Ritenuto in fatto
1. - Con sei ordinanze in data 2 novembre 2000 (r.o. dal n. 762
al n. 767 del 2000) e con otto ordinanze in data 4 novembre 2000
(r.o. dal n. 768 al n. 775 del 2000), tutte di analogo contenuto, il
tribunale di Milano, in composizione monocratica, ha sollevato, in
riferimento all'art. 13, secondo e terzo comma, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 4, 5 e
6, e dell'art. 14, commi 4 e 5, del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero), nella parte in cui non prevedono: - che la mancata
convalida del trattenimento, in caso di insussistenza dei presupposti
di cui all'art. 13 del decreto legislativo n. 286 del 1998, elida gli
effetti del provvedimento di accompagnamento alla frontiera a mezzo
di forza pubblica; - che il provvedimento di accompagnamento alla
frontiera a mezzo di forza pubblica sia comunicato all'autorità
giudiziaria ed assoggettato a convalida entro 48 ore da parte di tale
autorità.
Quanto alla rilevanza, in tutte le ordinanze si osserva che il
giudizio di convalida del trattenimento presso il centro di
permanenza temporanea e di assistenza non può "essere portato a
compimento in difetto della pregiudiziale risoluzione del dubbio di
costituzionalità gravante sull'accompagnamento coatto alla frontiera
disposto in via amministrativa", accompagnamento del quale, in sede
di convalida, devono essere accertati i presupposti di validità ai
sensi dell'art. 14, comma 4, del decreto legislativo n. 286 del 1998.
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale, i remittenti rilevano che il
trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza ed
assistenza di cui al citato art. 14 è finalizzato ad assicurare
effettività alla normativa in tema di allontanamento e presuppone
che all'espulsione debba farsi luogo con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica. Quest'ultimo, rendendo
suscettibile di coercitiva esecuzione il provvedimento di espulsione,
inciderebbe sulla libertà personale e dovrebbe essere assoggettato
alle garanzie poste dall'art. 13 della Costituzione. Sul punto il
tribunale di Milano richiama il costante orientamento della
giurisprudenza costituzionale che, distinguendo la diversa sfera di
operatività dei precetti posti dagli artt. 13 e 16 della
Costituzione, ha individuato l'elemento qualificante della
restrizione della libertà personale nell'assoggettamento all'altrui
potere.
I remittenti - premesso che la prerogativa costituzionale
dell'art. 13, concernendo un diritto inviolabile e fondamentale,
compete anche allo straniero - lamentano che i casi di
accompagnamento alla frontiera conseguenti a provvedimenti di
espulsione amministrativa violerebbero la riserva di giurisdizione
per la mancata previsione di un provvedimento dell'autorità
giudiziaria che dia le ragioni di quella misura, preventivamente ex
art. 13, secondo comma, della Costituzione, ovvero successivamente,
mediante convalida del giudice entro quarantotto ore, a seguito di
comunicazione da parte dell'autorità di pubblica sicurezza ex art.
13, terzo comma, della Costituzione.
Inoltre, la violazione della riserva di giurisdizione, di
immediata rilevabilità nell'ipotesi in cui lo straniero espulso
venga effettivamente accompagnato alla frontiera a mezzo della forza
pubblica (in questo caso il giudice non ne viene neanche informato),
sussisterebbe, ad avviso dei remittenti, anche quando lo straniero,
per l'impossibilità di eseguire con immediatezza l'espulsione, venga
trattenuto ai sensi dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo
n. 286 del 1998 presso un centro di permanenza temporanea e
assistenza. Infatti, nonostante l'art. 14, comma 4, prescriva al
giudice della convalida di valutare la sussistenza dei presupposti di
cui all'art. 13 del medesimo decreto, oggetto della convalida sarebbe
solo il provvedimento di trattenimento presso il centro. Ciò sarebbe
confermato, oltre che dalla lettera del citato art. 14, comma 4, che
sembrerebbe riferirsi al solo "provvedimento del questore", anche dal
rilievo che la mancata convalida del trattenimento non travolgerebbe
il provvedimento di "espulsione con accompagnamento", che
continuerebbe così a gravare sullo straniero.
2. - Con altre tredici ordinanze di analogo contenuto in data
6 novembre 2000 (r.o. dal n. 776 al n. 788 del 2000), il tribunale di
Milano, in composizione monocratica, ha sollevato identica questione
di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 4, 5 e 6, e 14,
commi 4 e 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in
riferimento all'art. 13, secondo e terzo comma, della Costituzione.
La questione è prospettata negli stessi termini e con le stesse
argomentazioni delle ordinanze di cui al punto che precede.
Nelle tredici ordinanze in esame il tribunale di Milano ha
sollevato altresì, sempre in riferimento all'art. 13, secondo e
terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale del solo comma 5 dell'art. 14 del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286, "nella parte in cui prevede che la convalida
del provvedimento del questore comporta la permanenza nel centro per
un periodo di complessivi venti giorni e non prevede che la
permanenza nel centro consegua a provvedimento motivato
dell'autorità giudiziaria per il periodo di tempo da questa
indicato, nel rispetto del limite massimo di venti giorni".
Ad avviso del giudice a quo la permanenza presso i centri (il
cosiddetto "trattenimento") sarebbe misura dall'evidente carattere
forzoso, come dimostrato: dall'assoluto divieto per lo straniero di
allontanarsi dal centro [art. 21, comma 1, del d.P.R. 31 agosto 1999,
n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286)]; dalla previsione del
potere del questore di ripristinare la misura del trattenimento senza
ritardo, con l'ausilio della forza pubblica, in caso di indebito
allontanamento (art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998);
dall'attribuzione al questore della responsabilità delle misure
occorrenti per la sicurezza e l'ordine pubblico del centro, nonché
di quelle necessarie per impedire l'indebito allontanamento e per
ripristinare la misura (art. 21, comma 9, del d.P.R. n. 394 del
1999).
In sostanza, prosegue il remittente, il trattenimento pur
effettuato in strutture che non fanno capo all'amministrazione
penitenziaria, ma a quella del Ministero dell'interno integrerebbe
una forma di detenzione amministrativa che dovrebbe ricadere sotto il
disposto dell'art. 13, secondo comma, della Costituzione ed essere
quindi fondata su un atto motivato dell'autorità giudiziaria, che
non si limiti alla pura convalida dell'operato dell'autorità di
pubblica sicurezza.
In tal senso, la disposizione censurata, che prevede la convalida
del trattenimento, stabilendo che essa "comporta" la permanenza nel
centro per un periodo di complessivi venti giorni, contrasterebbe con
l'art. 13 della Costituzione, in quanto attribuirebbe a tale
provvedimento non solo la funzione di ratificare l'operato
dell'autorità di pubblica sicurezza, ma anche quella di legittimare
per il futuro la privazione della libertà personale, per un periodo
di tempo predeterminato.
Il contrasto sarebbe ancor più evidente ove si consideri che il
giudice non potrebbe in alcun modo valutare entro quali limiti il
sacrificio della libertà del trattenuto sia giustificato alla luce
delle ragioni indicate nel primo comma dell'art. 14 del decreto
legislativo n. 286 del 1998.
Quand'anche questo vaglio fosse reso possibile dalle generiche
indicazioni sul punto fornite dall'autorità di pubblica sicurezza -
conclude il giudice a quo - la disciplina in esame non consentirebbe
comunque al giudice di limitare la durata del trattenimento al
periodo di tempo ritenuto congruo rispetto alle concrete esigenze del
caso. Né, successivamente alla convalida, sarebbe possibile per il
giudice far cessare il trattenimento allorché ne venissero meno i
presupposti o qualora esso si protraesse oltre i termini.
3. - È intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata
inammissibile o non fondata.
Secondo la difesa erariale sarebbe erroneo il presupposto da cui
muove il remittente, e cioè che l'accompagnamento alla frontiera
incida sulla libertà personale dello straniero. L'Avvocatura,
premesso che le coazioni fisiche di lieve entità non sembrerebbero
lesive del disposto dell'art. 13 della Costituzione, rileva che
l'accompagnamento avrebbe carattere meramente accessorio rispetto al
provvedimento principale di espulsione, di cui determinerebbe le
modalità esecutive. In particolare, il provvedimento espulsivo si
sostanzierebbe nell'ordine allo straniero di abbandonare il suolo
nazionale, mentre l'accompagnamento coattivo sarebbe una modalità
esecutiva complementare a tale ordine e, consistendo nella
individuazione ed esecuzione di un itinerario obbligatorio,
inciderebbe soltanto sulla libertà di circolazione.
Peraltro, una simile limitazione della libertà di circolazione
dello straniero sarebbe coerente con le garanzie previste dalla
Costituzione, corrispondendo a precise e ragionevoli esigenze di
tutela della sicurezza pubblica: la necessità di prevenire il
ritorno a situazioni di clandestinità e quella di garantire la
tenuta del sistema di contrasto dell'immigrazione illegale
integrerebbero, infatti, - secondo la difesa dello Stato - i motivi
di sicurezza che giustificano la limitazione della libertà di
circolazione.
Ad avviso dell'Avvocatura, la questione sarebbe comunque
infondata anche qualora si ritenesse che l'accompagnamento coattivo
determini una restrizione della libertà personale, perché la durata
dell'accompagnamento sarebbe circoscritta al tempo strettamente
necessario allo svolgimento del tragitto fino alla frontiera e
ricorrerebbero le ragioni di necessità ed urgenza che abilitano
l'autorità di pubblica sicurezza ad adottare provvedimenti
restrittivi della libertà personale.
In relazione a tale profilo, l'Avvocatura aggiunge che
l'esigenza, ineludibile da parte dello Stato, di presidiare le
proprie frontiere e quella di predisporre un ordinato flusso
migratorio ed una adeguata accoglienza giustificherebbero il
sacrificio minimo della libertà personale imposto allo straniero con
l'accompagnamento coattivo.
In ogni caso, secondo la difesa erariale, nelle ipotesi di
trattenimento nei centri di permanenza temporanea non si
verificherebbe alcuna violazione della riserva di giurisdizione. Il
giudice, infatti, all'atto della convalida del trattenimento nel
centro, sarebbe chiamato a valutare i presupposti di cui agli artt.
13 e 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e quindi la
sussistenza delle condizioni per poter effettuare un'espulsione con
accompagnamento alla frontiera, sicché, in definitiva, dovrebbe
pronunciarsi, oltre che sulla legittimità del trattenimento, anche
su quella della misura dell'accompagnamento; pertanto, poiché la
misura del trattenimento, così come prevista dall'art. 14, avrebbe
ragione di esistere esclusivamente quale presupposto del successivo
accompagnamento in frontiera, l'Avvocatura conclude affermando che la
convalida del trattenimento comporterebbe anche quella del
provvedimento di accompagnamento alla frontiera, che non potrebbe
ritenersi sottratto al sindacato del giudice.
Considerato in diritto
1. - Sollecitata da sei ordinanze del tribunale di Milano, in
composizione monocratica, del 2 novembre 2000 (r.o. dal n. 762 al
n. 767 del 2000), otto del 4 novembre 2000 (r.o. dal n. 768 al n. 775
del 2000) e tredici del 6 novembre 2000 (r.o. dal n. 776 al n. 788
del 2000), questa Corte è chiamata a pronunciarsi sulla
legittimità, in riferimento all'art. 13, secondo e terzo comma,
della Costituzione, dell'art. 13, commi 4, 5 e 6, e dell'art. 14,
commi 4 e 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero). Poiché le ordinanze
propongono la medesima questione o questioni connesse, i relativi
giudizi debbono essere riuniti per essere decisi congiuntamente.
2. - Prima di dare conto dei temi affrontati dalle ordinanze di
rimessione, è opportuno richiamare, nelle sue linee essenziali, il
quadro legislativo dal quale prendono le mosse le questioni di
legittimità costituzionale proposte dal tribunale di Milano. L'art.
10 del decreto legislativo n. 286 del 1998 prevede che la polizia di
frontiera può respingere gli stranieri che si presentano ai valichi
di frontiera senza i requisiti per l'ingresso nel territorio dello
Stato. Il respingimento con accompagnamento alla frontiera è
altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri che,
entrando in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera, sono
fermati all'ingresso o subito dopo o sono stati temporaneamente
ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso. Il
successivo art. 13 disciplina, invece, l'espulsione amministrativa
dello straniero, che è disposta in ogni caso con decreto motivato
(art. 13, comma 3) e può avvenire in due modi: mediante intimazione
a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici
giorni e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la
presentazione all'ufficio di polizia di frontiera, oppure mediante
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
A quest'ultima modalità si ricorre sempre quando l'espulsione
sia stata disposta dal Ministro dell'interno per motivi di ordine
pubblico o di sicurezza dello Stato, ovvero quando lo straniero si
sia trattenuto indebitamente nel territorio dello Stato oltre il
termine fissato con l'intimazione [art. 13, comma 4, lettera a)]. In
tutti gli altri casi l'accompagnamento alla frontiera, pur essendo
materialmente eseguito, come nei casi precedenti, dal questore, è
riconducibile ad un provvedimento del prefetto, il quale, in sede di
adozione del provvedimento di espulsione, potrà disporre che essa
sia eseguita mediante accompagnamento solo ove ritenga sussistente,
tenuto conto di circostanze obiettive riguardanti l'inserimento
sociale, familiare e lavorativo dello straniero, un concreto pericolo
che questi si sottragga all'esecuzione del provvedimento.
In particolare, il decreto di espulsione adottato dal prefetto ai
sensi dell'art. 13, comma 2, cui si accompagni una motivazione
circostanziata circa le ragioni che lo hanno indotto ad optare per la
espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera anziché per
quella differita con intimazione, è il presupposto per l'esecuzione
dell'accompagnamento nei confronti dello straniero che sia entrato
nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera o
non sia stato immediatamente respinto e sia privo di valido documento
attestante la sua identità e nazionalità [art. 13, comma 2, lettera
a), e comma 5]; dello straniero che si sia trattenuto nel territorio
dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine
prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, o il
cui permesso di soggiorno sia stato revocato o annullato o sia
scaduto da più di sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il
rinnovo [art. 13, comma 2, lettera b), e comma 6]; infine, dello
straniero che appartenga a categorie di persone pericolose [art. 13,
comma 2, lettera c), e comma 4, lettera b)].
Avverso i provvedimenti di espulsione adottati dal prefetto è
dato ricorso al giudice ordinario (art. 13, commi 8, 9 e 10), mentre
il decreto di espulsione emesso dal Ministro dell'interno per ragioni
di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato può essere impugnato
dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma
(art. 13, comma 11, del decreto legislativo n. 286 del 1998).
Secondo l'art. 14 del medesimo decreto legislativo n. 286 del
1998, quando non sia possibile eseguire con immediatezza il
provvedimento di espulsione amministrativa mediante accompagnamento
alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al
soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine
alla sua identità o nazionalità ovvero all'acquisizione di
documenti di viaggio, o ancora per l'indisponibilità del vettore o
di altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo
straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso
il centro di permanenza temporanea e di assistenza più vicino. Il
provvedimento che dispone il trattenimento deve essere trasmesso al
giudice senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dalla sua
adozione affinché lo convalidi nelle successive quarantotto ore, ove
ne sussistano i presupposti e sentito l'interessato. La mancata
convalida comporta la perdita di efficacia del provvedimento, mentre
la convalida legittima il trattenimento per un periodo di complessivi
venti giorni, prorogabili dal giudice, su richiesta del questore, di
ulteriori dieci giorni.
3. - Così sommariamente ricostruita la disciplina della
espulsione amministrativa, va rilevato che in tutti i procedimenti
che hanno dato origine alle questioni di legittimità costituzionale
si versa in ipotesi di convalida di trattenimento che conseguono ad
espulsioni amministrative disposte dal prefetto; resta pertanto
estranea al presente giudizio la disciplina dell'espulsione
amministrativa per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello
Stato, di competenza del Ministro dell'interno.
In tutte le ordinanze si assume la violazione dell'art. 13,
secondo comma, della Costituzione, sul rilievo che oggetto della
convalida di cui all'art. 14, comma 4, sarebbe soltanto il
provvedimento che dispone il trattenimento presso il centro di
permanenza temporanea e assistenza e che quindi sfuggirebbe al vaglio
del giudice della convalida la misura dell'accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica quale modalità di esecuzione
di una espulsione amministrativa; in via subordinata si rileva che,
pure a voler ritenere che il controllo del giudice abbia ad oggetto
anche l'accompagnamento, questo non verrebbe travolto dal diniego di
convalida del trattenimento.
Qualche passaggio argomentativo e una certa ambiguità nella
formulazione dei dispositivi potrebbero indurre a ritenere che la
censura proposta come principale sia diretta contro il provvedimento
di accompagnamento alla frontiera in sé, anche indipendentemente
dall'esistenza di un provvedimento di trattenimento da convalidare.
Tuttavia il requisito della rilevanza impone di interpretare le
ordinanze di rimessione nel senso che con esse ci si limiti a dolersi
del fatto che, in sede di convalida del trattenimento presso il
centro di permanenza, non sia consentita al giudice la verifica della
legittimità dell'accompagnamento alla frontiera. Diversamente, le
ordinanze, in parte qua non potrebbero sottrarsi alla sanzione della
inammissibilità, giacché nel procedimento di convalida ex art. 14,
comma 4, può venire in considerazione solo il provvedimento di
espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica cui faccia seguito una misura di trattenimento.
4. - La questione, la cui consistenza si è ora precisata, deve
essere dichiarata non fondata nei sensi di cui appresso si dirà.
Il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza
temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale,
che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell'art. 13
della Costituzione. Si può forse dubitare se esso sia o meno da
includere nelle misure restrittive tipiche espressamente menzionate
dall'art. 13; e tale dubbio può essere in parte alimentato dalla
considerazione che il legislatore ha avuto cura di evitare, anche sul
piano terminologico, l'identificazione con istituti familiari al
diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalità di
assistenza e prevedendo per esso un regime diverso da quello
penitenziario. Tuttavia, se si ha riguardo al suo contenuto, il
trattenimento è quantomeno da ricondurre alle "altre restrizioni
della libertà personale", di cui pure si fa menzione nell'art. 13
della Costituzione. Lo si evince dal comma 7 dell'art. 14, secondo il
quale il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci
misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani
indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la
misura ove questa venga violata.
Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando
questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella
mortificazione della dignità dell'uomo che si verifica in ogni
evenienza di assoggettamento fisico all'altrui potere e che è indice
sicuro dell'attinenza della misura alla sfera della libertà
personale.
Né potrebbe dirsi che le garanzie dell'art. 13 della
Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista
della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto
gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione
siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i
problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi
migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il
carattere universale della libertà personale, che, al pari degli
altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai
singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità
politica, ma in quanto esseri umani. Che un tale ordine di idee abbia
ispirato la disciplina dell'istituto emerge del resto dallo stesso
art. 14 censurato, là dove, con evidente riecheggiamento della
disciplina dell'art. 13, terzo comma, della Costituzione, e della
riserva di giurisdizione in esso contenuta, si prevede che il
provvedimento di trattenimento dell'autorità di pubblica sicurezza
deve essere comunicato entro quarantotto ore all'autorità
giudiziaria e che, se questa non lo convalida nelle successive
quarantotto ore, esso cessa di avere ogni effetto.
5. - È dunque in questo contesto normativo - in cui la
formulazione dell'art. 13, terzo comma, della Costituzione, con
riferimento alla misura del trattenimento, appare dalla legge
ricalcata alla lettera - che devono essere valutate le censure mosse
dai remittenti, secondo i quali il giudice della convalida non
potrebbe estendere la propria valutazione all'accompagnamento,
giacché questo rimarrebbe estraneo al procedimento giurisdizionale,
e in ogni caso la sanzione dell'inefficacia conseguente alla mancata
convalida del trattenimento non riguarderebbe anche l'accompagnamento
alla frontiera.
Una simile interpretazione, sorretta da argomenti testuali assai
labili, non può essere condivisa. Secondo le ordinanze di
rimessione, l'art. 14, comma 4, quando, riferendosi all'oggetto della
convalida, usa il termine "provvedimento" al singolare, intenderebbe
fare esclusivo riferimento al provvedimento del questore, autorità
competente a disporre il trattenimento, e non anche
all'accompagnamento alla frontiera (potenzialmente riconducibile a
provvedimenti di più autorità), il quale continuerebbe così a
gravare sullo straniero nonostante la mancata convalida. A tale
argomentazione è agevole opporre, già sul piano letterale, che
l'art. 14, comma 4, stabilisce che il giudice convalida il
provvedimento del questore, sentito l'interessato, solo "ove ritenga
sussistenti i presupposti di cui all'art. 13 ed al presente
articolo". Da ciò è possibile desumere che il controllo del giudice
investe non solo il trattenimento, ma anche l'espulsione
amministrativa nella sua specifica modalità di esecuzione
consistente nell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica, regolata dall'art. 13.
Ulteriormente seguendo questa linea argomentativa, tendente a
valorizzare dati testuali, non può essere trascurato il fatto che
l'art. 14, comma 3, dispone che il questore del luogo in cui si trova
il centro trasmetta al giudice copia degli "atti": non quindi del
solo provvedimento di trattenimento, ma di tutti gli atti del
procedimento, incluso evidentemente il provvedimento di espulsione
amministrativa corredato dalle valutazioni del prefetto sulle
circostanze che lo hanno indotto a ritenere che lo straniero potesse
sottrarsi all'esecuzione di una semplice intimazione e lo hanno
persuaso a scegliere l'accompagnamento immediato come modo di
esecuzione dell'espulsione. Un simile onere di trasmissione, entro il
termine perentorio di quarantotto ore, non può avere altro
significato se non quello di rendere possibile un controllo
giurisdizionale pieno, e non un riscontro meramente esteriore, quale
si avrebbe se il giudice della convalida potesse limitarsi ad
accertare l'esistenza di un provvedimento di espulsione purchessia.
Il giudice dovrà infatti rifiutare la convalida tanto nel caso in
cui un provvedimento di espulsione con accompagnamento manchi del
tutto, quanto in quello in cui tale provvedimento, ancorché
esistente, sia stato adottato al di fuori delle condizioni previste
dalla legge.
Se a questi argomenti testuali si affiancano considerazioni di
ordine sistematico circa la collocazione e la funzione della misura
del trattenimento nel procedimento di espulsione amministrativa,
l'interpretazione restrittiva dei poteri del giudice della convalida
fatta propria dalle ordinanze di rimessione si conferma priva di ogni
consistenza. Il trattenimento costituisce la modalità organizzativa
prescelta dal legislatore per rendere possibile, nei casi
tassativamente previsti dall'art. 14, comma 1, che lo straniero,
destinatario di un provvedimento di espulsione, sia accompagnato alla
frontiera ed allontanato dal territorio nazionale. Il decreto di
espulsione con accompagnamento, che, giova ribadire, ai sensi
dell'art. 13, comma 3, deve essere motivato, rappresenta quindi il
presupposto indefettibile della misura restrittiva, e in quanto tale
non può restare estraneo al controllo dell'autorità giudiziaria.
Per eliminare ogni eventuale residuo dubbio basta considerare che
l'accompagnamento inerisce alla materia regolata dall'art. 13 della
Costituzione, in quanto presenta quel carattere di immediata
coercizione che qualifica, per costante giurisprudenza
costituzionale, le restrizioni della libertà personale e che vale a
differenziarle dalle misure incidenti solo sulla libertà di
circolazione.
È proprio muovendo da simili premesse che questa Corte, fin
dalla sentenza n. 2 del 1956, ha affermato che la traduzione del
rimpatriando con foglio di via obbligatorio è misura incidente sulla
libertà personale e, nella più recente sentenza n. 210 del 1995, ha
negato che l'ordine di rimpatrio comporti lesione dei beni protetti
dall'art. 13 della Costituzione, in considerazione del carattere
obbligatorio, ma non coercitivo, che tale ordine presenta. Ancora,
sulla distinzione tra mera obbligatorietà e coercitività della
misura si è basata la sentenza n. 194 del 1996, in tema di
accompagnamento per i necessari accertamenti tossicologici del
conducente di un veicolo in condizioni di alterazione fisica o
psichica che si possano ragionevolmente ritenere correlate all'uso di
sostanze stupefacenti o psicotrope. In quella non lontana decisione,
in effetti, per escludere la attinenza dell'accompagnamento all'area
della libertà personale è stata decisiva la considerazione che il
destinatario della misura può rifiutarsi di seguire gli agenti, pur
esponendosi in tal caso al rischio di un giudizio e di una sanzione
penale, senza però che l'autorità di polizia possa esercitare
alcuna forma di coazione fisica.
Infine, in una fattispecie assai vicina a quelle attuali, nella
sentenza n. 62 del 1994, l'espulsione con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica dello straniero sottoposto a
custodia cautelare o in espiazione di una pena detentiva, anche se
residua, non superiore a tre anni, è stata ritenuta misura incidente
sulla libertà personale, sulla premessa, non esplicitata, ma non per
questo meno chiara, che il passaggio dalla condizione di detenzione
ad altra misura coercitiva determinasse una diversità di grado e non
di qualità, identica rimanendo, in entrambe le ipotesi, la natura
del bene costituzionale coinvolto.
Se pure dunque l'interpretazione prospettata dai remittenti fosse
astrattamente plausibile limitando l'analisi alla sola legge
ordinaria, è comunque la forza del precetto costituzionale dell'art.
13 a imporre una accezione piena del controllo che spetta al giudice
della convalida: un controllo che non può fermarsi ai margini del
procedimento di espulsione, ma deve investire i motivi che hanno
indotto l'amministrazione procedente a disporre quella peculiare
modalità esecutiva dell'espulsione - l'accompagnamento alla
frontiera - che è causa immediata della limitazione della libertà
personale dello straniero e insieme fondamento della successiva
misura del trattenimento.
6. - Una volta chiarito che il controllo si estende a tutti i
presupposti del trattenimento, è risolta per implicito anche
l'ulteriore questione, posta subordinatamente dai remittenti, secondo
i quali nessuna delle disposizioni censurate prevede espressamente
che il diniego di convalida sia suscettibile di incidere sul
provvedimento di espulsione con accompagnamento.
Anche in assenza di una espressa previsione in tal senso, non
può dubitarsi che, nell'ipotesi in cui il giudice ritenga
insussistenti o non congruamente motivate le ragioni per le quali
l'autorità di polizia non si sia limitata ad adottare un
provvedimento di espulsione con intimazione, ma abbia disposto
l'esecuzione dell'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera,
il diniego di convalida travolgerebbe, insieme al trattenimento,
anche la misura dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della
forza pubblica.
Se infatti presidio della libertà personale, nel sistema
delineato dall'art. 13 della Costituzione, è l'atto motivato
dell'autorità giudiziaria, non v'è alcuna possibilità di sostenere
che un atto coercitivo come l'accompagnamento, che direttamente
incide sulla libertà della persona e che è allegato come
presupposto della misura del trattenimento, possa essere assunto
dall'autorità di polizia come pienamente legittimo e ancora
eseguibile quando il giudice ne abbia accertato l'illegittimità
ponendo proprio tale accertamento a fondamento del diniego di
convalida.
7. - L'art. 14, comma 5, dell'anzidetto decreto legislativo, pur
menzionato in tutte le ordinanze, è fatto oggetto di specifica
censura soltanto nelle ordinanze dal n. 776 al n. 788 del 2000, che,
con una seconda questione, ne denunciano l'illegittimità, sempre in
riferimento all'art. 13, secondo e terzo comma, della Costituzione
"nella parte in cui prevede che la convalida del provvedimento del
questore comporta la permanenza nel centro per un periodo di
complessivi venti giorni e non prevede che la permanenza nel centro
consegua a provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria per il
periodo di tempo da questa indicato, nel rispetto del limite massimo
di venti giorni".
La questione è infondata. Il legislatore, con valutazione che
non appare affetta da irragionevolezza, ha ritenuto che, per
rimuovere gli impedimenti all'esecuzione del provvedimento di
espulsione, sia necessario un periodo di tempo che può giungere nel
massimo a venti giorni, prorogabili di ulteriori dieci giorni a
richiesta del questore, limite varcato il quale è da ritenersi che
il trattenimento perda efficacia. Non si tratta di un tempo di
restrizione della libertà personale che deve essere consumato
interamente. È infatti previsto dall'art. 14, comma 1, del decreto
legislativo di cui si tratta che lo straniero deve essere trattenuto
"per il tempo strettamente necessario" e quindi, concorrendone le
condizioni, la misura deve cessare prima dello spirare del termine
ultimo. Il fatto che la convalida si riferisca all'operato
dell'autorità di pubblica sicurezza e, insieme, costituisca titolo
per l'ulteriore trattenimento fino al limite dei venti giorni, non
comporta alcuna violazione della riserva di giurisdizione posta
dall'art. 13 della Costituzione, giacché il trattenimento
convalidato è riferibile, sia per la restrizione già subita, sia
per il periodo residuo entro il quale può protrarsi, ad un atto
motivato dell'autorità giudiziaria.