Titolo
SENT. 28/82 A. MINORANZE LINGUISTICHE - PROCESSO PENALE - USO DELLA LINGUA ITALIANA - OBBLIGATORIETA' SALVO DEROGHE A TUTELA DELLE MINORANZE ALLOGLOTTE - PREVISIONE PER LE MINORANZE LINGUI- STICHE DEL TRENTINO ALTO-ADIGE E DELLA VALLE D'AOSTA - MANCANZA DI UNA ANALOGA DEROGA PER LA MINORANZA SLOVENA DEL TERRITORIO DI TRIESTE - DISPARITA' DI TRATTAMENTO - VIOLAZIONE ARTT. 3 E 6 COST. E 3 STAT. F.V.G. - ESCLUSIONE.
Testo
Il riconoscimento della lingua italiana come unica lingua da usare obbligatoriamente nell'esercizio delle attribuzioni dei pubblici uffici, salve le deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, e` confermato per implicito dalla Costituzione ed e` testualmente previsto negli Statuti speciali del Trentino Alto-Adige (art. 84) e della Valle d'Aosta (art. 38). L'art. 137, primo comma, c.p.p., che impone l'uso della lingua italiana nel processo penale, non viola pertanto l'art. 3 Cost., per ingiustificata disparita` di trattamento tra gli appartenenti alle minoranze di lingua slovena nel territorio di Trieste e gli appartenenti alle minoranze alloglotte del Trentino Alto-Adige e della Valle d'Aosta (Non fondatezza della questione di legittimita` costituzionale dell'art. 137, primo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 6 Cost. e 3 St. spec. Regione Friuli Venezia-Giulia).
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 6
statuto regione Friuli Venezia Giulia
art. 3
Riferimenti normativi
codice di procedura penale 1930
n. 0
art. 137
co. 1
Titolo
SENT. 28/82 B. MINORANZE LINGUISTICHE - TUTELA - ARTT. 3 E 6 COST. E 3 ST. REG. F.V.G. - NATURA DI NORME DIRETTIVE E DALL'APPLICAZIONE DIFFERITA - RISERVA AL LEGISLATORE - NORME LEGISLATIVE CHE QUALIFICANO LA POPOLAZIONE SLOVENA DEL TERRITORIO DI TRIESTE COME "MINORANZA RICONOSCIUTA" - NORME PARAMETRO INVOCATE - OPERATIVITA' - ART. 137, TERZO COMMA, C.P.P. - SANZIONI PENALI PER IL NON USO DELLA LINGUA ITALIANA - INAPPLICABILITA' - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE - ESCLUSIONE.
Testo
Gli artt. 3 e 6 della Costituzione e 3 dello St. spec. Reg. Friuli Venezia-Giulia non possono, di per se` stessi, attesa la loro natura di norme direttive e dall'applicazione differita, garantire una specifica tutela agli appartenenti a singole minoranze linguistiche. L'esame del complesso delle norme legislative vigenti consente di qualificare la popolazione di lingua slovena del territorio di Trieste come "minoranza riconosciuta"; cio` e` sufficiente a conferire immediata operativita` alle norme parametro invocate sicche` l'uso della lingua materna da parte degli appartenenti alla minoranza stessa - anche nei rapporti con le locali autorita` giurisdizionali - non puo` essere sanzionato penalmente. Ad essi non e` quindi applicabile l'art. 137, terzo co., c.p.p., sia che si voglia in cio` ravvisare un caso di esclusione della punibilita` da esercizio del diritto, sia che si propenda per una delimitazione ex ante, nella sfera soggettiva, della operativita` della norma penale (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione di legittimita` costituzionale dell'art. 137, terzo comma, c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 6 Cost. e 3 St. spec. Reg. Friuli Venezia-Giulia).
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 6
statuto regione Friuli Venezia Giulia
art. 3
Riferimenti normativi
codice di procedura penale 1930
n. 0
art. 137
co. 3
N. 28
SENTENZA 20 GENNAIO 1982
Deposito in cancelleria: 11 febbraio 1982.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 47 del 17 febbraio 1982.
Pres. ELIA - Rel. ROSSANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente - Prof.
EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO -
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN -
Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 137, commi
primo e terzo, cod. proc. pen. (Uso della lingua italiana) promosso con
ordinanza emessa l'8 marzo 1977 dal Tribunale di Trieste, nel
procedimento penale a carico di Pahor Samo, iscritta al n. 260 del
registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 183 del 6 luglio 1977.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1981 il Giudice relatore
Michele Rossano;
udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
Con sentenza in data 13 dicembre 1974 il Pretore di Trieste
condannò Pahor Samo, nato a Trbovlye (Jugoslavia) e residente a
Trieste, quale colpevole del reato punito dall'articolo 651 del codice
penale, per aver rifiutato di dare indicazioni sulla propria identità
personale a due vigili urbani.
Avverso la sentenza il Pahor propose appello, invocando la
sussistenza della causa di giustificazione dell'esercizio del diritto,
fondato sull'articolo 5 dello Statuto speciale allegato al Memorandum
del 5 ottobre 1954 tra Italia e Jugoslavia. Egli deduceva di aver
titolo ad esigere che il vigile urbano gli formulasse la richiesta di
indicazioni sulla sua identità personale in lingua slovena,
direttamente o per il tramite di un interprete, e che lo stesso vigile
rispondesse in lingua slovena, direttamente o per il tramite di un
interprete, alle richieste di chiarimento sulla intimazione espressa in
lingua italiana.
Durante il dibattimento di appello davanti al Tribunale di Trieste,
all'udienza del 28 ottobre 1976, venne nominato un interprete della
Corte d'appello di Trieste, sul presupposto che il Pahor non conoscesse
la lingua italiana. All'udienza dell'8 marzo 1977 il Pahor, invitato ad
indicare le proprie discolpe a mezzo di interprete, contestò la
validità del procedimento, poiché la citazione a giudizio era stata
formulata in lingua italiana, senza la traduzione in lingua slovena.
Il pubblico ministero chiese al Tribunale di procedere
all'immediato giudizio del Pahor per il reato di cui all'articolo 137,
terzo comma, del codice di procedura penale, per essersi rifiutato di
esprimersi in lingua italiana, pur conoscendola.
Con ordinanza pronunciata nella stessa udienza dell'8 marzo 1977,
il Tribunale di Trieste ha sollevato d'ufficio le questioni di
legittimità costituzionale dell'articolo 137, prima e ultima parte,
del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 3 e 6
della Costituzione e alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1.
Il primo comma dell'articolo impugnato prescrive che tutti gli atti
del procedimento penale devono essere compiuti in lingua italiana a
pena di nullità; il secondo comma punisce il rifiuto di esprimersi in
lingua italiana da parte di persona che la conosca, nonché la falsa
attestazione di ignorarla. Ad avviso del tribunale, tali norme sono in
contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, in quanto determinano
una ingiustificata disparità di trattamento tra gli appartenenti alla
minoranza di lingua slovena nella Regione Friuli-Venezia Giulia e gli
appartenenti alla minoranza di lingua tedesca nella Regione
Trentino-Alto Adige, ai quali è consentito da specifiche previsioni di
usare la propria lingua nel processo penale. Le stesse norme sarebbero
in contrasto altresì con l'articolo 6 della Costituzione, in relazione
all'articolo 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1
(Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), perché violano il
principio di tutela della minoranza di lingua slovena nella Regione
Friuli- Venezia Giulia.
Nel giudizio davanti a questa Corte non si è costituita la parte
privata. È intervenuto invece il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato,
con atto depositato il 22 luglio 1977, chiedendo che le questioni di
legittimità costituzionale vengano dichiarate infondate, sulla base
dei motivi di seguito esposti. Il Tribunale di Trieste ha esattamente
premesso che il Memorandum d'intesa di Londra del 1954 non è stato
recepito nella sua integralità e con i suoi allegati nel nostro
ordinamento giuridico. Peraltro sono state adottate numerose misure a
favore della minoranza slovena del Friuli-Venezia Giulia, anche prima
del Memorandum, con atti legislativi statali, con ordinanze del Governo
Militare Alleato, rimaste poi in vigore, con decreti del Commissario
Generale del Governo per il Territorio di Trieste, con semplici atti
amministrativi, con le varie norme emanate dalla Regione Friuli-Venezia
Giulia.
Tutte queste misure - sostiene l'Avvocatura - tutelano
adeguatamente la minoranza slovena e possono ritenersi applicative del
suddetto Memorandum o adottate proprio in relazione agli impegni
assunti con il Memorandum stesso. Le medesime misure, in quanto
riferibili al citato atto internazionale, sono state mantenute in
vigore anche dopo la ratifica degli accordi italo-jugoslavi di Osimo
(legge 14 marzo 1977, n. 73) in base al disposto dell'articolo 3 del
trattato.
Non è fondato quindi - si aggiunge - l'addotto contrasto
dell'articolo 137 del codice di procedura penale con gli articoli 3 e 6
della Costituzione e con l'articolo 3 dello Statuto della Regione
Friuli-Venezia Giulia. Tale contrasto viene posto in relazione con le
norme emanate per gli appartenenti al gruppo tedesco del Trentino-Alto
Adige, il quale presenta caratteristiche sostanziali che non ricorrono
per la minoranza slovena. La prima ha infatti consistenza numerica
assai superiore, con larghi addensamenti in alcune località. Il
secondo ha per contro una consistenza globale molto ridotta e risulta
disperso sul territorio della Regione. La differenza tra i due gruppi
giustifica un diverso regime di tutela, anche per quanto concerne
l'equo rapporto che deve esistere tra funzionamento e organizzazione
dei pubblici uffici locali (amministrativi e giudiziari) e le effettive
esigenze delle minoranze nel rapporto con gli uffici stessi.
Inoltre - si conclude - l'appartenente al gruppo sloveno risulta
sufficientemente tutelato agli effetti della difesa in giudizio dato
che può esprimersi nella propria lingua, qualora non abbia conoscenza
della lingua italiana. Va sottolineato che, in applicazione della legge
19 luglio 1967, n. 568 sul conferimento dell'incarico di traduttore
interprete presso gli uffici giudiziari, sono stati nominati sei
interpreti e traduttori per il distretto di Corte d'appello di Trieste,
di cui cinque per la lingua slovena e uno per la lingua serbo- croata.
Considerato in diritto:
1. - Il Tribunale di Trieste solleva questione di legittimità
costituzionale dei commi primo e terzo dell'articolo 137 del codice di
procedura penale per contrasto con l'articolo 3 della Costituzione in
quanto determinano ingiustificata disparità di trattamento tra gli
appartenenti alle minoranze di lingua slovena nella Regione
Friuli-Venezia Giulia e gli appartenenti alle minoranze alloglotte del
Trentino-Alto Adige e della Valle d'Aosta, ai quali è consentito, in
base a specifiche normative l'uso della lingua madre nel processo
penale. Le disposizioni citate contrasterebbero inoltre, secondo il
Tribunale di Trieste, anche con l'articolo 6 della Costituzione e con
l'articolo 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
della Regione Friuli-Venezia Giulia).
Le questioni non sono superate per il sopravvenire della legge 14
marzo 1977, n. 73, che autorizza la ratifica e dà piena ed intera
esecuzione al trattato tra l'Italia e la Jugoslavia firmato ad Osimo il
10 novembre 1975, in quanto manca a tutt'oggi una normativa, che, sia
pure limitatamente all'uso della lingua slovena, dia specifica
attuazione al contenuto dell'articolo 8 di quel trattato. Questa
situazione di carenza, di cui è doveroso sottolineare la gravità,
rende dunque necessaria la pronuncia di questa Corte.
Peraltro, in termini di rilevanza, le questioni vanno circoscritte
all'ambito spaziale in cui sono state sollevate e cioè al territorio
di Trieste, prescindendosi dalle soluzioni adottabili per le minoranze
slovene insediate nelle altre parti della Regione Friuli-Venezia
Giulia.
2. - Le questioni proposte debbono entrambe dichiararsi non
fondate.
Diversi tuttavia sono i motivi della duplice dichiarazione di non
fondatezza. Infatti, a proposito del primo comma dell'articolo 137 del
codice di procedura penale si deve ricordare che la Costituzione
conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l'italiano come
unica lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe
disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, da parte dei
pubblici uffici nell'esercizio delle loro attribuzioni. Ciò è
confermato testualmente dell'articolo 84 dello Statuto della Regione
Trentino-Alto Adige (ora 99 del Testo unico approvato con d.P.R. 31
agosto 1972, n. 670) e dall'articolo 38 dello Statuto speciale per la
Valle d'Aosta. Pertanto, nessun contrasto può ravvisarsi tra il primo
comma dell'articolo 137 del codice di procedura penale ed i parametri
costituzionali invocati.
Per la seconda questione di legittimità costituzionale,
concernente il terzo comma dell'articolo 137 del codice di procedura
penale precisato, è da dire che, di per se stessi, né l'articolo 3
né l'articolo 6 della Costituzione possono garantire una specifica
tutela agli appartenenti a singole minoranze linguistiche. Anzi, è
chiara nell'ordinamento la tendenza a dare attuazione ai principi
dell'articolo 6 della Costituzione secondo regimi articolati e
peculiari, dettati in relazione alle differenziate situazioni
ambientali. Perciò, anche per la Regione Friuli-Venezia Giulia,
malgrado l'esplicito riferimento della X Disposizione transitoria della
Costituzione alla tutela delle minoranze linguistiche e dell'articolo 3
dello Statuto speciale della Regione alla "salvaguardia delle
rispettive caratteristiche etniche e culturali" dei diversi gruppi
linguistici di appartenenza, resta fermo che le norme di grado
costituzionale, richiamate come parametro, hanno natura di norma
direttiva e dall'applicazione differita. D'altra parte al Memorandum
d'intesa fra i Governi d'Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e
della Jugoslavia, concernente il territorio libero di Trieste (siglato
a Londra il 5 ottobre 1954), che pure conteneva all'articolo 5 dello
Statuto speciale (allegato secondo) ampie garanzie in tema di uso della
lingua materna per le minoranze etniche italiana e slovena, non fu mai
data piena ed intera esecuzione all'interno del nostro ordinamento,
risultando tale Memorandum attuato in modo parziale e prevalentemente,
se non esclusivamente, a mezzo di provvedimenti amministrativi.
Ma ciò non esime l'interprete dall'accertare se le norme
legislative vigenti bastino comunque a conferire immediata
operatività, in tema di uso della lingua nel territorio di Trieste,
alle norme costituzionali evocate ed in particolare agli articoli 6
della Costituzione e 3 dello Statuto regionale. È sufficiente, a tal
fine, ricordare le leggi statali 19 luglio 1961, n. 1012, e 22 dicembre
1973, n. 932, contenenti la disciplina per la istituzione di scuole con
lingua di insegnamento slovena nelle province di Trieste e Gorizia;
nonché l'articolo 34 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 416 (con la
significativa rubrica "tutela delle minoranze...") e l'articolo 8 della
legge 14 gennaio 1975, n. 1, sull'ordinamento dei consigli scolastici
nelle province di Trieste e di Gorizia in ordine alle scuole statali
con lingua di insegnamento slovena. Vanno pure menzionate la legge 31
ottobre 1966, n. 935, che ha abrogato il divieto di dare nomi slavi ai
bambini; la legge 14 aprile 1956, n. 308, che ha approvato e reso
esecutiva la convenzione fra Presidenza del Consiglio e RAI-TV per
l'estensione al territorio triestino del servizio radiotelevisivo, con
l'esplicita previsione di trasmissione di notiziari e programmi in
lingua slovena per mezzo della stazione triestina. (L'impegno è
ripetuto nella legge di riforma 14 aprile 1975, n. 103, prevedendosi
anzi la stipulazione di una apposita convenzione per trasmissioni
televisive in lingua slovena). Un preciso riferimento a partiti o
gruppi politici "espressi" dalla minoranza di lingua slovena del
Friuli-Venezia Giulia è poi contenuto nell'art. 2, comma nono, della
legge 24 gennaio 1979, n. 18, per l'elezione dei rappresentanti
dell'Italia al Parlamento europeo. Né mancano specifici ordini del
Governo Militare Alleato mai abrogati, provvedimenti del Commissariato
generale del Governo italiano per il territorio di Trieste e recenti
leggi regionali che valorizzano particolari aspetti della vita della
minoranza slovena.
Questo complesso di atti ha un contenuto normativo che corrisponde,
sia pure per parti, a quello che avrebbero potuto avere uno o più
provvedimenti formalmente diretti a dare attuazione agli articoli dello
Statuto speciale allegato al Memorandum d'intesa; anzi, ad avviso
dell'Avvocatura dello Stato, tali misure "possono o ritenersi
applicative del suddetto Memorandum" o adottate "proprio in relazione
agli impegni"con esso assunti. Ma ciò che conta è che tali norme
danno riconoscimento alla minoranza slovena o meglio qualificano la
popolazione di lingua slovena nel territorio di Trieste come "minoranza
riconosciuta", il che concretizza l'ulteriore operatività normativa
dell'articolo 6 della Costituzione e dell'articolo 3 dello Statuto
regionale, quanto meno per il territorio triestino. Se ormai si è in
presenza, al di là di ogni dubbio, di una "minoranza riconosciuta",
con tale situazione è incompatibile, prima ancora logicamente che
giuridicamente, qualsiasi sanzione che colpisca l'uso della lingua
materna da parte degli appartenenti alla minoranza stessa. È questa
infatti l'operatività minima, che, in tema di trattamento delle
minoranze linguistiche, deriva dal fatto ricognitivo di una singola
minoranza. E ciò a prescindere dalla circostanza, che perde ogni
rilievo, della conoscenza o meno della lingua ufficiale da parte
dell'appartenente alla minoranza, sicché questi, ove lo volesse,
potrebbe servirsi, "nell'uso pubblico", della lingua italiana:
altrimenti nessun trattamento particolare riceverebbe sotto questo
aspetto lo sloveno, pretendendosi da lui lo stesso comportamento
richiesto a tutte le persone, cittadine e straniere, che sappiano
esprimersi in lingua italiana (art. 137, secondo comma, cod. proc.
pen.). Questa tutela "minima", anche nei rapporti con le locali
autorità giurisdizionali, consente già ora agli appartenenti alla
minoranza slovena di usare la lingua materna e di ricevere risposte
dalle autorità in tale lingua: nelle comunicazioni verbali,
direttamente o per il tramite di un interprete; nella corrispondenza,
con il testo italiano accompagnato da traduzione in lingua slovena. Si
può del resto ricordare l'applicazione fornita nel Friuli-Venezia
Giulia alla legge 19 luglio 1967, n. 568, contenente norme sul
conferimento dell'incarico di traduttore e di interprete presso gli
uffici giudiziari.
Peraltro l'osservanza dei precetti dell'articolo 6 della
Costituzione e dell'articolo 3 dello Statuto regionale - in relazione
all'articolo 3 della Costituzione - non richiede affatto che alla
minoranza slovena della Provincia di Trieste debba necessariamente
applicarsi una normativa simile a quella adottata per il Trentino-Aldo
Adige o per la Valle d'Aosta: restando rimesso al legislatore italiano,
nella propria discrezionalità, di scegliere i modi e le forme della
tutela da garantire alla minoranza linguistica slovena.
Circa il terzo comma dell'articolo 137 del codice di procedura
penale si deve dunque concludere per la sua non applicabilità agli
appartenenti alla minoranza slovena nel territorio di Trieste in quanto
minoranza riconosciuta: sia che si voglia ravvisare in ciò un caso di
esclusione della punibilità da esercizio del diritto (art. 51 cod.
pen.), sia che si propenda per una delimitazione ex ante, nella sfera
soggettiva, della operatività della norma penale.
Pertanto, così interpretata, la disposizione del terzo comma
dell'articolo 137 del codice di procedura penale si sottrae alle
proposte censure di costituzionalità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata:
a) la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 137,
primo comma, del codice di procedura penale, sollevata con l'ordinanza
in epigrafe dal Tribunale di Trieste in riferimento agli articoli 3 e 6
della Costituzione e 3 dello Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia;
b) nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità
costituzionale dell'articolo 137, terzo comma, del codice di procedura
penale, sollevata con l'ordinanza in epigrafe dello stesso Tribunale in
riferimento agli articoli 3 e 6 della Costituzione e 3 dello Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 1982.
F.to: LEOPOLDO ELIA - EDOARDO
VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO
DE STEFANO - GUGLIELMO ROEHRSSEN -
ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO
PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO
LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI -
GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere