» rispetto a quanto sarebbe necessario per la garanzia dei livelli essenziali, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Inoltre, il criterio della spesa storica, una volta che le funzioni sono state attribuite con l’intesa, risulterebbe intangibile (salva diversa intesa), a differenza della determinazione dei LEP e dei relativi oneri finanziari, non essendo previsto un meccanismo di adeguamento e di correzione della spesa storica rispetto alla esigenza di finanziare i LEP. La previsione di cui all’art. 8, comma 2, infatti, permetterebbe di ritoccare le aliquote, ma – nelle materie «non LEP» – solo per garantire le risorse in modo corrispondente alla spesa storica.
Tale meccanismo consentirebbe poi alle regioni «differenziate» di ricevere – in taluni casi – dotazioni finanziarie superiori a quanto necessario e anche di trattenere l’eventuale surplus derivante dalla compartecipazione, sottraendolo alla spesa dello Stato, come rilevato sia dalla Banca d’Italia nella sua memoria sia dal dossier dell’Ufficio parlamentare di bilancio, e dunque sottraendo tali risorse anche a possibili utilizzi perequativi.
Questo sistema sarebbe dunque incompatibile con i principi dell’art. 119 Cost. («del quale è data un’attuazione parziale, prevedendo le compartecipazioni al gettito quale unica forma di finanziamento delle funzioni attribuite»), richiamati dall’art. 116, terzo comma, Cost., come condizione per l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
I vizi dedotti inciderebbero sulle competenze statutarie, in quanto l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., riconoscendo una potestà esclusiva statale, sarebbe «del tutto idoneo a sovrintendere anche al riparto delle attribuzioni tra lo Stato e una Regione speciale»; gli artt. 81, 116, terzo comma, e 119 Cost. sarebbero parametri i cui principi incidono anche sui rapporti finanziari tra Stato e Regione autonoma Sardegna, e la contrazione del bilancio dello Stato comprimerebbe necessariamente le risorse a disposizione della Regione autonoma, almeno con riferimento a quelle attribuitele dallo Stato in funzione perequativa.
5.17.– La Regione autonoma Sardegna impugna con il diciassettesimo motivo di ricorso gli artt. 5, comma 2, e 9 della legge n. 86 del 2024, per violazione del principio di ragionevolezza e degli artt. 81, primo e terzo comma, e 119, comma quarto, Cost.
L’art. 5, comma 2, prevede che le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite alla regione «differenziata» siano individuate dall’intesa tramite la compartecipazione a tributi erariali, e rinvia alla legge di contabilità pubblica e all’art. 119, quarto comma, Cost., mentre l’art. 9 sancisce una clausola di invariabilità finanziaria per la stessa legge n. 86 del 2024 e per ciascuna successiva intesa, disponendo che tale invarianza vale anche per le regioni «non differenziate» e aggiungendo che le intese non possono pregiudicare l’entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre regioni.
Ricordato che il cosiddetto “residuo fiscale” non è parametro normativo riconducibile all’art. 119 Cost. (è citata in questo senso la sentenza n. 69 del 2016 di questa Corte), la Regione autonoma Sardegna sostiene che – nonostante la declaratoria di invarianza finanziaria – la legge abbia effetti onerosi, come risulta dai documenti istituzionali prodotti (della Banca d’Italia, dell’Ufficio parlamentare di bilancio, della Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno - SVIMEZ). La scelta di finanziare le funzioni attribuite con le compartecipazioni presenterebbe criticità, giacché le disposizioni impugnate da un lato non prevedono – anzi impediscono, stante la clausola di neutralità finanziaria – meccanismi di copertura delle spese statali che risultino scoperte per effetto della riduzione di gettito del tributo erariale in seguito alla compartecipazione e per l’aumento dei costi derivanti dalla frammentazione dell’offerta dei servizi pubblici e dalle diseconomie di scala (come rilevato dalla Banca d’Italia nella memoria del 27 marzo 2024, presentata alla I Commissione della Camera dei deputati); dall’altro, non terrebbero conto degli andamenti del ciclo economico, come pure rilevato dalla Banca d’Italia.
Le disposizioni impugnate sarebbero dunque viziate da irragionevolezza, perché prometterebbero l’impossibile, assicurando condizionalità tra loro non compatibili. È dedotta anche la violazione dell’art. 81, commi primo, sotto il profilo della mancata considerazione dell’andamento del ciclo economico, e terzo, Cost., per il difetto di copertura, nonché dell’art. 119, quarto comma, Cost., non essendo assicurato l’integrale finanziamento delle funzioni attribuite alle regioni.
La Regione ricorrente allega la ridondanza delle violazioni sulle competenze regionali, perché la differenziazione delle attribuzioni non finanziata da nuove risorse depaupera il complesso di risorse da destinare a quelle non differenziate, con conseguente riduzione anche delle disponibilità finanziare per la Regione autonoma Sardegna e con ulteriore violazione dell’art. 119, quarto comma, Cost.
5.18.– La Regione autonoma Sardegna, nel diciottesimo motivo di ricorso, impugna l’art. 5, comma 2, della legge n. 86 del 2024 per violazione dell’art. 56 dello statuto speciale, nella parte in cui dispone che le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite sono individuate con l’intesa attraverso la compartecipazione a quote di gettito di tributi erariali maturato nel territorio, anziché prevedere che tale individuazione sia rimessa alla Commissione paritetica Stato-Regione, per motivi analoghi a quelli esposti nel tredicesimo motivo (punto 5.13.), cioè per violazione della riserva di competenza a favore dell’organo misto previsto dalla norma statutaria.
5.19.– La Regione autonoma Sardegna impugna con il diciannovesimo motivo di ricorso il medesimo art. 5, comma 2, insieme con l’art. 4, comma 2, della legge n. 86 del 2024, sostenendo che la possibilità di finanziare le funzioni attribuite solo con le compartecipazioni, senza possibilità di considerare le altre due forme di finanziamento delle funzioni regionali contemplate dall’art. 119, secondo e terzo comma, Cost., e cioè rispettivamente i tributi e le entrate proprie e le quote del fondo perequativo, discriminerebbe le regioni che non possono coprire le nuove funzioni con quote del gettito erariale e che dunque potrebbero finanziarle solo con trasferimenti a valere sul fondo perequativo.
Tale discriminazione non sarebbe esclusa dall’obbligo di stanziamento delle risorse a copertura dei LEP previsto dall’art. 4, comma 1, della legge, perché per le materie non LEP il trasferimento di funzioni e di risorse avviene nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente, e dunque per tali materie il finanziamento deve necessariamente passare per le quote di tributi erariali.
Inoltre, secondo la Regione autonoma Sardegna, il sistema fondato sulle compartecipazioni ai tributi erariali consentirebbe alle regioni «differenziate» con dinamica positiva della base imponibile incisa dai tributi erariali di spendere l’extragettito che eccede la copertura delle funzioni attribuite, mentre sottrarrebbe tale extragettito alle politiche redistributive nazionali e alla effettiva possibilità della Regione autonoma di vedersi attribuite tali risorse in chiave solidaristica, di eguaglianza sostanziale e di garanzia del pieno sviluppo della persona umana, in violazione degli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 116, terzo comma, 117, secondo comma, lettera m), e 119, secondo e terzo comma, Cost.
5.20.– La Regione autonoma Sardegna impugna con il ventesimo motivo di ricorso l’art. 9, comma 4, nella parte in cui stabilisce che, ai fini di garantire il coordinamento della finanza pubblica, resta ferma la possibilità di prevedere, anche per le regioni che hanno sottoscritto le intese di cui all’art. 2, forme di concorso agli obiettivi di finanza pubblica, anziché disporre che agli stessi fini di coordinamento finanziario tale concorso «resta fermo».
Nel prevedere la possibilità del concorso delle regioni «differenziate» agli obiettivi di finanza pubblica, anziché l’obbligo del loro concorso insieme con gli altri enti territoriali, la norma violerebbe il principio solidaristico (art. 2 Cost.); i principi di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.); il principio di imparzialità dell’amministrazione (art. 97, secondo comma, Cost.); il principio di equilibrio del bilancio (art. 81, primo comma, Cost.); l’art. 81, sesto comma, Cost., che rende cogenti le norme fondamentali e i criteri stabiliti con la legge rinforzata (poi approvata come legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante «Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione») al fine di assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni; l’art. 9 della legge n. 243 del 2012, in quanto norma interposta rispetto all’art. 81, sesto comma, Cost., che espressamente chiama le regioni a concorrere al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica delle amministrazioni pubbliche; l’art. 97, primo comma, Cost., che impegna tutte le amministrazioni pubbliche, e dunque anche quelle «differenziate», ad assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico; gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli obblighi europei in materia di bilancio, essendo configurato come eventuale il concorso agli obblighi di finanza pubblica anche in rifermento alle regole dell’Unione europea; l’art. 117, terzo comma, Cost., per violazione della potestà concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica; l’art. 119, primo e sesto comma, Cost., perché la norma esonera le regioni differenziate dal concorso diretto ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e non riconosce la peculiarità delle isole e non promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi dell’insularità.
La ridondanza del vizio è individuata nei maggiori oneri di concorso agli obiettivi di finanza pubblica che potrebbero gravare sulle altre regioni – tra cui la Regione autonoma Sardegna – per effetto dell’esonero delle regioni «differenziate» dall’obbligo di concorrere ai medesimi obiettivi.
5.21.– La Regione autonoma Sardegna impugna con il ventunesimo motivo l’art. 10, comma 2, della legge n. 86 del 2024, relativo alle misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, nella parte in cui dispone che, in attuazione dell’art. 119, terzo comma, Cost., trova comunque applicazione l’art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011, in conformità con le disposizioni di cui all’art. 2 della legge 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale), e nel quadro dell’attuazione della milestone del PNNR relativa alla riforma del quadro fiscale subnazionale (Missione 1, Componente 1, Riforma 1.14), anziché disporre che trova comunque applicazione il fondo perequativo previsto dall’art. 119, terzo comma, Cost., non ancora istituito.
La Regione autonoma Sardegna, premesso che essa rientra tra le regioni con minore capacità fiscale per abitante, sostiene che il fondo previsto dall’art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011 e richiamato dalla disposizione censurata non coincide con il fondo perequativo previsto dall’art. 119, terzo comma, Cost. (e mai realizzato), giacché sarebbe diretto a finanziare integralmente solo le funzioni nominate dalla stessa disposizione ed attribuito a tutte le regioni e non solo a quelle con minore capacità fiscale per abitante; inoltre, esso sarebbe assoggettato al vincolo di destinazione sancito dal PNNR, a differenza del fondo di perequazione previsto dalla norma costituzionale. La Regione lamenta quindi una lesione delle proprie attribuzioni, perché essa – che pure dovrebbe avere accesso al fondo perequativo di cui all’art. 119, terzo comma, Cost., in forza della clausola di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 – si troverebbe soggetta ad una condivisione del fondo con tutte le altre regioni (e non solo con le regioni con minore capacità per abitante) e ad un vincolo di destinazione, vedendosi così limitata nel proprio indirizzo politico.
5.22.– Con il ventiduesimo motivo di ricorso, la Regione autonoma Sardegna impugna l’art. 11, comma 2, della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui prevede l’applicazione alle regioni speciali della legge stessa nella sua interezza o, in subordine, dei gruppi di articoli già impugnati nei motivi precedenti, deducendo la violazione dell’art. 54 dello statuto speciale e dell’art. 116, terzo comma, Cost., e indirettamente degli artt. 15, 27, 51 e 56 dello statuto speciale nonché degli artt. 2, 3, commi primo e secondo, 116, comma terzo, 117, commi secondo, lettera m), e quarto, 119, secondo comma, e 121, secondo comma, Cost.
La disposizione impugnata determina l’applicazione dell’intera legge alle regioni speciali, come risulta sia dal dato letterale, sia dai lavori preparatori.
La norma che determina l’applicazione di una legge ordinaria – nella sua totalità o, in subordine, dei gruppi di disposizioni indicati nel primo motivo di ricorso e, in via gradata, nei motivi 2, 3, 4, 10, 13, 18 e 19 – sarebbe però costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 54 dello statuto speciale, perché porrebbe inammissibilmente limiti e condizioni alle fonti della specialità, modificabili solo con il procedimento di revisione costituzionale; dell’art. 116, comma primo, Cost., che dà allo statuto speciale la sua peculiare posizione nel sistema delle fonti; nonché degli artt. 2, 3, 15, 27, 51 e 56 dello statuto speciale e degli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 116, terzo comma, 117, commi secondo, lettera m), e quarto, 119, comma secondo, 121, comma secondo, Cost., per le ragioni già illustrate nei precedenti motivi.
6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito nei giudizi promossi dalle Regioni Puglia e Toscana con atti depositati il 18 settembre 2024, e nei giudizi promossi dalla Regione Campania e dalla Regione autonoma Sardegna con atti depositati il 4 ottobre 2024.
6.1.– Nel giudizio promosso dalla Regione Puglia, in via preliminare, il resistente eccepisce l’inammissibilità radicale del ricorso per difetto di motivazione sulla ridondanza, in quanto la ricorrente denuncerebbe l’illegittimità costituzionale della legge, ma non la lesione delle proprie attribuzioni costituzionali. Il peggioramento delle prestazioni rese dalle ricorrenti e il rischio di diseguaglianze non riguarderebbero il corretto riparto delle competenze tra Stato e regioni. Il ricorso sarebbe inammissibile anche per difetto di interesse ad agire, in quanto la lesione non sarebbe immediata ma dipenderebbe dalle future leggi rinforzate.
Nel merito, il primo motivo di ricorso (preclusione di una legge quadro) sarebbe non fondato «per difetto di lesività della disciplina gravata rispetto al parametro costituzionale evocato». La legge non altererebbe il procedimento delineato dall’art. 116, terzo comma, Cost., né determinerebbe di per sé alcuna devoluzione di funzioni alle regioni interessate. Essa «non potrebbe mai produrre il risultato di ampliare il novero delle ulteriori forme e condizioni di autonomia entro cui l’articolo 116 Cost. perimetra le iniziative regionali». L’Avvocatura ricorda che il Titolo V è già stato attuato con la legge n. 131 del 2003.
Quanto al secondo motivo di ricorso (necessità di trasferimenti puntuali), il resistente rileva che l’art. 116, terzo comma, Cost. «non pone alcun limite oggettivo circa l’ampiezza della richiesta della Regione». Gli argomenti letterali utilizzati nel ricorso non avrebbero «nulla […] a che vedere con il frazionamento delle materie evocato suggestivamente dal ricorso». Comunque, in base all’art. 2, comma 2, della legge, l’atto di iniziativa regionale dovrebbe «avere esplicitamente ad oggetto le singole funzioni di cui si chiede l’attribuzione». Inoltre, non sarebbe esatto che la legge sia caratterizzata «dalla mancata considerazione delle “condizioni” in cui versa il contesto territoriale di riferimento e dell’utilità dell’autonomia» richiesta.
Quanto alla paventata eliminazione della potestà concorrente (statale), l’Avvocatura solleva dubbi sulla nozione “oggettiva” di materia e sulla coincidenza tra materia e potestà legislativa statale. Inoltre, ricorda che l’art. 7 della legge impugnata prevede la reversibilità dell’intesa.
In relazione al terzo motivo di ricorso (materie “no-LEP”), si osserva che, facendo seguito alla legge n. 197 del 2022, la legge impugnata, per la prima volta dalla riforma del Titolo V avrebbe «avviato un processo organico di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni per provvedere ad un’attuazione ordinata e non episodica dell’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost.». Comunque, la subordinazione dell’attribuzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia in una determinata materia alla previa fissazione dei LEP nella medesima materia non costituirebbe «un obbligo derivante dalle previsioni costituzionali rilevanti, ma una scelta del legislatore statale». L’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. attribuirebbe allo Stato il potere di fissare i LEP, comprimendo l’autonomia regionale, non il dovere di fissarli. Inoltre, la Regione non sarebbe legittimata a far valere la competenza statale sui LEP.
Quanto al quarto motivo di ricorso (delega “in bianco”), l’Avvocatura richiama la giurisprudenza costituzionale sulla delega e osserva che l’art. 3 della legge impugnata «non disattende questi principi, ove si consideri che il rinvio ai commi da 791 a 801-bis dell’articolo 1 della Legge n. 197/2022 compendia adeguatamente la fissazione dei principi e criteri direttivi per il legislatore delegato»; infatti, a parte le norme procedurali, il comma 791 conterrebbe anche criteri sostanziali. Anche la determinazione del fabbisogno standard di cui al comma 793 potrebbe rappresentare un criterio direttivo. L’art. 3, comma 7, poi, non contemplerebbe «una delegificazione di ogni aspetto della materia, bensì un mero aggiornamento periodico», come previsto in altri casi (si cita il codice del terzo settore per l’aggiornamento dei settori di attività di interesse generale).
In relazione al quinto motivo di ricorso (compartecipazioni), il resistente rileva che la legge impugnata «prefigura […] modalità di attuazione dell’autonomia differenziata che non richiedono l’aumento del volume della spesa pubblica, ma anzi preludono alla possibilità» di «un efficientamento della gestione delle nuove funzioni trasferite alle Regioni». L’art. 116, terzo comma, Cost. potrà essere attuato «mediante regolazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo coinvolti (Stato centrale e Regioni “ordinarie”) “a somma zero”, ossia trasferendo alle Regioni richiedenti le corrispondenti voci di spesa attualmente stanziate nel bilancio statale per le funzioni da trasferire». Ciò che «verrà attribuito alle Regioni mediante compartecipazione al gettito corrisponderà non già alla spesa storica […] ma in base alla valutazione dei costi e fabbisogni standard». Si osserva anche che, per le materie “no-LEP”, il finanziamento delle funzioni devolute avrà luogo secondo il criterio della spesa già sostenuta dallo Stato nella regione richiedente, «escludendosi quindi qualsiasi aggravio finanziario». La copertura finanziaria non potrebbe essere individuata a priori, ma andrà «garantita in occasione dei singoli negoziati, e delle conseguenti intese».
Quanto al sesto motivo di ricorso (finanziamento LEP), secondo il resistente, a dispetto di quanto sostenuto nel ricorso, la legge impugnata prevede che, nel caso in cui dalla determinazione dei LEP derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il trasferimento delle funzioni possa intervenire solo successivamente all’entrata in vigore delle leggi di stanziamento delle risorse finanziarie. Il richiamo ai vincoli di bilancio non comporterebbe affatto l’esclusione della necessità di maggiori finanziamenti.
Il settimo motivo di ricorso sarebbe inammissibile per genericità e, comunque, non fondato per erroneità dell’interpretazione dell’art. 9, comma 4, della legge impugnata, che, lungi dal voler privilegiare le regioni “differenziate”, introdurrebbe una «clausola di garanzia», volta ad escludere esplicitamente che l’attuazione dell’autonomia differenziata possa esimere le regioni che l’hanno richiesta dal concorso agli obiettivi di finanza pubblica.
Quanto all’ottavo motivo di ricorso (ruolo della Conferenza unificata), l’Avvocatura osserva che l’art. 116, terzo comma, Cost. prevede l’intesa con la regione interessata e il parere degli enti locali situati nella stessa regione: la logica sottostante a questa previsione, «chiaramente ispirata alla considerazione e alla valorizzazione delle specificità regionali, non potrebbe dunque per sua stessa natura tollerare la previsione di alcuna intesa – sia essa in seno alla Conferenza Unificata o alla Conferenza Stato – Regioni». Tale intesa «finirebbe per sostituire le valutazioni della Conferenza Unificata a quelle invece spettanti al Parlamento». La sentenza di questa Corte n. 251 del 2016 non sarebbe pertinente perché «si riferiva a fattispecie nelle quali erano in gioco interessi che coinvolgevano trasversalmente la generalità delle Regioni». Quanto all’art. 117, ottavo comma, Cost., esso si limiterebbe a prevedere la facoltà (e non l’obbligo) per le regioni di concludere intese con altre regioni
In relazione al nono motivo di ricorso (poteri del Presidente del Consiglio dei ministri), l’Avvocatura osserva che il ruolo del Governo sarebbe condizionato da diversi compiti che la legge n. 86 del 2024 attribuisce alle Camere. Inoltre, non sarebbe indeterminato l’art. 2, comma 1, della legge impugnata, secondo cui il Presidente del Consiglio dei ministri «tiene conto del quadro finanziario della Regione» ai fini dell’avvio del negoziato. Le finalità indicate dagli artt. 1 e 2 rappresenterebbero «limiti “conformativi”» anche ai poteri presidenziali.
Quanto al decimo motivo di ricorso (cessazione di efficacia di leggi statali), l’art. 7, comma 3, della legge n. 86 del 2024 sarebbe «una mera conseguenza […] della facoltà per la Regione interessata di disciplinare in autonomia le forme particolari di autonomia di cui diviene destinataria» e rappresenterebbe applicazione del principio della certezza del diritto. Inoltre, poiché l’intesa Stato-regione viene approvata con la legge statale, sarebbe questa a regolare il fenomeno della cessazione di efficacia delle disposizioni statali previgenti. Il meccanismo ricorderebbe quello della delegificazione ma, nel caso dell’art. 7, comma 3, le disposizioni abrogate sarebbero già individuate dall’intesa, approvata con legge.
L’undicesimo motivo di ricorso (iniziative già avviate) sarebbe non fondato perché l’art. 11 della legge valorizzerebbe appropriatamente gli accordi già intervenuti con le prime regioni richiedenti, «sia in un’ottica di semplificazione procedimentale ed amministrativa, sia al fine di evitare discriminazioni irragionevoli e immotivate nei confronti di quelle Regioni che già hanno impegnato risorse umane e strumentali necessarie alla presentazione al Governo degli atti di iniziativa».
Infine, anche il dodicesimo motivo di ricorso (iniziativa legislativa del Governo) sarebbe non fondato perché l’art. 116, terzo comma, Cost. «non specifica né aggettiva in alcun modo l’iniziativa della Regione interessata all’attribuzione delle forme e condizioni ulteriori di autonomia, limitandosi, ben diversamente, ad inserire la facoltà regionale di proposta nell’ambito di un procedimento complesso».
6.2.– Anche nel giudizio promosso dalla Regione Toscana l’Avvocatura eccepisce l’inammissibilità radicale del ricorso per difetto di motivazione sulla ridondanza e di interesse ad agire, in termini simili a quelli sopra esposti.
Il primo motivo di ricorso (necessità di trasferimenti puntuali) sarebbe non fondato per le ragioni sopra esposte (secondo motivo del ricorso della Regione Puglia). Quanto alla censura relativa alla leale collaborazione, l’Avvocatura rileva (punti da 5.1. a 5.4.) che il procedimento disciplinato dalla legge «arricchisce la fase istruttoria dell’intesa fra Governo e Regione a tutela degli interessi finanziari dello Stato e delle esigenze di solidarietà inter-regionale»; inoltre, l’art. 2, comma 4, prevede il parere della Conferenza unificata sullo schema di intesa preliminare.
Il secondo motivo di ricorso (ruolo marginale delle Camere) sarebbe non fondato perché il Parlamento avrebbe, in realtà, un «ruolo centrale nella procedura», dal momento che gli artt. 2 e 7 attribuirebbero ad esso diverse prerogative. La previsione di «atti di indirizzo» sarebbe «coerente con l’autonomia regolamentare parlamentare» e «con la natura bicamerale del nostro sistema parlamentare». La centralità del Parlamento non sarebbe contraddetta dalla non emendabilità delle intese perché l’esame parlamentare sarebbe «preceduto da una lunga, complessa ed articolata fase istruttoria che si sviluppa sia nella dialettica fra Governo e Regione interessata, sia in quella fra Governo, Conferenza e Parlamento».
Il terzo motivo di ricorso sarebbe non fondato perché il coinvolgimento della regione nella fase parlamentare «non troverebbe […] riscontro nel testo dell’articolo 116, comma 3, Cost., che si limita a prevedere la deliberazione del Parlamento sulla base dell’intesa, senza condizionamenti e vincoli ulteriori circa i soggetti che partecipano al processo legislativo» (punto 4.8.).
Il quarto motivo di ricorso (iniziativa legislativa del Governo) sarebbe non fondato perché sarebbe «evidente che l’iniziativa di che trattasi [ex art. 116, terzo comma] sia quella finalizzata all’avvio delle trattative volte alla stipula dell’intesa». Sarebbe un «salto logico» ritenere che l’iniziativa legislativa relativa alla legge rinforzata «sia di esclusiva (o anche solo concorrente) spettanza del Consiglio della Regione interessata».
Il quinto motivo di ricorso (delega “in bianco”) sarebbe non fondato per le ragioni sopra esposte, in relazione al quarto motivo del ricorso della Regione Puglia.
Il sesto motivo di ricorso (parere della Conferenza unificata per la determinazione dei LEP) sarebbe non fondato perché l’individuazione dei LEP spetta alla competenza esclusiva statale e il parere sarebbe «strumento idoneo a consentire l’interlocuzione della Conferenza unificata».
Quanto al settimo motivo di ricorso (aggiornamento dei LEP con d.P.C.m.), l’Avvocatura rileva che, se fosse violata la riserva di legge, «ciò comporterebbe l’incostituzionalità di tutti i LEP già individuati tramite lo stesso strumento»; inoltre, «il ricorso ai D.P.C.M. è evidentemente giustificato, nel caso di specie, dalla complessità tecnica della disciplina, la quale esige complesse valutazioni di carattere tanto finanziario, quanto organizzativo». La norma impugnata, inoltre, contemplerebbe «adeguate garanzie procedurali».
Quanto ai motivi riguardanti i profili finanziari, essi sarebbero inammissibili per inattualità dell’interesse a ricorrere, perché le censure «potranno – semmai – essere avanzate nei riguardi delle leggi ordinarie che recepiranno le singole intese e trasferiranno funzioni e risorse e dovranno, esse sì, rispondere al principio dell’obbligo di copertura».
In relazione all’ottavo motivo di ricorso (mancata garanzia dei LEP), l’Avvocatura ribadisce alcuni argomenti sopra esposti (con riferimento al terzo motivo della Regione Puglia) e rileva che la legge impugnata «interviene anche sul tema della garanzia dei LEP, prevedendo la definizione di apposite procedure di monitoraggio (articolo 3, commi 4-6, e articolo 7, comma 4), di un meccanismo di cessazione dell’intesa da parte dello Stato a seguito della mancata osservanza, direttamente imputabile alla Regione dell’obbligo di garantire i LEP».
Il nono motivo di ricorso (finanziamento delle ulteriori funzioni) sarebbe non fondato perché non si porrebbe «alcuno specifico problema di perequazione interregionale relativamente all’autonomia differenziata, dato che tale perequazione non subirebbe alcuna alterazione a seguito dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.». La legge non sarebbe censurabile «per non aver declinato nel senso della riserva di aliquota la modalità di finanziamento delle funzioni da trasferire in base all’autonomia differenziata», dato che la «definizione tecnica delle modalità di attribuzione delle compartecipazioni alle Regioni rappresenta una scelta del tutto discrezionale del legislatore ordinario».
Il decimo motivo di ricorso (fondo perequativo) sarebbe non fondato perché «il tema della perequazione continua ad essere disciplinato sulla base di quanto previsto in base alla normativa vigente»; sarebbe «arbitrario trasferire sulla legge in esame una presunta censura di illegittimità costituzionale che deriverebbe […] da quanto disposto dalla legge n. 42 del 2009 e dal relativo decreto legislativo di attuazione n. 68 del 2011».
L’undicesimo motivo di ricorso (iniziative già avviate) sarebbe non fondato per le ragioni già sopra esposte (in relazione all’undicesimo motivo della Regione Puglia).
Quanto al dodicesimo motivo di ricorso (PNRR), secondo la resistente «il rispetto dei principi di coesione e solidarietà […] in nessun modo sono posti in discussione».
6.3.– Nel giudizio promosso dalla Regione autonoma Sardegna, il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione ed interesse ad agire, in quanto l’art. 116, terzo comma, Cost. si rivolgerebbe alle regioni ordinarie.
Inoltre, il ricorso sarebbe inammissibile perché ha ad oggetto (anche) l’intera legge n. 86 del 2024, che avrebbe contenuto non omogeneo, e perché, essendo la legge pienamente «attuativa» dell’art. 116, terzo comma, Cost., il ricorso si appunterebbe contro la riforma del Titolo V.
Il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di interesse anche perché non ci sarebbero dubbi sul riparto di competenze: le questioni promosse riguarderebbero la competenza esclusiva statale ad attuare l’art. 116, terzo comma, Cost.
L’Avvocatura eccepisce poi l’inammissibilità radicale del ricorso per difetto di motivazione sulla ridondanza e di interesse ad agire, in termini simili a quelli sopra esposti (punto 6.1.).
Nel merito, quanto al primo motivo di ricorso (preclusione di una legge quadro), l’Avvocatura ribadisce gli argomenti già esposti (punto 6.1.) con riferimento al motivo n. 1 del ricorso della Regione Puglia. In aggiunta, osserva che la legge impugnata non invaderebbe la competenza della legge rinforzata, alla quale l’art. 116, terzo comma, Cost. assegnerebbe solo il compito di provvedere sull’intesa raggiunta fra Stato e regione.
Il secondo motivo di ricorso (iniziativa legislativa del Governo) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punti 6.1. e 6.2.) con riferimento ai motivi n. 12 del ricorso della Regione Puglia e n. 4 del ricorso della Regione Toscana.
Il terzo e il quarto motivo (legge statutaria regionale e iniziativa dell’esecutivo regionale) sarebbero non fondati perché l’impugnato art. 2 si limiterebbe a disporre «che, in ossequio a quanto previsto nei rispettivi statuti, saranno le Regioni a stabilire le modalità di attivazione del procedimento funzionale alla definizione e successiva approvazione dell’intesa, oltre che l’individuazione dell’organo competente ad assumere l’iniziativa medesima». L’Avvocatura nota che, in base all’art. 15, primo comma, dello statuto sardo, la competenza della legge statutaria speciale sarebbe limitata all’iniziativa legislativa popolare, restando escluse dall’ambito di tale fonte le iniziative promananti da soggetti diversi. La legge n. 86 del 2024 non imporrebbe alcun ruolo al Presidente della Regione in relazione all’iniziativa per la richiesta delle ulteriori forme di autonomia né, di conseguenza, inciderebbe sulla distribuzione delle competenze fra gli organi della regione.
I motivi quinto, sesto, settimo, ottavo e nono di ricorso (mancati raccordi con la Conferenza unificata e con la Conferenza Stato-regioni) sarebbero non fondati perché l’art. 116, terzo comma, Cost. contemplerebbe solo l’intesa fra Stato e regione richiedente e il parere degli enti locali della regione stessa. Comunque, si rileva che l’art. 2, comma 4, prevede il parere della Conferenza unificata sullo schema di intesa preliminare. Quanto al ruolo del Governo, la legge impugnata prevederebbe diversi condizionamenti ad opera di altri organi, principalmente delle Camere; le decisioni dell’esecutivo nazionale non sarebbero, dunque, arbitrarie, considerate anche le finalità che la legge indica come limiti “conformativi” ai poteri dell’esecutivo.
Il decimo motivo di ricorso (approvazione parlamentare unilaterale) sarebbe, secondo l’Avvocatura, contraddittorio rispetto a quello basato sull’autosufficienza dell’art. 116, terzo comma, Cost., perché presupporrebbe la mancata disciplina del caso in cui le Camere intendano modificare l’intesa raggiunta. Il Parlamento, in effetti, manterrebbe «ogni più ampia possibilità di valutare la legge approvativa dell’intesa preliminare intercorsa tra Stato e Regione, atteso il ruolo fondamentale che gli è comunque assegnato dalla disposizione costituzionale», e sarebbe corretto che la legge n. 86 del 2024 «non prenda alcuna posizione al riguardo», per rispetto del ruolo del Parlamento. Si osserva, peraltro, che la pretesa di una nuova intesa con la regione richiedente si porrebbe «del tutto al di fuori del quadro procedurale delineato dall’articolo 116, terzo comma, Cost.».
L’undicesimo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 6.1.), con riferimento al motivo 2 del ricorso della Regione Puglia. L’Avvocatura aggiunge che la condizione di insularità della Sardegna, e la rimozione degli svantaggi a essa collegati, «potrà essere oggetto di particolare e specifica attenzione secondo l’impianto della Legge n. 86/2024, a partire dalle sue finalità generali (articolo 1, comma 1) e dalla previsione di specifiche misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale (articolo 10)».
Il dodicesimo motivo di ricorso (delega in bianco e aggiornamento dei LEP con d.P.C.m.) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte sopra (punti 6.1. e 6.2.: motivo n. 4 del ricorso della Regione Puglia, motivi n. 5 e n. 7 del ricorso della Regione Toscana).
In relazione ai motivi tredicesimo, diciottesimo e ventiduesimo di ricorso (lesione del ruolo della Commissione paritetica prevista dall’art. 56 dello statuto speciale e limiti alle fonti della specialità), l’Avvocatura rileva che le previsioni dell’impugnato art. 5, «nel combinato disposto con il menzionato articolo 11, comma 2, della medesima Legge, […] anziché comprimere le attribuzioni statutarie della Regione Sardegna, si limitano unicamente a definire una procedura “alternativa” per il conferimento delle funzioni oggetto di devoluzione rilevante ai fini del raffronto fra diversi, possibili gradi di autonomia, e dunque nel pieno rispetto ed in attuazione dell’articolo 116 Cost.». Quanto all’art. 11, comma 2, la clausola di “maggior favore” conferirebbe «ex se legittimazione alle procedure previste dalla Legge ordinaria n. 86/2024 sull’autonomia differenziata, consentendone l’operatività nelle more dell’adeguamento degli Statuti speciali».
Quanto al quattordicesimo motivo di ricorso (compiti di monitoraggio e ruolo della Conferenza unificata), l’Avvocatura rileva, in relazione all’art. 3, che la Conferenza unificata non è solamente informata degli esiti del monitoraggio da parte della Commissione paritetica ma, sulla base di tale informazione, «è legittimata ad adottare, sentito il Presidente della Regione interessata, le necessarie raccomandazioni alle Regioni interessate al fine di superare le criticità riscontrate (articolo 3, comma 5)». Quanto all’art. 8, si osserva che «la fase procedurale attribuita alle Commissioni paritetiche è seguita da un momento deliberativo centrale affidato al Ministro dell’economia e delle finanze, che prevede anche il coinvolgimento della Conferenza Unificata nella forma dell’intesa».
Il quindicesimo motivo (materie “no-LEP”) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 6.1., motivo n. 3 del ricorso della Regione Puglia). Inoltre, si osserva che la sentenza di questa Corte n. 282 del 2002, collegando la competenza statale sui LEP a «tutte le materie», intendeva estenderla anche alle materie regionali (concorrenti e residuali), non affermare la necessità di una determinazione dei LEP in tutte le materie di cui all’art. 116, terzo comma, Cost. Ancora, la Regione non sarebbe legittimata a proporre il motivo in questione, trattandosi di una competenza esclusiva statale. Si eccepisce poi l’inammissibilità della censura relativa alla mancata individuazione delle risorse da trasferire nelle materie “no-LEP”, dato che essa andrebbe rivolta nei confronti delle singole leggi rinforzate: l’interesse a ricorrere, dunque, non sarebbe attuale.
Quanto al sedicesimo motivo di ricorso (criterio della spesa storica nelle materie “no-LEP”), l’Avvocatura osserva che la fase del negoziato ai fini della conclusione delle intese si basa sulla disponibilità di un quadro di funzioni relative alle materie “LEP” e “no-LEP”, a seguito del lavoro della Cabina di regia. Il coordinamento tra funzioni trasferite e non trasferite «spetterà alla medesima intesa; anche sulla base di tali intrecci tra funzioni, l’impatto economico del trasferimento di funzioni potrà essere valutato in termini concreti nell’ambito dei negoziati tra Stato e singole Regioni richiedenti». Inoltre, si osserva che «il monitoraggio riguarderà sia le funzioni “LEP” che quelle “non LEP”» e che «le risorse occorrenti non potranno evolvere indipendentemente dalle esigenze di spesa, ma saranno periodicamente riviste per essere allineate ai fabbisogni o alle risorse a disposizione», in base all’art. 8 della legge impugnata. Anche per tale censura l’Avvocatura eccepisce l’inammissibilità per difetto di interesse attuale.
Il diciassettesimo e diciannovesimo motivo di ricorso (compartecipazioni) sarebbero non fondati perché il richiamo al concetto di “residuo fiscale” sarebbe del tutto inconferente rispetto al contenuto della legge n. 86 del 2024. In nessun punto essa evoca il concetto di “residuo fiscale regionale” né, tanto meno, verrebbe indicato «l’obiettivo di ridurne l’entità e quindi di intaccare la portata redistributiva e perequativa della finanza pubblica nazionale». Non ci sarebbe «alcun rischio che, per effetto dell’attuazione della Legge n. 86/2024, le Regioni con minore capacità fiscale, siano o meno richiedenti funzioni e firmatarie di intese ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, Cost., vedano compromessa la propria capacità di fare fronte ai fabbisogni di spesa connessi alle funzioni da esse svolte». L’Avvocatura richiama gli artt. 4 e 5, comma 2, della legge impugnata e ricorda che restano fermi i meccanismi perequativi. Il percorso dell’autonomia differenziata non prescinderebbe dall’attuazione del federalismo fiscale nel suo complesso. Inoltre, il gettito maturato dalla compartecipazione ad uno o più tributi delle regioni ordinarie “differenziate” «non potrebbe incidere in alcun modo sulle quote di compartecipazione delle Regioni a statuto speciale».
L’Avvocatura ribadisce poi argomenti già esposti nel punto 6.1. (motivo n. 5 della Regione Puglia).
Il ventesimo motivo di ricorso (concorso agli obiettivi finanziari) sarebbe inammissibile e non fondato per le ragioni già esposte nel punto 6.1. (motivo n. 7 del ricorso della Regione Puglia).
Infine, il ventunesimo motivo di ricorso (fondo perequativo) sarebbe non fondato perché l’art. 10, comma 2, della legge impugnata, attraverso il richiamo all’art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011, si limiterebbe a «confermare che il percorso di attuazione dell’autonomia differenziata non può pregiudicare la piena applicazione del federalismo fiscale c.d. “simmetrico”, per cui i due percorsi devono procedere in completa sintonia». Il fondo perequativo di cui al citato art. 15 sarebbe «del tutto coerente con i principi di cui all’articolo 119 Cost., in quanto non presenta specifici vincoli di destinazione». Quanto al rilievo riguardante l’applicazione del criterio della “spesa storica”, l’Avvocatura precisa che la norma prevede una graduale convergenza verso l’applicazione del criterio perequativo basato sui costi standard.
6.4.– Nel giudizio promosso dalla Regione Campania, il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, innanzi tutto, l’inammissibilità del ricorso per mancanza «di legittimazione ed interesse», stante la omessa individuazione delle «specifiche competenze ritenute lese» e delle «ragioni della lamentata lesione». Inoltre, la violazione denunciata non sarebbe né attuale, né potenziale.
Quanto al primo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali), esso sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punti 6.1. e 6.2.: motivo n. 2 del ricorso della Regione Puglia e n. 1 del ricorso della Regione Toscana). L’Avvocatura sottolinea anche la «potenziale insussistenza dell’interesse a ricorrere, attesa la stretta compenetrazione tra la legge in esame e i successivi procedimenti – sia politico-amministrativi, sia stricto sensu legislativi – ivi previsti».
Il secondo motivo di ricorso (eliminazione della potestà concorrente) sarebbe non fondato perché l’art. 116, terzo comma, Cost. prevede la possibilità di derogare alle norme costituzionali di competenza. La deroga, peraltro, sarebbe reversibile, in virtù dell’art. 7 della legge n. 86 del 2024.
Il terzo motivo di ricorso (materie “no-LEP”) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (motivo n. 3 del ricorso della Regione Puglia e motivo n. 15 del ricorso della Regione autonoma Sardegna). Inoltre, l’Avvocatura rileva che, per individuare le materie “no-LEP”, «il legislatore ha tenuto conto delle motivazioni sostanziali emerse dalla relazione del [Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni] CLEP».
Il quarto motivo di ricorso (garanzia dei LEP) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (motivo n. 8 del ricorso della Regione Toscana). L’Avvocatura aggiunge che «la “previa identificazione” dei LEP è frutto, in ogni caso, del necessario bilanciamento tra esigenze essenziali di tutela dei diritti e quadro finanziario generale». La legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), avrebbe disegnato un «percorso graduale di avvicinamento ai livelli essenziali delle prestazioni, con la fissazione di obiettivi intermedi, qualificati quali “obiettivi di servizio”». Tale iter sarebbe stato seguito nel comparto comunale; l’Avvocatura cita la disciplina della legge n. 178 del 2020, relativa al Fondo di solidarietà comunale.
I motivi quinto, sesto e settimo di ricorso (compartecipazioni e fondo perequativo) sarebbero in primis inammissibili, in quanto le censure dovrebbero essere rivolte contro le future leggi di differenziazione: l’interesse, dunque, non sarebbe attuale. Essi sarebbero anche non fondati perché la legge impugnata recherebbe «una molteplicità di disposizioni a custodia dei principi di coordinamento della finanza pubblica, al fine di evitare principalmente oneri a carico della finanza pubblica e di garantire equità tra i territori». L’Avvocatura ribadisce argomenti già esposti nel punto 6.3. (motivi 17 e 19 del ricorso della Regione autonoma Sardegna). Quanto alla possibilità che la regione differenziata abbia più risorse di quelle necessarie per svolgere le funzioni attribuite, l’Avvocatura ricorda le procedure di monitoraggio di cui all’art. 8 della legge impugnata: nel caso di eccedenza di gettito rispetto ai fabbisogni standard in conseguenza di un andamento positivo del ciclo economico, «tale eccedenza rimarrebbe acquisita al bilancio dello Stato per finanziare il debito pubblico». Quanto al fondo perequativo, l’Avvocatura ribadisce argomenti già esposti nel punto 6.3. (motivo 21 del ricorso della Regione autonoma Sardegna).
L’ottavo motivo di ricorso (delega “in bianco”) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte nel punto 6.1. (motivo n. 4 del ricorso della Regione Puglia).
Il nono motivo di ricorso (aggiornamento dei LEP con d.P.C.m.) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte sopra (punti 6.1 e 6.2: motivo n. 4 del ricorso della Regione Puglia, motivo n. 7 del ricorso della Regione Toscana).
Quanto al decimo motivo di ricorso (PNRR), l’Avvocatura rileva che la legge impugnata sarebbe «in linea con gli obiettivi di coesione economico-sociale perseguiti dal PNRR» e richiama «sia il meccanismo di finanziamento dei LEP volto a garantire la fruizione uniforme ed omogenea degli stessi sull’intero territorio nazionale», sia l’art. 10 della legge in esame.
L’undicesimo motivo di ricorso (legge di mera approvazione) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte sopra (punto 6.2.: motivo n. 2 del ricorso della Regione Toscana).
Quanto al dodicesimo motivo di ricorso (mancato coinvolgimento della regione richiedente nella fase parlamentare), l’Avvocatura osserva che il procedimento è regolato in modo da tutelare gli interessi delle altre regioni e ricorda che l’art. 2, comma 4, della legge impugnata richiede il parere della Conferenza unificata sullo schema di intesa preliminare.
Il tredicesimo motivo di ricorso (iniziativa legislativa del Governo) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punti 6.1. e 6.2.: motivo n. 12 del ricorso della Regione Puglia e motivo n. 4 del ricorso della Regione Toscana).
Il quattordicesimo motivo di ricorso (ruolo marginale della Conferenza unificata) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 6.3.: motivi n. 5, n. 6, n. 7, n. 8 e n. 9 del ricorso della Regione autonoma Sardegna).
Il quindicesimo motivo di ricorso (iniziative pregresse) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 6.1.: motivo n. 11 del ricorso della Regione Puglia).
7.– La Regione Piemonte ha depositato in termini «memoria di costituzione a valere anche quale atto di intervento» nel giudizio promosso dalla Regione Puglia, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o non fondato.
Quanto alla propria posizione in giudizio, premette la difesa regionale che il ricorso della Regione Puglia è stato notificato a tutte le regioni e province autonome e che quindi il Piemonte assumerebbe la qualifica di parte controinteressata ai sensi dell’art. 41, comma 2, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), che sarebbe applicabile stante il rinvio dell’art. 22, primo comma, della legge n. 87 del 1953 alle norme del regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.
Dal punto di vista sostanziale, la Regione Piemonte assume di essere parte controinteressata giacché l’art. 11 della legge n. 86 del 2024 prevede che «[g]li atti di iniziativa delle Regioni già presentati al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la Regione interessata prima della data di entrata in vigore della presente legge, [siano] esaminati secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni della presente legge» (comma 1). Tale norma si applicherebbe non solo alle tre regioni che hanno concluso gli Accordi preliminari nel 2018, ma «anche nei confronti di tutte le Regioni che abbiano già intrapreso atti di iniziativa ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost.»; la Regione Piemonte cita i diversi atti, compiuti tra il 2018 e il gennaio 2020, con i quali sono state avviate trattative con il Governo. Da ciò il Piemonte deduce la propria legittimazione processuale a costituirsi quale parte del giudizio, ai sensi dell’art. 22, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
In subordine, la Regione rileva che, qualora questa Corte attribuisse alle notifiche effettuate dalla Regione Puglia natura meramente notiziale, «il ricorso non risulterebbe notificato […] neppure a uno solo dei suddetti controinteressati»; di qui, la conseguenza della «radicale inammissibilità» dello stesso, ai sensi dell’art. 41 cod. proc. amm.
Nell’ipotesi in cui non venga considerata parte controinteressata, la Regione Piemonte chiede di intervenire in giudizio ai sensi degli artt. 31, comma 1, e 4, comma 3, delle Norme integrative. La Regione ricorda che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudizio in via principale si svolge fra soggetti titolari di potestà legislativa e afferma di avere «un interesse giuridicamente qualificato, immediato e concreto, non solo perché potenzialmente potrebbe stabilire di proporre una nuova iniziativa volta a conseguire forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., ma anche – e soprattutto – perché una tale iniziativa […] è già stata formalmente intrapresa».
Nell’ipotesi in cui questa Corte ritenga non applicabili ai giudizi in via principale gli artt. 31, comma 1, e 4, comma 3, delle Norme integrative, la Regione Piemonte chiede di intervenire ai sensi degli artt. 28, comma 2, e 50, commi 2 e 3, cod. proc. amm., sulla base del citato rinvio operato dall’art. 22, primo comma, della legge n. 87 del 1953.
7.1.– Argomentando in relazione al primo motivo di ricorso (preclusione della legge quadro), la Regione Piemonte eccepisce l’inammissibilità dell’intero ricorso per contraddittorietà. Da un lato, il ricorso afferma l’impossibilità di adottare una legge quadro, perché l’art. 116, terzo comma, Cost. dovrebbe ritenersi «del tutto autosufficiente»; dall’altro lato, si contestano diversi «profili di incostituzionalità “per assenza” o “lacuna”, ossia imperniati sulla mancanza di una determinata previsione che invece risulterebbe (in tesi) costituzionalmente necessaria, con la conseguenza, però, che la disposizione costituzionale de qua non potrebbe dirsi certamente autoapplicativa».
Nel merito, la prima questione sarebbe comunque non fondata, posto che nel nostro ordinamento non esisterebbero aree interdette al legislatore ordinario, esclusi i casi di riserve assolute di legge costituzionale. Inoltre, la circostanza secondo la quale l’art. 116, terzo comma, Cost. risulterebbe idoneo a essere applicato anche in assenza di una legge ordinaria di attuazione non escluderebbe in alcun modo che il legislatore possa regolare ulteriormente il relativo procedimento.
7.2.– Il secondo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali) sarebbe, in primo luogo, inammissibile per difetto di motivazione sulla ridondanza. La Regione Puglia farebbe valere non le proprie competenze, ma quelle dello Stato, e mirerebbe a difendere il principio unitario, rimanendo «oscuro e indimostrato come e perché la violazione del principio unitario e del principio di ragionevolezza invocati nel ricorso possano tradursi in una lesione delle attribuzioni costituzionali della Regione Puglia».
Il motivo sarebbe anche non fondato, perché, se l’art. 116, terzo comma, Cost. impedisce trasferimenti illimitati, «non si può che considerare tale precetto immediatamente efficace, e pienamente in grado, da solo e di per sé, di rendere costituzionalmente illegittime quelle future ed eventuali “leggi di differenziazione” che in concreto dispongano nel senso accennato». Inoltre, le norme impugnate non implicherebbero affatto «l’affermazione della possibilità di procedere a una devoluzione “illimitata”»: esse si limiterebbero a ribadire il contenuto della disposizione costituzionale.
Quanto alla questione di legittimità costituzionale promossa dalla ricorrente in riferimento allo stesso art. 116, terzo comma, Cost., là dove fosse interpretato nel senso di una possibile devoluzione “totale” di materie, la Regione Piemonte precisa che non intende «in alcun modo sostenere che, per effetto dell’art. 116, terzo comma, Cost., siano possibili devoluzioni “totali” e “senza limiti”»: la disposizione costituzionale andrebbe interpretata sistematicamente, in collegamento con il principio di unità di cui all’art. 5 Cost.
7.3.– Con riferimento al terzo motivo di ricorso (materie “no-LEP”), la Regione Piemonte eccepisce l’inammissibilità di quelle promosse in relazione agli artt. 3, 117, secondo comma, lettera m), e 120, secondo comma, Cost., poiché la Regione intenderebbe tutelare non già le proprie competenze costituzionalmente garantite, bensì l’interesse unitario di cui invece è portatore lo Stato. Parimenti inammissibile, per genericità, sarebbe la questione promossa in relazione all’art. 2, comma 1, della legge impugnata, poiché il presupposto interpretativo da cui muove la ricorrente – secondo il quale il negoziato, nelle materie “no-LEP”, potrebbe svolgersi per “blocchi” di materie – non troverebbe «sostegno in alcuna plausibile argomentazione esplicativa».
Nel merito, la difesa piemontese rileva che i LEP dovrebbero ritenersi «concettualmente distinti dal c.d. “nucleo essenziale” dei diritti fondamentali»: questo sarebbe indisponibile per il legislatore, sia statale che regionale, mentre i LEP potrebbero essere fissati dal primo a una soglia più alta di quella del nucleo essenziale del relativo diritto, individuata tramite una scelta politica. Conseguentemente, sul piano delle risorse, quelle destinate a finanziare il nucleo essenziale dei diritti fondamentali sarebbero incomprimibili, mentre quelle volte a finanziare i LEP sarebbero però sempre rideterminabili, al rialzo come al ribasso. Dunque, la legge statale potrebbe individuare per i diritti una soglia di tutela diversa e ulteriore rispetto al nucleo essenziale, fissando i relativi LEP, ma potrebbe «anche non farlo, o farlo solo per alcuni». Inoltre, per la Regione apparirebbe ictu oculi l’estraneità ai LEP di alcune materie elencate nell’art. 116, terzo comma, Cost., come, ad esempio, «rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni», «commercio con l’estero», o «coordinamento della finanza pubblica». Ancora, la questione relativa all’art. 120 Cost. sarebbe non fondata, poiché l’utilizzo dei poteri sostitutivi straordinari del Governo non sarebbe imposto per la garanzia di livelli di tutela di diritti che, a loro volta, non risultino costituzionalmente necessari.
Quanto, poi, alle questioni promosse per violazione del principio di leale collaborazione, il Piemonte ne deduce la non fondatezza perché, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso di «forte incidenza» delle norme legislative statali sulle competenze regionali, la previsione di una intesa con le regioni non sarebbe costituzionalmente imposta, ben potendosi individuare altri e meno penetranti strumenti di collaborazione che risultino adeguati, di volta in volta, a garantire il ragionevole equilibrio di tutte le istanze coinvolte. Anche la richiesta di intestare in capo alla Conferenza un intervento collaborativo più incisivo delle “raccomandazioni” di monitoraggio sarebbe priva di fondamento, poiché in tale sede non si esplicherebbe una funzione decisoria, espressione di discrezionalità amministrativa, ma «una funzione lato sensu meramente certatoria».
7.4.– Quanto al quarto motivo di ricorso (delega “in bianco”), la Regione Piemonte osserva che la legge impugnata rinvia espressamente, quanto ai criteri direttivi della delega legislativa, all’art. 1, commi da 791 a 801-bis, della legge n. 197 del 2022, ove si reperirebbero vari precetti aventi il ruolo di principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega. Sul piano procedimentale, la Regione Piemonte richiama i commi 792 e seguenti, che prevedono l’istituzione di una Cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con il compito di determinare i LEP sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Sul piano sostanziale, il comma 791 conterrebbe norme in grado di svolgere adeguatamente il ruolo di principi e criteri direttivi.
Manifestamente infondata apparirebbe altresì la questione relativa all’art. 3, comma 7 (aggiornamento dei LEP con d.P.C.m.), in riferimento all’art. 23 Cost.: i d.P.C.m. sarebbero volti non già a imporre prestazioni personali o patrimoniali, ma a definire (o, meglio, a ri-definire) le prestazioni pubbliche oggetto di diritti soggettivi degli individui. La norma costituzionale invocata, dunque, difetterebbe della necessaria pertinenza rispetto alla censura prospettata.
7.5.– In relazione al quinto motivo di ricorso, la Regione Piemonte osserva che le prescrizioni della legge impugnata, relative alle risorse finanziarie, sarebbero senz’altro vincolanti per lo Stato e le regioni nella predisposizione dell’intesa ex art. 116, terzo comma, Cost. Dunque, qualora un’intesa determinasse maggiori oneri per la finanza pubblica, o non garantisse l’invarianza finanziaria delle regioni “non differenziate”, o facesse venir meno la disponibilità di risorse per il fondo perequativo o per gli interventi speciali di cui all’art. 119, terzo, quinto e sesto comma, Cost., le regioni interessate potrebbero far valere in giudizio tali difformità rispetto ai precetti legislativi dei quali in questa sede si discute. L’art. 9, comma 1 (clausola di invarianza finanziaria), avrebbe il consueto significato in relazione all’applicazione della legge n. 86 del 2024, dalla quale non deriverebbe alcun onere, mentre con riguardo alle future intese la norma impugnata assumerebbe «pieno e preciso carattere precettivo: nel senso di rendere senz’altro illegittime quelle intese dalla cui attuazione possano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Una “legge di differenziazione” che intervenisse, comunque, a valle di una intesa non annullata, potrebbe disporre tali oneri aggiuntivi, ovviamente assicurandone la relativa copertura. Viceversa, nel caso in cui la “legge di differenziazione” pregiudicasse l’invarianza finanziaria delle altre regioni, tale legge sarebbe incostituzionale, per violazione dell’art. 119 Cost. Secondo la Regione Piemonte, non si comprenderebbe la doglianza perché, se la Puglia «è così certa della concreta impossibilità che siano soddisfatte tutte le condizioni» poste dalla legge, comprese quelle volte a ribadire i precetti dell’art. 119 Cost., «sono proprio le censurate disposizioni della legge n. 86/2024 che la garantiscono al massimo, determinando la illegittimità dell’intesa il cui contenuto fosse contrario alle stesse».
Sarebbe non fondata anche la questione relativa all’esclusione dei tributi propri dalle fonti di finanziamento delle funzioni oggetto di devoluzione. Secondo la Regione, l’art. 119 Cost. include le compartecipazioni tra le fonti “ordinarie” di finanziamento delle funzioni delle autonomie territoriali, senza indicare una qualche forma di preferenza per i tributi e le entrate proprie.
7.6.– Quanto al sesto motivo di ricorso (finanziamento LEP), esso sarebbe non fondato poiché le norme impugnate sarebbero inequivoche nell’escludere la realizzabilità di processi di differenziazione nel caso in cui la determinazione dei LEP conduca a ravvisare la necessità di nuove risorse, fintanto che tali risorse non vengano reperite. Ciò risulta dall’art. 4, comma 1, della legge impugnata, norma che il successivo art. 9, comma 2, tiene espressamente ferma.
7.7.– Il settimo motivo di ricorso (concorso agli obiettivi di finanza pubblica) sarebbe non fondato per interpretazione palesemente erronea della disposizione impugnata, che si limiterebbe, in realtà, a ribadire l’esistente regime di concorso anche per le regioni “differenziate”.
7.8.– Quanto all’ottavo motivo di ricorso (ruolo della Conferenza), esso sarebbe inammissibile per contraddittorietà rispetto al primo motivo: mentre con questo si afferma l’autosufficienza dell’art. 116, terzo comma, Cost., con l’ottavo motivo di ricorso si affermerebbe la necessaria acquisizione di una intesa della Conferenza unificata, sostanzialmente, in ciascuno dei passaggi rilevanti del procedimento. Inoltre, il motivo in esame sarebbe anche intrinsecamente contraddittorio perché la ricorrente, da un lato, affermerebbe la necessità che le regioni estranee al processo di differenziazione, così come tutti gli enti locali della Repubblica, siano «sentiti» nell’ambito del relativo procedimento e, dall’altro lato, invocherebbe un’intesa nella sede della Conferenza unificata. Di qui un’ulteriore ragione di inammissibilità delle questioni.
Nel merito, il motivo sarebbe non fondato perché l’art. 116, terzo comma, Cost. recherebbe una definizione esaustiva del procedimento (costituzionalmente) necessario per attuare il regionalismo differenziato: in tale procedimento non sarebbe riconosciuto alcun ruolo collaborativo alle altre regioni e agli enti locali. Del resto, anche nel vigente procedimento di adozione degli statuti speciali, sarebbero previste (solo) forme deboli di collaborazione, per di più esclusivamente con le singole regioni o province autonome interessate. Dunque, le norme impugnate avrebbero previsto una interlocuzione collaborativa con la Conferenza unificata solo per valutazioni di opportunità, non essendo in alcun modo vincolate in tal senso dalle norme costituzionali attualmente vigenti.
7.9.– Quanto al nono motivo di ricorso (poteri del Presidente del Consiglio dei ministri), secondo la Regione Piemonte, il fatto che la Costituzione non preveda un ruolo specifico del Presidente del Consiglio dei ministri non implicherebbe una preclusione a che tale ruolo possa essere riconosciuto dalla legge ordinaria. La legge n. 86 del 2024, a ben vedere, sarebbe attuativa dell’art. 95, primo comma, Cost.
Quanto all’asserita indeterminatezza delle disposizioni legislative in esame, la Regione rileva che «lo svolgimento del negoziato, in vista della stipula di una eventuale intesa, non può che essere affidato allo svolgimento della funzione di indirizzo politico del Governo, che ovviamente soffrirebbe una qualunque pre-determinazione normativa eccessivamente dettagliata».
7.10.– Il decimo motivo di ricorso (cessazione di efficacia delle leggi statali) sarebbe non fondato perché, se una legge ex art. 116, terzo comma, Cost. determinasse l’abrogazione di norme costituzionalmente necessarie o indispensabili per rispettare i vincoli europei, essa sarebbe incostituzionale. La Regione rileva che il nostro ordinamento conosce la figura dell’abrogazione espressa «che nessuno ha mai ritenuto di considerare contrastante con la funzione costituzionale propria del giudice». Inoltre, «l’effetto di vincolo nei confronti delle successive norme legislative future [sarebbe] chiaramente insito nel meccanismo dell’art. 116, terzo comma, Cost.».
7.11.– L’undicesimo motivo di ricorso (atti di iniziativa già presentati) sarebbe non fondato, perché l’art. 11 prescriverebbe espressamente «l’applicazione integrale» della legge impugnata alle iniziative pregresse. In altri termini, afferma la difesa piemontese che di quelle iniziative regionali dovrà essere valutata la piena rispondenza ai precetti sostanziali e procedurali posti dalla legge n. 86 del 2024.
7.12.– Infine, anche il dodicesimo motivo di ricorso sarebbe non fondato per erroneità del presupposto interpretativo da cui muove la ricorrente. L’art. 2, comma 6, si limiterebbe a individuare nel Governo, tra tutti i titolari del potere di iniziativa legislativa, quello onerato del compito di dare seguito all’intesa stipulata ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost. Ciò non varrebbe, però, a precludere la presentazione di una proposta di “legge di differenziazione” da parte degli altri titolari dell’iniziativa legislativa e, in particolare, del Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 121 Cost. Inoltre, l’art. 116, terzo comma, Cost., menzionando l’iniziativa regionale, non intenderebbe l’iniziativa legislativa, ma quella politico-amministrativa; altrimenti, quest’ultima potrebbe essere presa anche dal Governo, il che sarebbe implausibile.
8.– Con atto depositato il 1° ottobre 2024, la Regione Piemonte è intervenuta anche nel giudizio promosso dalla Regione Toscana.
In primo luogo, la Regione eccepisce l’inammissibilità del ricorso in quanto non notificato ad essa, ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. proc. amm. Tutte le regioni sarebbero controinteressate o, almeno, quelle che avevano avviato le trattative con il Governo, dato il contenuto dell’art. 11 della legge impugnata.
La Regione argomenta, poi, la propria legittimazione all’intervento, ribadendo gli argomenti sopra esposti (punto 7).
8.1.– Quanto al primo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali), la Regione ribadisce gli argomenti sopra esposti (punto 7.2.). In relazione alla censura riferita al principio di leale collaborazione (approvazione della legge n. 86 del 2024 senza consultazione delle regioni), la Regione Piemonte ne afferma la non fondatezza, sostenendo che quel principio non si applicherebbe al procedimento legislativo. Inoltre, nell’iter di approvazione della legge impugnata, non sarebbe mancato l’apporto collaborativo delle regioni.
8.2.– Quanto al secondo motivo di ricorso (ruolo marginale delle Camere), la Regione Piemonte ne eccepisce l’inammissibilità per difetto di motivazione sulla ridondanza del vizio denunciato (che attiene alle prerogative delle Camere) sulle competenze della ricorrente. Nel merito, si osserva che l’art. 116 Cost. richiede l’intervento parlamentare dopo la stipula dell’intesa: dunque, tale norma costituzionale non potrebbe essere violata dalla previsione (nell’art. 2, comma 5, dell’impugnata legge) di un coinvolgimento ritenuto insufficiente nella fase precedente l’intesa. Anche la censura dell’art. 2, comma 8, della legge n. 86 del 2024 sarebbe non fondata, perché tale disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso di non prevedere una legge di mera approvazione finale dell’intesa: essa, invece, rinvierebbe all’ordinario procedimento legislativo.
8.3.– Quanto al terzo motivo di ricorso (mancato coinvolgimento della regione richiedente nella fase parlamentare), esso sarebbe non fondato per tre ragioni: in primis, perché il principio di leale collaborazione non si applicherebbe al procedimento legislativo; in secondo luogo, perché l’art. 116 Cost. avrebbe espressamente limitato il coinvolgimento della regione interessata alla stipula dell’intesa; infine, perché la legge ordinaria sarebbe inadeguata a disciplinare il procedimento legislativo; dunque, toccherebbe ai regolamenti parlamentari «procedere nel senso indicato […] dalla odierna ricorrente» (la Regione Piemonte ricorda l’art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001).
8.4.– Quanto alla non fondatezza del quarto motivo di ricorso (iniziativa legislativa del Governo), la Regione ribadisce gli argomenti sopra esposti (punto 7.12.).
8.5.– Anche il quinto motivo di ricorso (delega in bianco) sarebbe non fondato, per le ragioni già esposte nel punto 7.4.
8.6.– Quanto al sesto motivo di ricorso (determinazione dei LEP e mero parere della Conferenza), la Regione ribadisce gli argomenti già esposti nel punto 7.3.
8.7.– Quanto al settimo motivo di ricorso (aggiornamento dei LEP con d.P.C.m.), esso sarebbe non fondato perché l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. non contemplerebbe una riserva di legge in materia. Inoltre, si rileva che i d.P.C.m. dovranno attenersi ai criteri direttivi fissati per la prima determinazione dei LEP. Sulla non pertinenza dell’art. 23 Cost., la Regione ribadisce gli argomenti già esposti nel punto 7.4.
8.8.– L’ottavo motivo di ricorso (garanzia dei LEP) sarebbe non fondato perché la riforma del Titolo V avrebbe predisposto dei congegni per assicurare effettività ai LEP ma tali congegni non avrebbero a che fare con l’art. 116 Cost. quanto, piuttosto, con l’art. 119, terzo e quarto comma, Cost. e con il potere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, Cost.
8.9.– Quanto al nono motivo di ricorso (compartecipazioni), la Regione osserva che, nel caso la regione richiedente abbia una ridotta capacità fiscale, la legge di differenziazione dovrà prevedere una compartecipazione più favorevole, in attuazione dell’art. 119, quarto comma, Cost. La Regione riprende poi gli argomenti esposti nel punto 7.5.
8.10.– Il decimo motivo di ricorso sarebbe non fondato perché l’art. 10, comma 2, della legge n. 86 del 2024, stabilendo che, in caso di attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., «trova comunque applicazione» l’art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011, avrebbe lo scopo di far venir meno la sospensione del fondo perequativo nel caso di approvazione di una legge di differenziazione.
8.11.– L’undicesimo motivo di ricorso sarebbe non fondato per le ragioni già esposte nel punto 7.11.
8.12.– Il dodicesimo motivo di ricorso (PNRR) sarebbe privo di autonomia, perché la ricorrente afferma che la legge impugnata metterebbe a rischio la coesione territoriale del Paese rinviando ai precedenti motivi. Inoltre, l’eventuale inattuazione del federalismo fiscale oltre il primo trimestre del 2026 non dipenderebbe dalla legge impugnata. Infine, il contrasto con la decisione di esecuzione del Consiglio dell’Unione europea n. 2021/168 sarebbe una mera petizione di principio. Il motivo, dunque, sarebbe inammissibile, prima che non fondato.
9.– Con atto depositato il 7 ottobre 2024, la Regione Piemonte è intervenuta anche nel giudizio promosso dalla Regione autonoma Sardegna.
La Regione si sofferma, innanzi tutto, sulla propria posizione processuale, ribadendo argomenti già esposti (punto 7).
9.1.– Venendo ai singoli motivi di ricorso, il primo (preclusione di una legge quadro) sarebbe non fondato «per una evidente erroneità del presupposto interpretativo». L’intento della legge impugnata sarebbe solo quello di regolare le attività rivolte alla definizione dell’intesa, «senza pregiudizio alcuno per le scelte che successivamente la legge rinforzata vorrà compiere». Non si potrebbe negare la «sussistenza di una piena competenza delle Camere, con legge ordinaria, a disciplinare la formazione della volontà dello Stato – con particolare riguardo alla posizione del Governo – in riferimento alla stipula di intese di cui lo Stato stesso è parte necessaria». Inoltre, sarebbe contraddittorio qualificare la legge di differenziazione come legge superiore e affermare che i rapporti di tale fonte con la legge ordinaria sarebbero regolati dal principio di competenza.
9.2.– Quanto alla non fondatezza del secondo motivo (iniziativa legislativa del Governo), la Regione ribadisce gli argomenti sopra esposti (punto 7.12.).
9.3.– Il terzo motivo di ricorso (legge statutaria regionale) sarebbe non fondato perché gli oggetti che l’art. 2, commi 1 e 5, della legge impugnata, rinvia alla disciplina della legge statutaria, riguarderebbero «il ruolo che ciascuno degli organi regionali dovrà/potrà assumere con riguardo alla deliberazione dell’atto di iniziativa e della successiva ed eventuale adesione all’intesa», cioè riguarderebbero la forma di governo della Regione: dunque, il rinvio all’autonomia statutaria regionale non sarebbe illegittimo.
9.4.– Il quarto motivo di ricorso (iniziativa dell’esecutivo regionale) sarebbe inammissibile perché basato su «una prospettazione meramente eventuale e ipotetica»; se del caso, il vizio riguarderebbe la futura fonte statutaria, non la norma statale impugnata. Comunque, la questione sarebbe non fondata: al Presidente della regione, quale suo rappresentante, spetta manifestare all’esterno la volontà della regione relativa all’intesa; quanto alla formazione di tale volontà, l’art. 2, commi 1 e 5, della legge n. 86 del 2024 si limiterebbe «a riconoscere un dato normativo già presente nella realtà costituzionale vigente», cioè che «le deliberazioni interne alla Regione circa gli atti di iniziativa e l’adesione agli schemi di intesa ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., attengono ai rapporti tra gli organi regionali, e quindi alla forma di governo, non potendo dunque che essere disciplinate da atti regionali di espressione ed esercizio dell’autonomia statutaria».
9.5.– In relazione ai motivi concernenti il ruolo della Conferenza unificata (o della Conferenza Stato-regioni), la Regione Piemonte rileva che l’assunto alla loro base sarebbe contraddittorio rispetto alla tesi secondo cui l’art. 116, terzo comma, Cost. sarebbe autosufficiente ed esaustivo; inoltre, i motivi si tradurrebbero in una contestazione della stessa norma costituzionale e sarebbero non fondati, perché la leale collaborazione non si applica al procedimento legislativo. Infine, il procedimento di revisione degli statuti speciali confermerebbe che non è in alcun modo necessaria la collaborazione – debole o forte che sia – di altri enti territoriali, oltre a quelli direttamente interessati nei procedimenti speciali volti a riconoscere, alle Regioni, forme e condizioni particolari di autonomia. Con particolare riguardo alla decisione del Presidente del Consiglio dei ministri di circoscrivere il negoziato, si tratterebbe di una fase preliminare e, dunque, non si vedrebbe «su quale oggetto “definito” potrebbe mai esprimersi l’eventuale apporto partecipativo/deliberativo auspicato dalla ricorrente».
9.6.– Il decimo motivo (approvazione parlamentare unilaterale) sarebbe non fondato perché, «se sono le norme costituzionali […] a richiedere implicitamente l’utilizzazione degli strumenti collaborativi de quibus, in tal senso sarà necessario operare ove si verifichino le condizioni prefigurate dalla ricorrente, senza che sia necessaria alcuna dichiarazione di illegittimità costituzionale della presunta “lacuna” asseritamente rinvenibile nella legge n. 86/2024, poiché tale esito non è per nulla impedito dalle disposizioni legislative qui contestate»; se, invece, quegli strumenti non sono costituzionalmente necessari (come ritiene la Regione Piemonte), allora la loro mancata previsione non è illegittima.
9.7.– L’undicesimo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 7.2.). Inoltre, si osserva che la legge n. 86 del 2024 non sarebbe la sede adatta per predisporre «strumenti in grado di contrastare gli effetti negativi dell’insularità»; quanto alla possibilità, per le regioni differenziate, di avere più competenze delle regioni speciali, la Regione Piemonte obietta che la legge impugnata è applicabile anche alle seconde.
9.8.– Il dodicesimo motivo di ricorso (delega “in bianco”) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 7.4.). Inoltre, la tesi secondo cui il vero oggetto dell’art. 3 non sarebbe costituito dalla definizione dei LEP, dal momento che questi ultimi, in realtà, sarebbero comunque destinati a essere fissati – a tutt’oggi – tramite d.P.C.m., sarebbe non fondata: l’art. 3 disporrebbe in contrasto con i commi 795 e 796 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022, prevedendo che i LEP siano adottati non con d.P.C.m., ma con «uno o più decreti legislativi», «producendosi così un chiaro effetto di abrogazione tacita per incompatibilità in danno dei menzionati commi». La tesi secondo cui l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. porrebbe una riserva di legge sarebbe non fondata, perché il successivo sesto comma della medesima disposizione costituzionale espliciterebbe «con chiarezza la possibilità (anche) per le fonti regolamentari di intervenire sul punto, ossia nella determinazione» dei LEP. Infine, quanto all’aggiornamento dei LEP effettuato con d.P.C.m., sulla base dell’art. 3, comma 7, della legge impugnata sarebbe «evidente che tale operazione dovrà avvenire conformemente ai principi e criteri direttivi individuati per l’esercizio della delega legislativa rivolta alla loro “prima” determinazione».
9.9.– Quanto al tredicesimo motivo di ricorso (ruolo della Commissione paritetica), la Regione Piemonte osserva che, «ove si ritenga che in base alla c.d. “clausola di maggior favore” anche le autonomie speciali debbano […] poter accedere all’istituto del regionalismo differenziato, le stesse non potranno pretendere di “ibridare” tale istituto con la disciplina statutaria». Ove lo si applichi a una regione speciale, quest’ultima non potrebbe invocare l’applicazione di alcun istituto statutario. Peraltro, la regione speciale resterebbe libera di scegliere fra due differenti strade, per ottenere funzioni ulteriori: o l’utilizzo delle norme di attuazione ovvero la strada della “legge di differenziazione”; ma, ovviamente, «in questo secondo caso le modalità di trasferimento delle funzioni non potranno che essere definite da tale legge».
9.10.– Il quattordicesimo motivo di ricorso (monitoraggio e Conferenza unificata) sarebbe, in primo luogo, inammissibile per «contraddittorietà tra la parte del petitum e quella della motivazione», perché la ricorrente chiederebbe un accoglimento secco. Nel merito, la censura sarebbe non fondata perché il monitoraggio «non potrà che essere affidato a istituzioni che incorporano il medesimo approccio collaborativo già realizzatosi nella fase genetica della predetta differenziazione». Sarebbe poi «sorprendente che sia proprio una Regione speciale come la Sardegna a lamentare l’incostituzionalità di un “rapporto singolo con lo Stato” da parte di altre Regioni».
9.11.– Il quindicesimo motivo di ricorso sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 7.3.).
9.12.– Quanto al sedicesimo motivo di ricorso (criterio della spesa storica nelle materie “no-LEP”), la Regione Piemonte ritiene non chiaro perché la ricorrente ritiene che il trasferimento delle risorse nelle materie “no-LEP” potrebbe avvenire sulla base del criterio della spesa storica. Se la ragione sta nell’inciso «nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente» (art. 4, comma 2, della legge n. 86 del 2024), l’equivoco sarebbe evidente, perché la «legislazione vigente» cui si rinvia non sarebbe «quella che è adesso vigente, ma quella che lo sarà al momento del trasferimento, la quale ben potrebbe contemplare l’abbandono del criterio della spesa storica». Inoltre, si osserva che l’art. 8, comma 2, della legge impugnata evita il rischio che le regioni differenziate trattengano le eventuali eccedenze di gettito finanziario, perché le variazioni di aliquota ivi previste «non solo possono, ma devono essere disposte anche verso il basso, nel caso in cui la ricognizione dell’allineamento abbia evidenziato l’eccedenza del gettito dei tributi compartecipati rispetto ai fabbisogni di spesa».
9.13.– Il diciassettesimo motivo di ricorso (compartecipazioni e invarianza finanziaria) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 7.5.).
9.14.– Il diciottesimo motivo di ricorso (finanziamento e ruolo della Commissione paritetica) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 9.9.).
9.15.– Il diciannovesimo motivo di ricorso (compartecipazioni) sarebbe non fondato perché l’art. 5, comma 2, della legge n. 86 del 2024 richiederebbe che «al finanziamento si provveda tramite lo strumento della compartecipazione: ma tale strumento dovrà essere calibrato di volta in volta in modo adeguato da garantire, in valore assoluto, una quantità sufficiente di risorse a ciascuna Regione per lo svolgimento delle funzioni attribuite, anche diversificando le aliquote di compartecipazione ovvero i tributi coinvolti».
9.16.– Il ventesimo motivo di ricorso (concorso agli obiettivi finanziari) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 7.7.).
9.17.– Il ventunesimo motivo di ricorso (fondo perequativo) sarebbe, in primis, inammissibile perché la ricorrente contesterebbe non tanto l’art. 10, comma 2, della legge impugnata «quanto lo stesso art. 15 del d.lgs. n. 68/2011 cui ess[o] fa esplicito rinvio».
Nel merito, non sarebbe esatto che il fondo è destinato a tutte le regioni. Scopo ultimo del fondo perequativo sarebbe quello di garantire a ciascuna regione la possibilità di finanziare le spese individuate dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011. In concreto, «potranno e dovranno beneficiare del fondo solo le Regioni che con le ordinarie fonti di finanziamento non riescono a raggiungere tale obiettivo». Un equivoco interpretativo riguarderebbe anche il supposto vincolo di destinazione, «dal momento che la disposizione non fa altro che richiamare la milestone del PNRR consistente proprio nel completamento dell’attuazione dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost. e alla legge n. 42/2009, della quale alcune delle previsioni più qualificanti (tra cui […] proprio quella concernente il fondo perequativo) vedono la propria efficacia sospesa fino all’anno 2027».
9.18.– Infine, quanto al ventiduesimo motivo di ricorso (applicazione della legge n. 86 del 2024 alle regioni speciali), la Regione Piemonte ribadisce gli argomenti già esposti nel punto 9.9.
10.– Con atto depositato l’8 ottobre 2024, la Regione Piemonte è intervenuta anche nel giudizio promosso dalla Regione Campania.
In primo luogo, quest’ultima eccepisce l’inammissibilità del ricorso in quanto non notificato ad essa, ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. proc. amm. Tutte le regioni sarebbero controinteressate, o almeno quelle che avevano avviato le trattative con il Governo, dato il contenuto dell’art. 11 della legge impugnata.
La Regione Campania argomenta, poi, la propria legittimazione all’intervento, ribadendo gli argomenti sopra esposti (punto 7).
10.1.– Quanto al primo e secondo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali ed eliminazione della potestà concorrente), la Regione Campania eccepisce l’inammissibilità sia del motivo relativo all’intera legge, per assenza di motivazione, sia di quello relativo alle singole disposizioni, per assenza di motivazione sulla ridondanza.
Nel merito, ribadisce gli argomenti sopra esposti (punto 7.2.).
10.2.– Quanto al terzo motivo di ricorso (materie “no-LEP”), la Regione Piemonte ribadisce gli argomenti sopra esposti (punto 7.3.).
10.3.– Quanto al quarto motivo di ricorso (garanzia dei LEP), la Regione Piemonte ribadisce gli argomenti sopra esposti (punto 8.8.).
10.4.– In relazione al quinto e sesto motivo di ricorso (compartecipazioni), la Regione eccepisce l’inammissibilità sia del motivo relativo all’intera legge, per assenza di motivazione, sia di quello relativo alle singole disposizioni, per assenza di motivazione sulla ridondanza.
Nel merito, ribadisce argomenti già esposti (punti 7.5., 9.15. e 9.12.). Inoltre, osserva che il potere sostitutivo straordinario dello Stato potrebbe essere esercitato in caso di “stallo” del meccanismo di cui all’art. 8, comma 2, della legge impugnata (ove ne ricorrano in concreto i presupposti).
10.5.– In relazione al settimo motivo di ricorso (fondo perequativo), la Regione Piemonte ribadisce gli argomenti sopra esposti (punto 8.10.).
10.6.– In relazione all’ottavo motivo di ricorso (delega “in bianco”), la Regione Piemonte ribadisce gli argomenti sopra esposti (punto 7.4.). Inoltre, eccepisce l’inammissibilità delle questioni relative agli artt. 116, terzo comma, e 119 Cost. per insufficienza di motivazione. Ancora, la tesi secondo cui l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. porrebbe una riserva di legge sarebbe non fondata, perché il successivo sesto comma della medesima disposizione costituzionale espliciterebbe «con chiarezza la possibilità (anche) per le fonti regolamentari di intervenire sul punto, ossia nella determinazione» dei LEP.
10.7.– In relazione al nono motivo di ricorso (aggiornamento dei LEP con d.P.C.m.), la Regione Piemonte ribadisce gli argomenti sopra esposti (punti 7.4. e 8.7.). Inoltre, osserva che l’art. 113 Cost. richiede una previa norma, non necessariamente di rango legislativo, e che «il meccanismo di una disciplina affidata in prima determinazione alla fonte legislativa e poi alla fonte regolamentare per i successivi aggiornamenti» corrisponderebbe «a un istituto assolutamente consolidato e praticato, […] notoriamente qualificato come “delegificazione”».
10.8.– In relazione al decimo motivo di ricorso (PNRR), la Regione Piemonte ribadisce gli argomenti sopra esposti (punto 8.12.).
10.9.– L’undicesimo motivo di ricorso (legge di mera approvazione) sarebbe inammissibile e non fondato per le ragioni già esposte (punto 8.2.).
10.10.– Il dodicesimo motivo di ricorso (mancato coinvolgimento della regione richiedente nella fase parlamentare) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 8.3.).
10.11.– Il tredicesimo motivo di ricorso (iniziativa legislativa del Governo) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 7.12.).
10.12.– Il quattordicesimo motivo di ricorso (ruolo marginale della Conferenza unificata) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punti 7.3. e 9.5.).
10.13.– Il quindicesimo motivo di ricorso (iniziative pregresse) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 7.11.).
11.– La Regione Veneto ha depositato in termini «memoria di costituzione e/o atto di intervento» nel giudizio promosso dalla Regione Puglia, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o non fondato.
Quanto all’ammissibilità, si osserva che la Regione Veneto «avrebbe, in ogni caso, titolo per intervenire nell’odierno giudizio, se non altro a motivo di ciò che dispone l’art. 11, 1° co., della legge impugnata n. 86/2024».
La Regione Veneto rileva che «quel che viene richiesto non ha nulla di concreto e di operativo: quindi, di azionabile dinanzi al Giudice delle leggi», e ciò sarebbe confermato dal fatto che la Regione Puglia «prospetta soluzioni alternative», impugnando o l’intera legge n. 86 del 2024 o alcune disposizioni o lo stesso art. 116, terzo comma, Cost. Ciò accadrebbe perché «manca una qualunque legge statale di approvazione di un’intesa»: secondo la Regione Veneto, «è in quell’occasione che emergerà un’eventuale lesione concreta di una attribuzione regionale».
Inoltre, «le contestazioni prospettate a proposito delle sperequazioni finanziarie esistenti, proprio perché esistenti, [andrebbero] addebitate alla normativa vigente», che in diverse disposizioni (citate dalla Regione Veneto) accoglierebbe il principio di territorialità delle entrate regionali.
Ancora, secondo la Regione Veneto la legge n. 86 del 2024 sarebbe «stata concepita per risolvere problemi specifici, riguardanti talune determinate Regioni, le quali, nel formulare le rispettive richieste, avranno cura di rendere palesi le ragioni giustificative delle proprie istanze». Infine, si osserva che «la legge impugnata ha dato un concreto avvio al procedimento di attuazione dell’art. 117, 2° co., lett. m), invertendo la prassi di un’inerzia invincibile».
11.1.– La Regione Veneto è intervenuta, con atto depositato il 26 settembre 2024, nel giudizio promosso dalla Regione Toscana. Essa rileva, in primo luogo, che le censure sarebbero ipotetiche o alternative, mentre dovrebbero essere formulate in termini precisi.
Inoltre, l’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. dovrebbe essere circoscritta a casi particolari, giustificati da specifiche ragioni oggettive.
Il ricorso sarebbe contraddittorio perché, da un lato, si auspica l’introduzione dei LEP ma, dall’altro, «se ne invoca la rimozione».
La censura relativa all’emarginazione delle Camere dovrebbe tener conto degli sviluppi della forma di governo parlamentare e della necessità di agire. Comunque, le Camere avrebbero il potere di interdizione finale, senza essere vincolate dalla legge impugnata. Per avere il loro consenso, il Governo dovrebbe trattare anche con le opposizioni.
Quanto alla delega per la determinazione dei LEP, il concetto sarebbe molto complesso e, dunque, la legge non avrebbe potuto fissare criteri direttivi “tradizionali”. La garanzia risiederebbe nel coinvolgimento degli organismi tecnici. Il CLEP avrebbe proposto di distinguere “materie LEP” da quelle “no-LEP”. La procedura delineata non riguarderebbe, in realtà, la creazione di nuovi LEP, ma la ricognizione dei LEP già previsti.
Quanto ai profili finanziari, la Regione Veneto rileva che il criterio di territorialità è insito nella Costituzione, che il ricorso al criterio della spesa storica sarebbe inevitabile e che le lesioni delle finanze delle altre regioni sarebbero evitate dalla clausola di invarianza finanziaria.
11.2.– La Regione Veneto è intervenuta, con atto depositato il 1° ottobre 2024, nel giudizio promosso dalla Regione autonoma Sardegna.
Essa osserva che le censure sarebbero, allo stato, ipotetiche, dovendosi attendere le future intese, e che la legge impugnata non sarebbe idonea ad incidere sul contenuto della futura legge rinforzata. Il ricorso sarebbe dunque inammissibile perché «aggredisce un atto privo di effetti e privo di causa».
La tesi secondo cui l’iniziativa della legge rinforzata spetterebbe alle regioni sarebbe non fondata, sia in astratto che in concreto.
La Regione Veneto afferma, poi, «l’obiettiva estraneità» della Sardegna «rispetto al procedimento di attuazione dell’art. 116, 3° co., Cost.». Il primo e il terzo comma dell’art. 116 Cost. non dovrebbero intrecciarsi, «pena lo stravolgimento del sistema».
Quanto alla censura secondo la quale il dominus del procedimento sarebbe il Governo, la Regione Veneto rileva che si farebbe valere un «inconcludente assemblearismo» e che ci si preoccuperebbe di dare voce alle altre regioni, cioè a quelle «interessate al puro e semplice fallimento della procedura».
In relazione ai temuti rischi per l’unità giuridica ed economica, la Regione Veneto osserva che il potere sostitutivo di cui all’art. 120 Cost. metterebbe al riparo da ogni contestazione la legge impugnata. Immaginare trasferimenti indiscriminati di funzioni sarebbe irrealistico: il confronto «avverrà materia per materia».
Quanto ai LEP, solo ora si starebbe facendo qualcosa di concreto. Ogni materia avrebbe propri tratti distintivi, per cui i criteri direttivi potrebbero essere solo organizzativi e procedurali e l’apporto tecnico assicurerebbe imparzialità nella loro determinazione. La distinzione fra “materie-LEP” e materie “no-LEP” sarebbe stata effettuata dal CLEP utilizzando apporti tecnici.
La clausola di invarianza finanziaria sarebbe cogente e le osservazioni delle istituzioni economiche non sarebbero attendibili.
11.3.– La Regione Veneto è intervenuta, con atto depositato il 3 ottobre 2024, nel giudizio promosso dalla Regione Campania.
In primo luogo, la Regione Veneto solleva dubbi sui danni temuti dalla ricorrente, vista la clausola di invarianza finanziaria. Inoltre, si ritiene «escluso che possano essere devolute “materie o ambiti di materie”, oltretutto senza “alcuna motivazione”», e si osserva che «la legge n. 86/2024 non è in grado di porre alcun vincolo a carico del legislatore futuro». Il ricorso si fonderebbe su «supposizioni, come tali inidonee a incardinare un giudizio di legittimità costituzionale in via principale ammissibile».
Quanto ai LEP, si osserva che possono essere di vario tipo e non riguardano tutte le materie. La ricorrente chiederebbe di eliminare le prime norme che hanno dato avvio al procedimento di determinazione dei LEP, al fine di attuare il principio di eguaglianza. Inoltre, i LEP non avrebbero «alcun nesso con l’autonomia differenziata».
Quanto al finanziamento, la Regione Veneto rileva che «il riferimento al territorio è nel testo della Costituzione, a sua volta ripreso dalle norme statali, che danno ad esso attuazione». Inoltre, le compartecipazioni potrebbero avere un ruolo importante nel realizzare la perequazione finanziaria tra diversi livelli di governo, attraverso la modulazione delle aliquote di compartecipazione, cui provvederà il legislatore futuro.
12.– La Regione Lombardia ha depositato in termini «memoria di costituzione e in via subordinata atto di intervento ad opponendum» nel giudizio promosso dalla Regione Puglia, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o non fondato.
La Regione Lombardia precisa di costituirsi in giudizio «quale parte in causa», in quanto, secondo la giurisprudenza costituzionale il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolgerebbe «esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa».
Rileva, poi, che la legge impugnata sarebbe «il punto di partenza e non quello di arrivo», poiché «saranno necessari ulteriori interventi legislativi […] nonché apposite intese» e all’interno «di questi ulteriori passaggi vi sarà spazio per molteplici considerazioni anche di carattere socio economico». Dunque, le censure formulate sarebbero pretestuose e apodittiche perché la ricorrente non spiegherebbe le ragioni del preteso vulnus.
12.1.– Nel merito, il primo motivo di ricorso (preclusione di una legge quadro) sarebbe non fondato perché, «ove lo ritenga necessario o comunque utile, il Legislatore [potrebbe] intervenire […] anche in assenza di una specifica ed espressa previsione costituzionale in tal senso». Ciò deriverebbe dal «carattere generale della funzione legislativa, che abilita il Legislatore a intervenire con legge su qualsiasi ambito materiale, fatta eccezione per quelli che disposizioni costituzionali riservano in modo tassativo ad altre fonti».
12.2.– Il secondo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali) sarebbe non fondato, perché la devoluzione di ulteriori competenze avverrebbe «in modo selettivo, con l’individuazione di specifiche aree e settori, attraverso negoziazioni dettagliate con lo Stato»; il trasferimento non sarebbe ««automatico», ma richiederebbe «una valutazione condivisa che tenga conto della capacità amministrativa e della situazione socioeconomica della Regione richiedente». Siffatto processo garantirebbe che «l’autonomia non sia concessa in modo indiscriminato, ma in modo ponderato». L’art. 116, terzo comma, Cost. si baserebbe sul principio di sussidiarietà, cioè mirerebbe a trasferire «competenze solo quando e dove la Regione sia in grado di gestirle adeguatamente». Esso si riferirebbe «a situazioni particolari, che giustificano dunque particolari condizioni di autonomia».
12.3.– Quanto al terzo motivo di ricorso (materie “no-LEP”), le materie escluse dall’art. 3, comma 3, della legge impugnata riguarderebbero per lo più «funzioni regolatorie e di controllo», non implicherebbero «prestazioni in favore dei cittadini» e non sarebbero «associabili alla tutela dei diritti civili e sociali»; dunque, non contemplerebbero «spazi di autonomia legislativa e funzioni amministrative tali da esigere la determinazione di LEP». L’art. 116, terzo comma, Cost. non imporrebbe «alcun obbligo esplicito di definire i LEP per tutte le materie»; inoltre, il ruolo centrale dei LEP nelle relazioni finanziarie non risulterebbe dall’art. 119 Cost., ma dalla legge n. 42 del 2009 e dai successivi decreti attuativi, e non potrebbe «ammettersi che il processo di attuazione della norma costituzionale dipenda da condizioni di fattibilità rimesse all’esclusiva e discrezionale volontà del legislatore statale».
12.4.– Il quarto motivo di ricorso (delega “in bianco”) sarebbe inammissibile per difetto di motivazione sulla ridondanza. Sarebbe anche non fondato perché l’art. 3 della legge impugnata rinvia ai commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022. Secondo la Regione Lombardia, non si comprenderebbero «i criteri sulla base dei quali la delega in parola venga ritenuta carente» e, inoltre, «l’eventuale e denegata scarsità delle indicazioni nella legge in parola si potrà tradurre, al più, in una ridotta capacità dei decreti delegati di innovare alla legislazione vigente», non nella sua illegittimità. Nella prassi legislativa sarebbe «frequente che l’eventuale carenza nella legge di delega di norme sostanziali che valgono come principi e criteri direttivi [sia] spesso equilibrata dall’introduzione di norme procedurali». Nel caso di specie, i pareri delle Commissioni parlamentari concorrerebbero «a circoscrivere l’estensione del potere delegato».
Quanto all’art. 3, comma 7, della legge n. 86 del 2024 (aggiornamento dei LEP con d.P.C.m.), la Regione Lombardia osserva che l’aggiornamento non sarebbe rimesso «alla discrezionalità del Governo», perché quest’ultimo sarebbe «vincolato ai decreti legislativi in precedenza emanati, oltre che al parere delle Commissioni parlamentari».
12.5.– In relazione al quinto motivo di ricorso (compartecipazioni), la Regione Lombardia nega che «dalla legge in esame, a fronte del conseguimento di maggiore autonomia in capo ad alcune regioni, deriverebbe una riduzione dell’autonomia delle altre», e anche che «la concessione di maggiori spazi di autonomia possa determinare l’erosione delle risorse che lo Stato impiega per le finalità indicate dall’art. 119, commi 3, 5, 6 Cost.» (si cita, a sostegno, l’art. 9, comma 3, della legge impugnata).
La censura relativa ai maggiori oneri che deriverebbero dalla legge sarebbe in primis inammissibile, perché la Regione Puglia dedurrebbe «contributi […] meramente economico-finanziari» e non «profili di illegittimità costituzionale», sindacabili da questa Corte; inoltre, la ricorrente si sarebbe limitata ad asserire la violazione dell’art. 81 Cost., senza specificare i parametri e argomentare le ragioni.
Comunque, la Regione Lombardia osserva che il rischio che dall’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. possano derivare maggiori oneri per il bilancio pubblico non sarebbe stato trascurato: in base all’art. 4, comma 1, della legge impugnata, qualora si verificasse detta ipotesi, il trasferimento delle funzioni potrà avvenire solo dopo l’entrata in vigore dei decreti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie necessarie.
12.6.– Anche il sesto motivo di ricorso (finanziamento LEP) sarebbe non fondato. Si rileva che la stessa legge impugnata prevede l’aggiornamento dei LEP (art. 3, comma 7) e che, in base all’art. 10, comma 1, lo Stato «promuove l’esercizio effettivo dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti dallo Stato e dalle amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni». Dunque, sarebbero rispettati sia l’art. 2 (principi personalista e solidarista) sia l’art. 3 (principio di eguaglianza) Cost.
La Regione osserva che la clausola di invarianza finanziaria «potrà essere riscontrata nel procedimento di attuazione delle singole intese ed è volta ad orientare le future attività negoziali nonché il futuro legislatore». Il risultato si potrebbe ottenere con l’operare congiunto delle disposizioni di spesa «con contestuali disposizioni di risparmio». In caso di maggiori oneri derivanti dalla determinazione dei LEP, sarebbero «pienamente applicabili all’esigenza di finanziamento di tali nuovi o maggiori oneri i meccanismi contemplati in via generale dall’art. 17 della legge n. 196/2009», in conformità all’art. 81 Cost.
Neanche l’art. 119 Cost. sarebbe violato, dato il contenuto dell’art. 9, comma 3, e dell’art. 10 della legge impugnata.
12.7.– Il settimo motivo di ricorso (concorso agli obiettivi finanziari) sarebbe in parte inammissibile, perché non sarebbe argomentata l’asserita violazione degli artt. 2 e 119 Cost. Esso sarebbe, comunque, non fondato, essendo «evidente che l’intento legislativo non sia quello di sottrarre le Regioni che hanno sottoscritto le intese con lo Stato dall’onere di contribuire alla finanza pubblica».
12.8.– Anche l’ottavo motivo di ricorso (ruolo della Conferenza unificata) sarebbe non fondato. Non vi sarebbe alcun obbligo costituzionale di trovare un’intesa in sede di Conferenza unificata, né di coinvolgerla durante il dibattito parlamentare. La Regione osserva che nella sede legislativa «non operano gli ordinari meccanismi procedimentali della leale collaborazione».
12.9.– Quanto al nono motivo di ricorso (poteri del Presidente del Consiglio dei ministri), secondo la Regione Lombardia non potrebbe «ritenersi contrario all’art. 3 Cost. ogni enunciato normativo che presenti margini, più o meno ampi, di incertezza, essendo, invece, a tal fine, necessario l’utilizzo di espressioni il cui significato, nonostante ogni sforzo interpretativo, rimanga del tutto oscuro». Inoltre, gli artt. 1 e 2 della legge impugnata detterebbero i «criteri necessari per indirizzare l’attività del Presidente del Consiglio dei Ministri». Infine, l’art. 120 Cost. menziona anche la tutela dei LEP e a ciò farebbe riferimento l’art. 2, comma 2, della legge n. 86 del 2024, là dove si riferisce all’unità «di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie».
12.10.– Anche il decimo motivo di ricorso (cessazione di efficacia di leggi statali) sarebbe non fondato: la predisposizione di un elenco delle disposizioni statali che cessano di avere efficacia con l’entrata in vigore delle leggi regionali attuative dell’intesa assicurerebbe «chiarezza e certezza nell’applicazione del diritto, cercando di ovviare a quell’inevitabile conseguente abrogazione implicita […] che, all’indomani dell’entrata in vigore delle intese in parola, si sarebbe inevitabilmente venuta a creare, destando dubbi sulla normativa applicabile». Sarebbe inoltre evidente «che le intese non potranno giungere fino al punto di agire sull’efficacia di norme statali attuative di obblighi sovranazionali o a contenuto costituzionalmente vincolato».
12.11.– L’undicesimo motivo di ricorso (iniziative pregresse) sarebbe ugualmente non fondato: l’art. 11 della legge impugnata intenderebbe «uniformare, per tutte le Regioni, il procedimento volto all’attribuzione» della maggiore autonomia, «proprio al fine di evitare disparità di trattamento». Le iniziative pregresse, «per giungere ad una positiva conclusione, dovranno […] adeguarsi ai criteri e ai presupposti stabiliti dalla norma, anche con riferimento [ai] profili finanziari».
12.12.– Infine, anche il dodicesimo motivo di ricorso (iniziativa legislativa) sarebbe non fondato: la legge impugnata prevederebbe – in ossequio a quanto disposto dall’art. 116, terzo comma, Cost. – «un iter procedimentale fondato su un atto di iniziativa regionale, adottato nel pieno rispetto della relativa normativa, anche costituzionale».
13.– Con atto depositato il 29 settembre 2024, la Regione Lombardia è intervenuta ad opponendum nel giudizio promosso dalla Regione Toscana.
13.1.– Quanto al primo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali), si osserva che, poiché è la regione interessata all’autonomia che avvia la procedura, «[l]’interesse di ogni singola Regione punterà ex se a valorizzare ciò [che] la medesima sente peculiare per il proprio territorio»; dunque, «predeterminare con legge nazionale gli ambiti e le materie a cui ciascuna Regione potrebbe accedere per la richiesta di autonomia differenziata, significherebbe privare la Regione stessa di quelle sue peculiarità».
13.2.– Quanto al secondo motivo di ricorso (ruolo marginale delle Camere), il procedimento regolato dalla legge rivelerebbe l’assenza di una limitazione dei poteri del Parlamento. La Regione osserva che «è stato proprio il Parlamento ad approvare la legge 86/2024 evidentemente ritenendo garantite e tutelate le proprie prerogative costituzionali», e che «la legge in questa sede impugnata si muove nel solco del criterio delle scelte insindacabili del Parlamento».
13.3.– Quanto al terzo motivo di ricorso (mancato coinvolgimento della Regione richiedente nella fase parlamentare), esso – oltre a smentire il precedente motivo sul ruolo marginale delle Camere – sarebbe inammissibile per genericità e non fondato, perché l’art. 116, terzo comma, Cost. prevede un’intesa a monte e nessun coinvolgimento della regione interessata nella fase parlamentare.
13.4.– Il quarto motivo di ricorso (iniziativa legislativa del Governo) sarebbe inammissibile per genericità e non fondato, perché l’intento legislativo sarebbe «quello di decidere sull’autonomia regionale sulla base di una richiesta (e non di una legge) della Regione interessata nel pieno rispetto di quella equa ponderazione della distribuzione dei livelli essenziali»; non si potrebbe concedere «alla Regione di legiferare autonomamente sulla propria autonomia».
13.5.– Il quinto motivo di ricorso (delega “in bianco”) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte nel punto 12.4. Inoltre, la Regione Lombardia rileva che, rispetto alla legge n. 197 del 2022, la legge impugnata muta l’«equilibrio nel rapporto tra individuazione delle prestazioni e vincoli di bilancio, che non vede più le prime appiattirsi sui secondi, ma contempla l’ipotesi che siano, viceversa, i secondi a doversi conformare alle prime»; si aggiunge che «si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo nel caso in cui la copertura finanziaria dei LEP, generanti ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, sia assicurata anche alle Regioni non interessate dal trasferimento». La determinazione dei LEP avrebbe carattere tecnico.
13.6.– Quanto al sesto motivo di ricorso (mero parere della Conferenza per la determinazione dei LEP), la Regione Lombardia rileva che l’impianto normativo odierno si fonderebbe «su una stretta cooperazione tra Stato e Regioni, talmente ampia e presente in ogni fase essenziale da superare la criticità evidenziata». L’intesa con la Conferenza non sarebbe l’unico raccordo possibile.
13.7.– Anche il settimo motivo di ricorso (aggiornamento dei LEP con d.P.C.m.) sarebbe non fondato. La legittimità di una procedura in cui i LEP siano determinati dallo Stato mediante un regolamento risulterebbe dalla giurisprudenza costituzionale. La riserva di legge di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. sarebbe relativa. La fonte sub-legislativa sarebbe da preferire perché la definizione dei LEP sarebbe «un processo in continua evoluzione volto ad adattare i livelli al divenire storico e sociale» e perché sarebbe più agevole il coinvolgimento degli enti territoriali e di quelli del terzo settore.
Sulle materie “no-LEP” la Regione Lombardia ribadisce gli argomenti esposti nel punto 10.3.
13.8.– L’ottavo motivo di ricorso (mancata garanzia dei LEP) sarebbe inammissibile in quanto apodittico e, comunque, non fondato. La Regione Lombardia richiama la legge n. 197 del 2022, che delinea un procedimento per l’approvazione in tempi ravvicinati dei LEP, e osserva che la tesi della necessità del preventivo completamento del c.d. federalismo fiscale rispetto alla realizzazione dell’autonomia differenziata mostrerebbe «tutti i suoi limiti proprio perché non vi sono gli spazi per il superamento del modello disegnato nella legge delega di attuazione dell’art. 119 Cost.». Correttamente l’art. 3 della legge impugnata evidenzierebbe «il carattere necessariamente dinamico della determinazione dei LEP e del relativo finanziamento», «anche perché la determinazione dei LEP è una scelta di carattere politico».
13.9.– Il nono motivo di ricorso (compartecipazioni) sarebbe non fondato perché le Regioni con minore capacità fiscale non sarebbero discriminate, «in quanto proprio l’art. 9 della legge impugnata, al comma 4, prevede che è comunque garantita la perequazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante». La Regione Lombardia, poi, ribadisce gli argomenti già esposti nel punto 12.5. Si aggiunge che «le risorse necessarie debbono necessariamente essere ricavate all’interno del bilancio dello Stato, non potendo nemmeno ipotizzarsi che esse derivino da tributi ed entrate propri delle Regioni», altrimenti «i residenti delle Regioni ad autonomia rafforzata si troverebbero ulteriormente assoggettati al prelievo per l’erogazione di servizi pubblici che già ricevono dallo Stato e per cui già pagano e hanno pagato imposte»; «non restano quindi, non potendosi evidentemente finanziare la differenziazione attraverso il fondo perequativo, che le compartecipazioni».
13.10.– Quanto al decimo motivo di ricorso (fondo perequativo), la Regione Lombardia ricorda che il PNRR prevede un’unica milestone per l’attuazione del federalismo fiscale regionale, da realizzare entro il primo quadrimestre dell’anno 2026, e osserva che il richiamo all’art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011 (contenuto nell’art. 10 della legge impugnata) non introdurrebbe affatto un’illegittima discriminazione in danno alle regioni con capacità fiscale ridotta, come risulterebbe dall’art. 9, comma 3, della legge n. 86 del 2024.
13.11.– Quanto all’undicesimo motivo di ricorso (iniziative pregresse), la Regione Lombardia ribadisce gli argomenti già esposti nel punto 12.11.
13.12.– Infine, il dodicesimo motivo di ricorso (PNRR) sarebbe in parte inammissibile per genericità e comunque non fondato. La Regione Lombardia rileva che la legge impugnata garantisce, con diverse norme, che le autonomie differenziate siano concesse nel rispetto della coesione territoriale. Inoltre, non sarebbe vero che la legge n. 86 del 2024 precluda il completamento del federalismo fiscale perché uno degli ostacoli all’attuazione della legge n. 42 del 2009 è stato ravvisato nella mancata determinazione dei LEP. Dunque, la legge impugnata sarebbe conforme agli obiettivi del PNRR.
14.– Con atto depositato il 3 ottobre 2024, la Regione Lombardia è intervenuta ad opponendum nel giudizio promosso dalla Regione autonoma Sardegna.
In generale, la Regione Lombardia osserva che, data la clausola di maggior favore, «la legge impugnata non può, in alcun modo, pregiudicare l’autonomia della regione ricorrente». Nelle materie non statutarie, le disposizioni della legge impugnata, «lungi dal limitare l’autonomia regionale, intendono, al contrario, dare la possibilità anche alle regioni a statuto speciale di incrementarla», ferma restando la possibilità per esse di raggiungere ulteriori forme di autonomia tramite i procedimenti statutari.
Quanto alle iniziative di altre regioni, la legge impugnata non potrebbe essere considerata lesiva, rappresentando “il punto di partenza” e non quello di arrivo. Ci sarebbe, dunque, un palese difetto di interesse a ricorrere, con conseguente inammissibilità del ricorso.
14.1.– Il primo motivo di ricorso (preclusione di una legge quadro) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 12.1.). Inoltre, la Regione Lombardia osserva che la legge impugnata «è specificamente volt[a] a costruire percorsi costanti e organici attorno ai processi di accesso all’autonomia differenziata».
14.2.– Quanto al secondo motivo di ricorso (iniziativa legislativa del Governo), la Regione Lombardia ribadisce quanto già esposto (punto 12.12.) e rileva che la legge impugnata «non preclude a nessun titolare dell’iniziativa legislativa – e, in particolare, il Consiglio regionale ai sensi dell’art. 121 Cost. – la possibilità di formulare una proposta di “legge di differenziazione” sulla base della medesima intesa».
14.3.– Il terzo motivo di ricorso (legge statutaria regionale) sarebbe non fondato perché l’art. 2 della legge impugnata conterrebbe una «previsione volta non ad imporre (come erroneamente sostiene parte ricorrente) un iter procedimentale lesivo delle previsioni costituzionali e statutaria, ma, al contrario, proprio a salvaguardarle, tutelando la già esistente autonomia regionale». Viene citata la sentenza di questa Corte n. 39 del 2014.
14.4.– Il quarto motivo di ricorso (iniziativa dell’esecutivo regionale) sarebbe non fondato «atteso che, da un lato, la norma impugnata espressamente dispone che l’atto di iniziativa regionale venga assunto nel rispetto dell’autonomia statutaria e, dall’altro, in ogni caso è un mero atto di impulso di un procedimento legislativo sui generis che, tuttavia, dovrà ancora svolgersi».
14.5.– Il quinto motivo di ricorso (mera informativa alla Conferenza Stato-regioni) sarebbe non fondato perché l’attività di informazione da parte del Governo rispetto alla Conferenza permanente sarebbe «da leggersi come un coinvolgimento di quest’ultima» (viene citata la sentenza di questa Corte n. 88 del 2014). Inoltre, l’intero testo normativo impugnato sarebbe «permeato da un costante coinvolgimento dello Stato e della Regione/delle Regioni».
14.6.– Il sesto e settimo motivo di ricorso (ruolo della Conferenza e limitazione del negoziato) sarebbero, in primis, inammissibili per insufficienza della motivazione. Sarebbero anche non fondati, perché la norma impugnata non «lascerebbe allo Stato la possibilità di decidere se limitare o meno le materie su cui le Regioni ad “autonomia particolare” potranno presentare proposte di autonomia», ma consentirebbe di «verificare, in casi particolari, […] se alcune materie debbano essere eliminate dal perimetro della richiedenda autonomia», e non vi sarebbe «alcun obbligo costituzionale del Governo di raggiungere un’intesa con altri soggetti per [l]imitare l’oggetto del negoziato».
14.7.– L’ottavo e nono motivo di ricorso (schema preliminare ruolo della Conferenza e limitazione del negoziato) sarebbero non fondati perché l’art. 116, terzo comma, Cost. non richiede l’intesa con la Conferenza unificata o con la Conferenza Stato-regioni.
14.8.– Il decimo motivo di ricorso (approvazione parlamentare unilaterale) sarebbe non fondato perché questa Corte non avrebbe «mai ritenuto necessario un coinvolgimento delle regioni nel procedimento di formazione delle leggi». Inoltre, la legge non potrebbe regolare il procedimento di formazione di un’altra legge. L’autonomia differenziata si baserebbe sui principi di sussidiarietà e leale collaborazione: l’attribuzione di nuove competenze alle regioni risponderebbe «proprio all’esigenza di trasferire funzioni amministrative e legislative al livello di governo più vicino ai cittadini, ove si possano esercitare con maggiore efficienza e capacità».
14.9.– Quanto all’undicesimo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali), la Regione Lombardia ne eccepisce l’inammissibilità perché la ricorrente farebbe valere prerogative statali e, nel merito, ribadisce argomenti già svolti (punto 12.1.).
14.10.– Il dodicesimo motivo di ricorso (delega “in bianco”) sarebbe inammissibile e non fondato per le ragioni già esposte (punti 12.4. e 13.5.).
14.11.– Quanto al tredicesimo motivo di ricorso (ruolo della Commissione paritetica), l’art. 5, comma 1, della legge n. 86 del 2024 rispetterebbe «pienamente l’art. 56 dello Statuto Speciale della Regione Autonoma della Sardegna, attribuendo proprio ad una Commissione paritetica i compiti relativi all’attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento». La censura sarebbe anche «pretestuosa, dovendo l’intesa – nella stipula della quale la Regione avrà un ruolo non indifferente – ancora disciplinare la Commissione in parola»: di qui l’inammissibilità della questione, oltre che la non fondatezza.
14.12.– Il quattordicesimo motivo di ricorso (monitoraggio e ruolo della Conferenza unificata) sarebbe inammissibile perché inciderebbe sulla discrezionalità del Parlamento. Inoltre, non sarebbe «comprensibile in che termini e secondo quali modalità lo Stato avrebbe dovuto assicurare il coinvolgimento delle autonomie locali rispetto ad una scelta che è stata effettuata tra la Regione interessata all’autonomia e il Parlamento che, nell’esercizio delle proprie funzioni, quale è quella legislativa, non è vincolato agli ordinari meccanismi procedimentali della leale collaborazione».
14.13.– Il quindicesimo motivo di ricorso (materie “no-LEP”) sarebbe non fondato perché non si comprenderebbe da dove la ricorrente dedurrebbe la mancanza di copertura finanziaria per le materie “no-LEP”, «atteso che dalla legge nulla si evince in tal senso»; dunque, non vi sarebbero «ostacoli alla pianificazione finanziaria delle materie definite da controparte come non LEP».
14.14.– Il sedicesimo motivo di ricorso (materie “no-LEP” e criterio della spesa storica) sarebbe inammissibile e non fondato per le ragioni già esposte (punti 12.5. e 13.9.).
14.15.– Il diciassettesimo motivo di ricorso (compartecipazioni e invarianza finanziaria) sarebbe inammissibile e non fondato per le ragioni già esposte (punti 12.5. e 12.6.).
14.16.– Il diciottesimo motivo di ricorso (finanziamento e ruolo della Commissione paritetica) sarebbe inammissibile e non fondato per le ragioni già esposte (punto 14.11.).
14.17.– Il diciannovesimo motivo di ricorso (compartecipazioni) sarebbe «sconfessato» dall’art. 5, comma 2, della legge impugnata, secondo cui il finanziamento delle funzioni oggetto di trasferimento deve avvenire attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali ma, comunque, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 119 Cost. (viene citato il dossier parlamentare del 16 gennaio 2024).
14.18.– Il ventesimo motivo di ricorso (concorso agli obiettivi finanziari) sarebbe inammissibile e non fondato perché l’intento legislativo non sarebbe «quello di sottrarre le Regioni che hanno sottoscritto le intese con lo Stato in termini di autonomia differenziata dall’onere di contribuire alla finanza pubblica» (si cita la relazione di verifica delle quantificazioni n. 203 del 2 maggio 2024, stilata dalla Camera dei deputati).
14.19.– Il ventunesimo motivo di ricorso (fondo perequativo) sarebbe non fondato in quanto, dato il contenuto dell’art. 10 della legge impugnata, sarebbe «pacifico che non si produca alcuna illegittima disparità di trattamento tra Regioni in forza delle condizioni economiche dei rispettivi territori, nonché che sia esclusa qualsivoglia forma di discriminazione nei confronti degli enti regionali con minore capacità fiscale».
14.20.– Infine, il ventiduesimo motivo di ricorso (applicazione della legge impugnata alle regioni speciali) sarebbe non fondato per le ragioni già sopra esposte (punto 14.).
15.– Con atto depositato il 5 ottobre 2024, la Regione Lombardia è intervenuta ad opponendum nel giudizio promosso dalla Regione Campania.
15.1.– Quanto al primo motivo di ricorso (trasferimenti puntuali), la Regione Lombardia ribadisce argomenti già svolti (punto 12.2.) e aggiunge che il proprium della legge di differenziazione sarebbe dato «dal creare una relazione di specie che si innesta in quella di genere», e sarebbe «proprio questa singolarità della normativa specifica per ciascuna Regione (più che la deroga a regole in sé largamente disponibili per il legislatore ordinario, e spesso di sua produzione, e più che la stessa destinazione a resistere a leggi successive, già ottenibile in forza del principio di specialità) – che rende ragione del requisito della maggioranza assoluta per l’approvazione parlamentare». L’art. 116, terzo comma, Cost. si riferirebbe a situazioni particolari. Si rileva anche che, quanto alle funzioni amministrative, «le esigenze della differenziazione possono essere soddisfatte da una seria attuazione dell’art. 118 Cost., riferita a tutte le Regioni, allocando con provvedimenti legislativi ordinari le funzioni sulla base di criteri fluidi».
15.2.– Il secondo motivo di ricorso (eliminazione della potestà concorrente) sarebbe non fondato perché la legge conterrebbe «disposizioni a carattere procedimentale, le quali nulla dicono sui contenuti dell’intesa, sulle materie in relazione alle quali la stessa può intervenire e sulle “nuove” funzioni che possono essere affidate alla Regione».
15.3.– Il terzo motivo di ricorso (materie “no-LEP”) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 12.3.).
15.4.– Il quarto motivo di ricorso (garanzia dei LEP) sarebbe non fondato perché, dato il contenuto dell’art. 10, la legge impugnata garantirebbe che, «nel momento in cui sarà data concreta attuazione all’art. 116, comma 3, Cost., le Regioni dispongano di tutte le risorse necessarie per garantire l’effettivo soddisfacimento dei LEP». In mancanza, «il Governo potrà ben esercitare i poteri sostitutivi straordinari di cui all’art. 120, comma 2, Cost.».
Inoltre, la legge contempla la possibilità che dalla determinazione dei LEP possano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica: ciò implicherebbe «il superamento dell’approccio adottato dalla legge di bilancio n. 197/2022, la quale, all’art. 1, comma 793, stabiliva che i LEP potessero essere determinati solo “nell’ambito degli stanziamenti di bilancio a legislazione vigente”». Dunque, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni «solo nel caso in cui la copertura finanziaria dei LEP, generanti ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, sia assicurata anche alle Regioni non interessate dal trasferimento».
15.5.– Il quinto motivo di ricorso (compartecipazioni) sarebbe in parte inammissibile e in parte non fondato. Lo strumento della compartecipazione «dovrà essere calibrato di volta in volta in concreto e in modo adeguato al fine di garantire una quantità sufficiente di risorse a ciascuna Regione per lo svolgimento delle funzioni attribuite, anche diversificando le aliquote di compartecipazione ovvero i tipi di tributi erariali coinvolti». Quanto ai maggiori oneri derivanti dal conferimento di nuove funzioni, la censura sarebbe inammissibile per insufficienza della motivazione. Nel merito, la Regione Lombardia ribadisce gli argomenti già svolti nei punti 12.5. e 12.6. Qualora l’intesa non garantisca l’invarianza finanziaria per le regioni terze (art. 9, comma 3, della legge impugnata), «ci si troverà dinanzi, al più, ad un contrasto tra l’intesa e la legge 86/2024 con tutto quanto ne consegue in merito alla non approvabilità della prima».
15.6.– Il sesto motivo di ricorso (compartecipazioni e monitoraggio) sarebbe non fondato. Le regioni con minore capacità fiscale non sarebbero discriminate: la Regione Lombardia ricorda l’art. 9, comma 3, e l’art. 10, comma 2, della legge impugnata che avrebbero lo scopo di superare la situazione di sospensione del fondo perequativo, «rendendolo operativo». Inoltre, si rileva che la legge tiene fermo il potere sostitutivo statale (art. 3, comma 5, e art. 11, comma 3, della legge n. 86 del 2024).
15.7.– Il settimo motivo di ricorso (fondo perequativo) sarebbe non fondato: l’art. 10, comma 2, dispone che l’articolo 15 del d.lgs. n. 68 del 2011 trovi «comunque applicazione» e, quindi, se è vero «che l’effettiva operatività del fondo perequativo è attualmente sospesa, è altrettanto vero che detto disposto normativo […] intende proprio superare detta situazione, rendendolo operativo e, così, assicurando che, nel momento in cui sarà data concreta attuazione all’art. 116, terzo comma, Cost., le Regioni dispongano di tutte le risorse necessarie per garantire l’effettivo soddisfacimento dei LEP».
15.8.– L’ottavo motivo di ricorso (delega “in bianco”) sarebbe inammissibile e non fondato per le ragioni già esposte (punti 12.4. e 13.5.).
15.9.– Il nono motivo di ricorso (aggiornamento dei LEP con d.P.C.m.) sarebbe in primis inammissibile per difetto di motivazione sulla ridondanza. Sarebbe poi non fondato perché l’art. 3, comma 7, della legge impugnata, indicherebbe «alcuni criteri temporali e contenutistici». Inoltre, i d.P.C.m. sarebbero guidati anche dai criteri di cui ai commi 791 e 793 della legge n. 197 del 2022.
15.10.– Il decimo motivo di ricorso (PNRR) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 13.12.).
15.11.– L’undicesimo motivo di ricorso (legge di mera approvazione) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 13.2.).
15.12.– Il tredicesimo motivo di ricorso (iniziativa legislativa del Governo) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punti 12.12. e 14.2.).
15.13.– Il quattordicesimo motivo di ricorso (ruolo della Conferenza) sarebbe non fondato perché non ci sarebbe un «automatico obbligo di coinvolgimento vincolante della Conferenza unificata e, in generale, delle altre Regioni in tutte le fasi». Comunque, la Conferenza sarebbe coinvolta nel procedimento di determinazione dei LEP.
15.14.– Il quindicesimo motivo di ricorso (iniziative pregresse) sarebbe non fondato per le ragioni già esposte (punto 12.11.).
16.– La Regione Veneto ha depositato in tutti i giudizi analoga memoria, il 21 ottobre 2024. Ha illustrato le tappe storico-costituzionali del regionalismo italiano, soffermandosi – in particolare – sul procedimento di approvazione del vigente art. 116, terzo comma, Cost., sulla propria posizione in relazione alle richieste di maggiore autonomia, sulla definizione dei LEP come esitata nel Rapporto finale del CLEP.
Passando ai contenuti della legge n. 86 del 2024, secondo la Regione Veneto essa sarebbe, anzitutto, inutiliter data poiché, in quanto legge ordinaria, non sarebbe in grado di condizionare «né una legge successiva, né un atto avente forza di legge, né la legge rinforzata di approvazione delle intese». In altri termini, sarebbe costretta «tra l’incudine del disposto costituzionale e il martello della legge rinforzata». Al contempo, sotto altro profilo, essa avrebbe «una sua utilità pratica, in quanto detta regole, soprattutto procedurali, che individuano un percorso».
La legge impugnata, più precisamente, nell’individuare una «stretta dipendenza» fra LEP e autonomia differenziata – così assumendosi il compito di traino per la realizzazione di un dovere cui si sarebbe dovuto adempiere dal 2001 – indicherebbe la strada da seguire per giungere alla predisposizione di una o più bozze di intesa e al testo finale, da sottoporre all’approvazione delle Camere.
Passando più propriamente ai profili dei singoli ricorsi, la difesa regionale ribadisce, innanzi tutto, le argomentazioni già esposte in merito alla sussistenza di un proprio interesse e alla propria posizione alternativamente come parte o come interveniente nel giudizio in via principale.
Sempre in via preliminare, la Regione Veneto ribadisce l’inammissibilità di tutti i ricorsi perché tutte le questioni sarebbero premature, con conseguente assenza di un interesse attuale e concreto al ricorso.
Tutti i ricorsi sarebbero, altresì, inammissibili per assenza di qualsiasi prova di ridondanza sulle attribuzioni delle regioni ricorrenti.
Quanto al merito, la Regione Veneto deduce la non fondatezza della questione che lamenta l’illegittimità costituzionale dell’intera legge per violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.: essa sarebbe piuttosto volta a «concorrere all’attuazione» della citata previsione costituzionale, nonché dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
Quanto, poi, alla questione che lamenta l’illegittimità costituzionale dell’intera legge impugnata (e, in particolare, degli artt. 1, 2 e 4) perché consentirebbe il trasferimento integrale di blocchi di materie, essa sarebbe priva di alcun fondamento logico, giuridico e fattuale, poiché l’art. 2, comma 2, della stessa legge non farebbe altro che richiamare l’ambito materiale individuato dal terzo comma dell’art. 116 Cost.
Aggiunge la difesa regionale che una pronuncia della Corte costituzionale sulla legge n. 86 del 2024 sarebbe «destinata ad essere l’equivalente di un merus flatus vocis: priva di scopo», poiché la legge sarebbe destinata ad essere travolta nel momento in cui il Parlamento approvasse le leggi di intesa, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost.
Ancora, tutte le censure formulate sui LEP dovrebbero ritenersi non fondate perché attinenti a profili politici dell’attuazione dei LEP e perché non terrebbero in debita considerazione la lettura congiunta di tutti i parametri costituzionali.
Quanto alle singole questioni di carattere finanziario, la difesa veneta deduce la non fondatezza anzitutto di quella relativa alle compartecipazioni, poiché esse sarebbero già previste dall’art. 119, secondo comma, Cost. Inoltre, una quota di compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali potrebbe essere anche l’unica forma di finanziamento delle funzioni aggiuntive, posto che, in caso di impiego di tributi regionali propri-propri (ossia istituiti con legge regionale), «perderebbe di significato l’art. 14 della legge n. 42/2009, attuativa dell’art. 119 Cost., secondo cui all’assegnazione delle risorse si provvede con la stessa legge statale con cui si attribuiscono forme e condizioni particolari di autonomia». La Regione Veneto sottolinea anche la svalutazione della capacità impositiva propria delle regioni ordinarie.
Priva di fondamento sarebbe anche la questione sull’esclusione della riserva di aliquota in favore della compartecipazione, posto che la prima sarebbe una species della seconda. Parimenti non fondata dovrebbe ritenersi la censura sulla discriminazione dei territori con minore capacità fiscale per abitante, posto che il criterio per la scelta dell’aliquota di compartecipazione sarebbe rapportato al quantum di funzioni da finanziare.
Apodittiche e perciò non fondate sarebbero anche le questioni che lamentano l’assenza di invarianza finanziaria della legge impugnata, che sarebbe comunque puntellata di garanzie onde evitare che si generino sperequazioni fra i territori (art. 10) o variazioni nel fabbisogno o nel gettito (art. 8).
Infine, priva di fondamento sarebbe anche la questione sull’asserito trattenimento in capo alla regione dell’eventuale extra-gettito, poiché dalla lettera dell’art. 8, comma 2, ultimo periodo, della legge n. 86 del 2024, si evincerebbe giusto il contrario, ossia che l’eventuale surplus di gettito non possa rimanere alla regione (ciò che sarebbe in contrasto con la stessa ratio del regionalismo differenziato, volto all’efficientamento delle funzioni in loco), ma debba essere acquisito alle casse erariali.
Conclude la Regione Veneto sostenendo che un giudizio di legittimità costituzionale potrebbe eventualmente investire la legge rinforzata che approva l’intesa, ma non la legge n. 86 del 2024, recessiva sul piano delle fonti.
17.– La Regione Piemonte ha depositato una memoria unica in tutti i giudizi, il 22 ottobre 2024.
Con essa fornisce ulteriori ragioni a sostegno della propria legittimazione a partecipare ai sopra indicati giudizi, nella veste di parte controinteressata o, comunque, in quella di interveniente, e svolge alcune considerazioni ulteriori sul merito delle questioni di legittimità costituzionale promosse nei quattro ricorsi, individuando «i nodi principali attorno ai quali ruotano i motivi di impugnazione». Tali nodi sono i seguenti: la posizione della legge di attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. nel sistema delle fonti, anche con riferimento alle relazioni con la “legge di differenziazione” da adottarsi sulla base di tale disposizione costituzionale; l’assenza nella legge n. 86 del 2024 di alcune specifiche prescrizioni sostanziali circa l’attuazione della differenziazione regionale (il tema è quello dei trasferimenti “puntuali” e motivati); la fissazione dei LEP da parte del Governo tramite decreto legislativo e il loro successivo aggiornamento con d.P.C.m.; il procedimento da seguire per il riconoscimento alle regioni di forme e condizioni particolari di autonomia, sia con riguardo all’interpretazione delle prescrizioni procedurali contenute nell’art. 116, terzo comma, Cost., sia in riferimento a eventuali ulteriori passaggi procedimentali non previsti esplicitamente da tale disposizione; i profili finanziari; infine, le prescrizioni dell’art. 11 della legge n. 86 del 2024.
18.– Le ricorrenti hanno depositato memoria integrativa, in vista dell’udienza, il 22 ottobre 2024.
La Regione Puglia argomenta sulla posizione delle Regioni terze e replica alle eccezioni di inammissibilità della difesa erariale e alle obiezioni di merito della stessa Avvocatura generale e delle Regioni intervenienti.
La Regione Toscana argomenta sull’inammissibilità degli interventi delle Regioni Veneto, Piemonte e Lombardia e sulla non fondatezza delle eccezioni sollevate dall’Avvocatura dello Stato (difetto di legittimazione e di interesse) e dalla Regione Piemonte (per omessa notifica del ricorso alle altre regioni). Nel merito, ribadisce i vizi delle disposizioni impugnate, denunciati con il ricorso, replicando alle obiezioni della difesa erariale e delle regioni intervenienti.
La Regione autonoma Sardegna argomenta sull’inammissibilità degli interventi delle Regioni Veneto, Piemonte e Lombardia e replica alle eccezioni di inammissibilità della difesa erariale e delle regioni terze. Nel merito, confuta le considerazioni dell’Avvocatura e delle regioni intervenienti.
Infine, la Regione Campania argomenta sull’inammissibilità degli interventi delle Regioni Veneto, Piemonte e Lombardia e sulla non fondatezza delle eccezioni sollevate dall’Avvocatura dello Stato (difetto di legittimazione e di interesse) e dalla Regione Piemonte (per omessa notifica del ricorso alle altre regioni). Nel merito, ribadisce i vizi delle disposizioni impugnate, denunciati con il ricorso, replicando alle obiezioni della difesa erariale e delle regioni intervenienti.
19.– Diverse associazioni senza scopo di lucro hanno depositato opinioni come amici curiae, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative: si tratta delle associazioni ASSO-CONSUM-Puglia (reg. ric. n. 28 del 2024), UPI Toscana (reg. ric. n. 29 del 2024), ACLI e ANIEF (reg. ric. numeri 30 e 31 del 2024) e ANCI Campania (reg. ric. n. 31 del 2024). Tali opinioni sono state ammesse dal Presidente della Corte con quattro decreti, del 7 e del 10 ottobre 2024.
Considerato in diritto
1.– Le Regioni Puglia, Toscana, Campania e la Regione autonoma Sardegna hanno impugnato, con ricorsi iscritti, rispettivamente, ai numeri 28, 29, 31 e 30 reg. ricorsi del 2024, la legge n. 86 del 2024, nella sua totalità e anche con riferimento a specifiche disposizioni, distintamente indicate in prosieguo. Tale legge reca disposizioni per l’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost,, in base al quale «[u]lteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principî di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata».
I quattro giudizi hanno in larga parte un oggetto comune, con riferimento sia alle disposizioni impugnate sia ai parametri costituzionali evocati. Essi possono essere, dunque, riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia.
2.– Con ordinanza dibattimentale letta all’udienza pubblica del 12 novembre 2024, questa Corte ha dichiarato ammissibili gli interventi ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, «essendo oggetto delle presenti questioni di legittimità costituzionale una legge che, definendo i principi, le procedure e i limiti per l’attribuzione ad ogni regione che ne faccia richiesta di ulteriori e più ampie competenze legislative e amministrative nelle materie indicate dalla stessa Costituzione, riguarda l’assetto complessivo dell’ordinamento regionale».
3.– I ricorsi sollevano numerose questioni di legittimità costituzionale, che in parte si sovrappongono e possono essere raggruppate nelle seguenti aree tematiche: a) questioni generali sull’interpretazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. (punti 7 e 8 del Considerato in diritto) ; b) questioni in materia di fonti del diritto (punti da 9 a 13 del Considerato in diritto); c) questioni relative ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) (punti da 14 a 16 del Considerato in diritto); d) questioni in tema di leale collaborazione (punti da 17 a 21 del Considerato in diritto); e) questioni in materia finanziaria (punti da 22 a 29 del Considerato in diritto); f) altre questioni (punti 30 e 31 del Considerato in diritto).
Di seguito saranno, dunque, sintetizzate ed esaminate le questioni (promosse nei diversi ricorsi) rientranti in ognuna di queste aree tematiche, comprese le relative eccezioni di inammissibilità sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri e dalle tre Regioni intervenienti.
4.– L’esame delle questioni richiede di procedere all’interpretazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., introdotto con la riforma costituzionale del 2001. Tale disposizione, che consente di superare l’uniformità nell’allocazione delle competenze al fine di valorizzare appieno le potenzialità insite nel regionalismo italiano, non può essere considerata come una monade isolata, ma deve essere collocata nel quadro complessivo della forma di Stato italiana, con cui va armonizzata.
Una componente fondamentale della forma di Stato delineata dalla Costituzione è il regionalismo, connotato dall’attribuzione alle regioni di autonomia politica, che si specifica in autonomia legislativa (art. 117, terzo e quarto comma, Cost.), amministrativa (art. 118 Cost.) e finanziaria (art. 119 Cost.), a cui si aggiunge la garanzia dell’autonomia degli enti locali. Fin dai principi fondamentali, la Costituzione afferma che la Repubblica «riconosce e promuove le autonomie locali» e che essa «adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento» (art. 5). Nel disegno costituzionale già sono riconosciute ad alcune regioni «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale» (art. 116, primo comma, Cost.). Il terzo comma della stessa disposizione sviluppa questa logica di differenziazione prevedendo che le regioni ordinarie, seguendo una particolare procedura che termina con una legge rinforzata, possono ottenere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia».
Al tempo stesso, la Costituzione definisce la Repubblica come «una e indivisibile» (così il medesimo art. 5 Cost.). L’unità e indivisibilità della Repubblica si fondano sul riconoscimento dell’unità del popolo, a cui l’art. 1, secondo comma, Cost. attribuisce la titolarità della sovranità. La Costituzione riconosce e garantisce pienamente il pluralismo politico (artt. 48 e 49 Cost.), sociale (artt. 2, 17, 18, 39, 118, quarto comma, Cost.), culturale (artt. 9, primo comma, 21, 33, primo comma, Cost.), religioso (artt. 8 e 19 Cost.), scolastico (art. 33, terzo comma, Cost.), della sfera economica (art. 41 Cost.). Tuttavia, tale accentuato pluralismo, che si riflette anche sul piano istituzionale (artt. 5 e 114 Cost.), non porta alla evaporazione della nozione unitaria di popolo. La nostra democrazia costituzionale si basa sulla compresenza e sulla dialettica di pluralismo e unità, che può essere mantenuta solamente se le molteplici formazioni politiche e sociali e le singole persone, in cui si articola il “popolo come molteplicità”, convergono su un nucleo di valori condivisi che fanno dell’Italia una comunità politica con una sua identità collettiva. In essa confluiscono la storia e l’appartenenza a una comune civiltà, che si rispecchiano nei principi fondamentali della Costituzione. A tutto ciò si riferisce la stessa Costituzione quando richiama il concetto di “Nazione” (artt. 9, 67 e 98 Cost.).
Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali” che siano titolari di una porzione di sovranità (sentenza n. 365 del 2007). L’unità del popolo e della nazione postula l’unicità della rappresentanza politica nazionale. Sul piano istituzionale, questa stessa rappresentanza e la conseguenziale cura delle esigenze unitarie sono affidate esclusivamente al Parlamento e in nessun caso possono essere riferite ai consigli regionali (sentenza n. 106 del 2002).
Le pur rilevanti modifiche introdotte nel 2001 con la riforma costituzionale del Titolo V non permettono di individuare «una innovazione tale da equiparare pienamente tra loro i diversi soggetti istituzionali che pure tutti compongono l’ordinamento repubblicano, così da rendere omogenea la stessa condizione giuridica di fondo dello Stato, delle Regioni e degli enti territoriali» (sentenza n. 365 del 2007).
La ricchezza di interessi e di idee di una società altamente pluralistica come quella italiana non può trovare espressione in una unica sede istituzionale, ma richiede una molteplicità di canali e di sedi in cui trovi voce e dalle quali possa ottenere delle politiche pubbliche, anche differenziate, in risposta alle domande emergenti. Perciò il regionalismo corrisponde ad un’esigenza insopprimibile della nostra società, come si è gradualmente strutturata anche grazie alla Costituzione.
Spetta, però, solo al Parlamento il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale. La tutela delle esigenze unitarie, in una forma di governo che funziona secondo la logica maggioritaria, è espressione dell’indirizzo politico della maggioranza e del Governo, nel rispetto del quadro costituzionale. Tuttavia, la sede parlamentare consente un confronto trasparente con le forze di opposizione e permette di alimentare il dibattito nella sfera pubblica, soprattutto quando si discutono questioni che riguardano la vita di tutti i cittadini. Il Parlamento deve, inoltre, tutelare le esigenze unitarie tendenzialmente stabili, che trascendono la dialettica maggioranza-opposizione.
Di conseguenza, la vigente disciplina costituzionale riserva al Parlamento la competenza legislativa esclusiva in alcune materie affinché siano curate le esigenze unitarie (art. 117, secondo comma, Cost.), e gli affida altresì dei compiti unificanti nei confronti del pluralismo regionale, che si esplicano principalmente attraverso la determinazione dei principi fondamentali nelle materie affidate alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni (art. 117, terzo comma, Cost.), attraverso la competenza statale nelle cosiddette “materie trasversali” e mediante la perequazione finanziaria a favore dei territori con minore capacità fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.).
Certamente qualsiasi sistema regionale ha in sé degli elementi di competizione tra le regioni, perché dà modo a ciascuna di esse, nell’ambito delle attribuzioni costituzionali, di seguire politiche differenti nella ricerca dei migliori risultati. Tuttavia, l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori, che può anche giovare a innalzare la qualità delle prestazioni pubbliche, non potrà spingersi fino a minare la solidarietà tra lo Stato e le regioni e tra regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica (art. 120 Cost.), l’eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti (art. 3 Cost.), l’effettiva garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e quindi la coesione sociale e l’unità nazionale – che sono tratti caratterizzanti la forma di Stato –, il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia.
Coerentemente con la suddetta esigenza, il regionalismo italiano, nel cui ambito deve inserirsi la differenziazione di cui all’art. 116, terzo comma, Cost., non è un “regionalismo duale” in cui tra una regione e l’altra esistono delle paratie stagne a dividerle. Piuttosto, è un regionalismo cooperativo (sentenza n. 121 del 2010, punto 18.2. del Considerato in diritto), che dà ampio risalto al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni (ex multis, sentenze n. 87 del 2024 e n. 40 del 2022) e che deve concorrere alla attuazione dei principi costituzionali e dei diritti che su di essi si radicano.
A tale logica costituzionale va ricondotta la differenziazione contemplata dall’art. 116, terzo comma, Cost., che può essere non già un fattore di disgregazione dell’unità nazionale e della coesione sociale, ma uno strumento al servizio del bene comune della società e della tutela dei diritti degli individui e delle formazioni sociali.
4.1.– Il sistema costituzionale garantisce sia l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, sia l’autonomia politica regionale e la possibilità della differenziazione tra le stesse regioni. Per quanto riguarda la ripartizione dei compiti, il collegamento tra l’unità e indivisibilità della Repubblica, da una parte, e l’autonomia delle regioni accresciuta grazie alla differenziazione di cui all’art. 116, terzo comma, Cost., dall’altra, è assicurato dal principio di sussidiarietà.
Il principio di sussidiarietà è, del resto, un principio fondamentale dello spazio costituzionale europeo. Esso orienta la ripartizione delle competenze legislative tra l’Unione e gli Stati membri (art. 5 TUE, nonché il Protocollo n. 2 annesso al Trattato) ed è altresì riconosciuto dal diritto costituzionale di alcuni Stati membri (art. 72 della Costituzione francese e art. 6 della Costituzione portoghese).
Nell’ordinamento italiano, il principio di sussidiarietà verticale ha un riconoscimento testuale negli artt. 118, primo comma, e 120, secondo comma, Cost. (con riferimento, rispettivamente, alle funzioni amministrative ed al potere sostitutivo), ed è stato oggetto di elaborazione da parte della giurisprudenza costituzionale, che l’ha esteso alla funzione legislativa tramite l’istituto della “chiamata in sussidiarietà” (sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004). Anche la legge impugnata, peraltro, richiama il principio di sussidiarietà negli artt. 1, comma 1, e 6, comma 1.
Tale principio esclude un modello astratto di attribuzione delle funzioni, ma richiede invece che sia scelto, per ogni specifica funzione, il livello territoriale più adeguato, in relazione alla natura della funzione, al contesto locale e anche a quello più generale in cui avviene la sua allocazione. La preferenza va al livello più prossimo ai cittadini e alle loro formazioni sociali, ma il principio può spingere anche verso il livello più alto di governo. Ai fini dell’attribuzione della funzione, contano le sue caratteristiche e il contesto in cui la stessa si svolge. La sussidiarietà funziona, per così dire, come un ascensore, perché può portare ad allocare la funzione, a seconda delle specifiche circostanze, ora verso il basso ora verso l’alto.
Poiché il principio di sussidiarietà opera attraverso un giudizio di adeguatezza, esso non può che riferirsi a specifiche e ben determinate funzioni e non può riguardare intere materie. La funzione è un insieme circoscritto di compiti omogenei affidati dalla norma giuridica ad un potere pubblico e definiti in relazione all’oggetto e/o alla finalità. A ciascuna materia afferisce, invece, una gran quantità di funzioni eterogenee, per alcune delle quali l’attuazione del principio di sussidiarietà potrà portare all’allocazione verso il livello più alto, mentre per altre sarà giustificabile lo spostamento ad un livello più vicino ai cittadini.
L’art. 116, terzo comma, Cost. va interpretato coerentemente con il significato del principio di sussidiarietà, e pertanto la devoluzione non può riferirsi a materie o ad ambiti di materie, ma a specifiche funzioni. Il tenore letterale della disposizione conferma tale conclusione. Essa, infatti, fa riferimento alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia «concernenti le materie», lasciando intendere che il trasferimento non riguarda le materie ma le singole funzioni concernenti le materie. Poiché tale disposizione prevede l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia, senza distinguere la natura legislativa o amministrativa della devoluzione, quest’ultima potrà riguardare solamente funzioni amministrative o legislative, oppure tanto le funzioni legislative che quelle amministrative concernenti il medesimo oggetto.
In definitiva, secondo la prospettiva costituzionale, incentrata sul principio di sussidiarietà, la scelta sulla ripartizione delle funzioni legislative e amministrative tra lo Stato e le regioni o la singola regione, nel caso della differenziazione ex art. 116, terzo comma, Cost., non può essere ricondotta ad una logica di potere con cui risolvere i conflitti tra diversi soggetti politici, né dipendere da valutazioni meramente politiche. Il principio di sussidiarietà richiede che la ripartizione delle funzioni, e quindi la differenziazione, non sia considerata ex parte principis, bensì ex parte populi.
La ripartizione delle funzioni deve corrispondere al modo migliore per realizzare i principi costituzionali. Tale necessità è affermata dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui, nel contesto della riforma del Titolo V della Costituzione, «la maggiore autonomia è stata riconosciuta nell’ambito di una prospettiva generativa, per cui promuovendo processi di integrazione fra i vari livelli istituzionali e civili, gli enti territoriali avrebbero consentito una migliore attuazione, rispetto all’assetto precedente, dei valori costituzionali» (sentenza n. 168 del 2021).
4.2.– In questa prospettiva, l’adeguatezza dell’attribuzione della funzione ad un determinato livello territoriale di governo va valutata con riguardo a tre criteri: l’efficacia e l’efficienza nell’allocazione delle funzioni e delle relative risorse, l’equità che la loro distribuzione deve assicurare e la responsabilità dell’autorità pubblica nei confronti delle popolazioni interessate all’esercizio della funzione. Tali criteri trovano fondamento nella Costituzione.
4.2.1.– Quanto al primo, è sufficiente richiamare il principio del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, secondo comma, Cost.).
Vi sono funzioni pubbliche che, per i loro caratteri, possono essere svolte efficacemente ed efficientemente solamente al livello territoriale di governo più alto (statale o addirittura europeo). Questo è il caso, ad esempio, in cui la centralizzazione determina evidenti economie di scala, oppure è richiesta per realizzare il coordinamento efficace di molteplici attori distribuiti sul territorio, ovvero qualora gli shock (crisi economiche, emergenze ambientali, sanitarie, geoeconomiche ed altro) che investono una comunità locale possono essere superati attraverso l’intervento solidaristico del centro, oppure quando l’esercizio locale della funzione determinerebbe effetti di spill-over negativi sul territorio di un’altra regione, o quando l’esistenza di regolamentazioni locali si traduce in barriere territoriali alla concorrenza pregiudicando l’unità del mercato, o ancora quando la funzione attiene agli interessi dell’intera comunità nazionale, la cui cura non può essere frammentata territorialmente senza compromettere la stessa esistenza di tale comunità, o comunque l’efficienza della funzione.
Di contro, con riguardo ad altre funzioni pubbliche, la loro allocazione a un livello territoriale di governo più basso permette all’autorità pubblica di conoscere più attentamente le peculiarità dell’ambiente in cui la funzione è svolta, di potersi meglio adeguare alle preferenze dei cittadini e alle condizioni locali, di monitorare gli effetti concreti dell’attività pubblica e procedere rapidamente a eventuali autocorrezioni, di realizzare più efficacemente sperimentazioni e innovazioni che permettono di migliorare la qualità o l’efficienza delle prestazioni pubbliche, di rendere più facile la promozione della sussidiarietà cosiddetta orizzontale (art. 118, quarto comma, Cost.), ossia l’attribuzione ai cittadini e soprattutto alle loro formazioni sociali di compiti di interesse generale che, in relazione alla loro natura, possono essere svolti in modo più adeguato coinvolgendo le articolazioni della società piuttosto che riservandoli agli apparati pubblici.
Il principio di sussidiarietà richiede che la distribuzione delle funzioni tra i diversi livelli territoriali realizzi la soluzione più “efficiente”. Questo parametro si riferisce non solamente alle modalità di svolgimento della specifica funzione, ma altresì alle conseguenze che derivano dall’allocazione della funzione sulla dimensione e sulla dinamica dei costi sopportati dai bilanci pubblici.
A questo riguardo vanno richiamati: l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, «in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea», di assicurare «l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico» (art. 97, primo comma, Cost.), il principio dell’equilibrio di bilancio riguardante sia lo Stato (art. 81, primo comma, Cost.) che le regioni e le autonomie locali (art. 119, primo comma, Cost.), i limiti posti al ricorso all’indebitamento (artt. 81, secondo comma, e 119, settimo comma, Cost.).
Lo spostamento di una funzione verso il basso, soprattutto se la stessa funzione viene mantenuta al centro con riguardo ad altre regioni, può, in alcuni casi, comportare la duplicazione degli apparati burocratici oppure la perdita di economie di scala. Di contro, con riguardo ad altre funzioni, dal loro trasferimento dallo Stato alla regione può derivare un risparmio dei costi, anche grazie all’adozione di modalità di esercizio più adeguate alla realtà locale o al ricorso alla sperimentazione, oppure in conseguenza di una migliore capacità amministrativa, specie se esistono meccanismi che, in qualche modo, premino i comportamenti fiscalmente virtuosi.
4.2.2.– L’attribuzione alle diverse regioni di funzioni pubbliche che implicano prestazioni a favore dei cittadini, con cui si garantiscono i loro diritti civili e sociali, può avere conseguenze diverse sul piano dell’equità e risente del modo diverso di intendere quest’ultima. Da una parte, permettendo un maggiore aderenza alle esigenze delle popolazioni interessate e quindi una differenziazione territoriale delle regole e dell’attività amministrativa in relazione a tali esigenze, può essere vista dai cittadini direttamente interessati come la soluzione più equa, perché garantisce i loro diritti nel modo da essi ritenuto migliore.
Dall’altra parte, essa può comportare la crescita, anche accentuata, delle diseguaglianze. Ciò potrebbe avvenire a causa della diversa distribuzione territoriale del reddito, con conseguenti differenze nella capacità fiscale per abitante e quindi delle entrate regionali, nonché per effetto delle diverse capacità amministrative nelle regioni, che possono determinare una differenziazione territoriale nel livello di tutela dei diritti.
Pertanto, esiste un trade-off tra autonomia regionale e eguaglianza nel godimento dei diritti, rispetto al quale deve essere trovato un ragionevole punto di equilibrio, attraverso un’adeguata allocazione delle funzioni e idonei meccanismi correttivi delle disparità, evitando conseguenze negative in termini di diseguaglianze.
La necessità di ricercare tale punto di equilibrio è alla base di diverse disposizioni costituzionali che: tutelano i «diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» e parimenti prevedono i «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2 Cost.); attribuiscono alla Repubblica nel suo complesso il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (art. 3, secondo comma, Cost.); prevedono il potere statale di regolare la perequazione delle risorse finanziarie, di determinare i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» e di compiere interventi perequativi, anche per rimediare agli svantaggi dell’insularità (artt. 117, secondo comma, lettere e e m, e 119, terzo, quinto e sesto comma, Cost.); garantiscono la «tutela dell’unità giuridica» e «dell’unità economica» della Repubblica (art. 120, secondo comma, Cost.).
Alla luce di tali previsioni costituzionali, ogni processo di attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., dovrà tendere a realizzare un punto di equilibrio tra eguaglianza e differenze.
4.2.3.– La responsabilità politica e la partecipazione democratica sono principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale. L’attribuzione delle funzioni ai livelli territoriali più vicini alla popolazione interessata può migliorare l’effettività della responsabilità politica, perché la vicinanza favorisce il controllo e la partecipazione democratica, mentre stimola l’autorità pubblica ad essere più “responsiva” nei confronti delle preferenze prevalenti nella comunità governata. Tale aspetto si ricollega ad una delle iniziali ispirazioni della scelta costituzionale a favore del regionalismo, e cioè quella di educare i cittadini all’autogoverno rafforzando, così, la democrazia. Di contro, possono esistere funzioni pubbliche strettamente interdipendenti, di modo che la valutazione in termini di responsabilità politica dei risultati conseguiti mediante il loro esercizio richiede che tali funzioni non siano separate e restino in capo alla medesima autorità pubblica, impedendo, in linea di massima, il trasferimento di alcune di esse verso livelli territoriali più bassi. Inoltre, se esistono forti asimmetrie tra il “potere di spesa” decentrato e il “potere fiscale” accentrato c’è il pericolo dell’irresponsabilità finanziaria.
Infine, l’allocazione delle funzioni tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione del principio di sussidiarietà, richiede sempre che essa si realizzi in modo tale da assicurare il pieno rispetto degli obblighi internazionali e di quelli nei confronti dell’Unione europea, che vincolano parimenti lo Stato e le regioni (art. 117, primo comma, Cost.).
4.3.– Il legislatore costituzionale ha fatto una scelta, consolidata nel Titolo V della parte seconda della Costituzione, sull’assetto ritenuto in via generale ottimale nella ripartizione delle funzioni, sia legislative che amministrative, tra Stato, regioni ed enti locali.
Il principio di sussidiarietà, tuttavia, è dotato di una intrinseca flessibilità. Poiché si tratta di attribuire la funzione al livello territoriale di governo dove può essere esercitata nella maniera più adeguata, in presenza di nuove circostanze il giudizio di adeguatezza può cambiare, portando a giustificare una nuova allocazione della funzione in gioco. Tale flessibilità è riconosciuta dalla Costituzione quando prevede, in via straordinaria, l’esercizio del potere sostitutivo statale (art. 120, secondo comma, Cost.) ed è stata particolarmente valorizzata dalla giurisprudenza costituzionale con l’istituto della “chiamata in sussidiarietà”, che permette di attrarre verso l’alto insieme alla funzione amministrativa anche quella legislativa, nel rispetto del principio di leale collaborazione. In entrambi i casi, la premessa dello spostamento della funzione, rispetto al suo livello iniziale ricavabile dal testo costituzionale, è un motivato giudizio di miglior adeguatezza in relazione alla specificità della situazione (sentenza n. 168 del 2021). Parimenti, la giurisprudenza costituzionale in taluni casi ha ritenuto che una specifica disciplina fosse stata validamente adottata dalla regione anche in considerazione di una maggiore adeguatezza a realizzare i principi costituzionali nella situazione specificamente considerata (sentenza n. 16 del 2024: «non contrastano con la competenza legislativa statale esclusiva dello Stato le disposizioni regionali impugnate che, nell’esercizio della competenza legislativa regionale residuale in materia di pesca, producono l’effetto di elevare, in relazione a specifiche esigenze del territorio, il livello di tutela ambientale»; più recentemente si veda anche la sentenza n. 185 del 2024, punto 5.3.2 del Considerato in diritto).
L’art. 116, terzo comma, Cost., è un’altra espressione della flessibilità propria del principio di sussidiarietà. Esso contiene una clausola generale di flessibilità che consente a ciascuna regione di chiedere di derogare all’ordine di ripartizione delle funzioni ritenuto in via generale ottimale dalla Costituzione.
Poiché si tratta di una deroga alla ordinaria ripartizione delle funzioni, essa va giustificata e motivata con precipuo riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto (sociale, amministrativo, geografico, economico, demografico, finanziario, geopolitico ed altro) in cui avviene la devoluzione, in modo da evidenziare i vantaggi – in termini di efficacia e di efficienza, di equità e di responsabilità – della soluzione prescelta.
L’iniziativa della regione e l’intesa previste dalla suddetta disposizione costituzionale devono, pertanto, essere precedute da un’istruttoria approfondita, suffragata da analisi basate su metodologie condivise, trasparenti e possibilmente validate dal punto di vista scientifico (come, peraltro, suggerito dalla Banca d’Italia nella memoria depositata il 27 marzo 2024 nel corso dell’audizione davanti alla I Commissione, Affari costituzionali, della Camera dei deputati).
In ogni caso, anche qualora alcune funzioni concernenti una determinata materia vengano spostate alla competenza legislativa piena della regione, resteranno fermi i limiti generali di cui all’art. 117, primo comma, Cost. e le competenze legislative trasversali dello Stato come la tutela della concorrenza, l’ordinamento civile e i LEP, così come resta operativo il potere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, Cost.
Spetta alla discrezionalità del legislatore trovare le soluzioni che attuino la devoluzione ritenuta più adeguata, ma nella ricerca – invero non semplice – di tali soluzioni non potrà spingersi oltre le “colonne d’Ercole” rappresentate dall’art. 116, terzo comma, Cost., come precedentemente interpretato, a garanzia della permanenza dei caratteri indefettibili della nostra forma di Stato.
Resta, comunque, riservato a questa Corte il sindacato sulla legittimità costituzionale delle singole leggi attributive di maggiore autonomia a determinate regioni, alla stregua dei principi sin qui enunciati. Il suddetto sindacato costituzionale è attivabile, oltre che in via incidentale, in via principale dalle regioni terze. Infatti, i limiti posti dall’art. 116, terzo comma, Cost. alle leggi speciali di differenziazione incidono direttamente sullo status costituzionale delle regioni terze, nel senso che la violazione di quei limiti – che si traduce in un regime privilegiato per una determinata regione – viola di per sé la par condicio tra le regioni, ossia la loro posizione di eguaglianza davanti alla Costituzione, ricavabile dagli artt. 5 e 114 Cost.
In conclusione, l’art. 116, terzo comma, Cost., richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, definite in relazione all’oggetto e/o alle finalità, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà.
4.4.– Questa Corte non può esimersi dal rilevare che vi sono delle materie, cui pure si riferisce l’art. 116, terzo comma, Cost., alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà. Vi sono, infatti, motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento. Con riguardo a tali funzioni, l’onere di giustificare la devoluzione alla luce del principio di sussidiarietà diventa, perciò, particolarmente gravoso e complesso. Pertanto, le leggi di differenziazione che contemplassero funzioni concernenti le suddette materie potranno essere sottoposte ad uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale.
Inoltre, il fatto che l’art. 116, terzo comma, Cost. contempli, tra l’altro, le funzioni concernenti dette materie non implica che in esse vengano meno gli stringenti vincoli derivanti dalle altre materie trasversali o dall’ordinamento unionale o dai vincoli internazionali, che si sono rafforzati a seguito dei cambiamenti che hanno investito settori rilevantissimi della vita politica, economica e sociale: dalle due rivoluzioni tecnologiche “gemelle”, la digitale e l’energetica, che hanno determinato trasformazioni dirompenti nell’economia, nella società e di conseguenza anche nel sistema giuridico, alle tensioni che hanno investito l’ordine mondiale innescando la sua modificazione, con conseguenze imponenti di ordine strutturale che coinvolgono direttamente alcune delle materie considerate (dal commercio estero all’energia).
Quanto detto non preclude, a priori, anche in queste materie la possibilità del trasferimento di alcune funzioni, ma questo deve trovare una più stringente giustificazione in relazione al contesto, alle esigenze di differenziazione, alla possibilità da parte delle regioni di dare attuazione al diritto unionale.
Tra le funzioni in questione vi sono quelle che riguardano il «commercio con l’estero». L’art. 3, paragrafo 1, lettera e) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) riserva alla competenza esclusiva dell’Unione europea la «politica commerciale comune», che è poi regolata dall’art. 207 TFUE. In attuazione di tale politica commerciale, l’Unione adotta regolamenti e conclude accordi con Paesi terzi e organizzazioni internazionali. Pertanto, con riguardo al commercio con Paesi terzi, gli spazi lasciati agli Stati membri sono residuali.
Deve aggiungersi che le trasformazioni intervenute sul piano geopolitico e geoeconomico hanno avuto forti ripercussioni sulle politiche commerciali, che sempre più si intrecciano ora con le esigenze di sicurezza delle catene globali del valore, ora con gli aspetti riguardanti le relazioni di potere tra gli Stati, attraendole pertanto nella sfera della politica estera, che spetta alla competenza esclusiva dello Stato.
Per quanto riguarda, invece, il commercio con gli altri Stati membri dell’Unione, le relative regole sono quelle del mercato interno, fondato sulle quattro libertà di circolazione (delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone), in cui abbonda la normativa eurounitaria, con la conseguenza di rendere esigui gli ambiti di intervento legislativo degli Stati membri e delle loro istituzioni territoriali.
Analogamente, per quanto riguarda la «tutela dell’ambiente», si tratta di una materia in cui predominano le regolamentazioni dell’Unione europea e le previsioni dei trattati internazionali, dalle quali scaturiscono obblighi per lo Stato membro che, in linea di principio, mal si prestano ad adempimenti frammentati sul territorio, anche perché le politiche e gli interventi legislativi in questa materia hanno normalmente effetti di spill-over sui territori contigui, rendendo, in linea di massima, inadeguata la ripartizione su base territoriale delle relative funzioni.
La pervasività della disciplina eurounitaria nella suddetta materia trova il suo fondamento nell’art. 11 TFUE, secondo cui le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. Inoltre, l’ambiente è attribuito alla competenza concorrente dell’Unione (art. 4, comma 2, TFUE), e pertanto lo Stato può intervenire solamente fino a quando l’Unione non abbia esercitato la sua competenza normativa. Competenza che, in questo ambito, è stata esercitata in modo assai ampio.
Ancora più marcati sono gli ostacoli al trasferimento di funzioni, in particolare di quelle legislative, concernenti la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Si tratta, infatti, di una materia disciplinata dal diritto eurounionale in funzione della realizzazione del mercato interno dell’energia, della tutela del consumatore e della sicurezza energetica. A tal fine la disciplina eurounitaria si occupa dettagliatamente della generazione di energia, delle reti di trasmissione, delle reti di distribuzione e della vendita al consumatore, in modo da realizzare un mercato effettivamente aperto, in cui deve impedirsi che un operatore verticalmente integrato possa discriminare l’accesso alla rete da parte di operatori concorrenti o sfruttare informazioni commercialmente sensibili.
Inoltre, il diritto dell’Unione ha previsto in ogni Stato membro l’istituzione di un’Autorità indipendente, titolare di rilevanti competenze, tra cui quella di determinare o di approvare, secondo criteri trasparenti, le tariffe di trasmissione e di distribuzione. A tale Autorità deve essere garantita la piena indipendenza dal potere politico (Corte di giustizia dell’Unione europea, quarta sezione, sentenza 2 settembre 2021, Commissione europea, in causa C-718/18, punti da 103 al 114).
Il sistema elettrico deve assicurare l’interoperabilità delle reti a livello europeo, assicurando gli scambi transfrontalieri, col duplice obiettivo di realizzare il mercato europeo dell’energia e di assicurare, in ciascuno Stato membro, la sicurezza energetica, soprattutto in caso di “sbilanciamento” del sistema nazionale. Pertanto, esiste un principio di solidarietà tra gli Stati membri in campo energetico (CGUE, grande camera, sentenza 15 luglio 2020, Repubblica federale di Germania, in causa C-848/19, punti da 37 a 53), cui devono uniformarsi le regole nazionali e la conformazione delle reti, senza ostacoli su base territoriale.
A conclusioni simili si perviene per le funzioni concernenti le materie «porti e aeroporti civili» e «grandi reti di trasporto e di navigazione». Anche in questo caso, le reti di trasporto e le infrastrutture che ne sono i nodi fondamentali – come i porti e gli aeroporti – sono parti di un sistema euronazionale. Vi è, infatti, una disciplina eurounionale delle reti e dei trasporti, dei piani europei di sviluppo di alcuni grandi direttrici di trasporto (sia ferroviario che su strada), dei progetti di investimento cofinanziati dall’Unione. Ma anche a livello nazionale le grandi reti di trasporto e i loro nodi infrastrutturali sono parti di un sistema nazionale, costituente una piattaforma essenziale dell’economia e del mercato nazionale, che richiede, nel rispetto della normativa eurounionale, il mantenimento di fondamentali funzioni, in primo luogo, di normazione, a livello statale.
Sussistono consistenti ostacoli anche al trasferimento delle funzioni relative alla materia «professioni». Infatti, secondo il diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di giustizia, un soggetto che esercita una libera professione che implica, in quanto attività principale, la prestazione di più servizi distinti dietro corrispettivo, esercita un’attività economica (sentenze 18 gennaio 2024, Lietuvos notaru rūmai e altri, in causa C-128/21, punti 56 e 57, e 19 febbraio 2002, Wouters e altri, in causa C-309/99, punto 47). Peraltro, la natura complessa e tecnica dei servizi forniti e la circostanza che l’esercizio della professione sia regolamentato non possono mettere in discussione tale conclusione (sentenze del 28 febbraio 2013, Ordem dos Técnicos Oficiais de Contas, in causa C-1/12, punto 38, e ancora Lietuvos notaru rūmai e altri, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).
Trattandosi di attività economica, anche le attività professionali, da un lato, sono sottoposte alle regole della concorrenza poste dallo Stato nell’esercizio della relativa competenza diretta a tutelarla e, dall’altro, rientrano nell’ambito della tutela del consumatore, che forma oggetto di regolamentazione analitica da parte del diritto eurounionale.
Ciò vale soprattutto per le professioni ordinistiche, che – quanto alle regole di accesso e quindi al relativo mercato – cadono nella materia «tutela della concorrenza»; anche se non si può escludere la possibilità di una differenziazione in riferimento a quelle professioni non ordinistiche che presentano nessi con la realtà locale.
Anche il trasferimento delle ulteriori funzioni, in particolare di quelle legislative, concernenti la materia «ordinamento della comunicazione» incontra ostacoli di ordine giuridico e tecnico, che rendono eccezionali e residuali le funzioni che possono essere devolute. In tale materia confluiscono il diritto delle comunicazioni elettroniche e il diritto di internet, che trovano la loro disciplina in un complesso assai esteso di atti normativi dell’Unione europea, che hanno il precipuo scopo di realizzare un mercato unico digitale che sia inclusivo, competitivo e rispettoso dei diritti fondamentali. Proprio perché si tratta di creare e garantire il mercato unico europeo, in cui le comunicazioni elettroniche e internet svolgono un ruolo fondamentale, gli atti legislativi europei sono, di regola, di massima armonizzazione, lasciando poco spazio agli Stati membri e precludendo, in linea di massima, regolamentazioni territorialmente frammentate che potrebbero fungere da ostacolo al funzionamento di tale mercato. Gran parte delle funzioni riguardanti la materia hanno finalità pro-concorrenziali e di tutela del consumatore e, perciò, afferiscono alla materia «tutela della concorrenza» di competenza esclusiva dello Stato, potendo difficilmente essere separate da altre funzioni limitate esclusivamente alla comunicazione.
Sulla infrastruttura di rete, nei sistemi di comunicazione e su internet circolano, poi, ingenti masse di dati personali, rispetto ai quali si pone l’esigenza di garanzia del diritto fondamentale alla tutela dei dati personali, che, in talune circostanze, va contemperato con l’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e con quello all’accertamento e alla repressione dei reati. Queste esigenze hanno portato ad una vasta regolazione di matrice eurounitaria, che, in linea di massima, lascia spazi assai esigui all’intervento regolatorio degli Stati membri e mal si concilia con differenziazioni regionali.
Con riferimento alle «norme generali sull’istruzione», questa Corte ha da tempo individuato l’elemento caratterizzante di tale materia nella «valenza necessariamente generale ed unitaria» (sentenza n. 200 del 2009; più di recente, sentenze n. 168 del 2024 e n. 223 del 2023) dei contenuti che le sono propri; tali norme generali, stabilite dal legislatore statale, «delineano le basi del sistema nazionale di istruzione», essendo funzionali ad assicurare «la previsione di una offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale, l’identità culturale del Paese, nel rispetto della libertà di insegnamento di cui all’art. 33, primo comma, Cost.» (sentenza n. 200 del 2009). Non sarebbe quindi giustificabile una differenziazione che riguardi la configurazione generale dei cicli di istruzione e i programmi di base, stante l’intima connessione di questi aspetti con il mantenimento dell’identità nazionale.
5.– In via preliminare, occorre soffermarsi sulle eccezioni di inammissibilità relative agli interi ricorsi proposti.
5.1.– In tutti i giudizi l’Avvocatura dello Stato e la Regione Veneto eccepiscono l’inammissibilità radicale dei ricorsi per difetto di motivazione sulla ridondanza, cioè perché le ricorrenti denuncerebbero l’illegittimità costituzionale della legge, ma non la lesione delle proprie attribuzioni costituzionali.
In effetti, l’art. 127 Cost. individua la lesione della sfera di competenza costituzionale della regione come unico motivo legittimante il ricorso regionale. Le regioni possono denunciare, però, anche le lesioni indirette della propria competenza, che si verificano quando la legge statale non vìola, di per sé, la norma costituzionale di competenza ma incide sull’autonomia costituzionale regionale violando un parametro ad essa estraneo. In tali casi, questa Corte richiede, «in primo luogo, la chiara individuazione degli ambiti di competenza regionale indirettamente incisi dalla disciplina statale e, in secondo luogo, una illustrazione adeguata del vizio di ridondanza» (sentenza n. 40 del 2022; si vedano anche, ex multis, le sentenze n. 133 del 2024, n. 187 del 2021 e n. 75 del 2017).
L’eccezione in esame non è fondata. In presenza di numerosi motivi, che invocano parametri di diverso tenore (alcuni attinenti alle competenze regionali, altri non attinenti), è necessario che l’inammissibilità per difetto di motivazione sulla ridondanza vada argomentata con riferimento ai singoli motivi. Sul tema si tornerà, dunque, in seguito.
5.2.– In tutti i giudizi l’Avvocatura dello Stato e la Regione Veneto eccepiscono l’inammissibilità radicale dei ricorsi anche per difetto di interesse ad agire, in quanto la lesione non sarebbe immediata ma dipenderebbe dalle future leggi rinforzate. Analoga eccezione è formulata dalla Regione Lombardia nel giudizio promosso dalla Regione autonoma Sardegna.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «il giudizio promosso in via principale si configura come successivo e astratto e presuppone la mera pubblicazione di una legge regionale che possa ledere il riparto delle competenze, “a prescindere dagli effetti che questa abbia o non abbia prodotto” (tra le tante, sentenza n. 262 del 2016, punto 4.2. del Considerato in diritto). Tale sindacato, in quanto mira a definire il corretto riparto delle competenze fra Stato e Regione nelle materie indicate, in linea con la natura astratta del giudizio in via principale, non risulta inutilmente svolto anche allorquando l’ambito temporale di applicazione delle norme impugnate sia assai ristretto o azzerato» (sentenza n. 24 del 2022). Ciò perché il ricorrente ricava un vantaggio dalla pronuncia della Corte per il solo ripristino “normativo” della propria competenza, cioè per l’eliminazione dell’incertezza sull’assetto dei rapporti tra Stato e regioni (sentenza n. 257 del 2021).
Alla luce di tali considerazioni, nel caso di specie l’eccezione è a fortiori da respingere, perché la legge impugnata potrebbe essere in futuro applicata, sia in procedure attivate dalle ricorrenti sia in procedure attivate da altre regioni. Nel momento in cui la ricorrente denuncia una lesione di competenza (diretta o indiretta), sussiste già l’interesse al ripristino della propria competenza, a prescindere dagli effetti concreti.
5.3.– La Regione Piemonte eccepisce l’inammissibilità dei ricorsi, ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. proc. amm. (considerato applicabile in ragione del rinvio operato dall’art. 22, primo comma, della legge n. 87 del 1953), in quanto non notificati alle regioni controinteressate: nel caso delle Regioni Toscana e Campania, perché esse hanno notificato il ricorso al solo Presidente del Consiglio dei ministri; nel caso della Regione Puglia e della Regione autonoma Sardegna, qualora la notificazione effettuata alle altre regioni venga considerata meramente “notiziale”.
L’eccezione non è fondata. Nel giudizio in via principale, parti necessarie sono solo lo Stato ricorrente e la regione resistente (in caso di impugnazione statale di una legge regionale), la regione ricorrente e lo Stato resistente (in caso di impugnazione regionale di una legge statale), nonché la regione ricorrente, da un lato, e la regione resistente e lo Stato, dall’altro (in caso di impugnazione di una legge regionale da parte di un’altra regione che la ritenga invasiva della sua competenza). Tanto si ricava, in particolare, dagli artt. 31, comma 3, 32, comma 2, e 33, comma 3, della legge n. 87 del 1953, che individuano i soggetti cui deve essere notificato il ricorso promosso, rispettivamente, dallo Stato avverso una legge regionale, dalla regione avverso una legge statale e dalla regione avverso una legge di un’altra regione.
Questa Corte, sia con riferimento a soggetti privati e pubblici sia con riferimento a regioni “terze”, ha più volte espressamente escluso l’operatività, sul punto, del rinvio alle disposizioni regolanti il processo amministrativo, e quindi l’esistenza di un controinteressato nel giudizio in via di azione, e ciò sin dall’ordinanza del 30 maggio 1956, con riferimento ad un soggetto privato; nello stesso senso, ordinanza n. 27 del 1975, con riferimento ad una regione “terza”; ordinanza n. 130 del 1977, con riferimento al Comune di Bolzano; ordinanza n. 182 del 1987, con riferimento ad un soggetto privato; sentenza n. 517 del 1987, con riferimento al CONI; ordinanza n. 47 del 1991, con riferimento ad alcune province.
5.4.– Nel solo giudizio promosso dalla Regione autonoma Sardegna, la difesa erariale eccepisce l’inammissibilità del ricorso sotto tre ulteriori profili.
In primo luogo, esso sarebbe inammissibile per difetto di legittimazione ed interesse ad agire, in quanto l’art. 116, terzo comma, Cost. si rivolgerebbe alle sole regioni ordinarie.
L’eccezione non è fondata. Anzitutto, essa varrebbe per i soli motivi che la Regione autonoma Sardegna propone come potenziale richiedente l’autonomia differenziata, non per quelli che propone come Regione “terza”. Inoltre, la Regione autonoma Sardegna argomenta specificamente sull’applicabilità alle regioni speciali dell’art. 116, terzo comma, Cost., in base alla clausola “di maggior favore” di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Dunque, poiché «la valutazione della questione in punto di ammissibilità attiene alla prospettazione della ricorrente e deve essere tenuta distinta da quella in punto di fondatezza» (sentenza n. 298 del 2009; si vedano anche le sentenze n. 75 del 2017 e n. 64 del 2012), il ricorso della Regione autonoma Sardegna risulta, per questo profilo, ammissibile.
In secondo luogo, il ricorso sarebbe inammissibile perché ha ad oggetto (anche) l’intera legge n. 86 del 2024, che avrebbe contenuto non omogeneo. L’eccezione non è fondata perché, in realtà, il ricorso della Regione autonoma Sardegna censura l’intera legge solo nel primo dei ventidue motivi proposti (sul primo motivo, infra, punto 6).
In terzo luogo, mancherebbe l’interesse al ricorso perché non ci sarebbero dubbi sul riparto di competenze, in quanto le questioni promosse riguarderebbero la competenza esclusiva statale ad attuare l’art. 116, terzo comma, Cost. Neppure tale eccezione è fondata, perché si tratta di una competenza che può interferire con le prerogative regionali, sia nella prospettiva della regione richiedente il conferimento di ulteriori forme di autonomia sia nella prospettiva della regione “terza”. Inoltre, la legge impugnata non si occupa esclusivamente dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. ma anche della determinazione dei LEP, che esprimono una competenza statale trasversale, idonea ad intersecare plurime materie di competenza regionale.
5.5.– Nel giudizio promosso dalla Regione autonoma Sardegna, la Regione Veneto rileva che la legge impugnata non sarebbe idonea ad incidere sul contenuto della futura legge rinforzata: il ricorso sarebbe dunque inammissibile perché «aggredisce un atto privo di effetti e privo di causa».
L’eccezione non è fondata. La legge impugnata non è priva di effetti, perché regola la fase del negoziato e condiziona gli organi statali e regionali che operano in tale fase. Come ha rilevato questa Corte con riferimento ad un altro caso di legge rinforzata, che si basa su un’intesa (quella con le confessioni religiose diverse dalla cattolica di cui all’art. 8, terzo comma, Cost.), la legge regolatrice del procedimento di stipulazione dell’intesa può dettare criteri «idonei a guidare il Governo» (sentenza n. 52 del 2016; fermo restando che le due disposizioni, pur essendo formulate in modo simile, si occupano di fattispecie eterogenee).
5.6.– La Regione Lombardia eccepisce che i ricorsi sono apodittici e privi di adeguata motivazione nei giudizi promossi dalla Regione Puglia e dalla Regione autonoma Sardegna.
Tale eccezione è da respingere in quanto la sufficienza della motivazione va verificata con riferimento ai singoli motivi di ricorso.
6.– Prima di esaminare i diversi gruppi di questioni, è necessario risolvere quella relativa all’applicabilità dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni ad autonomia speciale perché, in caso di risposta negativa, sarebbero non fondate (per le ragioni che si esporranno) tutte le censure che la Regione autonoma Sardegna avanza come potenziale richiedente l’autonomia differenziata: si tratta dei motivi n. 1, n. 2, n. 3, n. 4, n. 10 (nella parte in cui si censura la mancata previsione di una nuova intesa con la regione interessata, in caso di emendamenti), n. 13, n. 18, n. 19 (nella parte in cui si censura la discriminazione delle regioni con minore capacità fiscale), illustrati nel punto 5 del Ritenuto in fatto.
L’applicabilità dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni speciali è il presupposto dell’art. 11, comma 2, della legge impugnata, in base al quale, «[a]i sensi dell’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano».
Tale disposizione è stata impugnata dalla Regione autonoma Sardegna con il ventiduesimo motivo, per diretta violazione dell’art. 54 dello statuto speciale e dell’art. 116, terzo comma, Cost. e, indirettamente, per violazione di ulteriori disposizioni dello statuto e di diverse disposizioni costituzionali (punto 5.22. del Ritenuto in fatto).
La questione è fondata in riferimento all’art. 116, terzo comma, Cost.
Tale disposizione costituzionale è chiara nel riferirsi alle sole regioni ordinarie, nel momento in cui consente l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia «ad altre Regioni», vale a dire alle regioni diverse da quelle indicate nei commi precedenti dello stesso art. 116 Cost.
Invero, il dato letterale non è decisivo per la soluzione della questione. L’eventuale estensione alle regioni speciali dell’art. 116, terzo comma, Cost., infatti, dipende non solo da una interpretazione della disposizione costituzionale in esame, bensì anche da quella dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, cioè dalla possibilità di considerare la norma costituzionale sulla differenziazione una delle «forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite» dagli statuti speciali. In altri termini, il fatto che l’art. 116, terzo comma, Cost., riguardi – per inequivoco dato testuale – le sole regioni ordinarie non esclude di per sé che esso possa essere esteso anche alle regioni speciali in forza della clausola di maggior favore, analogamente alle altre disposizioni del Titolo V (riformato nel 2001) che parimenti si riferiscono alle sole regioni ordinarie.
L’applicazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, non è di per sé preclusa nemmeno dal carattere procedimentale e non materiale della norma. Infatti, anche norme di carattere procedimentale del titolo V, se garantiscono forme maggiori di autonomia, vanno estese alle regioni a statuto speciale, come è accaduto per l’impugnazione successiva della legge regionale ai sensi dell’art. 127 Cost. (sentenza n. 255 del 2014; ordinanze n. 377 e n. 65 del 2002).
Ciononostante, sussistono ragioni di carattere logico-sistematico che conducono ad escludere che l’art. 116, terzo comma, Cost. possa essere applicato alle regioni speciali, in virtù dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
In primo luogo, occorre chiarire che le «forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite» (così si esprime il citato art. 10) sono quelle previste dalla stessa legge cost. n. 3 del 2001 e, dunque, non possono essere quelle conferite dalle leggi di differenziazione.
In secondo luogo, la procedura di specializzazione e di rafforzamento dell’autonomia di cui all’art. 116, terzo comma, Cost. non può essere considerata un caso di “maggior autonomia” ai sensi dell’art. 10. Le «forme di autonomia più ampie» di cui alla clausola di maggior favore sono quelle direttamente attribuite dalla riforma del Titolo V alla generalità delle regioni ordinarie, che vengono estese automaticamente a tutte le autonomie speciali in attesa dell’adeguamento degli statuti speciali («Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti […]» è l’incipit dell’art. 10). La clausola di maggior favore «ha una finalità essenzialmente transitoria» (sentenza n. 370 del 2006).
Ora, non è concepibile che negli statuti speciali sia inserita una norma come l’art. 116, terzo comma, Cost., sia perché la procedura da esso prevista si affiancherebbe in modo incongruo alla procedura di revisione degli statuti speciali, sia perché una procedura volta a “specializzare” sarebbe inutile nel contesto di uno statuto che già conferisce un regime speciale ad una singola regione.
In sostanza, la ratio dell’art. 116, terzo comma, Cost. esclude che esso rientri nell’orbita della clausola di maggior favore. Esso consente di “rompere” l’uniformità delle regioni ordinarie, in relazione a casi specifici; nel contesto delle regioni speciali, l’ulteriore specializzazione e il rafforzamento dell’autonomia devono scorrere sui binari della revisione statutaria e, entro certi limiti, delle norme di attuazione degli statuti speciali.
Pertanto, l’art. 11, comma 2, della legge impugnata è costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.
L’inapplicabilità di tale norma costituzionale alle regioni speciali comporta la non fondatezza di tutte le censure (sopra indicate) che la Regione autonoma Sardegna avanza come potenziale richiedente l’autonomia differenziata: essa, infatti, risulta priva di una prerogativa costituzionale da far valere (a differenza delle regioni ordinarie, per le quali l’art. 116, terzo comma, Cost. configura una procedura attivabile, che compone il loro status costituzionale). Dunque, qualunque vizio avesse la legge impugnata, non si potrebbe tradurre nella lesione di una competenza costituzionale della Regione autonoma Sardegna.
7.– È ora il momento di esaminare il primo gruppo di questioni, relative all’interpretazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.
Con il primo motivo, la Regione Puglia contesta l’intera legge n. 86 del 2024 per violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. perché lo Stato non sarebbe legittimato ad approvare una legge quadro attuativa di questa norma costituzionale.
7.1.– Sotto il profilo processuale, la ricorrente non motiva sulla ridondanza del vizio sulle sue competenze costituzionali. Tuttavia, come già accennato, l’art. 116, terzo comma, Cost., pur non attribuendo competenze costituzionali, concorre a delineare il regime costituzionale delle regioni, garantendo loro una possibilità che si traduce in una procedura pattizia. Dunque, se una legge ordinaria viola la suddetta norma, interferendo sulla procedura pattizia, incide sulla posizione costituzionale delle regioni.
In relazione al motivo in esame, la Regione Piemonte eccepisce l’inammissibilità dell’intero ricorso per contraddittorietà, in quanto esso, da un lato, afferma l’impossibilità di adottare una legge quadro perché l’art. 116, terzo comma, Cost. dovrebbe ritenersi «del tutto autosufficiente», dall’altro contesta diversi «profili di incostituzionalità “per assenza” o “lacuna”, ossia imperniati sulla mancanza di una determinata previsione che invece risulterebbe (in tesi) costituzionalmente necessaria, con la conseguenza, però, che la disposizione costituzionale de qua non potrebbe dirsi certamente autoapplicativa».
Tale eccezione non è fondata perché tutti i motivi di ricorso successivi al primo sono proposti dalla Regione Puglia in via subordinata ad esso. Poiché essi devono essere esaminati solo in caso di rigetto del primo motivo, non può ravvisarsi una contraddittorietà logica interna al ricorso.
7.2.– La questione in esame non è fondata.
Il fatto che una norma costituzionale non rinvii a una legge non impedisce al legislatore statale di dettare norme attuative, naturalmente nel rispetto dei limiti costituzionali di competenza, posti a tutela sia dell’autonomia regionale sia dell’autonomia delle singole Camere. La stessa legge n. 131 del 2003 (cosiddetta La Loggia) attua diverse norme del Titolo V che non richiedono espressamente norme attuative, ma ciò si verifica anche in altri settori dell’ordinamento: si veda, ad esempio, la legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), in relazione all’art. 68 Cost.
Né l’adozione di una legge attuativa può dirsi preclusa dal fatto che l’art. 116, terzo comma, Cost. prevede una fonte rinforzata. La già citata sentenza n. 52 del 2016, relativa all’art. 8, terzo comma, Cost., dà atto della possibilità che il legislatore decida, «nella sua discrezionalità, di introdurre una compiuta regolazione del procedimento di stipulazione delle intese, recante anche parametri oggettivi, idonei a guidare il Governo nella scelta dell’interlocutore».
Legittimamente, dunque, lo Stato ha scelto di approvare una legge generale in materia di autonomia differenziata, allo scopo di guidare gli organi competenti a svolgere il negoziato e di garantire «un più ordinato e coordinato processo di attuazione» dell’art. 116, terzo comma, Cost. (così la relazione illustrativa del disegno di legge A.S. n. 615).
8.– Nel primo gruppo di questioni rientrano anche quelle con cui le ricorrenti censurano diverse disposizioni della legge impugnata in quanto consentirebbero trasferimenti “indiscriminati”, che potrebbero riguardare «tutte le funzioni di tutte le materie» menzionate dall’art. 116, terzo comma, Cost., senza prescrivere alcun collegamento con le caratteristiche specifiche della regione richiedente e, dunque, senza richiedere alcuna motivazione in merito.
Si tratta dei seguenti motivi di ricorso: secondo motivo della Regione Puglia, primo motivo della Regione Toscana, undicesimo motivo della Regione autonoma Sardegna, primo e secondo motivo della Regione Campania. Le disposizioni impugnate sono complessivamente: art. 1, commi 1 e 2; art. 2; art. 3, commi 3 e 4; art. 4. Le ricorrenti evocano numerosi parametri costituzionali: artt. 2, 3, 5, 114, 116, primo e terzo comma, 117, terzo comma, 118, 119, 138 e 139 Cost.; art. 54 dello statuto speciale Sardegna.
8.1.– Le Regioni Piemonte e Lombardia eccepiscono l’inammissibilità dei motivi basati su parametri non di competenza, per difetto di motivazione sulla ridondanza.
L’eccezione non è fondata.
I limiti posti dall’art. 116, terzo comma, Cost. alle leggi di differenziazione concorrono a configurare lo status costituzionale delle regioni “terze”, nel senso che la violazione di quei limiti, traducendosi in uno speciale regime favorevole per una determinata regione, viola di per sé la par condicio fra regioni, ed è innegabile che il principio di pari trattamento fra regioni compone la loro posizione costituzionale, rivendicabile contro le leggi statali che lo violino. Dunque, da un lato, le regioni “terze” potranno reagire contro leggi statali che rafforzino l’autonomia di una determinata regione oltre quanto consentito dall’art. 116, terzo comma, Cost. (supra, punto 4.3.), dall’altro le regioni sono legittimate a contestare anche la legge generale in esame, se ritengono che essa indirizzi l’attuazione del regionalismo differenziato in modo da superare i confini posti dalla suddetta norma costituzionale. Tale legittimazione risulta dal combinato disposto degli artt. 5, 114, secondo comma, e 116, terzo comma, Cost.
8.2.– Vanno invece dichiarate inammissibili le seguenti questioni.
In relazione al ricorso della Regione Puglia, la questione promossa in riferimento all’art. 3 Cost. è inammissibile per difetto di motivazione (ex multis, sentenze n. 133 e n. 95 del 2024), perché il ricorso si limita a menzionare il principio di ragionevolezza, senza argomentare. Quella riferita all’art. 117, terzo comma, Cost. è inammissibile perché sostanzialmente assente nella delibera della Giunta (da ultimo, sentenze n. 126 del 2024, n. 223, n. 163, n. 134, n. 124 e n. 75 del 2023), che richiama l’art. 117 Cost. in modo generico, senza precisare il comma evocato e senza argomentare. La questione riferita all’art. 119 Cost. è inammissibile per assenza di motivazione.
Quanto alle questioni promosse dalla Regione Toscana, quella relativa all’intera legge è inammissibile per incongruenza tra motivazione e oggetto dell’impugnazione, nel senso che la Regione censura l’intera legge, ma i motivi attengono solo alle norme relative al trasferimento delle funzioni, che rappresentano una parte minore della legge. Le questioni promosse in riferimento al principio di unità e all’art. 138 Cost. sono inammissibili in quanto assenti nella delibera della Giunta. Questa menziona l’art. 5 Cost., ma in collegamento con l’art. 120 Cost. e censura il mancato coinvolgimento delle regioni nel procedimento legislativo: pertanto, è da ritenere che l’art. 5 Cost. sia stato richiamato nella delibera solo quale fondamento del principio di leale collaborazione.
Quanto alle questioni promosse dalla Regione Campania, quella relativa all’intera legge è inammissibile per le ragioni appena esposte in relazione alla Regione Toscana. Le questioni promosse nel secondo motivo per violazione dei principi di leale collaborazione e solidaristico risultano assenti nella delibera della Giunta, con conseguente inammissibilità.
8.3.– Le altre questioni possono essere esaminate nel merito.
In primo luogo, il presupposto interpretativo da cui muovono le ricorrenti risulta corretto, nel senso che gli artt. 1, comma 2, 2, commi 1 e 2, e 4 della legge impugnata, distinguendo più volte «materie o ambiti di materie», alludono a un trasferimento anche di tutte le funzioni (amministrative e/o legislative) rientranti in una materia, e tale trasferimento potrebbe essere chiesto da una regione in molte materie, dato il contenuto dell’art. 2, comma 1 (in base al quale «il negoziato […], con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 3, è svolto per ciascuna singola materia o ambito di materia»), dal quale risulta che nelle materie “no-LEP” il negoziato può riguardare più materie contemporaneamente, e dell’art. 2, comma 2, secondo il quale «[l]’atto o gli atti di iniziativa di ciascuna Regione possono concernere una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni». Inoltre, la legge non prescrive che le richieste di intesa siano giustificate in relazione alla situazione della regione richiedente. Tale interpretazione è avvalorata dai lavori della 1ª Commissione del Senato, Affari costituzionali, nel corso dei quali sono stati respinti numerosi emendamenti che miravano a consentire solo richieste di differenziazioni che fossero puntuali, cioè riferite a singole funzioni e non ad intere materie, e motivate.
8.4.– Le questioni sollevate in riferimento all’art. 116, terzo comma, Cost. sono fondate.
Come illustrato nel punto 4, l’art. 116, terzo comma, Cost., richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà. La ripartizione delle funzioni deve corrispondere al modo migliore per realizzare i principi costituzionali. L’adeguatezza dell’attribuzione della funzione ad un determinato livello territoriale di governo va valutata con riguardo ai criteri di efficacia ed efficienza, di equità e di responsabilità dell’autorità pubblica.
Per le ragioni sopra esposte, dunque, le disposizioni impugnate vanno dichiarate costituzionalmente illegittime là dove alludono a un trasferimento anche di tutte le funzioni (amministrative e/o legislative) rientranti in una materia, senza prescrivere che le richieste di intesa siano giustificate in relazione alla situazione della regione richiedente.
In particolare, va dichiarata: a) l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2 della legge n. 86 del 2024, nella parte in cui prevede «[l]attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […]» anziché «[l]attribuzione di specifiche funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […]»; b) l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, terzo periodo, nella parte in cui stabilisce che il negoziato, «con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 3, è svolto per ciascuna singola materia o ambito di materia», anziché stabilire che il negoziato, «con riguardo a specifiche funzioni riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 3, è svolto con riferimento a ciascuna funzione o gruppo di funzioni»; c) l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2; d) l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, nella parte in cui prevede che «i LEP sono determinati nelle materie o negli ambiti di materie seguenti», anziché «i LEP sono determinati per le specifiche funzioni concernenti le materie seguenti»; e) l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, primo periodo, nella parte in cui menziona «materie o ambiti di materie riferibili ai LEP» anziché «specifiche funzioni riferibili ai LEP».
Inoltre, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, primo periodo nella parte in cui non prescrive che l’iniziativa regionale sia giustificata alla luce del principio di sussidiarietà.
Le altre questioni restano assorbite, comprese quelle proposte contro l’art. 2, comma 2, dalla Regione autonoma Sardegna, per violazione del principio di leale collaborazione, e dalla Regione Puglia nel motivo n. 9.
9.– Il secondo gruppo di questioni concerne il tema delle fonti del diritto.
Tutte le regioni impugnano l’art. 3, comma 1, della legge n. 86 del 2024, che reca una delega al Governo per la determinazione dei LEP ai fini dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., rinviando ai «princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197». Le norme richiamate sarebbero insufficienti a guidare il Governo nell’esercizio del potere legislativo delegato; si tratterebbe, cioè, di una delega “in bianco”. Si tratta dei seguenti motivi di ricorso: quarto motivo della Regione Puglia, quinto motivo della Regione Toscana, ottavo motivo della Regione Campania, dodicesimo motivo della Regione autonoma Sardegna, (punti 2.4., 3.5., 4.8. e 5.12. del Ritenuto in fatto).
La Regione Puglia impugna anche l’art. 3, comma 4, in quanto recherebbe una delega “in bianco” per la definizione delle procedure e delle modalità operative per monitorare l’effettiva garanzia in ciascuna regione dell’erogazione dei LEP.
9.1.– Sotto il profilo processuale, la Regione Piemonte eccepisce l’inammissibilità delle questioni promosse dalla Regione Campania ai sensi degli artt. 116, terzo comma, e 119 Cost., per insufficienza della motivazione.
L’eccezione è fondata. La Regione Campania sottolinea la «centralità che l’individuazione dei LEP assume nel procedimento per l’attribuzione delle ulteriori condizioni e forme di autonomia», ma restano oscure le ragioni per le quali una determinazione governativa priva di un’idonea guida parlamentare si tradurrebbe in violazione degli artt. 116, terzo comma, e 119 Cost. Per le stesse ragioni, sono inammissibili le analoghe questioni promosse dalla Regione Toscana.
La Regione Lombardia eccepisce l’inammissibilità della questione promossa in riferimento all’art. 76 Cost., per difetto di motivazione sulla ridondanza.
L’eccezione non è fondata. La motivazione dei ricorsi sul punto risulta sufficiente: essi evidenziano che, dato il carattere trasversale della materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., l’illegittimo conferimento di potere al Governo inciderebbe sulle competenze regionali.
9.2.– Nel merito, la questione promossa con riferimento all’art. 76 Cost. è fondata.
La determinazione dei principi e criteri direttivi «ben può avvenire per relationem, con riferimento ad altri atti normativi, purché sufficientemente specifici» (sentenza n. 156 del 1987): occorre, pertanto, verificare l’idoneità, sotto questo profilo, delle norme richiamate dall’impugnato art. 3, comma 1, cioè dei commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022.
Tali disposizioni regolano una procedura di determinazione dei LEP (ai fini dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.) che culmina in uno o più d.P.C.m., previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sulla base di un’intesa con la Conferenza unificata (comma 796). Nella procedura intervengono anche la Cabina di regia per la determinazione dei LEP, che è un organo politico (comma 792), e la Commissione tecnica per i fabbisogni standard (comma 793).
Il comma 791 fornisce una definizione di LEP e indica alcune finalità da perseguire con la determinazione degli stessi LEP («pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni», «assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali», «favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza»). Tali finalità si rivelano alquanto generiche e inidonee a guidare il potere legislativo delegato, tanto che risulta difficile immaginare che possano fungere da parametro in un eventuale sindacato sui futuri decreti legislativi per eccesso di delega. D’altro canto, le norme procedurali dettate dai commi 792 e seguenti non sono sufficienti per soddisfare lo standard dell’art. 76 Cost., dato che questa norma costituzionale esige che il potere governativo sia guidato dalle Camere.
È da sottolineare, a tal proposito, che i LEP implicano una delicata scelta politica, perché si tratta – fondamentalmente – di bilanciare uguaglianza dei privati e autonomia regionale, diritti e esigenze finanziarie e anche i diversi diritti fra loro. Si tratta, in definitiva, di decidere i livelli delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali, con le risorse necessarie per garantire uno standard uniforme delle stesse prestazioni in tutto il territorio nazionale.
Il vizio alla base dell’art. 3, comma 1, sta nella pretesa di dettare contemporaneamente criteri direttivi – per relationem – con riferimento a numerose e variegate materie. Poiché ogni materia ha le sue peculiarità e richiede distinte valutazioni e delicati bilanciamenti, una determinazione plurisettoriale di criteri direttivi per la fissazione dei LEP, che non moduli tali criteri in relazione ai diversi settori, risulta inevitabilmente destinata alla genericità. Del resto, fino alla legge n. 197 del 2022 la determinazione dei LEP è stata compiuta in modo distinto per ciascuna materia: si vedano i LEA in materia sanitaria (da ultimo, d.P.C.m. 12 gennaio 2017, recante «Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502»), i LEP in materia di servizi sociali (art. 22 della legge 8 novembre 2000, n. 328, recante «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» e art. 1, commi 159 e seguenti, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024»), i LEP in materia di istruzione e formazione professionale (artt. 15 e seguenti del decreto legislativo 7 ottobre2005, n. 226, recante «Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell'articolo 2 della L. 28 marzo 2003, n. 53»).
L’art. 3, comma 1, della legge n. 86 del 2024, dunque, è costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 76 Cost. (sentenze n. 280 del 2004 e n. 47 del 1959). Tale vizio si riflette in lesione delle competenze costituzionali delle ricorrenti, perché il conferimento di un potere legislativo delegato illegittimo per insufficienza di criteri direttivi delinea un quadro illegittimo dell’azione regionale, dato che i LEP intersecano numerose materie regionali.
Le altre questioni relative all’art. 3, comma 1, restano assorbite.
La determinazione dei LEP dovrà dunque avvenire (anche con l’ausilio del lavoro svolto dal Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei LEP, istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2023) nel rispetto dei principi costituzionali, quali richiamati dalla presente sentenza.
9.3.– La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, determina l’inapplicabilità dell’art. 3, commi 2 (che regola il procedimento di adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1), 4 (che affida ai decreti di cui al comma 1 la disciplina del monitoraggio sulla garanzia dell’erogazione dei LEP), 5 e 6 (riguardanti adempimenti successivi allo stesso monitoraggio). Occorre quindi dichiararne l’illegittimità costituzionale in via consequenziale, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, poiché, essendo essi strettamente connessi a quello caducato, sono divenuti inapplicabili (sentenze n. 113 del 2023 e n. 193 del 2022).
Ciò determina l’assorbimento delle questioni proposte dalle ricorrenti in relazione all’art. 3, commi 2, 4 e 5 (per violazione del principio di leale collaborazione), e di quella avente ad oggetto l’art. 3, comma 4, proposta dalla Regione Puglia per violazione dell’art. 76 Cost.
10.– Tutte le Regioni impugnano l’art. 2, comma 6, della legge n. 86 del 2024, in base al quale, «[c]on lo schema di intesa definitivo, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, delibera un disegno di legge di approvazione dell’intesa, che vi è allegata». Le ricorrenti ritengono che tale norma intenda riservare l’iniziativa legislativa (relativa alla legge “di differenziazione”) al Governo, mentre l’art. 116, terzo comma, Cost., menzionando l’iniziativa regionale, farebbe riferimento ad un’iniziativa legislativa in senso proprio. Sono evocati anche gli artt. 71 e 121, secondo comma, Cost.
Le questioni non sono fondate, per erroneità di entrambi i presupposti interpretativi, nei termini di seguito illustrati.
In base all’art. 71, primo comma, Cost., «[l]’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale». Fra questi organi rientrano i consigli regionali (art. 121, secondo comma, Cost.), la cui iniziativa legislativa può riguardare anche leggi statali rinforzate e leggi costituzionali (sentenze n. 496 del 2000 e n. 470 del 1992). Talora la Costituzione riserva espressamente l’iniziativa legislativa al Governo (artt. 81, quarto comma, e 77, secondo comma, Cost.).
Alla legge ordinaria è precluso sia prevedere ulteriori organi o soggetti titolari di iniziativa legislativa sia istituire nuovi casi di riserva di iniziativa legislativa in capo al Governo. Pertanto, se l’art. 2, comma 6, della legge n. 86 del 2024 intendesse riservare al Governo l’iniziativa delle leggi di differenziazione, esso sarebbe costituzionalmente illegittimo.
Come noto, però, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali. Occorre dunque verificare se sia possibile interpretare l’art. 2, comma 6, in senso conforme a Costituzione, in base alla sua lettera e alla sua ratio.
Tale interpretazione è possibile (e, dunque, doverosa). L’art. 2, comma 6, deve essere letto in collegamento con l’art. 1, comma 571, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», in base al quale «il Governo si attiva sulle iniziative delle regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai fini dell’intesa ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione nel termine di sessanta giorni dal ricevimento». Alla disposizione impugnata va attribuito lo scopo di garantire la prosecuzione della procedura ad opera del Governo, senza però precludere che, in caso di inerzia governativa, l’iniziativa legislativa sia assunta dal Consiglio regionale ai sensi dell’art. 121, secondo comma, Cost.
Quanto al secondo presupposto interpretativo, l’art. 116, terzo comma, Cost. non va inteso nel senso di prevedere una riserva di iniziativa legislativa in capo alla regione interessata. Esso si riferisce ad un’iniziativa politico-amministrativa, non all’iniziativa legislativa in senso tecnico. Lo scopo della norma costituzionale è quello di stabilire che la procedura di conferimento delle ulteriori forme di autonomia dev’essere avviata dallo stesso soggetto interessato. Sotto questo profilo, l’«iniziativa» di cui all’art. 116, terzo comma, Cost. risulta assimilabile a quella dei comuni di cui all’art. 133, primo comma, Cost. (su entrambi i profili qui esaminati si veda anche il Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sull’attuazione del regionalismo differenziato, del 12 luglio 2022, svolta dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali).
11.– Le Regioni Toscana e Campania impugnano anche l’art. 2, comma 8, in base al quale «[i]l disegno di legge di cui al comma 6, cui è allegata l’intesa, è immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione». Tale norma sarebbe costituzionalmente illegittima perché fa riferimento a una «deliberazione» delle Camere, che corrisponderebbe alla semplice approvazione finale dell’intesa (“prendere o lasciare”), mentre l’art. 116, terzo comma, Cost. presupporrebbe un ordinario iter legislativo, comprendente il potere di emendamento. Oltre a tale norma costituzionale, sono invocati gli artt. 5, 70 e 72 Cost.
11.1.– La Regione Piemonte eccepisce l’inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla ridondanza, in quanto le ricorrenti agirebbero, in sostanza, a difesa del ruolo delle Camere.
L’eccezione non è fondata. Come già detto, i limiti posti dall’art. 116, terzo comma, Cost. alle leggi speciali di differenziazione concorrono a configurare lo status costituzionale delle regioni “terze”. La necessaria approvazione delle Camere, luogo del pluralismo politico, a maggioranza assoluta, rappresenta indubbiamente una garanzia non solo per le esigenze unitarie ma anche per le regioni terze, contro possibili scelte arbitrarie volte a creare uno speciale regime favorevole per una determinata regione, in violazione del principio di pari trattamento fra regioni. Dunque, le regioni sono legittimate a contestare la legge generale in esame, se ritengono che essa indirizzi l’attuazione del regionalismo differenziato in modo da superare i confini posti dalla suddetta norma costituzionale.
11.2.– Nel merito, la questione non è fondata, nei termini di seguito illustrati.
L’art. 2, comma 8, prevede che il disegno di legge sia «trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione».
Occorre, quindi, in primo luogo chiarire il significato dell’ultimo periodo di tale disposizione costituzionale («La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata»), che non è stata finora integrata dai regolamenti parlamentari (i quali non disciplinano neppure la procedura di approvazione della legge prevista dall’art. 8, terzo comma, Cost.).
Se la lettera dell’ultimo periodo dell’art. 116, terzo comma, Cost. non è univoca, la ratio di tale disposizione, inserita nel sistema costituzionale, conduce ad escludere che essa intenda attribuire alle Camere un potere di mera approvazione o rifiuto dell’intesa (“prendere o lasciare”), precludendo la possibilità di introdurre emendamenti. La legge di differenziazione è abilitata a derogare al riparto costituzionale di competenza, privando le Camere del loro ordinario potere legislativo, con riferimento ad una determinata regione e a determinate funzioni. Inoltre, la stessa legge è deputata a disciplinare il finanziamento delle funzioni trasferite, incidendo quindi sul cuore delle competenze parlamentari, cioè sulla gestione delle risorse pubbliche. Dunque, in assenza di chiari elementi testuali in senso contrario, l’art. 116, terzo comma, Cost. va inteso nel senso di non prevedere una legge di mera approvazione dell’intesa. L’interpretazione alternativa, da un lato, svuoterebbe il ruolo delle Camere (non garantito a sufficienza dall’informativa e dagli atti di indirizzo previsti dall’art. 2, commi 1 e 4, della legge impugnata), dall’altro irrigidirebbe il procedimento di differenziazione, che potrebbe chiudersi solo con l’approvazione o la bocciatura dell’intesa.
Naturalmente, essendo la legge di differenziazione caratterizzata da una “condizionalità” derivante dall’intesa, qualora le Camere intendano apportare modifiche sostanziali all’accordo concluso, esso dovrà essere rinegoziato tra il Governo e la regione richiedente, il cui consenso è elemento essenziale della procedura.
Così precisato il contenuto dell’art. 116, terzo comma, ultimo periodo, Cost., occorre prendere atto che l’impugnato art. 2, comma 8, può essere inteso in senso conforme a Costituzione, cioè nel senso di rinviare alla deliberazione delle Camere come regolata dalle fonti competenti (cioè, dalla suddetta norma costituzionale e dai regolamenti parlamentari, qualora integrino in futuro l’art. 116, terzo comma, Cost.). L’interpretazione delle Regioni Toscana e Campania non è da accogliere perché renderebbe la disposizione in questione costituzionalmente illegittima sotto un duplice profilo: per contrasto con l’art. 116, terzo comma, Cost., inteso nei termini sopra esposti, e per disciplina di un oggetto (il procedimento legislativo) spettante alla Costituzione e ai regolamenti parlamentari.
11.3.– La Regione Toscana impugna anche l’art. 2, comma 5, secondo il quale il Presidente del Consiglio dei ministri può non conformarsi, fornendo adeguata motivazione, agli atti di indirizzo adottati dagli organi parlamentari sullo schema di intesa preliminare. Tale norma violerebbe l’art. 116, terzo comma, Cost., prevedendo un «ruolo marginale» delle Camere, «a tutto vantaggio del Governo».
La questione non è fondata. L’art. 116, terzo comma, Cost. è chiaro nell’affidare alle Camere un ruolo centrale nella fase finale del procedimento e, per le ragioni appena esposte, questo ruolo si traduce in un potere legislativo pieno, non di mera approvazione. Dalla norma costituzionale non si ricava affatto che le Camere debbano avere un ruolo centrale, da esercitare tramite pareri vincolanti, anche nella fase precedente l’intesa definitiva. La disciplina di questo segmento della procedura rientra nella discrezionalità del legislatore. Peraltro, la stessa norma impugnata prevede che il Presidente del Consiglio, «ove ritenga di non conformarsi in tutto o in parte agli atti di indirizzo di cui al comma 4, riferisce alle Camere con apposita relazione, nella quale fornisce adeguata motivazione della scelta effettuata».
12.– La Regione Puglia impugna, con il decimo motivo, l’art. 7, commi 3 e 5. In base alla prima disposizione, «[c]iascuna intesa individua, in un apposito allegato, le disposizioni di legge statale che cessano di avere efficacia, nel territorio regionale, con l’entrata in vigore delle leggi regionali attuative dell’intesa».
Tale norma violerebbe: a) l’art. 117, primo comma, Cost., perché lascerebbe «alla mera contrattazione tra Governo e Regione interessata l’individuazione delle leggi da indicare nell’elenco», sicché si consentirebbe alla singola intesa, «ad esempio, di determinare la cessazione dell’efficacia di norme statali attuative di obblighi eurounitari o internazionali»; b) il principio di ragionevolezza, perché la norma impugnata non chiarirebbe «se siamo di fronte a un fenomeno di abrogazione della legge statale (limitata, peraltro, a una porzione di territorio), oppure a una sua deroga o sospensione»; c) il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e il principio della soggezione del giudice alla sola legge (art. 101 Cost.), perché dichiarare l’abrogazione spetterebbe solo all’interprete, in particolare al giudice; d) gli artt. 5, 116, 117 e 120 Cost., perché il fatto che l’intesa regoli «la forza prescrittiva della legislazione statale» equivarrebbe a stabilire che «l’intesa possa interferire anche col rapporto tra legge statale e leggi delle altre Regioni che non hanno chiesto (o avuto accesso a) l’autonomia particolare».
12.1.– Tali questioni non sono fondate.
Quanto all’asserita violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., la norma impugnata non si occupa per nulla dell’attuazione degli obblighi europei e internazionali. Le future leggi di differenziazione, che diano seguito all’impugnato art. 7, comma 3, potranno essere sindacate sotto questo profilo. Peraltro, occorre ricordare che le regioni non sono escluse dall’attuazione delle direttive europee e degli accordi internazionali, ai sensi dell’art. 117, quinto comma, Cost. («Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza»), come integrato dagli artt. 40 e 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), e dall’art. 6, comma 1, della legge n. 131 del 2003.
Quanto alla censura sub b), non può certo essere considerata irragionevole una legge per non aver inquadrato dal punto di vista dogmatico la cessazione di efficacia parziale (nel territorio di una regione) di una legge statale per effetto dell’entrata in vigore di una legge regionale successiva. La qualificazione di tale rapporto, in assenza di indicazioni legislative, resta affidata alla dottrina e alla giurisprudenza.
Quanto alla censura sub c), formulata per il caso in cui la norma impugnata preveda un’abrogazione parziale, occorre rilevare che l’abrogazione espressa, disposta dalla legge di differenziazione (che segue l’intesa), lungi dal violare l’art. 3 Cost., favorisce la certezza del diritto e di certo non si pone in contrasto con l’art. 101 Cost. che, sancendo la soggezione del giudice alla legge, non può ritenersi violato da un’abrogazione stabilita dal legislatore.
La censura sub d) non è fondata perché l’art. 7, comma 3, si riferisce chiaramente ad una cessazione di efficacia nel solo territorio della regione “differenziata”, non nelle altre regioni.
12.2.– L’altra disposizione impugnata (art. 7, comma 5) stabilisce che «[l]e disposizioni statali successive alla data di entrata in vigore delle leggi di approvazione di intese osservano le competenze legislative e l’assegnazione delle funzioni amministrative nonché le ulteriori disposizioni contenute nelle intese».
Secondo la ricorrente, il comma 5, presupponendo che le intese «possano addirittura incidere nell’applicabilità delle norme statali pro futuro, anche in pregiudizio delle altre Regioni», violerebbe gli artt. 116, terzo comma, e 117, terzo e quarto comma, Cost.
La questione non è fondata. La norma impugnata non interferisce affatto sull’applicabilità delle leggi statali nelle altre regioni. Essa si limita a ribadire quanto risulta già dall’art. 116, terzo comma, Cost., cioè che leggi statali ordinarie successive alla legge di differenziazione devono rispettare tale legge, che è dotata di forza passiva peculiare, nel senso che il conferimento della maggiore autonomia non è “ritrattabile” unilateralmente dallo Stato con una successiva legge ordinaria (salva la disciplina contenuta nella stessa intesa in ordine alla sua efficacia e salva la possibilità di approvare una legge costituzionale). L’art. 7, comma 5, dunque, non riguarda l’«applicabilità» delle leggi statali (ma la loro validità) e si riferisce solo alle regioni “differenziate”.
13.– Tutte e quattro le ricorrenti impugnano l’art. 3, comma 7, in quanto affida l’aggiornamento dei LEP ad un d.P.C.m., su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e il Ministro dell’economia e delle finanze. Il comma 7 dispone che i decreti siano adottati previo parere della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. L’aggiornamento dei LEP è previsto «anche al fine di tenere conto della necessità di adeguamenti tecnici prodotta dal mutamento del contesto socioeconomico o dall’evoluzione della tecnologia».
Le ricorrenti invocano: a) il principio di legalità sostanziale (artt. 23, 97 e 113 Cost.), in quanto la norma impugnata conferirebbe «all’Esecutivo un potere discrezionale privo di qualsivoglia delimitazione per legge», e l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., che affida alla legge statale la determinazione dei LEP; b) l’art. 3 Cost., per contraddittorietà rispetto all’art. 3, comma 1, che reca una delega legislativa; c) gli artt. 74, 75, 87, quinto comma, e 127 Cost., dal momento che la determinazione dei LEP a mezzo di d.P.C.m. eluderebbe le garanzie e i controlli costituzionalmente previsti in relazione agli atti con forza di legge.
La Regione Campania e la Regione autonoma Sardegna impugnano anche l’art. 3, comma 9, della legge, in base al quale, «[n]elle more dell’entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al presente articolo, ai fini della determinazione dei LEP, continua ad applicarsi l’articolo 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197».
13.1.– La Regione Lombardia eccepisce l’inammissibilità del motivo proposto dalla Regione Campania, per difetto di motivazione sulla ridondanza.
L’eccezione non è fondata. La Regione Campania motiva specificamente sul punto, rilevando, da un lato, che la legge statale è sintesi degli interessi della comunità nazionale, e dunque anche delle autonomie territoriali; dall’altro, che la competenza ad aggiornare i LEP incide sulle competenze regionali, dato il carattere trasversale della materia.
È invece inammissibile la questione promossa dalla Regione Puglia in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., non comparendo tale norma costituzionale fra i parametri evocati nella delibera di Giunta.
13.2.– Nel merito, questa Corte, avvalendosi della facoltà di decidere l’ordine delle questioni da affrontare (sentenze n. 190 del 2023 e n. 120 del 2022), ritiene di dover esaminare in primis la questione relativa all’art. 3 Cost. (irragionevolezza dell’art. 3, comma 7, per contraddittorietà rispetto all’art. 3, comma 1).
Essa è fondata.
L’art. 3, comma 1 (scrutinato nel punto 9.2.), conferisce una delega legislativa per la determinazione dei LEP. L’art. 3, comma 7, prevede che questi futuri decreti legislativi possano essere successivamente modificati con un atto sub-legislativo, cioè con un d.P.C.m. Tale meccanismo risulta intrinsecamente contraddittorio e dissonante rispetto al sistema costituzionale delle fonti. Esso si distingue da quello della delegificazione (come notato nel parere del Comitato per la legislazione, che ha chiesto alla Commissione di merito della Camera di valutare l’opportunità di una riformulazione della disposizione) per un profilo essenziale: mentre l’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), prevede che la legge di delegificazione disponga l’abrogazione di norme legislative previgenti, a decorrere dall’entrata in vigore del regolamento di delegificazione, la norma in esame prevede la modifica di un atto legislativo futuro ad opera di un atto sostanzialmente regolamentare (il d.P.C.m.). L’art. 3, comma 7, non può disporre della forza dei decreti legislativi di determinazione dei LEP, perché essi ancora non esistono. Dunque, la norma impugnata configura il d.P.C.m. come una fonte primaria, essendo esso abilitato a modificare un decreto legislativo per forza propria. L’art. 3, comma 7, prevedendo contraddittoriamente che un futuro atto avente forza di legge possa essere modificato con un atto sub-legislativo, viola l’art. 3 Cost. Tale vizio si riflette in lesione delle competenze costituzionali delle ricorrenti, perché (analogamente a quanto rilevato per l’art. 3, comma 1) l’art. 3, comma 7, delinea un quadro illegittimo dell’azione regionale, dato che i LEP intersecano numerose materie regionali.
Ad abundantiam, si può rilevare che la norma impugnata finisce anche per porsi in contrasto, da un lato, con il principio secondo il quale una fonte primaria non può creare una fonte con sé concorrenziale (sentenze n. 198 del 2021 e n. 361 del 2010), dall’altro con l’art. 76 Cost., perché, attribuendo al Presidente del Consiglio il potere di aggiornare i LEP fissati con decreto legislativo, in sostanza conferisce un’altra delega ad un organo diverso dall’unico cui la delega legislativa può essere data (il Governo nella sua interezza), in base all’art. 76 Cost.
Le altre questioni relative all’art. 3, comma 7 (comprese quelle proposte per violazione del principio di leale collaborazione), restano assorbite.
13.3.– Anche la questione relativa all’art. 3, comma 9, promossa dalla Regione Campania per violazione dell’art. 3 Cost. (contraddittorietà dell’art. 3, comma 9, rispetto all’art. 3, comma 1), è fondata.
La norma impugnata tiene ferma la procedura di determinazione dei LEP con d.P.C.m. prevista dalla legge n. 197 del 2022, determinando una anomala convivenza tra il percorso di cui all’art. 3, comma 1, e quello previsto nel 2022. La scelta “a regime”, compiuta dall’art. 3, comma 1, è nel senso della determinazione dei LEP con decreto legislativo, ma lo stesso art. 3 dispone che continua ad applicarsi la procedura introdotta nel 2022, che prevede la loro determinazione con d.P.C.m. ed è soggetta, fra l’altro, a un termine finale più ravvicinato (art. 1, comma 795, della legge n. 197 del 2022) rispetto a quello fissato alla delega legislativa (luglio 2026).
L’accoglimento della questione relativa all’art. 3, comma 9, determina l’illegittimità costituzionale in via consequenziale, sopravvenuta a partire dall’entrata in vigore della legge n. 86 del 2024, delle norme la cui applicazione è tenuta ferma, cioè dei commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022. Resta fermo il lavoro istruttorio e ricognitivo compiuto sulla base di tali norme.
L’accoglimento della questione relativa all’art. 3, comma 9, determina l’illegittimità costituzionale in via consequenziale, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, anche dell’art. 3, comma 10 (strettamente connesso al comma 9), che fa «salva la determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, svolta ai sensi dell’articolo 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al presente articolo».
Infine, va dichiarata l’illegittimità costituzionale consequenziale anche dell’art. 3, comma 8, in relazione all’inciso «secondo le modalità di cui all’articolo 1, commi 793 e 796, della legge 29 dicembre 2022, n. 197,». Una volta venuta meno l’applicabilità dei commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022, risulta incongrua la previsione che la Commissione tecnica per i fabbisogni standard (istituita dall’art. 1, comma 29, della legge n. 208 del 2015) debba rispettare la procedura delineata da quelle norme legislative.
14.– Vanno ora esaminate le questioni relative ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
L’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Come già detto (punto 9.2.), si tratta di un potere attribuito dalla Costituzione allo Stato al fine di conciliare l’uguaglianza delle persone con l’autonomia degli enti territoriali, che nel 2001 risultava accresciuta (sentenze n. 282 del 2002 e n. 88 del 2003). Il legislatore statale ha il compito di garantire uno standard uniforme delle prestazioni relative ai diritti in tutta Italia, tenendo conto delle risorse disponibili.
Dai lavori preparatori della legge cost. n. 3 del 2001 risulta che l’inciso «livelli minimi di garanzia» (contenuto nel testo unificato della I Commissione della Camera) fu sostituito dall’Aula con la formula attuale («livelli essenziali delle prestazioni»), proprio per assicurare «uniformità dei diritti fondamentali in tutto il paese» (seduta n. 774 del 20 settembre 2000). Lo scopo era assicurare, se possibile, uno standard di tutela superiore al nucleo minimo del diritto, in collegamento (per quel che riguarda i diritti sociali) con l’art. 3, secondo comma, Cost., che affida alla Repubblica il compito – di più ampio respiro rispetto all’erogazione delle prestazioni minime – di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Che l’orizzonte concettuale dei LEP sia l’eguaglianza e non il nucleo minimo del diritto risulta anche dall’art. 120, secondo comma, Cost., nell’ambito del quale la garanzia dei LEP rientra nella «tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica».
Occorre, però, precisare che, una volta che siano determinati dal legislatore statale, i LEP rappresentano una soglia vincolante che dev’essere rispettata dalle autonomie territoriali. Coerentemente, la determinazione dei LEP implica che gli enti territoriali dispongano delle necessarie risorse, attraverso i canali previsti dall’art. 119 Cost.: dunque, anche attraverso il fondo perequativo (artt. 8, comma 1, lettera g, e 9 della legge n. 42 del 2009; art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011).
In sintesi, il nucleo minimo del diritto è un limite derivante dalla Costituzione e va garantito da questa Corte, anche nei confronti della legge statale, a prescindere da considerazioni di ordine finanziario: «[è] la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 275 del 2016; si vedano anche, ad esempio, le sentenze n. 152 del 2020, in materia di pensione di inabilità, e n. 309 del 1999, in materia di assistenza sanitaria all’estero). Invece, i LEP sono un vincolo posto dal legislatore statale, tenendo conto delle risorse disponibili, e rivolto essenzialmente al legislatore regionale e alla pubblica amministrazione; la loro determinazione origina, poi, il dovere dello stesso Stato di garantirne il finanziamento.
La distinzione tra LEP e nucleo minimo del diritto consente di non svuotare di senso la competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.: infatti, se i due concetti coincidessero, tale norma attribuirebbe al legislatore statale il mero compito di esplicitare un vincolo già derivante dalle norme costituzionali sui diritti.
14.1.– In linea generale, i LEP rappresentano – come detto – il frutto di un bilanciamento, da operare tenendo conto delle risorse disponibili. Perciò, questa Corte ha sottolineato «la discrezionalità politica del legislatore nella determinazione – secondo canoni di ragionevolezza – dei livelli essenziali» (sentenza n. 169 del 2017).
La legge impugnata ha subordinato il conferimento delle forme particolari di autonomia, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., alla determinazione dei relativi LEP e costi standard (art. 1, comma 2, e art. 4, comma 1); essa ha così ribadito la scelta già compiuta dall’art. 1, comma 791, della legge n. 197 del 2022 (salva l’esclusione delle cosiddette materie “no-LEP”, non menzionate dall’art. 3, comma 3, della legge impugnata: punto 15.2.).
L’interpretazione sistematica delle disposizioni costituzionali pertinenti (artt. 116, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera m, Cost.), lette alla luce dei principi di solidarietà, di eguaglianza sostanziale e di unità (artt. 2, 3, secondo comma, e 5 Cost.), fa sì che, nel momento in cui il legislatore statale conferisce una maggiore autonomia a una determinata regione, con riferimento a una specifica funzione, che implica prestazioni concernenti diritti civili o sociali, debba previamente determinare uno standard uniforme di godimento del relativo diritto in tutto il territorio nazionale, in nome di un principio di solidarietà che questa Corte ha declinato anche nel rapporto fra enti (sentenza n. 355 del 1994). La determinazione dei LEP (e dei relativi costi standard) rappresenta il necessario contrappeso della differenziazione, una “rete di protezione” che salvaguarda condizioni di vita omogenee sul territorio nazionale.
15.– Alla luce di tali considerazioni, si possono esaminare le questioni promosse dalle ricorrenti.
Le Regioni Puglia, Campania e la Regione autonoma Sardegna impugnano le norme che impongono la determinazione dei LEP solo in alcune materie, cioè che introducono la distinzione fra “materie-LEP” e materie “no-LEP”. Le disposizioni impugnate sono gli artt. 1, comma 2; 2, comma 1; 3, comma 3; 4, comma 2, della legge n. 86 del 2024. I parametri invocati sono gli artt. 2 (principio solidaristico), 3 (per l’asserita arbitrarietà nell’individuazione delle materie “no-LEP”), 5 (principio di unità), 81, 97, 116, terzo comma (al quale sarebbe estranea la distinzione di cui sopra), 117, secondo comma, lettera m) (che imporrebbe alla legge statale di determinare i LEP in tutte le materie), 119, 120, secondo comma, Cost.
La Regione Puglia impugna poi l’art. 2, comma 1, in quanto presuppone che le nove materie escluse dalla determinazione dei LEP «possono essere devolute alle Regioni richiedenti non solo immediatamente […] ma persino “in blocco”». La censura è motivata rinviando ai «paragrafi precedenti».
15.1.– L’Avvocatura e la Regione Piemonte eccepiscono l’inammissibilità dei motivi per difetto di legittimazione delle ricorrenti a far valere competenze esclusive statali.
L’eccezione non è fondata perché le tre regioni ricorrenti motivano specificamente sulla ridondanza dei vizi denunciati sulle loro attribuzioni.
L’Avvocatura eccepisce anche, con riferimento alla censura relativa alla mancata individuazione delle risorse da trasferire nelle materie “no-LEP” (contenuta nel ricorso proposto dalla Regione autonoma Sardegna), un difetto di interesse attuale della censura, dato che essa andrebbe rivolta nei confronti delle singole leggi rinforzate. L’obiezione ricalca in sostanza quella già esaminata (nel punto 5.2.) e va dunque respinta per le ragioni ivi esposte.
La questione promossa dalla Regione Puglia in relazione all’art. 2, comma 1, è inammissibile per insufficienza della motivazione, in quanto vengono evocati contemporaneamente numerosi parametri e l’argomentazione consiste in un rinvio «ai paragrafi precedenti», la cui attinenza con la questione del trasferimento “in blocco” risulta oscura.
15.2.– Nel merito, le questioni non sono fondate, nei termini di seguito illustrati.
L’art. 3, comma 3, della legge impugnata stabilisce che la determinazione dei LEP non avvenga in tutte le materie di cui all’art. 116, terzo comma, Cost. ma solo in quelle ivi elencate. Risultano escluse le seguenti materie: «previdenza complementare e integrativa», «professioni», «organizzazione della giustizia di pace», «rapporti internazionali e con l’Unione europea delle regioni», «commercio con l’estero», «protezione civile», «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale», «enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale».
Questa, dunque, è la norma che individua le materie “no-LEP”, cioè che consente di attribuire forme particolari di autonomia, in tali materie, a prescindere dalla previa determinazione dei LEP.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, cioè della necessità di determinare il relativo LEP (e costo standard) qualora si trasferisca una funzione attinente ad un diritto civile o sociale, l’art. 3, comma 3, va interpretato in senso conforme a Costituzione: nel momento in cui il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Se, invece, lo Stato intende accogliere una richiesta regionale relativa a una funzione rientrante in una materia “no-LEP” e incidente su un diritto civile o sociale, occorrerà la previa determinazione del relativo LEP (e costo standard).
Una volta che l’art. 3, comma 3, è fatto oggetto di tale interpretazione costituzionalmente orientata, anche le altre disposizioni vanno esenti da censura.
L’art. 1, comma 2, richiede in via generale la previa determinazione dei LEP nelle materie «riferibili ai diritti civili e sociali»: con il che si ribadisce che, là dove siano individuabili diritti, i LEP vanno determinati prima del trasferimento delle funzioni ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost. Anche l’art. 2, comma 1 (che pure non riguarda la previa determinazione dei LEP), si limita a menzionare «ambiti di materie riferibili» ai LEP, potendo essere inteso in senso conforme a Costituzione. Analogamente può dirsi per l’art. 4, comma 2, che regola il trasferimento delle funzioni nelle materie “no-LEP”.
Dunque, tutte le questioni promosse dalle ricorrenti risultano non fondate, perché le disposizioni impugnate, interpretate nei termini sopra esposti, non rendono possibile il conferimento di funzioni ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., senza previa determinazione del LEP relativo alla funzione trasferita (e del costo standard), se questa attiene a un diritto civile o sociale.
16.– Le Regioni Toscana e Campania impugnano diverse disposizioni della legge n. 86 del 2024 là dove subordinano il conferimento della maggiore autonomia alla mera determinazione dei LEP, senza richiedere la loro concreta garanzia.
Sono censurati gli artt. 1, comma 2; 2, comma 1; 3; 4, commi 1 e 2; 9, comma 2. I parametri invocati sono gli artt. 2, 3, 5, 116, terzo comma, 117, secondo comma, lettera m), e 119 Cost. In sostanza, secondo le ricorrenti gli elementi competitivi fra le regioni potrebbero essere introdotti «soltanto in un contesto di diritto e, soprattutto, di fatto nel quale i livelli essenziali di fruizione dei diritti civili e sociali siano già garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale» (così il ricorso della Regione Campania). Le Regioni rimarcano che l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. dà allo Stato il potere di determinare i LEP «che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
Le questioni non sono fondate.
Come visto, la legge impugnata subordina il conferimento delle forme particolari di autonomia alla determinazione dei LEP (salvo quanto disposto dall’art. 3, comma 3, come sopra interpretato). Tale determinazione fa sorgere un vincolo per il legislatore regionale e per la pubblica amministrazione e il corrispondente diritto di ricevere le necessarie risorse, ai sensi dell’art. 119, quarto comma, Cost.
L’art. 4, comma 1, precisa che, se l’individuazione dei LEP fa sorgere maggiori oneri, si possono trasferire le funzioni «solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese».
L’art. 9, comma 3, garantisce alle regioni terze «il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all’articolo 119, terzo, quinto e sesto comma, della Costituzione»; statuisce che «[l]e intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l’entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni, anche in relazione ad eventuali maggiori risorse destinate all’attuazione dei LEP di cui all’articolo 3»; precisa che è «comunque garantita la perequazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante».
Dunque, anche prescindendo dalle norme dedicate al monitoraggio sulla garanzia dei LEP (art. 3, commi 4 e 5, dichiarati costituzionalmente illegittimi in via consequenziale da questa Corte), la legge impugnata non si limita a richiedere la determinazione dei LEP, ma detta norme ulteriori, volte a far sì che essi non restino “sulla carta”, anche con specifico riferimento alle regioni terze. Resta ferma la possibilità di contestare le future leggi di differenziazione e i futuri atti determinativi dei LEP e del loro finanziamento, in relazione al principio di corrispondenza tra funzioni e risorse di cui all’art. 119, quarto comma, Cost.
Resta, poi, ovviamente ferma la possibilità, per lo Stato, di esercitare il potere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, Cost., previsto anche per la tutela dei LEP e fatto specificamente salvo dall’art. 11, comma 3, della legge impugnata.
17.– Il quarto gruppo di questioni riguarda il tema della leale collaborazione.
Le ricorrenti prospettano la violazione del principio di leale collaborazione lamentando la mancata previsione del coinvolgimento della Conferenza unificata (o della Conferenza Stato-regioni), e in taluni casi della regione interessata o di altre regioni, a partire dalla stessa approvazione della legge n. 86 del 2024 e poi nel corso del procedimento di differenziazione, fino agli svolgimenti successivi che riguardano la proroga, la modifica o la revoca dell’intesa (art. 7) ed il monitoraggio sugli oneri finanziari (art. 8, comma 1).
17.1.– Una prima questione, promossa sull’intera legge n. 86 del 2024 dalla Regione Toscana nel primo motivo di ricorso (punto 1.7.), lamenta che la legge n. 86 del 2024 «nasce […] su iniziativa governativa, senza alcuna consultazione con le Regioni, neppure in sede di Conferenza».
Essa non è fondata. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (per tutte, sentenza n. 237 del 2017), ribadita anche recentemente (sentenze n. 139, n. 130 e n. 63 del 2024), il principio di leale collaborazione non governa il procedimento di approvazione delle leggi statali.
Peraltro, si può rilevare che la Conferenza unificata ha rilasciato, il 2 marzo 2023, un parere sullo schema del disegno di legge in questione.
17.2.– Nell’ottavo motivo di ricorso, la Regione Puglia impugna un gruppo di disposizioni della legge n. 86 del 2024 che non darebbero alcun ruolo alla Conferenza unificata o, al massimo, le riconoscerebbero un ruolo meramente consultivo. Le disposizioni effettivamente impugnate (al di là di quelle indicate nell’epigrafe) sono l’art. 2, commi 4 e 8; l’art. 5; l’art. 7, commi 1, 2 e 4, e l’art. 8, comma 1. La ricorrente reclama un coinvolgimento della Conferenza unificata (o un coinvolgimento più intenso, nella forma dell’intesa), sul presupposto che l’autonomia differenziata, redistribuendo risorse e competenze, avrebbe effetti di carattere generale.
Le questioni relative agli artt. 2, commi 4 e 8; 5; e 7, commi 1 e 2, non sono fondate.
La ricorrente ritiene che la necessità di un raccordo con gli enti locali delle regioni terze derivi direttamente dall’art. 116, terzo comma, Cost. Tale norma condiziona, tuttavia, l’iniziativa della regione interessata alla consultazione degli enti locali, riferendosi chiaramente solo agli enti locali della stessa regione, e non anche a quelli delle altre regioni.
Inoltre, la necessità di un più ampio o più intenso coinvolgimento della Conferenza unificata non può ricondursi neppure al principio di leale collaborazione. L’art. 116, terzo comma, Cost. costruisce il procedimento di differenziazione come un procedimento bilaterale, in cui le istanze d’insieme sono affidate alle Camere con la speciale maggioranza. Esso si limita a richiedere, inoltre, il parere degli enti locali della regione interessata. Dunque, la lettera e la ratio della disposizione costituzionale escludono la necessità di imporre ulteriori aggravamenti procedurali per l’approvazione della legge rinforzata. Il procedimento di differenziazione è un oggetto già “coperto” dalla disciplina costituzionale, che ha fissato un preciso punto di equilibrio.
Peraltro, si può osservare che il legislatore ha scelto di prevedere comunque una partecipazione delle altre autonomie territoriali: la Conferenza Stato-regioni è informata fin dal principio della iniziativa di differenziazione (art. 2, comma 1) e la Conferenza unificata è chiamata ad esprimere un parere sullo schema di intesa preliminare (art. 2, comma 4).
Tali considerazioni implicano la non fondatezza delle censure relative all’art. 2, commi 4 e 8, e all’art. 5.
Con riferimento specifico all’art. 2, comma 8 (impugnato perché non richiede il coinvolgimento della Conferenza unificata in caso di emendamenti parlamentari al disegno di legge di approvazione della intesa), si può aggiungere che la censura investe il procedimento legislativo in senso stretto, per cui vale quanto ricordato nel punto 17.1. sull’inapplicabilità ad esso del canone della leale collaborazione. Inoltre, la richiesta della ricorrente si scontra con la regola secondo cui la legge ordinaria non può regolare il procedimento legislativo, che rientra nella competenza della Costituzione e dei regolamenti parlamentari. Dunque, la legge n. 86 del 2024 non solo non doveva, ma non poteva contemplare il raccordo auspicato dalla ricorrente.
17.3.– Alcune censure della Regione Puglia riguardano la fase successiva alla legge di differenziazione.
La ricorrente contesta l’art. 7, comma 1, per la mancata previsione della iniziativa delle regioni o della Conferenza unificata – o, in subordine, della Conferenza Stato-regioni – per la deliberazione della cessazione integrale o parziale della intesa, e l’art. 7, comma 2 (concernente il rinnovo dell’intesa), per il mancato coinvolgimento della Conferenza unificata.
Tali questioni non sono fondate.
Con riferimento alla cessazione totale o parziale, l’art. 7, comma 1, attribuisce tale decisione allo Stato e precisa che essa è deliberata con legge approvata a maggioranza assoluta. Se la ricorrente intende l’iniziativa delle regioni o della Conferenza nel senso di sollecitazione rivolta al Governo, si tratta di una possibilità che la legge non preclude. Se invece la Regione fa riferimento all’iniziativa legislativa, occorre rilevare che questa è materia coperta dalla riserva di legge costituzionale stabilita dall’art. 71 Cost., ragion per cui la norma impugnata non avrebbe potuto istituire un’iniziativa della Conferenza. Nella misura in cui l’art. 121, secondo comma, Cost. consente la presentazione di un simile progetto di legge ai consigli regionali – ove, in altri termini, singoli consigli regionali possano avere interesse – la disposizione impugnata non rappresenta un ostacolo, non contemplando una riserva di iniziativa governativa.
Quanto al rinnovo dell’intesa alla scadenza decennale, la legge lo costruisce come tacito, sicché il principio di leale collaborazione non può entrare in gioco.
La questione relativa all’art. 7, comma 4, sarà esaminata nel punto 21.
Infine, la questione relativa all’art. 8, comma 1, va dichiarata inammissibile per oscurità della motivazione. La norma regola il monitoraggio sugli oneri finanziari e stabilisce che la Commissione paritetica «fornisce alla Conferenza unificata e alle Camere adeguata informativa degli esiti della valutazione degli oneri finanziari». Secondo la Regione Puglia, non è chiaro cosa debba intendersi per «adeguata» e quali iniziative possa intraprendere la Conferenza a seguito dell’informativa.
In base a tale motivazione, resta oscuro il parametro invocato e anche quale intervento manipolativo sia chiesto a questa Corte.
17.4.– Nell’ultimo punto dell’ottavo motivo, la Regione Puglia censura l’intera legge n. 86 del 2024 perché per diverse materie vi sarebbe «un’inevitabile interconnessione tra singole Regioni, la cui regolazione in termini costituzionalmente corretti» sarebbe impedita dalla legge stessa là dove «non ha previsto la necessità di intese bilaterali (o plurilaterali) tra Regioni».
La questione è inammissibile perché non è chiaro quale sia la norma impugnata e neanche quale sia il parametro. La Regione menziona l’art. 117, ottavo comma, Cost. («La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni»), ma non ne afferma la violazione. Non è neppure chiaro se la ricorrente richieda un’intesa con le regioni confinanti prima della legge di differenziazione o prima delle leggi con cui la regione differenziata eserciterà la propria (più ampia) autonomia.
18.– Le Regioni Toscana (motivo n. 3) e Campania (motivo n. 12) impugnano l’art. 2, comma 8, per violazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., e del principio di leale collaborazione, in quanto non prevede alcun coinvolgimento della regione interessata nella fase di approvazione parlamentare dell’intesa. La regione potrebbe assistere alla mancata approvazione della legge alla cui base c’è l’intesa, senza poter interloquire.
La questione non è fondata.
In primo luogo, come già detto (punto 11.2.), qualora le Camere intendano apportare modifiche sostanziali all’accordo concluso, esso dovrà essere rinegoziato tra il Governo e la regione richiedente, il cui consenso è elemento essenziale della procedura. Tale necessità non è smentita dall’art. 2, comma 8.
Inoltre, l’art. 116, terzo comma, Cost. garantisce l’autonomia regionale con lo strumento dell’intesa e la leale collaborazione non condiziona il procedimento legislativo se non nei casi specificamente previsti.
Infine, la legge ordinaria non può regolare il procedimento legislativo, che è oggetto riservato alla autonomia regolamentare delle Camere dagli artt. 64, primo comma, e 72, primo comma, Cost.
19.– La Regione autonoma Sardegna, nei motivi da 5 a 10, impugna diverse disposizioni contenute nell’art. 2. Tali censure vanno esaminate nel merito, tranne quella proposta come potenziale richiedente (punto 10.2.1. del ricorso), già dichiarata non fondata per le ragioni esposte nel punto 6, e quelle relative all’art. 2, comma 2, già dichiarato costituzionalmente illegittimo.
La ricorrente censura: a) l’art. 2, comma 1, nella parte in cui prevede l’informativa alla Conferenza Stato-regioni prima dell’avvio del negoziato, anziché il parere della Conferenza unificata o, in subordine, il parere della stessa Conferenza Stato-regioni; b) l’art. 2, comma 3, nella parte in cui non prevede, prima dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri dello schema preliminare di intesa, l’acquisizione dell’intesa con la Conferenza unificata (in subordine con la Conferenza permanente) ovvero, in subordine, il parere della Conferenza unificata (in subordine della Conferenza permanente); c) l’art. 2, comma 8, nella parte in cui non prevede l’intesa della Conferenza unificata (in subordine, della Conferenza permanente) sugli emendamenti parlamentari diretti a modificare il contenuto delle intese.
Nessuna di tali questioni è fondata, per le ragioni già esposte nel punto 17.2.
20.– Tutte le ricorrenti impugnano l’art. 3, commi 1, 2 e 7, per violazione del principio di leale collaborazione, in quanto prevedono il mero parere della Conferenza unificata, anziché l’intesa, in relazione ai decreti legislativi e al d.P.C.m. previsti, rispettivamente, per la determinazione e l’aggiornamento dei LEP.
Tali questioni sono state dichiarate assorbite dal momento che l’art. 3, commi 1 e 7, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi da questa Corte (punti 9.2. e 13.2.) e l’art. 3, comma 2, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo in via consequenziale (punto 9.3.).
Nello stesso motivo n. 14, la Regione Campania impugna anche l’art. 2, in quanto non richiede «un adeguato ed effettivo coinvolgimento» delle altre regioni, nel procedimento di stipula dell’intesa, per violazione del principio di solidarietà (art. 2 Cost.), del principio di leale collaborazione e dell’art. 114 Cost.
Tali questioni sono inammissibili in quanto assenti nella delibera della Giunta autorizzativa al ricorso.
21.– Infine, il principio di leale collaborazione è chiamato in causa in alcune questioni riguardanti il tema del monitoraggio.
Le censure riguardano l’art. 3, commi 4 e 5 (riguardante il monitoraggio della effettiva garanzia dei LEP da parte della regione differenziata), l’art. 7, comma 4 (che prevede la possibilità di disporre verifiche su specifiche attività oggetto dell’intesa, con riferimento alla garanzia dei LEP), e l’art. 8, comma 1, riguardante il monitoraggio sugli oneri finanziari derivanti dalle funzioni differenziate.
21.1.– Le questioni promosse dalla Regione Puglia (motivo n. 3) e dalla Regione autonoma Sardegna (motivo n. 14) con riferimento all’art. 3, commi 4 e 5, sono state dichiarate assorbite, dal momento che tali disposizioni sono state dichiarate costituzionalmente illegittime in via consequenziale (punto 9.3.).
La Regione Piemonte eccepisce l’inammissibilità della censura della Regione autonoma Sardegna relativa all’art. 8, comma 1, per «contraddittorietà tra la parte del petitum e quella della motivazione», perché la ricorrente chiederebbe un accoglimento secco. L’eccezione non è fondata: dallo svolgimento del motivo si comprende che la ricorrente chiede l’affidamento del monitoraggio (previsto dall’art. 8, comma 1) alla Conferenza unificata, cioè chiede una pronuncia manipolativa.
La Regione Lombardia eccepisce l’inammissibilità della stessa questione perché inciderebbe sulla discrezionalità del Parlamento. L’eccezione non è fondata: questa Corte ha in numerosi casi già scrutinato nel merito censure volte ad introdurre, nelle disposizioni impugnate, meccanismi di raccordo con la Conferenza unificata o Stato-regioni.
21.2.– La Regione Puglia impugna anche (nel motivo n. 8) l’art. 7, comma 4, sostenendo che la mancata partecipazione della Conferenza unificata o, in subordine, della Conferenza Stato-regioni, alle «verifiche su specifici profili o settori di attività oggetto dell’intesa con riferimento alla garanzia» dei LEP sia lesiva del principio di leale collaborazione.
La questione non è fondata.
La funzione di monitoraggio regolata dalla norma impugnata riguarda una singola regione “differenziata” e ha carattere puntuale e concreto, trattandosi di verifiche relative a «specifici profili o settori di attività», disposte caso per caso su iniziativa del Dipartimento affari regionali o del MEF o della stessa regione interessata. Non si scorge, dunque, un particolare impatto sulle altre autonomie territoriali, tale da rendere costituzionalmente necessario il coinvolgimento della Conferenza unificata (o Stato-regioni).
Si può ricordare che l’art. 120, secondo comma, Cost. prevede il potere sostitutivo statale anche per tutelare i LEP e richiede espressamente il rispetto del principio di leale collaborazione. L’art. 8, comma 1, della legge n. 131 del 2003 ha dato attuazione a tale norma costituzionale, prescrivendo la preventiva interlocuzione con l’ente sostituito e la partecipazione del Presidente della regione interessata al Consiglio dei ministri. L’art. 7, comma 4, dunque, risulta anche coerente con la declinazione bilaterale del principio di leale collaborazione, sia nell’ambito del potere sostitutivo, sia nell’ambito della disciplina della cessazione integrale o parziale dell’intesa (art. 7, comma 1, ultimo periodo, della legge impugnata).
21.3.– La Regione autonoma Sardegna impugna l’art. 8, comma 1, in base al quale «[l]a Commissione paritetica di cui all’articolo 5, comma 1, procede annualmente alla valutazione degli oneri finanziari derivanti, per ciascuna Regione interessata, dall’esercizio delle funzioni e dall’erogazione dei servizi connessi alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, secondo quanto previsto dall’intesa, in coerenza con gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e, comunque, garantendo l’equilibrio di bilancio. La Commissione paritetica fornisce alla Conferenza unificata e alle Camere adeguata informativa degli esiti della valutazione degli oneri finanziari». L’art. 5, comma 1, prevede la Commissione paritetica Stato-Regione-Autonomie locali, «disciplinata dall’intesa medesima», stabilendo che «[f]anno parte della Commissione, per lo Stato, un rappresentante del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, un rappresentante del Ministro dell’economia e delle finanze e un rappresentante per ciascuna delle amministrazioni competenti e, per la Regione, i corrispondenti rappresentanti regionali, oltre a un rappresentante dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e un rappresentante dell’Unione delle province d’Italia (UPI)».
L’art. 8, comma 1, affidando i compiti di monitoraggio finanziario alla Commissione paritetica, anziché alla Conferenza unificata, violerebbe gli artt. 5, 119, primo comma e 120, secondo comma, Cost., per lesione della autonomia finanziaria delle regioni “non differenziate” e del principio di leale collaborazione, considerando il rilievo di tali compiti e l’incidenza sull’intero sistema delle autonomie.
La questione non è fondata, per ragioni analoghe a quelle esposte nel punto 21.2.
L’art. 8, comma 1, regola una funzione di monitoraggio riguardante una singola regione “differenziata”. La legge impugnata detta diverse norme volte a evitare un impatto finanziario negativo delle leggi di differenziazione sulle altre regioni (art. 9, commi 1 e 3, e art. 10). Non può dirsi, dunque, costituzionalmente necessario affidare il monitoraggio finanziario alla Conferenza unificata. La norma impugnata risulta coerente con il sistema normativo: oltre a quanto detto sull’art. 8 della legge n. 131 del 2003, si tenga presente che il d.lgs. n. 281 del 1997 non attribuisce particolari prerogative alla Conferenza unificata (o alla Conferenza Stato-regioni) in relazione al monitoraggio sugli oneri finanziari sostenuti dalle singole regioni.
È poi da rilevare che la norma impugnata non adotta in via esclusiva il “metodo bilaterale”, perché, da un lato, la Commissione paritetica comprende anche un rappresentante dell’ANCI e un rappresentante dell’UPI, dall’altro l’art. 8, comma 1, prevede che essa fornisca alla Conferenza unificata «adeguata informativa» sugli esiti del monitoraggio annuale relativo ai costi delle funzioni differenziate.
22.– È ora il momento di affrontare le questioni concernenti i profili finanziari del regionalismo differenziato.
22.1.– La legge impugnata si occupa, da un lato, del finanziamento dei LEP (la cui determinazione, in relazione al diritto oggetto della funzione da trasferire, è – come visto – presupposto del trasferimento), dall’altro del finanziamento delle specifiche funzioni trasferite con la legge di differenziazione.
Per il primo, la legge prevede espressamente un possibile aumento dei costi, trattandosi di fissare uno standard omogeneo delle prestazioni in tutta Italia: ciò risulta dall’art. 4, comma 1 («Qualora dalla determinazione dei LEP di cui al primo periodo derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si può procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese […]») e dall’art. 9, comma 3, secondo periodo («Le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l’entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni, anche in relazione ad eventuali maggiori risorse destinate all’attuazione dei LEP di cui all’articolo 3»). Il legislatore statale dovrà reperire, se del caso, le necessarie maggiori risorse «coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio» (sempre art. 4, comma 1), basandosi sui costi e fabbisogni standard e nel rispetto dell’art. 17 della legge n. 196 del 2009 (art. 9, comma 2, della legge impugnata).
Invece, il finanziamento delle funzioni trasferite con la legge di differenziazione segue una logica diversa. In tal caso, si tratta di finanziare non uno standard uniforme di una prestazione in tutta Italia, ma una specifica funzione legislativa e/o amministrativa, richiesta da una determinata regione. Per tale finanziamento la legge si muove nella prospettiva dell’invarianza finanziaria: «Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» (art. 9, comma 1).
L’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. può manifestarsi in vari modi: il trasferimento potrà riguardare una funzione meramente regolatoria o una funzione amministrativa “minuta” (che la regione richiedente intende svolgere con un proprio ufficio già esistente) o una funzione amministrativa rilevante e “costosa”.
Anche in quest’ultimo caso, la legge impugnata richiede che il trasferimento sia “a costo zero”. Si tratta di una prospettiva del tutto coerente con la ratio dell’art. 116, terzo comma, Cost. (esposta nel punto 4): l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini, in attuazione del principio di sussidiarietà. Questo implica due corollari: da un lato, il trasferimento della funzione non dovrebbe aumentare la spesa pubblica ma dovrebbe o ridurla o mantenerla inalterata, nel quale ultimo caso la gestione più efficiente si tradurrà in un miglioramento del servizio; dall’altro lato, il criterio da seguire per finanziare le funzioni trasferite dovrebbe considerare il costo depurato dalle inefficienze (come può essere il costo e fabbisogno standard, da applicare se la funzione attiene ad un LEP). Se l’intesa ha ad oggetto più funzioni, l’invarianza finanziaria andrà valutata rispetto al complesso delle funzioni trasferite.
Nel caso in cui il costo delle funzioni devolute sia inferiore a quello che lo Stato sosteneva per la stessa funzione nella regione richiedente, si potranno liberare risorse che lo Stato potrà utilizzare per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a suo carico. È infatti verosimile che lo Stato mantenga un proprio apparato nel settore oggetto di conferimento e che sostenga costi per il monitoraggio delle funzioni trasferite e, eventualmente, per l’esercizio del potere sostitutivo. Inoltre, lo Stato manterrà le funzioni che attengono a esigenze unitarie e che, come detto, non possono essere scalfite dal regionalismo differenziato.
Dunque, poiché l’art. 116, terzo comma, Cost. presuppone che la regione richiedente possa esercitare in modo più efficiente rispetto allo Stato le funzioni trasferite, è necessario che le risorse occorrenti per il loro esercizio siano individuate con un criterio che assuma come parametro la gestione efficiente. Questo criterio, in linea di principio, esclude il riferimento alla spesa storica per il finanziamento delle funzioni trasferite, richiedendo la rimozione delle eventuali inefficienze che si annidano nella stessa, e costituisce il parametro per valutare oggettivamente se la devoluzione realizzi la migliore allocazione delle funzioni interessate, assicurando i vantaggi in termini di efficienza, che costituiscono un aspetto significativo del principio di sussidiarietà.
Le future leggi di differenziazione potranno essere sindacate da questa Corte, quanto al rispetto dei criteri sopra enunciati. Per garantire l’armonico inserimento del regionalismo asimmetrico nel sistema costituzionale, le intese dovranno anche tener conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari, anche alla luce del nuovo sistema di governance europea.
22.2.– Ciò premesso, si possono esaminare le questioni promosse dalle ricorrenti in relazione ai profili finanziari.
Questa Corte ritiene di affrontare, in primo luogo, le questioni concernenti l’art. 8, comma 2, che stabilisce quanto segue: «La Commissione paritetica provvede altresì annualmente alla ricognizione dell’allineamento tra i fabbisogni di spesa già definiti e l’andamento del gettito dei tributi compartecipati per il finanziamento delle medesime funzioni. Qualora la suddetta ricognizione evidenzi uno scostamento dovuto alla variazione dei fabbisogni ovvero all’andamento del gettito dei medesimi tributi, anche alla luce delle variazioni del ciclo economico, il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza unificata, adotta, su proposta della Commissione paritetica, le necessarie variazioni delle aliquote di compartecipazione definite nelle intese ai sensi dell’articolo 5, comma 2, garantendo comunque l’equilibrio di bilancio e nei limiti delle risorse disponibili. Sulla base dei dati del gettito effettivo dei tributi compartecipati rilevati a consuntivo, si procede, di anno in anno, alle conseguenti regolazioni finanziarie relative alle annualità decorse, sempre nei limiti delle risorse disponibili».
Tale disposizione è impugnata dalle Regioni Puglia (motivo n. 5, punto 5.12.), Toscana (motivo n. 9) e Campania (motivo n. 6).
Secondo la Regione Puglia, l’art. 8, comma 2, consentendo alla regione di «spendere a piacimento […] sicura della successiva copertura», violerebbe il principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.); il principio della «finanza sana e responsabile» (art. 81 Cost.); il principio della solidarietà inter-regionale di cui all’art. 119 Cost.; il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; il principio (desumibile dagli artt. 1 e 28 Cost.) secondo cui il decisore pubblico è sempre responsabile delle proprie scelte.
Le Regioni Toscana e Campania contestano l’art. 8, comma 2, perché prevederebbe «le necessarie variazioni delle aliquote di compartecipazione», ma solo «garantendo comunque l’equilibrio di bilancio e nei limiti delle risorse disponibili». Sarebbero violati il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse (art. 119, quarto comma, Cost.) e gli artt. 2, 3 e 118 Cost.
Infine, l’art. 8, comma 2, è censurato dalla Regione Campania perché consentirebbe alla regione differenziata di trattenere le risorse che risultino eccedenti, ad esempio in caso di andamento favorevole del gettito dei tributi compartecipati. Sarebbero violati gli artt. 3, 81 e 120 Cost.
22.3.– Le questioni promosse dalla Regione Puglia sono fondate.
Innanzitutto, va considerato che l’art. 8, comma 2, fa riferimento alla variazione dei «fabbisogni di spesa» come fondamento di una possibile modifica delle aliquote di compartecipazione già definite nelle intese, ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge impugnata.
La norma si riferisce quindi ai fabbisogni di spesa tout court e non ai fabbisogni standard, con ciò potendo comportare, di conseguenza, che la misura iniziale della compartecipazione destinata a finanziare le funzioni oggetto del trasferimento sia definita ab origine sulla scorta della spesa storica sostenuta dallo Stato nella regione e non in base al criterio del costo standard o ad altro analogo criterio basato sulla gestione efficiente.
La previsione di una compartecipazione calibrata solo sul criterio della spesa storica si dimostra irragionevole e viola l’art. 97, secondo comma, Cost., dal momento che esso può cristallizzare anche la spesa derivante dall’eventuale inefficienza insita nella funzione come esercitata al momento dell’intesa.
Essa viola, altresì, il principio di responsabilità del decisore pubblico. La disposizione impugnata stabilisce, facendo riferimento, peraltro, ad un mero decreto interministeriale, che «annualmente» si provveda all’«allineamento» delle «aliquote di compartecipazione definite nelle intese», le quali non possono che essere previste anche dalle leggi rinforzate che le approvano. Tale meccanismo determina un effetto di deresponsabilizzazione in ordine all’esercizio regionale delle funzioni trasferite: anche una gestione inefficiente delle stesse potrebbe, infatti, finire per essere sostanzialmente ripianata "a piè di lista" dallo Stato.
Né tale epilogo è escluso dalla previsione, nella disposizione censurata, che l’allineamento avvenga nel limite delle risorse disponibili, perché, quando queste lo siano, il suddetto effetto troverebbe appunto legittimazione.
È di tutta evidenza quanto tale effetto contraddica la premessa (illustrata nei punti 4 e 22.1.), secondo la quale il regionalismo differenziato si legittima solo nella misura in cui consente una maggiore efficienza dell’intero sistema.
L’art. 119 Cost. (ai cui principi l’art. 116, terzo comma, Cost. rimanda) prevede sì, del resto, il finanziamento delle funzioni delle autonomie territoriali anche tramite compartecipazioni, ma non contempla quello dell’allineamento, che di fatto finisce per snaturarne l’essenza, rendendole, in sostanza, del tutto analoghe ai trasferimenti statali a destinazione vincolata, che il medesimo articolo, nell’ottica del superamento della finanza derivata, legittima solo nelle puntuali ipotesi del quinto comma.
Appare quindi congruo che, se una regione chiede ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia rispetto alle altre regioni ordinarie, diventi responsabile, anche sotto il profilo finanziario, delle risorse che l’intesa e la legge rinforzata individuano come modalità di finanziamento delle funzioni attribuite.
Un meccanismo che consenta di disporre di una sorta di “paracadute” finanziario annuale, invece, non si giustifica per tali funzioni aggiuntive, che la regione dovrebbe proporsi di gestire al posto dello Stato proprio confidando sulla maggiore efficacia ed efficienza del livello di governo più prossimo al territorio.
Ciò, peraltro, non esclude la possibilità, in via straordinaria, di forme di aggiustamento delle compartecipazioni, ma queste dovranno essere regolate dalla legge rinforzata e non potranno che avvenire all’interno di un trasparente processo che coinvolga anche il Parlamento.
Per quanto detto, le censure proposte dalla Regione Puglia sono fondate e l’art. 8, comma 2, va dichiarato costituzionalmente illegittimo. Come già detto, la violazione dei limiti costituzionali che devono guidare l’attuazione del regionalismo differenziato si traduce nella lesione di una prerogativa costituzionale delle regioni terze, risultante dagli artt. 5 e 114 Cost.
Le altre questioni restano assorbite.
23.– Tutte le ricorrenti sollevano questioni che riguardano l’art. 5, comma 2, secondo il quale «[l]’intesa di cui all’articolo 2 individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale, nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 119, quarto comma, della Costituzione».
Mentre le Regioni Puglia, Toscana e la Regione autonoma Sardegna impugnano solo questa disposizione, la Regione Campania impugna anche l’intera legge.
Le ricorrenti invocano numerosi parametri: artt. 1, 2, 3, 5, 81, 97, 116, terzo comma, 117, terzo comma, 118, 119, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 120 Cost.
Le principali questioni promosse sono le seguenti. La previsione dell’utilizzo delle compartecipazioni sarebbe contraddittoria con la norma sull’invarianza finanziaria; essa implicherebbe nuovi oneri privi di copertura e determinerebbe una minore disponibilità finanziaria per le altre regioni (con lesione della loro competenza legislativa in materia di coordinamento finanziario) e per lo Stato, che avrebbe meno risorse per i fini di cui all’art. 119, terzo, quinto e sesto comma; essa discriminerebbe le regioni con minore capacità fiscale per abitante. Inoltre, l’art. 5, comma 2, violerebbe l’art. 119 Cost. e il principio di responsabilità perché esclude l’utilizzo dei tributi propri e del fondo perequativo – per finanziare le funzioni da trasferire – e anche il meccanismo della “riserva di aliquota”.
23.1.– Le questioni promosse dalla Regione Puglia in riferimento agli artt. 119, quarto comma, e 116 Cost. (che non contemplerebbe alcuna distinzione tra regioni con maggiore o minore capacità fiscale) sono inammissibili in quanto assenti nella delibera autorizzatoria della Giunta. Analoga lacuna si riscontra per le questioni promosse dalla Regione Campania in relazione all’art. 1 Cost. e al principio di ragionevolezza.
La questione promossa dalla Regione Puglia in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. è inammissibile per genericità, non comprendendosi perché la riduzione delle risorse delle altre regioni possa tradursi in una lesione del potere di dettare norme di coordinamento finanziario.
La Regione Piemonte eccepisce l’inammissibilità delle questioni promosse dalla Regione Campania con riferimento all’intera legge per mancanza di motivazione. L’eccezione è fondata perché, in effetti, le censure sono argomentate solo con riferimento a singole disposizioni.
L’Avvocatura eccepisce l’inammissibilità dei motivi quinto e sesto della Campania per difetto di un interesse attuale: l’eccezione non è fondata perché la norma impugnata, condizionando i futuri negoziati, fa già sorgere l’interesse a ricorrere (punto 5.2.).
23.2.– Nessuna delle altre questioni è fondata.
In primo luogo, il meccanismo della compartecipazione non contraddice la clausola di invarianza finanziaria: esso, anzi, presuppone che la regione differenziata usi risorse (derivanti dalla compartecipazione) che lo Stato non deve più impiegare, avendo ceduto la funzione. Si è poi visto (punto 22.1.) che l’invarianza finanziaria è coerente con la ratio dell’art. 116, terzo comma, Cost., con conseguente necessità di stimare il costo delle funzioni trasferite con il criterio del costo standard (o altro criterio basato sulla gestione efficiente). Dunque, la misura della compartecipazione ceduta dallo Stato potrà essere inferiore al costo già sostenuto dallo Stato e, comunque, dovrà tener conto dei costi che restano in capo ad esso.
Anche la censura relativa al supposto impoverimento delle altre regioni non è fondata. L’art. 9, comma 3, della legge impugnata garantisce «l’invarianza finanziaria» per le regioni terze e vieta alle intese di «pregiudicare l’entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni, anche in relazione ad eventuali maggiori risorse destinate all’attuazione dei LEP». Anche in tal caso, si potrà sindacare la concreta disciplina finanziaria delle future leggi di differenziazione, essendo chiaro che l’eventuale costo dei conferimenti ex art. 116, terzo comma, Cost. non può essere sostenuto dalle regioni terze.
La censura relativa alla supposta sottrazione di risorse statali da destinare ai LEP e agli interventi perequativi non è fondata. Diverse disposizioni della legge impugnata sono volte ad evitare questo pericolo: gli artt. 4, comma 1; 9, comma 3; e 10, interamente dedicato alle «Misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale», «anche nei territori delle Regioni che non concludono le intese».
La censura relativa alla discriminazione delle regioni con minore capacità fiscale per abitante (che non potrebbero accedere alla differenziazione) non è fondata (oltre a essere contraddittoria con l’evocazione dell’utilizzo dei tributi propri, che pure sfavorirebbero le regioni con minore capacità fiscale). In primo luogo, l’aggancio con la ricchezza del territorio non è una scelta “discriminatoria” dell’art. 5, comma 2, in quanto il principio di territorialità risulta dall’art. 119, secondo comma, Cost. (in relazione ai tributi propri e alle compartecipazioni) e da molte norme legislative: ad esempio, art. 2, comma 2, lettere e) e hh), e art. 7, comma 1, lettera d), della legge n. 42 del 2009; art. 4, comma 3, e art. 9 del d.lgs. n. 68 del 2011; art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), della legge n. 111 del 2023. Inoltre, in presenza dei presupposti generali della differenziazione (punto 4), anche le regioni svantaggiate possono chiedere un’intesa: il meccanismo della compartecipazione dovrà essere calibrato di volta in volta in modo da garantire una quantità sufficiente di risorse a ciascuna regione per lo svolgimento delle funzioni attribuite.
La censura della Regione Toscana, relativa all’esclusione della “riserva di aliquota”, non è fondata. La norma impugnata fa esplicito riferimento alle «compartecipazioni al gettito», sicché la riserva di aliquota (che corrisponde ad una quota della base imponibile del tributo statale, mentre la compartecipazione è costituita da una quota del gettito del tributo statale) risulta in effetti esclusa dalla legge. Tuttavia, la scelta del meccanismo della compartecipazione (invece della riserva di aliquota) rientra nella discrezionalità del legislatore e, come visto, è coerente con il sistema normativo: si pensi, oltre all’art. 119, secondo comma, Cost., alle norme finanziarie degli statuti speciali.
Le censure relative all’esclusione degli altri due “canali” di finanziamento ordinario, previsti dall’art. 119 Cost. (tributi propri e fondo perequativo) non sono fondate. La norma impugnata ha fatto riferimento a una delle fonti di finanziamento “ordinarie” delle regioni: rientra nella discrezionalità del legislatore “muoversi” all’interno dell’art. 119 Cost. Inoltre, il riferimento alle compartecipazioni risulta coerente con la logica della legge in esame, che è quella del trasferimento “a costo zero”. L’ipotetico utilizzo, ad esempio, della tassa automobilistica o dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) o dell’addizionale sull’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF), per finanziare la funzione trasferita, implicherebbe un inasprimento degli oneri tributari e, dunque, un maggior costo (non venendo diminuito il carico derivante dai tributi erariali). Il meccanismo delle compartecipazioni può considerarsi attuativo del principio di neutralità (che – come visto – ispira il regionalismo differenziato), nel senso di un parallelismo fra il trasferimento delle funzioni statali e delle relative risorse.
23.3.– Questa Corte, peraltro, non può esimersi dal rilevare che è improcrastinabile l’attuazione del fondo perequativo previsto dall’art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011: un ordinamento che intende attuare la punta avanzata del regionalismo differenziato non può permettersi di lasciare inattuato quel modello di federalismo fiscale «cooperativo» (sentenza n. 71 del 2023), disegnato dalla legge delega n. 42 del 2009 e dai suoi decreti attuativi, che ne consente un’equilibrata gestione.
Del resto, la medesima legge n. 86 del 2024, all’art. 10, comma 2, dispone che, «[i]n attuazione dell’articolo 119, terzo comma, della Costituzione, trova comunque applicazione l’articolo 15 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, in conformità con le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 9 agosto 2023, n. 111, e nel quadro dell’attuazione della milestone del Piano nazionale di ripresa e resilienza relativa alla Riforma del quadro fiscale subnazionale (Missione 1, Componente 1, Riforma 1.14)». Essa, pertanto, già si colloca nella prospettiva qui sollecitata, prevedendo, come stabilito anche dalla richiamata milestone del PNRR, il completamento del disegno del federalismo fiscale, attraverso, da un lato, la fiscalizzazione dei trasferimenti statali che ancora residuano nelle materie regionali; dall’altro, l’istituzione del fondo perequativo.
Tuttavia, va anche evidenziato che le norme relative a tali processi (artt. 7, comma 1, e 15, comma 5, del d.lgs. n. 68 del 2011) sono state sistematicamente rinviate, di anno in anno, dal tempo della loro emanazione, con ciò impedendo il completamento del modello: la finanza regionale è quindi rimasta in buona parte a carattere derivato e priva di meccanismi perequativi (salvo che per la sanità, in forza della specifica modalità di finanziamento, risalente al decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’articolo 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133»).
Questa Corte sottolinea dunque con forza la necessità di dare compiuta attuazione al descritto disegno nei termini previsti dalla richiamata milestone, interrompendo quindi una volta per tutte la prassi dei sistematici rinvii seguita sino ad oggi.
24.– Tutte le ricorrenti impugnano la clausola di invarianza finanziaria contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 86 del 2024. Sarebbe violato l’art. 81 Cost. perché il trasferimento delle nuove funzioni alle regioni richiedenti non potrebbe essere “a costo zero” e la legge impugnata non individuerebbe alcuna copertura finanziaria. In sostanza, la clausola di invarianza finanziaria sarebbe meramente formale.
Le questioni non sono fondate.
In via preliminare, occorre ribadire (punto 22.1.) che la legge impugnata prevede l’invarianza finanziaria per il conferimento delle forme particolari di autonomia, non per la determinazione dei LEP.
Occorre anche ribadire (sempre punto 22.1.) che la regola dell’invarianza è del tutto coerente con la ratio dell’art. 116, terzo comma, Cost., esposta nel punto 4.
Ciò detto, la norma impugnata fa riferimento sia alla stessa legge n. 86 del 2024 sia all’applicazione delle future intese. Quanto alla legge, è evidente che essa, di per sé, non produce maggiori oneri, trattandosi di una legge che regola la futura attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. Quanto alle future intese, l’art. 9, comma 1, non stabilisce che da esse «non derivano» maggiori oneri ma che da esse «non devono derivare» maggiori oneri. L’art. 9, comma 1, dunque, esplicita la logica costituzionale del regionalismo differenziato, dettando «una disposizione volta ad orientare le future attività negoziali nonché il futuro legislatore» (così la relazione tecnica al d.d.l., verificata dal Ragioniere generale dello Stato).
Le ricorrenti ritengono che la norma impugnata sia affetta da una scarsa istruttoria e dalla mancata programmazione delle risorse, ma queste censure potranno essere rivolte, se del caso, contro le future leggi di differenziazione, non contro una legge quadro che non dispone alcun conferimento. È opportuno ricordare che, in base all’art. 2 della legge impugnata, prima lo schema di intesa preliminare (comma 3) e poi lo schema di intesa definitivo dev’essere «corredato di una relazione tecnica redatta ai sensi dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, anche ai fini del rispetto dell’articolo 9, comma 1» (comma 5).
25.– Le Regioni Puglia e Campania impugnano alcune norme concernenti il finanziamento dei LEP.
La Regione Puglia censura gli artt. 4, comma 1, 9, comma 2, e 10, comma 1, in quanto, da un lato, riconoscerebbero che la determinazione dei LEP comporta nuovi oneri, dall’altro imporrebbero il rispetto dell’equilibrio di bilancio e, dunque, dello status quo relativo alle risorse. I parametri evocati sono gli artt. 2, 3, 81, 117, terzo comma, e 119 Cost.
La Regione Campania impugna gli artt. 1, comma 2; 2, comma 1; 3; 4, commi 1 e 2; 9, comma 2, «nella parte in cui subordinano il finanziamento dei LEP al rispetto degli equilibri di bilancio», per violazione degli artt. 81 e 119 Cost., perché le garanzie minime non potrebbero essere finanziariamente condizionate.
25.1.– Le questioni promosse dalla Regione Campania sono inammissibili per insufficienza della motivazione. Il ricorso non spiega perché il riferimento all’equilibrio di bilancio violerebbe l’art. 81 Cost. né quale norma ricavabile dall’art. 119 Cost. sarebbe violata.
25.2.– Le questioni promosse dalla Regione Puglia non sono fondate.
L’art. 9, comma 2, stabilendo che, «[f]ermo restando quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, il finanziamento dei LEP sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard è attuato nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e degli equilibri di bilancio», non implica affatto il mantenimento dello status quo relativo alle risorse, cioè l’impossibilità di stanziare risorse aggiuntive per i LEP. L’art. 4, comma 1 (già citato), è chiaro sul punto e l’art. 9, comma 2, lo tiene «fermo». Lo stesso art. 9 menziona, al comma 3, le «eventuali maggiori risorse destinate all’attuazione dei LEP». Anche l’art. 3, comma 7 (dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte, per altre ragioni: punto 13.2.), fa riferimento a «provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie» per l’aggiornamento dei LEP.
Il riferimento all’equilibrio di bilancio contenuto nell’art. 9, comma 2, non contraddice tali norme perché tale equilibrio non implica divieto di reperire nuove risorse, ma necessità di indicare i mezzi di copertura finanziaria.
26.– Le Regioni Toscana, Campania e la Regione autonoma Sardegna impugnano l’art. 10, comma 2, in base al quale, «[i]n attuazione dell’articolo 119, terzo comma, della Costituzione, trova comunque applicazione l’articolo 15 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, in conformità con le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 9 agosto 2023, n. 111, e nel quadro dell’attuazione della milestone del Piano nazionale di ripresa e resilienza relativa alla Riforma del quadro fiscale subnazionale (Missione 1, Componente 1, Riforma 1.14)».
Il richiamato art. 15 stabilisce, al comma 5, che «[è] istituito, dall’anno 2027 o da un anno antecedente ove ricorrano le condizioni di cui al presente decreto legislativo, un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell’IVA determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese di cui all’articolo 14, comma 1. Nel primo anno di funzionamento del fondo perequativo, le suddette spese sono computate in base ai valori di spesa storica e dei costi standard, ove stabiliti; nei successivi quattro anni devono gradualmente convergere verso i costi standard».
L’art. 2, comma 1, della legge n. 111 del 2023 prescrive la «garanzia della previsione di meccanismi perequativi in conformità ai princìpi di cui all’articolo 9 della legge n. 42 del 2009, con riferimento in particolare all’attuazione delle previsioni di cui all’articolo 15 del decreto legislativo n. 68 del 2011».
La misura del PNRR richiamata dalla norma impugnata prevede l’«[e]ntrata in vigore di atti di diritto primario e derivato per l’attuazione del federalismo fiscale regionale» nel 2026.
Le ricorrenti ritengono che l’art. 10, comma 2, rinviando all’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 68 del 2011, impedisca l’operatività della perequazione e lamentano la violazione degli artt. 3, 116, terzo comma, e 119, terzo comma, Cost.
26.1.– Le questioni sono inammissibili per tardività (come eccepito dalla Regione Piemonte in relazione al ricorso della Regione autonoma Sardegna).
Le ricorrenti in sostanza contestano l’art. 1, comma 788, lettera e), della legge n. 197 del 2022, che – modificando l’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 68 del 2011 – ha spostato al 2027 l’attuazione dell’art. 119, terzo comma, Cost.
L’impugnato art. 10, comma 2, infatti, ha il semplice scopo di chiarire che, anche nell’ambito del regionalismo differenziato e della disciplina sulle misure perequative di cui all’art. 10, comma 1, resta ferma l’applicazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 68 del 2011. La norma impugnata, dunque, non ha la funzione di “ripetere” o “novare” l’art. 15, ma semplicemente di dare un chiarimento sulla sua permanente applicabilità. Si tratta di un rinvio “improprio”, meramente dichiarativo (sentenze n. 154 del 1995, n. 997 del 1988 e n. 304 del 1986). Se anche l’art. 10, comma 2, non esistesse, comunque l’art. 15, comma 5, sarebbe applicabile. Per contestare il rinvio nell’attuazione del fondo perequativo, le ricorrenti avrebbero dovuto impugnare la citata disposizione del 2022.
Resta fermo quanto sopra osservato da questa Corte (punto 23.3.) sulla necessità di dare compiuta attuazione all’art. 119 Cost., interrompendo quindi la prassi dei sistematici rinvii seguita sino ad oggi.
27.– La sola Regione autonoma Sardegna impugna, per violazione degli artt. 81, 116, terzo comma, 117, secondo comma, lettera m), e 119 Cost., l’art. 4, comma 2, in base al quale «[i]l trasferimento delle funzioni relative a materie o ambiti di materie diversi da quelli di cui al comma 1, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, può essere effettuato, secondo le modalità, le procedure e i tempi indicati nelle singole intese, nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente, dalla data di entrata in vigore della presente legge».
Tale norma si occupa del conferimento della maggiore autonomia nelle materie “no-LEP” e, secondo la ricorrente, implica l’utilizzo del criterio della spesa storica, con conseguente possibilità che la regione differenziata riceva più risorse di quelle necessarie in base al costo standard; inoltre, la ricorrente teme che il finanziamento delle funzioni trasferite nelle materie “no-LEP” comprometta quello dei LEP.
La questione non è fondata.
La norma impugnata rinvia, per il finanziamento delle funzioni trasferite nelle materie “no-LEP”, alle future intese e precisa che queste dovranno rispettare i «limiti delle risorse previste a legislazione vigente». Essa non prescrive che, nelle materie “no-LEP”, le intese adottino il criterio della spesa storica ai fini del finanziamento delle funzioni da trasferire. Dunque, anche nelle materie “no-LEP” si dovrà applicare il criterio basato sulla gestione efficiente (punto 22.1.).
L’art. 4, comma 2, non detta alcuna norma idonea a pregiudicare il finanziamento delle funzioni trasferite nelle materie “LEP-condizionate”, anzi vincola il Governo a rispettare i «limiti delle risorse previste a legislazione vigente», nel negoziato riguardante la materia “no-LEP”.
Inoltre, anche per le materie “no-LEP” resta salva la possibilità di meccanismi di adeguamento (eventualmente, riduttivo) delle aliquote di compartecipazione, regolati dalle leggi di differenziazione (punto 22.3.).
28.– La Regione Puglia e la Regione autonoma Sardegna impugnano l’art. 9, comma 4, in base al quale, «[a]l fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, resta ferma la possibilità di prevedere anche per le Regioni che hanno sottoscritto le intese, ai sensi dell’articolo 2, il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, tenendo conto delle vigenti regole di bilancio e delle relative procedure, nonché di quelle conseguenti al processo di riforma del quadro della governance economica avviato dalle istituzioni dell’Unione europea».
Tale norma, rendendo «meramente facoltativa, per lo Stato, l’imposizione di oneri di finanza pubblica alle Regioni ad autonomia particolare», violerebbe l’art. 3 Cost., per l’«evidente discriminazione tra le Regioni non richiedenti e quelle ad autonomia particolare», oltre agli artt. 2 (principio solidaristico), 11, 81, primo e sesto comma, 97, primo e secondo comma, 116, primo e terzo comma, 117, primo e terzo comma, e 119, primo e sesto comma, Cost. La Regione autonoma Sardegna invoca anche l’art. 9 della legge n. 243 del 2012 e chiede una pronuncia sostitutiva, censurando l’art. 9, comma 4, nella parte in cui stabilisce che «resta ferma la possibilità di prevedere, anche per le regioni che hanno sottoscritto le intese di cui all’art. 2, forme di concorso agli obiettivi di finanza pubblica», anziché disporre che tale concorso «resta fermo».
28.1.– L’Avvocatura eccepisce l’inammissibilità di tutte le questioni per genericità della motivazione. Tale eccezione non è fondata. Entrambi i ricorsi contengono una motivazione senz’altro sufficiente in relazione a diversi parametri, illustrando diversi vizi imputabili alla norma in questione.
La Regione Lombardia eccepisce l’inammissibilità delle questioni promosse dalla Regione Puglia in riferimento agli artt. 2, 3, 117 e 119 Cost, per mancanza di motivazione.
L’eccezione è fondata in relazione agli artt. 2, 117 e 119 Cost. Il primo parametro è semplicemente menzionato nell’epigrafe del motivo e poi non è più ripreso. Quanto agli artt. 117 e 119, la ricorrente lamenta la compressione della propria autonomia finanziaria in quanto dovrebbe farsi carico degli obiettivi di finanza pubblica in luogo delle regioni differenziate, con lesione della sua competenza legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica. La motivazione è particolarmente succinta e risulta dunque inidonea a soddisfare i requisiti argomentativi del giudizio in via principale (ex multis, sentenze n. 174, n. 130 e n. 95 del 2024).
28.2.– Nel merito, sono fondate le questioni relative agli artt. 3, primo comma, al principio di equilibrio di bilancio (art. 97, primo comma, Cost.) e all’art. 119, primo comma, Cost., in base al quale le regioni «concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea», con assorbimento degli altri motivi di ricorso.
La norma impugnata comporta la facoltatività del concorso delle regioni differenziate agli obiettivi di finanza pubblica. Ciò implica la possibilità di un regime più favorevole per queste regioni rispetto a quelle non destinatarie di forme particolari di autonomia: regime che non può trovare ragionevole giustificazione nell’assunzione delle funzioni richieste e trasferite. Di qui la violazione dell’art. 3 Cost.
Inoltre, la norma impugnata, oltre a indebolire i vincoli di solidarietà e unità della Repubblica, si pone in contrasto con i principi dell’equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico, assicurati dal concorso di tutte le pubbliche amministrazioni a garantire gli obiettivi di finanza pubblica (art. 97, primo comma, Cost.), e con l’art. 119, primo comma, Cost., che chiama tutte le regioni a contribuire «ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea».
L’art. 9, comma 4, va dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede la facoltatività del concorso delle regioni differenziate agli obiettivi di finanza pubblica, anziché la doverosità su un piano di parità rispetto alle altre regioni.
29.– L’ultima questione relativa ai profili finanziari riguarda il PNRR.
La Regione Toscana impugna l’intera legge n. 86 del 2024 e, in subordine gli artt. 4, 5, comma 2, 8, 9 e 10, in quanto, mettendo a rischio l’uniformità delle condizioni di vita nel Paese e la coesione territoriale, violerebbero l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al regolamento (UE) n. 241/2021/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, e alla decisione di esecuzione del Consiglio n. 168/2021, relativa all’approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia.
Per le stesse ragioni, la Regione Campania impugna l’intera legge e, in particolare, gli artt. 1, comma 2, 3, comma 7, e 4.
29.1.– Le censure relative all’intera legge vanno dichiarate inammissibili in quanto si appuntano su un determinato contenuto normativo e perciò non sono sostenibili riguardo a una legge contenente molte norme eterogenee (sentenze n. 20 del 2023 e n. 37 del 2021).
Le censure relative alle singole norme vanno dichiarate inammissibili per motivazione insufficiente sulla ridondanza. Le ricorrenti invocano un parametro estraneo alle competenze regionali (art. 117, primo comma, Cost.). In casi del genere, questa Corte richiede, «in primo luogo, la chiara individuazione degli ambiti di competenza regionale indirettamente incisi dalla disciplina statale e, in secondo luogo, una illustrazione adeguata del vizio di ridondanza» (sentenza n. 40 del 2022; si vedano anche, ex multis, le sentenze n. 133 del 2024, n. 187 del 2021 e n. 75 del 2017).
Le ricorrenti si limitano ad ipotizzare che le norme impugnate pregiudichino l’accesso ai fondi del PNRR, con conseguente calo di risorse per le regioni, che rientrano fra i soggetti attuatori del Piano. Tale argomentazione presenta un alto tasso di ipoteticità e, comunque, non indica alcuna competenza regionale lesa né, tantomeno, illustra il condizionamento che la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. produrrebbe sulle prerogative costituzionali regionali.
Mentre l’asserita violazione dei limiti posti dalla Costituzione al conferimento di forme particolari di autonomia implica una lesione della posizione costituzionale delle regioni terze, come più volte rilevato, l’invocazione dell’art. 117, primo comma, Cost. dev’essere accompagnata da una motivazione sufficiente sulla ridondanza del vizio denunciato sulle competenze costituzionali regionali: il che, nella specie, non si verifica.
Restano assorbite le eccezioni sollevate dalle Regioni Piemonte e Lombardia per l’asserito carattere generico e ipotetico delle questioni.
30.– Infine, restano da esaminare alcune questioni non rientranti nelle aree tematiche individuate nel punto 3.
La Regione Puglia impugna l’art. 2, commi 1 e 2, là dove dispone che il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie «avvia comunque il negoziato» con la regione richiedente; che, ai fini dell’avvio del negoziato, «il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie tiene conto del quadro finanziario della Regione»; che, «[a]l fine di tutelare l’unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie, il Presidente del Consiglio dei ministri […] può limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell’atto di iniziativa». Tali norme violerebbero l’art. 116, terzo comma, Cost., perché quest’ultimo non farebbe «alcun riferimento ad attribuzioni di questo tipo»; l’art. 120 Cost., che farebbe «esclusivo riferimento all’unità giuridica ed economica quali interessi perseguibili dal Governo», non all’«indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie»; il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto il «quadro finanziario» sarebbe «nozione troppo ampia e imprecisa» e, dunque, la norma impugnata sarebbe «indeterminata e […] non comprensibile»; gli artt. 23 e 97 Cost. (insieme all’art. 3 Cost.), poiché, non essendo chiare le conseguenze di una valutazione negativa del «quadro finanziario», la legge conferirebbe irragionevolmente «un’attribuzione a un organo esecutivo senza delimitarne normativamente il perimetro in violazione del principio di legalità» e incidendo negativamente sul buon andamento dell’amministrazione; gli artt. 3, 23 e 97 Cost., perché l’art. 2, comma 2, là dove si riferisce all’unità di «indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie», inventerebbe un concetto «gravemente […] indeterminato».
30.1.– Le questioni aventi ad oggetto l’art. 2, comma 2, sono state dichiarate assorbite, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale disposizione (punto 8.4.).
30.2.– Nessuna delle questioni riferite all’art. 2, comma 1, è fondata.
La questione relativa all’art. 116, terzo comma, Cost. non è fondata perché rientra nella discrezionalità del legislatore regolare la gestione del negoziato con riferimento agli organi statali. Riconosciuta la possibilità di adottare una legge quadro (punto 7.2.), ne discende naturaliter che tale legge individui l’organo competente a gestire il negoziato e ne indirizzi le scelte. Del resto, l’art. 2, nell’attribuire al Presidente del Consiglio (in alternativa al Ministro per gli affari regionali) la gestione del negoziato, risulta coerente con l’art. 95, primo comma, Cost. e con l’art. 5, comma 3, lettera b), della legge n. 400 del 1988, in base al quale il Presidente del Consiglio «promuove e coordina l’azione del Governo per quanto attiene ai rapporti con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».
Non è fondata neppure la censura relativa all’insufficiente delimitazione dei poteri del Presidente del Consiglio e all’indeterminatezza del concetto di «quadro finanziario» della regione. In primo luogo, l’attività regolata è di tipo politico, ragion per cui non può dirsi costituzionalmente necessario che la legge precisi le conseguenze della valutazione negativa del quadro finanziario. Inoltre, la ricorrente cita la sentenza n. 110 del 2023 di questa Corte, ma quella decisione ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione regionale «radicalmente inintelligibile» e «irrimediabilmente oscur[a]», riconoscendo che «[o]gni enunciato normativo, beninteso, presenta margini più o meno ampi di incertezza circa il suo ambito di applicazione, senza che ciò comporti la sua illegittimità costituzionale», e che non «potrebbe ritenersi contrario all’art. 3 Cost. il ricorso da parte della legge a clausole generali, programmaticamente aperte a “processi di specificazione e di concretizzazione giurisprudenziale”» (punto 4.3.4. del Considerato in diritto). L’art. 2, comma 1, nel riferirsi al «quadro finanziario» della regione, presenta qualche margine di incertezza ma non utilizza un concetto inintelligibile e oscuro.
Resta ferma, ovviamente, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, nei termini precedentemente indicati.
31.– Le Regioni Puglia, Toscana e Campania impugnano, infine, l’art. 11, comma 1, in base al quale «[g]li atti di iniziativa delle Regioni già presentati al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la Regione interessata prima della data di entrata in vigore della presente legge, sono esaminati secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni della presente legge». I parametri invocati sono gli artt. 3, 81, e 116, terzo comma, Cost. La norma impugnata determinerebbe una disparità di trattamento fra le regioni che avevano già stipulato degli accordi preliminari e le altre regioni ordinarie, dando alle prime una “corsia preferenziale” e la possibilità di ottenere condizioni migliori, anche finanziarie.
Le questioni non sono fondate. La norma impugnata produce un effetto opposto rispetto a quanto lamentato dalle ricorrenti: essa mira ad assoggettare al regime della legge n. 86 del 2024 anche le richieste regionali già presentate e sulle quali si è avviato il confronto con il Governo. Si tratta di una norma transitoria, volta a creare un regime omogeneo fra le iniziative precedenti la legge e quelle future. L’art. 11, comma 1, dunque, non crea una “corsia preferenziale” per le regioni che già hanno presentato richieste, ma anzi assoggetta tali richieste alle norme della legge impugnata, anche con riferimento ai profili finanziari (compresa la clausola di invarianza di cui all’art. 9, comma 1).