Titolo
SENT. 68/63 A. DIRITTO PENALE - DISTINZIONE FRA NORME PENALI E NORME CONTENENTI SANZIONI AMMINISTRATIVE. REGIONE SICILIANA - MINIERE - NORME DI POLIZIA MINERARIA ART. 16 LEGGE REG. SIC. 4 APRILE 1956, N. 23. REGIONI - POTESTA' NORMATIVA PENALE REGIONALE - ESCLUSIONE - RISERVA DI LEGGE STATALE.
Testo
La distinzione fra norme penali e norme contenenti sanzioni amministrative va riportata non tanto alla materia cui la norma si riferisce nel comminare una determinata sanzione, bensi' al carattere intrinseco di quest'ultima, carattere che e' da desumere dalla stessa qualificazione con cui viene designata, allorche' tale qualificazione trovi corrispondenza in una di quelle usate dal codice penale per contraddistinguere le varie pene. Poiche' l'ammenda e' tassativamente considerata dall'art.17 c.p. come una delle "pene principali" comminabili per le contravvenzioni, non puo' sorgere dubbio sulla illegitimita' costituzionale dell'art. 16 della legge regionale siciliana 4 aprile 1956, n. 23, che, prevedendo appunto tale tipo di sanzione per le infrazioni alle disposizioni di polizia mineraria dettate dalla legge stessa, e' incorso nella violazione dell'art. 25 Cost., che sancisce la riserva della legge statale in materia. La natura di norma penale della disposizione in esame trova conferma nella facolta' attribuita al colpevole di procedere ad oblazione, in quanto l'oblazione, quale risulta dalla disciplina che ne fa l'art. 162 c.p. con riguardo alle contravvenzioni punibili con ammenda, rispetto alle quali produce effetto estintivo del reato, non puo' essere in nessun modo riferita alle sanzioni amministrative. Inoltre l'art. 400 del Regolamento esecutivo della legge regionale, approvato con decreto del Presidente regionale del 15 luglio 1958, n. 7, stabilendo che l'oblazione e' consentita prima dell'invio degli atti al Pretore, prevede un iter del procedimento del tutto incompatibile con le sanzioni non penali.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 25
Riferimenti normativi
legge della Regione siciliana
04/04/1956
n. 23
art. 16
co. 0
Titolo
SENT. 68/63 B. REGIONI - POTESTA' NORMATIVA PENALE REGIONALE - RISERVA ASSOLUTA DI LEGGE STATALE - NON E' CONSENTITO ALLE REGIONI IL RICHIAMO DI SANZIONI COMMINATE DALLE LEGGI DELLO STATO.
Testo
L'art. 25 Cost. sancisce la riserva della legge statale in materia penale. Alle Regioni e' pertanto precluso non soltanto stabilire nuove figure di reato ma anche richiamare sanzioni comminate dalle leggi dello Stato. L'eventuale applicazione di una pena statale nell'ipotesi di violazione di norme regionali, e' questione che deve essere risoluta dal giudice penale, non gia' definita, con norma imperativa, dal legislatore regionale.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 25
Riferimenti normativi
legge della Regione siciliana
04/04/1956
n. 23
art. 16
co. 0
N. 68
SENTENZA 8 MAGGIO 1963
Deposito in cancelleria: 15 maggio 1963.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 132
del 18 maggio 1963.
Pres. AMBROSINI - Rel. MORTATI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof.
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. GIOVANNI
CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Prof. ALDO SANDULLI - Prof.
GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI -
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge
regionale siciliana 4 aprile 1956, n. 23, promosso con ordinanza emessa
il 31 agosto 1961 dal Pretore di Calatafimi nel procedimento penale a
carico di Rizzo Francesco e Vincenzo, iscritta al n. 1 del Registro
ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 31 del 3 febbraio 1962 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione
siciliana n. 7 del 10 febbraio 1962.
Visto l'atto di intervento del Presidente della Regione siciliana;
udita nell'udienza pubblica del 20 marzo 1963 la relazione del
Giudice Costantino Mortati;
udito l'avv. Aldo Dedin, per il Presidente della Regione siciliana.
Ritenuto in fatto:
Con ordinanza del 31 agosto 1961 il Pretore di Calatafimi, nel
corso di un procedimento penale a carico dei fratelli Rizzo Francesco e
Vincenzo, imputati di infrazione alla legislazione mineraria, ha
sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art.
16 della legge regionale siciliana 4 aprile 1956, n. 23, in relazione
all'art. 25 della Costituzione, avendo ritenuto che la questione
stessa, rilevante per la decisione della causa, non può ritenersi
manifestamente infondata, nella considerazione che la sanzione
comminata per l'infrazione contestata agli imputati non riveste
carattere di pena amministrativa, sia per la qualifica di ammenda che
il predetto articolo le attribuisce, sia per l'analogia con quella
prevista dalla legge statale in materia di polizia mineraria, sia
ancora per la genericità della previsione che essa fa dell'oblazione,
e che quindi non poteva essere disposta dalla Regione. Che comunque,
anche a volere ritenere diversamente, resterebbe sempre dubbia la
legittimità costituzionale della sostituzione di una norma penale
statale con altra regionale non penale.
L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 febbraio 1962, n. 31.
Innanzi alla Corte si è costituito solo il Presidente della
Regione siciliana, rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo Dedin e
Enrico Restivo, depositando le proprie deduzioni in cancelleria il 21
febbraio 1962. Si afferma nelle deduzioni che la sanzione comminata
dalla legge impugnata ha senza dubbio carattere amministrativo, secondo
risulta dalla distinzione che la legge stessa all'art. 15 fa fra
l'ipotesi di infrazione più grave, per cui rinvia all'azione penale
prevista dall'art. 650 del Codice penale, e quella più lieve dell'art.
16, per la quale dispone l'ammenda. Ciò sarebbe confermato dal fatto
che l'ammontare stabilito per quest'ultima in lire 500.000 è superiore
a quella tipica dell'ammenda, qual'è prevista dal Codice penale. Si
aggiunge che se pure la sanzione de qua rivestisse indole penale, non
sussisterebbe illegittimità, dato che la norma regionale nel disporla
non ha fatto altro che riprodurre quella dell'art. 17 della legge 30
marzo 1893, n. 184, sulla polizia mineraria, che prevede sanzioni
pecuniarie fino a lire 1.000, cioè per un ammontare che risulta
equivalente all'altra, ove lo si adegui al mutato valore della moneta.
Quanto poi alla tesi enunciata nell'ordinanza, in via sub ordinata ,
che prospetta l'illegittimità sotto l'aspetto della indebita
sostituzione alla sanzione penale statale di una regionale non penale,
fa osservare come in realtà tale sostituzione non sia avvenuta,
secondo risulta dall'art. 17 della legge mineraria statale il quale,
pel fatto di avere previsto, oltre all'ipotesi di inosservanza delle
prescrizioni prefettizie punita con l'ammenda da lire 50 a 1.000, anche
la possibilità di applicare la pena di cui all'art. 434 del Codice
penale allora vigente per trasgressione all'ordine dell'autorità, non
ha potuto far riferimento a due diverse sanzioni penali per lo stesso
fatto delittuoso, ma ha inteso stabilire la coesistenza di una sanzione
penale e di altra amministrativa. A ciò non contrasta la denominazione
di ammenda in quanto prima dell'entrata in vigore del Codice penale del
1930 non vi era univocità di terminologia in ordine alle sanzioni
pecuniarie. Osserva infine che, comunque, non può ritenersi inibito
alla Regione, che ha introdotto una disciplina nuova in materia di
polizia mineraria, diversa da quella ormai inadeguata del 1893, di
porre al posto di una sanzione penale un'altra che tale non è.
Conclude chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Nella discussione orale il difensore della Regione ha insistito
nell'invocare il rigetto dell'eccezione.
Considerato in diritto:
La tesi sostenuta dalla difesa della Regione secondo cui
l'ordinanza ha inesattamente attribuito all'ammenda prevista nell'art.
16 della legge regionale siciliana 4 aprile 1956, n. 23, natura di
pena, mentre essa invece avrebbe in realtà indole di sanzione
amministrativa, non può essere seguita.
La Corte ha già fin dalla sentenza n. 6 del 1956 (poi confermata,
fra le altre, dalle sentenze nn. 23 e 58 del 1957, n. 90 del 1962)
statuito che la distinzione fra norme penali e norme contenenti
sanzioni amministrative va riportata non tanto alla materia cui la
norma si riferisce nel comminare una determinata sanzione, bensì al
carattere intrinseco di quest'ultima, carattere che è da desumere
dalla stessa qualificazione con cui viene designata, allorché tale
qualificazione trovi corrispondenza in una di quelle usate dal Codice
penale per contraddistinguere le varie pene. E poiché l'ammenda è
tassativamente considerata dall'art. 17 del Codice penale come una
delle "pene principali" comminabili per le contravvenzioni, non può
sorgere dubbio sulla illegittimità costituzionale della norma
regionale impugnata, che, prevedendo appunto tale tipo di sanzione, è
incorsa nella violazione dell'art. 25 della Costituzione che sancisce
la riserva della legge statale in materia.
L'esattezza della conclusione cui si è giunti in ordine alla
natura da attribuire alla disposizione in esame riceve conferma dalla
facoltà che questa dà al colpevole di procedere ad oblazione. Infatti
tale facoltà, se considerata secondo la sua specifica natura, quale
risulta dalla disciplina che ne fa l'art. 162 del Codice penale con
riguardo alle contravvenzioni punibili con ammenda, rispetto alle quali
produce effetto estintivo del reato, non può essere in nessun modo
riferita alle sanzioni amministrative. Emerge del resto dall'art. 400
dello stesso regolamento esecutivo della legge regionale, approvato con
decreto del Presidente regionale del 15 luglio 1958, n. 7, che
l'oblazione è consentita prima dell'invio degli atti al Pretore,
prevedendosi con ciò un iter del procedimento provocato
dall'infrazione del tutto incompatibile con le sanzioni non penali.
Quanto ora si è osservato sulla disciplina che il regolamento
detta in ordine alla repressione delle infrazioni alla legge regionale
mineraria (completata dalle altre norme di cui agli artt. 398 e 399 che
si riferiscono proprio alle stesse infrazioni previste dall'art. 16
impugnato) dispensa (anche se si volesse prescindere dal carattere
assorbente e preclusivo che hanno le considerazioni prima svolte) dal
confutare le argomentazioni con le quali la difesa regionale, muovendo
dal confronto fra gli artt. 15 e 16 della legge in esame, vorrebbe
trovare una conferma della sua tesi.
Ugualmente prive di pregio sono le deduzioni, enunciate in via
subordinata, secondo cui anche se la sanzione prevista fosse da
considerare penale, essa costituirebbe la riproduzione di una norma
dettata dallo Stato nella stessa materia e pertanto sarebbe da ritenere
legittima. Come ha infatti già statuito questa Corte in altra
occasione, è precluso alle Regioni non soltanto stabilire nuove figure
di reato ma anche richiamare sanzioni comminate dalle leggi dello
Stato. L'eventuale applicazione di una pena statale nell'ipotesi di
violazione di norme regionali, è questione che deve essere risoluta
dal giudice penale, non già definita con norma imperativa, dal
legislatore regionale (sentenza 13 del 1961).
Si deve, pertanto, dichiarare la illegittimità costituzionale
della norma impugnata. Spetterà poi al giudice di merito, secondo
quanto sopra si è detto, lo stabilire se al fatto che ha dato luogo al
procedimento contro Rizzo Francesco e Rizzo Vincenzo non possa
eventualmente applicarsi una vigente norma penale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 16 della legge
regionale siciliana 4 aprile 1956, n. 23, in relazione all'art. 25
della Costituzione.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, l'8 maggio 1963.
GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO - ANTONINO PAPALDO - GIOVANNI
CASSANDRO - BIAGIO PETROCELLI -
ANTONIO MANCA - ALDO SANDULLI -
GIUSSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI -
COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE
CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ.