Sentenza 11/2025 (ECLI:IT:COST:2025:11)
Giudizio: GIUDIZIO SULL'AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM
Presidente: AMOROSO - Redattore: PATRONI GRIFFI
Camera di Consiglio del 20/01/2025;    Decisione  del 20/01/2025
Deposito del 07/02/2025;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”.
Massime: 
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Atti decisi: ref. 182


Pronuncia

SENTENZA N. 11

ANNO 2025


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole «adottato da cittadino italiano» e «successivamente alla adozione», e lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), iscritto al n. 182 del registro ammissibilità referendum.

Vista l’ordinanza del 12 dicembre 2024 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 20 gennaio 2025 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

udito l’avvocato Enrico Grosso per Riccardo Magi, Francesco Corleone e Ivano Novelli nella qualità di promotori;

deliberato nella camera di consiglio del 20 gennaio 2025.


Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza del 12 dicembre 2024, depositata il successivo 13 dicembre, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare abrogativo ex art. 75 della Costituzione sul seguente quesito: «Volete voi abrogare l’art. 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?».

1.1.− L’Ufficio centrale per il referendum, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 352 del 1970, ha stabilito la seguente denominazione della richiesta referendaria: «Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana».

2.− Ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, il Presidente di questa Corte ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 20 gennaio 2025, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

3.− In data 8 gennaio 2025, i promotori e presentatori della richiesta referendaria hanno depositato una memoria a sostegno della sua ammissibilità.

3.1.− I promotori osservano, innanzitutto, che l’intervento abrogativo interessa due disposizioni, contenute all’art. 9, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), «inscindibilmente legate» ai fini del raggiungimento dello scopo referendario.

Alla richiesta di abrogazione totale dell’indicato art. 9, comma 1, lettera f) – che prevede il decorso di dieci anni di residenza legale nel territorio della Repubblica quale presupposto per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana ai cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea – si affianca, infatti, la richiesta di abrogazione parziale della lettera b) del medesimo comma 1, ove attualmente si stabilisce che il decorso di cinque anni di residenza legale quale presupposto per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana a cittadini di uno Stato non appartenente all’UE sia previsto per il caso dello straniero maggiorenne che sia stato adottato da cittadino italiano.

Per mezzo dell’abrogazione di due incisi contenuti nella suddetta disposizione – «adottato da cittadino italiano» e «successivamente alla adozione» – il requisito dei cinque anni di residenza legale nel territorio della Repubblica al fine di poter presentare richiesta di naturalizzazione varrebbe per tutti i cittadini maggiorenni di Stati non appartenenti all’UE: sarebbe questo l’«effetto giuridicamente chiarissimo ed univoco» della richiesta.

3.2.− Così descritto il quesito, i promotori affermano che le disposizioni oggetto della richiesta sono estranee alle materie per le quali l’art. 75, secondo comma, Cost. preclude il referendum abrogativo.

Escludono, altresì, che la legge sulla cittadinanza sia in qualche modo esecutiva di obblighi internazionali o posti dall’Unione europea, ovvero attuative di questi ultimi.

Non potrebbe ricavarsi, infatti, alcun obbligo dal «mero favor» per l’acquisto della cittadinanza da parte dei rifugiati previsto dalla convenzione di Ginevra per lo status di rifugiato. Le norme internazionali, infatti, si limitano a prevedere che gli Stati facilitano l’assimilazione e la naturalizzazione dei rifugiati e degli apolidi e si sforzano di accelerarne la procedura. Si tratterebbe, pertanto, di «una mera clausola generica di favor» che, ad ogni modo, l’esito positivo del referendum non farebbe altro che assecondare.

Nessun limite deriverebbe neppure dall’ordinamento dell’Unione europea, essendo invece l’intera materia «pura espressione di sovranità interna». Al limite, una qualche influenza il diritto UE può averlo sui casi di revoca, rinuncia o riacquisto della cittadinanza UE, fermo restando che la Corte di giustizia ha sindacato «esclusivamente le possibili violazioni – da parte delle leggi nazionali – del diritto di accesso alla difesa, o del diritto al rispetto della vita privata e familiare».

3.3.− I promotori escludono, altresì, che possano venire in considerazione i limiti delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato e delle leggi costituzionalmente necessarie.

Sarebbe del tutto discrezionale, infatti, il requisito temporale di residenza ai fini della richiesta di concessione della cittadinanza. Anche a voler considerare indispensabile, in quanto tale, l’esistenza di una legge sulla cittadinanza, le specifiche disposizioni di cui si chiede l’abrogazione non sarebbero «in sé e per sé obbligatorie, né nell’esistenza né nel contenuto». La Costituzione, infatti, «si limita a presupporre implicitamente che vi sia una legge statale che definisca chi siano i cittadini e a quali condizioni si possa diventare cittadini (art. 117, comma 2, lett. i) Cost.) e che la revoca della cittadinanza non sia fondata su motivi politici (art. 22 Cost.)», ma non pone alcuno specifico vincolo al legislatore «in ordine ai contenuti della disciplina della cittadinanza, tanto meno in ordine ai requisiti per la sua concessione agli stranieri lungo-residenti». Peraltro, «la natura parziale e puntuale della richiesta referendaria» ulteriormente confermerebbe la sua ammissibilità.

3.4.− Quanto ai limiti in ordine alla formulazione del quesito, i promotori rilevano dapprima che esso, per quanto abbia a oggetto due diverse disposizioni, è «sicuramente dotato di una matrice razionalmente unitaria». Ciò perché «[i]l combinato disposto della doppia abrogazione produce un effetto chiaro, perfettamente intelligibile dall’elettore e assolutamente univoco: quello di ridurre il lasso di tempo di residenza legale in Italia affinché un cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea possa presentare una domanda di concessione della cittadinanza italiana».

La normativa di risulta, d’altro canto, sarebbe «totalmente autoapplicativa» e «del tutto coerente rispetto allo scopo perseguito», incorporato nel quesito. La doppia abrogazione sarebbe, anzi, funzionale a dare coerenza e chiarezza al quesito: «la sola abrogazione referendaria della lett. f), in mancanza di tale contestuale e ulteriore abrogazione parziale a fini riespansivi della lett. b), produrrebbe il risultato paradossale (del tutto controproducente e opposto all’intento perseguito dai promotori) di impedire sempre e comunque ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea – esclusi gli adottati da cittadino italiano o coloro che abbiano ottenuto in Italia il riconoscimento dello status di rifugiato, oltre che agli apolidi – di chiedere ed eventualmente ottenere la concessione della cittadinanza italiana».

Né la normativa di risulta determinerebbe l’impossibilità per lo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano di richiedere la concessione della cittadinanza. Anche costui, infatti, potrà proporre la relativa domanda dopo solo cinque anni di residenza «e non già dopo un periodo (normalmente più lungo) di cinque anni dall’avvenuta adozione da parte del cittadino italiano», come oggi disposto.

3.4.1.− Il quesito non presenterebbe neppure caratteri di manipolatività tali da rendere la richiesta referendaria inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, «non ha mai ritenuto che i referendum c.d. “manipolativi” siano di per sé inammissibili». Ciò che è necessario è che dall’abrogazione parziale derivi «come effetto naturale e spontaneo, la ricomposizione del tessuto normativo rimanente» (sentenza n. 15 del 2008) e che, quindi, il quesito non manipoli eccessivamente la legislazione.

Per l’individuazione della manipolazione inammissibile resta quale riferimento principale, continuano i promotori, la sentenza n. 36 del 1997. Allora, sulla base di princìpi «poi affinati e precisati da una serie di pronunce successive», questa Corte avrebbe affermato che il referendum «è ammissibile in tutti i casi in cui la disciplina di risulta (quella, cioè, che deriva dall’abrogazione parziale di una serie di disposizioni, o anche solo di frammenti di esse, e che deve comunque essere – come si diceva in precedenza – autoapplicativa) derivi dalla “fisiologica espansione” di norme che già precedentemente erano contenute nella legge oggetto di abrogazione parziale». Il referendum sarebbe invece inammissibile tutte le volte in cui «dal ritaglio abrogativo derivi “una nuova statuizione, non ricavabile ex se dall’ordinamento, ma anzi del tutto estranea al contesto normativo”», mediante lo «stravolgimento dell’originaria ratio e struttura della disposizione» (è citata la sentenza n. 36 del 1997): ciò che produrrebbe la «sostituzione della norma abroganda con altra assolutamente diversa, non derivante direttamente dall’estensione di preesistenti norme o dal ricorso a forme autointegrative». Tra le pronunce successive che avrebbero confermato tale orientamento, particolare rilievo assumerebbe la sentenza n. 26 del 2017, ove si ribadisce, innanzitutto, che la tecnica del ritaglio non può determinare «un assetto normativo sostanzialmente nuovo».

La richiesta referendaria, secondo i promotori, rispetterebbe i criteri dettati dalla richiamata giurisprudenza: «all’esito dell’abrogazione parziale non si produrrebbe affatto una norma del tutto nuova, estranea al tessuto normativo preesistente», né «una norma risultante dalla mera “saldatura di frammenti lessicali eterogenei” (cfr. la sent. n. 26/2011 […])». La legislazione vigente, infatti, già consente allo straniero maggiorenne di chiedere la cittadinanza dopo un certo numero di anni di residenza, così come già oggi talune categorie di stranieri (maggiorenni adottati da italiani, apolidi, rifugiati) possono richiederla dopo cinque anni di residenza legale. Sarebbe allora «del tutto evidente» che il quesito «non determina affatto la creazione di una normativa nuova», ma soltanto l’espansione di una normativa già oggi esistente e applicabile: il che segnerebbe la differenza tra l’odierna richiesta e quella ritenuta inammissibile con la sentenza n. 26 del 2017, la quale attraverso l’eliminazione di «mere espressioni linguistiche» intendeva «“confezionare” una normativa di risulta» che sarebbe stata «del tutto nuova» rispetto «al tessuto normativo preesistente».

I promotori ribadiscono, poi, che la misura temporale di cinque anni di residenza «costituisce di per sé un limite ordinario e concorrente con altri, non certo eccezionale», il quale ben potrebbe venire esteso, per mezzo di referendum, a «una categoria di soggetti più ampia rispetto ad oggi». D’altra parte, le tre categorie cui quel limite temporale di residenza è oggi applicabile (apolidi, rifugiati e maggiorenni adottati da cittadino) «non risultano protette – con riferimento ai tempi di acquisto della cittadinanza – da alcuno specifico obbligo internazionale o costituzionale, che imponga un requisito temporale di residenza più breve, rispetto alla generalità degli stranieri, ai fini della presentazione della domanda di naturalizzazione». Non a caso, ricordano i promotori, la legge 13 giugno 1912, n. 555 (Sulla cittadinanza italiana) prevedeva il termine di cinque anni «per tutti gli stranieri senza distinzione», termine dunque che è già stato a lungo in vigore nel nostro ordinamento e che «è attualmente previsto dalla maggior parte delle legislazioni degli Stati membri dell’Unione europea».

Viene sottolineato, infine, come la disposizione di cui all’art. 9, comma 1, lettera f) non sia una «“norma di chiusura” di carattere generale», né la legge n. 91 del 1992 prevede «alcuna “norma residuale”». L’art. 9, comma 1, al contrario, prevede «quattro diverse possibili durate, alternative e concorrenti, ciascuna delle quali dotata di identica rilevanza e dimensione giuridica», sicché la richiesta referendaria non determina «alcuna radicale modificazione o alterazione delle scelte di fondo operate dal legislatore del 1992 in tema di naturalizzazione, che restano del tutto intatte», ma «ha ad oggetto soltanto uno specifico contenuto della disciplina della concessione della cittadinanza italiana», quello concernente il requisito temporale di residenza.


Considerato in diritto

1.− La richiesta di referendum abrogativo investe l’art. 9, comma 1, della legge n. 91 del 1992, proponendo l’abrogazione integrale della lettera f) e l’abrogazione parziale della lettera b), limitatamente alle parole «adottato da cittadino italiano» e «successivamente alla adozione».

2.− Nella camera di consiglio del 20 gennaio 2025, questa Corte, come già più volte avvenuto in passato, ha consentito l’illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti presentatori del referendum ai sensi dell’art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970.

3.− Le disposizioni oggetto della richiesta sono estranee alle materie per le quali l’art. 75, secondo comma, Cost. preclude il ricorso all’istituto del referendum abrogativo.

Sin dalla sentenza n. 16 del 1978, questa Corte ha peraltro rilevato che esistono «valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum, al di là della lettera dell’art. 75 secondo comma Cost.».

Nel caso di specie, non venendo tuttavia in rilievo limiti concernenti l’ambito materiale investito dalla richiesta referendaria, questa Corte è chiamata a valutare il rispetto dei soli requisiti concernenti la formulazione del quesito.

4.− L’art. 9, comma 1, della legge n. 91 del 1992 indica i presupposti al ricorrere dei quali lo straniero può fare domanda per la concessione della cittadinanza italiana; domanda a partire dalla cui presentazione decorrono i ventiquattro mesi, prorogabili fino a trentasei, per definire il relativo procedimento (art. 9-ter).

Può presentare tale domanda ai sensi dell’art. 9, comma 1: lo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni (lettera a), salvo non si ricada nella diversa ipotesi di cui all’art. 4, comma 1, lettera c); lo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente all’adozione (lettera b); lo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato (lettera c); il cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica (lettera d); l’apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica (lettera e), cui, ai sensi del successivo art. 16, comma 2, è equiparato lo straniero che sia stato riconosciuto rifugiato; il cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, se risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica (lettera f).

Il quesito referendario è volto a ottenere, congiuntamente, l’abrogazione integrale di quest’ultima ipotesi (art. 9, comma 1, lettera f) e l’abrogazione delle sole parole «adottato da cittadino italiano» e «successivamente alla adozione» all’art. 9, comma 1, lettera b). La combinazione delle due diverse abrogazioni avrebbe quale esito che, al fine di poter presentare richiesta di concessione della cittadinanza, il requisito dei cinque anni di residenza legale nel territorio della Repubblica varrebbe – ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera b), quale risultante dal referendum – per tutti gli stranieri maggiorenni con cittadinanza di uno Stato non appartenente all’UE.

Quest’esito non è soltanto quello esplicitato dai promotori nella memoria e nella illustrazione orale, ma – ed è ciò che rileva alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte – è la finalità obbiettivamente ricavabile dalla formulazione del quesito e dall’incidenza dello stesso sul quadro normativo di riferimento (da ultimo, sentenza n. 50 del 2022). Del resto, la stessa denominazione stabilita dall’Ufficio centrale per il referendum, che è volta a «identificare l’oggetto del quesito, così da renderlo comprensibile agli elettori chiamati ad esprimere un voto pienamente consapevole, irrinunciabile requisito di un atto libero e sovrano del corpo elettorale» (sentenza n. 49 del 2022), esplicita il senso complessivo della richiesta referendaria, che è appunto quello di portare da dieci a cinque gli anni di residenza legale in Italia affinché il cittadino di uno Stato non appartenente all’UE possa presentare domanda di concessione della cittadinanza italiana.

5.− Ciò detto, il quesito è omogeneo, chiaro e univoco.

La richiesta referendaria, come si è già visto, incide su due diverse disposizioni, in modo da farne sopravvivere all’esito positivo del referendum, parzialmente abrogata, una soltanto (l’art. 9, comma 1, lettera b). Le disposizioni oggetto del quesito regolano entrambe il medesimo istituto – la concessione della cittadinanza – e, più in particolare, dettano due presupposti in presenza dei quali poter presentare la domanda.

Il quesito ha una «matrice razionalmente unitaria» (sentenza n. 16 del 1978), in quanto le due abrogazioni, l’una inscindibilmente connessa all’altra, sono funzionali a determinare un’unitaria normativa di risulta, così da sottoporre all’elettore una scelta – chiara, univoca e facilmente intellegibile – in ordine agli anni di residenza nel territorio della Repubblica necessari, per il maggiorenne cittadino di uno Stato non appartenente all’UE, per poter presentare domanda di concessione della cittadinanza italiana: dieci, come attualmente dispone l’art. 9, comma 1, lettera f), o cinque, come eventualmente disporrebbe, parzialmente modificato, l’art. 9, comma 1, lettera b) in caso di approvazione del referendum abrogativo.

A ulteriore conferma della chiarezza e univocità del quesito, deve rilevarsi, con il comitato promotore, che la parziale abrogazione dell’art. 9, comma 1, lettera b) non determinerebbe alcuna modificazione in peius della posizione dello straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano ma, anzi, consentirebbe anche a quest’ultimo di richiedere la concessione della cittadinanza dopo solo cinque anni di residenza sul territorio nazionale: ai sensi della disciplina vigente, invece, i cinque anni decorrono dall’adozione, anche per il caso in cui si sia già legalmente residenti in Italia.

6.− Il quesito referendario, pur combinando due abrogazioni, una totale e una parziale, per dar vita a un’unitaria normativa di risulta, neppure «contraddice la natura abrogativa dell’istituto» (sentenza n. 59 del 2022).

Questa Corte, infatti, se ha da tempo affermato che è ammissibile anche la formulazione di quesiti che abbiano a oggetto singole parole o singole frasi, eventualmente anche prive di un autonomo significato normativo (sentenza n. 32 del 1993), ha altresì costantemente precisato che tale tecnica – pur potendo portare a «importanti sviluppi normativi» (sentenza n. 49 del 2022), in quanto «abrogare non significa non disporre, ma disporre diversamente» (sentenze n. 16 e n. 15 del 2008) – non deve però trasformare il referendum abrogativo ex art. 75 Cost. in referendum propositivo.

Il carattere abrogativo del referendum, dunque, non è tradito, di per sé, dalla manipolazione dei testi normativi – ovvero dalla formulazione di quesiti che pongano in essere «operazioni di ritaglio di frammenti normativi e di singole parole» (sentenza n. 10 del 2020) – ma quando attraverso quesiti siffatti si proponga al corpo elettorale non tanto «una ablazione di contenuti normativi quanto una nuova norma direttamente costruita con una tecnica di tagli e cuciture» (sentenza n. 50 del 2000), che si riveli quale «nuova statuizione, non ricavabile ex se dall’ordinamento, […] del tutto estranea al contesto normativo» (sentenza n. 36 del 1997).

6.1.− Deve ritenersi che l’odierno quesito referendario sia «privo di quei connotati di manipolatività idonei a denotare un carattere “surrettiziamente propositivo” dell’alternativa posta al corpo elettorale» (sentenza n. 57 del 2022). La richiesta, infatti, non è volta a sostituire la disciplina vigente «con un’altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo, che il quesito ed il corpo elettorale non possono creare ex novo né direttamente costruire» (sentenza n. 13 del 1999). E sotto tale profilo non risulta quindi superata la “soglia di tollerabile manipolatività” consentita al quesito, la quale del resto è in certa misura inevitabile, senza che per ciò solo il referendum dismetta il proprio carattere abrogativo.

Come si è già detto, la finalità dei presentatori, incorporata nel quesito, è quella di ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale necessario affinché i cittadini di uno Stato non appartenente all’UE possano richiedere la cittadinanza italiana. Tale finalità è raggiunta intervenendo sul tessuto normativo della legge n. 91 del 1992 nell’unico modo possibile, stante la necessità che all’esito del referendum abrogativo residui una disciplina totalmente autoapplicativa che, pur nell’ampia discrezionalità del legislatore, regoli l’acquisto della cittadinanza da parte di tali soggetti, dovendosi senz’altro ritenere che una disciplina della concessione della cittadinanza ad essi debba esistere e inserirsi sistematicamente nella più generale disciplina della materia.

La combinazione delle due abrogazioni proposte dal quesito, in altri termini, lascerebbe vigente, modificato, l’art. 9, comma 1, lettera b), il quale disporrebbe che tutti gli stranieri maggiorenni, con cittadinanza di uno Stato non appartenente all’UE – e non più soltanto gli stranieri maggiorenni adottati da cittadini italiani – potrebbero presentare richiesta di concessione della cittadinanza, una volta trascorsi cinque anni di residenza legale nel territorio della Repubblica.

Tale normativa non sarebbe né del tutto estranea al contesto normativo, né determinerebbe uno «stravolgimento dell’originaria ratio e struttura della disposizione» (sentenza n. 36 del 1997).

La legge n. 91 del 1992, infatti, già prevede la possibilità per lo straniero maggiorenne cittadino di uno Stato non appartenente all’UE di richiedere la cittadinanza italiana trascorso un certo periodo – dieci anni – sul territorio della Repubblica: è quanto precisamente stabilisce una delle due disposizioni oggetto della richiesta (art. 9, comma 1, lettera f). In caso di approvazione del referendum abrogativo, pertanto, verrebbe a essere modificato esclusivamente il tempo di residenza legale necessario per poter presentare la domanda di cittadinanza – pari a cinque anni – restando invece fermi i soggetti che potranno fare la richiesta, i restanti requisiti per presentarla (la residenza nel territorio della Repubblica e, ai sensi dell’art. 9.1, l’adeguata conoscenza della lingua italiana), nonché la natura di «atto squisitamente discrezionale di “alta amministrazione”» del provvedimento concessorio (così da ultimo, in linea con la consolidata giurisprudenza amministrativa, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 20 giugno 2024, n. 5516).

Va rilevato che lo stesso quinquennio di residenza legale sul territorio nazionale – oltre a essere stato per lungo tempo, nell’ordinamento giuridico italiano, il requisito temporale la cui sussistenza era necessaria allo straniero per poter richiedere la cittadinanza italiana (art. 4, comma primo, numero 2, della legge n. 555 del 1912) – è il requisito già oggi necessario ove vogliano richiedere la cittadinanza italiana gli stranieri maggiorenni adottati da cittadino italiano (ai sensi dell’altra disposizione oggetto della richiesta referendaria, l’art. 9, comma 1, lettera b), gli apolidi (art. 9, comma 1, lettera e), nonché coloro che siano stati riconosciuti rifugiati (art. 16): i cinque anni di residenza legale, pertanto, non sono una cifra che «figura in tutt’altro contesto normativo» (sentenza n. 36 del 1997) ma, al contrario, sono cifra già utilizzata dal legislatore per le medesime esigenze (sentenza n. 26 del 2017).

Si può ancora osservare, infine, che neppure verrebbe meno la distinzione oggi prevista dal legislatore, sul piano del periodo di residenza legale necessario per poter richiedere la cittadinanza italiana, tra cittadini di uno Stato appartenente all’UE e cittadini di uno Stato non appartenente all’UE. I primi, difatti, continuerebbero a maturare il requisito trascorsi legalmente quattro anni nel territorio della Repubblica, secondo quanto previsto dall’art. 9, comma 1, lettera d).

L’approvazione della richiesta referendaria, pertanto, non genererebbe «un assetto normativo sostanzialmente nuovo […] da imputare direttamente alla volontà propositiva di creare diritto, manifestata dal corpo elettorale» (sentenza n. 26 del 2017). La normativa di risulta, al contrario, sarebbe pienamente in linea non solo con i princìpi (sentenza n. 49 del 2022), ma anche con le stesse regole già contenute nel testo legislativo sottoposto a parziale abrogazione, impiegando un criterio già utilizzato dal legislatore (sentenza n. 13 del 1999) e del quale non muterebbe i «tratti caratterizzanti» (sentenza n. 10 del 2020).

7.− In conclusione, non ostandovi alcuna ragione di ordine costituzionale, la richiesta di referendum deve essere dichiarata ammissibile.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole «adottato da cittadino italiano» e «successivamente alla adozione», e lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), dichiarata legittima dall’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, con ordinanza del 12 dicembre 2024.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA