Titolo
SENT. 100/64 A. DIRITTO DI DIFESA - MODALITA' DI ESERCIZIO DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE - IMPOSIZIONE DI ONERI PROCESSUALI DI NATURA FISCALE - LEGITTIMITA' - LIMITI.
Testo
Non viola il diritto alla tutela giurisdizionale la imposizione di oneri fiscali che siano razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, e siano di tal natura da costituire un regolamento delle modalita' di esercizio dell'azione giudiziaria che non renda difficile o impossibile l'esperimento.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 24
co. 1
Titolo
SENT. 100/64 B. SUCCESSIONI - LEGGE TRIBUTARIA - R.D. 30 DICEMBRE 1923, N. 3270, ART. 77 - SUBORDINAZIONE DELL'AZIONE GIUDIZIARIA ALLA DIMOSTRAZIONE DEL PREVIO PAGAMENTO DELL'IMPOSTA OVE NON SUSSISTA ESENZIONE - COSTITUISCE ONERE FISCALE CHE COMPRIME ECCESSIVAMENTE IL DIRITTO ALL'AZIONE - PARZIALE ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
Quando la Corte dichiarava non fondata la questione di legittimita' proposta in relazione a leggi sulle imposte di bollo e di registro, aveva all'esame ipotesi di tributi riguardanti il documento probatorio della pretesa fatta valere in giudizio; in modo che l'onere di soddisfarli incideva, non sull'azione, ma sulla disponibilita' di mezzi probatori e, nel caso di scrittura richiesta ad substantiam, sulla disponibilita' della situazione sostanziale. La norma contenuta nell'art. 77 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3270 invece non opera ne' sulla disponibilita' della situazione sostanziale, perche' il titolo successorio, se esiste, rimane nella sfera dell'erede o del legatario per quanto non lo si possa far valere, ne' sulla disponibilita' della prova di quel titolo, perche' l'imposta riguarda il trasferimento mortis causa, non la dimostrazione della sua esistenza. Essa opera sull'azione perche' impedisce di esperire anche i diritti successori sulla cui prova ed esistenza non sorge contestazione; e impedisce tale esperimento senza permettere scelte di convenienza quando l'imposta di successione e' di ammontare superiore al valore del diritto singolo per cui si invoca la protezione giudiziaria. Pertanto, deve essere dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art. 77 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3270 nella parte in cui subordina l'esperimento dell'azione giudiziaria alla dimostrazione dell'avvenuto pagamento dell'imposta; in conseguenza la stessa sorte subiranno gli artt. 79 e 80 della predetta legge in quanto sanzionano con l'obbligo di corrispondere l'importo delle tasse e soprattasse, l'inosservanza dell'onere previsto dalla norma impugnata (art. 77) per l'esercizio dell'azione giudiziaria. - S. nn. 45/1963 e 113/1963, 47/1964 e 91/1964.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 24
Riferimenti normativi
regio decreto
30/12/1923
n. 3270
art. 77
co. 0
regio decreto
30/12/1923
n. 3270
art. 78
co. 0
regio decreto
30/12/1923
n. 3270
art. 79
co. 0
regio decreto
30/12/1923
n. 3270
art. 80
co. 0
N. 100
SENTENZA 3 DICEMBRE 1964
Deposito in cancelleria: 7 dicembre 1964.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 308 del 12 dicembre 1964.
Pres. AMBROSINI - Rel. FRAGALI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof.
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA
JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott.
ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof.
MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI -
Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 77 del R. D.
30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle
successioni, promosso con ordinanza emessa il 31 ottobre 1963 dal
Tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra Rossi Emilia e
Rossi Maria Gaetana, iscritta al n. 69 del Registro ordinanze 1964 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 126 del 23
maggio 1964.
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Rossi Emilia;
udita nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1964 la relazione del
Giudice Michele Fragali;
udito l'avv. Francesco Silvestri, per Rossi Emilia.
Ritenuto in fatto:
1. - Pronunziando in un processo civile vertente tra Rossi Emilia e
Rossi Maria Gaetana, il Tribunale di Bari, in accoglimento di una
eccezione proposta da quest'ultima, ha sollevato dubbi sulla
legittimità dell'art. 77 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3270,
contenente la legge tributaria sulle successioni, nella parte in cui si
dispone che, decorsi i termini per il pagamento dell'imposta ivi
prevista, l'erede, il legatario, il tutore, il curatore,
l'amministratore, il sequestratario e l'esecutore testamentario non
possono agire in giudizio senza provare che il pagamento è stato
eseguito o che la successione è esente da tassazione ai sensi
dell'art. 17 del R. D. predetto.
Il Tribunale ha rilevato che la norma predetta potrebbe ritenersi
in contrasto con i principi affermati negli artt. 3 e 24 della
Costituzione, perché crea un ostacolo di ordine economico, il quale,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impedisce
il pieno sviluppo della persona umana e perché viola la norma
costituzionale secondo la quale tutti possono agire in giudizio per la
tutela dei propri diritti.
L'ordinanza, emessa il 31 ottobre 1963, è stata notificata ai
procuratori delle parti il 22, il 26 e 27 novembre 1963, e al
Presidente del Consiglio dei Ministri il 23 dicembre 1963; è stata
comunicata ai Presidenti delle due Camere il 12 dicembre 1963. È stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 126 del 23
maggio 1964.
2. - È comparsa in giudizio soltanto la signora Emilia Rossi, la
quale, nelle deduzioni depositate il 10 giugno 1964, ha ribadito le
ragioni proposte dal Tribunale.
Ha affermato, a tal fine, che la disposizione denunciata, in quanto
determina una improcedibilità dell'azione, è equivalente a quella
dell'art. 95 dello stesso decreto, per cui non sono ammessi in giudizio
ricorsi di opposizione o istanze contro l'ingiunzione di pagamento o la
liquidazione di tasse e pene pecuniarie, salvo il caso che la
opposizione sia proposta contro la richiesta di tassa suppletiva.
Questa seconda norma sancisce il principio del solve et repete; come
questa, afferma che non può agirsi in giudizio se non si sia pagata
l'imposta di successione, e si risolve nella disapplicazione del
precetto costituzionale che garantisce al cittadino la possibilità
dell'accertamento giudiziario del proprio diritto. Non si può
distinguere fra procedibilità dell'azione e sospensione del processo,
perché questo non potrebbe essere riattivato se la parte non è
abbiente.
Ha rilevato inoltre che il caso è diverso da quello deciso dalla
Corte con sentenza 4 aprile 1963, n. 45, in merito ad una analoga norma
della legge sul registro. In tale sentenza si affermò che questa norma
non impedisce la tutela giurisdizionale di un diritto fondato su una
scrittura non registrata perché, non ottemperando all'obbligo di
registrazione, la parte dispone della funzione probatoria o documentale
che la scrittura era chiamata a svolgere, sulla base di una valutazione
di convenienza compiuta come in ogni caso in cui la legge assoggetta ad
oneri l'esercizio del diritto; invece la norma oggi denunziata, secondo
la Rossi, non consente alla parte alcuna alternativa e una qualsiasi
possibilità di scelta per la tutela del diritto offeso. La citata
sentenza della Corte rilevò che non si poteva far valere il principio
della eguaglianza, né per consentire alla parte di trarre vantaggio
dalla sua attuale condizione patrimoniale di non abbienza, né per
continuare a sottrarsi all'adempimento di una obbligazione che avrebbe
dovuto soddisfare già prima del giudizio; nel caso in esame,
l'obbligazione si è maturata nel corso del giudizio, e la parte non si
vuole sottrarre all'obbligo del pagamento della imposta, ma, con
l'accertamento del suo diritto, che fa sorgere la sua obbligazione
tributaria, vuole essere posta in condizione di assolvervi. A rimuovere
gli effetti della sospensione occorrerebbe, nel caso di non abbiente
privo del possesso dei beni ereditari, che questi fossero escussi
direttamente dal fisco e da esso alienati in tutto o in parte; il che
equivarrebbe a rendere improduttivo di effetti l'accertamento del
diritto, perché esso si domanderebbe quando più non potrebbero far
parte dell'asse ereditario quei beni che del diritto erano oggetto.
Avvenuta la presentazione della denuncia di successione e
conseguentemente individuati i beni assoggettabili ad imposta, che è
il caso in esame, resta esclusa, secondo la Rossi, la possibilità di
evasione dall'obbligazione relativa; la quale peraltro resta garantita
dal privilegio di cui all'art. 68 della legge.
3. - Nella memoria difensiva, depositata il 1 ottobre 1964, la
Rossi ha confermato la sua convinzione di illegittimità costituzionale
per la norma denunziata.
Rilevato che la Corte di cassazione, con sentenza n. 1332 del
1961, ha statuito che la norma predetta costituisce una applicazione
del principio del solve et repete, ha soggiunto che è necessario
raffrontare all'esigenza del rispetto dei diritti civili, di cui fa
parte il diritto di agire e di difendere in giudizio, tutte le norme
che determinano una improcedibilità dell'azione. Ha osservato che le
ragioni che militano per l'affermazione della illegittimità
costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge n. 2248, all.
E, del 1865, già accolte da questa Corte nella sentenza 31 marzo 1961,
n. 21, e confermate nella successiva sentenza 22 dicembre 1961, n. 79,
a proposito dell'art. 149 della legge del registro, dell'art. 52 della
legge sull'i.g.e. e dell'art. 24 della legge doganale, depongono anche
contro la legittimità della norma impugnata. Essa si rivela esosa,
perché intesa, non già alla percezione del tributo, assicurata
dall'individuazione dei beni e dei titolari di essi e per giunta
garantiti da privilegio, ma all'immediatezza di detta percezione,
perché nega al non abbiente la possibilità di far valere il proprio
diritto. Nel caso in cui l'esistenza di questo diritto è, non solo
evidente, ma documentata, la parte si trova esposta alla preclusione
della sua iniziativa processuale per effetto di un interesse fiscale
che non trova garanzia costituzionale prevalente su quello alla tutela
giurisdizionale; il diritto a tale tutela non è infatti posto in
relazione con l'adempimento del dovere di concorrere alle spese
pubbliche, mentre la norma denunciata lo subordina a tale adempimento,
che potrebbe essere assicurato da sanzioni di diversa natura. L'obbligo
previsto dalla norma in esame ha lo scopo precipuo di facilitare
l'esplicazione dell'attività amministrativa diretta alla ricerca e
alla constatazione del presupposto del tributo, in modo da impedire o
reprimere evasioni di tributi; ma, eseguita, come nella specie, la
denuncia, il fisco trova garanzia nel privilegio che esso ha su tutti i
beni facenti parte del compendio successorio.
La Corte costituzionale ha ammesso che l'interesse dello Stato alla
percezione dei tributi possa essere attuato nel processo civile entro
determinati limiti, i quali consistono in una stretta e razionale
relazione di quell'interesse con il processo, nella configurazione
dell'obbligo di soddisfare l'interesse stesso con modalità di
esercizio dell'azione: nella specie, secondo la Rossi, la
individuazione, fatta mercé la denunzia, non solo dei cespiti sui
quali ricade il tributo, ma anche dei titolari di essi e il
concretamento del privilegio dello Stato sui beni ereditari realizza
l'interesse pubblico su ricordato. Non si impedisce, nella specie, di
far valere documenti a sostegno delle proprie ragioni, ma si fa valere
la pretesa dello Stato mediante una improcedibilità dell'azione, come
per il solve et repete; la si fa valere anche rispetto al non abbiente
e a colui che non è in possesso dei beni ereditari, creandosi
disparità fra soggetti e soggetti.
Il soddisfacimento dell'obbligo del pagamento, sostiene la Rossi,
in tutti i giudizi di natura successoria, è strettamente legato
all'esito del giudizio: oggettivamente, per quanto riguarda la
esistenza o meno dei cespiti, soggettivamente, per quanto riguarda il
sorgere dell'obbligazione nei confronti del soggetto che agisce in
giudizio deducendo la qualità ereditaria.
E, fino a quando non è intervenuta la pronunzia, non sussiste la
situazione illecita, considerata dalla Corte nella sentenza n. 45 del
1963, di chi vuol trarre vantaggio dalla propria condizione
patrimoniale per continuare a sottrarsi ad una obbligazione che si
sarebbe dovuta soddisfare già prima del giudizio.
4. - All'udienza del 21 successivo, la parte ha illustrato le
considerazioni già svolte.
Considerato in diritto:
1. - L'ordinanza del Tribunale contesta la legittimità dell'art.
77 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria
sulle successioni, soltanto in quanto, ove non sussistano casi di
esenzione dalla imposta, fa carico alla parte di dimostrarne l'avvenuto
pagamento quando deduce in giudizio posizioni ereditarie ed è scaduto
il termine stabilito o concordato per l'adempimento dell'obbligazione
tributaria. Non è in discussione cioè la legittimità dell'onere di
denunciare la successione, pure imposto dal predetto articolo; ed esso
pertanto deve rimanere fuori dall'esame della Corte.
Fuori di detto esame deve inoltre rimanere la questione della
legittimità costituzionale degli artt. da 77 a 83 del decreto predetto
nella parte in cui, in ipotesi diverse dall'azione giudiziaria e nelle
condizioni stesse previste per essa, determina un onere identico a
quello che l'ordinanza ritiene non conforme alla Costituzione.
Rientra invece nell'oggetto dell'odierno processo la deduzione,
nell'ordinanza, dell'illegittimità dell'obbligo del giudice di
sospendere il procedimento ove non sia assolto l'onere suddetto, per
quanto nel suo dispositivo non si richiami espressamente l'art. 78
della suddetta legge, che è la fonte di quell'obbligo: altre volte la
Corte ha deciso che l'ordinanza del giudice a quo va considerata nel
suo complesso.
2. - La Corte ritiene che le questioni proposte siano fondate, in
relazione all'art. 24 della Costituzione.
Sentenze precedenti hanno affermato che non viola il diritto alla
tutela giurisdizionale l'imposizione di oneri fiscali che siano
razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, e siano di
tal natura da costituire un regolamento delle modalità di esercizio
dell'azione giudiziaria che non renda difficile o impossibile
l'esperimento (27 giugno 1963, n. 113; 4 giugno 1964, n. 47). Nel
concorso di quelle circostanze l'onere è stimolo legittimo
all'adempimento degli obblighi tributari ed è un modo di tutela
dell'interesse generale alla riscossione dei tributi, compatibile con
la regola di inviolabilità della protezione giudiziaria (sentenza 4
aprile 1963, n. 45; 19 novembre 1964, n. 91).
Senonché l'onere cui si riferisce la ordinanza del Tribunale di
Bari è di quelli che comprimono eccessivamente il diritto all'azione.
3. - Quando la Corte dichiarava non fondata l'analoga questione di
illegittimità proposta in relazione a leggi sulle imposte di bollo e
di registro, aveva all'esame ipotesi di tributi riguardanti il
documento probatorio della pretesa fatta valere in giudizio; in modo
che l'onere di soddisfarli incideva, non sull'azione, ma sulla
disponibilità di mezzi probatori e, nel caso di scrittura richiesta ad
substantiam, sulla disponibilità della situazione sostanziale (4
aprile 1963, n. 45).
La norma in esame invece non opera né sulla disponibilità della
situazione sostanziale, perché il titolo successorio, se esiste,
rimane nella sfera dell'erede o del legatario per quanto non lo si
possa far valere, né sulla disponibilità della prova di quel titolo,
perché l'imposta riguarda il trasferimento mortis causa, non la
dimostrazione della sua esistenza.
La legge opera sull'azione perché impedisce di esperire anche i
diritti successori sulla cui prova ed esistenza non sorge
contestazione; e impedisce tale esperimento senza permettere scelte di
convenienza quando l'imposta di successione è di ammontare superiore
al valore del diritto singolo per cui si invoca la protezione
giudiziaria. L'eccessività della restrizione apportata a questa
protezione sta in tale possibilità di sicura sproporzione fra
l'obbligo tributario e il diritto sostanziale per il quale si vuole
adire o si è adito il giudice; a parte che, in tali casi, si ha
altresì una parziale mancanza di correlazione fra quell'obbligo e il
diritto, perché si fa carico di soddisfare un tributo che solo in
parte alla pretesa dedotta specificatamente pertiene.
Vi è inoltre da aver presente che, ove si agisca in giudizio per
far accertare il titolo ereditario contestato, l'obbligo di
corrispondere, ciò non pertanto, l'imposta di successione, crea una
situazione simile a quella che era costituita dalla regola del solve et
repete, perché costringe al pagamento di un tributo prima ancora che
si accerti in modo definitivo il titolo in base al quale esso potrebbe
esigersi. Ed anzi si può dire che si delinea una situazione di
maggiore inasprimento posto che, essendo ancora incerta la materia
imponibile, che nel caso dell'imposta di successione non è mai oggetto
di accertamento preventivo da parte degli uffici tributari, la
liquidazione del tributo che tali uffici predispongono non è nemmeno
assistita da una presunzione di legittimità: si fonda soltanto su una
denunzia della parte accompagnata da una dichiarazione di pendenza di
un giudizio, e quindi su una mera manifestazione di opinione circa la
esistenza del titolo successorio e circa l'entità del compendio
ereditario, non su una confessione della obbligazione tributaria. La
limitazione del diritto di agire apparirà ancora più grave ove si
consideri che l'Amministrazione finanziaria ha privilegio su tutti i
beni ereditari (art. 68 della legge); in modo che l'azione che l'erede
o il legatario promuove allegando il proprio titolo, è anche
d'interesse della Amministrazione, perché riporta completamente nella
sfera del debitore dell'imposta quel bene che in atto sfugge al
privilegio o rende possibile il recupero di crediti il cui adempimento
potrebbe essere indirizzato direttamente nella sfera della medesima
Amministrazione, ove essa provvedesse all'esperimento dei mezzi posti
dall'ordinamento a sua disposizione per l'attuazione del privilegio.
4. - Non è stata denunciata l'illegittimità degli artt. 79 e 80
della legge predetta nella parte in cui sanzionano, con l'obbligo di
pagare anche l'imposta, l'inosservanza dell'onere previsto nell'art. 77
per l'esercizio dell'azione giudiziaria.
La sanzione è evidentemente una conseguenza dell'imposizione
dell'onere di provare il pagamento della tassa, la dilazione o
l'esenzione; venuto meno questo onere agli effetti dell'azione
giudiziaria, viene meno la corrispondente sanzione, e pertanto gli
articoli predetti debbono essere dichiarati illegittimi con riferimento
ad essa, per quanto concerne l'esperimento di quella azione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 77, 78, 79 e
80 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria
sulle successioni, nella parte in cui dispongono che le persone ivi
indicate, quando fosse scaduto il termine per il pagamento della tassa,
o quel termine scadesse nel corso del procedimento, non possono agire
in giudizio o proseguirlo senza aver dato la prova dell'avvenuto
pagamento, della ottenuta dilazione o della esenzione, e nella parte in
cui sanzionano, con l'obbligo di corrispondere l'importo delle tasse e
delle sopratasse, l'inosservanza di quello di richiedere la prova
suddetta.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 1964.
GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO - ANTONINO PAPALDO - NICOLA
JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO
PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO
SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE
FRAGALI - COSTANTINO MORTATI -
GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ
- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.